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DUELLI ORGANIZZATIVI: DISTRETTI E IMPRESE NELLOCCHIALERIA ITALIANA * Arnaldo Camuffo Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale Università Ca’Foscari, Venezia San Trovaso 1075 VENEZIA 30123 Tel. +39-041-2578737 Fax +39-041-5208657 e-mail: [email protected] novembre2001 Abstract La varietà delle forme organizzative, e il collegamento di queste con la performance aziendale, è uno dei temi che hanno da sempre interessato gli studiosi di organizzazione e di economia industriale. Raramente, tuttavia, le ricerche in questo campo si sono potute condurre in un contesto 1

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DUELLI ORGANIZZATIVI:

DISTRETTI E IMPRESE NELL’OCCHIALERIA ITALIANA*

Arnaldo Camuffo

Dipartimento di Economia e Direzione AziendaleUniversità Ca’Foscari, Venezia

San Trovaso 1075VENEZIA 30123

Tel. +39-041-2578737Fax +39-041-5208657

e-mail: [email protected]

novembre2001

Abstract

La varietà delle forme organizzative, e il collegamento di queste con la performance

aziendale, è uno dei temi che hanno da sempre interessato gli studiosi di

organizzazione e di economia industriale. Raramente, tuttavia, le ricerche in questo

campo si sono potute condurre in un contesto “controllato”, attraverso cioè analisi di

dati statistici e studi di caso condotti a parità di condizioni.

Il caso dell’evoluzione dell’occhialeria italiana, oggetto di questo studio, si pone invece

come un’occasione unica per condurre un’efficace analisi comparata, come una sorta di

ideale laboratorio in cui è possibile studiare l’evolversi e l’affermarsi di forme

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organizzative diverse, a parità di sfide (globalizzazione e nuove tecnologie), di industria

e prodotto (montature per occhiali) e contesto geografico (la provincia di Belluno).

L’oggetto dello studio è costituito dall’analisi comparata di imprese e distretti come

modelli organizzativi, e della loro capacità di risposta nei confronti della sfida epocale

della globalizzazione. L’ipotesi di partenza è costituita dal fatto che, diversamente da

quanto ipotizzato da una parte della letteratura, le reti di piccole e medie imprese

localizzate territorialmente non rappresentino un modello organizzativo robusto e che

anzi, all’aumentare della complessità ambientale, i modelli organizzativi propri della

grande impresa integrata verticalmente (U-form, M-form) siano comparativamente più

efficienti.

Questo studio, condotto attraverso l’analisi di dati statistici relativi al distretto

dell’occhialeria bellunese e attraverso studi di caso delle quattro maggiori aziende del

settore (Luxottica, Safilo. De Rigo e Marcolin): a) analizza la performance dei modelli

organizzativi analizzati attraverso il confronto tra l’evoluzione di una grande impresa

(Luxottica, valle dell’Agordino) e l’evoluzione del distretto industriale della valle del

Cadore; b) identifica i trend evolutivi interni alla forma distrettuale analizzata; c)

definisce le determinanti delle trasformazioni organizzative in atto e propone alcune

indicazioni di policy.

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1. LA COMPETIZIONE DELLE FORME ORGANIZZATIVE

NELL’INDUSTRIA ITALIANA DELL’OCCHIALE

La varietà delle forme organizzative, e il collegamento di queste con la performance

aziendale, è uno dei temi che hanno da sempre interessato gli studiosi di

organizzazione e di economia industriale. Raramente, tuttavia, le ricerche in questo

campo si sono potute condurre in un contesto “controllato”, attraverso cioè analisi di

dati statistici e studi di caso condotti a parità di ogni altra condizione.

Il caso dell’evoluzione dell’occhialeria italiana, oggetto di questo studio, si pone invece

come un’occasione unica per condurre un’analisi comparata secondo canoni di ricerca

rigorosi, come una sorta di ideale laboratorio in cui è possibile studiare l’evolversi e

l’affermarsi di forme organizzative diverse, a parità di sfide (globalizzazione e nuove

tecnologie), di industria e prodotto (montature per occhiali) e contesto geografico (la

provincia di Belluno).

L’oggetto dello studio è di particolare interesse perché evoca alcune questioni di ricerca

particolarmente attuali, di ampia risonanza internazionale e ricche di implicazioni dal

punto di vista della politica industriale (Amin, 1999).

In particolare, tali questioni sono così riassumibili:

La globalizzazione e le nuove tecnologie modificano l’efficienza organizzativa

comparata di due forme organizzative tradizionalmente viste come opposte e in

competizione: distretti e imprese?

Quali sono gli elementi che rendono comparativamente più efficienti le imprese rispetto

ai distretti in questa fase evolutiva del capitalismo industriale?

Quali sono gli elementi di debolezza che mettono in crisi i distretti industriali?

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Quali implicazioni teoriche si possono trarre dalle attuali tendenze rispetto alla

tradizionale idea che i distretti industriali siano forme organizzative flessibili e che

questi siano il modello organizzativo alternativo rispetto al Fordismo?

Questo studio, condotto attraverso l’analisi di dati statistici relativi al distretto

dell’occhialeria bellunese e attraverso studi di caso delle quattro maggiori aziende del

settore (Luxottica, Safilo. De Rigo e Marcolin), anche queste localizzate nel bellunese:

a) analizza la performance dei modelli organizzativi analizzati attraverso il confronto

tra l’evoluzione di una grande impresa (Luxottica, valle dell’Agordino) e l’evoluzione

del distretto industriale della valle del Cadore; b) identifica i trend evolutivi interni alla

forma distrettuale analizzata (selezione delle imprese, affermazione delle imprese

leader, gerarchizzazione delle relazioni interorganizzative, riposizionamento delle

piccole e medie imprese del distretto cadorino); c) definisce le determinanti delle

trasformazioni organizzative in atto e propone alcune indicazioni di policy.

L’ipotesi di ricerca che si intende “testare” è costituita dal fatto che, diversamente da

quanto ipotizzato da una parte della letteratura, le tradizionali reti di piccole e medie

imprese localizzate territorialmente non rappresentino, almeno in questa fase e per

questo settore, un modello organizzativo robusto e che anzi, all’aumentare della

complessità ambientale, i modelli organizzativi propri della grande impresa integrata

verticalmente (U-form, M-form) siano comparativamente più efficienti.

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2. LA SITUAZIONE

E’ noto che i produttori italiani possiedono una leadership mondiale nella produzione di

montature per occhiali, siano essi da vista o da sole, con una quota della produzione

mondiale di circa il 25%, prevalentemente concentrata nella fascia alta e medio alta di

gamma (dove si stima che la quota di mercato dei produttori italiani è pari al 50%).

Queste cifre testimoniano un successo maturato negli ultimi 25 anni e una posizione

competitiva invidiabile, che ha portato a straordinari risultati in termini di ricchezza e

occupazione. Tuttavia, esse celano una situazione più complessa e articolata in quanto

questi dati aggregati non sono il frutto del contributo omogeneo di tutte le circa 1.500

aziende che a livello nazionale operano attualmente nel settore, ma piuttosto il risultato

di un quadro frastagliato e contraddittorio (Corò e Grandinetti, 2001).

Da alcuni anni, infatti, il settore dell’occhialeria, sta affrontando una difficile fase di

assestamento iniziata nel 1995 quando, dopo quasi un ventennio di crescita incessante,

si è verificato un significativo cambiamento del modello industriale e un’interruzione

del trend di sviluppo basato sull’economia distrettuale e la vivacità della piccola

impresa.

In realtà, già da qualche tempo, all’interno del distretto bellunese, si è avviato un

processo di trasformazione che sta apportando modifiche assai significative a quel

modello che fino ad ora aveva sorretto lo sviluppo delle imprese bellunesi. In

particolare, si può riscontrare una sorta di dicotomia creatasi tra un numero esiguo di

imprese leader di mercato e tutte le altre. Mentre le prime continuano a trainare il

settore e ad aumentare le proprie quote di mercato grazie alla intensificazione e

internazionalizzazione degli investimenti e ad una forte rete di distribuzione; le altre,

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quasi tutte di dimensione medio-piccola, non sono più in grado di far fronte ad una

competizione di un mercato in cui creatività e fantasia risultano fattori competitivi

oramai insufficienti se non supportati da risorse e competenze adeguate.

3. UN “TERZO SPARTIACQUE INDUSTRIALE”?

L’evoluzione in corso nell’occhialeria italiana si presta a una interpretazione in termini

di competizione tra forme organizzative secondo gli schemi proposti dall’economia

dell’organizzazione (Williamson, 1991) e dall’ecologia delle popolazioni organizzative

(Hannan e Freeman, 1989).

In particolare, negli ultimi venti anni si è assistito, nell’ambito dell’industria della

produzione di montature per occhiali, a una sorta di “duello organizzativo”: quello tra

grande impresa integrata e il distretto industriale, ovvero tra quelle forme di

organizzazione della produzione industriale riconducibili da un lato alla gerarchia e in

particolare alla U-form ed M-form (Williamson, 1991) e, dall’altro, ai distretti

industriali (Becattini, 1987), ovvero alle comunità (Adler, 1999) e in particolare alle reti

di piccole imprese o mercati-c (Dei Ottai, 1995).

Una prima espressione concreta di questo duello ha radici storiche lontane e inizia nel

Bellunese nei primi anni sessanta.

Quando si fa riferimento all’occhialeria italiana, è ormai consuetudine fare

indifferentemente riferimento alla provincia di Belluno, al distretto dell’occhiale, al

Cadore. In realtà, si tratta di realtà e di luoghi geografici diversi e distinti. Le

occhialerie sono diffuse in tutta la provincia di Belluno, ma mentre nel Cadore (e in

particolare lungo la valle del Piave tra Pieve a Longarone) si è storicamente affermato

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un tessuto di piccole e medie imprese specializzate, fortemente interdipendenti, e

connesse dai legami tecnologici, economici e sociali propri del distretto (Dei Ottai,

1995), nella valle adiacente, l’Agordino (la valle del Cordevole tra Alleghe e Belluno)

si è storicamente affermato un modello diverso, dominato da un’unica grande impresa

integrata, Luxottica.

Il confronto tra queste due realtà, e tra i relativi modelli organizzativi, sembra suggerire

che, mentre fino a pochi anni fa il modello organizzativo distrettuale (rete di piccole

imprese) garantiva prestazioni organizzative (flessibilità, efficienza, innovazione)

almeno pari a quello delle grandi imprese integrate, recentemente la sua performance

comparata è peggiorata e non sembra essere in grado di rispondere efficacemente alle

sfide poste dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie.

Se, quindi, l’inizio degli anni novanta rappresenta il culmine e l’apogeo del percorso di

sviluppo del distretto cadorino dell’occhialeria iniziato un secolo prima, a partire da

quella data iniziano gli anni della “rivincita” della grande impresa, in particolare di

Luxottica, e della crisi di quello modello di organizzazione della produzione e degli

scambi economici che definiamo distretto industriale.

3.1.Luxottica e la “Valle-Azienda” dell’Agordino

Ad Agordo, prima della nascita di Luxottica (1961), non esistevano attività legate al

settore dell’occhiale, né artigianali né industriali.

Per incentivare investimenti nella sua vallata anche il Comune di Agordo offrì

agevolazioni a nuovi insediamenti industriali. Anche Luxottica usufruì di tali contributi.

Leonardo Del Vecchio si dimostrò subito un imprenditore ricco di iniziativa e lo

sviluppo di Luxottica favorì la nascita di numerose altre aziende nella valle del

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Cordevole che nel solo decennio 1971-1981 aumentarono significativamente sia in

termini di numero assoluto di unità locali, da 4 a 68, sia in termini percentuali,

dimodochè il peso delle occhialerie agordine sul totale del bellunese passò da 2.9% a

12.9%.

Tabella 1: Incidenza dell’occhialeria nell'Agordino (1971-1981), in termini di numero di unità locali e addetti rispetto al totale del Cadore e della Provincia

1971 1981U.L. % Add. % U.L. % Add. %

Agordino 4 2.9 189 7.2 68 12.9 853 19.2Tot. Cadore 115 84.5 2173 83.1 414 78.7 3128 70.7

Tot. Provincia di Belluno 136 100.0 2613 100.0 526 100.0 4421 100.0 Fonte : dati censimento ISTAT.

Anche nella valle del Cordevole si assisté, come già era avvenuto per il Cadore, ad un

processo di gemmazione, di nascita di nuove imprese con la peculiarità però che queste

furono fin dagli inizi quasi esclusivamente legate a Luxottica. Molte di queste imprese

sorsero, infatti, come terziste di Luxottica, così si assicurava una maggiore flessibilità

dal punto di vista produttivo. Spesso era Leonardo Del Vecchio stesso a consentire a

suoi dipendenti di mettersi in proprio utilizzando macchinari Luxottica concessi in

comodato1.

In sostanza, a partire dagli anni settanta, mentre nel Cadore si affermò un distretto

industriale in senso proprio, cioè una rete di imprese non centrata (secondo modalità

che saranno discusse nel paragrafo successivo), caratterizzata da meccanismi di

coordinamento in parte cooperativi e in parte competitivi e comunque determinati su

base territoriale attraverso fenomeni di socializzazione, nel caso dell’Agordino

Luxottica svolse sin dall’inizio il ruolo di impresa guida di una rete di imprese dove,

pur in presenza di rilevanti fenomeni di socializzazione, l’elemento gerarchico del

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coordinamento (il rapporto di dipendenza dei terzisti rispetto a Luxottica) fu prevalente

e determinante.

Questo assetto organizzativo e produttivo di rete centrata, in cui Luxottica svolgeva il

ruolo di impresa guida che utilizzava il decentramento produttivo come modalità di

organizzazione della produzione subì però una progressiva trasformazione nel senso di

una integrazione verticale della produzione. Così, nel giro di un decennio (dal 1980 al

1990) l’incidenza dei costi delle lavorazioni esterne sul totale dei costi di produzione si

ridusse al 10%. Per la metà degli anni novanta, le attività produttive erano ormai

completamente internalizzate.

Se in precedenza una serie di ditte artigiane, terziste di fase quasi esclusive per

Luxottica avevano permesso di mantenere livelli di flessibilità nell’utilizzo del lavoro

non più ottenibili in una struttura produttiva ormai di medie dimensioni e con una

struttura sindacale matura, con gli anni ottanta maturò la svolta della re-

internalizzazione delle attività produttive decentrate (Brunetti e Camuffo, 2000).

Tabella 2. Incidenza dell’occhialeria nell'Agordino (1981-1991), in termini di numero di unità locali e addetti rispetto al totale del Cadore e della Provincia

1981 1991U.L. % Add. % U.L. % Add. %

Agordino 68 12.9 853 19.2 53 5.6 1747 18.7Tot. Cadore 414 78.7 3128 70.7 572 60.0 4905 52.6

Tot. Provincia di Belluno

526 100.0 4421 100.0 953 100.0 9327 100.0

Fonte : dati censimento ISTAT. I dati sono relativi ai produttori di occhiali finiti, sono esclusi i produttori di macchinari e accessori.

Questa strategia di integrazione verticale ha rappresentato un elemento critico del

successo di Luxottica, in quanto consentì all’impresa di Agordo di mantenere una

leadership di costo nel settore, associandola a livelli qualitativi di prodotto elevati. Se

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inoltre si collega questa strategia di integrazione verticale dal punto di vista produttivo a

quella di controllo diretto dei canali distributivi, emerge una coerente strategia

complessiva aziendale basata sulla crescita, sulla dimensione e sulle economie di scala.

Strategia di successo, tant’è che (come sarà approfondito nei paragrafi successivi) sarà

imitata dai maggiori concorrenti. In particolare, Safilo, a partire dalla seconda metà

degli anni ottanta, periodo in cui decentrava oltre metà della produzione, iniziò una

strategia di progressiva internalizzazione dell’attività che condusse, ad esempio,

all’apertura di una grande unità produttiva a Longarone.

La decisione di Luxottica di produrre la quasi totalità delle montature in propri

stabilimenti è stata quindi una scelta importante, in controtendenza rispetto ai

concorrenti e alla logica di produzione diffusa e su base distrettuale che tanto successo

stava iniziando ad avere negli anni ottanta nel Bellunese.

Tabella 3 Incidenza dell’occhialeria nell'Agordino (1991-2001), in termini di numero di unità locali e addetti rispetto al totale del Cadore e della Provincia

1991 2001U.L. % Add. % U.L. % Add. %

Agordino 53 5.6 1747 18.7 49 5.9 3016 29.9Tot. Cadore 572 60.0 4905 52.6 445 54.0 3977 39.4

Tot. Provincia di Belluno

953 100.0 9327 100.0 824 100.0 10094

100.0

Fonte : dati censimento ISTAT e CCIAA Belluno. I dati sono relativi ai produttori di occhiali finiti, sono esclusi i produttori di macchinari e accessori.

Va tuttavia notato che, anche nelle intenzioni di Del Vecchio (Brunetti e Camuffo,

2000), tale impostazione non era riconducibile a un semplice calcolo economico di

convenienza del “make” rispetto al “buy”, e neppure in termini di semplice analisi

comparata dei costi organizzativi o di transazione (Williamson, 1991) associati al

governo di relazioni interne rispetto a relazioni esterne, ma si inquadra in una filosofia

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imprenditoriale più ampia che collega crescita, dimensione, economie di produzione,

controllo del mercato, garanzia del servizio al cliente e presidio della qualità del

prodotto.

3.3.La rivincita del Fordismo?

L’assetto organizzativo così maturato è forse la caratteristica più

peculiare di Luxottica. La sua strategia di totale integrazione verticale

è di grande interesse dal punto di vista della teoria organizzativa e in

particolare del posizionamento ottimale dei confini dell’impresa,

soprattutto in un’epoca, come quella attuale, in cui si esaltano

tendenze come la terziarizzazione e l’outsourcing e si salmodiano le

virtù delle reti d’impresa e delle hollow corporations. Difficile è

valutare se Luxottica rappresenti un caso particolare, un’eccezione, o

se invece costituisca l’elemento che consente di falsificare quelle

impostazioni che eccedono nel voler generalizzare a tutti i settori e a

tutti i contesti l’affermazione di forme organizzative reticolari. Anche

se esistono altre imprese, come Benetton nell’industria

dell’abbigliamento casual, che hanno seguito traiettorie analoghe

(Camuffo, Romano, Vinelli, 2001).

In questo senso Luxottica sembra ispirarsi a un modello fordista.

Nel contempo, tuttavia, Luxottica è riuscita a mantenere un assetto organizzativo agile,

evitando i rischi e i problemi tipici della burocratizzazione associata alla grande

dimensione (lentezza, distorsioni, appesantimento strutturale), senza rinunciare alle

prerogative (velocità, accentramento, snellezza ecc.) della dimensione più piccola.

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Ciò grazie da un lato al ruolo che Del Vecchio e alcuni altri attori chiave hanno svolto

nel governo del processo di sviluppo organizzativo, garantendo la continuità culturale

dell’azienda e nel contempo trasformandola continuamente; e, dall’altro al ruolo dei

sistemi informativi e più in generale delle tecnologie delle informazione che hanno

consentito il coordinamento organizzativo operando come equivalente funzionale di

strutture e meccanismi gerarchici. In questo senso, il modello organizzativo di

Luxottica, pur ispirandosi alla tradizionale forma funzionale burocratica, presenta tratti

talmente innovativi e moderni (ad es. struttura piatta) che qualcuno non esisterebbe a

definirlo postfordista.

3.3. Ascesa e crisi del modello distrettuale

Il secondo dopoguerra si caratterizzò per una progressiva affermazione delle imprese

cadorine. Queste si erano sino a quel punto sviluppate a partire da un’”azienda matrice”

originaria (Fontana, 2000), la futura SAFILO, attraverso un processo di gemmazione

che aveva progressivamente condotto alcuni dipendenti a mettersi in proprio (nomi che

poi diventeranno famosi come Fedon, Lozza, ecc.). Il modello industriale basato sulla

piccola impresa, l’imprenditorialità diffusa, la forte natalità delle imprese, l’osmosi tra

contesto sociale ed economico, il radicamento territoriale e familiare delle attività,

unitamente alla definizione e l’irrobustimento di rapporti informali e di meccanismi

culturali come sistema di coordinamento degli scambi tra le piccole imprese, resero

anche l’occhialeria cadorina un caso interessante dove la specializzazione flessibile del

distretto industriale (Piore e Sabel, 1984) diventava un’alternativa possibile ed efficace

al Fordismo e alla grande impresa come modalità di organizzazione della produzione e

degli scambi economici. La “nuova periferia industriale” italiana del Nordest si

affermava come territorio e modello alternativo di sviluppo, radicalmente diverso dalle

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grandi imprese storiche del “Triangolo Industriale” o da quelle dell’industrializzazione

forzata delle Partecipazioni Statali.

In sostanza, all’inizio degli Anni Settanta il cadore si presentava come una realtà

economica con le caratteristiche proprie dei distretti marshalliani2. Continuava infatti il

processo di sviluppo avviatosi nel precedente decennio, processo che aveva consentito

al distretto di assumere una conformazione più stabile e definita. Nascevano nuove

imprese. Quelle esistenti realizzavano un ulteriore processo di decentramento

produttivo per aumentare la flessibilità produttiva, ridurre i costi totali, e riuscire a

proporsi sul mercato in modo competitivo.

La piccola dimensione consentiva di organizzare la produzione in modo più flessibile a

livello di tempi di lavoro e di quantità prodotte, offrendo la possibilità di operare con

rapidità conversioni di produzione (ad esempio dal metallo alla plastica e viceversa). Il

maggior ricorso alla subfornitura favoriva, oltre che un ulteriore incremento delle

piccole unità, anche una loro maggior specializzazione nelle singole fasi, permettendo

all’intero sistema di migliorare in efficacia ed efficienza.

Le imprese erano legate fra loro da una doppia trama costituita da:

1. elevata divisione tecnica e sociale del lavoro, in cui ciascuna unità si specializza in

singole fasi del processo produttivo, sfruttando in modo adeguato le risorse;

2. stretto rapporto fra gli attori, basato sulla semi-esclusività delle relazioni e sulla

reciproca collaborazione.

Data la scarsa rilevanza delle imprese di medie dimensioni si può affermare che il

distretto assunse in questi anni una morfologia di rete non centrata (Grandori e Soda,

1995) dove, accanto a una popolazione di piccole e piccolissime imprese, cominciavano

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ad affiancarsi alcuni poli aziendali importanti, anche se si trattava in termini relativi

ancora di imprese di dimensioni non elevate per gli standard internazionali.

Solo queste poche imprese relativamente grandi iniziavano a proporsi con strategie

autonome e originali sul mercato; quelle di dimensioni minori adottavano invece

strategie di tipo imitativo/adattivo orientate soprattutto al contenimento dei costi,

rispettando la logica e la vocazione vera e propria della forma organizzativa distrettuale,

quella cioè di essere un production network (Powell e Smith-Doerr, 1994), senza

peraltro essere una rete distributiva o avere relazioni significative con il mercato.

Gli anni Settanta furono anche il periodo in cui emerse il legame fra fashion system ed

occhiali. L’irruzione del fattore moda nell’occhialeria innescò una ulteriore fase

espansiva che favorì lo sviluppo distrettuale continuando ad alimentare la crescita sia in

termini occupazionali che di unità locali.

Il fattore moda, tuttavia, contribuì a determinare una prima selezione all’interno della

catena verticale del valore. Mentre le piccole imprese rimanevano alla ricerca di una

propria identità strategica, le imprese leader, prima fra tutte Sàfilo, cominciarono a

rafforzare la propria posizione3 e a sviluppare in modo selettivo i rapporti con i mercati

internazionali, e cercando, sulla scia di quanto fatto da Luxottica, un maggiore controllo

dei canali distributivi. Fino ad allora anche queste imprese, fedeli al radicamento nel

distretto, avevano infatti concentrato l’attenzione sulla fase produttiva trascurando la

fase della commercializzazione del prodotto, gestita da soggetti esterni al distretto.

La seconda metà degli anni Ottanta segnò un nuovo momento di svolta per il distretto

dell’occhialeria bellunese.

Le imprese leader imitarono fino in fondo la strategia di Luxottica e iniziarono a

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internalizzare le fasi della produzione prima esternalizzate [Ferrucci e Varaldo, 1997].

Sàfilo4, ad esempio, non solo cominciò ad incrementare la propria capacità produttiva5,

in modo da poter realizzare in house molte delle attività prima date in outsourcing ed

ottenere così un maggiore controllo dell’intero ciclo di lavorazione dell’occhiale, ma

estese il processo di integrazione verso valle6 in modo da avere un contatto più diretto

con i clienti e col mercato.

Di fronte a uno scenario competitivo nuovo, dove gli elementi immateriali del prodotto

assumevano una rilevanza crescente, il controllo della distribuzione e del consumatore

diventavano critici, la presenza sui mercati internazionali e la scala delle operazioni

costituivano requisiti essenziali, la rete di piccole e medie imprese del distretto

bellunese si caratterizzava per sistemi di marketing e commercializzazione fragili, per

una relativa debolezza su fattori competitivi critici come il design, la moda e la

tecnologia, per dispersioni eccessive del valore lungo la filiera, e per l’impossibilità di

realizzare un controllo totale sulla qualità del prodotto e dei servizi ai clienti.

In particolare, i fattori che furono determinanti nelle scelte strategiche adottate da

queste imprese, diventate poi leader di settore, sono classificabili in due tipologie:

1. Le innovazioni tecnologiche: che resero possibile estendere l’applicazione

dell’automazione industriale ad un numero più vasto di operazioni produttive. Questo

permise alle aziende di ridurre i costi di produzione e di incrementare nel contempo la

produttività senza dover ricorre all’outsourcing;

2. La qualità: la necessità di rimanere competitivi sul mercato imponeva di elevare e

certificare la qualità dei prodotti, ma non sempre i terzisti risultavano in grado di

soddisfare questo tipo di esigenza.

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Questo processo di crescita dimensionale comportò delle trasformazioni nella forma

organizzativa delle imprese leader che cominciò ad assumere una conformazione più

strutturata (tipicamente U-form).

Le piccole imprese, al contrario di quanto si verificò per quelle leader, non seppero

cogliere a pieno il fenomeno di trasformazione strategica che si stava verificando in

questi anni continuando a perseguire le logiche che le avevano guidate fin dalla loro

origine. Esse continuarono a crescere, sia in termini quantitativi che occupazionali,

senza però introdurre elementi di innovazione radicale nelle proprie strutture

organizzative interne e nelle forme di coordinamento esterne, forti di una domanda in

continua espansione che induceva a sfruttare le occasioni con strategie individuali.

4. LA TRASFORMAZIONE DEL DISTRETTO

Il distretto cadorino dell’occhiale si è in sostanza caratterizzato per un ciclo espansivo

lunghissimo (figura 1 e tabella 4), iniziato negli anni settanta, che ha conosciuto la

prima battuta d’arresto solo nel 1996.

Tabella 4. Il distretto dell’occhiale nel periodo 1992-1996Anni 1992 1993 1994 1995 1996

Aziende 630 650 810 930 935Addetti 7.700 8.100 10.000 11.200 11.760

D. media 12,2 12,5 12,4 12,1 12,6Fonte: Associazione fra gli Industriali della Provincia di Bellun

Figura 1

* Ricerca condotta nell'ambito del "Globalization project" dell' Industrial Performance Center del MIT. Suzanne Berger, Richard Locke, Michael Piore, Giovanni Costa ed Enzo Rullani hanno contribuito, attraverso discussioni, commenti e suggerimenti alla stesura del testo, dei cui contenuti l'autore rimane comunque l'unico responsabile.

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Fonte: Associazione fra gli Industriali della Provincia di Belluno.

Da quel momento, il distretto entra in crisi e le sue performance si abbassano come

dimostrano i dati relativi alla popolazione di piccole e medie imprese componenti il

distretto, al loro fatturato e occupazione complessivi, alla riduzione di competitività

1 Negli anni novanta, come vedremo, la situazione si trasformò significativamente, tant'è che attualmente esistono non più di 30 aziende di indotto nella zona.2 Marshall in molti dei suoi scritti, ha trattato il tema della “concentrazione di industrie specializzate in località particolari”, località che lui stesso ha definito con il termine “distretto industriale”. Becattini (1987) sostiene che, con questo termine, Marshall volesse descrivere un’unità determinata spazialmente entro la quale, le imprese sono tenute insieme da “una rete complessa e inestricabile di economie e diseconomie esterne, di congiunzioni e connessioni di costo, di retaggi storico-culturali, che ravvolge sia le relazioni interaziendali che quelle più squisitamente interpersonali”. Il distretto marshalliano è dunque un sistema complesso di piccole imprese che, localizzate in un territorio circoscritto, riescono ad ottenere gli stessi vantaggi della produzione su larga scala, ottenibili dalle grandi industrie integrate verticalmente. 3 Il peso delle aziende di grandi dimensioni incrementa non solamente a livello strategico ma anche, in termini strutturali. Si nota infatti che, rispetto al 1971, la dimensione media di questa categoria di imprese passa da 150 Add. a 221 Add. segnando l’inizio, di quella che poi sarà la tendenza degli Anni Ottanta, cioè l’integrazione verticale, sia a monte che a valle.4 Le prime imprese che nel distretto scelsero di adottare una soluzione organizzativa di tipo gerarchico. 5 L’incremento di capacità produttiva da parte di queste imprese avvenne sia tramite la costruzione di nuovi stabilimenti (ad esempio Sàfilo nel 1980 costituì una fabbrica a Martignacco per la fabbricazione di componenti, nel 1989 costruì uno stabilimento a Longarone per la lavorazione delle montature in metallo; mentre Luxottica nel 1985 costruì uno stabilimento a Sedico per la produzione di occhiali in plastica), sia attraverso l’acquisizione di imprese fornitrici (ad esempio Luxottica nel 1981 acquisì la Meccanoptica Leonardo e nel 1987 la LAMM di Cencenighe).6 Il processo di integrazione verticale di Sàfilo e Luxottica in ambito distributivo avvenne tramite l’acquisizione di grossisti (ad esempio: Starline Optical Corp. per la prima nel 1986, e Avant-Garde-Optics per la seconda nel 1982), e la loro sostituzione con una serie filiali estere. Successivamente si procedette all’acquisizione di catene retail.

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vis a vis i concorrenti internazionali (specialmente cinesi), all’incapacità di accedere

ai mercati internazionali e alla modesta attività di innovazione di prodotto e di

processo.

Nell’arco di cinque anni (1995-2000), la popolazione delle imprese distrettuali, si è

ridotta del 25%. Dal 1996, il tasso di mortalità delle imprese supera quello della

natalità

In questo quinquennio il tessuto di relazioni distrettuali tra piccole e piccolissime

imprese si scolla dalle principali realtà produttive, Luxottica, Safilo, De Rigo e

Marcolin. Queste, pur avendo anch’esse subito le conseguenze delle congiuntura

negativa del 1995-96, hanno accentuato la loro caratterizzazione di imprese grandi,

strutturate e integrate verticalmente. Il know how e le informazioni legate a questi

processi produttivi e commerciali, per la prima volta nella storia del distretto,

rimangono negli ambiti aziendali, senza inserirsi in quel circuito di produzione e

condivisione della conoscenza, che è il collante delle relazioni distrettuali.

Anche i dati relativi agli addetti confermano come ormai il distretto bellunese

dell’occhiale, fin dai primi anni novanta, abbia iniziato a muoversi a più velocità: la

valle-azienda Agordina si sviluppa a pieno ritmo, tanto da impiegare, nel 2000, più

della metà degli addetti dell’intero settore nel bellunese; nel distretto cadorino,

dominato dalle piccole imprese, invece, l’occupazione registra un incremento modesto,

e ciò solo grazie alla presenza di tre leaders, in rapida crescita: Safilo, De Rigo e

Marcolin, le cui modalità di sviluppo sono molto simili a quelle di Luxottica.

Figura 2

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Fonte: dati censimento e CCIAA Belluno

L’andamento nell’ultimo trentennio della dimensione media delle unità locali delle due

aree di Agordo e del Cadore e della provincia Bellunese nel complesso (Figura 2),

evidenzia la tendenza evolutiva che fa della grande impresa integrata verticalmente la

forma organizzativa dominante nel settore.

Più in generale, se, come visto nel paragrafo 3, i decenni precedenti avevano visto lo

svolgersi di una sorta di “duello organizzativo” tra Luxottica (l’Agordino come valle

azienda) e il distretto cadorino (il Cadore come valle-rete di piccole imprese), duello

vinto da Luxottica dapprima come rete centrata e poi come impresa integrata

verticalmente rispetto alla rete non centrata del distretto, successivamente si assiste a un

altro “duello organizzativo”, questa volta tutto interno al distretto: quello tra le grandi

imprese leader (Safilo, De Rigo e Marcolin), che tendono ad imitare il modello

Luxottica, e le piccole imprese ancora legate allo schema tradizionale.

4.1 La concorrenza del Far East

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Sulle imprese del distretto cadorino aleggia, sin dai primi anni novanta, lo spettro dei

fabbricanti asiatici di occhiali. Se inizialmente erano considerati una minaccia alla

sopravvivenza del distretto poiché, in virtù di costi di produzione bassissimi, si

proponevano con prezzi “stracciati” sulla fascia di mercato più bassa, successivamente

si sono trasformati in concorrenti a tutto campo, capaci di affiancare alla competitività

sul prezzo qualità, design e di recente, anche le griffe.

I produttori cinesi sono probabilmente il competitor più temibile, non solo perché il

costo del lavoro cinese è notevolmente inferiore a quello degli altri paesi asiatici7, ma

anche per la rapidità con cui le imprese cinesi – ricorrendo al know how dei tecnici

tedeschi, giapponesi e italiani – stanno imparando a produrre occhiali adeguati agli

standard della fascia medio-alta del mercato.

In pochi anni, in Cina si è formato un tessuto produttivo di imprese che occupa 90mila

addetti, una realtà sei volte più grande del distretto cadorino dell’occhiale. Sono

prevalentemente aziende dalle dimensioni medie, 200/300 operai, che realizzano circa

700mila pezzi l’anno. In Cadore, le unità produttive con più di 200 dipendenti sono solo

sei e la capacità produttiva e la dimensione media delle altre 818 aziende è molto più

esigua.

Attualmente i principali clienti dei produttori del Far East sono le grandi catene di

negozi di ottica europee e statunitensi che affiancano le private label (fascia di prezzo

più bassa) agli occhiali di marca (fascia di prezzo più alta). La produzione e

distribuzione di questi ultimi sono presidiate dalle imprese leader che in tal modo

controllano una rilevante quota del mercato finale.

Esempio tipico è Luxottica, che possiede le due principali catene di distribuzione di

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prodotti ottici statunitensi, LensCrafters, 858 punti vendita e Sun Glass Hut, 1962

negozi. Si stima che i grandi distributori statunitensi e europei, anche in questo caso va

segnalato che una buona quota del mercato è controllata dai leaders del distretto8, si

rivolgano ai fabbricanti asiatici per l’80% del loro fabbisogno.

Una tendenza confermata dall’andamento delle importazioni italiane di montature e

occhiali cresciute a tassi sostenuti negli ultimi anni. Dal 1991, le importazioni italiane

sono più che triplicate rispetto agli iniziali 251 miliardi mantenendo un rapporto

relativamente costante rispetto all’export e al fatturato di settore, rispettivamente il 28%

e il 20%.

Le importazioni del distretto presentano tassi di crescita decisamente superiori a quelli

nazionali: i produttori asiatici giocano un ruolo sempre più rilevante nel fornire il

mercato italiano, la Cina è divenuto il principale fornitore estero dei produttori di

occhiali che stanno progressivamente abbandonando gli impianti delocalizzati nell’est-

europa negli anni ’90, la cui produzione non è più così conveniente.

La metà dei prodotti importati proviene dal far east, il 40% da Cina e Hong Kong. Dal

1998, le importazioni dalla Cina sono quintuplicate, dai 18 miliardi del 1998 ai 91 del

2000 e Hong Kong ve ne aggiunge, da sola, altri 35. Nell’incremento esponenziale

registrato dalle importazioni in quest’ultimo biennio ha un ruolo fondamentale

Luxottica che, con l’acquisizione della divisione occhiali di Bausch & Lomb ha

acquistato anche uno stabilimento di lenti in cristallo per occhiali da sole della Ray-Ban

situato in Cina. Impianto che si aggiunge a quello già realizzatto dalla joint-venture

paritetica Three Stars, realizzata con Charmant, uno dei principali produttori nipponici

che prevede il reciproco utilizzo delle reti commerciali per la distribuzione dei prodotti,

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limitatamente all’Italia e al paese del Sol Levante.

Lo spazio dei produttori del Far East è dunque destinato a crescere parallelamente alla

all’aumento del peso della distribuzione nella catena del valore settoriale, a diretto

danno dei piccoli produttori italiani, il cui numero, come dimostrano le statistiche della

Camera di Commercio di Belluno, è in continua e inesorabile diminuzione. Le PMI del

Cadore non sono in grado di vendere una montatura a meno di 50mila lire, i cinesi

arrivano anche a 20mila lire, meno della metà. Lo stesso rapporto che si constatava, un

decennio fa, tra i prezzi praticati dalle imprese bellunesi e quelli dei concorrenti

europei.

Questa maggiore pressione competitiva trova conferma negli Stati Uniti, un mercato

che funge da cartina tornasole per le dinamiche evolutive dell’intero settore, il prezzo

medio degli occhiali da sole è inferiore del 30% a quello italiano9.

Secondo Ennio De Rigo la situazione è difficilmente sanabile perché lo squilibrio tra i

costi di produzione dei produttori in competizione è strutturale: non ci sono soluzioni a

lungo termine che possano salvare le piccole imprese italiane. A meno che non si scelga

la strada della valorizzazione del prodotto attraverso i contenuti moda con accordi con

le aziende del fashion system, e non si punti tutto sul servizio al cliente. Una alternativa

impraticabile per le piccole aziende artigiane, che rappresentano il 64% del distretto,

poiché il segmento medio-alto dell’occhiale presenta barriere all’entrata elevatissime

rappresentate dalle royalties, dagli investimenti in marketing e dalla indispensabile

esigenza di controllare direttamente la vendita del prodotto al cliente finale.

De Rigo, che dirige una della poche imprese cadorine che sono riuscite ad affermarsi

sul mercato internazionale, ha intuito ciò che i dati microeconomici confermano: il

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distretto industriale non è più il paradigma organizzativo adeguato a descrivere la realtà

economica dell’occhiale bellunese.

4.2. Il distretto fa i conti con l’economia globale

La perdita di competitività subita dalle piccole imprese subfornitrici negli ultimi cinque

anni non è percepibile se ci si limita a esaminare i volumi aggregati del distretto. La

crescita del settore è bruscamente rallentata, ma una vera e propria regressione si è

avuta solo nel 1999. Nonostante le performance del 200010, attribuibili alle acquisizioni

concluse dalle grandi aziende, le prospettive non sono positive. Se nei primi anni

novanta il distretto era cresciuto mediamente del 20% annuo, ora la crescita si attesta su

percentuali molto più modeste, il 4-5% all’anno.

In realtà, la crescita delle piccole imprese distrettuali è stata più modesta, in molti casi

rallentata o nulla. Intanto le grandi imprese, il cui fatturato vola anche oltre il 20%

annuo, continuano a guadagnare quote di mercato e presentano indici di bilancio da

aziende emergenti in un mercato che tutti consideravano maturo. La tendenza alla

concentrazione e alla gerarchizzazione delle relazioni all’interno del distretto si intuisce

dai dati contenuti in Figura 3.

Figura 3

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Fonte: Associazione Industriali Provincia di Belluno

Dal 1996, a fronte di un calo delle aziende operanti nel settore del 12% circa, la

dimensione media delle imprese è passata da poco meno di 13 addetti a quasi 17. Gli

addetti sono cresciuti del 14%, ma la crescita ha interessato solo le grandi imprese del

distretto che hanno assorbito la manodopera liberata dalle imprese in crisi.

Prosegue la spinta a riposizionare i confini organizzativi aziendali internalizzando le

fasi produttive una volta esternalizzate. Nel contempo le imprese leader diventano

sempre più rigorose nel selezionare i pochi fornitori di cui hanno necessità, fornitori che

rappresentano dei veri e propri partner ai quali chiedono collaborazione nelle fasi di

progettazione oltre che di realizzazione dell’occhiale. Pressate dal time to market

esigono tassativamente il rispetto dei tempi di consegna e dei volumi richiesti, oltre

naturalmente a prodotti/servizi di qualità, possibilmente certificati, e capacità

progettuali e di innovazione elevate; solo secondariamente vengono valutati il prezzo e

la vicinanza. Ne consegue che tutti i piccoli laboratori artigianali a conduzione familiare

ora stentano persino ad intercettare le componenti congiunturali della domanda e

vivono una situazione di notevole disagio.

Una crisi che, il forse è d’obbligo, avrebbe potuto essere colta in tempo, se le piccole

imprese si fossero consorziate o aggregate secondo modalità diverse e nuove,

trasformandosi in reti burocratiche o proprietarie (Grandori e Soda, 1995) e facendo

massa critica per acquistare maggiore competitività.

Rispetto al 1995, l’anno di massima espansione delle imprese distrettuali, la

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popolazione delle imprese si è ridotta del 25%. E’ facile desumere (figura 4) che,

rispetto alle società di capitali, sono state le micro-imprese individuali e familiari ad

assorbire in modo quasi totalitario questo arretramento.

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Figura 4

Fonte: CCIAA Belluno

4.3 Centratura e gerarchizzazione del distretto: le imprese leader

Risultato dell’evoluzione descritta nei paragrafi precedenti è che attualmente il distretto

dell’occhiale è uno dei sistemi industriali locali che presenta il maggior tasso di

concentrazione11.

Mentre la crisi del distretto interessa le altre circa 700 imprese che occupano un terzo

del mercato, le quattro grandi (Luxottica, Safilo, De Rigo e Marcolin) presentano tassi

di crescita vertiginosi, elevata redditività e un posizionamento strategico che le fa

entrare a pieno titolo nel settore del lusso (settore nel quale vengono ormai annoverate 11 Censis, XI Indagine sui localismi, aprile 2001

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dagli analisti finanziari, a conferma della solidità delle relazioni che si sono venute a

creare tra eyewear e fashion system). La netta dicotomia tra le perfomance realizzate

dalle piccole e piccolissime imprese del distretto e quelle delle aziende leader evidenzia

come nel bellunese convivano due realtà diverse che poggiano su formule

imprenditoriali e modelli organizzativi diversi.

Safilo, De Rigo e Marcolin, come si è visto per Luxottica, anche se con qualche

distinguo, si caratterizzano per una fortissima attenzione alla crescita, ma anche

all’efficienza.

La piccola impresa distrettuale, invece, spesso non ha come fine unico e ultimo lo

sviluppo, bensì il sostentamento e la ricchezza del piccolo imprenditore che drena

risorse preziose dall’azienda e ritiene sufficiente servirsi del “mercato comunitario”

(Dei Ottai, 1995) e delle relazioni “localI” per governare le transazioni, anche se non è

il più efficiente in termini di rapporto qualità/prezzo.

Certo, anche le imprese leader presentano diversità e peculiarità. E tuttavia, un’analisi

comparata dei quattro casi mostra anche sorprendenti analogie, quasi che il tendenziale

isomorfismo delle imprese leader costituisca l’equivalente funzionale del processo di

selezione delle piccole imprese.

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Tabella 5. Le imprese leader a confronto

Marcolin De Rigo Sàfilo Group Luxottica GroupVendite consolidate 236 884 1328 4680

Crescita media annua dal 1996

49.5%(dal 1998)

68.1% 47.4% 39.4%

Montature N.D. 46.6% 52% 44.2 %Occhiali da sole N.D. 53.4% 48% 55.8 %Vendite per area

geografica18.1% Italia

48.9% Europa22.9% Usa

10.1% Resto del mondo

90.6% Europa3.5% Nord America5.9 Resto del mondo

17% Italia24% Europa

44% Nord America15% Resto del mondo

19.8% Europa70.4% Nord-America

9.8% Resto del mondo

Modelli N.D. 700 N.D. 2100Tasso di

RiassortimentoN.D. 50% N.D. 38.1%

House brands Cébé, Marcolin, Titanio T22.

Police, Sting, Rolling, Lozza

Sàfilo, Blue bay, Oxydo, Smith,

Carrera, T-Force, Viennaline, Sunjet

Luxottica, Sferoflex, Mirari, Vogue, T3,

Sferosol, Persol, Ray-Ban, Revo, Killer

Loop, ArnetteIncidenza sulle vendite N.D. 34.8%* N.D. 58.1%

Linee griffate Dolce & Gabbana, D&G, Cloè Lunettes,

Mossimo Vision, Replay Eyes, Fornarina

Visionup!, Roberto Cavalli Eyewear, Miss Sixty Glasses, Costume

National, The North Face, MonblancsCreative Optics:

Essence, Unionbay, NBA, Bob Mackie,

FAO Schwarz

Fendi, Martini, Fila, Etro,

La Perla, Onyx, Loewe, Celine,

Givenchy. FendissimeEyewear International

Distribution:Prada, Miu Miu, Helmut lang, Jil

Sander

Gucci, Gianfranco Ferrè, Polo Ralph

Loren,Diesel, Burberry’s,

Pierre Cardin, Christian Dior, Max

Mara, Valentino, Oliver by Valentino, Fossil, Nine West,

Kate Spade

Giorgio Armani, Emprio Armani, Chanel, Genny,

Bybols, Salvatore Ferragamo, Emanuel

Ungaro, Brooks Brothers, Sergio

Tacchini, Web, Anne Klein, Bulgari,

Moschino

Incidenza sulle vendite N.D. 18%* N.D. 41.9Royalties 6.4% 6.9% 7.7% 1.7%

Pubblicità/Promozioni (incidenza % sulle

vendite)

0.7% 12% 8.2% 8.5%

Relazioni con il fashion system

Partecipazione di Dolce & Gabbana

(5%)

Eyewear International Distribution

Joint venture al 51% con Prada

N.D.Partecipazione di

Giorgio Armani (5%)

Società di Distribuzione

18 9 17 29

Presenza nel retailing / Dollond&Aitchinson (Regno

Unito)General Optica

(Spagna, Portogallo)

/ Lens Crafters (1995)Sun Glass Hut (2001)

Punti vendita / 364 / 2820Fonti: bilanci aziendali e interviste dell'autore

D&A e GO distribuiscono anche occhiali da sole a da vista di altri produttori che incidono per il 22.6% delle vendite di gruppo, il restante 24.6% è rappresentato dalla vendita di altri prodotti, principalmente le lenti a contatto. Grazie al programma di vendita per posta delle lenti attivato da D&A avviato nel 1999, le vendite sono aumentate del 50% nel 2000

Come si può evincere dalla tabella 5, per quanto il principio ispiratore della filosofia

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delle quattro aziende leader sia la massimizzazione della crescita, esso è stato tradotto in

modi diversi. Solo Luxottica (per prima) e De Rigo sono entrati direttamente nella

grande distribuzione, Safilo e Marcolin, invece, si sono limitati all’acquisizione di

grossisti: che si può spiegare, per Marcolin, con le limitate risorse di cui il gruppo

dispone; anche per Safilo potrebbe valere una spiegazione analoga, visto che, come

traspare dai suoi bilanci, sembra essere quella, tra le quattro, che da un lato ha

maggiormente risentito della congiuntura negativa e, dall’altro, ha dovuto gestire una

delicata fase di transizione nella corporate governance.

Può darsi che le due aziende siano solo in attesa di qualche buona occasione,12 ma, col

passare del tempo e la posizione egemonica che sta assumendo Luxottica, sarà sempre

più difficile rilevare qualche distributore al dettaglio. E sarà anche difficile riuscire a

mantenere le posizioni raggiunte, dato che Luxottica controlla tremila punti vendita, il

10% del mercato e pure i principali players americani, come Oakley, stanno rilevando

catene di negozi di prodotti ottici.

De Rigo, invece, ha scelto di evitare il confronto diretto con il colosso del settore,

concentrandosi sulla penetrazione del mercato europeo, dove, grazie a Dollond &

Atchinson e General Optica, gioca un ruolo di primo piano.

De Rigo sta provvedendo a riequilibrare il portafoglio prodotti, troppo sbilanciato su

due marchi propri più importanti, Police e Sting, e sul sole. La gestione del retail è,

però, sensibilmente diversa da quella di Luxottica: De Rigo distribuisce attraverso i

punti vendita oltre ai propri prodotti (50% delle vendite totati) anche occhiali prodotti

dalla concorrenza (il 22% dei ricavi) e sfrutta la presenza nella distribuzione come

12 Luxottica ha approfittato delle crisi che ha indebolito le grandi catene di prodotti ottici verso la fine degli anni '90, rilevando Lenscrafters e Sunglass Hut International.

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un’occasione di diversificazione, concentrandosi anche sulla promozione delle vendite

di prodotti diversi dall’occhiale.

I ricavi di Lenscrafters, invece, sono rappresentati da prodotti Luxottica per il 70%,

tanto che gli acquisti di prodotti finiti incidono sul costo del venduto solo per il 14.6%.

A livello di gruppo, l’azienda agordina si sta articolando per far fronte alle esigenze

delle due catene con la propria struttura distributiva. Così, in seguito all’incorporazione

di Ray-Ban, è stato chiuso l’impianto americano della ex Bausch & Lomb che

produceva montature e la relativa attività è stata trasferita sugli impianti italiani, quelli

dedicati ai prodotti di qualità medio-alta, mentre continua la propria attività lo

stabilimento di lenti in cristallo di Hong Kong. A una capacità produttiva di queste

dimensioni, sono stati prodotti e venduti 28.3 milioni di montature nel 2000, va

garantito uno sbocco continuo sul mercato motivo per cui Luxottica tende a riassortire

la gamma offerta dalle catene, affiancando ai propri marchi, housebrands di fascia

bassa prodotte nello stabilimento cinese o importate.

I marchi in diretta concorrenza con Luxottica, distribuiti da Lenscrafters e Sunglass Hut

non hanno molte alternative. La Oakley, concorrente americana di Luxottica nel settore

sole, realizza circa il 20% del proprio fatturato attraverso i 1962 punti vendita Sunglass

Hut, ora di proprietà di Luxottica.

Un altro fattore che differenzia i leader è la gestione del rapporto con il fashion-system.

Il tipo di relazione prevalente è quello equity based. Anche in questo caso, è stata

Luxottica ad avviare una più stretta collaborazione con le luxury brands, cedendo una

quota del capitale sociale a Giorgio Armani, seguita da Marcolin e, solo nel 1999 da De

Rigo, che ha scelto la strada della joint-venture, una scelta probabilmente imposta da

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Prada, l’unico player nel mondo della moda a gestire in proprietà la produzione e

commercializzazione dei propri accessori. La EID ha realizzato solo nel primo anno di

attività 40 miliardi di ricavi, per cui la partnership con Prada sarà suggellata dalla

cessione di una quota del capitale sociale. Una quota di capitale sarà ceduta anche a

LMVH, la holding del lusso che detiene prestigiosi marchi tra cui Chaumet, Ebel,

Zenith e Tag Heuer. Il capitale di Safilo resta invece saldamente nelle mani della

famiglia Tabacchi che non pare intenzionata a seguire la strada battuta dai concorrenti.

Mediamente le royalties incidono sulle vendite per un 6-7%, tranne che per Luxottica,

la quale, grazie ai volumi e ai numerosi marchi di proprietà (soprattutto ora che ha

acquisito Ray-Ban e con esso la leadership mondiale nel settore sole), paga per le

licenze solamente l’1.7% dei ricavi totali. Mentre prosegue la corsa ad accaparrarsi i

contratti di licenza, la cui scadenza media si accorcia sempre di più. Luxottica punta ora

all’ottimizzazione del portafoglio, con l’obiettivo di garantire la copertura e la

segmentazione della fascia medio-alta e alta del mercato, minimizzando, nel contempo,

gli effetti di cannibalizzazione di griffes tra loro direttamente in concorrenza. In

quest’ottica, l’azienda agordina non intende incrementare il numero dei marchi, ma

limitarsi a sostituire le licenze che, giunte a scadenza, non risultino più compatibili con

i criteri di segmentazione adottata. Una strategia che consente di contenere le royalties

mentre per gli investimenti in attività promozionali e pubblicitarie, indispensabili per

sostenere l’immagine delle griffes, sono molto elevati, circa il 10% delle vendite e non

comprimibili.

L’unico produttore che non investe in pubblicità è Marcolin che vi ha destinato solo lo

0.7% dei ricavi, una scelta poco coerente con la stipula di accordi esclusivi con luxury

brands che fino ad ora non erano presenti nel settore, come Montblanc International.

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Tabella 6. La struttura organizzativa delle imprese leader

Marcolin De Rigo Sàfilo LuxotticaForma organizzativa U-form U-form U-form (holding) M-form

(holding)Direzione

Commerciale e amministrativa

Domegge di Cadore

Longarone Padova Milano

Centri logistici

Domegge di Cadore

Longarone (Bl,I)Barcellona (E)

Korschenbroich (D)

Bellignat (F)Hoofddorp (ND)

Watford (UK)Atene (Grecia))

Hong Kong (Cina)

Padova (I) Sedico (Bl, I)Port Washington

(Usa)Cincinnati (Usa)

Fukui (Giappone)Witcombe (Australia)

Unità Produttive distretttuali

LongaroneValesella

Limana (2)Longarone

LongaronePieve di Cadore

Agordo (2)Cencenighe Agordino

Sedico

Altre unità Produttive italiane

Claut (PD)/

Procenicco (UD)Martignacco

(UD)S. Maria di Sala

(VE)

Lauriano (TO)Rovereto (TN)

Unità Produttive estere /

Buenos Aires (Argentina)

Birmingham (UK)Manchester(UK)

AustriaSlovenia

Cina (2)Cina - Mirari Japan,

joint venture paritetica con

CharmantProduzione pezzi/anno

2 milioni 4 milioni 19.2 milioni 28.3 milioni

Acquisti prodotti finiti (incidenza su costo del venduto

11.7% 6% 22.4% 52.2%

Lavorazioniaffidate a terzi

(incidenza sul costo del venduto)

10% 28% 11.9% Nessuna

Dipendenti di gruppo

1100 4600 5528 24220

Dipendenti italiani 840 1223 3370 4673Fonte: bilanci aziendali e interviste dell'autore

4.4 Dove vanno le piccole imprese del distretto

Le imprese del distretto, pur svolgendo attività differenti all’interno

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della catena del valore e avvalendosi di forme organizzative difficili

da classificare, presentano alcune caratteristiche peculiari:

- un organico ridotto, la dimensione media reale è di 7.8 addetti;

- volumi modesti, ma, soprattutto, redditività modesta;

- la presenza dell’imprenditore, un soggetto che dai connotati socioculturali ben

definiti, che accentra tutti i processi decisionali e governa le relazioni con il distretto

- carattere famigliare dell’attività di impresa (una forte incidenza del lavoro

famigliare sull’attività l’imprenditore si assume personalmente il rischio di impresa),

strutture societarie fragili o assenti

- innovazione di processo, più che di prodotto, puntuale e incrementale basata sul

learning by doing

- risorse quasi esclusivamente impiegate per lo sviluppo dell’attività produttiva,

mentre le altre attività della catena del valore sono trascurate.

Paradossalmente, il mito della piena occupazione nelle PMI del Nordest presenta

qualche incrinatura nel caso specifico del distretto dell’occhiale. Se nell’analisi degli

addetti del distretto si considera il peso degli occupati presso le tre principali aziende

(Safilo, De Rigo e Marcolin), si ottiene che negli ultimi sette anni, dal 1994,

l’occupazione è andata calando lentamente ma costantemente.

L’occupazione reale del distretto funziona secondo meccanismi diversi da quelli

suggeriti dall’andamento dei dati aggregati. In realtà, le piccole imprese hanno pagato e

stanno pagando la perdita della competitività anche a livello occupazionale, solo che la

manodopera liberata viene riassorbita dalla crescita delle aziende principali.

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Dal 1997 ad oggi, gli occupati nelle unità locali con meno di cinquanta dipendenti sono

diminuiti del 20.6% di circa 1048 unità, dipendenti che sono probabilmente stati

assorbiti dalla crescita delle unità produttive con più di 50 addetti, che hanno impiegato

nel 2001 1134 dipendenti in più rispetto a cinque anni fa (tabella 7).

Tabella 7. Andamento degli addetti dell'occhialeria bellunese 1995 - 2001

UL 1995 1996 1997 1998 1999 2001Q20-10 addetti 1521 1661 1739 1607 1481 137311- 50 addetti 2746 3495 3341 3306 3134 265951- 100 addetti 974 1101 966 931 932 1176101-500 addetti 1735 2276 2007 1677 1677 1890501-999 addetti 760 0 0 579 579 667

Oltre 999 addetti

1744 2951 3005 3168 3168 3379

Fonte: Istat, elaborazione Progest su dati Infocamere, Sast forniti dalla CCIAA di Belluno.

Le unità produttive di dimensione superiore ai 50 dipendenti erano 25 nel 1995. Sono

rimaste tali fino al 1999, e solo nell’ultimo biennio vi si sono aggiunte altre cinque

unità, un segnale chiaro di come le dinamiche distrettuali si stiano assestando e di come

lo spazio risulti esiguo per quelle poche imprese che si pongono la crescita come

obiettivo primario.

- La situazione occupazionale è stabile, per ora, ma nei prossimi anni potrebbe

peggiorare se le grandi aziende, che già hanno trasferito i centri direzionali in realtà

nazionali meno periferiche, decideranno di delocalizzare anche la produzione.

7 La retribuzione di un operaio di Taiwan ammonta a circa 900mila lire al mese, mentre quella di un collega cinese (con un orario superiore) è di sole 100mila lire mensili. 8 De Rigo è leader del mercato spagnolo con la catena General Optien e detiene una quota significativa di quello britannico grazie a Dollond & Atchinson, le cui vendite, grazie ad una aggressiva politica di mercato (vende anche lenti a contatto per posta) sono in decisa crescita. 9 Un occhiale venduto a 150mila lire in Italia costa circa 60 dollari negli Stati Uniti. 10 Il fatturato del distretto è cresciuto del 13% a 2800 miliardi (dati dell’Associazione Industriali della Provincia di Belluno).

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Per capire quanto fragile sia la struttura delle piccole imprese e, di conseguenza, la

forma organizzativa del distretto industrial enel caso studiato, si sono analizzate le unità

locali evidenziando quelle di pertinenza delle quattro aziende13 leader

Tabella 8. Numero di unità locali per classe di addetti 1995 -2001

UL 1995 1996 1997 1998 1999 2001Q20 addetti 91 68 62 94 79 114

1-10 addetti 556 599 594 536 479 47511- 50 addetti 145 184 171 167 156 14151- 100 addetti 15 17 15 14 14 16 +

De Rigo - LongaroneMarcolin - Longarone

101-500 addetti 8 10 8 8 8 3 +Luxottica - Cencenighe

Sàfilo - CalalzoDe Rigo (2) - Limana

Marcolin (2) – Domegge di Cadore

501-999 addetti 1 0 0 1 1 Luxottica - SedicoOltre 999

addetti1 1 2 2 2 Luxottica - Agordo

Sàfilo - LongaroneFonte: Istat, elaborazione Progest su dati Infocamere, Sast forniti dalla CCIAA di Belluno. Sono esclusi i produttori di astucci e macchinari

La ridotta dimensione dell’organico, la prevalenza del lavoro famigliare nelle fasi

produttive, l’articolazione delle attività economiche in strutture societarie prive di

personalità giuridiche sono le determinanti principali del funzionamento dell’assetto

organizzativo della PMI distrettuale. Una struttura certamente snella e agile ma anche

sottocapitalizzata, sottodimensionata (perché per acquistare macchinari è necessario

investire) priva di un sistema di analisi, programmazione e controllo in grado di

orientare le decisioni del piccolo imprenditore.13 Delle unità locali di pertinenza dei quattro leader si considerano solo gli stabilimenti, non gli archivi e i depositi (il numero di addetti in essi impiegati è insignificante e difficilmente distinguibile dalle altre realtà produttive). Quanto agli uffici, essi sono adiacenti agli stabilimenti, tranne che per Luxottica che ad Agordo non dovrebbe impiegare più di 44 persone.

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La mancanza di cultura manageriale può fare la differenza tra una piccola attività

innovativa e un’azienda innovativa ma globale, come si è visto nel caso della Marcolin

che, con l’ingresso nel management delle nuove generazioni, dopo anni di crescita

modesta ha rivoluzionato le proprie strategie ed è stata premiata da tassi di crescita

decisamente superiori alle performance realizzate nei decenni precedenti.

Anceh la scelta di una struttura societaria non dotata di personalità giuridica è spesso di

ostacolo allo sviluppo dell’attività. Spesso la semplicità degli adempimenti fiscalmente

imposti dalle società di persone, induce l’imprenditore a sottovalutare l’importanza di

alcuni fondamentali strumenti di supporto al processo decisionale, dalla contabilità alla

programmazione, al controllo dei costi di produzione. Così facendo, il prezzo finale

diviene l’unica variabile utilizzabile per incidere sui margini aziendali assieme al lavoro

famigliare, il cui contributo reale, non essendo soggetto a formalizzazioni contrattuali,

viene difficilmente quantificato. Poiché i collaboratori famigliari sono il 64.1% degli

addetti delle 569 unità locali con meno di 20 dipendenti, si capisce come la possibilità

di reperire manodopera a basso costo all’interno della cerchia parentale abbia

rappresentato un punto di forza quando la domanda tirava e c’era spazio per tutti, ma,

successivamente, sia stato uno dei principali motivi (ma non l’unico) della perdita di

competitività del sistema industriale locale.

5. Conclusioni

In questo studio si è tentato di illustrare l’evoluzione delle forme organizzative

nell’occhialeria bellunese e si è valutato come, a parità di contesto, di fronte alla

crescente pressione competitiva internazionale, tali forme si siano dimostrate

diversamente efficaci ed efficienti nello spazio e nel tempo.

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Il modello organizzativo del distretto marshalliano ha costituito la forma più efficiente

fino agli anni ottanta.

Le difficoltà che il modello organizzativo del distretto ha progressivamente incontrato

nell’affrontare il nuovo contesto competitivo, si sono tradotte:

Nella contrazione, del numero delle imprese che costituiscono il tessuto distrettuale,

e delle prestazioni a livello complessivo del distretto in termini di fatturato e di

esportazioni; verificatasi quando, alla debole permeabilità che il modello distrettuale

presenta di fronte a strategie innovative di risposta alle trasformazioni del mercato, si è

andato a combinare il sopraggiungere di condizioni congiunturali non favorevoli.

Nell’incapacità delle imprese distrettuali di sviluppare nuove strategie comuni,

capaci di rafforzare l’innovazione, di presidiare i collegamenti con i canali distributivi,

di sviluppare strategie di marketing globali (ad es. politiche di marchio).

Nella crisi del sistema di relazioni intradistrettuali che, prevalentemente basato su

fattori informali e sociali, da un lato rimane focalizzato su basi di conoscenza (quelle

produttive) insufficienti a competere e, dall’altro, è troppo debole a garantire il

coordinamento in un contesto via via più complesso.

In seguito a ciò, già da qualche tempo, si è sviluppata nel distretto bellunese una

tensione verso la ricerca di nuovi patterns organizzativi capaci di affrontare la sfida

della globalizzazione senza venirne travolti.

L’espressione più evidente, e riuscita, di questa ricerca si riscontra nell’affermazione,

all’interno del distretto, di un numero ridotto di imprese guida che, scegliendo la strada

dell’integrazione verticale, non solo sono arrivate a concentrare nelle proprie mani gran

parte del fatturato finale, ma hanno impresso una svolta all’assetto strutturale ed alle

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regole di condotta che per anni hanno governato il distretto dell’occhiale.

Sembra dunque che la forma organizzativa gerarchica stia avendo la meglio su quella

del “mercato comunitario”, secondo un processo che richiama il confronto tra

l’efficeinza comparata delle forme organizzative proprio dell’economia

dell’organizzazione, ovvero i processi di selezione e adattamento propri dell’ecologia

delle popolazioni organizzative.

A prima vista sembrerebbe trattarsi della “rivincita” della impresa gerarchica, la cui

efficienza comparata è maggiore, almeno in questa fase e con riferimento al settore

oggetto di questo studio. Tuttavia, più che di un ritorno al passato, si tratta di una fase

evolutiva completamente nuova. In primo luogo perchè l’affermazione di un modello

organizzativo gerarchico nel bellunese non costituisce un’involuzione del distretto

(l’attività di produzione degli occhiali, infatti, nel passato è sempre stata svolta da

imprese di dimensioni “piccole”, e mai da imprese di grandi dimensioni). In secondo

luogo perchè il modello organizzativo gerarchico adottato dalle imprese leader, pur

richiamando alcuni elementi classici dei modelli burocratici (accentramento,

specializzazione, scala, ecc.), in realtà se ne discosta significativamente. Le nuove

imprese leader hanno infatti sviluppato strutture organizzative articolate e complesse

conservando però “il sistema di valori, l’identità culturale e lo stile di management”

(Brunetti e Camuffo, 2000) che le hanno caratterizzate sin dai primi anni della loro

costituzione, e che spesso è parte della cultura distrettuale. In tale modo hanno potuto

crescere a livello dimensionale rimanendo “snelle” e flessibili, evitando la

burocratizzazione.

BIBLIOGRAFIA

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NOTE

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