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DOPO LE OLIMPIADI SONO DIVENTATO… vostri... · 2018. 3. 22. · questo, Tarzan, diventando uno degli attori più popolari, navigando non più fra i laghi, ma fra successi e incassi

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DOPO  LE  OLIMPIADISONO  DIVENTATO…

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Èin albergo, finalmente. Per arrivare finoa qui ne ha vissute di tutti i colori delmondo. Ha mandato al diavolo gli studi

di ingegneria e gli insensibili professoronidell’università di Harvard, a cui del suosogno olimpico non importava nulla. S’èfatto un viaggio in nave dall’America aNapoli. Quindi ha proseguito per Atene, laterra promessa, lo stadio Panathinaiko,quel ferro di cavallo che ti porta sullamacchina del tempo… Il salto triplo asse-gnerà le prime medaglie e lui si deve fartrovare pronto. L’hanno alloggiato in un bell’albergo,l’hotel Gran Bretagna, a casa aveva giàvisto il programma, ha 12 giorni per ac-climatarsi. Si stende sul letto, pensa aisuoi predecessori, a quelli di 2500 anniprima, alle Olimpiadi dell’antichità. Dividela stanza con alcuni compagni di squadra:uno di loro entra con il fiatone, sembrastia per annunciare la fine del mondo. Aquel punto James Brendan Connoly sache sta andando tutto all’aria: lui e i suoicompagni non hanno calcolato che inGrecia il calendario è diverso, che leOlimpiadi stanno per cominciare e che lasua gara è in programma nella prima gior-nata! Eccolo allora aprire la valigia, in-dossare pantaloncini, maglietta e via, avedere se la medaglia se n’è già andata ol’aspetta… Connoly fa in tempo, vince, eche vittoria, è il primo trionfatore dellastoria olimpica moderna: 13 metri e 71centimetri.Quando tornerà a casa, non farà pacecon l’Università. In compenso, il saltotriplo diventerà una metafora della suavita: un continuo balzare, spiccare il volo,andare a finire nei posti più impensati.

Soldato, scrittore, politico mancato, dinuovo atleta olimpico (secondo a Pariginel 1900), giocatore di calcio, allenatore.Vivrà parecchio, sempre a tutta, e tantianni dopo, nel 1949, arriveranno anchele scuse dell’Università.

JAMES CONNOLY LO SCRITTORE

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Connoly fu un grande scrittore di racconti di mare.Ma il mare lo conobbedavvero: dalla costa siberiana al Mar Baltico

La sua prima storia fu olimpica. Rac-contava giusto di un vincitore dellamaratona di Atene. Si chiamava “TheOlympic Winner”.

Dida dida

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Si potrebbe cominciare raccontandoquelle due medaglie d’oro a Tokyo,nel 1964: individuale e a squadre nel

concorso completo di equitazione. Oppuredai suoi successi da ingegnere , la profes-sione che scelse e che accompagnò lasua vita insieme con l’attività sportiva. Oancora ricordare che Mauro Checcoli è ilpresidente dell’Accademia Olimpica. Maparlare di un personaggio così è parlare dicavalli, perché i cavalli sono da semprenel suo cuore, e perché è un “capriliano”,uno che rispetta l’animale prima di ognialtra cosa. Un esempio: oggi si dibattemolto di allargare il programma olimpicoanche a una disciplina, l’endurance, incui i cavalli sono chiamati a una specie dimaratona. La disciplina piace ed ha ungrande potenziale commerciale, insomma– detto brutalmente – girano parecchi soldiin questo campo. Lui, però, è scettico:non ci sta, crede che per il cavallo si trattidi uno stress troppo grande. E il cavalloviene prima di tutto.Veniva prima di tutto Surbean, “un cavallocomplicato”, come lo definì l’olimpionico.Ma che lo portò a medaglia in Giappone enon si ripeté quattro anni dopo in Messico,perché la prova di equitazione venne an-nullata a causa di un violentissimo uragano.La sfortuna lo perseguita anche per l’Olim-piade di Monaco 1972. Il cavallo argentinodestinato a Checcoli, Rosario, si fratturauna vertebra, mentre si rotola su uno deiPratoni, nel centro federale del Vivaro, aiCastelli Romani. L’Olimpiade salta. Ma la storia più dolce per Checcoli èquella di Eremita: il “finto cieco”. RaccontaCheccoli: “Mi telefonano dalla Federazionee mi dicono “guarda che un bel cavallo

sta per andare al macello. Tu sei in zona,vallo a vedere. Arrivo nella scuderia, aprola porta e il cavallo mi guarda. M’inso-spettisco. Non va più al macello me lofaccio amico e con Eremita ho vinto ancheun titolo italiano. Si fingeva cieco e andavacontro gli ostacoli invece di saltarli perchénon si fidava di chi lo montava”.

L’ingegnere “completo” Mauro Checcoli 

Il concorso completo, la specialità incui Mauro Checcoli si laureò campioneolimpico individuale e a squadre, èformata da tre prove: il dressage, doveconta la perfezione stilistica del cavallonell’effettuazione di alcuni esercizi, laprova di cross, disputata in un percorsodi campagna con il superamento dialcuni ostacoli; infine il classico saltoostacoli, quello del concorso ippico diPiazza di Siena per intenderci.

Mauro Checcoli, campione innamorato dei cavalli

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Conoscete il film “Momenti di gloria”?Ma sì, quello della solenne musica diVangelis? Vinse l’Oscar raccontando

la storia di due atleti britannici alle Olimpiadidi Parigi del 1924: Harold Abrahms edEric Liddell. Liddell era figlio di un missio-nario e aveva una profonda religiosità: ladomenica era il giorno del riposo, era ilgiorno di Dio. Le eliminatorie dei 100 metrierano invece in calendario proprio allafine della settimana. Lui disse no, inutileche tentiate di convincermi, basta, io noncorro. Gli diedero del traditore della patria,ma Eric fu irremovibile. Inventò però un’acro-bazia tecnica: si iscrisse ai 400 metri, cheaveva corso ad alto livello solo una volta.E, clamorosamente, vinse. Con tanto di

ERIC LIDDELL MISSIONARIO IN CINA

Eric Liddell non si limitavasoltanto all’atletica.Fra il 1922 e il 1923, giocò sette partite all’ala,nella nazionale scozzese.Segnò quattro mete, poi scelse l’atletica per poter inseguire il sogno olimpico

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Eric Liddell era scozzese. Di Edimburgo

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record del Mondo: 47 secondi, 6 decimi.Prima, era finito terzo nei 200.Quando tornò a casa, a Edimburgo, lagente lo accolse impazzita di gioia. E qual-che giorno dopo, Liddell vinse pure un’altramedaglia: si laureò in Scienze. Intantoaveva intrapreso la strada del padre, fa-cendo il predicatore cristiano in giro per lasua terra. Non gli bastava: rispose a unachiamata che arrivava dalla Cina, quellaCina dove era nato e dove aveva vissuto iprimi cinque anni della sua vita, e cheraggiunse con un lungo viaggio in Transi-beriana, sette giorni di treno per ritrovarsia reinventare la sua vita. Non smise dicorrere: si racconta che nel 1928 i suoitempi fossero addirittura più veloci di quellifatti segnare dai vincitori delle gare divelocità alle Olimpiadi di Amsterdam. Forseavrebbe potuto bissare la vittoria di Parigi,ma si erano dimenticati di lui. Se ne ricor-darono solo quattro anni dopo, per i Giochidi Los Angeles. Ma a quel punto lui rispose:“Sono troppo vecchio”. Quell’anno, il 1932,divenne il reverendo Eric Liddell. In Cina fu per tutti gli studenti “zio Eric” o“Li Mu Shi”. Continuava a non praticaresport la domenica, ma un giorno fu co-stretto a entrare in campo: era scoppiatauna rissa in una partita di hockey e sifece largo per fermare i pugni che volavanoda una parte all’altra. Mise su famigliasposando un’infermiera canadese, Flo-rence. Ebbero tre figlie: Jenny, Heather,Maureen. La sua giornata cominciava sem-pre all’alba, scendendo dal suo letto a ca-stello, leggendo la Bibbia. Poi, tanto sport.Persino nel campo di concentramento,quando i giapponesi invasero la Cina, an-nunciando la seconda guerra mondialeanche in Estremo Oriente. Morì prestissimo,in Cina, a 43 anni, proprio quando laguerra stava per finire. Ma nei suoi duemondi, la Scozia e la Cina, il ricordo dellesue corse e dei suoi discorsi non è scom-parso.

Tianjin, la città cinese dov’è sepoltoEric Liddell, era allora un piccolo centro.Oggi ha 11 milioni di abitanti.

A Edimburgo c’è la sede dell’EricLiddell Centre, che lavora nel campodella solidarietà e dell’aiuto ai malati.

Negli anni che precedettero le Olimpiadi,Liddell si allenava intensamente, masolo due o tre giorni alla settimana.

Un amico raccontava che “il suo stiledi corsa era pessimo, con la testa al-l’indietro, ma efficacissimo”. Soltantonel calcio e nel rugby, la Scozia hauna nazionale tutta sua che gareggiaall’estero. Per il resto, fa parte, anchesportivamente, della Gran Bretagna.

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Conoscete Tarzan? Quello dell’urlo infi-nito, della giungla, di Jane, delle liane?Dai, chi è che non ha mai sentito una

frase del tipo: “E chi sei, Tarzan?”. Bastacomunque mettere una parolina su googlee voilà, vi imbatterete in una scena che vidirà tutto. Forse nasconderà però unacosa di Tarzan: la sua amicizia con leOlimpiadi. Diversi campioni olimpionicisono stati, infatti, Tarzan. Ottenendo spessoun grande, enorme successo. Uno in par-ticolare: Johnny Weissmuller.Johnny era bello, bellissimo, una specie distatua che faceva impazzire le donne. Lastatua però si muoveva, eccome se simuoveva: sembrava fatto apposta per nuo-tare. Imparò da ragazzino sul Lago Michi-gan, nella sua Chicago dove viveva con ilfratello minore Peter e la mamma Elizabeth.Quelle acque le conosceva a memoria,anche quando diventavano perfide, peri-colose, addirittura feroci: John non vinse

Johnny Weissmuller il divo di Hollywood

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Weissmuller si allenava sul lago Michigan, nella “sua” Chicago

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solo cinque medaglie d’oro alle Olimpiadidi Parigi 1924 e di Amsterdam 1928, nonstabilì solo una quantità innumerevole direcord del mondo scendendo per la primavolta sotto il minuto nei 100 stile libero.Quel lago, dove deteneva i record di tra-versata, lo percorse in lungo e in largo persalvare passeggeri in occasione del disastrodel “Favourite”, la nave che si inabissònel 1927 in una tragedia che avrebbepotuto essere ancora più grande senza ilsuo intervento.Quando smise, dopo otto anni di imbatti-bilità, tutto congiurava perché la sua im-mensa popolarità cambiasse solo di pal-

coscenico: dallo sport allo spettacolo, dalleOlimpiadi a Hollywood. Dove diventò Tarzan,il Tarzan più noto, perché lui a torso nudo,sfoggiando muscoli e destrezza, sembravafatto apposta non solo per nuotare veloce,ma anche per spaziare senza paura inmezzo alla giungla. Per sedici anni fecequesto, Tarzan, diventando uno degli attoripiù popolari, navigando non più fra i laghi,ma fra successi e incassi. Curioso cheanche uno dei suoi eredi nel nuoto, BusterCrabbe, sia diventato pure lui Tarzan afine carriera. E le Olimpiadi hanno pure“formato” qualche Jane, la compagna diTarzan, co-protagonista dei suoi film.

Ci fu anche un altro Tarzan alle Olim-piadi. A Roma, nel 1960, Don Bragg,il vincitore del salto con l’asta, sorpresetutti dopo aver conquistato l’oro: co-minciò infatti a strillare in segno digiubilo il famoso urlo che è uno deisimboli del personaggio nella giungla.

La mamma di Johnny, che aveva originiaustriache, era nota nel quartiere diChicago dove vivevano, per un deliziosostrudel di mele.

Johnny Weissmuller si guadagnavaqualche soldo come ragazzo della re-ception che accompagnava la gentenegli ascensori dell’hotel Plaza di Chi-cago. Ma il suo allenatore Bill Bachrachscoprì che il suo allievo si stancavaparecchio a tenere in piedi cappotti eimpermeabili. E Johnny si licenziò.

Weissmuller non fu solo un nuotatore:a Parigi, nel 1924, fu anche medagliadi bronzo nella pallanuoto.

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Dopo le Olimpiadi, Weissmuller diventa Tarzan

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Adolfo Consolini era il gigante buono,un personaggio mitico dell’atletica ita-liana: prima ci provò con il peso, era

stato notato facendo il lancio della pietranel suo paese a Costermano (Verona),quindi divenne discobolo. Si era fratturatoil polso e sentiva dolore quando provava a

lanciare, così aveva deciso di cambiareattrezzo. Le cifre dicono che per

oltre dieci anniè stato il più bravoal mondo migliorandoil record mondiale intre riprese, più unaquarta a Vanzeghello, nonomologata. E se non cifosse stata di mezzo laseconda guerra mondiale

avrebbe vinto molto di più,

anche se è già parecchio quello che hafatto: quattro Olimpiadi con un oro ed unargento, quattro Europei con tre vittorie, eben 15 campionati italiani. Il titolo di gigante buono nasce da una sua“escursione” nel mondo della lotta. Era inauge il mito di Primo Carnera in quelperiodo e vedere questo gigante pieno diforza aveva smosso l’immaginazione di undirigente del partito fascista, il quale avevaprovato a lanciarlo sulla materassina. Benela prima volta meglio la seconda, quando

stringe il suo malcapitato avversario troppoforte e gli frattura le costole. Adolfo si spa-venta, dice che preferisce l’atletica, nonvuole fare male a nessuno e la sua carrieradi lottatore finisce prima di cominciare.Nasce da quell’episodio il discobolo supervittorioso, il gigante buono che leggerà alleOlimpiadi di Roma il giuramento a nomedegli atleti. Sono i Giochi del suo addio,

non gli servirà neppure la piccolafurberia di Giorgio Oberweger, c.t.della nazionale che si iscrive pure

Consolini, il gigante proletarioicona dello sport popolare

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Adolfo Consolini, il discobolo d’oro di Londra 1948

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lui nel disco per star vicino al campione. Forza e velocità sono quelle che sono, gliamericani hanno rivoluzionato tutto edAdolfo non riesce a qualificarsi per lafinale, ma a 43 anni può succedere. Havestito le maglie di tre società gloriose estoriche, la Bentegodi Verona, la Pro Patriae la Pirelli Milano. Una curiosità, Adolfo èanche riuscito a rompere in due un tavolo.È accaduto nel 1954 ad un raduno di lan-ciatori a Roma, dove ritrovandosi con Sil-vano Meconi, grande pesista fiorentinopoi primatista europeo, mise in piedi unasfida a braccio di ferro. Tanta la forza e laspinta dei due che il tavolo sotto pressionecedette di schianto. Per fortuna nessunosi fece male e la Fidal tramite l’allora con-sigliere Pasquale Stassano, ripagò il tavoloal proprietario dell’albergo.

Perché abbiamo inserito Adolfo Consoliniin questo capitolo? Perché la sua impresa,insieme a quella di Tosi, l’altro discoboloazzurro che si aggiudicò il terzo posto aiGiochi di Londra, fu talmente travolgenteche rappresentò l’immagine dell’Italia pro-letaria, semplice e schietta che voleva ri-costruire il Paese. Immagine che venneadottata dalla nascente Uisp-Unione Ita-liana Sport Popolare (oggi, Per tutti) cheadottò il discobolo come suo simbolo.

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Adolfo Consoliniè stato anche attore:recitò nel film "Cronache di poveri amanti" con Marcello Mastroianniper la regia di Carlo Lizzani

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Pietro Mennea vinse la medaglia d’oroalle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Unanno prima, aveva stabilito il record

del mondo del 200 metri, a Città del Mes-sico, in 19 secondi e 72 centesimi. Nellasua carriera agonistica, collezionò cinquepartecipazioni olimpiche, quattro finali in-dividuali, 528 gare. Era nato a Barletta,dove agli inizi aveva sfidato pure le auto inun alcune corse notturne clandestine, mail suo nome è legato anche a Formia,

dove si stabilì per allenarsi con il suotecnico Carlo Vittori. È qui che costruì lasua carriera, come amava dire, “allenandomipure i giorni di Natale e di Pasqua”. Ungiorno fecero vedere a uno dei suoi grandiavversari le tabelle di allenamento che se-guiva Mennea. E lui, lo statunitense SteveWilliams, le commentò così: “E chi hafatto tutto questo non è ancora morto?”E poi? Poi smise, all’età di 36 anni, dopole Olimpiadi di Seul, nel 1988. E fece

Mennea, l’olimpionico innamorato dei libri

La Federazione Italianadi Atletica Leggeraricorda Pietro Menneaogni 12 settembre, giorno del suoprimato del mondo, con il Mennea Day:una serie di garesui 200 metri organizzatein tutta Italia

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Pietro Mennea diventò campioneolimpico sui 200 metri con 20’’19

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tante altre cose: le lauree sostituirono lemedaglie, ne prese addirittura quattro:Scienze Politiche, Lettere, Giurisprudenzae il diploma Isef (oggi Scienze Motorie).La passione per i libri e per lo studio ac-compagnò la sua vita, prima e dopo aversmesso: al posto della pista c’era il tavolo,la biblioteca sostituì la palestra. Una dellefoto più belle è quella che lo ritrae proprioin mezzo ai libri, collezionati con cura ma-niacale: s’arrabbiava come se avesse persouna gara per un volume prestato e nonrestituito. Negli ultimi tempi, prima di morireil 21 marzo del 2013, la sua grandepassione era la filosofia greca. Mennea fu avvocato, ma nel suo dopoatletica, ci furono molte altre cose: dalcalcio (direttore generale della Salernitanaalla fine degli anni ’90) al Parlamento Eu-ropeo (fu eletto con la Lista Di Pietro) pas-sando per la Fondazione Mennea, ancoraoggi impegnata nel campo della solidarietà.Agli inizi della sua carriera, quando ancoranon era atleta a tempo pieno, aveva ancheinsegnato educazione fisica. Il suo mottoera: “La fatica non è mai sprecata, soffrima sogni”.

A Pietro Mennea è intitolato lo stadio dei Marmi di Roma

Pietro Mennea è anche il nome diun treno: il “Freccia Rossa PietroMennea”.

Ogni anno, allo stadio delle Terme diCaracalla, la moglie Manuela, con ilparroco amico di Mennea, organizza le“Menneadi”, delle gare di atletica chericordano il grande campione pugliese.

Nel marzo del 2015, la Rai ha dedicatoa Pietro Mennea una fiction in primaserata, la Freccia del Sud, in cui ilcampione è interpretato da MicheleRiondino.

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Mennea si è allenato per quasi tutta la vita a Formia

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Il professor Franco Menichelli

Dopo la consacrazione definitiva ai Gio-chi olimpici di Tokyo del 1964, e ilbrutto incidente al tendine d'Achille

ai Giochi di Città del Messico nel 1968, ilginnasta romano torna nella sua Romaormai da ex. Deve pensare al futuro,perché le medaglie olimpiche non garan-tiscono una rendita vitalizia. Inizia a colla-borare con la Federginnastica come tec-nico, prima della squadra giovanile poidell'assoluta: un rapporto decennale dol-ce-amaro. E allora il “maestro” della gin-nastica, nel frattempo laureatosi all'Isef

dopo aver preso un diploma da geometra,diventa professore di educazione fisicainiziando a lavorare nella scuola. L’IstitutoTecnico Aeronautico De Pinedo di Romadiventa la seconda casa dell’olimpionico:fa crescere sportivamente tanti giovani eriesce anche a far crescere le strutturedell'Istituto con le sue battaglie. Una voltaandato in pensione comincia una nuovavita nel mondo della riabilitazione funzionalee correttiva, ma da amatore perché illavoro principale della sua vita è quellodel nonno.

Dopo l’oro di Tokio, Franco Menichelli si infortunò gravemente alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968