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E danzando canteranno:
“Sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 86,7)
Comunità pastorale San Fermo-Nerviano - pellegrinaggi 2017 nella terra del Santo
La fonte,
la lettera,
il profumo.
Gerusalemme
Tornare a Gerusalemme,
perché ? “Mi hai rapito il cuore”
Ct 4,9
Tornare a Gerusalemme, perché?
Potrà qualcuno ancora cantarti questo
dolcissimo canto, o Gerusalemme?
Gerusalemme, ovvero la città oggi più divisa
fra tutte, e armata e contesa! Già quando il suo
più umile Pellegrino si affacciò alle porte, «alla
visione della città, pianse su di essa dicendo: -
Se avessi compreso anche tu, in questo giorno,
la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai
tuoi occhi...». E noi, avremo ancora una città su
cui piangere? Avrà ancora l'uomo una città?
Canto alla città della pace
Oh, l'allegria all'udire l'annuncio:
«Andiamo, andiamo alla casa di Dio».
Già fermi i piedi sostiamo davanti
alle tue porte, o Gerusalemme.
Gerusalemme è ben costruita,
pietra su pietra, a incastro, compatta:
là le tribù da ogni parte ascendono,
ogni tribù del Signore Iddio:
tutte a irradiare il nome di Dio
come da sempre è legge a Israele:
là il Giudizio ha posto il suo trono,
eretto il trono la casa di David!
Salmo 122
Tornare a Gerusalemme, perché?
Pace per sempre a Gerusalemme,
pace per tutti i suoi amanti,
pace riposi su tutte le mura,
prosperità ad ogni tuo palazzo.
Per i fratelli e tutti gli amici
io ti dirò:
«Sopra te scenda la pace».
E per la casa del nostro Iddio
io chiederò:
«Venga a te ogni bene».
(traduzione P.D.M. Turoldo)
Tornare a Gerusalemme, perché?
Salmo 122
“Si tratta di tornare alla sorgente, a
Ghichon, ai piedi della città di Davide,
di quella collina che la Bibbia chiama
“la spalla del gebuseo” (Gs 15,8) .
E’ là dove ciascuno di noi è nato.
E’ un ritorno verso la madre, verso il
principio; è un ritorno alla fonte della
consolazione:
“In Gerusalemme sarete consolati...”
.
Tornare a Gerusalemme, perché?
Gerusalemme è città della
consolazione.
Si torna a Gerusalemme per essere
consolati sulle ginocchia della madre.
Anche se la “città della pace” –
secondo una etimologia popolare –
non ha mai conosciuto la pace, essa
rimane la città della consolazione.
Babele è la città degli uomini,
costruita per farsi un nome:
l’umanesimo concepito
a prescindere da Dio.
Tornare a Gerusalemme, perché?
Sul modestissimo colle del Sion,
fuori da ogni grande strada di
comunicazione, ecco edificata
la città costruita per gli uomini e
le donne della terra.
Gerusalemme è il laboratorio
dell’umanità che impara a farsi
dare un nome (cioè un senso,un
perché – il mistero della propria
vocazione alla vita).
Tornare a Gerusalemme, perché?
Gesù non sì è fatto un nome: si è
Spogliato della sua gloria: per questo il
Padre gli ha dato il nome di Signore. (Fil 2)
Tornare a Gerusalemme, perché?
Tornare a Gerusalemme, perché?
Chi va a Gerusalemme impara a farsi costruire da Dio. Occorre imparare l’umiltà da Gerusalemme. Gerusalemme è il luogo della lotta. È il laboratorio pedagogico dell’educazione di Dio. Nella città del Santo ci si saluta in continuazione con Shalom o Salam, dimenticandosi che la pace è un mistero che non è nelle nostre mani.
Yerushalayim, in ebraico, è nome duale. C’è un solo Dio e c’è una sola terra, ma ci sono due fratelli: due popoli per un solo paese. Diventare a immagine di Dio vuol dire diventare Uno a partire da due. Per gli evangelisti la sorgente della consolazione – Ghichon – è associata al costato trafitto del Messia….
Tornare a Gerusalemme, perché?
…Il cuore trafitto è la fonte nascosta di Gerusalemme: da lì passa il cammino della pace. Gesù scelse il cammino dell’ amore fino a morire. E’ questa la sorgente segreta che fa vivere Gerusalemme. Comprendiamo il pianto di Gesù sulla sua città:” Se tu avessi saputo oggi come si arriva alla pace” (Lc 19).
F.Rossi De Gasperis S.J., Cominciando da Gerusalemme.
Tornare a Gerusalemme, perché?
Sinagoga del Medical Center Hadassah, Ain Kerem
Dodicesima finestra,
Beniamino
“Per me una vetrata è una parete trasparente posta tra il mio cuore e il cuore del mondo”
Mark Chagall(1887-1985)
Dodicesima finestra. Beniamino
L’ arte è missione: il pittore è un profeta, cui compete rivelare un’altra realtà. La sinagoga è luogo di riunione. Il rapporto con Dio si instaura per mezzo della preghiera comunitaria dell’assemblea di persone che realizzano, in seno all’assemblea, l’elezione.
Dodicesima finestra. Beniamino
Le finestre di una sinagoga cantano l’ alternarsi dei momenti della preghiera del mattino, del mezzogiorno, della sera. La luce scolpisce lo spazio creando l’illusione del movimento; nell’avvicendarsi delle ore l’edificio partecipa del ritmo orante della comunità.
I dodici figli di Giacobbe - Israele ricevono dal Patriarca la Benedizione: ciascuna tribù riceve il proprio destino individuale..
Dodicesima finestra. Beniamino
Dodicesima finestra. Beniamino
Le vetrate si dispongono come una corona luminosa al di sopra dello spazio centrale della sinagoga. Le 12 tribù vegliano sull’Arca santa. Per capire la disposizione cromatica, testo fondamentale è Es 28,4-21: il paramento del Sacerdote Aronne. La vetrata di Chagall prima ti stordisce nell’insieme dei colori; poi lo sguardo seleziona ogni vetrata. La vetrata sta in alto, sovrasta lo spazio terrestre degli uomini, si apre alla luce, alla Trascendenza, a Colui che disse “Sia la luce”.
Dodicesima finestra. Beniamino
Raccogliamo un pensiero pronunciato dall’autore nel giorno dell’inaugurazione della Sinagoga , 06.02.1962: “Più il nostro tempo rifiuta di guardare all’aspetto globale del mondo per considerare solo una piccola porzione della sua pelle, più io divento inquieto …” (M. Chagall)
.
La Sinagoga realizza le parole della profezia di Ezechiele:” Le porte della città avranno il nome delle tribù d’Israele. E il nome della città sarà per sempre:” Jahvè è là”.”
.S. Forestier, Chagall, Jaca Book
Dodicesima finestra. Beniamino
L a l e t t e r a
La lettera Bet , seconda lettera dell’
alfabeto ebraico, prende origini dal
termine Bayit che significa la “casa”.
La casa, con la sua forma e la sua
destinazione, è simbolo di ricettività
E’ una lettera femminile:
è la casa di tutta la creazione.
E’ la lettera con cui comincia la
Scrittura: bereshit, in principio;
con due parole bara, creare,
shit smettere, riposare.
Il davanti della casa manca perché
l’uomo non deve occuparsi di quello
che c’è prima, di quello che c’è sopra e
di quello che c’è sotto, ma deve andare
avanti.
Bet è in qualche modo una direzione… Bet indica la dualità. Il “due” è l’ elemento chiave dell’ebraismo: una cosa sola è Uno, ed è Dio; tutto il resto è due, cioè “io la penso così ma un altro la pensa così”, “ questa è una interpretazione ma ce ne può essere un’altra”. Guai chiudere la pluralità in una unità che l’uomo non ha diritto di creare.
Paolo De Benedetti, L’alfabeto ebraico, Morcelliana
L a l e t t e r a
Ain Karem
La visitazione di Maria a Elisabetta può essere vista come il mistero dell’“andare” cristiano. Andare è essere per gli altri: disponibili a servire come il Figlio dell’Uomo, nella gratuità e nell’umiltà.
Ain Karem
La Visitazione è il mistero dell’ andare “dimorando” nella carità di Cristo. L’andare di Maria, è, infatti, l’andare stesso del Salvatore; è l’andare con il Salvatore, in comunione con Lui.
Ain Karem
La Visitazione è il mistero dell’
andare “ubbidendo”. Si va con il
senso della missione.
Si va perché Qualcuno manda: è
Gesù Cristo,
lo Spirito.
L’azione è posta in questo
atteggiamento di distacco, di
libertà, di “indifferenza”:
compio la volontà del Padre.
Ain Karem
E’ il canto di Maria che legge la
storia alla luce della sapienza di
Dio: il Signore ha fatto e continua a
fare grandi cose.
C’è un Altro che si fida di noi, che ci
affida una Missione.
Si impara da Maria a sperare e a
far sperare perché noi non siamo i
figli della notte – anche se la fede ci
fa camminare come in una notte –
ma i figli del giorno, del Risorto.
Magnificat
Magnificat è il canto dei poveri davanti a Dio: solo Dio fa cose grandi.
Magnificat è il canto di coloro che riconoscono che il Signore ha una via,
una direzione.
Magnificat è il canto di coloro che imparano a essere contenti del Signore.
G. Moioli, Il Mistero di Maria, Glossa
Magnificat
Betlemme dove il Verbo
si fece carne
e abitò fra noi
““Cominciò ad abitare in Maria, “nel suo corpo e nel suo
cuore, dice il Concilio Vat.II.
Non sarebbe stato un rapporto totale di maternità,
senza questo abitare nel cuore.
Il Salvatore non abita nel cuore se non perché il cuore
aderisce radicalmente nella fede.
Maria diventa il tempio, la prima tenda della presenza
di Dio nel mondo.
La collaborazione di Maria al dono della vita, è la
collaborazione di una donna: e la vita donata è la vita di
Cristo.
Prende, con Maria, l’ avvio della chiesa: uomini e donne
che si ”configurano” (prendere la forma) a Gesù.
A nostra volta diventiamo il luogo storico di questo
abitare di Dio, della sua presenza.
Il Verbo deve abitare nel mondo.
Tocca a noi essere il luogo della sua presenza.
Betlemme
Nazareth
Oggi si è adempiuta
la scrittura
Comprendiamo perché
dobbiamo tenere una disciplina
spirituale, se vogliamo seguire
la dottrina del Vangelo e
diventare discepoli del Cristo”..
Paolo VI-Servo di Dio Discorso a Nazareth, 5 gennaio 1964
Rimane memorabile il discorso
del Servo di Dio Paolo VI nella sua
visita a Nazaret.
Il Papa Paolo VI disse che alla
scuola della Santa Famiglia noi
«comprendiamo perché dobbiamo
tenere una disciplina spirituale, se
vogliamo seguire la dottrina del
Vangelo e diventare discepoli del
Cristo».
Benedetto XVI, 2011
Oggi si è adempiuta la scrittura
E aggiunse: «In primo luogo
essa ci insegna il silenzio. Oh! se
rinascesse in noi la stima del
silenzio, atmosfera ammirabile ed
indispensabile dello spirito:
mentre siamo storditi da tanti
frastuoni, rumori e voci clamorose
nella esagitata e tumultuosa vita
del nostro tempo.
Oggi si è adempiuta la scrittura
Oh! silenzio di Nazaret,
insegnaci ad essere fermi nei buoni
pensieri, intenti alla vita interiore,
pronti a ben sentire le segrete
ispirazioni di Dio e le esortazioni
dei veri maestri»
(Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964)
Benedetto XVI, 2011
Oggi si è adempiuta la scrittura
Deserto
Camminare nel deserto
Il deserto è il luogo in cui
Dio ha formato il suo
popolo:” Lo educò, ne ebbe
cura, lo allevò, lo custodì
come pupilla del suo occhio”.
Dt 32
Ma il deserto è pure il teatro della
tentazione, della mormorazione, della
ribellione.
Nel deserto occorre scegliere tra la
fiducia in Dio o la disperazione di chi
si butta per terra e si lascia morire.
Il luogo in cui ci troviamo porta il segno
del digiuno di Gesù, della sua sete, della
sua fame, delle sue preghiere notturne,
delle sue grida a Dio, della sua recita
dei Salmi, del suo affidamento a Dio, e
anche della tentazione a opera di
Satana.
Camminare nel deserto
Essere chiesa nel deserto significa
anzitutto che essa cerca il deserto e di
esso si nutre.
Da tutta la cristianità migliaia di persone
sono venute per nutrirsi di Dio e nutrire
la loro Chiesa.
Essere Chiesa nel deserto significa
prendersi cura di quanti, nel deserto
della nostra società, giacciono ai lati
come poveri, emarginati, esclusi,
sofferenti, disperati.
Siamo nei luoghi della parabola del
samaritano e dell’uomo lasciato ai bordi
della via…
Camminare nel deserto
Essere Chiesa nel deserto significa
affrontare anche la persecuzione,
la critica, il non successo, il non
potere, la debolezza.
Ma il Pastore conduce …
C.M.Martini, 22.02.1992
Camminare nel deserto
Il vangelo delle sorgenti Messosi a sedere…li ammaestrava
Monte delle Beatitudini
Il Discorso della montagna – vangelo di Matteo cc 5 – 7 – è pieno di affetto, di tenerezza, di fiducia filiale: è lo sguardo su Dio conosciuto come Padre. Ci insegna a vivere la paternità divina e la nostra figliolanza. Non è un decalogo di un signore: è la legge del Padre che vuole che i suoi figli siano felici e spiega loro come comportarsi per esserlo.
Il Vangelo delle sorgenti
Cuore e centro di queste parole è l’insegnamento del Padre nostro, la consegna della parola pregnante e ricorrente: Padre. “Pregando, non sprecate le parole ….”
C.M. Martini, Il Discorso della montagna
Il Vangelo delle sorgenti
Dominus flevit
Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei
Lc 19,41-44
Il pianto di Gesù davanti a Gerusalemme è il segno dell’“amore pazzo di Dio per il suo popolo”. È un “amore senza misure” il suo, cui, però, corrisponde “la risposta del popolo egoista, sfiduciata, adultera, idolatrica”.
Dominus flevit
Dire che quello di Gesù è un “amore pazzo”, “sembrerebbe una bestemmia ma non lo è”. Anche nell’Antico Testamento, infatti, i profeti Osea e Geremia esprimono l’amore di Dio per Israele, mentre Gesù rimprovera Gerusalemme: “perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.
Dominus flevit
Gesù lamenta l’“infedeltà” di Gerusalemme, incapace di “riconoscere le carezze di Dio, l’amore di Dio, di un Dio innamorato che ti cerca”. “Gesù pianse non solo per Gerusalemme, ma per tutti noi. Sant’Agostino diceva una parola, una frase molto forte: ‘Ho paura di Dio, di Gesù, quando passa!’. Ma perché hai paura? ‘Ho paura di non riconoscerlo!’.
Papa Francesco, in S Marta 17.11.2016
Dominus flevit
Cenacolo La Pasqua è una festa di famiglia: viene celebrata nella sicurezza della propria casa.
Si fa la memoria della notte dell’Egitto quando caos e tenebre irruppero nella profondità del mondo e dell’uomo. La casa del fedele ebreo offre a tutti i componenti un argine, una protezione: è luogo di shalom. Anche i pellegrini senza famiglia si aggregano e cercano tra le mura solide di Gerusalemme, la sicurezza: non si esce dalla città, non si affrontano le tenebre da soli. Si sta nella compagnia della cena pasquale.
Cenacolo
Getsemani Sii con noi nella notte del mondo e nella nostra notte. Lasciaci entrare nella tua solitudine che è La comunione con il Padre tuo.
Ma Gesù con i suoi discepoli contravviene alla legge: esce dalle mura del cenacolo, si avventura fuori dalla città santa, oltrepassa il torrente Cedron per entrare con loro nel caos delle tenebre del Getsemani. In una parola: discese agli inferi. Il Getsemani è la cappella della sua solitudine e della sua angoscia mortale.
Cenacolo
Al calvario La roccia che ti ha generato
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua croce hai redento il mondo. Il ricordo Qui, dove tu, o Signore Gesù, l'innocente, sei stato accusato, il giusto, sei stato giudicato, il santo, sei stato condannato, tu, Figlio dell'uomo, sei stato tormentato, crocifisso e messo a morte,
La roccia che ti ha generato
tu, Figlio di Dio, sei stato bestemmiato, deriso e rinnegato, tu, la luce, sei stato spento, tu, il Re, sei stato innalzato su una croce, tu, la vita, hai subìto la morte e tu, morto, sei risorto alla vita: noi ci ricordiamo di te o Signore Gesù; noi ti adoriamo o Signore Gesù; noi t'invochiamo o Signore Gesù.
La roccia che ti ha generato
Siamo qui, o Signore Gesù. Siamo venuti come i colpevoli ritornano al luogo del loro delitto, siamo venuti come colui che ti ha seguito, ma ti ha anche tradito, tante volte fedeli e tante volte infedeli, siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto fra i nostri peccati e la tua passione:
La roccia che ti ha generato
l'opera nostra e l'opera tua, siamo venuti; per batterci il petto, per domandarti perdono, per implorare la tua misericordia, siamo venuti perché sappiamo che tu puoi, che tu vuoi perdonarci, perché tu hai espiato per noi; tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza.
La roccia che ti ha generato
Agnello di Dio, tu che togli i peccati del mondo perdonaci, o Signore; Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo ascolta la nostra voce, o Signore; Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi, o Signore. Signore Gesù, redentore nostro, ravviva in noi il desiderio e la confidenza nel tuo perdono, rinfranca la nostra volontà di conversione e di fedeltà, facci gustare la certezza e anche la dolcezza della tua misericordia.
La roccia che ti ha generato
Signore Gesù, redentore e maestro nostro, dacci la forza di perdonare agli altri, affinché anche noi possiamo essere da te veramente perdonati. Signore Gesù, redentore e pastore nostro, metti in noi la capacità d'amare come tu vuoi, sul tuo esempio e con la tua grazia, te e quanti in te ci sono fratelli.
Paolo VI al Calvario, 04.01.1964
La roccia che ti ha generato
Anastasis. Non è qui! É risorto
Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo “fu crocifisso, morì e fu sepolto”, e che “il terzo giorno risuscitò dai morti”.
Anastais. Non è qui. È risorto!
Anastais. Non è qui. È risorto!
Innalzato alla destra del Padre, Egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci “trafiggere il cuore” (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata.
Anastais. Non è qui. È risorto!
Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele. La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (Rm 5,5). La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama.
Quest’antica chiesa dell’Anastasis offre una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo.
Benedetto XVI, 15 maggio 2009
Anastais. Non è qui. È risorto!
Cesarea marittima Mare nostrum
Gli atti degli Apostoli – e il nostro pellegrinaggio – si concludono a Roma, meta ultima della missione apostolica. Paolo giunge in catene a Roma. Si compie la profezia di Gesù detta a san Pietro:” Quando sarai vecchio … un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18) La Chiesa giudica il mondo; e intanto è accusata, perseguitata, subisce la condanna del mondo e il giudizio degli uomini. Roma entra quasi per caso nella rivelazione antica, vi entra in pieno nella rivelazione nuova, nella storia della Chiesa. Da Gerusalemme – dove tutto è cominciato – gli apostoli sono partiti, ma da Roma non partono più. Paolo non fonda la comunità cristiana di Roma, vi viene accolto: è questa comunità che non conosce che gli dà forza e coraggio. La missione a Roma diventa universale.
Mare nostrum
Coloro che avevano ricevuto la grazia, sono sordi alla sua Parola. La condizione della Chiesa rimane la condizione di Paolo in catene, mentre annuncia il Vangelo. Noi, riapprodati sulle terre di Roma, siamo prigionieri di questo mondo che non ci conosce o ci sente estranei a sé: in una certa libertà vigilata, rendiamo testimonianza al Signore Risorto. La vita spirituale è l’essere posseduti dal Signore, strappati alle proprie radici a servizio del Signore, per gridare una Parola al mondo tale da rompere la sua sordità. Il viaggio …comincia a Gerusalemme (Lc 24), fino a Roma, agli estremi confini del mondo.
Don Divo Barsotti, Meditazione sugli Atti degli apostoli
Mare nostrum
3/8 gennaio 2017
22/26 febbraio 2017