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D D ONNALUCATA E POZZALLO, LE ALTRE REALTÀ DELLA NOSTRA MARINERIA. DOVE LA PICCOLA PESCA FA I CONTI CON LA CRISI ATTUALE RAPPORTO SULLA PESCA IBLEA C’ERA UNA VOLTA IL MARE GRANDE 2 FASCICOLO CON IL PATROCINIO DELL’ASSESSORATO REGIONALE ALLE RISORSE AGRICOLE E ALLA PESCA INSERTO AL N. 11 DEL 9 NOVEMBRE 2012

Dossier Pesca fascicolo 2

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Dossier Pesca fascicolo 2

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Page 1: Dossier Pesca fascicolo 2

DDONNALUCATA E POZZALLO,LE ALTRE REALTÀ DELLA

NOSTRA MARINERIA. DOVE LA PICCOLA PESCA

FA I CONTI CON LA CRISI ATTUALE

RAPPORTO

SULLA

PESCA

IBLEA

C’ERA UNA VOLTA

IL MAREGRANDE

2FASCICOLO

CON IL PATROCINIO DELL’ASSESSORATO 

REGIONALE ALLE RISORSE AGRICOLE

E ALLA PESCA

INSERTO AL N. 11 DEL 9 NOVEMBRE 2012

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LA BELLA VITADEI PESCATORI?UN’ILLUSIONEDELL’ESTATE

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

MARINAID’ANTAN

diSeverino Santiapichi

PAGINA 2

ERA IERI

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io fratello Nenè era vrazzu i mari, sperto, anzi, sper-tissimu, mai con le mani in mano. Così, d’estate, ap-pena - dal terrazzo della nostra casa di campagnacostruita (questo era sicuro, per via della scritta sottol’occhio di bue del salone) nel 1789 su progetto, dice-vano, di un architetto portato in dote da una Dandolo- le vele latine, rosse della tinta ricavata dalla cortecciadi pino, delle paranze doppiavano la punta del Corvo,lui, undicenne, si precipitava verso lo scaro di Donna-lucata: correva sulle pietre della Scala Marina, conti-nuava a farlo pure con la sabbia sciuurnata da sciroccoe giungeva primo fra tutti quelli accorsi per dare unamano di aiuto a tirare in secco le barche. Tornava conin mano due tre pietanze di pesce rinfrescate da man-ciate di posidonia contenute in uno scampolo di rete.Era, per lo più, fragaglia, pesce di terza, dunque, maz-zuna, pantili, ficuzzi, e, addirittura, merluzzetti, cheerano propriamente pesci di seconda. Talvolta, in so-vrappiù, gamberi a volontà - e il gambe-ro, in quel tempo, era poco più di unadisgrazia di Dio, una merce svenduta aprezzo vile. Nenè batteva sul tempo addirittura i Ca-vallari, i fratelli Giuca, che il pesce, giàcompromesso, lo sballottolavano su ca-lessi lanciati in una corsa forsennata perbattere, dicevano, la concorrenza, nonricordo di chi, forse, solo un modo di ru-bare tempo al deperimento della mercee scannare i cavalli. Vivevano di corsa,annusavano il vento e, per questo, percoglierlo più fresco, salivano sulla roc-cia del Castellaccio e, subito dopo, par-tivano per Donnalucata o Sampieri,approdi da venti diversi. Non era menorapido il banditore che, nonostante lazoppania (Titta Xiumè raccontava che ilprimo intervento ricostruttore effettuatocon successo dal prof. Arezzo aveva sal-vato appunto da morte quell’uomo), appena avvertiva,sulla punta e baddi, il frastuono dei calessi, si portavale mani ad imbuto davanti la bocca e gridava “u mariora ora arrivau!”.Le paranze andavano a due a due, come i carabinieri.Per la verità, erano due in una e le due mezze avevanoil nome in comune. A Donnalucata, le paranze eranocinque: la Calcinara, la Cavalera, la Ripustisi, la Ma-ravigghia e la Vitturisa, ciascuna barca con cinque uo-mini di equipaggio, una vela latina, un fiocco e, dinorma, due remi in aiuto. Tutte costruite a Riposto e,ovviamente, arrivate mare mare. La Calcinara aveva nome dalla calce impiegata per loscafo ed era, perciò, allattata anno per anno come fos-se un muro di casa: un vezzo degli armatori, i fratelliBuscema. Era leggenda il buon verso della loro madreche non ammetteva tempo perso da vacanza e, per que-sto, dicevano, con il mare a bonaccia, nella previstaimpossibilità di sciuta della paranza, lei, a sera, met-teva a mollo gli sbaragli, le zappe da vigna, una perogni figlio, e, via, non più, come per l’ultima cala con

lo spuntare delle triali di Orione, ma con il tremoliodella stella dell’alba, per tummare i tralci o scavare adArizza o a Pezza Filippa le viti ad alberello. Questa paranza era un mito, una leggenda da Ripostoa Licata, bastava una bava di vento e si avviava, mancola impauriva il Levante, era sempre per mare: ragazzi,ce l’additavamo, prima fra tutte all’uscita e al ritorno,in questo secondo caso, spesso storta, una stortura dasovraccarico.A mari ri fora pescava fagiani, raie, palombi, squadri,a volte, di grande misura, merluzzi, a mezz’acqua,merluzzetti, e, a mari ri terra, la fortuna le dava unaspinta per insaccare crivelli, ombrine anche da taglio(Bruno Buscema, tanto versatile da trasformarsi da ar-dimentoso pescatore in irreprensibile funzionario dibanca, li ricorda ancora i crivelli innumeri pescati sottoil Dirillo) .Per la passa di sarde o di acciughe, Donnalucata aveva

le sardare, negli scuri di luna, sciabolenere sul mare. Avevano nomi di caseregnanti, i Savoia, ad esempio, o diuccelli instancabili, come i colombi epartivano sull’imbrunire: guardati dal-la Papazza o dalla Palazzola, sembra-vano piccoli solchi neri sull’onda. Atratta, o a cianciuolu, raccoglievanopeschiere frementi di pesce azzurro.Le circondavano appena la lampara lemetteva in luce, forse, anche le attira-va. Tornavano cariche, ciascuna seisette quintali di pesce, giunti allo sca-ro, i marinai lo sciacquavano e lo rac-coglievano con gli spasuni che eranocanestri svasati: sul bagnasciuga, i Sa-laturi, per lo più forestieri, tiravanosempre sul prezzo e i pescatori cede-vano: era anche accaduto un par divolte: i pescatori incazzati per il prez-zo troppo basso avevano dato mano

ai remi e si erano spinti sino a Scoglitti, quasi semprerimettendoci la fatica ulteriore. C’erano, s’intende, anche allora i varcuzzi che poteva-no contare sulle triglie di scoglio, le aragoste, le tre-mole, gli scorfani, nella stagione adatta, le seppie, unainfinità, una marea grumosa di grappoli di uova e, piùal largo, lo spada pescato con il conzo e le ricciole e icaponi - ma anche i peluselli affioranti - a riposo nellafrescura delle cannizzate.E chi. dotatosi di vota vota o rizzagghiu, pescava dariva e chi, nel buio, allucinava polipi o, appiattiti sulfondo sabbioso, linguate. Quella del pescatore sembrava, dunque, una vita al si-curo da malannate per mancanza d’acqua o ruggine delgrano o malattie di viti o di pomodoro ma era solo unaillusione. Perché, in realtà, quel poco di “lustru ri luna”che li illuminava era scampolo di mesate estive contutti quei villeggianti che il pesce dovevano comprarloquanto meno per fare buona figura. E doveva essere,per giusta regola, pesce di carne bianca, non quindi pe-sce non pregiato di suma.

LA CALCINARA

ERA UNA PARANZA DIVENUTA

UN MITO DARIPOSTO A 

LICATA. BASTAVA

UNA BAVA DIVENTO E SIAVVIAVA

M

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UN’EPOCA CHE SEMBRAVAD’ORO MA CHE ERA FATICAE PENA. E IL GAMBERO ERA UNA DISGRAZIA DI DIO

Per la passa disarde o diacciughe,c’erano lesardare,negli scuridi luna,sciabolenere sulmareAvevanonomi di case regnanti odi uccelliinstancabili,come i colombi, epartivanoal tramonto:sembravanopiccoli solchi nerisull’onda

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PICCOLI, POCHIE POVERIIN GUERRACONTRO I RAID

DDONNALUCATA

PAGINA 4

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

MARINERIASTORICA

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erdere il porto è come perdere casa. I pescatori di Don-nalucata si ritrovano ogni giorno sul molo e guardanoil canale vuoto di barche con lo sguardo di chi sta vi-vendo un dramma. La presenza di una barchetta di tremetri ormeggiata su 25 centimetri di acqua, la sola intutto il porticciolo, è il segno di una stagione mai cosìdifficile. Alcune imbarcazioni spiaggiate sembrano re-perti di un triste museo del mare. Ad animare la marina è rimasto lo stand della coope-rativa Santa Lucia dove i pescatori si trasformano, perantica consuetudine, in rivenditori al dettaglio. I soliin tutta la provincia a vendere direttamente al consu-matore. Oggi sono anche trasportatori e pendolari. Ca-ricano in macchina il pesce che sbarcano al porto diMarina di Ragusa, lasciano le barche ancorate e torna-no a Donnalucata. Sono pochi chilometri. Non è ne-anche una gran fatica, ma da quasi tre anni i pescatoridonnalucatesi fanno un’altra vita. L’andirivieni in macchina ha sconvoltoi loro cicli e i loro ritmi. Li ha costrettia vedere la pesca in un rapporto non piùdiretto ma mediato da un elemento nuo-vo ed estraneo, non simbiotico. L’inuti-lizzabilità del porto li ha privati di unbene naturale, della certezza di esserepescatori e di essere di Donnalucata. Unsenso di estraneità, di spaesamento, diinidentità si è impadronito allora di uo-mini che da padre in figlio si sono tra-smessi un complesso di valori legati almare e alla pesca entro il quale il porto-rifugio è sempre stato, ancor prima dellapropria “Provvidenza”, il capitale comu-ne, un patrimonio soprattutto immate-riale, fatto di sentimenti, di vocazioni, di senso diriconoscimento e di appartenenza a un mondo piccoloma immortale che comincia e finisce attorno al porto.Guardarne le acque stagnanti e i fondali bassissimi, ri-colmi di alghe, del colore della putrefazione, è fontein chi le ricorda azzurrissime, un manto trapuntato dal-le barche di cento colori, di dolore e lutto. I vecchi pe-scatori in pensione guardano i giovani come a chiederea loro spiegazione di cosa hanno fatto del porto. Riaverlo vuol dire ripristinare la normalità, tornare acasa, reimpossessarsi insomma del proprio mondo. Laseparazione che ha allontanato come atomi repulsivi ipescatori dalle loro barche e le barche dal loro standsulla marina sta determinando l’insorgenza di una ma-lattia collettiva e sconosciuta, una forma di malinconiache intride depressione e che influisce sull’intera atti-vità. Cala il pescato, diminuiscono le “uscite in mare”,si riduce l’offerta di pesce e si dimezzano i compratori.Non c’è dunque che una cura per uscire sani da questaspirale nociva: riavere il porto. Solo allora le cose po-tranno forse cambiare e la crisi attuale essere vista conocchi meno spenti e spaventati. Succederà prima dell’estate, a stare alle previsioni, e ipescatori non vedono il giorno che arrivi. La Provinciaha finanziato un intervento di messa in sicurezza cheprevede il dragaggio continuo del porto. La sabbia sarà

rimossa dai fondali e le alghe fermate all’ingresso delcanale. Il male endemico del porto è infatti il suo insabbia-mento. Una questione pluridecennale nata dopo la po-sa del braccio di ponente che dirotta le correnti dimaestrale facendole scorrere fino all’insenatura por-tando una sabbia - e con la sabbia le alghe - che a po-nente è leggerissima e quindi facilmente sollevabile, adifferenza di quella di levante, molto compatta e soli-da. Per risolvere il problema il Genio civile opere ma-rittime ha pensato a un secondo braccio da costruirespecularmente al primo così da restringere l’insenatu-ra, ma l’idea si è fermata anche di fronte all’impattoche ne sarebbe derivato. I pescatori vedono il frangiflutti positivamente. Cono-scono il loro mare e sanno che le correnti di mezzo-giorno impedirebbero che detriti, sabbia e alghe

entrino attraverso la bocca del nuovoporto a tre moli. Che forse sono peròtroppi per un porticciolo così piccolo.Cosicché la soluzione della dragamobile è vista oggi con favore perchéimminente e perché efficace. L’inter-vento piace anche al club di diportistiche si sono insediati a ridosso del ca-nale del quale usufruiscono alla stes-sa stregua. Ma condividere la casamillenaria con gli ultimi arrivati, cheanziché lavorare per mangiare si di-vertono anche a pescare, non è maistata una gioia per i pescatori. Nonpossono però farci niente dal mo-mento che i numeri sono quasi allapari, giacché i pescatori diminuisco-

no e i diportisti invece aumentano.Oggi la cooperativa Santa Lucia conta meno di diecisoci. Un paio di pescatori sono indipendenti e tre for-mano una seconda cooperativa, la San Giuseppe. Laflotta peschereccia di Donnalucata è tutta qui. Nel1990 la Santa Lucia raccoglieva 45 pescatori e fino asoli dieci anni fa l’attività di pesca era molto fiorentee redditizia. Via via i pescatori hanno demolito le bar-che e restituito le licenze, guadagnando dall’Unioneeuropea 13 mila euro a Gt, che è la misura comunitariaintrodotta per calcolare la stazza lorda, la gross tonna-ge. Una somma che è una tentazione per tutti. Una viadi uscita e di sicurezza dalle pene e dai dispiaceri cheil mare oggi dà. Nell’ultimo mese ben cinque pescatorihanno demolito la barca. Non certo a cuor leggero. Maè stato necessario. I costi di gestione sono diventati in-sostenibili anche per la piccola pesca che storicamenteè quella esercitata a Donnalucata. Oltre alla benzina,costosissima, la spesa maggiore sono le reti: cento me-tri costano 250 euro quando ne costavano 50. Inoltreil pescato si è drasticamente ridotto e i guadagni as-sottigliati. Nel mare di Donnalucata è tornata negli ul-timi tempi la corvina, ma non è più quella di un tempo:anziché quindici chili si trovano esemplari solo dimezzo chilo. Per di più alla fine dell’anno scorso sonovenuti meno anche gli sgravi fiscali, non sostituiti da

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IN UN MESECINQUE 

PESCATORIHANNO 

RESTITUITOLA LICENZA.

CON UN SENTIMENTOCERTAMENTE

DI DOLORE

La perditadel portovissutacome undrammacolle ivo.Un sensodi vuotoserpeggiatra i pescatoriche adessoaspe anoil ripristinodello scalo promessoentrol’estate.Sarà ilnuovopasso verso lanormalità

PPESCHERECCI FORESTIERICHE PRATICANO LA PESCA ASTRASCICO SOTTO COSTA ELE PROTESTE NEL VUOTO

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alcuna altra forma di agevolazione,mentre il fermo biologico ha reso an-cora più difficile rimanere in attività.Abbandonare è perciò il verbo che vadiffondendosi come un virus contagio-sissimo. Sicché la flotta è diventataflottiglia, composta da imbarcazionimassimo di sette metri che non possonosuperare i cinque miglia. Sono tutte ancorate a Marina di Ragusa,nel porto turistico, ospitate gratuitamen-te. Ogni notte i pescatori donnalucatesisi mettono in macchina come fanno icontadini e raggiungono Marina. Que-sto mutamento è stato anche di carabi-nieri e finanza che per esercitare icontrolli di legge sulla pesca istituiscono posti di bloc-co sulla Marina-Donnalucata: un handicap in più ra-gionando nella logica dei pescatori.I controlli richiesti dalla marineria donnalucatese, so-prattutto alla Guardia costiera, riguardano quello cheritengono il problema principale: le incursioni dei pe-scherecci di altre marinerie. Praticando la pesca sottocosta, i pescatori sciclitani si trovano svantaggiati nelconfronto con i grossi motopesca forestieri se questifanno due cose: pescare anch’essi sotto costa ed eser-citare lo strascico, che è permesso soltanto oltre le tremiglia. È una partita impari. I piccoli pescatori calano le retida posta o i palangari se cacciano il pescespada, o an-cora la “cannizzata” se vanno a lampughe. E praticanouna pesca da fermo, rivolta a specie di qualità qualiorate, seppie, dentici, che altrove scarseggiano e cheattirano perciò i grandi motopesca. I quali gettano lereti e trascinano via tutto, soprattutto le uova, depau-perando così il mare. Vengono da Palermo, da Licata,da Catania. E anche da Scoglitti, secondo i donnalu-

catesi. Che non sanno come fare perdifendere il loro mare. Sono pochi esono piccoli. Del periodo di pesca delnovellame è ancora vivo in tutti il ri-cordo dei raid dei motopesca palermi-tani che del tutto indisturbati fecerorazzia riempiendo le stive. I pescatoridonnalucatesi rimasero inermi a guar-dare. A dare loro manforte in questa guerradi autotutela è intervenuta anche Le-gambiente che proprio a Donnalucataha istituito un centro di educazioneambientale insegnando soprattutto al-le scolaresche sciclitane cos’è e quan-to vale il loro mare. Antonino Duchi

e Claudio Conti sono diventati i principali referenti deipescatori che chiamano loro quando avvistano un mo-topesca incursore sotto costa. E loro avvertono laGuardia costiera di Pozzallo, che però può fare ben po-co. Problemi di coordinamento ma anche di rifornimentodelle motovedette impediscono concreti interventi, chedopotutto dovrebbero essere pressoché quotidiani. Masarebbero inutili. I pescatori scoglittesi hanno scopertoche i motopesca forestieri lasciano il mare appena unavedetta lascia il porto di Pozzallo. Evidentemente qual-cuno, piazzato sul molo della Guardia costiera, li in-forma per tempo. Uno stratagemma che ha scoraggiatoi donnalucatesi.Lino Buscema è uno dei pescatori irriducibili di Don-nalucata, figlio di un pescatore storico, il primo che aDonnalucata nel ‘46 portò una paranza. Molte volteegli stesso si è rivolto, a nome della cooperativa SantaLucia, alla capitaneria di porto perché mettesse fine airaid. Conosce a fondo la pesca e ha prospettato unasoluzione empirica dopo avere osservato bene come

SONO CESSATIGLI SGRAVI FISCALI E

MANCA OGNIFORMA DIAIUTO. LA 

DEMOLIZIONECOME UNICA POSSIBILITÀDI REALIZZO

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SULLA

IBLEAPESCA

I pescatoridel borgosciclitano

sono i solia produrree vendere

al de aglio

in unostand sulla

marina.Ma le loro

barche sono

ancoratea Marina

di Ragusae devono

per ora fare anchei pendolari

e i garzoni

RAPPORTO

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agiscono i pescherecci di fuori: se vannovia appena informati, raccogliendo dun-que le reti, operazione che richiede faticae un tempo non inferiore ai trenta minuti,basterebbe che la vedetta della Capitane-ria, proprio perché avvistata dal “palo”,lasciasse gli ormeggi il tempo di usciredal porto per poi rientrare. Non consu-merebbe benzina e indurrebbe il moto-pesca a ritirare le reti. Se questa manovraviene compiuta anche soltanto due volte,la giornata del motopesca incursore èpersa e probabilmente non ritenterà nuo-ve puntate fuori legge.Ma nelle riunioni tenute in Capitaneriaproposte del genere sono state accolte con scetticismo,ponendosi un problema di coordinamento dei servizie apparendo non certamente in stile. Dopotutto giocarea rimpiattino non sortirebbe che risultati temporanei,perché - scoperto l’inganno - il motopesca forestieronon ne resterebbe più vittima. Che fare allora?«Certo non siamo gente che spara - osserva Buscema- come hanno fatto a Porto Empedocle contro moto-pesca di fuori ottenendo così di avere il loro mare li-bero». Sparare no, ma protestare sì. La flottascoglittese è quella più sospettata. «Ma non abbiamocertezze in questo senso - dice Duchi. - Possono venireanche da altrove, da Catania per esempio. Certo è chepraticano tutti la pesca a strascico sotto costa, che èvietatissimo». Le proteste sono state rappresentate an-che in riunioni congiunte tra le marinerie della provin-cia o in occasione di conferenze di servizio promossedalla Provincia. In una di queste volte, facendo il puntosulla pesca iblea, il rappresentante della marineria sco-glittese ebbe a dire che l’attività era cresciuta del 700per cento. La cosa sorprese non poco i pescatori don-nalucatesi la cui tendenza era decisamente decrescente.

Quando proprio a Donnalucata furo-no poi tenute le prove per il rilasciodelle autorizzazioni all’esercizio del-la pesca, i donnalucatesi videro chein attesa tra i colleghi di Scoglittic’erano molte donne e capirono per-ciò che l’incremento degli operatoriera dovuto al coinvolgimento nellapesca anche delle donne di famigliasecondo un costume per il quale aScoglitti è l’intero nucleo domesticoa cooperare e a organizzare la pro-pria attività. Ma, anche volendo reclutare mogli efiglie, i pescatori di Donnalucata non

dispongono delle imbarcazioni che operano a Scoglitti.L’equipaggio è ridotto massimo a due persone, perlo-più parenti, perché il governo delle barche non implicache poche risorse. Anche nelle prime settimane di pri-mavera, quando la pesca della seppia richiede il mag-giore sforzo e consente però i maggiori profitti, ipescatori donnalucatesi operano a ranghi minimi esempre sotto costa. Calano le reti e aspettano. Graziea un mare generosissimo e molto diverso da quelloscoglittese, tirano su saraghi, sogliole, spigole che co-stituiscono il pesce più pregiato. Tra marzo e aprile,quando si pesca abbondantemente la seppia, la venditaè assicurata soprattutto ai commercianti catanesi. Peril resto, esclusi alcuni giri di ristorazione locale, il pe-sce di Donnalucata viene venduto a Donnalucata daglistessi pescatori. La loro cooperativa è una delle pocheche resiste allo spirito antiassociativo proprio dellemarinerie iblee. Ma oggi il problema vero è resisterealla crisi. Vedere il porticciolo deserto e lo stand senzapiù il vociare dei compratori in frenetico non aiuta nes-suno a progettare rilanci né a sentirsi invogliati a con-tinuare.

I PESCATORIDEL POSTO

HANNO PICCOLE 

BARCHE, PERCUI OPERANO

IN DUE. LEDONNE 

RIMANGONOA CASA

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La piccolapesca è lasola esercitatadalla marineriae si svolgeso o costa. Ilmare èmolto generosoed è perquesto cheè meta dimotopescache vengonoanche daPalermo. Isospe atisono gliscogli esi

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PAGINA 8

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

LA NUOVAMARINERIA

LA FLOTTIGLA MODERNA CHECONFEZIONAIL PESCE A BORDO

POZZALLO

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ozzallo vive sul mare e in gran parte del mare. È statocalcolato che circa 9 mila pozzallesi sono ufficialisparsi nel mondo su navi mercantili e da crociera. Lavocazione del mare è innata in una popolazione che alsuo porto guarda come a una risorsa primaria. Una vo-cazione che negli ultimi anni si è riconvertita drasti-camente passando dalla pesca all’imbarco. Suipescherecci sono infatti rimasti in pochi, anzi pochis-simi: cinque comandanti appena e una dozzina di ma-rinai. Il resto sono extracomunitari, ma vanno calando.La pesca non ha più appeal. Sui motopesca d’alturaancorati al porto grande non si vedono più i giovani,contrari a stare settimane intere a mare per un guada-gno che non è più quello di una volta. Contrari sonodiventati anche gli immigrati. La dismissione incenti-vata dalla Comunità europea ha poi ridotto ancora dipiù la flotta.I motopesca di maggiore stazza, tra i venti e i trentametri, con una potenza di oltre 200 cavalli, sono solosei e si chiamano “Vincenzo Moscuz-za”, “Oceania”, “Natalino”, “Dario”,“Anadro” e “Lady Miriam” che è il piùgrande. Tre di essi sono proprietà del-l’armatore siracusano Vincenzo Mo-scuzza che ha voluto dare il proprionome all’ultimo di sua costruzione, ap-pena otto anni di vita, il più pulito e ino-dore peschereccio mai visto, con quattrouomini di equipaggio, uno dei quali tu-nisino e due baresi, compreso il coman-dante. Il tunisino si chiama Franco ed èl’addetto alla cucina. È considerato allapari degli altri, tanto che l’eccedenza deicontributi statali a suo carico è divisa inquota parte tra gli altri tre. Gli immigratiimbarcati sono tenuti a versare circa 700euro a testa mentre gli italiani da 190 euro se sposati a250 se celibi. Ma non è un atto di generosità quello dei connazionaliquanto la condizione imposta dagli immigrati per fareparte dell’equipaggio. Né potrebbe essere diversamen-te dal momento che la spartizione dei guadagni è rigo-rosamente “alla parte”, cioè in parti uguali. La venditadel pescato viene infatti divisa al cinquanta per centotra armatore ed equipaggio che a sua volta, senza di-stinzioni di grado, divide al suo interno la propria me-tà. Non essendo nessuno dipendente della societàarmatrice, i contributi sono a carico di ogni membrodell’equipaggio. Il rischio d’impresa pesa dunque siasull’imprenditore che sui lavoratori. Tant’è che la di-visione “alla parte” avviene una volta sottratte le spese.Che incidono in massima parte per la voce gasolio. Ilsuo uso e il suo consumo hanno stravolto la pesca poz-zallese. Il “Vincenzo Moscuzza” è alimentato da un motore di220 cavalli e per una “uscita” di 25 giorni consumacirca 30 mila litri di gasolio, il che significa che primadi lasciare il molo ha già speso 25 mila euro, dal mo-mento che un litro di gasolio costa oggi 82 centesimi.

Ogni peschereccio di questa grandezza parte dunquedovendo ogni volta recuperare una perdita. Che dimez-za letteralmente i guadagni finali, visto che il ricavatomedio mensile è di circa cinquantamila euro. Tolte lealtre spese, fra cui il vitto, l’equipaggio si distribuiscemeno di 9 mila euro. Quando va bene. Se è formato dapiù di quattro persone, il guadagno individuale si ri-duce ancora di più, a volte a meno di mille euro.Non è stato sempre così. Anzi. Fino al 2003 ogni ma-rinaio imbarcato portava a casa una media di cinque-seimila euro al mese. Ma a quel tempo il gasoliocostava tra i trenta e i quaranta centesimi. Ancora mag-giori erano i guadagni individuali all’epoca in cui erain vigore la lira, quando l’esercizio della pesca su unmotopesca era visto a Pozzallo come un lavoro privi-legiato. Oggi la corsa è all’imbarco sui mercantili così da poterdire addio alla pesca, un’attività che ha conservato unacaratteristica avvertita negli attuali tempi grami come

non più accettabile: la fatica che ri-chiede e le condizioni di poca igiene,ristrettezza, promiscuità e disagio cheimpone, a differenza delle comoditàofferte dalle navi da crociera e daglistessi mercantili. Chi resta nella pe-sca lo fa dunque perché costretto maanche per la passione che rode e ani-ma da sempre la marineria pozzalle-se.È la stessa passione nutrita dai pesca-tori chiamati “a giornata”, che stannoin mare la notte e rientrano di giornoe il cui numero di iscritti alla Cameradi commercio è cresciuto in formida-bile controtendenza rispetto alle altremarinerie iblee. Hanno barche più

piccole, autorizzate a pescare entro le tre miglia - o lesei, le dodici e le venti, secondo la stazza e la licenza-, e consumano quindi meno gasolio perché non fanno“navigazione”. L’equipaggio è anch’esso dimezzato ela spartizione è più conveniente. Ma i guadagni dellavendita sono naturalmente inferiori. Lo è anche il pe-scato. Una motobarca che rientra segnala stive pienein proporzione all’anticipo: meno pesca e prima torna,perché ha impiegato minor tempo a ritirare le reti. Daanni i rientri sono sempre più corti.La concorrenza che fanno ai motopesca fino alle 40miglia e a quelli in possesso della “Mediterranea” ( lalicenza che consente di pescare ovunque senza limitidi navigazione e che solo il “Natalino” e la “Oceania”vantano a Pozzallo) è nella qualità del pescato che èsempre freschissimo, mentre il pesce dei peschereccid’altura arriva in porto congelato anche da settimane.Ma arriva pronto per essere rivenduto: chiuso in bustesigillate e nelle vaschette stampigliate con le indica-zioni della società produttrice e delle caratteristichedel prodotto. Un lavoro che si fa a bordo del pesche-reccio e che conferisce al pescato un valore compen-sativo della freschezza di quello “a giornata”.

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PUNA CITTADINA DI MARINAI EPESCATORI CON LA PASSIONEINNATA PER LA PESCA. CHECOMPETE CON I PORTI SICILIANI

SEI I MOTOPESCADEL PORTO

GRANDE. TRESONO DI UN

SOLO ARMATORE

CHE È SIRACUSANO.UNA DOZZINA

APPENA GLIADDETTI

Fino al2003 ognimarinaioportava acasa unamedia dicinque‐seimilaeuro almese. Maa queltempo ilgasoliocostavatra i trenta e iquarantacentesimi.Ancoramaggiorii guada‐gni altempodella lira

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RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

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Per consegnare anch’essi pesce frescoi grandi pescherecci dovrebbero rien-trare più spesso, cosa che se era possi-bile fino a dieci anni fa oggi èimpensabile per via dell’alto costo delgasolio, il contenimento del cui consu-mo costituisce la prima preoccupazio-ne di ogni comandante. Se una volta la navigazione alla ricercadi acque più pescose era solo una que-stione che incideva sul tempo che oc-correva nell’economia di una “uscita”,oggi ogni miglio in più significa spre-co se non viene tesaurizzato con unbuon pescato. La necessità di rispar-miare carburante influenza anche ilmetodo di pesca e lo stesso risultato. Non solo lo stra-scico non viene più praticato spingendo i motori inlunghe profondità di mare, ma la battuta di pesca vieneprogrammata alla partenza con un rigore inimmagina-bile nel decennio scorso. Ogni comandante, in base al-le istruzioni ricevute dall’armatore (che decide dopoaver consultato i propri rigattieri, i quali a loro voltahanno sentito “le centrali d’acquisto” circa il tipo dipesce che ha un prezzo migliore in quel momento), sidirige verso la zona di mare dove è sicuro di poter tro-vare la specie ittica richiesta dai mercati. E non devesbagliare. Se l’armatore gli richiede merluzzo, perché è il mer-luzzo che manca, il comandante deve portargli la stivapiena di merluzzo, così da realizzare un maggiore pro-fitto sia l’uno che gli altri. Può però capitare che, difronte a un invenduto di merluzzo, l’armatore ordiniper esempio gambero rosso o bianco, se è il secondogenere che il mercato richiede, sicché la pesca deveconcentrarsi su questa specie. Questo stile di pescacomporta però, sempre a causa del caro-gasolio, unagrave conseguenza, legata alle quote imposte dal-l’Unione europea. Giacché le quote vengono assegnate

e ritirate in base al fatturato, a fine an-no si possono anche perdere se il fat-turato di una imbarcazione nonraggiunge il pescato minimo per man-tenerla, in ordine a ogni tipologia dipesce. La scelta dinque di andare a pesca diuna specie anziché di un’altra dipendesì dal mercato e dalle scorte invendutema anche dall’esigenza di mantenerela quota, sicché a volte - con l’occhiosempre puntato sulle spie dei serbatoi- ogni comandante è costretto ad anda-re a pesca di specie diverse che sianoperò raggiungibili in aree di mare pos-sibilmente vicine. Questa necessità ne

postula un’altra: non essendo il Mare Mediterraneo,entro le quaranta miglia, pescoso come un tempo, latentazione di spingersi sempre più al largo è altissimaperché più lontano si va e più pesce si trova visto chepochi rischiano carburante allontanandosi. Bisognadunque essere sicuri di cosa fare e dove andare. Non èfacile e non sempre riesce. I comandanti e i capitaniche conoscono il Mediterraneo sono perciò sempre piùpreziosi ai fini della pesca. Da loro dipende infattil’esito di ogni “uscita”. Dovendo rischiare sempre più e aumentare nel con-tempo la produzione, selezionandola in base al merca-to, i pescherecci pozzallesi hanno dovuto accettarenuovi rischi, come quello di prendere il largo anche incondizioni meteorologiche che una volta erano consi-derate un impedimento oggettivo. Uno dei più esperticomandanti pozzallesi, Luciano Gambuzza, che lavora“a giornata”, non guarda più nemmeno com’è il tem-po. Produrre è diventato per lui un imperativo indero-gabile per assicurarsi un guadagno. E quando piove oil mare è grosso “uscire” può significare pescare di piùperché si è di meno a mare. Cioè, nella maggioranzadei casi, sotto costa.

Se unavolta la

ricerca diacque più

pescoseera solo

una questionerelativa al

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oggi ognimiglio in

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un buonpescato

IL MOTOPESCAVA A CACCIADELLA SPECIE

RICHIESTADAL 

MERCATO EINDICATA

DALLOARMATORE

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La filierache agiscea Pozzalloè la stessadel modellogeneralesiciliano,segno chela marineriapozzalleseè quellapiù avanzata emodernadella provinciadi Ragusa.Per questaragionemanca unmercatoi ico locale

L’alternativa infatti che vedono moltipescherecci - sempre per risparmiaregasolio - è quella di stare quanto piùvicini alla costa, anche dentro le tre mi-glia, entro le quali però la pesca a stra-scico, che è quella esercitata propriodai grandi pescherecci, è vietata per viadella tutela soprattutto delle uova e delciclo riproduttivo che avviene a ridos-so delle coste per qualsiasi tipo di pe-sce azzurro. Senonché sotto costaoperano già le piccole motobarche,quelle “a giornata”, che praticano lapesca a posa e che non possono certogradire di dovere competere con i te-mibili pescherecci. Sia le motobarche che i motopesca vendono il pescatoai rigattieri pozzallesi con i quali tratta l’armatore, chepuò essere anche il proprietario dell’imbarcazione. Ilrigattiere rivende alle “centrali d’acquisto” che a voltesono costituite dalla grande distribuzione. Questa fi-liera è quella tipica delle grandi marinerie siciliane, daMazara a Portopalo, segno che l’attività di pesca poz-zallese è più vicina al modello generale che non a quel-lo particolare ibleo, caratterizzato - come a Scoglitti ea Donnalucata - dalla presenza di mercati ittici localie da un regime di rivendita a raggio cortissimo. A Poz-zallo non c’è un mercato interno perché il pescato èdestinato alla filiera. Può dunque succedere non soloche lo stesso pesce della “Vincenzo Moscuzza” finiscanei mercati esteri, quando viceversa dall’estero arrivanei market di Pozzallo e della provincia pesce stranie-ro, ma che il pesce pozzallese raggiunga il primo ban-cone di surgelati fuori dal porto a un prezzo più chetriplicato. Ma quello che sembra un paradosso è la lo-gica che regola la grande distribuzione in tutto il mon-do. Pozzallo, unica marineria moderna etecnologizzata della provincia, ne fa parte a pieno ti-tolo.

I sei pescherecci del porto grande nonhanno nulla da invidiare a quelli dellealtre flotte siciliane. Nemmeno in fattodi ardimento. Ma il caro-gasolio hafatto più del blue-box, il dispostivo dilegge di cui ogni peschereccio deveessere dotato perché le capitanerie daBari in giù possano controllarne nonsolo la posizione ma anche la condi-zione quanto a sicurezza e integrità. Incaso di sconfinamento in acque nazio-nali straniere o di superamento dei li-miti imposti dalla licenza, il blue-boxregistra automaticamente la posizionee fa scattare la contravvenzione. Ma èsuccesso che una multa sia valsa un

buon pescato quanto il rischio di finire sotto sequestroin Libia. Il prezzo del gasolio ha invece scoraggiato leincursioni e le violazioni suggerendo una nuova disci-plina dettata più dai conti a tavolino. Essendo il comandante capo supremo e assoluto del-l’equipaggio, potendo licenziare e assumere senzal’autorizzazione dell’armatore, che è del tutto estraneoalle relazioni di bordo, è lui che risponde della propriaattività agli occhi dell’armatore. Il quale premia o pe-nalizza un comandante, potendolo esonerare o pro-muovere, secondo non solo quanto gli ha fattoguadagnare in termini di produzione, ma anche quantogli ha fatto risparmiare in consumo di gasolio innan-zittuto, come pure in costi di attrezzature per la pesca,manutenzione della barca ed economie varie.Al comandante, che tale diventa dopo un severo esa-me, è richiesta una capacità professionale che quasisempre comprende anche abilità e competenza. Nondeve essere solo un lupo di mare ma anche una volpe.Il comandante della “Vincenzo Moscuzza” è conosciu-to come “Coccolino”, perché è prudente, attento,espertissimo al timone e profondo conoscitore del Me-diterraneo. I suoi uomini lo ritengono il migliore.

MOTOPESCA EMOTOBARCAVENDONO AI

RIGATTIERILOCALI CHE RIVENDONO

ALLE CENTRALI DI 

ACQUISTOFORESTIERE

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LA PESCA IBLEASTA ALLA SICILIACOME LA SICILIASTA ALL’EUROPA

IL CONTESTO

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

IL QUADRO GENERALE

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a pesca è un settore del tutto particolare. I vantaggi deiproduttori, cioè i pescatori, non si vedono dal pescato,quindi dalla produzione, ma dal venduto. La caratteri-stica sta infatti nell’impossibilità di aumentare la pro-duzione in funzione del mercato, dovendo le impresedi pesca sottostare alle norme comunitarie e alle mi-sure di conservazione. In sostanza non vale in marel’equazione più produzione uguale più ricavi. I van-taggi economici si conseguono perciò soltanto aumen-tando il rendimento delle singole uscite, vendendo cioèmeglio. Ma per fare questo è necessario accrescere la qualitàdel pescato, il che equivale però a incrementare anchei costi di produzione. Per sanare questo circolo viziosoin virtuoso ecco il ruolo delle Op, le organizzazioni deiproduttori volute dai regolamenti Cee il cui compito èanche quello di fare sistema e fare qualità intervenendonella filiera allo scopo di contrattare i prezzi. Oggi lafiliera del pesce è formata da un lato daiproduttori e da un altro dalle centrali diacquisto. In mezzo ci stanno le piatta-forme logistiche che altro non sono cherigattieri rivisitati unicamente ai quali -e in minima parte alle centrali d’acqui-sto - spetta di fissare il prezzo. La trat-tativa non esiste: o si partecipa a questosistema o si rimane fuori, dal momentoche la produzione interna può essere fa-cilmente sostituita con il pescato di im-portazione. Le Op tentano di avere voce dentro que-sto regime organizzando l’offerta, col-legando i produttori al mercato,aumentando la contrattualità. Il fine è dimigliorare la qualità e fare in modo chesia il venduto a garantire vantaggi economici ai pesca-tori. Stiamo parlando di un sistema avanzato che pureè presente anche in Sicilia ma presso le grandi mari-nerie come quelle di Mazara, Sciacca, Sant’Agata Mi-litello, Licata e Portopalo. In provincia di Ragusa tutto ciò è del tutto assente edestraneo. Non ci sono Op, né centrali d’acquisto né ri-gattieri. La filiera è estemporanea, affidata al bracciocorto delle contrattazioni da molo, a volte - come aDonnalucata - cortissima. A Scoglitti i prezzi li stabi-liscono pescatori e commercianti, sul momento, secon-do il pescato e la sua qualità, e in base allaconstatazione visiva della merce. A Donnalucata il pe-sce viene venduto direttamente dai pescatori ai privati,anche a chilo, e nemmeno a cassetta come a Scoglitti.A Pozzallo il pescato è acquistato dai commercianticome a Scoglitti, sebbene non in un mercato ittico. Mancando un’organizzazione che sia prevalente ri-spetto all’unica forma di compartecipazione in qualchemodo invalsa, cioè la cooperativa, la produzione ibleaappare in sconcertante ritardo rispetto al sistema pu-r’anche siciliano, anch’esso nondimeno in pesante cri-si. L’impossibilità condivisa di aumentare laproduzione è anche dovuta ai tanti vincoli vigenti qua-si tutti di origine comunitaria: il divieto di pesca del

novellame, il fermo biologico a ottobre e novembredella pesca del pescespada, la limitazione della cacciaal tonno rosso, il divieto di pesca ai cianciali, cioè conun particolare tipo di lampara, l’imposizione della ma-glia larga nella pesca a strascico. Si tratta di regolamenti che vincolano i paesi comuni-tari ma non gli altri, cosicché le flotte transfrontalieresono libere di esercitare ogni tipo di pesca. Con il ri-sultato che la grande distribuzione nazionale ed euro-pea si rivolge a questo tipo di produzione più amigliore prezzo perché meno costosa. Ulteriore effettodi questa giostra perversa è il maggior consumo di pe-sce, aumentato del 30%. Ma quello che si trova suibanchi dei surgelati nei centri commerciali anche ra-gusani non è pesce né italiano né tantomeno sicilianoe ancor meno ibleo. Il pesce ibleo si può trovare ancoranelle pescherie o al molo, appena sbarcato. Ma è sem-pre meno quello di qualità.

Una specie molto richiesta è il pesce-spada, che continua a essere il piattoforte della marineria di Donnalucatae Pozzallo. Il pescespada si catturausando il palangaro, comunementedetto “conzo”. Si tratta di uno stru-mento che dà risultati soddisfacentima ha bisogno di centinaia di ami edi centinaia di chili di esca. Per l’esca, che deve essere freschissi-ma se non viva, bisogna ricorrere alpescato d’importazione (perché quel-lo siciliano è insufficiente a ragionedelle restrizioni imposte alla magliadella rete) sicché si ha un’esorbitanzadella spesa che rende molto poco red-ditizio il risultato economico. La con-

seguenza è che il pescespada, anche per il fermo di duemesi in autunno, viene cacciato soprattutto nei mesiestivi, per cui quello che si trova tutto l’anno sui ban-chi di pesce è prodotto di importazione. La stessa cosaavviene per la maggior parte dei molluschi, vongole,telline, cozze, tutta merce che viene da fuori.In buona sostanza si può dire che la pesca iblea sta aquella siciliana nella misura in cui quella siciliana staalla pesca nordeuropea. Da Scoglitti a Licata sono treore di navigazione con un motopesca, ma è come an-dare in un’altra nazione lontanissima. Anche verso le-vante, lasciata Pozzallo si entra in un mondo, dopoMarzamemi, dove la pesca è più professionalizzata.Lungo tutta la costa iblea, che in fondo è un lungo ap-prodo naturale fatto di insenature e porti-rifugio pia-ciuti ai pescatori anche dell’antichità classica, la pescache viene praticata è rimasta quella storica, di tipo tra-dizionale e perciò rudimentale. Manca l’innovazionetecnologica (l’uso per esempio di sistemi di venditaonline con collegamenti telematici tra motopesca e po-stazione a terra e aste istantanee ancor prima dellosbarco) e manca l’organizzazione produttiva che per-metta una commercializzazione competitiva. Un esem-pio per tutti: in provincia nessuno ha la licenza,comunissima altrove, per la pesca a circuizione.

IL MANCATOAUMENTO 

DELLA PRODUZIONE

È ANCHE DOVUTO ALSISTEMA DI

VINCOLI IMPOSTO

DALLA UE

Da Scogli i aLicata sono treore di mare inmotopesca,ma è comeandare inun’altranazionelontana.Anche verso levante, lasciataPozzallo,si entra inun mondo,dopo CapoCorvo,dove la pesca èpiù avanzata

LUNO SCARTO PENALIZZANTEDI INNOVAZIONE, KNOW‐HOWE ORGANIZZAZIONE. I RITARDISPIEGANO IN PARTE IL DIVARIO

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RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

LA PICCOLA PESCA

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diPatrizia Danzè

I PESCATORI CHIEDONO SOLOQUANDO POTERE DEMOLIRE

LA CRISI

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ngelo Mancuso è presidente regionale della Federco-pesca, la Federazione Nazionale Cooperative della Pe-sca, costituita nel 1950, che è punto di riferimento peril settore della pesca e dell’acquacoltura ed associacooperative di produzione, di ricerca, di trasformazio-ne e di commercializzazione, con oltre 300 cooperati-ve aderenti e 17.500 soci. Ha sede a Sant’AgataMilitello.Mancuso, qual è la realtà della pesca della provin-cia iblea?È una realtà varia e completamente diversa dal restodella Sicilia. Da una parte c’è Siracusa con Portopalo,con una pesca del tipo di quella di Mazara del Vallo,caratterizzata per lo strascico. Dall’altra c’è il Ragu-sano con la piccola pesca, considerando a parte Sciac-ca, caratterizzata da pesca con reti a circuizione e astrascico. Ora, togliendo appuntoSciacca, Mazara e Portopalo, tutto inSicilia diventa piccola pesca, settoreche costituisce appunto l’80% dellapesca in Sicilia.E qual è la situazione della piccolapesca proprio nel Ragusano?La situazione è critica come nel restodella Sicilia, anzi la piccola pesca è ilsettore più in crisi anche a livello na-zionale, ma ancora di più in Sicilia. Lacausa è data dalle politiche comunita-rie, le cui decisioni io non riesco a ca-pire. Perché se da un lato mettono deilimiti, ad esempio alla pesca del pesce-spada, come avviene in questo periododell’anno (dal primo ottobre a fine novembre), dall’al-tro contravvengono al regolamento permettendo la pe-sca con il palangaro. Ma se io vado a “calare” ilpalangaro, causo una moria del pescespada novello,del quale peraltro si sta facendo eccidio in tutta la Si-cilia.Tutto ciò viene denunciato?Certamente. Pensi che in un’intervista su un quotidia-no siciliano ho denunciato questo stato di cose, accu-sando anche la cosiddetta pesca sportiva, ma a parte lecritiche che mi sono attirato per averlo fatto, la realtàè che da quando sono al Consiglio regionale della pe-sca, pur avendo lavorato a una bozza di regolamento,che è andata a finire in un cassetto, non sono riuscitoa ottenere una legge per contenere i danni procuratidalla pesca sportiva.Ma cosa è la pesca sportiva e come può danneggia-re la piccola pesca?La pesca sportiva, anzi - come la chiamo io - la pseudopesca sportiva, è una lobby fortissima non regolamen-tata; in pratica, i cosiddetti sportivi, e legga sotto que-sta formula i dilettanti di tutti i tipi, possono pescare365 giorni all’anno e persino “calare” il palangaro, po-tendo pescare sino a cinque chili di pesce ma senzacommercializzarlo. Ma si vada nei vari ristoranti e siveda da dove viene parte del pesce che si consuma.Purtroppo, il rapporto tra pescatore sportivo e pesca-tore professionale è di 1 a 100 e tutto ciò danneggia

ovviamente la piccola pesca, anche quella della pro-vincia iblea.Ma non si può proprio contenere il problema dellapesca sportiva?Abbiamo pensato anche a un tesserino a pagamento,perché si potesse avere un minimo di controllo e dicensimento dei pescatori sportivi, ma non c’è statoniente da fare. Il ministro Galan si è poi inventato ilcensimento libero e cioè basta andare in qualsiasi Ca-pitaneria e dichiararsi pescatore sportivo. Può farlochiunque, naturalmente.Quali sono le conseguenze di tale stato di cose?Negli anni Novanta si era in 27.000 pescatori, oggi cisi è ridotti a 7000. Come vede, c’è una ricaduta enormesull’occupazione, anzi sulla disoccupazione. E pur-troppo questo ultimo governo nazionale ha penalizzato

fortemente la piccola pesca; i pescatorichiedono soltanto quando poter demo-lire la barca.Ma cosa fa l’Unione europea? Qualè il suo ruolo?L’Ue non considera le realtà territorialie questo è un altro grave problema.Pensi che secondo il regolamento eu-ropeo ogni barca di pescatore profes-sionale deve essere fornita dilog-book, un apparecchio elettronicoattraverso il quale l’armatore ha l’ob-bligo di comunicare alla Capitaneriaquanto sia il pescato, di che tipo, di chetaglia, ecc. ecc. Si immagini un po’ chegrande confusione nasce nel gestire

questi apparecchi sofisticati, se si considera che lamaggior parte della gente sulla barca ha soltanto laquinta elementare!Per quanto riguarda il pesce azzurro, com’è la si-tuazione nella pesca iblea?Anche qui c’è un’altra questione. La pesca col cian-ciolo, un tipo di rete a circuizione, una volta era auto-rizzata sei mesi all’anno, ora invece dodici mesiall’anno; la conseguenza è che la moria di pesce az-zurro piccolo è incredibile. E poi viene impedita la pe-sca del novellame! E invece distruggere il pesceazzurro piccolo non conta? E la grande impresa?È anch’essa è in crisi, perché il caro gasolio l’ha tar-tassata. Anche lì si cerca la demolizione, come ultimasoluzione. Insomma, tra caro gasolio e limiti del rego-lamento, la situazione è veramente difficile. Se poi ag-giungiamo i veleni che sboccano a mare, senza alcunrispetto per l’ambiente e, cosa ancor più grave, senzaalcun controllo, tutto diventa drammatico. Ma che sen-so ha parlare della diminuzione dello sforzo di marequando ci vanno di mezzo i poveri pescatori?Secondo lei quale potrebbe essere la soluzione?Credo che dovremmo fare fronte comune con altri pae-si amici come la Grecia, la Spagna, la Francia, per rea-gire alle politiche comunitarie che dimostrano disconoscere le esigenze dei territori. Soprattutto dellaSicilia.

APARLA IL PRESIDENTE REGIONALE DELLA FEDERCOPESCA: GLI ERRORIDELLA POLITICA EUROPEA

NEGLI ANNINOVANTA IPESCATORIATTIVI IN 

SICILIA ERANO

27 MILA, OGGISI SONO 

RIDOTTI A7 MILA

Secondol’Ue ognibarca deve essere fornita dilog‐book,uno strumentoele roniconecessarioper comunicare il tipo dipescato ela quantità.Ma nonconsiderache lamaggiorparte della gente dimare hasoltanto laquinta elementare

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u dodici Comuni, otto hanno lo sbocco a mare. E tuttiquesti contano una loro marineria dedita alla pesca,grande o piccola che sia. L’interesse è tale che negliultimi anni si va affermando anche una consistente at-tività di diporto che all’esercizio della pesca riservauna sempre maggiore attenzione. Eppure, se si escludePozzallo, non c’è nessun Comune il cui centro sia sulmare. Per la vicinanza con l’Africa e per la scopertaesposizione sul Mediterraneo, paesi ecittadine sono sorti infatti nell’entro-terra, lontano dal mare, che è storica-mente visto come la porta di pirati ecorsari, l’origine delle invasioni stra-niere e delle incursioni barbaresche.Curiosamente una sola città fu fonda-ta sul mare nell’antichità ed è Kama-rina, che ebbe uno splendido portofonte del suo splendore ma anche cau-sa della sua decadenza quando i Ro-mani ne costruirono uno più grande aKaukana. Kamarina ebbe intensi rapporti com-merciali via mare con l’Africa, attivianche nell’alto Medioevo e testimo-niati dalla presenza della chiesa della Madonna diCammarana, ricca di ex voto di naviganti scampati allefrequenti tempeste nelle acque prospicienti il promon-torio e andata distrutta da un incendio nel 1873. Maanche Kamarina ha utilizzato il mare a beneficio dellaterra. Un’attività di pesca vera e propria, cioè organiz-zata, non è documentata a Kamarina se non in tempimolto più recenti. Così è in tutti gli altri sbocchi mari-ni. Nonostante la presenza di porti, perlopiù concepiticome “canali” (tale fu quello della stessa Kamarina),il mare era infatti considerato non più che una via dicollegamento per esportare derrate agricole e produ-zioni vitivinicole. E le barche mezzi per caricare suibastimenti alla rada i prodotti della terra. Basti pensareche l’antico e oggi non più esistente Scalo trapanese

di Marina di Ragusa più che un attracco di barche dapesca era un riferimento per i bastimenti provenientidal Trapanese che all’altezza di Marina viravano a de-stra in direzione di Malta. L’idea di un porto pesche-reccio ha stentato dunque a farsi strada ed oggi hadovuto soccombere, proprio a Marina di Ragusa, da-vanti a quella prevalente di porto turistico. La portua-lità come scalo e non come approdo ha ispirato le

scelte di tutta una provincia a vocazionesostanzialmente terricola. Anche il por-to di Pozzallo, come pure quelli di Sco-glitti e Mazzarelli, sorge infatti infunzione di caricatoio e quindi al servi-zio dell’agricoltura e dell’attività di tra-sformazione. In analisi, la posizione delle città dimo-stra quindi che la popolazione iblea èsempre stata legata più alla terra che almare. Gli stessi miti greci comprovanoquesto rapporto. Una delle divinità cuiin provincia era dedicato il maggioreculto fu Demetra, la Cerere romana cheprende il nome dai cereali di cui era di-spensatrice e propiziatrice. Autoctono

fu ancora il mito del pastorello Dafni mentre la lucer-tola (che figura nello stemma di Ragusa) fu l’animalesacro ai Galeati, i maghi cui riconducono alcune teoriesulla Ibla Herea.Sembra strano, ma il ragusano non ha mai amato il ma-re, memore nella coscienza collettiva del fatto che nelpaleolitico l’intero territorio fosse sommerso dalle ac-que. La provincia in sostanza è una terra emersa dalmare, che ha costituito un altrove, un ignoto. La suaconoscenza è stata frutto di una lenta scoperta e di unacauta frequentazione. L’arretratezza attuale della pescaiblea rispetto alle grandi acquisizioni tecnologiche eorganizzative (bastino, appena fuori i confini iblei, adovest Licata e ad est Portopalo) si può spiegare dunqueanche alla luce della storia.

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

NATI PER ESSERE DEICARICATOI,GLI SCALI

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visto da sempre

come unconfine

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IL MARE COME VIADI COLLEGAMENTOE NON COMERISORSA ITTICA

S

LA STORIA