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Manuale di economia e gestione degli intermediari finanziari.
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1) LE FUNZIONI DEL SISTEMA FINANZIARIO
Che cos’è il sistema finanziario?
E’ l’insieme di: strumenti finanziari, mercati finanziari, intermediari finanziari e autorità di
vigilanza.
Questi quattro organi vanno a formare una struttura tramite cui, in un economia moderna
si svolge l’attività finanziaria, cioè la produzione e l’offerta di servizi finanziari.
Gli strumenti finanziari sono una particolare categoria di contratti che incorporano diritti
patrimoniali e non. Hanno ad oggetto diritti e prestazioni di natura finanziaria.
Costituiscono quindi una forma di rappresentazione della ricchezza che ne rende più
semplice la detenzione e il trasferimento.
Proprio la detenzione della ricchezza attraverso gli strumenti finanziari rappresenta un
passaggio fondamentale all’economia moderna (l’investitore partecipa ai redditi di un
impresa senza la complicazione della proprietà fisica).
Le principali funzioni sono:
- Denominazione della ricchezza (incorporando una frazione del valore dell’azienda
in strumenti finanziari, si rende partecipe anche il piccolo investitore).
- Trasferimento della ricchezza (gli strumenti finanziari circolano più velocemente
della ricchezza reale.
- Diversificazione del rischio (gli strumenti finanziari sono rischiosi).
- Separazione del rischio (Vi sono molti strumenti finanziari con diverse dosi di
rischio).
I mercati finanziari sono mercati specializzati nella negoziazione degli strumenti
finanziari.
Gli intermediari finanziari sono una particolare classe di imprese che svolgono
essenzialmente attività finanziaria.
Il SISTEMA FINANZIARIO si occupa invece di:
- Trasferimento delle risorse.
- Regolamento monetario degli scambi.
- Trasferimento e gestione dei rischi.
OFFERTA DI STRUMENTI DI REGOLAMENTO DEGLI SCAMBI
Uno degli aspetti che più caratterizzano un moderno sistema economico è rappresentato
dai livelli di specializzazione raggiunti al suo interno.
Un tale sistema, ovviamente, deve disporre di meccanismi di scambio e regolamentazione
degli scambi molto sviluppati ed efficienti.
Uno dei fattori alla base della funzionalità degli scambi è il sistema dei pagamenti.
Si può facilmente comprendere quale progresso sia stato possibile passando da un
economia di baratto ad un economia monetaria, in cui esiste un bene accettato come
moneta e accettato diffusamente come regolamento di una transazione (la moneta
accresce l’area di scambio).
Non è più necessario dedicarsi alla produzione per le esigenze di autoconsumo; si può
produrre per il mercato, sfruttando i vantaggi della specializzazione.
IL TRASFERIMENTO DELLE RISORSE FINANZIARIE
La crescita di un sistema economico è basata sul volume e sulla natura degli investimenti.
Ovviamente il volume degli investimenti finanziabili è condizionato dalla capacità di
accumulazione del risparmio.
ACCUMULAZIONE e ALLOCAZIONE del risparmio costituiscono due aspetti
fondamentali dell’attività del sistema finanziario.
presuppongono che il sistema crei condizioni favorevoli alle:
- Decisioni di risparmio delle unità in surplus;
- Decisioni di investimento del risparmio;
- Decisioni di finanziamento dei soggetti in deficit.
Il trasferimento delle risorse ha origine da una condizione di diversità di posizione dei
soggetti dell’economia. Alcuni di questi (soggetti in surplus) dispongono, al presente, di
potere di acquisto in eccesso e sono disposti a scambiarlo con potere di acquisto futuro
(risparmiatori e detentori di ricchezza). Altri soggetti (soggetti in deficit) si trovano in una
posizione opposta: hanno un deficit di potere d’acquisto che possono risolvere utilizzando
risorse altrui, procurate attraverso contratti di finanziamento.
Le diversità di posizione giustificano un processo di trasferimento delle risorse all’interno
del sistema economico.
Il sistema finanziario opera in diversi modi al fine di rendere funzionale ed efficiente il
processo di trasferimento delle risorse:
- Definizione delle forme contrattuali
- Sviluppo dei mercati come momento di incontro.
- la presenza di intermediari in grado di svolgere funzioni integratrici dello scambio e
di offrire servizi che agevolano la circolazione degli strumenti finanziari.
Ciò realizza un meccanismo attraverso cui si realizza un accentramento delle risorse
provenienti da una moltitudine di risparmiatori e la ridistribuzione delle stesse tra i diversi
possibili utilizzatori.
LE FUNZIONI DEL SISTEMA FINANZIARIO NEL TRASFERIMENTO DELLE RISORSE
L’attività finanziaria è rischiosa.
I fattori attraverso cui il sistema finanziario rafforza e rende più efficiente il processo di
trasferimento delle risorse finanziarie sono:
- L’informazione;
- La liquidità;
- La trasformazione del rischio.
L’informazione perché è necessario avere informazioni ex ante (affidabilità controparte)
ed ex post (corretto utilizzo dei fondi).
La liquidità è la possibilità di smobilizzare l’investimento prima della scadenza.
Contribuisce infatti a ridurre i rischi per il datore di fondi e a rendere più agevole l’incrocio
di scambio con i prenditori di fondi.
Riguardo la trasformazione del rischio vi sono due meccanismi principali attraverso cui
la trasformazione del rischio viene realizzata ( il sistema finanziario fa trovare ad ognuno
strumenti consoni alle esigenze personali) :
- un intermediario si interpone assumendo sul proprio bilancio una parte dei rischi
del prenditore.
- i datori hanno la possibilità di impiegare il risparmio sotto forma di partecipazione a
un portafoglio di strumenti finanziari (più basso rispetto a quello del singolo prenditore)
LA GESTIONE DEI RISCHI
Avviene attraverso 2 modi:
- i contratti a termine: regolamento a una data futura a un prezzo fissato oggi;
- l’attività assicurativa: speciale area del sistema finanziario che ha per oggetto la
negoziazione dei cosiddetti rischi puri, i rischi cioè che si manifestano sotto forma di
perdite o danni futuri e incerti nella frequenza e nella gravità. La gestione dei rischi tramite
una polizza comporta il trasferimento del rischio a un intermediario specializzato;
l’assicurato trasforma un evento futuro e incerto nella gravità e nella frequenza in un costo
certo (premio polizza).
I soggetti in surplus cercano direttamente le loro controparti, compatibili per importo e
condizioni di scambio. Un sistema elementare a “ricerca diretta” di questo tipo prevede,
però, che una parte dei creditori preferirà rinunciare, a motivo dell’elevato rischio.
- Gli intermediari hanno il compito di ridurre il gap informativo tra creditore e debitore.
- Ogni contratto è una combinazione di elementi tecnici (scadenza, garanzie,
rimborso, etc..). Le caratteristiche principali di un contratto sono: RENDIMENTO e
RISCHIO. Sulla base della combinazione RENDIMENTO/RISCHIO i contratti si
classificano lungo una curva di mercato (per rischi crescenti => rendimenti crescenti). Di
solito, tra i contratti di credito, quelli a scadenza più lunga sono più rischiosi.
2) LA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA
DAL BARATTO ALL’ECONOMIA MONETARIA
Percorso storico della moneta: Baratto – Moneta merce – Moneta segno.
Oggi la moneta può essere definita come: l’insieme dei mezzi generalmente accettati
come strumento di pagamento.
- Il baratto richiede doppia coincidenza di preferenze; i costi da ricerca della controparte
sono elevati.
- Il passaggio dal baratto allo scambio regolato da un mezzo di pagamento è l’importante
perché: accresce la possibilità di scambio; consente di aumentare il numero dei fabbisogni
soddisfatti; i tempi e i costi si riducono; la possibilità di scambio incentiva la produzione.
Si accresce lo spazio per il passaggio da un’economia di autoconsumo a un economia di
scambio. Questo a sua volta è il presupposto per la specializzazione delle attività
economiche.
In un’organizzazione economica in cui ogni soggetto si specializza nelle attività in cui
riesce meglio, è probabile che si possano ottenere risultati complessivi più soddisfacenti;
vengono sviluppate l’esperienza e la competenza relativa a una specifica attività.
Moneta merce => Moneta segno
La Moneta merce è un bene, che poi, col tempo, assume la forma dei metalli preziosi,
perché poco ingombranti e durevoli nel tempo. Però, vi era simmetria tra valore facciale e
valore intrinseco; una moneta d’oro ha un valore pari a quello del metallo che contiene.
Il passaggio verso la moneta segno si ha perché si può sostituire la moneta merce con
titoli rappresentativi della stessa. Così si riducono costi e rischi.
Questi certificati devono essere riconosciuti da tutti; è così che nasce la moneta segno.
Nel tempo, la funzione di emettere titoli diviene monopolio degli stati: nasce la moneta
legale, cioè riconosciuta in dispositivi normativi.
In seguito, si sviluppano procedure alternative alla moneta legale (depositi in c/c).
nasce la moneta bancaria, che prevede vantaggi di sicurezza e costo (si basa sulla fiducia
del pubblico nell’affidabilità dei debiti bancari – depositi – come mezzi di pagamento). Con
la tecnologia, la moneta bancaria è diventata sempre più efficiente.
Economia monetaria: è un termine che si utilizza con riferimento all’organizzazione di un
sistema economico in cui gli scambi di beni e servizi sono regolati attraverso la moneta.
Ciò significa che, normalmente, è la moneta del paese di riferimento.
I FATTORI CHE INFLUENZANO L’EVOLUZIONE DELLA MONETA
L’evoluzione storica degli strumenti di pagamento è influenzata da alcuni fattori:
- Il costo, in relazione alla produzione, utilizzo e mantenimento della moneta
(trasferimenti, sicurezza…);
- Il rischio, possibilità di perdite (furti, frodi…);
- La funzionalità, capacità della moneta di rendere un “servizio”.
LE FUNZIONI DELLA MONETA
Dal punto di vista economico, la moneta svolge almeno tre funzioni:
- mezzo di scambio
- unità di conto, cioè misurazione del valore di attività reali e finanziarie (prezzi);
- riserva di valore, possibilità di trasferire il valore della moneta del tempo.
CHE COS’E’ OGGI LA MONETA
La definizione di moneta comprende il circolante cioè la moneta legale, detenuta dal
pubblico, e i depositi monetari, cioè i depositi che per la natura del contratto consentono
un utilizzo come mezzo di pagamento (emissione di assegni). Nel gergo economico è
l’aggregato M1.
M1 = moneta legale + depositi monetari
M2 = M1 + depositi a due anni
(la componente aggiunta è rappresentata da strumenti finanziari che non consentono al
titolare un diretto utilizzo come mezzo di pagamento; tuttavia, essi possono essere
convertiti rapidamente in moneta)
M3 = aggregato ancora più esteso, fino a comprendere componenti quali i titoli di mercato
monetario, le quote di fondi comuni monetari, le obbligazioni con durata fino a due anni.
I CIRCUITI REALI E I CIRCUITI MONETARI
L’utilizzo della moneta nel regolamento degli scambi comporta uno sdoppiamento dei
circuiti economici.
ogni flusso si caratterizza per due flussi di segno opposto:
- quello dei beni e servizi dal venditore al compratore;
- quello della moneta dal compratore al venditore.
- CIRCUITO REALE (verde)
- CIRCUITO MONETARIO (rosso)
BENI E SERVIZI
PREZZI
PRODUTTORI CONSUMATORI
SALARI E RENDITE
LAVORO E CAPITALE
I due flussi non sono necessariamente simultanei, ma i valori risultanti da questi due
circuiti sono equivalenti.
- Y (<<prodotto finale>>), può essere visto come somma di beni di consumo (C) e di beni
di investimento (I):
Y = C + I => misura del PIL
- <<reddito nazionale>>, può essere visto come somma di spesa per consumo (C) e quota
di reddito non consumata (risparmio, S):
Y = C + S
- In un economia chiusa è S = I (la formazione di K è legata al risparmio).
- In un economia aperta, potrebbe essere S ≠ I ( S<I saldo negativo)
( S>I saldo positivo)
IL RISPARMIO E IL PATRIMONIO DELLE UNITA’ ECONOMICHE
Ogni soggetto (famiglia, impresa, ente) in un dato intervallo di tempo, presenta un
equilibrio economico espresso dalla differenza tra ricavi e costi; tale differenza, se positiva,
costituisce il risparmio.
- Famiglia: redditi percepiti – spese x consumi = risparmio per
- Impresa: ricavi – costi di esercizio = risparmio incremento di
- Ente della pubblica amministrazione: entrate – uscite = risparmio patrimonio
LE VARIABILI STOCK E LE VARIABILI FLUSSO
Il risparmio è una variabile flusso, cioè misura la dimensione di un fenomeno nel corso di
un intervallo di tempo.
Il patrimonio è una variabile stock, cioè la misura di un fenomeno in un dato momento.
ATTIVITA’ E PASSIVITA’ FINANZIARIA
Le attività finanziarie (Af) non hanno un valore intrinseco, ma rappresentano beni reali;
sono facilmente trasferibili (a differenza delle attività reali, Ar); generano redditi per il
possessore, ma, per l’economia, tali redditi non corrispondono a produzione di beni/servizi
(o nuova ricchezza).
- Af =>investimento sotto forma di crediti => l’investitore vanta un diritto verso la
ricchezza dell’emittente (debitore) dello strumento finanziario.
- Pf => finanziamento sotto forma di debiti => l’emittente (debitore) ha un impegno
patrimoniale (rimborso, remunerazione) verso il creditore.
IL CONCETTO DI SALDO FINANZIARIO
Il saldo finanziario Sf di una unità economica sarà definito come il divario tra risparmio e
investimento:
Sf = S – I
In questo modo si vuole misurare il surplus o il deficit di risorse a fronte dei fabbisogni per
investimenti.
- Sf > 0 caratterizza le unità in surplus.
- Sf < 0 caratterizza le unità in deficit.
I SETTORI ISTITUZIONALI
Sono classi di agenti economici che si aggregano secondo un’omogeneità di
comportamento e sono:
- Società non finanziarie: società e quasi società*, private e pubbliche.
- Società finanziarie: comprendono i soggetti che costituiscono il sistema
finanziario: intermediari, autorità di controllo (Banca d’Italia, CONSOB e ISVAP).
- Amministrazioni pubbliche: amministrazioni centrali e locali, ed enti di previdenza.
- Famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie: consumatori.
- Resto del mondo: soggetti non residenti con cui il paese ha rapporti economici e
finanziari.
*quasi società : società di persone, imprese individuali (con più di 5 addetti), società semplici e di fatto.
STRUTTURA SALDI FINANZIARI SETTORIALI
Ci aiuta a capire chi fornisce risorse (settori con Sf > 0) e a chi esse vengono destinate
(settori con Sf < 0).
- Le famiglie rappresentano il settore in surplus per eccellenza, mentre imprese e
amministrazioni il settore in deficit.
Le risorse sono trasferite dalle famiglie alle imprese e alle amministrazioni.
LIMITI: i dati analizzati sono ex post (registrano ciò che è accaduto). Questa struttura non
dice nulla sulle motivazioni ex ante (ad esempio: bisogno di trasferimento).
PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELLA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA
- GRADO DI SEPARAZIONE TRA FUNZIONE DI RISPARMIO E FUNZIONE DI
INVESTIMENTO:
SFi (dei diversi settori)
∑ ----------------------------------
PIL
- RAPPORTO DI INTERRELAZIONE FINANZIARIA:
Af
---------- => grado di sviluppo economia finanziaria
Ar
- RAPPORTO DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA:
AfIF -> Af emesse da intermediari
-----------
Af -> TOT Af
Ogni settore occupa una posizione che si colloca fra due estremi:
- Equilibrio finanziario: S = I => SF = 0
- Divergenza finanziaria: S = 0 => SF = I oppure I = 0 => SF = S
° Sottintende una specializzazione settoriale:
- alcuni settori si caratterizzano per la funzione di accumulazione
del risparmio;
- altri per la funzione di investimento (si realizza la dissociazione
RISPARMIO-INVESTIMENTO).
La dissociazione RISPARMIO-INVESTIMENTO indica una situazione per cui:
- Chi ha risorse, non le impiega direttamente in investimenti reali;
- Chi fa investimenti reali, non ha le risorse per finanziarli.
Nasca così la condizione fondamentale per lo sviluppo di circuiti finanziari.
**Una situazione di equilibrio finanziario prevede comunque un fabbisogno di trasferimento
(perché, ad esempio, oltre alla funzione di finanziamento\investimento, la Af svolge anche
funzioni di gestione dei rischi.
TRASFORMAZIONE DELLE RISORSE FINANZIARIE
Quando la Af preferite dalle unità in surplus sono, ad esempio, a breve termine, mentre le
Pf dei prenditori sono a lungo termine, come si chiudono i circuiti di trasferimento delle
risorse?
Tramite la trasformazione delle risorse finanziarie: i circuiti finanziari devono rendere
possibile un finanziamento a lungo termine con una posizione di credito iniziale a breve.
Vi è anche una trasformazione delle scadenze (risolve incompatibilità tra preferenze delle
unità in surplus e in deficit).
Vi è poi la trasformazione dei rischi. Un investimento comporta assunzione del rischio
dell’emittente, associato alla capacità di rimborso.
Gli intermediari riducono queste difficoltà: il risparmiatore, investendo in uno strumento
finanziario emesso dall’intermediario finanziario, trasforma il rischio a cui è esposto.
CIRCUITI DIRETTI E INDIRETTI
Il trasferimento delle risorse dalle unità in surplus a quelle in deficit può avvenire tramite un
circuito:
- DIRETTO: attraverso strumenti finanziari che rappresentano un rapporto
contrattuale tra l’investitore (datore) e l’emittente (prenditore).
- INDIRETTO: attraverso l’inserimento, tra le unità finali, di uno o più intermediari.
SCHEMA SEMPLIFICATIVO DEL SISTEMA FINANZIARIO
AUTORITA’ DI VIGILANZA
Mercati finanziari
“velo” tra datori e
prenditori
CIRCUITO DIRETTO
Gli intermediari
possono usare
strumenti negoziati
nei mercati e
possono essere
coinvolti nel
funzionamento
degli stessi
Soggetti che sono
DEBITORI e CREDITORI
1°Strum. 2°Strum.
finanz. Finanz.
INTERMEDIARI
FINANZIARI
CIRCUITO INDIRETTO
UNITA’
IN
DEFICIT
UNITA’
IN
SURPLUS
3) REGOLAMENTAZIONE, VIGILANZA E
POLITICHE DI CONTROLLO SUL SISTEMA
FINANZIARIO.
I FONDAMENTI DEL CONTROLLO SUL SISTEMA FINANZIARIO
Il sistema finanziario è una parte dell’economia sottoposta ad un insieme articolato di
controlli da parte dei pubblici poteri.
Le ragioni fondamentali del controllo pubblico sul sistema finanziario sono riconducibili ai
quattro punti seguenti:
- La funzione monetaria;
- La tutela del risparmio e la protezione degli investitori;
- Le esternalità negative;
- L’asimmetria informativa e il fallimento del mercato.
La funzione monetaria: la moneta è costituita dalla moneta legale (emessa dalla BC) +
la moneta scritturale o bancaria (vale a dire da speciali forme di debito delle banche che
sono, depositi a vista, comunemente accettate come mezzo di pagamento; quella
bancaria rappresenta la componente di gran lunga più importante).
Vi è un interesse generale al buon funzionamento del sistema dei pagamenti (e quindi
della funzione monetaria) sia per ragioni di sicurezza e stabilità, sia per ragioni di
efficienza.
Ma vi è un interesse generale altrettanto evidente nel poter regolare la quantità di moneta
a disposizione dell’economia e/o governare altre grandezze chiave nella condotta della
politica monetaria.
La tutela del risparmio e la protezione degli investitori: è opportuno fissare regole cui
devono sottostare i soggetti che offrono strumenti di investimento ai risparmiatori; tali
regole servono a rafforzare l’affidabilità dei debitori (prenditori) ad accrescere la capacità
di valutazione da parte dei creditori (datori).
Il sistema finanziario trasferisce risparmio dalle unità in surplus alle unità in deficit; il
risparmiatore deve avere fiducia nei prenditori di fondi (di solito intermediari finanziari).
Le esternalità negative: riguardano le eventuali crisi del sistema bancario, le quali
avrebbero conseguenze negative per il sistema economico.
L’asimmetria informativa e il fallimento del mercato: il rapporto (tra creditore e
debitore) è intrinsecamente caratterizzato da un difetto di informazione a danno del
creditore. Ne deriva che l’informazione non è sufficiente a stabilire una precisa graduatoria
di rischio e, quindi, a definire il prezzo del credito in funzione del rischio. Le carenze
informative generano il fallimento del mercato. I prezzi tendono verso un livello medio che
non indica la qualità del prenditore: i migliori pagano prezzi troppo alti, i peggiori pagano
un premio al rischio insufficiente, di conseguenza i prenditori migliori rinunciano ai fondi
perché non vogliono pagare un premio per il rischio ingiustificato.
Il mercato fallisce perché la qualità media dei prenditori si riduce.
Lo scambio dei beni come gli strumenti finanziari, per i quali il prezzo è strettamente legato
all’informazione non può raggiungere un equilibrio se lasciato alle libere forze del mercato.
L’ASSETTO ISTITUZIONALE DELLE AUTORITA’ DI CONTROLLO
- Legislativo: volto a creare un quadro di regole base per tutte le aree componenti il
sistema finanziario: bancario, mobiliare, assicurativo.
- Esecutivo: politiche di indirizzo o di normazione secondaria (regolamenti).
- Amministrativo: rappresentato dalle autorità di controllo competenti per specifiche
materie.
IL QUADRO DELLE AUTORITA’ DI CONTROLLO
Gli obiettivi del controllo del sistema finanziario si articolano in due grandi ambiti:
- Obiettivi di politica monetaria (rientrano negli obiettivi di politica economica).
- Obiettivi di regolamentazione e vigilanza (sono identificati in estrema sintesi negli
obiettivi di stabilità ed efficienza del sistema)
* STABILITA’: prevede la tutela del risparmiatore, la funzionalità del sistema dei pagamenti
e l’efficacia del governo monetario dell’economia.
* EFFICIENZA: a) Operativa: minimizzazione del costo dell’attività finanziaria.
b) Allocativa: qualità del processo di distribuzione delle risorse verso
impieghi alternativi.
LE AUTORITA’ DI CONTROLLO
- Banca d’Italia: attua vigilanza creditizia e finanziaria, tutela la concorrenza nel mercato
del credito.
- CONSOB: controlla, autorizza e vigila il settore mobiliare, i mercati, l’intermediazione
mobiliare.
- ISVAP: controlla il mercato e le imprese del settore assicurativo.
- COVIP: controlla la funzionalità del sistema di previdenza complementare (fondi
pensione).
- AGCM: sorveglia e reprime comportamenti che mettono in discussione la libertà di
concorrenza.
In realtà, i confini di competenza non sono netti (esempio, banche che svolgono
intermediazioni mobiliari).
LA BANCA D’ITALIA
Nasce nel 1893. L’atto di nascita conclude una fase di instabilità economica. Intorno alla
funzione di istituto di emissione la BDI sviluppa altre attività, che la trasformano in banca
centrale. Rientrano in questo processo diversi momenti di sviluppo:
- Unificazione della funzione di emissione e controllo della moneta.
- Passaggio dalla forma giuridica privata a quella di istituto di diritto pubblico.
- Consolidamento della funzione di banca centrale con responsabilità di governo della
stabilità monetaria.
Dal 1998 è parte integrante del SEBC. Le quote di partecipazione al suo capitale sono
divise per:
- 94% di capitale è di proprietà di banche e assicurazioni private.
- 6% di capitale è in mano ad enti pubblici (INPS e INAIL).
Il governatore attuale è Ignazio Visco (11 - 2011).
FUNZIONI
- In quanto banca centrale, definisce gli indirizzi di politica monetaria tramite la
partecipazione del governatore al consiglio direttivo della BCE.
- In quanto organo di vigilanza, esercita il contratto verso banche ed intermediari finanziari,
rafforzando la stabilità e l’efficacia del sistema finanziario; esercita la sorveglianza del
sistema dei pagamenti.
- Partecipa alle attività degli organismi finanziari internazionali.
- Ha funzioni di controllo in materia di anti-riciclaggio.
- Supervisiona i mercati finanziari e monetari.
- Produce banconote in € (su autorizzazione della BCE).
- Svolge attività di ricerca e analisi.
LA CONSOB (COmmissione Nazionale per la SOcietà e la Borsa)
Essa regolamenta, autorizza e vigila il settore mobiliare).
Istituita nel 1974 è un autorità amministrativa indipendente, dotata di personalità giuridica;
ha il compito di controllare il mercato mobiliare; svolge un’attività orientata alla tutela degli
investitori e al miglioramento dell’efficienza e della trasparenza del mercato.
Le funzioni della CONSOB sono:
- Regolamentare la prestazione dei servizi di investimento da parte degli
intermediari.
- Autorizzare la pubblicazione dei prospetti informativi e dei documenti relativi alle
offerte pubbliche.
- Vigilare sulle società di gestione dei mercati regolamentati, sul funzonamento
ordinario e trasparente delle negoziazioni, e sulla trasparenza e la correttezza di
comportamento degli intermediari e dei promotori finanziari.
- Controllare le informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi offre
strumenti finanziari.
- Monitorare (se ci sono) le eventuali anomalie nell’andamento delle transazioni,
soprattutto in relazione all’abuso di informazioni privilegiate (Insider Trading) e all’
aggiotaggio.
L’ISVAP (IStituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni)
Istituita nel 1982, esercita il controllo del mercato e delle imprese di assicurazione
attraverso le sue funzioni di regolamentazione, vigilanza e controllo.
I compiti sono: favorire la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione,
sviluppare comportamenti correnti trasparenti, sviluppare l’efficienza, la stabilità e la
competitività del sistema assicurativo, svolgere la funzione di analisi e ricerca.
LA COVIP (COmmissione di VIgilanza sui fondi Pensione)
E’ composta da rappresentanti di altri organi di vigilanza e da esperti in materia
previdenziale.
Istituita nel 1993 ha iniziato ad operare nel 1996.
Funzioni: vigilanza e controllo sull’attività dei fondi pensioni (autorizzazione e monitoraggio
della correttezza sulla gestione dei fondi).
Obiettivi: tutela del risparmio previdenziale, trasparenza e corretto funzionamento del
sistema dei fondi pensione.
LA BANCA CENTRALE (ha le qualità di suprema autorità del settore bancario)
*Dal 2011 il presidente è Mario Draghi
Dal gennaio ’99, le funzioni di politica monetaria sono passate dalle banche centrali
nazionali (BCN) alla banca centrale europea (BCE) e al sistema europeo di banche
centrali (SEBC).
Quindi, i paesi membri, rinunciano alla sovranità monetaria nazionale e la trasferiscono a
istituti sovranazionali (prima con tassi di cambio fissi tra monete nazionali, poi con
l’adozione dell’euro).
- ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE
- BCE: vertice istituzionale e operativo del sistema.
- SEBC: BCE + BCN (i paesi membri non hanno poteri nella politica monetaria).
- EUROSISTEMA: BCE + BCN (paesi membri che hanno aderito alla moneta unica).
- ORGANI
- Consiglio direttivo: organo decisionale più importante. E’ composto dal comitato
esecutivo e dai governatori delle BCN dei paesi partecipanti all’euro. Definisce gli
indirizzi, le direttive per l’implementazione e la supervisione dell’attuazione della
politica monetaria.
- Comitato esecutivo: è composto dal presidente della BCE, dal vice-presidente
della BCE e da quattro membri scelti dai governi nazionali tra esperti nel settore
bancario e monetario. Dà attuazione alle decisioni di politica monetaria formulate
dal consiglio. E’ l’organo di gestione ordinaria della BCE.
- Consiglio generale: è composto dal presidente della BCE, dal vice-presidente
della BCE e dai governatori delle BCN (anche dei paesi non aderenti all’euro). Non
ha competenze di politica monetaria nell’euro-zona.
- FUNZIONE BCE
- Politica monetaria.
- Indirizzo e mantenimento stabilità dei prezzi.
- Operazioni di intervento e di cambio.
- Detenzione gestione delle riserve degli stati.
- Autorizza all’emissione di banconote in euro (Italia, Francia, Germania).
- Promozione e regolamento del funzionamento del sistema dei pagamenti (TARGET).
- Coordinamento delle BCN.
- COMPITI ISTITUZIONALI DEL SEBC
- Definisce e attua la politica monetaria della comunità.
- Svolge le operazioni sui cambi.
- Detiene e gestisce le riserve ufficiali in valuta degli Stati membri.
- Promuove e regola il funzionamento dei sistemi di pagamento.
Il SEBC ha realizzato un sistema trans-europeo automatizzato di regolamento lordo in
tempo reale (TARGET): tale sistema consente di gestire la posizione di liquidità dei grandi
operatori con attività di arbitraggio su tutta l’area euro.
- OBIETTIVI DEL SEBC
- Mantenimento della stabilità dei prezzi.
- Sostiene inoltre le politiche economiche della comunità. Quest’ultima promuove:
° Sviluppo armonioso delle attività economiche;
° Crescita sostenibile, non inflazionistica, che rispetti l’ambiente;
° Elevato livello di occupazione e produzione sociale;
° Miglioramento del tenore di vita.
LA POLITICA MONETARIA
Rientra nella politica economica, cioè nel sistema di strumenti del governo avente come
obiettivi:
- Crescita reddito.
- Occupazione.
- Livello dei prezzi.
- Equilibrio bilancia dei pagamenti.
Politica monetaria = regolazione della quantità di moneta e del livello dei tassi di interesse,
per raggiungere obiettivi di politica economica.
SCHEMA POLITICA MONETARIA
Strumenti Obiettivi operativi Obiettivi intermedi Obiettivi finali
- Tassi ufficiali - Tassi di interesse a - Tassi di interesse a - Stabilità dei prezzi
- Riserve ob- breve termine lungo termine - Tasso di sviluppo
bligatorie - Riserve bancarie - Quantità di moneta
- Operazioni di e credito
mercato aperto - Prezzo delle attività
- Controlli diretti finanziarie
MECCANISMI DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA
(come la politica monetaria influenza l’economia e quindi i prezzi)
Per esempio, un rialzo dei tassi ufficiali della BCE (immissione di moneta nell’economia)
ha effetto nei tassi di interesse del mercato monetario: per le banche diventa più costoso
procurarsi le riserve di base monetaria. Questo maggiore costo è trasferito, sul credito,
sotto forma di tassi di cambio, ai prezzi delle attività finanziarie, alle aspettative di
informazione, al mercato dei beni e del lavoro. Tutti questi effetti influenzano l’andamento
generale dei prezzi.
Nel lungo periodo la moneta non influenza la crescita reale dell’economia, ma è
importante che l’offerta di moneta sia in equilibrio con il fabbisogno dei mezzi di
pagamento: un ECCESSO di offerta porterebbe a una DOMANDA INSODDISFATTA di
beni e, quindi, ad un RIALZO DEI PREZZI.
CONTROLLO DELL’OFFERTA DI MONETA
L’offerta di moneta è legata alla quantità di base monetaria che la BCE mette in
circolazione e alla relazione tra la base monetaria e i depositi bancari (componenti
dell’offerta di moneta).
Un modello che descrive questo problema è denominato MOLTIPLICATORE DELLA
BASE MONETARIA.
Esso si basa sulla:
- Definizione di base monetaria (BM), come attività – moneta legale – sotto il controllo
della BCE:
- Definizione di offerta di moneta, come: moneta legale + depositi bancari (con funzioni
monetarie).
- relazione tra BASE MONETARIA e DEPOSITI.
- Il processo di moltiplicazione che va dall’immissione della base monetaria all’offerta
monetaria è stabile se p e b sono stabili.
- p è influenzato dal rendimento degli impieghi alternativi alla moneta legale (tasso
d’interesse sui depositi) e dell’efficienza dei meccanismi del sistema dei pagamenti
(diffusione carte di credito…).
- b dipende dal costo della detenzione delle riserve bancarie.
IN CHE MODO LA BCE ATTIVA IL CONTROLLO DELL’OFFERTA MONETARIA
- La base monetaria è un attività finanziaria.
- I soggetti del mercato sono:
- BCE, che regola la funzione di offerta;
- BANCHE, che esprimono il fabbisogno di riserve e quindi, la funzione di domanda.
PREZZO = tassi di interesse a brevissimo termine.
La BCE opera tramite due categorie di operazioni:
- Operazioni di mercato aperto:
- Sono operazioni di pronti/termine (con effetti temporanei) in cui la banca è:
- Acquirente di titoli a pronti quando vuole immettere base monetaria.
- Venditore di titoli a pronti quando vuole togliere base monetaria.
Distinguiamo:
- Operazione di rifinanziamento principale, con durata settimanale, frequenza
settimanale e modalità competitiva (asta standard); rappresentano la modalità
principale con cui la BCE regola l’indirizzo di medio termine della politica monetaria;
il tasso su queste operazioni è uno dei “tassi ufficiali” della BCE.
- Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, con durata di tre mesi,
frequenza mensile e modalità competitiva; è la modalità con cui la BCE soddisfa il
fabbisogno strutturale di base monetaria.
- Operazioni di fine tuning, con durata e frequenza non standardizzate, sono svolte
per attenuare gli effetti di squilibri di liquidità imprevisti su tassi di interesse.
- Operazioni strutturali, effettuate tramite l’emissione di certificati di debito.
- Operazioni su iniziativa delle controparti:
- Si tratta di finanziamento marginale o di deposito marginale di durata overnight e
con frequenza a discrezione delle controparti.
Hanno lo scopo di consentire alle banche di risolvere momentanee/i
carenze/eccessi di base monetaria (scadenza overnight, 24 ore).
LA REGOLAMENTAZIONE E LA VIGILANZA DEL SISTEMA FINANZIARIO
Una classificazione degli strumenti di vigilanza.
- Vigilanza strutturale.
- Vigilanza prudenziale.
- Vigilanza informativa.
- Vigilanza protettiva.
LA VIGILANZA STRUTTURALE (condiziona direttamente il mercato)
Ha come campo di intervento, la struttura del mercato.
Si propone di determinare la configurazione di mercato (numero imprese, quote di
mercato, campo di attività di ogni impresa etc..) più idonea a perseguire obiettivi propri
della vigilanza. La vigilanza strutturale si propone di regolare la struttura dell’offerta di un
determinato mercato con lo scopo di disegnare una configurazione che massimizzi la
dialettica competitiva.
Tra gli strumenti di intervento, riconducibili al concetto di vigilanza strutturale, sono
significativi quelli che toccano le seguenti aree:
- L’entrata nel mercato.
- L’assetto organizzativo degli intermediari finanziari (fusione, incorporazione)
- La gamma delle attività che ogni categoria di intermediario può svolgere.
- I requisiti degli azionisti, degli intermediari e l’assetto di controllo societario.
- Gli interventi amministrativi sulle quantità e sui prezzi degli intermediari.
LA VIGILANZA PRUDENZIALE (non condiziona il mercato)
Gli interventi di natura prudenziale evitano invece di condizionare direttamente il mercato;
esprimono delle regole del gioco che riguardano il “come” si opera nel mercato stesso;
non intervengono sulla struttura del mercato (soggetti, attività, prezzi), sono regole
oggettive e neutrali tra i diversi soggetti dell’offerta; sono trasparenti e stabili ex-ante così
guidare in forma di incentivo e/o vincolo gli intermediari verso equilibri economico-
finanziari-patrimoniali desiderabili.
I principali strumenti di vigilanza prudenziale comprendono i seguenti punti principali:
- Le regole si applicano in materia di struttura di bilancio rientrano in una finalità di
controllo e limitazione dei rischi della gestione:
° Definizione di patrimonio di vigilanza;
° Requisiti patrimoniali a fronte dei rischi;
° Limiti alla concentrazione dei rischi;
° Limiti alla trasformazione delle scadenze.
- L’adeguatezza organizzativa e dei controlli interni intendendo:
° Dimensione risorse tecniche, professionali e manageriali che un
intermediario deve possedere.
° Presenza di strumenti operativi che permettono di rispettare il principio
dell’indipendenza gestionale tra aree di attività dell’intermediari, per le quali ci
siano conflitti di interesse.
LA VIGILANZA INFORMATIVA
Ambito della vigilanza che comprende tutti gli strumenti di comunicazione e informazione
che, a vario livello, possono contribuire a ridurre le asimmetrie informative tipiche delle
attività finanziarie. Forniscono informazioni:
- emittenti di titoli che formano l’oggetto dell’operazione;
- intermediari verso emittenti, investitori e autorità di vigilanza;
- organismi responsabili della gestione dei mercati: informano emittenti, investitori,
intermediari e autorità di vigilanza.
Il risultato atteso da questa serie di interventi di vigilanza informativa si colloca nell’area
della trasparenza e della correttezza informativa per il mercato e per gli organismi di
controllo.
LA VIGILANZA PROTETTIVA
Si fa riferimento a strumenti di vigilanza applicati con finalità di gestione delle situazioni di
crisi degli intermediari (tutela risparmiatore).
L’importanza della gestione accurata delle situazioni di crisi – e possibilmente della loro
prevenzione – si ricollega poi al problema dell’esternalità: una situazione di crisi del
singolo intermediario, attraverso fenomeni di contagio, può estendersi a una vasta area
del sistema finanziario trasformando un problema circoscritto in una condizione di stabilità
sistemica.
Vi sono due principali ambiti di intervento:
- quelli destinati alla prevenzione (evitare che situazioni aziendali di temporanea
difficoltà generino crisi irreversibili);
- quelli che invece sono attivati allorchè la crisi si rivela irreversibile (soluzione –
liquidazione intermediario)
Per quanto riguarda gli strumenti e facendo riferimento al 1° ambito (prevenzione) di
intervento si possono distinguere:
- flussi di documentazione che intercorrono tra intermediari e organi di vigilanza
(costituiscono la base di salute degli intermediari);
- le situazioni di liquidità delle banche (illiquidità), risolubili da rifinanziamenti della
BCE;
- situazioni di difficoltà più seria, che possono dare luogo a provvedimenti come
l’amministrazione straordinaria che comporta la sostituzione degli organi
amministrativi e di controllo in carica.
Le crisi irreversibili che conducono alla liquidazione dell’intermediario prevedono
l’intervento dei fondi di garanzia.
Si tratta di strumenti che si propongono di tutelare i creditori degli intermediari messi in
liquidazione, facendo così fronte a 2 esigenze:
- tutelare il risparmiatore;
- evitare il rischio sistemico (affinchè i risparmiatori non perdano fiducia nel sistema).
4) GLI ORDINAMENTI DELLE ATTIVITA’
FINANZIARIA, BANCARIA E ASSICURATIVA
LA NOZIONE DI ORDINAMENTO DELLE ATTIVITA’ FINANZIARIE
Ordinamento: insieme delle norme che disciplinano le attività dell’intermediazione
finanziaria, in un dato contesto politico (Stato).
Nel nostro paese, tali norme possono avere origine comunitaria, statale oppure
amministrativa. Occorre poi sottolineare che non esiste un ordinamento unitario di tutte le
attività e istituzioni; nel contesto italiano, coerentemente con l’impostazione condivisa a
livello comunitario, l’intermediazione finanziaria viene disciplinata per tipologia di attività,
ognuna delle quali corrisponde di fatto un ordinamento specifico:
- Ordinamento delle attività bancarie e creditizie.
- Ordinamento dei mercati di strumenti finanziari.
- Ordinamento delle attività di gestione dei servizi di investimento.
- Ordinamento delle attività di gestione collettiva del risparmio.
- Ordinamento dell’attività assicurativa.
- L’ORDINAMENTO DELLE ATTIVITA’ BANCARIE E CREDITIZIE (organo di vigilanza
Banca d’Italia)
Le principali fonti normative riguardanti l’attività bancaria e creditizia sono:
- D. Lgs. 385/1993 meglio noto come TUB.
- D. Lgs. 481/1992
Viene definita banca: l’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria (TUB, art.1)
Da tale definizione si nota che:
- La banca è impresa.
- Opera in forza di un’autorizzazione formale delle autorità competenti.
- Rinvia direttamente alla definizione di attività bancaria.
L’art. 10 del 385/1993 afferma che la raccolta del risparmio e contemporaneamente
l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria; lo stesso articolo aggiunge che le
banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività ammessa al mutuo
riconoscimento ( più attività strumentali e connesse – servizi informatici).
Con tale dizione si intende identificare le attività finanziarie che le banche possono
esercitare in qualsiasi paese comunitario (previa autorizzazione del paese di origine)
direttamente o indirettamente (leasing finanziario, servizi di pagamento, cambi, ecc..).
- ATTIVITA’ AMMESSE AL MUTUO RICONOSCIMENTO
- Raccolta depositi o altri fondi con obbligo di restituzione.
- Operazioni di prestito (credito al consumo, credito con garanzia ipotecaria, factoring,
credito commerciale).
- Leasing finanziario.
- Servizi di pagamento.
- Emissione e gestione di mezzi di pagamento (carte di credito..).
- Rilascio di garanzie (avallo e fideiussione) e di impegni di firma.
- Operazioni per proprio conto o per conto della clientela in:
- strumenti di mercato monetario (assegni, cambiali);
- cambi;
- strumenti finanziari a termine e opzioni;
- contratti su tassi di cambio e d’interesse;
- valori mobiliari.
- Partecipazioni all’emissione di titoli.
- Consulenza finanziaria alle imprese.
- Consulenza o gestione di patrimoni.
- Custodia e amministrazione di valori mobiliari (gestione portafogli).
- Servizi di info commerciale (banche dati, che danno info sui clienti).
- Altre attività minori.
Raccolta del risparmio – art. 11, TUB – : acquisizione di fondi con obbligo di rimborso.
In generale è vietata ai soggetti diversi dalle banche. E’, tuttavia, consentita agli stati
(emissione titoli di credito), alle SPA e alle società in accomandita per azioni (emissione
obbligazioni).
– art. 12, TUB – : le banche possono emettere anche obbligazioni e, con l’autorizzazione
della Banca d’Italia, anche prestiti subordinati.
Intermediario finanziario: soggetto del settore finanziario ed esercente attività finanziaria
secondo modalità che non integrano la definizione di attività bancaria (esercizio, verso il
pubblico, di assunzione di partecipazione, concessione di finanziamenti, prestazioni di
servizi di pagamento e di intermediazione in cambi).
LE CONDIZIONI DELL’ACCESSO ALL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’ BANCARIA (ne
segue l’iscrizione in un albo)
L’autorizzazione viene concessa dalla Banca d’Italia quando ricorrono le seguenti
condizioni:
- Forma di SPA o di Società cooperative per azioni a responsabilità limitata (
Banche popolari e banche di credito cooperativo).
- Versamento del capitale minimo (6,3 milioni di € per SPA a banche popolari – 2
milioni di € per le banche di credito cooperativo).
- La presentazione del programma, lo statuto e l’atto costitutivo.
- I requisiti di onorabilità stabiliti per i soci e i soggetti che svolgono funzioni di
amministrazione, direzione e controllo (promotori).
Sede legale e direzione devono essere situate entrambe nel territorio di repubblica.
Le condizioni esposte vengono verificate dalla Banca d’Italia che nega, motivando,
l’autorizzazione quando (non ricorrono gli elementi essenziali sopra elencati) esse non
garantiscono la sana e prudente gestione.
LA PARTECIPAZIONE AL CAPITALE DELLE BANCHE: VINCOLI NORMATIVI E
REGIME AUTORIZZATIVO
Il D. Lgs. 385/1993 sottopone ad autorizzazione preventiva l’acquisizione diretta o indiretta
di partecipazioni superiori al 5% del capitale delle banche o che – indipendentemente da
tale limite – comportino il controllo della banca stessa.
Nella concessione dell’autorizzazione la Banca d’Italia deve accertare che ricorrano le
condizioni atte a garantire la sana e prudente gestione della banca interessata.
Inoltre la normativa vieta l’acquisizione diretta o indiretta di partecipazioni superiori al 15%
o comunque di controllo ai soggetti che svolgono in misura rilevante attività d’impresa in
settori non bancari e non finanziari.
Ai fini dell’accertamento della sussistenza degli accennati limiti del 5% o del 15% delle
posizioni di controllo, viene fatto carico alla Banca d’Italia di accertare l’eventuale
sussistenza di accordi parasociali idonei a consentire l’esercizio concertato del diritto di
voto.
Qualora tali accordi possano pregiudicare la sana e prudente gestione della banca, la B.I.
ha la facoltà di sospendere il diritto di voto dei partecipanti all’accordo.
REGOLAMENTO DELL’ATTIVITA’ BANCARIA: GLI ASPETTI PRUDENZIALI
Il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia attribuisce alla Banca d’Italia
funzioni e poteri di vigilanza, finalizzati prevalentemente a tutelare la sana e prudente
gestione della banca, la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema
finanziario (art. 5).
Per definire i confini dell’attività bancaria, è necessario richiamare gli oggetti della vigilanza
regolamentare.
La Banca d’Italia in conformità alle deliberazioni del comitato interministeriale per il credito
e il risparmio (CICR), emana disposizioni di carattere generale avente per oggetto:
- L’adeguatezza patrimoniale.
- Il contenimento del rischio nelle sue varie configurazioni.
- Le partecipazioni detenibili (della banca al capitale delle imprese).
- L’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni.
Le disposizioni riguardanti l’adeguatezza patrimoniale impongono alle banche il
mantenimento di un coefficiente patrimoniale minimo obbligatorio, detto coefficiente di
solvibilità (rapporto minimo fra patrimonio di vigilanza e attivo patrimoniale ponderato per
il rischio; deve assumere valori non inferiori all’8%)
Questo ha la funzione di tutelare la solvibilità della banca.
Sempre col fine di tutelare la stabilità della banca, le disposizioni regolanti il contenimento
del rischio disciplinano i requisiti patrimoniali connessi con l’assunzione di rischi specifici,
secondo 3 diverse configurazioni:
- concentrazioni per gradi fidi
- la trasformazione delle scadenze e l’esposizione al rischio di interesse
- i rischi di mercato
Per quanto riguarda le partecipazioni detenibili, le disposizioni emanate dalla Banca
d’Italia attuano in via preliminare la suddivisione fra due insiemi:
- Partecipazioni in banche, in società finanziarie strumentali e in imprese di assicurazione.
- Partecipazioni in altri soggetti indicati come imprese non finanziarie.
- Partecipazioni in imprese finanziarie
L’acquisizione deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia quando supera una delle
seguenti soglie:
- Il 10% e il 20% della partecipata.
- Il 10% del patrimonio di vigilanza della partecipante.
- Partecipazioni in imprese non finanziarie
- Limite complessivo: non possono superare il 15% del patrimonio di vigilanza.
° Rappresenta il peso di tutte le partecipazioni.
° E’ uguale a = TOT partecipazioni detenibili / Patrimonio.
° Deve essere < 15% dei fondi della banca.
- Limite di concentrazione: non è possibile detenere in una singola impresa più dell’
8% del patrimonio di vigilanza.
° Rappresenta il peso della singola partecipazione.
° E’ uguale a = SINGOLA partecipazione / Patrimonio.
° Deve essere < 60% dei fondi della banca.
- Limite di separatezza: gli investimenti in società non finanziarie non devono
superare il 15% del capitale delle società partecipi.
° E’ uguale a = SINGOLA partecipazione / Patrimonio impresa partecipata.
° E’ destinato a scomparire.
* IL PATRIMONIO DI VIGILANZA o capitale proprio è costituito dall’insieme dei mezzi
propri a disposizione della banca e rappresenta il principale elemento di garanzia della
solvibilità. La Banca d’Italia lo definisce come: la somma algebrica degli elementi
patrimoniali positivi e negativi.
LA NOZIONE DI GRUPPO BANCARIO
Il gruppo bancario è composto alternativamente (art. 60, TUB):
- dalla banca italiana capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali
da questa controllate.
° Società finanziarie: esercitano l’assunzione di partecipazioni; una o più
attività ammesse al mutuo riconoscimento; i servizi di info commerciale.
° Società strumentali: esercitano attività di carattere ausiliario dell’attività
delle società del gruppo (gestione immobili e servizi informatici).
- dalla società finanziaria capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e
strumentali da questa controllate.
* CAPOGRUPPO: azienda italiana autonoma da qualsiasi altra persona giuridica
controllante (art. 61, TUB).
Nel gruppo viene a realizzarsi un disegno imprenditoriale unitario a direzione strategica
accentrata. La capogruppo esercita attività di direzione e coordinamento, controllo
strategico e un controllo gestionale, nell’interesse e nella stabilità del gruppo (è la
referente della Banca d’Italia).
Qui la vigilanza regolamentare diviene vigilanza su base consolidata.
Nell’ordinamento vigente le attività di intermediazione finanziaria – cioè l’attività bancaria e
le altre attività finanziarie possono essere esercitate secondo due modelli istituzionali:
- Il modello della banca universale: banca che esercita congiuntamente e direttamente
l’attività bancaria propria e le altre attività finanziarie ammesse, ossia:
° Intermediazione finanziaria
° Esercizio di credito specializzato
- Il modello del gruppo bancario: che consiste nell’esercizio di attività bancarie e finanziarie
da parte di un unico soggetto economico mediante aziende giuridicamente separate, ma
dirette e coordinate secondo un disegno imprenditoriale unitario a direzione accentrata (il
livello di diversificazione raggiungibile dal gruppo è tuttavia maggiore di quello della banca
universale: il gruppo può essere esteso a Società di gestione del risparmio, società di
investimenti a capitale variabile, società assicurative, fondi pensione).
ALTRI SOGGETTI OPERANTI NEL SISTEMA FINANZIARIO (art. 106 – 114, TUB)
Gli intermediari finanziari sono altri soggetti operanti nel settore finanziario ma diversi dalle
banche. L’ambito di applicazione della disciplina è circoscritto ai soggetti che svolgono
professionalmente, nei confronti del pubblico, attività di:
- assunzione di partecipazioni;
- concessione di finanziamenti;
- prestazioni di servizio a pagamento;
- intermediazione in cambi.
Tali intermediari devono essere iscritti in appositi elenchi tenuti dalla Banca d’Italia.
Inoltre è previsto per gli altri intermediari finanziari caratterizzati da rischio sistemico
(società di leasing, di factoring, di credito al consumo, investiment banking) l’ulteriore e
aggiuntivo obbligo di iscrizione in un apposito elenco speciale sempre tenuto dalla Banca
d’Italia, che quindi ha poteri di vigilanza nei loro confronti.
*RISCHIO SISTEMICO: rischio che l’insolvenza di uno o più intermediari possa
“contagiare” il sistema.
* TRASPARENZA delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari (art. 115 – 120, TUB)
Disciplina gli ambiti di applicazione, le modalità di pubblicità delle condizioni contrattuali, le
forme dei contratti. Tali norme si applicano alle attività svolte sia dalle banche che dagli
intermediari finanziari, entro il territorio nazionale.
L’obiettivo politico dell’Unione Europea consiste nella creazione di un mercato unico dei
servizi finanziari, che consente la libera circolazione di persone, informazioni, capitali,
merci e servizi.
Per fare ciò è stato necessario che l’Unione Europea armonizzasse diversi ordinamenti
vigenti negli stati membri. Quindi lo fa disciplinando i seguenti profili:
- elenco attività esercitabili e capitale minimo iniziale;
- controllo sugli assetti proprietari e vigilanza su base consolidata;
- controllo della concentrazione dei rischi.
Inoltre l’Unione Europea ha scelto un modello baricentrico, minimizzando la distanza fra gli
ordinamenti nazionali e il modello di ordinamento comunitario, i cui fondamenti sono:
- Non specializzazione degli intermediari per tipi di attività: possibilità di svolgere
congiuntamente intermediazione creditizia, mobiliare, ecc.. secondo un modello
di banca universale.
- Regolazione del grado di separatezza tra banca e impresa industriale, sia per le
partecipazioni industriali nel capitale bancario, che per le partecipazioni del capitale
bancario nel capitale industriale.
Ogni stato membro è tenuto a recepire e a dare attuazione alle direttive comunitarie
(anche se con un certo grado di discrezionalità).
- L’armonizzazione minima è la condizione necessaria affinché gli ordinamenti nazionali
possano condividere i principi di libertà di prestazione di servizio e di libertà di
stabilimento. Questi principi si realizzano mediante il criterio del mutuo riconoscimento:
ogni ordinamento deve riconoscere la possibilità di ogni intermediario, esterno
all’ordinamento stesso, – ma comunitario – di operare in esso.
LA DISCIPLINA DI MERCATI DI STRUMENTI FINANZIARI (D. Lgs. 58/1998)
- DAI MERCATI PUBBLICI AI MERCATI-IMPRESA.
Uno dei cambiamenti più importanti avvenuto nel corso degli anni ’90 nell’assetto dei
mercati di strumenti finanziari è stato quello dell’adozione sistematica di forme giuridiche di
carattere strettamente privatistico. Le motivazioni di questa trasformazione sono:
- si intensifica la competizione sovranazionale tra intermediari e tra mercati; a ciò
contribuiscono norme sul mutuo riconoscimento nei paesi dell’Unione Europea ( si attiene
la connotazione domestica dei mercati);
- l’innovazione tecnologica che consente che consente il passaggio dai mercati fisici
a quelli telematici;
- la rottura dei confini spaziali apre la strada a un confronto concorrenziale diretto
tra i mercati che, perso il vantaggio geografico competono ora sulla qualità e il costo dei
servizi offerti;
- tutto questo esalta una visione imprenditoriale, visione in cui devono prevalere
elementi quali l’autonomia gestionale e l’auto-regolamentazione.
- L’ORGANIZZAZIONE E LA GESTIONE DEI MERCATI REGOLAMENTATI.
Autonomia gestionale e auto-regolamentazione non significano scomparsa dell’interesse
dei pubblici poteri al controllo dei mercati finanziari; si tratta dello spostamento delle
autorità di vigilanza verso un ruolo più generale, incentrato sul compito di determinare le
caratteristiche fondamentali dei mercati e degli intermediari.
Art. 61, D. Lgs. 58/1998 recepisce la tendenza verso il modello privatistico e stabilisce
che: “l’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari
ha carattere d’impresa ed è esercitata da società per azioni, anche senza scopo di lucro
(società di gestione).
- La CONSOB determina il capitale minimo della società di gestione; il ministro del tesoro,
sentita la CONSOB, definisce i requisiti di professionalità e onorabilità di amministrazione
e partecipazione al capitale (requisiti società di gestione).
- REGOLAMENTO DEL MERCATO
Il regolamento (deliberato dall’associazione ordinaria della società di gestione – art. 62)
deve determinare obbligatoriamente alcuni aspetti essenziali dell’operatività del mercato:
- condizioni e modalità di ammissione, sospensione o esclusione degli operatori e
degli strumenti finanziari dalle negoziazioni;
- le condizioni e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali
obblighi degli operatori e degli emittenti;
- le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi;
- tipi di contratti ammessi alle negoziazioni.
- AUTORIZZAZIONE DEI MERCATI REGOLAMENTATI
L’autorizzazione è di competenza della CONSOB, che procede sulla base di due principali
fasi di accertamento:
- l’esistenza dei requisiti richiamati relativamente alla società di gestione
- la conformità del regolamento alla disciplina comunitaria e la sua idoneità ad
assicurare trasparenza del mercato, ordinato svolgimento delle negoziazioni e tutela degli
investitori.
Alle imprese di investimento è vietata: la raccolta del risparmio tra il pubblico, ogni attività
di intermediazione dei pagamenti e l’emissione di titoli, documenti e certificati
rappresentativi dei diritti del cliente.
- REGIME AUTORIZZATO DALLE IMPRESE DI INVESTIMENTO. TRASPARENZA
DELLA PROPRIETA’
Le SIM (Società Intermediazione Mobiliare) devono essere iscritte in un apposito albo
istituito presso la CONSOB, che autorizza l’esercizio di servizi di investimento quando
ricorrono specifiche condizioni;
( vedi quelle della banca : - forma societaria - capitale versato
- programma - professionalità e onorabilità ).
L’autorizzazione è quindi subordinata alla verifica che le condizioni suindicate assicurino la
sana e prudente gestione. Chi possiede una partecipazione al capitale sociale della SIM
maggiore di quella stabilita dalla Banca d’Italia, deve subito comunicarlo alla stessa, che
interviene per tutelare la sana gestione.
- PROFILI NORMATIVI CARATTERIZZANTI LO SVOLGIMENTO DEI SERVIZI DI
INVESTIMENTI
I criteri generali a cui i soggetti autorizzati allo svolgimento dei servizi di investimento
devono attenersi sono:
- diligenza, correttezza, trasparenza dei comportamenti;
- acquisizione dell’info necessaria ai clienti;
- adeguatezza dell’info fornita ai clienti;
- scelta e comunicazione del benchmark (portafoglio virtuale di investimento), rispetto al
quale possono essere confrontate altre scelte di investimento;
- predisposizione di modalità organizzative idonee e prevenzione conflitti di interesse;
- adozione di misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sugli strumenti finanziari
affidati.
Per quanto riguarda la forma contrattuale, il decreto stabilisce che: contratti relativi ai
servizi di investimento e accessori siano redatti in forma scritta e debbano essere
consegnati ai clienti. La stipulazione di contratti in altra forma deve essere regolata
esplicitamente dalla CONSOB, sentita la Banca d’Italia.
Il legislatore mira a responsabilizzare SIM, banche ed SGR, tutelando il cliente.
Con riferimento alla gestione dei portafogli di investimento, i soggetti abilitati devono
applicare le seguenti regole:
- Rispetto delle istruzioni impartite dal cliente.
- Non contrarre per conto del cliente obbligazioni che lo impegnano oltre il patrimonio
gestito.
- Diritto del cliente di recedere, in ogni momento, dal contratto.
- Esercizio del diritto (eventuale) di voto, in rappresentanza del cliente, esclusivamente in
forza di procura scritta rilasciata da quest’ultimo.
L’ORDINAMENTO DELLE ATTIVITA’ DI GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO (D.
Lgs. 58/1998)
La gestione collettiva del risparmio si realizza attraverso:
- Fondi comuni di investimento.
- Gestione del patrimonio di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR),
tramite investimento in strumenti finanziari, creditizi, beni mobili e immobili.
OICR = Fondi Comuni di Investimento + Società di Investimento a CApitale Variabile
FCI: è patrimonio autonomo suddiviso in quote tra i partecipanti, gestito a monte (gestione
collettiva). Si distinguono due tipi di fondi:
- Fondo aperto: i partecipanti hanno diritto a chiedere il rimborso delle quote.
- Fondo chiuso: il rimborso è previsto solo in scadenze predeterminate.
SICAV: ha per oggetto l’investimento collettivo del patrimonio raccolto tramite l’offerta al
pubblico di proprie azioni.
- Le parti di OICR sono quote di fondi comuni di investimento e azioni di SICAV.
Società di gestione del risparmio (SGR) = SPA, con sede legale e direzione generale in
Italia, autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio.
- I fondi comuni di investimento aperti
Il fondo comune di investimento è un patrimonio collettivo costituito dalle somme versate
da una pluralità di partecipanti e investire in strumenti finanziari. Ciascun partecipante
detiene un numero di quote, tutte di uguale valore e con uguali diritti, proporzionalmente
all’importo che ha versato a titolo di sottoscrizione (il patrimonio del fondo costituisce
patrimonio autonomo e separato da quello della SGR e dal patrimonio dei singoli
partecipanti, nonché da quello di ogni altro patrimonio gestito).
Il fondo è mobiliare poiché il suo patrimonio è investito esclusivamente in strumenti
finanziari emessi da imprese o enti quotati (azioni e/o obbligazioni).
E’ aperto in quanto il risparmiatore può, a ogni data valorizzazione della quota,
sottoscrivere quote del fondo oppure richiedere il rimborso parziale o totale di quelle già
sottoscritte.
La SGR deve consegnare agli investitori – tramite la rete distributiva – il prospetto
informativo che contiene informazioni esaurienti sulle caratteristiche di investimento.
Condizioni necessarie per l’autorizzazione all’attività della SGR (concessa dalla Banca
d’Italia, sentita la CONSOB):
- forma di SPA;
- capitale sociale a 1 milione di €;
- sede amministrativa in Italia;
- i requisiti di professionalità e onorabilità degli amministratori, dei dirigenti e di
coloro i quali esercitano il controllo;
- il socio con partecipazione > 2% del capitale delle SGR deve:
° comunicarlo alla CONSOB;
° sottoscrivere un protocollo di autonomia gestionale;
° astenersi da qualsiasi comportamento che pregiudichi la sana e prudente
gestione della SGR (assume, verso i partecipanti al fondo, gli obblighi e
le responsabilità del mandatario).
Operazioni non consentite (divieti assoluti)
- investimento in titoli non quotati;
- investimento in titoli emessi dalla SGR e in quote dei fondi comuni gestiti;
- vendita titoli allo scoperto;
- concessioni di prestiti.
I limiti relativi invece si applicano a varie tipologie di investimento mobiliare, con la finalità
di limitare la corrente del rischio.
L’istituzione del fondo è subordinata alla condizione che il regolamento relativo venga
approvato sia dall’assemblea ordinaria della società, sia dalla Banca d’Italia, in funzione di
organo di vigilanza.
Il regolamento stabilisce concretamente le principali modalità di funzionamento del fondo,
fra cui la designazione della banca depositaria, cui è affidata la custodia del patrimonio
fondo. Quest’ultima ha pure l’obbligo di accertare che l’emissione e il rimborso delle quote
siano conformi alla legge, al regolamento e alle prestazioni dell’organo di vigilanza.
- I fondi comuni di investimento chiusi
L’autorizzazione è concessa dal ministro del tesoro, sentita la Banca d’Italia, a società
aventi per oggetto esclusivo la gestione di fondi comuni di investimento collettivo in valori
mobiliari. Quindi la stessa società di gestione può essere autorizzata a gestire
congiuntamente fondi aperti e chiusi; in tal caso il suo capitale sociale minimo è di 3,5
milioni di €.
FUNZIONAMENTO
Coerentemente con la nozione di fondo chiuso, l’ammontare del fondo è predeterminato, il
termine massimo di sottoscrizione è definito (1 anno), la durata del fondo deve essere
prestabilita (max 30 anni), le quote sottoscritte non possono essere riscattate prima della
scadenza, il valore minimo della quota in fase di sottoscrizione è elevato (attualmente
50.000 €). Le quote quindi non costituiscono un investimento liquidabile. Persegue un
obiettivo di investimento a medio-lungo termine.
Nel fondo aperto la società riceve remunerazione dalle prestazioni nella forma della
commissione di gestione.
Diversamente, nel caso del fondo chiuso, la società oltre ad applicare una commissione di
gestione, partecipa anche al risultato della gestione del fondo in due modi:
- investendo obbligatoriamente le proprie riserve in quote del fondo chiuso gestito,
in misura del 2% dell’ammontare di questo;
- partecipando ai proventi e al risultato netto della gestione.
- Assumono obbligatoriamente la forma chiusa, i fondi che investono in beni immobili e
diritti reali immobiliari e in crediti e titoli rappresentativi di crediti.
ALTRI TIPI DI FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO
- Fondi riservati a investitori qualificati: aperti o chiusi ( investitori qualificati: imprese
di investimento, banche, SGR, SICAV, ecc..).
- Fondi speculativi: aperti o chiusi, più rischiosi (non hanno vincoli in materia di
oggetto di investimento; numero limitato di partecipanti, sottoscrizione molto elevata).
LE SOCIETA’ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE (SICAV)
Si applica in gran parte la disciplina dei fondi comuni di investimento per quanto concerne
il regime autorizzativo, il funzionamento, la gestione, e i vincoli all’operatività e la vigilanza.
Elementi caratterizzanti:
- coincidenza fra patrimonio gestito e attivo patrimoniale della società garante;
- variabilità del capitale sociale;
- esercizio del voto per corrispondenza (possibilità);
-riduzione quorum deliberativi;
- periodicità settimanale dell’emissione/rimborso a discrezione del sottoscrittore;
- unicità del tipo di azioni (ordinarie) che possono essere:
° nominative: numero di voti = numero di azioni;
° al portatore: un solo voto.
L’ORDINAMENTO DELL’ATTIVITA’ ASSICURATIVA
Il codice (codice assicurazioni private – 2005) definisce le imprese di assicurazione come
imprese cui è riservato l’esercizio dell’attività assicurativa.
Tale attività è una di quelle sottoposte a riserva di legge: può cioè essere esercitata solo
da imprese assicurative.
L’attività assicurativa, a sua volta, viene poi definita in dettaglio per i – rami di vita e rami
danni (classificazione rischi) –. Un altro principio cardine dell’attività assicurativa è quello
della specializzazione. Ciò significa che una compagnia può essere autorizzata,
alternativamente, a esercitare o le attività di rami di vita o quelle di rami danni (parziale
eccezione: esercizio congiunto, rami vita e rami danni, malattia e infortuni).
Si applica il principio dell’attività esclusiva: le imprese assicurative devono limitare
l’oggetto sociale all’esercizio dell’attività assicurativa, ri-assicurativa e di capitalizzazione e
delle operazioni connesse con l’esclusione di qualsiasi attività industriale o commerciale
(per non creare conflitti di interesse).
Condizioni per il rilascio dell’autorizzazione formale, concessa dalle autorità competenti
- forma di SPA, società cooperativa e di mutua assicurazione;
- possesso del capitale minimo richiesto;
- la presentazione di un programma di attività, di una relazione tecnica, dall’atto costitutivo,
dallo statuto, dall’elenco degli amministratori;
- I requisiti di onorabilità dei soci e di onorabilità e di professionalità dei soggetti che
svolgono funzioni di amministrazione e controllo.
Le condizioni esposte vengono verificate dall’ISVAP che ne rilascia l’autorizzazione, con
provvedimento da pubblicare sulla gazzetta ufficiale.
- La compagnia autorizzata opera sul territorio nazionale e comunitario; è
sottoposta ad un unico regime autorizzativo e di vigilanza ( quello dello stato di
appartenenza). Le autorità del paese di origine trasmettono all’autorità dello stato di
prestazione la documentazione e le info relative alle proprie compagnie.
L’autorizzazione e l’operatività delle compagnie estere aventi la sede legale al di fuori
dell’Unione Europea, è soggetta a condizioni più restrittive.
- PARTECIPAZIONE AL CAPITALE DELLE IMPRESE ASSICURATIVE
- Assunzione di partecipazioni dirette e indirette > 5% del capitale di imprese ed enti
assicurativi deve essere comunicata all’ISVAP (così come l’assunzione di partecipazioni
qualificate – 10% –).
L’autorizzazione può essere negata a enti di stati che non applicano il principio della
reciprocità di trattamento.
L’autorizzazione è concessa se sussistono le condizioni per una sana e prudente gestione
assicurativa, da parte di imprese industriali e commerciali.
- DISPOSIZIONI REGOLANTI IL CONTENUTO DEL RISCHIO
- Concentrazione dei rischi: si pone un “tetto” all’investimento in alcune classi di attività. I
limiti si applicano ad aggregati ampi (investimenti, crediti, depositi,..).
- Rischio di cambio: attività espresse nella stessa valuta della passività a esse collegate
(principio della congruenza valutaria); si limita il mismatching fra singole valute.
- Rischio di interesse: si verifica quando la compagnia investe prevalentemente in attività il
cui rendimento può differire rispetto al costo delle passività.
Per quanto riguarda le partecipazioni, l’ISVAP nel 2008, ha fissato alcuni punti principali:
- una compagnia può assumere una partecipazione di controllo, se ciò non
pregiudica la sua stabilità;
- l’ISVAP ha il potere di valutare in che modo la partecipazione può influire sulla
struttura patrimoniale della società.
NUOVI SCENARI DI REGOLAMENTAZIONE
Subisce una trasformazione a causa della crescita della dimensione internazionale
dell’attività finanziaria, dell’aumento della concorrenza nei mercati finanziari,
dell’innovazione finanziaria. Accanto a questi elementi, hanno avuto peso anche le ondate
di scandali societari in USA e Europa (World Cam, Parmalat); a essi si è accompagnata
l’evidenza di malfunzionamenti della finanza: meccanismi di governance societari, regole
dei mercati, comportamenti delle banche nelle attività di investiment banking.
I fattori di cambiamento sono rinforzati dalla grave crisi finanziaria che comincia con il
default e il salvataggio della banca Northern Rock (UK, 2007).
Da quel momento si è assistito al susseguirsi di episodi di instabilità finanziaria che hanno
avuto l’epicentro negli USA, con la crisi dei mutui subprime. Si è convinti che per risolvere
la crisi debbano essere rinforzati gli strumenti di controllo.
SCHEMA DI BASILEA 2 (2004)
Il comitato di Basilea (governatori delle banche centrali e delle autorità di vigilanza
bancaria del gruppo dei dieci – G10 –, operante presso la Banca dei regolamenti
internazionali con sede a Basilea) ha reso noto un nuovo schema di regolamentazione,
conosciuto come Basilea 2.
Obiettivi: incentivare le banche a rafforzare i sistemi di risk management; migliorare le
loro strategie in materia di capitale proprio.
Il capitale rappresenta il fondamento della crescita futura di una banca e una tutela a
fronte delle perdite inattese.
Quanto capitale deve detenere una banca a fronte dei rischi dipende dal tipo di attività
svolta e dal livello dei rischi assunti.
Le regole attuali (BASILEA 1) sono molto semplici. In materia di rischio di credito si
limitano a distinguere classi di debitori (imprese, enti pubblici, ecc..) applicando ad ogni
classe un fattore di ponderazione. Tuttavia, all’interno della classe, tutti i debitori sono
sullo stesso piano.
I 3 PILASTRI DI BASILEA 2
1) Requisiti patrimoniali minimi per rischi di credito, di mercato, e operativi.
2) Processo di controllo prudenziale.
3) Disciplina di mercato.
1. REQUISITI MINIMI
Innovazione: correlazione tra capitale e rischio di credito di ogni singola posizione.
La regola di base a fronte del rischio di credito è: patrimonio 8% (attività ponderate per il
rischio).
Innovazione: misurazione del rischio di credito:
- metodo standardizzato: le banche che operano in attività semplici possono
adottare misure esterne del rischio (es. rating agenzie specializzate –
Standard&Poor’s).
- Sistema basato sui rating interni: le banche sviluppano una propria misura
del rischio.
* Il modello di rating deve avere come risultato una misura del merito del credito che
corrisponde alla probabilità di insolvenza in un certo orizzonte di tempo.
L’applicazione del sistema può essere fatta in due approcci: quello base e quello
avanzato. L’intervento della vigilanza avviene a monte, cioè nella fase di validazione del
sistema gestionale delle banche.
- RISCHIO OPERATIVO: perdite dovute al malfunzionamento dei sistemi e dei processi
operativi, a errori umani, o a fattori esterni.
- RISCHIO DI MERCATO: legato agli andamenti dei prezzi (tassi d interesse e di
cambio,..)
DIFFERENZA IN BASILEA 1
L’impostazione è statica (il fabbisogno di capitale della banca deriva meccanicamente dal
calcolo dell’ “attivo ponderato per il rischio”).
con BASILEA 2 si vuole legare il fabbisogno di capitale alle misure di rischio di credito e
operativo, determinate attraverso sistemi gestionali interni.
2. CONTROLLO PRUDENZIALE
- Il sistema di valutazione e controllo dei rischi delle banche deve essere posto sotto la
supervisione delle autorità di vigilanza. Esse devono accertare che i sistemi interni di risk-
management delle banche siano affidabili.
Questo perché si deve tener conto di rischi di natura diversa da quelli visti nel 1° pilastro
(rischi strategici e alcuni aspetti dei rischi di liquidità e di reputazione).
Questo processo si articola in due fasi:
1) ICAAP: autovalutazione in cui la banca giudica l’adeguatezza del proprio matrimonio in
funzione, oltre che dei rischi considerati nei requisiti minimi, di alcuni altri fattori: rischi non
considerati, sistema dei controlli interni.
2) SREP: revisione, da parte dell’autorità di vigilanza, del processo ICAAP, al fine di
esprimere una valutazione circa l’adeguatezza dei sistemi di misurazione dei rischi.
3. DISCIPLINA DI MERCATO
Si fonda su un nuovo aspetto basato sull’ipotesi che la pressione del mercato possa
indurre comportamenti più virtuosi delle banche. Il mercato dovrebbe avere info sufficienti
per capire l’effettiva natura dell’attività svolta e dei sistemi di risk-management; il mercato
stesso premierebbe quelle che hanno sistemi di gestione e capitalizzazione adeguate, e
penalizzerebbe le altre.
REGOLAMENTAZIONE MIFID (2007)
Innovazioni: disciplina mercati finanziari e servizi di investimento.
Obiettivo: costruzione mercato azionario europeo.
- Principi:
1) Regolamentazione per principi: l’impostazione si sposta dagli adempimenti prescrittivi,
agli obiettivi da perseguire, assicurando una certa discrezionalità nelle modalità.
2) Principio dell’armonizzazione massima: al fine di assicurare uniformità alle disposizioni
nello spazio europeo, i singoli stati NON possono introdurre obblighi aggiuntivi agli
intermediari.
3) Centralità degli interessi del cliente: si esprime attraverso regole di contrattualizzazione
e di contenuto informativo che devono dare al cliente una completa consapevolezza
dell’insieme di diritti e obblighi conseguenti alla prestazione del servizio di investimento.
4) Abbandono del principio della concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati: i
mercati regolamentati sono affiancati da altri sistemi di scambio come i “sistemi
multilaterali di negoziazione (MTF)” e i cosiddetti “internalizzatori sistematici”
4a) Principio della best execution: l’ordine di un cliente può essere eseguito su
qualsiasi mercato, anche all’interno dell’intermediario (internalizzazione), perché
l’esecuzione avvenga nel rispetto dei requisiti di trasparenza.
Innovazione: sistema di vigilanza azione complementare Banca d’Italia e CONSOB
- Banca d’Italia: si occupa del contenimento del rischio della stabilità e della sana e
prudente gestione degli intermediari.
- CONSOB: si occupa della trasparenza e della correttezza del comportamento
degli intermediari.
CORPORATE GOVERNANCE DELLE BANCHE
La corporate governance bancaria ha due aspetti particolari:
a) legato alla natura dell’attività finanziaria: essa è esposta a fallimenti (asimmetrie
informative, esternalità,…) ed è sottoposta a controllo;
b) le banche svolgono un ruolo importante nella corporate governance delle imprese:
come finanziatori, sono uno stakeholder rilevante.
Questo tema, in Italia, è stato oggetto di indirizzi normativi sovranazionali.
Nel 2004, una norma di indirizzo del CICR afferma che le disposizioni sulla
regolamentazione debbano articolarsi su due livelli: il primo dedicato ai principi generali e
alla fissazione degli obiettivi; il secondo, contenente le linee applicative per l’attuazione
(con certa discrezionalità). Inoltre, gli assetti organizzativi e di corporate governance
devono rispondere a due esigenze: l’efficienza della gestione e l’efficacia dei controlli.
L’attuazione di questi principi deve tenere conto dei fattori specifici della stessa banca:
dimensioni, struttura proprietaria, apertura al mercato.
Seguono poi alcune norme guida dedicate ai requisiti che devono rispettare gli assetti
organizzativi e di governance:
- compiti gestionali, esecutivi e di controllo devono essere ripartiti;
- funzioni di governance supportate da flussi informativi;
- poteri e responsabilità devono essere chiaramente definite;
- meccanismi di remunerazione e incentivazione vanno allineati agli interessi aziendali.
COMPLIANCE (non conformità): norme che integrano la materia dei controlli interni e
fanno riferimento all’ipotesi che l’intermediario sia soggetto a perdite o danni a causa di
sanzioni giudiziarie e/o amministrative e a cadute di reputazione in conseguenza di norme
di autoregolamentazione.
VIGILANZA SUI CONGLOMERATI FINANZIARI (direttiva 2002/87)
- vigilanza supplementare su banche, assicurazioni, imprese di investimenti a un
conglomerato finanziario.
Conglomerato finanziario: entità organizzativa complessa, che prendono la forma di
gruppo o sottogruppo di imprese che devono presentare alcune caratteristiche:
- CAPOGRUPPO: impresa regolamentata (intermediario finanziario), o una delle
imprese figlie del gruppo sia regolamentata. Se il capogruppo è diverso dall’impresa
regolamentata le attività del gruppo si svolgono principalmente nel settore finanziario.
Almeno una delle imprese del gruppo deve operare nel settore assicurativo, una nel
settore bancario e nel settore dei servizi di investimento.
Condizione necessaria perché si parli di conglomerato è che ci sia integrazione fra le
attività assicurativa e bancaria e/o quella mobiliare (servizi di investimento). Questa
integrazione comporta economie di scala o di scopo, diversificazione, ma anche nuove
tipologie di rischio e un aumento dei possibili conflitti di interesse.
REGOLAMENTAZIONE SPECIFICA (2 aspetti)
1) applicazione di specifici criteri prudenziali; rientra in questo ambito l’adeguatezza del
capitale proprio, che deve risolvere il problema del double gearing (doppia
contabilizzazione dello stesso capitale). Rientrano anche le regole in materia di transazioni
intra-gruppo e di concentrazione dei rischi.
2) organizzazione della vigilanza: data la pluralità di autorità con competenze settoriali, la
direttiva introduce il “coordinatore”, cioè l’autorità responsabile per il coordinamento e
l’esercizio della vigilanza.
Rimangono in vita i compiti delle altre autorità, ma il coordinatore ha compiti specifici, in
materia di vigilanza supplementare:
- coordinamento raccolta di informazioni e delle attività di vigilanza;
- valutazione complessiva del conglomerato;
- valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e del controllo interno.
LA FUNZIONE DELL’INVESTITORE
Le scelte finanziarie dell’investitore sono guidate soprattutto da: rendimento e rischio.
NOTA: nella realtà l’investitore potrebbe avere interessi e obiettivi di tipo diverso.
Il rendimento: può essere considerato il risultato economico dell’operazione o redditività
nel caso delle attività finanziarie è espresso in termini percentuali e su base annua.
La configurazione completa del rendimento tiene conto dei seguenti elementi:
- PREZZO DI ACQUISTO I mediante un processo di attualizzazione
- REDDITI PERIODICI I si calcola il rendimento al lordo degli
- VALORE DI RIMBORSO _I oneri fiscali e dei costi di transazione.
- ONERI FISCALI
- COSTI DI TRANSAZIONE
La determinazione del rendimento consente un immediato confronto tra differenti
investimenti in attività finanziarie, perché esso avviene su basi omogenee attraverso un
numero puro, sullo stesso arco temporale. Però deve essere integrato dalla nozione di
rischio.
Il rischio: in campo economico si lega all’impossibilità di prevedere con esattezza il
risultato di una determinata operazione.
I principali tipi di rischio sono:
- Rischio di insolvenza: il prenditore non può restituire i fondi.
- Rischio di prezzo: il titolo quotato subisce variazioni.
- Rischio tasso di interesse: variazione del tasso di interesse di mercato (contratti di
credito a tasso fisso).
- Rischio di cambio: variazione tasso di cambio tra due valute (nel caso di attività
espressa in valuta diversa)
- Rischio di liquidità: difficoltà a convertire in monete una data Af (attività finanziaria).
- Rischio di perdita del potere d’acquisto: colpisce un’attività finanziaria in funzione
dell’inflazione, che riduce il valore della moneta di denominazione.
RELAZIONE RENDIMENTO-RISCHIO (correlazione diretta)
L’investitore accetta combinazioni crescenti di rendimento e rischio (remunerato).
L’investitore razionale acquista un’attività finanziaria (rischiosa) soltanto se il suo
rendimento atteso è remunerato rispetto a un rischio.
In linea generale, di fronte ad attività finanziarie alternative caratterizzate da un uguale
rendimento, l’investitore preferisce quella dotata di minore rischio.
è migliore; perché a parità di rendimento, ha
un rischio minore
A B
è migliore; perché a parità di rischio
ha un rendimento maggiore
c
non è facile confrontarli
0 1 2
L’appartenenza del singolo investitore all’una o all’altra classe di propensione al rischio
dipende da una combinazione complessa di numerosi fattori quali: età, ricchezza
posseduta, livello di reddito attuale, stato di salute, ecc..
* Assumendo come riferimento il rendimento atteso di un Af priva di rischio (titolo di
Stato a breve scadenza), il maggior rendimento atteso di un Af rischiosa è detto
premio al rischio.
Lo strumento grafico che permette di determinare l’adeguatezza del premio al rischio –
dato il comportamento di un investitore – è la curva di indifferenza.
Essa riunisce le combinazioni rendimento/rischio indifferenti, per l’investitore stesso. Di
solito le curve considerate hanno pendenza crescente, a denotare che in genere
l’investitore presenta un profilo di avversione al rischio, cioè il maggiore rendimento
richiesto è più che proporzionale al maggior rischio accettabile (anche se esistono diverse
classi di propensione al rischio).
Le decisioni di finanziamento esterno (risorse fornite da terzi), rappresentano la fase finale
del processo di scelta della politica di investimento. Il fabbisogno finanziario può essere
coperto da fondi interni (per l’impresa, si parla di autofinanziamento lordo; per l’ente
pubblico, invece, di surplus di parte corrente; per la famiglia, si parla di risparmio lordo).
R
E
N
D
I
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LA FUNZIONE OBIETTIVO DEL PRENDITORE DI FONDI
Le scelte finanziarie del prenditore sono guidate dalle variabili: costo e rischio.
Il costo è determinato dalle seguenti quantità:
- Importo del finanziamento l mediante un processo di attualizzazione
- Oneri periodici I se ne calcola il costo al lordo degli
- Valore di rimborso _I oneri fiscali e dei costi di transazione.
- Oneri fiscali
- Costi di transazione
Il rischio: i rischi a cui è esposto il prenditore di fondi sono:
- Rischio di solvibilità: o di bancarotta (non si può restituire ciò che si è ricevuto).
- Rischio di cambio: variazione tasso di cambio tra due valute (caso di Pf in altra
valuta).
- Rischio tasso di interesse: riduzione tassi di mercato (finanziamento a tasso fisso).
- Rischio di instabilità dei fondi di finanziamento: che prevede la richiesta di
rimborso prima della scadenza.
- Rischio di condizionamento da parte del finanziatore: che può intervenire
nell’indirizzo dell’attività dell’impresa (caso di sottoscrizione di titoli azionari).
RELAZIONE COSTO RISCHIO
Il prenditore di fondi, secondo razionalità, ha l’obiettivo di minimizzare il costo del
finanziamento, assumendo come vincoli varie soglie dei diversi rischi, che possono essere
riuniti in una esigenza di stabilità e controllabilità delle fonti di finanziamento. Fra costo e
stabilità/controllabilità sussiste una relazione inversa (maggiore protezione dai rischi
costo maggiore). Fra i rischi che abbiamo visto sopra sussiste, talvolta, una relazione
inversa.
FUNZIONI E CARATTERISTICHE STRUM. FIN.
L’analisi di bisogni e funzioni obiettivo di datori e prenditori di fondi, evidenzia che questi
hanno opportunità di scambio. Lo scambio diviene realizzabile se esiste la possibilità di
definire diritti e doveri di entrambe le parti contraenti, in modo che entrambe trovino
soddisfazione. Lo scambio finanziario si concreta nella formazione di un’attività
(passività) finanziaria che definisce un credito (debito). Quindi ogni attività finanziaria
sottitende un contratto: essa viene anche chiamata strumento finanziario (s.f.). Dato
che le due categorie di soggetti hanno funzioni obiettivo diversificate, necessitano s.f.
diversi.
La diversificazione degli s.f. costituisce una condizione fondamentale di ampliamento
delle opportunità di scambio. Questo processo è un fattore potente di evoluzione, che è
determinata: dagli stessi attori della domanda e dell’offerta; da numerose condizioni di
contesto, fra cui l’efficienza organizzativa dei mercati finanziari, la funzionalità del sistema
giuridico e il progresso tecnologico; dagli stessi intermediari finanziari. Dato che gli s.f.
sono in continua evoluzione, non se ne può fornire una descrizione esauriente. Tuttavia i
contratti finanziari possono essere ricondotti a 4 categorie di base: a) C. DI DEBITO; b)
C. DI PARTECIPAZIONE; c) C. ASSICURATIVI; d) C. DERIVATI.
NATURA DEI DIRITTI INCORPORATI
Tutti gli s.f. che descriveremo sono caratterizzati da rischi finanziari (che possono avere
manifestazione sia favorevole che sfavorevole).
1) strumenti che incorporano sia diritti di proprietà sia diritti di credito (tit. azionari e titoli rappresentativi delle società di capitali); sono i c.d. s.f. di partecipazione. Consentono l’esercizio di diritti amministrativi: diritto di voto: consente al socio azionista di partecipare alle decisioni
dell’assemblea dei soci (nomina CdA, approvazione bilancio, distribuzione utile, cambiamento statuto, aumento/riduzione capitale), mediante espressione di voto proporzionale al n° di azioni possedute;
diritto di impugnativa: forma di tutela dell’azionista; diritto di recesso: consente agli azionisti di uscire dalla compagine sociale
quando eventuali delibere assembleari innovano lo statuto della società. L’esercizio di recesso fa sorgere, a favore del socio uscenti e a carico degli altri azionisti, il diritto patrimoniale a farsi rimborsare la partecipazione posseduta;
diritto di opzione: riconosce all’azionista il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione (aumento di capitale) in proporzione alla partecipazione posseduta. È un diritto alienabile.
Gli aspetti patrimoniali che definiscono in diritto di credito contenuto negli s.f. di
partecipazione sono:
diritto di partecipazione all’eventuale distribuzione degli utili (dividendo), nella misura della quota di partecipazione. La distribuzione è subordinata alla delibera dell’assemblea dei soci, che può decidere di attuare una distribuzione parziale, sia di non assegnare alcun dividendo ai soci, effettuando una ritenzione parziale o totale degli utili.
Diritto al rimborso totale (in caso di recesso o liquidazione) o parziale (in caso di riduzione del cap. sociale), in misura proporzionale alla quota di partecipazione posseduta.
NB: la condizione di socio conferisce all’azionista il diritto di partecipare al risultato
economico dell’impresa.
2) strumenti che incorporano esclusivamente diritti di credito, e quindi il diritto ad ottenere prestazioni economico-finanziarie (pagamento interessi e rimborso del capitale), secondo modalità contrattuali prestabilite (contratti di credito: obbligazioni e prestiti).
Pagamento, con frequenza prefissata, di una remunerazione a titolo di interesse, che può essere predeterminata nell’importo (tasso fisso) o incerta (tasso variabile), la cui variabilità è determinata da parametri di indicizzazione del tasso di interesse ad altri tassi di mercato (es. cedola CCT, indicizzata al rendimento BOT).
Rimborso del capitale secondo scadenze e importi predeterminati, nella maggioranza dei casi.
Questi strumenti attribuiscono al prenditore un controllo minore sulla disponibilità
delle risorse ricevute; viceversa, il finanziatore è favorito da una maggiore rigidità
dell’assetto contrattuale, il quale determina con maggiore certezza le prestazioni a
carico del debitore.
3) strumenti che incorporano il diritto discrezionale o/e l’obbligazione di comprare/vendere a termine una data attività finanziaria: strumenti finanziari di partecipazione, o di credito (che trasferiscono risorse finanziarie nel tempo) possono, a loro volta, diventare oggetto di altri contratti: i c.d. strumenti derivati, per indicare che la loro struttura presuppone l’esistenza di una base, da cui lo strumento derivato, deriva. Questi strumenti non servono a trasferire risorse finanziarie tra i soggetti contraenti, ma hanno la funzione di trasferire i rischi, incorporati nelle attività sottostanti. Si distinguono, per la diversità dei diritti incorporati:
strumenti che incorporano esclusivamente obbligazioni a termine, concordate tra le parti (future, contratti a termine, swap);
strumenti che contengono il diritto discrezionale (opzione) di una delle due parti ad acquistare o vendere a termine, nei confronti dell’altra parte, titolare della contrapposta obbligazione non discrezionale a vendere o acquistare una data attività finanziaria.
FUTURE
Il contraente di obbliga ad acquistare (posizione lunga) o a vendere (posizione corta),
a un termine futuro prestabilito (data di regolamento) e a un prezzo predeterminato
(prezzo future), una certa attività finanziaria. La diversa natura di quest’ultima consente di
distinguere tre diversi tipi di contratti:
o gli interest rate future, in cui il sottostante è rappresentato da titoli di Stato a lungo termine;
o gli stock index future, in cui il sottostante è costituito da indici relativi ad azioni quotate su mercati regolamentati;
o i currency future, in cui il sottostante è rappresentato da una valuta.
La funzione economica fondamentale è di consentire al contraente di prendere
“posizione” nei confronti dell’andamento futuro dei prezzi di attività finanziarie sensibili
ai tassi di interesse. In proposito si distingue la categoria degli:
hedgers: operatori che, avendo assunto certe posizioni e volendone “coprire” i rischi, stipulano contratti future di segno opposto, riferiti ad attività finanziarie equivalenti a quelle su cui si è presa posizione;
speculatori: soggetti che utilizzano i derivati per assumere una posizione di rischio al fine di trarne un profitto nel caso in cui la previsione si rilevi verificata, ex post.
NB: il compratore di future realizza un profitto se i prezzi correnti dei sottostanti
aumentano oltre il prezzo future; il venditore guadagna se i prezzi scendono sotto il
prezzo future.
SWAP
È costituito da obbligazioni contrapposte riferite a date future; i soggetti si impegnano a
scambiare futuri pagamenti di interessi (per es., flussi in interessi a tasso fisso contro
flussi a tasso variabile) -interest rate swap-, oppure futuri pagamenti di valuta -currency
swap-.
CONTRATTO DI OPZIONE
Si ha quando una delle parti contraenti si riserva la facoltà di acquistare/vendere a un
prezzo prestabilito (prezzo strike o di esercizio) una certa attività finanziaria. Il soggetto
che compra questa facoltà discrezionale paga al venditore un prezzo (premio
dell’opzione), il cui livello dipende dalla probabilità di esercizio dell’opzione (che
dipende, a sua volta, dall’andamento del prezzo del sottostante).
Si distinguono contratti in cui l’opzione può essere esercitata:
soltanto ad una scadenza prestabilita (opzione europea); entro una scadenza prestabilita (opzione americana). I contratti di opzione vengono classificati in funzione dei sottostanti, cui si riferiscono
diritti e obbligazioni delle parti:
opzioni su valori mobiliari (azioni e obbligazioni); opzioni su indici di borsa; opzioni su valute;
opzioni su contratti future. La differenza risiede nella circostanza della discrezionalità attribuita al compratore
dell’opzione: egli non assume una posizione definitiva rispetto al rischio di prezzo del
sottostante, ma si riserva di assumerla.
TRASFERIBILITA’, NEGOZIABILITA’ E LIQUIDITA’ (proprietà degli s.f.)
Trasferibilità: vi sono strumenti finanziari il cui contratto prevede il semplice
trasferimento materiale (titoli di credio al portatore) o tramite girata (titoli all’ordine) e,
viceversa s.f. il cui trasferimento di titolarità non è immediatamente attuabile, ma
richiede procedure complesse (cessione del credito) e onerose (costi di transizione).
La trasferibilità consente la circolazione degli s.f. successivamente alla loro emissione,
cioè sul mercato secondario. Gli strumenti di finanziamento/investimento trasferibili per
loro intrinseca natura sono i valori mobiliari (az. e obbligazSWAP
È costituito da obbligazioni contrapposte riferite a date future; i soggetti si impegnano a
scambiare futuri pagamenti di interessi (per es., flussi in interessi a tasso fisso contro
flussi a tasso variabile) -interest rate swap-, oppure futuri pagamenti di valuta -currency
swap-.
CONTRATTO DI OPZIONE
Si ha quando una delle parti contraenti si riserva la facoltà di acquistare/vendere a un
prezzo prestabilito (prezzo strike o di esercizio) una certa attività finanziaria. Il soggetto
che compra questa facoltà discrezionale paga al venditore un prezzo (premio
dell’opzione), il cui livello dipende dalla probabilità di esercizio dell’opzione (che
dipende, a sua volta, dall’andamento del prezzo del sottostante).
Si distinguono contratti in cui l’opzione può essere esercitata:
soltanto ad una scadenza prestabilita (opzione europea); entro una scadenza prestabilita (opzione americana).
I contratti di opzione vengono classificati in funzione dei sottostanti, cui si riferiscono
diritti e obbligazioni delle parti:
opzioni su valori mobiliari (azioni e obbligazioni); opzioni su indici di borsa; opzioni su valute; opzioni su contratti future. La differenza risiede nella circostanza della discrezionalità attribuita al compratore
dell’opzione: egli non assume una posizione definitiva rispetto al rischio di prezzo del
sottostante, ma si riserva di assumerla.
TRASFERIBILITA’, NEGOZIABILITA’ E LIQUIDITA’ (proprietà degli s.f.)
Trasferibilità: vi sono strumenti finanziari il cui contratto prevede il semplice
trasferimento materiale (titoli di credio al portatore) o tramite girata (titoli all’ordine) e,
viceversa s.f. il cui trasferimento di titolarità non è immediatamente attuabile, ma
richiede procedure complesse (cessione del credito) e onerose (costi di transizione).
La trasferibilità consente la circolazione degli s.f. successivamente alla loro emissione,
cioè sul mercato secondario. Gli strumenti di finanziamento/investimento trasferibili per
loro intrinseca natura sono i valori mobiliari (az. e obbligaz.). Un contratto di mutuo o
prestito o deposito non prevedere trasferibilità, anche se il relativo credito può essere
ceduto. Dunque esiste un:
mercato degli strumenti non trasferibili, formato esclusivamente da scambi finanziari fra banche e soggetti che domandano prestiti o depositi: questo è il mercato del credito;
mercato degli strumenti trasferibili (az. e obbligaz.), formato dagli scambi che attuano il trasferimento degli strumenti dopo che questi sono stati prodotti e collocati: mercato mobiliare o mercato di capitali.
Mercato finanziario: si riferisce allo scambio di tutti gli strumenti finanziari (mercato del credito + mercato mobiliare).
Tuttavia la trasferibilità è solo un requisito formale che consente l’effettivo trasferimento
del titolo di proprietà e/o di credito, cioè la sua…
Negoziabilità: non dipende solo da caratteri interni allo strumento stesso, ma anche da
condizioni esterne, che qualificano l’organizzazione degli scambi (mercato): al riguardo
ha importanza prevalente la quotazione dello s.f., cioè l’informazione oggettiva e
trasparente del prezzo dello strumento e la frequenza degli scambi di un dato strumento
(quanto più sono frequenti, maggiori sono le opportunità di negoziazione).
Standardizzazione: quanto più uno strumento è standardizzato, tanto minori sono la sua
complessità e il connesso costo di informazione per l’investitore.
Divisibilità: possibilità di frazionare la negoziazione, contribuisce ad accrescere la
stessa.
La negoziabilità è requisito necessario per definire la…
Liquidità: convertibilità in moneta. La convertibilità è più agevolata quanto minori sono
il costo di ricerca della controparte, gli altri costi di transazione e la perdita di valore
(misure della liquidità). La liquidità dipende anche dalla durata residua (duration) dello
s.f.: un titolo di credito è tanto più liquido, quando più prossima è la sua scadenza.
La nozione di liquidità si trasferisce in quella di capacità monetaria: idoneità di un dato
s.f. a essere usato direttamente come mezzo di pagamento o a essere convertito in
moneta con costi, rischi e tempi quasi nulli (le Af corrispondenti sono dette quasi-
moneta).
Gli strumenti non trasferibili non presentano un profilo di inferiorità rispetto a quelli
trasferibili. Tipicamente, lo s.f. non trasferibile, non dovendo corrispondere ai requisiti di
standardizzazione necessari per la negoziabilità, offre alle parti diversificate opportunità
di personalizzare le clausole contrattuali in funzione delle specifiche preferenze. Ad
es., con riferimento ad un mutuo, si possono considerare le possibilità di concordare
soluzioni contrattuali in ordine a:
modalità di erogazione del finanziamento; valuta di denominazione; modalità di determinazione degli interessi (tasso fisso o variabile); tipo di garanzia; durata del finanziamento.
CARTOLARIZZAZIONE DEGLI S.F. NON TRASFERIBILI
Tecnica finanziaria che prevede la trasformazione di s.f. non trasferibili in s.f. trasferibili,
e quindi negoziabili. Essa consiste nella combinazione delle seguenti operazioni:
si identifica un portafoglio di crediti non trasferibili, omogenei per stato di solvibilità o per forma tecnica;
il proprietario (in genere una banca, originator) di questo portafoglio ne effettua la cessione pro soluto (liberandosi di qualsiasi insolvenza), per un dato prezzo, a una società veicolo (special purpose vehicle, SPV);
a fronte dell’acquisto la SPV emette titoli obbligazionari (asset backed securities o ABS);
il portafoglio ceduto viene normalmente attribuito in gestione alla stessa banca cedente (originator) e i flussi per interessi e capitali vengono trasferiti alla SPV che li destina alle ABS emesse, secondo un ordine di priorità eventualmente differenziato per tranches di emissione (senior, mezzanine e junior);
le entrate di cassa della SPV possono essere protette dai rischi di insolvenza mediante garanzie interne (della stessa banca cedente) o esterne (acquistate dalla banca cedente da soggetti terzi, come, per es., i credit default swap).
Questa tecnica produce diversi effetti positivi: offre ai soggetti cedenti opportunità di
smobilizzo di attività non liquide per reperire liquidità; contribuisce allo sviluppo
dell’offerta di materiale finanziario a beneficio degli investitori. Inoltre essa tende a
trasferire i rischi del portafoglio cartolarizzato agli investitori nelle ABS.
RENDIMENTO, SUA PREVEDIBILITA’ E RISCHIO
Può essere calcolato da un punto di visto previsionale (rendimento ex ante) e da un
punto di vista storico (rendimento ex post). La prima componente del rendimento è il
reddito staccato: è rappresentato dal pagamento periodico di cedole (per titoli
obbligazionari) o di dividendi (per titoli azionari). Ciò presuppone l’esistenza di un
flusso di cassa in uscita per l’emittente che, nel caso di obbligazioni sarà determinato in
funzione del tasso contrattuale definito in misura fissa (ad es. BTP) o variabile (CCT),
mentre nel caso delle azioni, sarà definito discrezionalmente dall’assemblea dei soci. La
seconda componente è la differenza tra il valore di rimborso a scadenza (o il prezzo di
vendita prima della scadenza) e il prezzo di acquisto (reddito incorporato). Una terza
componente che definisce il rendimento di un titolo e che, insieme alla seconda, rientra nel
reddito incorporato è rappresentata dai frutti ottenibili grazie al reinvestimento dei flussi
finanziari periodici prodotti dal titolo stesso. In termini matematici:
∑
( )
( ) , dove
è il valore iniziale del capitale investito;
sono i flussi di cassa periodici incassati dall’investitore al tempo t;
è il valore finale del capitale investito (o prezzo di vendita);
è il tasso interno di rendimento effettivo (incognita).
Nel caso di una obbligazione, il valore iniziale dell’investimento è il prezzo di emissione,
i flussi di cassa sono le cedole staccate e il valore finale è il valore di rimborso a
scadenza o il prezzo di vendita del titolo prima della scadenza. Nel caso dell’azione,
invece, i flussi di cassa sono rappresentati dai dividendi distribuiti e il valore finale è il
prezzo di vendita sul mercato. Si noti, inoltre, che la medesima formulazione matematica
può essere adottata per il calcolo del costo di una passività finanziaria ( è l’importo del
finanziamento; i flussi periodici rappresentano le rate -quota capitale e quota interessi- e
è l’importo residuo del finanziamento a scadenza). Le considerazioni sin qui espresse
non hanno preso in considerazione le ipotesi di insolvenza dell’emittente del titolo (rischio
di credito), di denominazione del titolo in valuta differente (rischio di cambio) e di
fluttuazione del valore di mercato del titolo (rischio di prezzo). Inoltre, l’aleatorietà del titolo
è crescente, man mano che si passa dai titoli zero coupon, ai titoli a cedola fissa e a quelli
a cedola variabile. L’incertezza porta ad affrontare il problema della valutazione della
convenienza di un investimento secondo un approccio probabilistico. Quindi, il
rendimento sarà espresso come media ponderata dei rendimenti, utilizzando come pesi
le probabilità. In termini matematici:
∑
Il rendimento medio costituisce una sintesi degli esiti futuri, ma non tiene conto dei
diversi livelli di rischio. È opportuno introdurre una misura del rischio, denominata scarto
quadratico medio, che quantifica la dispersione dei rendimenti realizzabili in ogni
scenario rispetto al rendimento medio. In formule:
√∑ ( ̅) , dove ̅ è il rendimento medio
Il rendimento ex post, ovviamente non è aleatorio (ma ciò non vuol dire che venga meno il
rischio). Sebbene lo scarto quadratico sia una buona misura del rischio, esso non
consente di cogliere alcuni fattori di rischio specifici. Ad es., nel caseo dei titoli azionari,
può essere utile determinare la sensibilità delle quotazioni del titolo rispetto ai movimenti
del mercato (la teoria della finanza propone il beta). Nel caso delle obbligazioni, potrebbe,
invece, essere utile determinare la sensibilità del prezzo di un titolo alle variazioni dei tassi
di interesse (duration).
DURATA RESIDUA
È il tempo che intercorre tra il momento presente e la scadenza dello s.f. Tuttavia, non
sempre i contratti sottostanti agli s.f. definiscono precisamente la scadenza: si hanno s.f. a
scadenza indeterminata (per es., deposito a risparmio, apertura di credito in c/c), oppure
con scadenza a vista, a discrezione di entrambe le parti (deposito in c/c). In altri casi la
scadenza è prestabilita, ma il contratto attribuisce all’emittente/debitore la facoltà di
estinzione anticipata (call option), oppure conferisce tale diritto all’investitore/creditore
(put option). In altri casi, la scadenza è un elemento nominale (azioni, per cui essa
coincide con il termine della società emittente). Infine, in altri casi, lo s.f. non ha
scadenza, nel senso che è perpetuo e non prevede rimborso. La durata residua, come
abbiamo già detto, è importante per qualificare la liquidità dello s.f. È importante chiarire
che il tempo alla scadenza non misura correttamente la durata finanziaria poiché, in
genere, nell’intervallo considerato, lo s.f. produce flussi di cassa per l’investitore
(pagamento interessi). Tenendo conto di questa circostanza, la duration (D) di uno s.f. è
definita dalla seguente relazione aritmetica:
∑
( )
, dove:
t indica la scadenza di ogni flusso di cassa futuro (fino a n);
è il flusso di cassa t-esimo;
r è il tasso di rendimento interno, detto anche TRES (tasso di rend. eff. alla scadenza);
P è il prezzo corrente del titolo sul mercato.
Essa misura il n° di anni alla scadenza del titolo, calcolata ponderando ogni scadenza
futura con il rapporto fra valore attuale del flusso di cassa e il prezzo corrente del titolo.
Quanto maggiore è l’importo dei flussi di cassa intermedi pagati dallo s.f., tanto minore è
la sua durata finanziaria. Si noti che l’investitore è esposto ad un rischio di prezzo, cioè a
un rischio di variazione del prezzo in caso di variazione del tasso di interesse (se il tasso
aumenta, il prezzo del titolo diminuisce). In particolare, il rischio di prezzo di un titolo
obbligazionario, è calcolato dalla seguente relazione:
( ) , dove:
è la variazione assoluta del prezzo del titolo;
è il prezzo di acquisto originario;
è il tasso di rendimento alla scadenza del titolo;
è la variazione assoluta del tasso di rendimento;
( ) è la duration modificata (duration scontata per il tasso di rendimento originario).
La del prezzo è inversamente proporzionale alla dei rendimenti di mercato.
ALTRI CARATTERI DEGLI S.F.
Convertibilità: uno s.f. può essere trasformato in un altro s.f., a date condizioni. Es:
obbligazione convertibile, il cui contratto prevede la facoltà del sottoscrittore di
convertire il titolo obbligazionario nel titolo azionario dello stesso o di altro emittente. La
convertibilità può anche consistere nella modifica di un elemento sostanziale dello
strumento (es: da tasso fisso a tasso variabile).
Valuta di denominazione: la valuta con cui i flussi monetari di ogni s.f. vengono
pagati/incassati è definita dal sottostante. Contratti complessi possono prevedere che la
valuta di denominazione originaria possa essere convertita da una delle parti a certe
condizioni (titoli di credito dual currency). Nel caso dei prestiti, tale condizione è detta
clausola multicurrency. –Non si tratta di fattispecie frequenti–
Costo di produzione e costo d’uso: la produzione di ogni s.f. comporta svariati costi, in
relazione alle sue caratteristiche tecniche, giuridiche e contrattuali. Per esempio,
l’emissione di azioni comporta, fra gli altri, i seguenti costi: convocazione e svolgimento
dell’assemblea societaria, emissione e consegna dei certificati azionari, tassa di registro e
così via. Inoltre, ogni s.f. comporta pure specifici costi di uso, che sono significativi con
riferimento ai titoli di credito trasferibili. Per esempio la compravendita di un valore
mobiliare quotato comporta il pagamento di una commissione esplicita o implicita nel
fatto che il mercato quota per l’acquirente prezzi di acquisto (bid) superiori ai prezzi di
vendita (ask) –la differenza tra bid e ask (spread) misura la remunerazione richiesta
dall’operatore, il c.d. market maker–. Inoltre tra i costi d’uso è tipico il costo di custodia
che ogni investitore sostiene. Costi di produzione e di uso fanno parte della categoria dei
costi di transazione.
Complessità: si definisce complesso lo strumento che deriva dalla combinazione
contrattuale di due o più strumenti semplici. Es: obbligazione con warrant è un titolo
elementare che comprende un’opzione (warrant), per il possessore, di acquistare titoli
azionari dello stesso emittente. I titoli complessi vengono definiti titoli strutturati, per i
quali la strutturazione consiste nella configurazione dei caratteri elementari del titolo
(scadenza, flussi cedolari, modalità di rimborso, ecc.) mediante contratti derivati.
Scomponibilità: uno s.f. può essere scomposto in strumenti più elementari. Per esempio,
nel caso dell’obbligazione, la separazione del rimborso del capitale a scadenza dai flussi
di interesse intermedi fa nascere due s.f. diversi: da un lato un titolo a cedola zero e
dall’altro una rendita finanziaria.
Rating: gli s.f. possono essere provvisti di rating. È una valutazione sintetica,
indipendente e pubblicamente nota – prodotta da un’agenzia di rating –, che esprime la
probabilità che il soggetto emittente faccia fronte agli obblighi contrattuali assunti. Esso è
espresso secondo una scala decrescente. Il rating consente agli investitori potenziali una
più agevole valutazione comparativa delle opportunità (può essere riferito anche alla
singola emissione obbligazionaria).
Regime fiscale: varia in relazione al soggetto considerato (prenditore o investitore). Es: il
titolo finanziario non consente all’emittente la deducibilità fiscale dell’onere finanziario
(dividendo distribuito), ma riconosce all’investitore un credito d’imposta riferito a una
parte dell’imposizione fiscale subita dal reddito d’impresa da cui proviene il dividendo.
PRODOTTI E SERVIZI DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
Sono molti, a seconda dei bisogni della clientela (famiglie, imprese e PA). Perciò, il
criterio preferibile per classificare gli strumenti prodotti dagli intermediari è la funzione
d’uso di ogni strumento.
1. Strumenti destinati a soddisfare bisogni di trasferimento del potere d’acquisto nello spazio, legati alla necessità di eseguire e ricevere pagamenti: ordini di pagamento: assegni ordinari e circolari, bonifici, carte di credito e
debito; ordini di incasso: ricevute bancarie, ecc; servizi diversi: servizi di gestione monetaria, servizi di cassa automatica e di
erogazione automatica di contante.
Bisogna precisare che la banca regola posizioni di debito e credito con il trasferimento
di moneta. Tale trasferimento, in genere, si realizza mediante estinzione di debiti e
crediti in seguito all’indebitamento e all’accreditamento dei soggetti interessati,
realizzati con opportune scritture: la moneta oggetto di trasferimento è, perciò detta,
scritturale. In secondo luogo, le banche eseguono attività di incasso/pagamento sulla
base di ordini ricevuti, cioè in forza del mandato a eseguire operazioni che hanno
effetto economico-giuridico in capo al soggetto ordinante; ciò ha rilevanza giuridica,
poiché la responsabilità della banca corrisponde a quella del soggetto mandatario.
Inoltre, le attività di incasso e pagamento sono efficienti se le banche mantengono
relazioni contabili idonee a produrre i trasferimenti: da qui la nozione fondamentale di
sistema di pagamenti bancari. Infine, si deve tenere conto che le attività di
incasso/pagamento hanno crescenti dimensioni internazionali e quindi
multivalutaria.
2. Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di investimento, legati alle decisioni di accumulare ricchezza finanziaria: passività nominali prodotte da intermediari: depositi in c/c, depositi a risparmio,
certificati di deposito, obbligazioni semplici, strutturate e garantite. Sono nominali poiché il contratto definisce il valore alla scadenza o la modalità di calcolo di questo valore, che può essere noto anche ex ante;
passività di mercato prodotte da intermediari: quote di fondi comuni di investimento mobiliare e azioni di SICAV. Sono dette di mercato perché il loro valore futuro è indeterminabile, poiché sono frazioni di portafogli finanziari, il cui valore può variare continuamente;
servizi di negoziazione di valori mobiliari su ordine del cliente. Le Af oggetto di compravendita non sono passività dell’intermediario che esegue lo scambio, il quale può assumere il ruolo di broker, cioè di ricerca della contropartita e di conseguente esecuzione della transazione con un terzo soggetto, oppure quello di dealer, cioè di offerta di contropartita diretta alla richiesta di acquisto/vendita del cliente;
servizi di gestione patrimoniale individuale. L’intermediario investe il patrimonio del cliente secondo la linea di investimento scelta dal cliente. L’intermediario agisce in nome e per conto del cliente individuale, svolgendo attività di consulenza, di gestione e di negoziazione nell’interesse del cliente;
polizze assicurative, caratterizzate dalla funzione di offrire all’acquirente la prestazione di un capitale o di una rendita finanziaria. Si tratta di polizze prodotte da imprese di assicurazione che prevedono, a fronte dell’impegno dell’assicurato di pagare uno o più premi, l’obbligo della controparte di effettuare la prestazione indicata.
3. Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di finanziamento, legati alla necessità di anticipare potere di acquisto in forza di un’effettiva capacità di rimborso a scadenza futura. Si distinguono in: prestiti di moneta e di titoli, secondo diverse forme tecnico-contrattuali che
regolano le scadenze (indeterminata, breve, medio o lunga), le modalità di rimborso (in un’unica soluzione o a rate), il calcolo degli interessi (tasso fisso o variabile) ed eventualmente il tipo di garanzia (personale o reale, mobiliare o immobiliare);
prestiti di firma, avallo, accettazione, fideiussione, lettera di credito. Sono strumenti con cui la banca garantisce le obbligazioni che il suo cliente (affidato) assume vs terzi (beneficiari);
crediti speciali, locazione finanziaria o leasing e credito di factoring, cui si associano diversi servizi di gestione dei crediti commerciali del cliente;
prestiti al consumo, finalizzati al finanziamento delle spese riferite all’acquisto di beni e servizi durevoli. Si distinguono i prestiti personali concessi a persone fisiche senza vincoli di destinazione e il vero e proprio credito al consumo;
assunzioni di partecipazioni: l’intermediario eroga il finanziamento mediante acquisto di titoli rappresentativi di capitale proprio di nuova emissione a favore di una società di capitali;
servizi diversi, accomunati sotto il nome di investment banking, finalizzati ad assistere le imprese industriali, commerciali e di servizi nella loro attività di approvvigionamento di risorse finanziarie. Le forme più frequenti sono: organizzazioni di emissioni azionarie e obbligazionarie, assistenza per l’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, progettazione e realizzazione del finanziamento di progetti d investimento complessi, consulenza e assistenza per l’acquisizione e il trasferimento del controllo societario.
4. Strumenti e servizi destinati a rendere più efficiente la gestione dei rischi che caratterizzano la gestione finanziaria e assicurativa del cliente. È importante distinguere fra i rischi speculativi (variazione prezzi, tassi di interesse e di cambio), che hanno la possibilità di una manifestazione favorevole o sfavorevole e i rischi puri, la cui manifestazione ha sempre esito negativo. Gli intermediari producono e offrono servizi idonei a gestire i primi, sia con finalità di copertura, sia con intento speculativo: contratti a termine, opzioni, swap, FRA, ecc. Per quanto riguarda la copertura dei rischi puri, le imprese assicurative offrono polizze, destinate a produrre il pagamento di un capitale predeterminato (polizze vita) o di un indennizzo commisurato all’effetto finanziario del sinistro (polizze danni). NB: gli intermediari finanziari non producono contratti assicurativi, poiché l’attività di intermediazione e assicurativa sono separate;
essi distribuiscono polizze prodotte da imprese assicurative, realizzando il modello della bancassicurazione.
INNOVAZIONE STRUMENTI FINANZIARI
Si possono osservare forme di innovazione debole, rappresentate dall’evoluzione di
strumenti già esistenti e viceversa forme di innovazione forti, costituite dall’invenzione di
strumenti sostanzialmente diversi (es: nascita, sviluppo e diffusione degli strumenti
derivati). Il processo di innovazione è endogeno ai mercati finanziari, nel senso che è
attivato sia dai soggetti interessati allo scambio di risorse finanziarie, sia da coloro che
contribuiscono a organizzare gli scambi, sia dai soggetti istituzionali. I comportamenti
innovativi di tali soggetti si formano all’interno di un sistema di obiettivi/vincoli, nel quale
occorre distinguere:
i fattori esogeni: o regolamentazione, perseguendo la finalità di imporre agli scambisti un dato
«codice di regole di comportamento», a tutela del mercato e degli stessi scambisti, pone vincoli all’operatività (per questo l’innovazione è un comportamento orientato a eludere i vincoli regolamentari);
o regime tributario, rispetto al quale sono evidenti le motivazioni dei soggetti interessati a minimizzare l’onere fiscale;
o tecnologia: lo sviluppo dell’information and communication technology rende possibile la produzione e trasmissione di volumi sempre maggiori di informazione, a livelli qualitativi sempre più alti, a costi sempre più bassi e in tempi sempre minori (sono possibili decisioni migliori e più rapide, per quanto riguarda la gestione dei rischi).
l’evoluzione dei mercati finanziari, è caratterizzata da due profili: o globalizzazione che consegue allo sviluppo della mobilità delle risorse tra i
mercati nazionali e a livello mondiale; o maggiore volatilità dei prezzi delle attività finanziarie, dei tassi di interesse, dei
tassi di cambio. I due fenomeni sono correlati e anche causa ed effetto del progresso tecnologico.
L’evoluzione dei mercati rende necessario e utile un processo di innovazione degli s.f.
le funzioni obiettivo dei soggetti interessati.
PORTAFOGLI DI S. F.
Il singolo s.f. può: essere scomposto in s.f. più semplici; essere combinato con altri
strumenti; costituire la base di uno strumento derivato. Oltre a queste possibilità, il singolo
può utilizzare i singoli s.f. per comporre uno portafoglio sia a scopo di investimento
(portafoglio di Af) sia di finanziamento (portafoglio di Pf), sia di intermediazione
(portafoglio di Af e Pf). Nel caso di Af (per es. valori mobiliari) il rendimento del
portafoglio coincide con la media ponderato dei rendimenti delle singole attività che lo
compongono. Nel caso di due valori mobiliari A e B il rendimento del portafoglio (rp) è:
dove xA e xB indicano i pesi (riferiti ai valori di mercato) delle due attività considerate. Il
rischio del portafoglio è influenzato sia dai rischi delle due attività ( ) sia dalla
correlazione dei due (misurata da , che assume valore +1 quando i due rendimenti
vanno nella stessa direzione -perfetta correlazione positiva-, valore -1 quando i
rendimenti variano sempre in direzione opposta nella stessa misura -perfetta
correlazione negativa-, valore 0 quando le due variabili non sono correlate). Il rischio è
uguale alla media ponderata dei rischi delle due attività solo nel caso di correlazione
positiva. Ciò risulta dalla relazione:
√
Se è uguale a +1, l’estrazione della radice quadrata conferma che:
.
Nell’ipotesi che 1: .
Considerato che l’eventualità di perfetta correlazione positiva è un caso limite,
caratterizzato da basse probabilità, risulta sempre conveniente diversificare il
portafoglio di attività finanziarie per ridurne il rischio.
MERCATI FINANZIARI: «complesso di scambi aventi per oggetto s.f.». Classificazioni:
mercato creditizio: il rapporto tra le controparti è personalizzato, trattandosi di rapporti definiti su base bilaterale; qui abbiamo, appunto, prezzi negoziati bilateralmente e di cui si può avere solo una parziale informazione ex post;
mercato mobiliare: per quanto riguarda il rapporto tra le controparti, la posizione dell’investitore è instabile e il rapporto con l’emittente è più impersonale; grado di liquidità: facilità di provvista di fondi e di smobilizzo degli investimenti. La liquidità è legata a due fattori: lo spessore degli scambi e la negoziabilità degli strumenti: un mercato mobiliare ha il vantaggio di poter dare luogo al circuito «secondario» degli investitori, cioè tra investitori diversi da quello iniziale;
mercato monetario: ha per oggetto s.f. a breve termine (entro i 12 mesi); prevale la funzione di gestione della liquidità degli operatori: si impiegano temporanee eccedenze di fondi e si finanziano temporanei fabbisogni; si collocano scambi incentrati su strumenti mobiliari (ma se consideriamo il mercato interbancario, -negoziazione di fondi, tra banche, a brevissimo termine- non vi è negoziabilità sul mercato secondario);
mercato dei capitali: ha per oggetto s.f. a medio e lungo termine; alimenta circuiti finanziari che sono a fronte di fabbisogni per investimenti in capitale fisso (impieghi che hanno un ciclo di rientro non breve); fa riferimento a circuiti mobiliari -mercato azionario e obbligazionario-;
mercato cash, oggetto di negoziazione: strumenti base (azioni, obbligazioni, cambi); le transazioni prevedono uno scambio tra titolo e denaro con consegna e pagamento immediati;
mercato derivato, oggetto di negoziazione: strumenti derivati;
mercato primario, è rappresentato dagli scambi in sede di emissione dei titoli -tra emittente e investitore iniziale-;
mercato secondario, costituito dalle negoziazioni che hanno per oggetto i titoli mobiliari in circolazione;
mercato al dettaglio e all’ingrosso, fanno riferimento al taglio delle transazioni;
mercato ad asta, il pricing è il risultato di un processo orden driven: i flussi di ordini di acquisto e di vendita vengono incrociati sulla base di priorità di prezzo e di tempo;
mercato con market making, in cui si svolge un processo di pricing «quote driven». Sono presenti degli intermediari che operano come dealer (prendono posizioni in proprio) e con una funzione di market making, cioè di quotazione dei titoli. L’intermediario espone le proposte di prezzo e le quantità a cui è disposto a comprare o vendere. Gli operatori del mercato -spesso rappresentati dai broker-, quando concordano con le proposte, possono chiudere lo scambio col market maker.
mercato fisico e telematico: il secondo è frutto dell’evoluzione tecnologica, che prevede il funzionamento del sistema prescindendo dalla riunione fisica degli operatori;
mercato regolamentato, riconosciuto espressamente dall’ordinamento; è soggetto ad autorizzazione, a regolamentazione in ordine ai requisiti minimi e alle regole di funzionamento, ad un principio di informazione a tutela degli investitori;
mercato non regolamentato, es: mercato over-the-counter, con s.f. personalizzati, cioè
“disegnati” sulle esigenze dei contraenti (la specificità dello s.f. ne rende difficile il
collocamento in un mercato organizz.);
mercato pubblico, nasce attraverso un processo istitutivo delle autorità pubbliche, rientra nella proprietà pubblica, è sottoposto a organi di governo e di controllo in cui è forte la presenza pubblica. Tutto ciò affinché possa essere tutelato l’interesse generale -forma storica italiana-;
mercato privato, organizzazione del tipo «mercato-impresa», che opera secondo una logica di economicità e, operando in concorrenza con altri mercati, deve offrire delle performance competitive -forma tipica Inghilterra-. Ma in un contesto in cui l’attività finanziaria non conosce confini, anche i mercati nazionali sono in concorrenza. Dunque, cresce la propensione verso questo tipo di modello. Infatti, ormai in tutti i principali paesi l’assetto dei mercati è di tipo privatistico -la presenza pubblica si concentra in alcuni momenti fondamentali-;
mercato domestico e internazionale: la distinzione riguarda la dimensione geografica del mercato. Per quanto riguarda il primo, mercato e paese di riferimento sono molto legati; altri mercati sono invece caratterizzati dall’assenza della relazione tra mercato e specifico paese.
FUNZIONI E STRUTTURA MERCATI MOBILIARI
Premessa: la funzione dei mercati finanziari può essere definita ricordando alcune
indicazioni fornite nell’analisi degli s.f.:
mezzo per il trasferimento di risorse nell’economia;
mezzo per la ridistribuzione dei rischi.
La combinazione delle due funzioni dà corpo alla principale funzione economica dei
mercati finanziari, cioè quella di contribuire all’efficiente allocazione delle risorse
finanziarie.
Funzioni dei mercati mobiliari: legate alla natura degli strumenti negoziati:
finanziamento: emissione e collocamento di titoli nel mercato primario (az. ed obbligaz.) corrispondono ad una provvista di fondi per l’emittente;
pricing dei titoli e di determinazione del rendimento atteso per ogni titolo; liquidità dei titoli: i titoli negoziabili danno luogo al mercato secondario; un efficiente
mercato secondario rende liquidi i titoli indipendentemente dallo loro durata; riduzione dei costi di transazione: possono essere ridotti se gli scambi sono
concentrati in una struttura dotata di razionalità organizzativa; trasferimento del controllo delle società per azioni: con riferimento al mercato
azionario, la negoziabilità dei titoli rende possibile la ricomposizione degli assetti di controllo azionario delle società emittenti; ciò comporta la possibilità che il controllo si sposti da un azionista all’altro o tra gruppi di azionisti. Quando il possesso azionario è diffuso (public companies) il controllo proprietario è instabile.
Struttura mercato mobiliare: tre componenti:
o soggetti: a) intermediari; b) gestori dei circuiti di negoziazione: responsabili della messa a punto e del funzionamento dei circuiti di scambio; c) autorità di controllo; d) investitori; e) emittenti.
MERCATO MONETARIO: insieme di transizioni su titoli a breve scadenza (fino a 12
mesi). Da un punto di vista funzionale, si identifica come l’insieme delle transizioni di
attività e passività finanziarie che agevolano l’aggiustamento delle posizioni di liquidità
degli operatori (che necessitano, dunque, temporanee operazioni di investimento e di
finanziamento). La presenza di un mercato monetario efficiente riduce al minimo il costo-
opportunità di detenzione di scorte liquide. Quali sono le categorie di operatori che, dal
lato della domanda e dell’offerta, sono interessate al funzionamento di un mercato
monetario? Dal lato della ricerca di finanziamenti a breve (offerta) si collocano banche,
imprese, enti pubblici. Dal lato della domanda troviamo ancora banche, imprese e
privati. Le operazioni di mercato monetario sono le operazioni tra banche e Banca
centrale e le operazioni di mercato interbancario (negoziazione di depositi tra banche).
Funzionalità mercato monetario (Italia): se il ruolo del mercato monetario è quello di
agevolare la gestione delle posizioni di liquidità degli operatori, occorre che i titoli
emessi/negoziati presentino alcune caratteristiche:
scadenza breve o brevissima; alta negoziabilità sul mercato secondario;
impersonalità dei rapporti tra emittenti e sottoscrittori e delle transizioni di mercato secondario.
In Italia, il segmento dei BOT rappresenta attività di mercato monetario (in senso
sostanziale e non solo formale).
Emittenti: a partire dagli anni Ottanta, in Italia, si è assistito a uno sviluppo del mercato
monetario. Tale sviluppo si incentrò sulle emissioni del Tesoro.
Negoziabilità dei titoli: in genere, un titolo trasferibile non è condizione sufficiente per
consentire un’agevole cessione prima della scadenza. Occorrono altri requisiti:
limitato rischio di insolvenza dell’emittente (elevata qualità del titolo);
tagli minimi di investimento e di negoziazione su importi accessibili;
efficienti forme di organizzazione del mercato secondario.
MERCATO DEI CAMBI
Oggetto transizioni: disponibilità di fondi denominate in valute diverse. Il trasferimento
“fisico” della valuta è raro: la norma è invece quella di trasferimenti contabili (le transazioni
avvengono via circuito telefonico o telematico); inoltre, in questo mercato vengono svolte
operazioni di compravendita la cui struttura contrattuale è riconducibile alle forme delle
operazioni a pronti e a termine e ai contratti derivati (swap, future, option). Nel mercato a
pronti le operazioni sono liquidate entro 2 gg lavorativi; nel mercato a termine si
prevede il regolamento a scadenze distribuite all’interno di un orizzonte di 12 mesi.
Funzioni:
pagamenti correnti: il mercato rende possibile il cambio delle valute necessario per regolare scambi commerciali tra operatori di diversi paesi (flussi import/export). A questa funzione di base, si aggiunge quella di copertura del rischio di cambio associato ai pagamenti: importatori ed esportatori sono soggetti a rischi di cambio se stabiliscono di pagare (riscuotere) in una data diversa (in genere, successiva) a quella della transazione (in quell’arco di tempo la moneta potrebbe perdere valore);
flussi finanziari internazionali: l’investimento di capitali nei mercati azionario e obbligazionari prevede la scelta della valuta con cui effettuare l’investimento. Anche qui si incorre in situazioni di rischio di cambio;
speculazione: i movimenti dei prezzi delle valute creano l’opportunità di compiere operazioni a termine basate sulle aspettative di profitto legate alla capacità di prevedere l’andamento dei prezzi: se gli operatori prevedono un rialzo del cambio compreranno a termine (se prevedono un ribasso, venderanno a termine).
Operatori:
utilizzatori finali: operatori per cui la valuta estera rappresenta un veicolo per concludere iniziative di natura economica o finanziaria: importatori che devono pagare una controparte estera, esportatori che incassano valuta estera e devono convertirla in valuta domestica, investitori che sottoscrivono titoli all’estero. Si tratta di imprese industriali o commerciali, banche, investitori istituzionali;
speculatori: operano per realizzare profitti attraverso la previsione dell’andamento futuro dei cambi. L’attività speculativa è caratterizzata da una componente di rischio;
arbitraggisti: la loro attività comporta un rischio ridotto. Essi si inseriscono nelle imperfezioni del mercato, per ottenere profitti ridotti ma tendenzialmente “certi”;
le operazioni di utilizzatori finali, speculatori, arbitraggisti raramente vengono concluse in forma diretta: il contatto tra i diversi operatori richiede l’intervento di intermediari che agevolino la conclusione dell’accordo;
Banche centrali: compete loro la funzione di gestione delle riserve valutarie del paese e possono agire, nell’ambito della politica economica, influenzando il cambio della moneta nazionale.
Organizzazione: non è un mercato “fisico”: ciò è dovuto all’uso di supporti telematici e
informatici, ma in parte anche alla tradizione, che accetta che tra operatori istituzionale la
conclusione del contratto avvenga nella forma verbale (anche per telefono) e venga
successivamente trasferita nella forma scritta. Questa caratteristica comporta due
conseguenze:
il mercato dei cambi assume natura globale;
le negoziazioni presentano un carattere di continuità nel tempo. Vi sono due modelli strutturali che convivono in questo mercato:
1. transizioni tra banche e operatori non bancari: a queste transizioni vengono applicati i tassi di cambio rilevanti sui mercati di borsa. A tali tassi le banche applicano una commissione per l’esecuzione delle operazioni;
2. transizioni tra banche e istituzioni finanziarie: tali rapporti danno luogo a trasferimenti di valuta secondo la logica del mercato di dealer, che si basa sull’assunzione di posizioni in proprio da parte degli intermediari operanti.
Queste transizioni vengono concluse sulla base del sistema di definizione del prezzo c.d.
double way. L’intermediario contattato comunica, per ogni tipologia di operazione (a
pronti, a termine, ecc.), due tassi di cambio per ogni valuta:
al primo prezzo (detto “denaro” o bid) l’intermediario è disposto ad acquistare valuta;
al secondo (detto “lettera” o ask), è disposto a venderla. Sulla base dei prezzi comunicati l’operatore decide se concludere la transazione. In caso
di decisione positiva, l’intermediario è obbligato a rispettare i prezzi comunicati.
Questo sistema garantisce vantaggi: fluidità nelle transazioni, impersonalità negli scambi.
DIFFERENZE E AFFINITA’ MERCATO MONETARIO E DEI CAMBI
Nel primo l’oggetto di transazioni sono titoli a breve termine; nel secondo, disponibilità di
valuta contro un’altra; il primo può essere un mercato a rilevanza solo domestica; il
secondo, invece, è un mercato a carattere internazionale. Vi sono, tuttavia, alcuni motivi
per considerare affini questi due mercati:
su entrambi i mercati un ruolo centrale è ricoperto dalle banche; sul mercato monetario: emettono certificati di deposito, investono in BOT; sul mercato dei cambi: agiscono come operatori in proprio o come intermediari per la clientela;
entrambi i mercati sono oggetto dell’intervento della Banca centrale: il mercato monetario perché segmento delle transizioni su s.f. a breve termine, quindi le q.tà scambiate e i tassi di rendimento rappresentano elementi fondamentali nelle azioni di politica monetaria; il mercato dei cambi come insieme di transazioni che influiscono sul valore esterno della moneta nazionale, compreso tra gli obietti di politica economica.
MERCATO DEI CAPITALI: negoziazione s.f. con scadenza superiore ai 12 mesi. Si fa
riferimento a due grandi settori: quello dei titoli azionari e quello dei titoli di debito, cioè
delle obbligazioni emesse sia dalle autorità pubbliche (Tesoro dello Stato o enti), sia
da soggetti privati (imprese e istituzioni finanziarie). Data la loro durata medio-lunga,
gli strumenti del mercato dei capitali rappresentano la fonte per gli investimenti in capital
fisso, cioè a ciclo di utilizzo pluriennale. Il prenditore di fondi ricerca risorse compatibili
col suo equilibrio finanziario. Si assume che il cash flow dell’investimento sia la naturale
fonte di rimborso dei finanziamenti (deve prevedere una simmetria di scadenze).
MERCATO AZIONARIO: la nascita delle “borse valori” (XVII sec.), è legata alla
necessità di avvicinare le società di capitale alla massa di investitori.
I titoli azionari rappresentano una quota di proprietà della società emittente.
Per il sottoscrittore sono un investimento con rendimento legato alla distribuzione
degli utili (dividendi) e ai guadagni in conto capitale risultanti dall’incremento di valore
della società. Comportano un rischio elevato, in quanto influenzato dall’incertezza degli
incrementi di valore. Per l’emittente sono un strumenti rappresentativi del capitale
proprio della società e costituiscono una modalità di provvista di fondi e una formula
contrattuale che contiene i diritti proprietari e i diritti relativi alle decisioni fondamentali di
indirizzo della società. Il settore del mercato dei capitali dedicato alle azioni è denominato
borsa (mercato azionario regolamentato). Gli elementi costitutivi e qualificanti di una
borsa sono:
presenza di un soggetto giuridico proprietario e responsabile della gestione del mercato;
esistenza di una struttura fisica di un mercato (simbolica, perché la maggior parte dei mercati organizzati funziona con modelli di negoziazione telematica);
definizione di requisiti per l’ammissione di società o di titoli alla quotazione;
standardizzazione dei contratti di compravendita;
presenza di intermediari “ufficiali” a cui gli operatori si rivolgono per la conclusione delle transazioni;
definizione di procedure standardizzate per le negoziazioni, fissazione del prezzo e liquidazione;
esistenza di organi di controllo super partes. Questi elementi sono in continua evoluzione e presentano differenze a seconda dei vari
paesi. Nella tradizione dei paesi anglosassoni, le borse sono organismi a proprietà
privata (sono però presenti forme di controllo da parte dei pubblici poteri, ma in generale
è la stessa borsa, attraverso propri organi di gestione, a prendere decisioni sul “processo
produttivo” del mercato). In Europa continentale, invece, le borse sono state,
tradizionalmente, organismi pubblici. Anche in questi paesi, tuttavia, nell’ultimo
decennio, si è completata l’adozione del modello privatistico.
Requisiti di ammissione dei titoli: vengono richiesti per offrire agli investitori titoli
agevolmente negoziabili, emessi da società con requisiti economico-finanziari adeguati. La
Borsa Italiana adotta questi requisiti:
le società devono possedere la capacità di generare ricavi in condizioni di autonomia gestionale;
i titoli devono essere liberamente trasferibili; devono essere adeguatamente diffusi tra gli investitori, creando il c.d. flottante (25%
del capitale), che eviti il “congelamento” degli stessi nel portafoglio dei soci e garantisca potenzialmente un’adeguata fluidità alle transazioni;
complessivamente, devono avere una capitalizzazione di mercato, pari ad almeno 5 milioni di €.
Intermediari ufficiali: l’organizzazione delle borse come mercati di broker o di dealer
agevola le transazioni e l’efficacia del pricing. La fluidità delle transazioni è crescente
passando da un mercato sul quale operano broker (che agiscono per conto altrui) a uno
di dealer (che agiscono per conto proprio), a uno di market maker (che si impegnano a
prezzi predefiniti a rendersi controparte diretta di una operazione). La funzione degli
intermediari che operano per conto terzi è associata a forme di mercato “ad asta” (essi
raccolgono gli ordini e li immettono nel processo di asta). Nonostante l’importanza degli
intermediari, l’ordinamento borsistico stabilisce i requisiti economici e professionali che un
intermediario di borsa deve possedere.
Standardizzazione delle negoziazioni e delle modalità di regolamento: le forme di
negoziazione delle borse riguardano le modalità con cui sul mercato vengono fatti
confluire gli ordini di acquisto/vendita e il conseguente meccanismo di fissazione del
prezzo.
Nella Borsa di Milano, per molto tempo, è stato in vigore il meccanismo di “asta a
chiamata”. Ogni giorno venivano dedicati alcuni minuti a ogni singolo titolo: i broker in
possesso di ordini di acquisto o vendita per quel titolo si confrontavano verbalmente (si
parlava di negoziazione “alle grida”) fino ad arrivare a determinare un prezzo che
soddisfacesse la maggioranza degli ordini. Tale prezzo era quello ufficiale del titolo. Da
diversi anni la borsa adotta un sistema di negoziazione detto di “asta continua”, un
sistema cioè che accoglie i flussi continui di ordini (negoziazioni sull’intero arco della
giornata borsistica, che danno luogo a tanti prezzi ufficiali, quante sono le negoziazioni
concluse; tale sistema implica il ricorso a strumenti informatici e telematici).
Autorità di controllo: la vigilanza sulla borsa riguarda diverse aree di intervento: rapporti
tra investitori, emittenti e intermediari; organizzazione degli scambi; procedure di
regolamento. Queste aree giustificano mix di regolamentazione (CONSOB) e di
autoregolamentazione (si sta sviluppando soprattutto nell’area dell’organizzazione degli
scambi).
MERCATO AZIONARIO e assetti proprietari delle imprese: il mercato riguarda i titoli
rappresentativi del capitale sociale delle società per azioni. Di fatto, la gran parte di queste
unità aziendali è irrilevante per il mercato in senso stretto. La causa di questo fenomeno di
“assenza di mercato” può essere compresa analizzando la natura degli assetti societari
delle imprese. Gran parte delle società operanti in Italia sono di tipo “chiuso” (proprietà in
mano a un imprenditore o alla sua famiglia, non disposto ad allargare ad altri soggetti il
capitale della società). Parlando di mercato, si deve far riferimento alla borsa, il che
restringe l’analisi ai casi di spa che vengono indicate come società quotate, ridotte
numericamente rispetto al totale. Di fatto il soggetto di controllo di una società quotata in
borsa accetta di distribuire una quota significativa del capitale sociale (non meno del
20%) tra gli investitori: a questi ultimi propone di entrare nella compagine sociale,
condividendo il rischio di impresa e la partecipazione a un flusso di redditi attesi. Nel caso
italiano, il modello prevalente è quello della proprietà “accentrata”, cioè di un sistema di
controllo basato sulla detenzione diretta o indiretta della maggioranza assoluta. Il controllo
delle società è stabile.
In altri contesti, come quello anglosassone, il modello tipico è quello della c.d. public
company, che si caratterizza per il frazionamento del capitale sociale tra una moltitudine
di piccoli azionisti. In tal caso le maggioranze di controllo sono quote di minoranza di
capitale (la maggioranza non partecipa alle assemblee) e instabili.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO: insieme delle transazioni su titoli di debito aventi
scadenza nominale superiore ai 12 mesi. Nel mercato obbligazionario italiano, la gran
parte delle negoziazioni riguarda, peraltro, titoli con scadenze comprese tra i 3 e i 10 anni.
I punti su cui si focalizzerà l’attenzione sono quelli dei rapporti tra emittenti e investitori nel:
mercato primario. Dal lato degli emittenti si osserva negli anni l’elevata quota delle emissioni del settore pubblico; scarso rilievo hanno le emissioni obbligazionarie da parte di imprese industriali. Dal lato degli investitori, risulta marcata la tendenza alla riduzione del ruolo delle banche, a fronte della crescita del peso del settore privato (investitori individuali) e di quello degli investitori istituzionali (fondi comuni, gestioni patrimoniali, assicurazioni, ecc.). Gran parte delle obbligazioni è collocata nei
portafogli di investitori individuali e per gli emittenti sorge il problema di come attivare il contatto con il mercato dei sottoscrittori. Il Tesoro ha privilegiato i seguenti aspetti: o sistematicità e regolarità nelle emissioni: così gli investitori conoscono il momento
in cui attivarsi per procedere alla sottoscrizione; o meccanismo dell’asta; o utilizzo delle banche come intermediari: solo le banche, oltre ad alcuni investitori
istituzionali, possono partecipare alle aste di collocamento dei titoli di Stato, per conto proprio o per conto della clientela.
Mercato secondario: si identificano due segmenti di transazioni su titoli obbligazionari: quello al “dettaglio” e quello all’“ingrosso”. Nella Borsa di Milano vi è un circuito di negoziazione “al dettaglio” ad “asta continua” (MOT), che riguarda da un lato i titoli di Stato e dall’altro le obbligazioni private. Vi è un secondo segmento per le transazioni “all’ingrosso”. Esse alimentano, in primo luogo, il Mercato telematico dei titoli di Stato (MTS), struttura di natura privatistica. Inoltre si rileva il funzionamento di un segmento in parte analogo ai c.d. mercati over the counter, che vede come protagonisti principali gli investitori individuali e le banche. L’impulso alle transazioni viene generalmente dagli investitoti individuali, nel momento in cui effettuano operazioni di acquisto/vendita su obbligazioni in circolazione, con fine di riaggiustamento di portafoglio.
MERCATO DEGLI STRUMENTI DERIVATI: il loro prezzo dipende dalla quotazione
dell’attività finanziaria sottostante. Per quanto attiene alle modalità di negoziazione, è
opportuno distinguere due grandi classi:
mercati organizzati, o di borsa. Caratteristiche: elevato grado di standardizzazione dei contratti; determinazione di precise regole di condotta, al fine di salvaguardare il mercato; quotazione ufficiale dei prezzi; costituzione di un organismo centrale che, fungendo da controparte per tutti gli
operatori, annulla il rischio di insolvenza delle controparti; mercati over the counter, o mercati fuori borsa. Caratteristiche:
assenza di un luogo fisico destinato allo svolgimento delle negoziazioni;
assenza di prezzi ufficiali;
modalità di contrattazione non standardizzate;
inesistenza di un organo centrale di compensazione, con eventuali rischi di insolvenza.
Questi ultimi, col tempo, sono stati soppiantati dai primi. Alcuni sono sopravvissuti a causa
dell’esigenza di personalizzare il prodotto: è il caso degli swap. Nel caso dei future e delle
option, invece, si è visto come il loro sviluppo sia nato proprio dalla standardizzazione e
dalla negoziazione all’interno di mercati rigidamente organizzati (per quanto riguarda le
caratteristiche peculiari: per i future, sia acquirenti che venditori sono chiamati a versare
depositi a garanzia iniziali; per le opzioni, solo i venditori dovranno sostenere un esborso
al momento della stipulazione del contratto -gli acquirenti, non andando incontro al rischio
di perdite superiori al prezzo di acquisto, non saranno sottoposti a oneri ulteriori-).
Mercato dei future: nasce dall’evoluzione dei mercati a termine delle commodities. Nel
1972, nell’ambito dell’International Monetary Market del Chicago Mercantile Exchange,
venne istituito un mercato ufficiale per la negoziazione di contratti future sulle principali
valute. Da lì si consolidò un mercato future non circoscritto solo alle valute, ma legato
anche alle obbligazioni, azioni e agli indici di titoli azionari. Financial future: contratto,
stipulato fra due controparti, rappresentativo di acquisti o vendite, a esecuzione differita, di
s.f. Il mercato future differisce da quello cash -quello di borsa-, in cui l’investitore può
acquistare o vendere titoli immediatamente: nel future, infatti, si ha l’impegno a compiere
una determinata transazione a una data futura.
I financial future si distinguono per la standardizzazione dei loro elementi contrattuali:
l’attività/e finanziaria/e sottostanti al contratto future che vengono accettate;
le caratteristiche del sottostante al contratto stesso, che vanno esplicitate;
l’importo fisso di ogni contratto;
le date di scadenza dei contratti (generalmente fissate secondo un ciclo trimestrale con consegna in marzo, giugno, settembre e dicembre);
modalità di regolamento dei contratti: è generalmente di tipo differenziale, con un’operazione di segno opposto e il regolamento monetario della differenza;
metori di negoziazione: vengono scambiati in borse organizzate con il sistema delle negoziazioni alle grida o con sistema di incrocio automatizzato degli ordini, in un mercato “continuo” durante il giorno. Al termine di ogni giornata, i contratti vengono marked to market al settlemente price, ovvero valutati al prezzo di chiusura, e le variazioni rispetto ai prezzi di chiusura del giorno precedente sono addebitate o accreditate sui conti intrattenuti tra gli operatori e la clearing house;
i costi di entrata e i “margini di mantenimento” delle posizioni: a garanzia delle operazioni, oltre alla presenza della clearing house, viene predisposto un ulteriore sistema di copertura, consistente nell’azione concomitante del “margine iniziale” e del “margine di variazione”. Nel primo caso, si tratta di un deposito iniziale che l’operatore deve effettuare in funzione del tipo di contratto stipulato e del valore nominale dei titoli trattati. Il margine di variazione, invece, è la risultante del continuo adeguamento del deposito iniziale a seguito dei guadagni o delle perdite registrati al termine di ogni giornata (causati dalle fluttuazioni dei prezzi).
Clearing house. Il rischio che la controparte non onori l’impegno assunto costituisce il
maggiore ostacolo a stipulare un contratto a termine. I mercati dei future offrono una
solida garanzia dell’affidabilità delle controparti richiedendo a una società di clearing
(generalmente di proprietà dei membri della borsa stessa), di interporsi tra gli scambisti.
La transazione viene spezzata in due perché la clearing house agisce nei confronti dei
singoli soggetti (venditori e compratori), in qualità di controparte diretta. Assolve a due
funzioni:
garantisce il buon fine di tutti i contratti future stipulati sul mercato (funzione di garanzia). La certezza di questo risultato deriva dal fatto che la clearing house non si espone a nessun rischio di variazione dei prezzi, che inserendosi tra le controparti dopo che il contratto è stato concluso, si trova ad assumere posizioni uguali ed opposte, con un saldo nullo;
riduce la complessità dei rapporti negoziali che si sovrappongono; si riducono gli oneri amministrativi che caratterizzano la stipulazione di un contratto future.
MERCATO DELLE OPZIONI: gli elementi che caratterizzano l’opzione sono:
il sottostante (titolo, tasso di interesse, valuta, …) che può essere acquistato (opzione call) o venduto (opzione put);
il prezzo di esercizio dell’opzione (strike price), è il prezzo al quale il sottostante può essere acquistato o venduto;
data di scadenza dell’opzione, è l’ultimo giorno utile per l’esercizio del diritto incorporato nell’opzione stessa;
prezzo dell’opzione. Lo sviluppo iniziale avvenne fuori dai mercati ufficiali. Il mercato ha tardato a raggiungere
una definitiva affermazione a causa dell’eccessiva complessità dello strumento, dei costi di
negoziazione troppo elevati, del ridotto livello di standardizzazione dei contratti. La
costituzione del Chicago Boards Options Exchange sancì l’inizio di una nuova era: con
la quotazione in una borsa ufficiale di opzioni call su azioni, venne inaugurato il primo
mercato di listed option (standardizzate in termini di prezzi e di durata). Così si creò il
presupposto per garantire una maggiore facilità di scambio e una inevitabile riduzione
delle contrattazioni effettuate sul mercato over the counter.
MERCATO DEGLI SWAP: un contratto swap sui tassi di interesse è basato sull’impegno
delle due controparti al pagamento reciproco degli interessi su un capitale nozionale.
Tale pagamento era determinato, nel caso più semplice, per una parte sulla base di un
tasso fisso, per l’altra sulla base di un tasso variabile. I contratti swap non sono
oggetto di negoziazione su mercati organizzati. Le origini dello swap risalgono al
mercato monetario internazionale. Questi contratti si sono evoluti (da contratti su cambi)
arrivando ad abbracciare l’intero ambito della gestione del rischio di interesse e di
cambio non solo per le società industriali, ma anche per le diverse tipologie di
intermediari. Oltre che per finalità di copertura, gli swap danno opportunità di sfruttare le
imperfezioni di mercato, dando vita ad arbitraggi. Il contratto è molto flessibile e
“personalizzato”: data la forte personalizzazione, nelle negoziazioni, è sempre risultato
essenziale il ruolo svolto dagli intermediari, chiamati spesso a “sposare” le esigenze
contrapposte dei due contraenti. Le funzioni degli intermediari sono:
o ricerca della controparte. Si distinguono due possibili ruoli (a cui corrispondono due modalità di remunerazione del servizio offerto):
se l’intervento si limita all’individuazione delle parti, il broker percepisce un compenso pari a una commissione in percentuale dell’importo facciale dei capitali sottostanti;
se, invece, l’intermediario opera da dealer concludendo contratti di swap con un operatore prima di aver trovato l’altro contraente con cui chiudere la posizione assunta, il lucro deriva dallo spread tra i flussi incassati e i pagamenti effettuati;
o gestione del mismatch: nel caso in cui le esigenze delle controparti non si presentino perfettamente contrapposte, è compito dell’intermediario guidare il processo di contrattazione finalizzato a riconciliare le diverse richieste;
o offerta della garanzia del buon fine dell’operazione: ciò vale per il rischio di credito, nel caso una delle controparti si dichiari insolvente e quindi incapace di adempiere. Il rischio dell’intermediario è di trovarsi costretto a ricercare sul mercato una nuova controparte, ottenendo un rendimento inferiore a quello previsto dall’operazione originaria;
o amministrazione del contratto: esso, in genere, gestisce tutte le procedure contabili e amministrative richieste dall’accordo contrattuale.
Gli intermediari, inizialmente, si sono limitati a un puro servizio di ricerca della controparte;
poi sono intervenuti sul mercato proponendosi come controparti dirette; in seguito, quelli
dotati di strutture sofisticate per la gestione della tesoreria hanno dato inizio a un’intensa
attività di utilizzo degli swap a fini speculativi: si sono così realizzati dei veri e propri
portafogli di swap. Questo maggiore coinvolgimento dei diversi operatori ha portato, da
un alto, a una maggiore concorrenza; dall’altro ha consentito un incremento del grado di
efficienza e di liquidità del mercato primario.
Funzioni svolte dal mercato dei derivati e gli effetti sul mercato a pronti:
ampliamento delle scelte di investimento: future e option sono opportunità di investimento autonome, poiché realizzano flussi di cassa non replicabili sul mercato;
migliore gestione dei rischi: option e future consentono agli operatori di coprirsi dai rischi finanziari e di trarre vantaggio da posizioni speculative;
completamento dei portafogli finanziari: prima dell’introduzione di questi strumenti risultava impossibile, per il gestore del portafoglio, ottenere una compensazione diretta del rischio di mercato.
Secondo alcuni modelli il ricorso a tali strumenti può aumentare l’efficienza e la liquidità
del mercato primario; secondo altri modelli, invece, i mercati di strumenti derivati
esercitano un effetto destabilizzante sul mercato, in quanto riducono il volume degli
scambi.
ASSETTO DEI MERCATI MOBILIARI ITALIANI. In Italia sono articolati in due diverse
strutture societarie. Borsa Italiana SpA: nasce alla fine del decennio scorso, con la
privatizzazione della borsa, ed è la società di gestione dei mercati regolamentati: dalle
azioni, alle obbligazioni e ai titoli di Stato al dettaglio, dalla negoziazioni cash a quelle sui
contratti derivati. Rimangono fuori da questo ambito i mercati secondari all’ingrosso sui
titoli di Stato e sulle obbligazioni corporate, mercati che fanno capo alla seconda struttura
societaria (MTS SpA).
MERCATO AZIONARIO: si articola su due comparti:
1. Mercato telematico azionario (MTA): mercato principale, in cui sono quotati, oltre alle azioni e agli strumenti con contenuto azionario (obbligazioni convertibili, warrant), anche i certificati rappresentativi di quote di fondi mobiliari e immobiliari chiusi. Al suo interno si articola per segmenti di emittenti, definiti in base alle caratteristiche dimensionali ed economiche:
a. blue chips: titoli ad alta capitalizzazione (> 800 mil. €); b. star, costituito da emittenti di capitalizzazione tra 20 e 800 mil. €; c. segmento ordinario, rappresentato da tutti gli altri emittenti
2. Nuovo mercato, dedicato alla quotazione e negoziazione di azioni emesse da imprese caratterizzate da alto potenziale di sviluppo, o appartenenti a settori ad alto contenuto tecnologico.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO: si articola nei due grandi segmenti delle negoziazioni:
1) “al dettaglio”: il MOT rappresenta il mercato “al dettaglio” dei titoli c.d. “a reddito fisso”, e cioè delle obbligazioni “private” e dei titoli di Stato. Le negoziazioni avvengono tramite un sistema di asta continua. Recentemente, con l’introduzione della moneta unica, la Borsa Italiana ha lanciato un nuovo comprato di mercato denominato EuroMOT, dedicato alla negoziazione di eurobonds (obbligazioni di emittenti esteri) e di asset backed securities (obbligazioni emesse nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione);
2) “all’ingrosso”: fanno capo a una diversa struttura societaria (MTS SpA), a loro volta distinti in diversi comparti: a. quello storico: ha per oggetto gli scambi sui titoli di Stato; funziona con la formula
del market making, cioè con la presenza di intermediari che quotano su base continuativa le diverse classi di titoli e forniscono un segnale di prezzo a tutti gli altri operatori di mercato (il divario tra quotazione in vendita e in acquisto costituisce il margine di guadagno del market maker);
b. quello delle negoziazioni all’ingrosso su obbligazioni non governative ed estere (MTS/Corporate), basato su una struttura di market maker. Le negoziazioni riguardano prestiti obbligazionari di importo molto elevato e scambi singoli > 2.5 mil. €. Di recente si è sviluppato EuroMTS: si tratta di un circuito di mercato dedicato ai titoli di Stato benchmark dei principali paesi dell’aera €.
MERCATO DEI CERTIFICATE E DEI COVERED WARRANT (SEDEX): basato su una
piattaforma di negoziazione telematica e dedicato ai derivati che sono incorporati in un
titolo negoziabile emesso da un intermediario. Nel segmento covered warrant (CW) sono
negoziati sia strumenti c.d. plain vanilla (opzioni cartolarizzate call e put con facoltà di
acquistare e/o vendere un certo quantitativo del sottostante a un prezzo prestabilito), sia
strumenti esotici (più complessi: combinazioni di opzioni). I certificate sono strumenti che
replicano l’andamento del sottostante.
Mercati dei derivati. Il mercato italiano dei derivati azionari (IDEM), nasce nel ’94 con
la negoziazione del future sull’indice MIB30, cui si aggiungono le opzioni sull’indice e sulle
principali azioni. Negli ultimi anni sono state introdotte innovazioni (si è passati dall’indice
MIB30 al nuovo S&P/MIB). Il mercato funziona con una struttura market maker.
EFFICIENZA DEI MERCATI FINANZIARI: tre aspetti:
Efficienza allocativa. Al mercato finanziario, nelle sue componenti creditizia e mobiliare,
viene attribuita la funzione primaria di garantire un’efficiente allocazione delle risorse
disponibili. Poiché l’allocazione delle risorse possa definirsi efficiente, è necessario che la
produttività marginale del capitale sia la stessa per tutte le forme di impiego, in modo
che non sia necessaria una sua riallocazione. Le condizioni indispensabili risiedono nella
necessità che tutti gli attori del mercato siano esaurientemente informati sulle
opportunità disponibili e nell’esigenza che le norme di condotta e i modelli gestionali degli
investitori finali, degli intermediari e dei prenditori siano orientati da funzioni obiettivo
convergenti alla massimizzazione della propria funzione di utilità. Ciò implica che si
utilizzino criteri di selezione degli investimenti fondati su un sistema di prezzi (rendimenti)
che rifletta le informazioni disponibili sulla situazione economica dei prenditori. Il sistema
dei prezzi svolge diversi ruoli: allocativo, facendo affluire le risorse lì dove sono più
scarse; distributivo, determinando, in base alle risorse disponibili, le quantità scambiabili;
informativo, aggregando informazioni e convogliandole al mercato.
Efficienza informativa: pur essendo estensibile a tutti i comparti del mercato, è stato
sviluppato con riferimento al mercato mobiliare (scambi impersonali e imperniati sulla
circolazione di valori mobiliari con caratteristiche standardizzate e dotati del requisito della
trasferibilità). Non sussiste, piena identità fra il concetto di efficienza allocativa e il
concetto di efficienza informativa. Ciò risulta più chiaro se si precisa che un mercato, in
termini statici, può essere efficiente sotto il profilo informativo se:
i prezzi riflettono costantemente tutta l’informativa disponibile;
gli operatori agiscono razionalmente. Dunque, l’ipotesi di mercato efficiente può essere disattesa poiché si crea un gap
informativo e perché gli scambisti operano in condizioni di razionalità limitata.
In termini dinamici, il livello di efficienza informativa è inversamente proporzionale ai
tempi di diffusione necessari al mercato per integrare nei prezzi nuove informazioni e alla
lunghezza del percorso che le informazioni devono compiere perché si possa raggiungere
un nuovo stato di equilibrio. In relazione alle informazioni contenute nel sistema dei prezzi,
vengono identificati tre diversi stadi di efficienza informativa:
efficienza debole, corrisponde allo stato in cui le attese di rendimento degli investitori (e i prezzi) incorporano tutte le informazioni storiche, ma non quelle prospettiche;
efficienza semiforte, presuppone che i rendimenti-prezzi riflettano l’informativa pubblica. Non è possibile conseguire profitti basati su aspettative di variazione dei prezzi, poiché questi hanno già incorporato completamente il valore dell’informazione disponibile;
efficienza forte: i prezzi incorporano tutta l’informativa (pubblica e privata), sia storica che prospettica. Questa ipotesi appartiene ad una sfera ideale: nonostante la trasparenza, permangono informazioni “private” sfruttabili dagli insider trader.
Efficienza operativa: il conseguimento della precedente è condizionato dall’esistenza di
condizioni di:
efficienza tecnica (a livello microeconomico): si fa riferimento alla necessità che gli intermediari razionalizzino la propria struttura dei costi, in modo da limitare il peso degli oneri di transazione;
efficienza funzionale (a livello di mercato): ci si riferisce a tutte le condizioni atte ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta e ad accrescere la significatività del sistema dei prezzi.
Entrambi i concetti sono riconducibili a quello di efficienza operativa. La performance del
mercato e la funzionalità delle forme organizzative possono essere stimate sulla base
dell’osservazione di parametri quali:
spessore: dipende dall’esistenza di ordina di acquisto/vendita basati su prezzi superiori e inferiori a quello corrente. Il presupposto fondamentale è l’informazione.
ampiezza: è funzione del volume di ordini da eseguire per ogni prezzo. Il presupposto fondamentale è l’informazione.
elasticità: dipende dalla tempestività con cui il mercato reagisce ai segnali impliciti nelle variazioni di prezzo. L’elasticità del mercato aumenta con l’immediata diffusione di informazioni.
SCAMBIO DIRETTO e autonomo: i datori e i prenditori di risorse, scambiano senza fare
ricorso a nessun intermediario, se non per ragioni tecniche (esecuzione di ordini di
acquisto/vendita sul mercato mobiliare); s.f. costruiti dai prenditori finali (la maggioranza è
costituita da valori mobiliari);
SCAMBIO diretto e ASSISTITO: datori e prenditori sono controparti dirette, ma non
negoziano autonomamente, poiché sono assistiti da un intermediario, senza il cui
intervento l’incontro degli scambisti non avrebbe luogo (l’intermediario ricerca e seleziona
la controparte per uno degli scambisti); s.f. costruiti dai prenditori finali (la maggioranza è
costituita da valori mobiliari); l’intermediario agisce in nome e per conto del cliente (i
contratti stipulati hanno effetti giuridici sul cliente stesso);
SCAMBIO indiretto o INTERMEDIATO: gli attori della domanda e dell’offerta non
scambiano direttamente. Il trasferimento di risorse si realizza per circuito indiretto o
intermediato, mediante l’intervento di uno o più intermediari che assumono il ruolo di
“scambista intermedio” (diventa debitore vs il datore primario e creditore vs il
prenditore finale). È l’intermediario stesso che produce gli s.f. necessari per lo scambio, i
quali assumono, di solito, la forma di attività/passività finanziarie non trasferibili.
L’intermediario sottoscrive in proprio gli effetti economico-giuridici dei contratti posti in
essere per realizzare il trasferimento.
(È ovvio che vi sono soluzioni intermedie a quelle appena descritte)
Da un punto di vista formale:
intermediazione mobiliare: complesso di attività svolte dall’intermediario nei circuiti diretti e assistiti; si realizza su strumenti di mercato mobiliare;
intermediazione creditizia: attività di scambio indiretto e intermediato; il nome è dovuto alla veste di creditore/debitore che l’intermediario finanziario assume.
Spiegare l’esistenza dell’intermediari non è semplice, se si crede -per assurdo- che il
mercato sia perfetto e privo di incertezza. La teoria dell’intermediazione finanziaria,
nello studio delle ragioni economiche dell’esistenza degli intermediari, in primo luogo,
verifica i presupposti dell’ipotesi teorica di perfezioni del mercato finanziario e quindi
correla l’esistenza degli intermediari con le condizioni di imperfezione che caratterizzano
molti aspetti dell’attività finanziaria.
CARATTERI SCAMBIO FINANZIARIO: l’oggetto dello scambio sono le risorse finanziarie,
o meglio, la proprietà delle stesse per un certo periodo di tempo. Lo strumento dello
scambio è il contratto, che definisce diritti ed obblighi delle parti. Lo scambio è costituito
da prestazioni monetarie di segno opposto e distanziate nel tempo. Il datore effettua
una prestazione attuale, in contropartita di una prestazione futura del prenditore
(restituzione capitale + remunerazione). L’estensione temporale dello scambio finanziario
produce la conseguenza che le prestazioni del contratto hanno diverso grado di
incertezza. La prestazione del datore, una volta effettuata, è certa, mentre quella del
prenditore è aleatoria, poiché subordinata all’incertezza del suo comportamento e delle
condizioni economiche future. L’incertezza non è solo “esterna” al contratto (dipende dalla
condizione soggettiva o oggettiva del debitore), ma può anche essere interna al contratto
stesso, nell’ipotesi che questo contenga clausole che rendono variabile la prestazione
dell’imprenditore (titolo obbligazionario indicizzato). In definitiva, l’esito dello scambio è
incerto. Il livello di incertezza dipende dall’informazione che il datore di risorse ottiene in
merito ai profili di rischio dell’investimento. Per una decisione di investimento appropriata
occorre disporre ex ante dell’informazione maggiore e migliore possibile. La qualità
dell’informazione ha importanza cruciale nella decisione di investimento (pre-scambio), sia
nel controllo dell’andamento dell’investimento e del comportamento del prenditore di
risorse (post-scambio).
FATTORI DI IMPERFEZIONE DEL MERCATO (soprattutto circuito diretto): la realtà ci
dimostra che esistono segmenti di investitori e di prenditori che non riescono a scambiare
le risorse. Tale situazione di incompletezza è dovuta al fatto che il sistema dei prezzi non
realizza l’equilibrio fra domanda e offerta.
Asimmetria informativa e comportamento opportunistico: gli scambisti potenziali
dispongono di informazioni limitate o incomplete in merito all’esito del contratto
finanziario. Il problema riguarda principalmente il datore di risorse, poiché egli incontra
notevoli difficoltà a entrare in possesso dell’informazione necessaria per valutare -in via
preliminare- i rischi impliciti nelle proposte di scambio dei potenziali prenditori. Quindi, il
rapporto tra le due parti è caratterizzato da asimmetria informativa. Inoltre, il datore
subisce il rischio di comportamento opportunistico (moral hazard) della controparte,
che può sfruttare la propria condizione di superiorità informativa. Se l’informazione è
insufficiente e vi è aspettativa di moral hazard, l’investitore potenziale si astiene dallo
scambio. Il problema dell’asimmetria informativa è anche ex post, cioè dopo l’eventuale
stipulazione dello scambio (il datore non è in grado di controllare il comportamento del
prenditore, che può, ad es., non rispettare le clausole contrattuali sottoscritte).
Divergenza delle preferenze degli scambisti: le preferenze degli scambisti riflettono le
propensioni allo scambio dei soggetti. Si suole distinguere fra propensione al rischio e
propensione alla liquidità. Lo scambio avviene solo se le preferenze -e quindi le
propensioni- dei contraenti sono convergenti.
Razionalità limitata: tale limite dipende dalla combinazione di più fattori: grado di
intelligenza, livello di professionalità, informazioni e conoscenze possedute, cultura, … .
Tutto ciò contribuisce a condizionare l’efficienza delle scelte di scambio. Questa
condizione è legata con quella di informazione limitata: la scelta non può essere
razionale se il soggetto non dispone di un’informazione adeguata.
Costi di transazione: insieme di oneri che il soggetto sostiene per effettuare e gestire lo
scambio. In un mercato perfetto, non vi sono costi di transazione: la considerazione della
razionalità limitata, di incertezza e di informazione limitata spiega l’esistenza di questi
costi. Alcuni di questi sono: costi di ricerca delle opportunità di scambio; di ricerca delle
informazioni; di valutazione delle controparti; di esecuzione dello scambio; di
valutazione dei rischi. Questi costi possono determinare la non convenienza degli
scambi, riducendone il rendimento netto o aumentandone il costo netto, riducendo il
volume degli scambi.
MODALITA’ ORGANIZZATIVE DEI MERCATI MOBILIARI E RIDUZIONE DEI FATTORI
DI IMPERFEZIONE: gli intermediari contribuiscono a migliorare il sistema di scambio,
perché rendono possibile il trasferimento di risorse fra soggetti che, diversamente, si
sarebbero astenuti dallo scambio. Tuttavia, l’esperienza dei paesi più progrediti dimostra
che i sistemi finanziari tendono a orientarsi verso i mercati mobiliari (circuiti di scambio
diretto), perché stanno diventando progressivamente più efficienti, attenuando i fattori di
imperfezione.
L’organizzazione del mercato contribuisce ad attenuare l’asimmetria informativa, aumentando l’informazione disponibile per l’investitore. Ciò è caratteristico nei mercati regolamentati, nei quali vengono imposte normative regolanti le procedure e i criteri di ammissione delle imprese emittenti valori mobiliari, gli standard dell’informazione, ecc. L’asimm. inform. è attenuata anche dall’esistenza di agenzie di rating, che producono informazione. La maggiore informazione riduce i comportamenti opportunistici. Inoltre, vi sono delle norme comportamentali che limitano la discrezionalità degli operatori (per es. norme che regolano l’insider trading, i conflitti di interesse, ecc.). La regolamentazione mira a prevenire il fenomeno o l’eventualità che gli operatori possano conseguire vantaggi “privati” a danno del mercato “di tutti” (market abuse). A prescindere dalla regolamentazione, è la stessa logica che contribuisce ad una autolimitazione di comportamenti opportunistici: l’emittente di passività sa che i potenziali acquirenti fondano le proprie valutazioni sull’esperienza dei comportamenti precedenti. Perciò esso cerca di mantenere una buona reputazione.
Per quanto riguarda a divergenza delle preferenze, nei mercati mobiliari si è sviluppata la diversificazione/specializzazione degli s.f. Ciò ha ampliato le opportunità -degli emittenti e dei sottoscrittori- di scegliere soluzioni che graduano la ripartizione del rischio tra i contraenti. In tema di divergenza delle propensioni di rischio, si pensi all’opportunità che il mercato dei derivati offre agli investitori di coprire (hedging)/trasformare il rischio dello s.f. primario.
Infine, il miglioramento dell’efficienza dei mercati diretti si è manifestato nell’abbassamento del livello dei costi di transazione, a motivo dell’accentramento delle negoziazioni, del perfezionamento tecnologico, dell’aumento del volume e della qualità dell’informazione pubblica e della produzione di informazione privata.
Tuttavia le condizioni di perfezionamento dei mercati diretti non possono essere realizzate
in modo uniforme a vantaggio di tutti i soggetti. Pertanto, i fattori di imperfezione del
mercato producono ancora effetti rilevanti e la loro totale eliminazione non è prevedibile.
Inoltre, trova consenso la tesi che il fattore dell’asimmetria informativa sia strutturale (insito
nella struttura dei mercati). Bisogna anche notare un certo paradosso: se da un lato il
progresso (globalizzazione e innovazione di s.f.) rimuove i fattori di imperfezione del
mercato, dall’altro esso in parte li rigenera come conseguenza del cambiamento.
INTERMEDIARI FINANZIARI, attori del completamento dei mercati. Nella situazione di
asimm. inform. l’intermediario raccoglie, seleziona, elabora ed utilizza informazione: esso
produce informazione come input delle proprie decisioni di investimento e di quelle
conferitegli con mandato dalla clientela. L’intermediario creditizio -interponendosi fra
prenditori finali e datori primari- gestisce attività finanziarie mediante l’informazione
posseduta, assumendone in proprio i rischi, e contemporaneamente produce passività
caratterizzate da un livello di rischio inferiore. Dunque esso colma il gap informativo
esistente tra prenditori e datori. Anche nell’ipotesi alternativa che l’intermediario assuma
decisioni di investimento per conto della clientela (intermediario mobiliare), esso
svolge la stessa funzione di compensazione dell’asimm. inform. che condiziona sempre il
datore di fondi. La differenza sta nel fatto che il datore acquista la proprietà di passività
emesse da terzi, anziché dall’intermediario, e ne assume tutti i rischi. Questa funzione di
“compensazione” dell’asimm. inform. viene definita delegated monitoring (controllo
delegato). Il problema della divergenza delle preferenze fra i soggetti della domanda e
dell’offerta viene risolto dagli intermediari creditizi negoziando nello stesso tempo con
prenditori e datori rispettivamente contratti di credito e di debito con profili di scadenza
differenziati. Essi svolgono un’importante funzione di trasformazione delle scadenze.
Inoltre, oltre allo sfruttamento di un consistente vantaggio informativo, l’intermediario è in
grado di applicare modelli e tecniche di collettivizzazione del rischio (risk pooling) che
gli consentono di realizzare “strutture di portafoglio” il cui profilo rendimento/rischio è
migliore della media dei profili di rendimento/rischio dei singoli investimenti che
compongono il portafoglio stesso. In forza di questa capacità, esso è in grado di proporre
agli investitori sia “partecipazioni” al portafoglio di attività (modello del fondo comune di
investimento), sia proprie passività (modello dell’intermediario creditizio) caratterizzate
da un rischio inferiore. In entrambi i casi, l’intermediario svolge la funzione di
trasformazione del rischio. In particolare, offrendo passività, l’intermediario creditizio
assume in proprio i rischi degli investimenti. Trasformando sia scadenze che rischi,
l’intermediario creditizio realizza l’obiettivo di produrre passività a basso rischio. Infine,
l’intermediario concorre pure a risolvere il problema dei costi di transazione. Esso
organizza combinazioni produttive di tipo industriale, con criteri di professionalità e
tecnologie elevate. I costi operativi e il reddito degli intermediari (ricavi-costi di gestione)
rappresentano il costo dell’intermediazione per il sistema economico, cioè il costo di
transazione che l’insieme degli intermediari addossa agli utenti per lo svolgimento delle
funzioni di intermediazione.
MERCATI E INTERMEDIARI: concorrenza e complementarità. I sistemi finanziari
presentano un diverso grado di orientamento al mercato o di orientamento agli
intermediari (con ciò si intende indicare la prevalenza di scambi diretti e intermediati). I
sistemi di origine anglosassone (UK, USA) sono orientati ai mercati; quelli dell’Europa
continentale sono orientati agli intermediari. Tuttavia, recentemente, si è riscontrato che
l’orientamento al mercato è aumentato in modo significativo: ciò è dimostrato anche dal
graduale processo di titolarizzazione (securitisation) della ricchezza. Bisogna però
considerare che il perfezionamento dei mercati mobiliari toglie spazi e opportunità di
scambio agli intermediari. Infatti, le funzioni degli intermediari cambiano in senso
innovativo:
da un lato è corretto sostenere che fra mercati e intermediari esiste un rapporto di concorrenza: la relazione competitiva sta nella circostanza che un trasferimento di risorse finanziarie effettuato dall’intermediario è sottratto al mercato, e viceversa;
dall’altro lato, fra il mercato mobiliare e l’attività degli intermediari si sviluppano relazioni di complementarità: gli intermediari contribuiscono in misura crescente allo sviluppo degli scambi nei mercati mobiliari, e questi ultimi offrono agli intermediari maggiori opportunità di attività e di servizio. Questa relazione si concreta nelle seguenti situazioni: o l’intermediario creditizio (o banca tradizionale) -che in passato si caratterizzava
per l’uso di s.f. non trasferibili- attualmente si finanzia con l’emissione di obbligazioni che concorrono allo sviluppo del mercato mobiliare. Anche il processo di cartolarizzazione dei prestiti contribuisce ulteriormente all’ampliamento del mercato;
o l’intermediario mobiliare sviluppa attività complementari con il mercato mobiliare, perché da un lato sostiene e assiste le imprese che emettono strumenti di debito e capitale e dall’altro utilizza gli strumenti mobiliari per comporre portafogli di investimento per la clientela.
È importante ricordare che gli intermediari:
da una parte si pongono come prenditori e datori di fondi: intermediazione creditizia, basata sull’assunzione diretta di crediti e debiti, nella forma dello scambio intermediato, effettuato mediante la produzione di s.f. propri, in genere non trasferibili (depositi e prestiti);
dall’altra offrono servizi di ricerca e selezione di contropartite di investimento/finanziamento mediante s.f. di mercato (valori mobiliari) che determinano una relazione contrattuale diretta fra prenditori e datori primari: intermediazione mobiliare, che si concreta, appunto, nell’attivazione di scambi diretti per conto della clientela;
e appaiono ora sempre più orientanti a utilizzare fonti di finanziamento (funding) dell’attività creditizia che fanno riferimento al mercato mobiliare (emissione di obbligazioni proprie).
L’area colorata indica l’area di scambio in cui intervengono gli intermediari a vario titolo e
con diverse modalità. La linea obliqua ascendente compresa fra le frontiere x e y
rappresenta il grado crescente di intensità con cui può realizzarsi l’intermediazione. La
ripartizione degli scambi all’interno dei tre comparti indica, alternativamente, l’orientamento
del sistema finanziario ai mercati (prime due aree) oppure quello agli intermediari (terza
area). Tuttavia, il secondo comparto accoglie una modalità di scambio ibrida, condivisa
sia dal mercato che dall’intermediario. Invece, nella prima e nella terza area le funzioni dei
mercati e degli intermediari sono reciprocamente escluse. Infine, è importante non
dimentica, nello “spazio” dello scambio autonomo e assistito, la presenza degli
intermediari creditizi in quanto emittenti diretti o indiretti di obbligazioni (rispettivamente
obbligazioni bancarie e ABS). In definitiva, le tendenze attuali confermano una graduale
compenetrazione fra intermediari e mercati mobiliari.
CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI: questa tecnica -già vista precedentemente-
comporta una trasformazione radicale nei modelli tradizionali di intermediazione? Prima di
tutto bisogna comprendere le motivazioni economiche e storiche della diversificazione
della banca-intermediario creditizio verso l’intermediario mobiliare. Le ragioni di questa
tendenza devono essere colte in tre circostanze:
a) lo sviluppo dei mercati mobiliari ha determinato una disintermediazione delle banche, la cui intermediazione creditizia ha perso peso rispetto al volume globale degli scambi finanziari;
b) ciò ha contribuito ad aumentare la concorrenza fra le banche con la conseguente contrazione del margine di interesse unitario ((ricavi – costi)/tot. fondi intermediati): l’intermediazione creditizia è progressivamente diventata, negli anni ’80 del secolo scorso, un’attività più povera e più rischiosa;
c) nello stesso tempo, le riforme degli ordinamenti bancari e creditizi (in Italia, TUB – ’94) hanno favorito la despecializzazione degli intermediari “storici”: ciò ha consentito loro l’ingresso in nuove aree di intermediazione, prima non accessibili e ora reputate profittevoli, rappresentate dall’intermediazione mobiliare.
La cessione di crediti con la tecnica della cartolarizzazione (cioè verso un soggetto
terzo, lo SPV -special purpose vehicle- che emette proprie obbligazioni -ABS, asset
backed securities-) produce tre effetti:
effetto di velocità: la cessione di crediti genera immediatamente liquidità, cioè nuove risorse finanziarie disponibili per la concessione di altri prestiti;
effetto di allargamento delle opportunità di raccolta, poiché i titoli obbligazionari concessi dallo SPV vengono di solito acquistati da investitori istituzionali;
effetto istantaneo di “disintermediazione programmata” poiché è la stessa banca che trasferisce l’intermediazione creditizia in capo allo SPV, emittente di strumenti mobiliari (ABS) appositamente designati con clausole differenziate di prelazione (tranches), con rating di agenzie esterne.
Con la cessione dei crediti mediante cartolarizzazione la banca si specializza in questa
attività (detta di origination), trasferendo a terzi (gli SPV) la funzione di asset holding, cioè
di mantenere in bilancio fino a scadenza le attività corrispondenti (prestiti).
Diviene chiaro, dunque, il passaggio della banca dal modello originate-and-hold (banca
produce i prestiti e li tiene in bilancio) al modello originate-to-distribute (banca produce i
prestiti e li trasferisce). Mentre l’intermediario creditizio tradizionale fondava la propria
economicità su un margine di interesse unitario, il nuovo modello emergente di
intermediazione consente alla banca di concentrare e sviluppare le proprie competenze
proprietarie ed esclusive di “gestione del credito” e di:
massimizzare i ricavi tipici dell’attività di origination, costituiti dalle commissioni pagate dalla clientela;
incassare subito le plusvalenze rappresentate dalla differenza positiva fra prezzi di cessione dei prestiti destinati alla cartolarizzazione e loro valore nominale (se la banca offre prestiti con elevato profilo di rendimento rispetto al rischio, il loro valore di cessione può essere maggiore del valore nominale);
incassare in via continuativa le commissioni relative all’attività di servicing e di monitoring: l’SPV in genere non è dotato di una struttura adeguata per gestire i portafogli di prestiti e ne delega il monitoraggio alla banca originante;
sviluppare l’attività e il relativo modello di business con flessibilità e rapidità. Il modello originate-to-distribute espande i volumi e accelera i processi di produzione, entro due limiti: o esistenza e reperimento di ulteriore clientela finanziabile; o capacità di collocamento nel mercato delle ABS.
Ciò spiega perché la banca originante collabora con altri soggetti specializzati per
strutturare le operazioni di cartolarizzazione (investment bank, consulenti, …), per
garantire la qualità delle ABS normalmente graduate in tranches (agenzie di rating) e
migliorarne la qualità di rischio mediante garanzie, o strumenti di credit enhancement
(società di assicurazione).
Per quanto riguarda la gestione dei rischi, parrebbe giusto concludere che la banca
originator trasferisce totalmente ed esternalizza i rischi tipici dell’intermediazione creditizia,
cioè da un lato il rischio di credito o di insolvenza relativo ai prestiti originati, ceduti e
dall’altro il rischio di liquidità emergente dall’eventualità che i flussi di cassa generati dai
prestiti (rimborsi di capitali e pagamenti di interessi) non corrispondano alle scadenze di
pagamento incorporate nelle obbligazioni emesse (ABS). Questi rischi riguardano
esclusivamente lo SPV, a condizione che la banca originante e cedente non mantenga
alcuna obbligazione. In pratica ciò non avviene mai, poiché si verificano le seguenti
circostanze:
la banca originante acquista dallo SPV le obbligazioni della tranche junior, normalmente sprovviste di rating: questo componente della struttura del debito obbligazionario dello SPV viene rimborsato solo dopo che siano state adempiute tutte le obbligazioni verso le altre tranches (senior e mezzanine). L’originator acquista e mantiene nel proprio attivo il componente più rischioso del debito dello SPV;
la banca originante può sottoscrivere un impegno formale a riacquistare dallo SPV i crediti;
inoltre questa assume l’impegno a fornire liquidità allo SPV qualora questo non fosse in grado di far fronte alle obbligazioni di rimborso del suo indebitamento, come nell’ipotesi che la struttura per scadenze delle ABS emesse fosse più breve rispetto a quella del portafoglio di crediti che vi corrisponde. Da ciò si evince che la struttura finanziaria dello
SPV dovrebbe sottostare al vincolo di corrispondenza precisa (o matching) fra le scadenze dell’attivo e del passivo.
DOMANDA DI PRODOTTI FINANZIARI E ASSICURATIVI
Genesi e oggetti della domanda di servizi finanziari: abbiamo già visto come i flussi
finanziari generati dall’attività di scambio monetario tra gli attori economici determinano
saldi finanziari periodali positivi o negativi. La sequenza dei flussi finanziari del singolo
soggetto tende a generare un disequilibrio di cassa. Quindi, ogni soggetto ha la
necessità di realizzare una gestione finanziaria finalizzata a mantenere nel tempo
l’equilibrio finanziario. Tale gestione è orientata, inoltre, a governare profili di rischio, di
rendimento e/o di costo. La gestione finanziaria del singolo soggetto considerato è
subordinata a un fondamentale criterio di valutazione che riguarda l’efficacia (idoneità a
conseguire l’equilibrio), sia l’efficienza (capacità di realizzare condizioni di
rendimento/rischio corrispondenti alla aspettative del soggetto). La gestione finanziaria è il
contesto in cui prende forma la domanda di servizi finanziari e assicurativi. La domanda
rappresenta un passaggio logico successivo, perché presuppone la contestualizzazione
dei bisogni finanziari in un preciso ambiente di gestione finanziaria.
Gestione finanziaria e ciclo di vita della famiglia: reddito permanente = flusso desiderato
di soddisfazioni, rapportato alla composizione dei bisogni, in un dato periodo di tempo
(allocazione desiderata di risorse nel tempo). Poiché la spesa per i consumi correnti e
quella per investimenti reali non corrisponde alla disponibilità di reddito monetario, il saldo
finanziario funge da fattore di aggiustamento. Pertanto, il risparmio finanziario ha la
funzione di adattare il reddito corrente al reddito permanente. Ipotesi del ciclo di vita:
non vi sono trasferimenti intergenerazionali di ricchezza;
stock iniziale e finale di ricchezza sono nulli;
reddito corrente totale equivale al reddito permanente totale;
somma algebrica dei saldi periodali è nulla. In questo quadro, la gestione finanziaria della famiglia è sottoposta a un vincolo di bilancio
duplice: l’equilibrio periodale dei flussi di cassa e quello multiperiodale. Ogni periodo
considerato può essere rappresentato dalla seguente relazione:
,
in cui le decisioni di assunzione/estinzione di attività e passività finanziarie appaiono
determinate dall’equilibrio fra reddito monetario disponibile e consumi, dalle decisioni di
investimento/disinvestimento in beni reali non destinati al consumo, dalla struttura
finanziario-patrimoniale del periodo precedente e dalle previsioni di andamento future.
Questa rappresentazione fornisce agli intermediari le informazioni utili a definire le
politiche di offerta di strumenti e di servizi destinati ai vari bisogni.
Gestione finanziaria e ciclo di vita dell’impresa: la finanza di impresa è caratterizzata dal
fatto che i flussi di cassa in uscita precedono quelli in entrata. L’impresa, infatti, deve
acquistare fattori produttivi e con essi organizzare la produzione e la distribuzione che
conducono alla vendita del prodotto. La durata e la dinamica del ciclo finanziario
dell’impresa sono determinate dall’“intensità di capitale”, dall’andamento delle vendite
e dalla capacità di generare internamente nuove risorse finanziarie. Il ciclo finanziario
dell’impresa può essere rappresentato con queste quantità:
intensità di capitale (rapporto tra capitale investito e vendite del periodo, ): indica la q.tà di capitale che l’impresa deve costantemente mantenere investita per realizzare un dato volume di vendite;
tasso di sviluppo delle vendite, ( ) ⁄ : variazione del fatturato nel periodo considerato;
q.tà incrementale di risorse finanziarie generate nel periodo ( ⁄ ) e quindi reinvestibili, al netto del reinvestimento necessario per mantenere invariata la capacità produttiva e lo stock di fattori produttivi necessari; corrisponde all’autofinanziamento.
EQUILIBRIO DELL’IMPRESA: avendo definito le variabili, siamo in grado di
rappresentare il break-even finanziario:
o Se i due membri sono uguali: data una certa intensità di capitale (costante nel tempo), le risorse assorbite dalla crescita delle vendite corrispondono esattamente alle risorse generate dal flusso delle vendite nel periodo precedente, e quindi l’impresa è in grado di coprire, dall’interno, il fabbisogno di capitale.
o Se il membro a sx è > di quello a dx: l’impresa genera un fabbisogno finanziario esterno, derivante dal fatto che le risorse generate nel periodo precedente non sono sufficienti a coprire il fabbisogno complessivo di risorse.
o Se il membro a sx è < di quello a dx: l’impresa genera risorse reinvestibili in misura eccedente rispetto all’assorbimento derivante dallo sviluppo delle vendite; essa genera un avanzo finanziario.
L’impresa che riesce a ridurre il livello dell’intensità di capitale diviene gradualmente più
efficiente, cioè migliora la produttività del capitale impiegato.
Questa equazione si fonda sull’ipotesi che i flussi finanziari disponibili per il reinvestimento
siano reinvestiti effettivamente soltanto alla scadenza del periodo di tempo considerato (il
fabbisogno finanziario esterno risulta sovrastimato; l’avanzo finanziario risulta
sottostimato). Qualora si volesse ottenere la quantificazione del fabbisogno esterno o
dell’avanzo è sufficiente modificare l’equazione (ricordando la relazione di Tsvt e
dividendo per Vt-1):
( )
Se (flusso di cassa del periodo) < 0 fabbisogno finanziario esterno;
Se > 0 avanzo finanziario.
Inoltre, questa equazione risulta uno strumento di previsione.
CICLO DI VITA DELL’IMPRESA: per rappresentare le strategie dell’impresa si usa il
modello di “ciclo di vita” dell’impresa, che deriva dalla nozione di “ciclo di vita” del
prodotto. Tale modello è rappresentato dalla curva a S, che pone in relazione fatturato di
impresa e tempo. Si distinguono le tre fasi tipiche, con caratteri specifici che saranno
trattati in seguito.
CARATTERI FINANZIARI DELLA FASE DI INTRODUZIONE: il fatturato tende a
crescere rapidamente, per cui il suo tasso di sviluppo aumenta. D’altra parte,
l’intensità di capitale si presenta inizialmente molto elevata, con tendenza alla
diminuzione. Ciò si spiega così:
spesso la capacità produttiva inizialmente installata è sovradimensionata rispetto alle concrete possibilità di fatturato immediato ed è progettata in funzione di livelli di fatturato attesi nei periodi successivi;
inizialmente la dimensione dell’investimento è elevata. Il margine lordo di autofinanziamento è contenuto. Questa limitatezza dipende dalle
condizioni di equilibrio fra ricavi e costi. A questo proposito assume particolare rilevanza
la politica dei prezzi iniziale: l’impresa può beneficiare dell’opportunità di applicare
“prezzi relativi” superiori al livello medio dei prezzi dei prodotti concorrenti. Ciò accade
quando l’impresa può far valere il vantaggio della “novità”. Il comportamento iniziale del
margine di autofinanziamento dipende dai costi iniziali di produzione. È logico attendersi
che, in questa fase, i limitati volumi di produzione non consentano il raggiungimento
immediato della massima efficienza operativa. In conclusione, durante la fase di
introduzione è tipico che la situazione finanziaria di impresa presenti una condizione di
disavanzo:
( )
L’impresa, quindi, per sopravvivere, ha bisogno di un flusso di risorse finanziarie
superiore a quello generabile internamente (deve procurarselo dall’esterno).
CARATTERI FINANZIARI DELLA FASE DI CRESCITA: il tasso di sviluppo delle
vendite in genere cresce fino ad un valore massimo (p.to di flesso). Successivamente
esso si stabilizza per periodi più o meno lunghi e poi comincia a diminuire. L’intensità di
capitale mantiene inizialmente valori elevati, poiché l’aumento delle vendite determina lo
sviluppo della capacità produttiva (crescita rapida investimenti in capitale fisso). Dopo il
p.to di flesso, le relazioni fra queste variabili si modificano: lo sviluppo decrescente del
fatturato provoca un rallentamento dei nuovi investimenti. La capacità di
autofinanziamento lordo tende a stabilizzarsi su valori medi superiori a quelli della
fase precedente e poi ad aumentare nella parte avanzata di questa fase. Ciò dipende da
due circostanze:
da un lato, l’equilibrio tra ricavi e costi tende a migliorare, poiché l’impresa aumenta i propri vantaggi competitivi e poiché migliorano le politiche commerciali;
dall’altro, il flusso degli ammortamenti risulta gradualmente meno impegnato dal rinnovo (decrescente) degli impianti esauriti.
In definitiva, in ipotesi di successo competitivo dell’impresa il riassetto delle variabili
nella parte avanzata della fase (diminuzione tasso di sviluppo del fatturato, diminuzione
dell’intensità di capitale e aumento della capacità lorda di autofinanziamento) porta
l’impresa ad un punto di equilibrio in cui:
( )
Successivamente, l’equazione considerata comincia a segnalare la generazione di flussi
di cassa positivi:
( )
CARATTERI FINANZIARI DELLA FASE DI MATURITA’: il tasso di sviluppo del
fatturato assume valori sempre più bassi, fino ad annullarsi; l’intensità di capitale
diminuisce (l’investimento in capacità produttiva ha raggiunto il massimo). La capacità
lorda di autofinanziamento aumenta, ma non essendo impiegata per il reinvestimento,
genera liquidità. L’impresa genera flussi di cassa positivi: si assiste al fenomeno della
“rigenerazione monetaria” delle risorse precedentemente impiegate (usate per
rimborsare i finanziatori, oppure per finanziare nuove attività imprenditoriali). Comunque,
il ciclo strategico dell’impresa è giunto al termine.
SCHEMA DI SINTESI:
La gestione finanziaria di un’impresa segue le seguenti finalità:
1. assicurare in ogni periodo l’equilibrio monetario dei flussi di cassa, sia procurando fonti di finanziamento esterno, sia estinguendo e sostituendo tali fonti secondo le necessità;
2. minimizzare il costo del capitale acquisito nelle varie forme contrattuali di finanziamento; 3. ottimizzare la composizione della struttura finanziaria; 4. pianificare, nel tempo, aumento del capitale proprio per apporto esterno (o diminuzione)
e le decisioni di indebitamento. Lo schema di sintesi evidenzia che:
nella fase di introduzione, il fabbisogno finanziario viene soddisfatto dal capitale proprio, mentre i flussi di cassa negativi determinano un indebitamento crescente;
nella fase di crescita vi sono apporti di capitale proprio, sia ulteriori assunzioni di indebitamento, fino al raggiungimento del punto di inversione del segno algebrico del flusso di cassa periodale (da negativo a positivo);
nella fase della maturità, i flussi di cassa positivi consentono di rimborsare l’indebitamento e anche la restituzione del capitale proprio in misura parziale o totale.
STRUMENTI IDONEI A SODDISFARE LA DOMANDA DI SERVIZI F. DELL’IMPRESA:
relazioni fra le fasi del ciclo strategico e la domanda dei diversi tipi di s.f.
I + indicano un uso crescente del relativo strumento; quelli – indicano un impiego
decrescente (rimborso o restituzione). I segni ? indicano che i titolari del capitale proprio
sono residual claimants, che dovrebbero -in caso di successo- recuperare il capitale e
ricevere una corretta remunerazione per il rischio. Nella fase iniziale, l’offerta degli
intermediari finanziari dovrebbe configurarsi sia come concessione di credito a breve e di
finanziamento a medio-lungo termine. Nel successivo periodo di sviluppo, data una
certa stabilizzazione, gli intermediari possono strutturare l’offerta di finanziamento secondo
una maggiore ampiezza di forme tecniche e scadenze. Inoltre essi possono anche
sviluppare prestazioni di investment banking (organizzazione di operazioni di emissione di
valori mobiliari; eventuale sottoscrizione di tali valori; assistenza per l’ingresso, la
quotazione e il collocamento in borsa; organizzazione e gestione di emissioni
obbligazionari e azionarie; consulenza per operazioni di finanza straordinaria). Inoltre la
gestione d’impresa sviluppa una domanda di servizi di pagamento (prevale la moneta
scritturale -pagamenti bancari e postali-; a scapito di quella legale).
ATTIVITA’ DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
«Attività»: nozione complessa che fa riferimento all’attore, al destinatario, all’oggetto, al
contenuto, alla modalità e alla funzione. L’analisi delle attività degli intermediari può essere
riferita alle seguenti linee interpretative:
prodotti e processi per i pagamenti, investimenti, finanziamenti e gestione di rischi; segmentazione dei destinatari: private banking, corporate banking, e retail banking; esistenza ed estensione della delega conferita dal cliente: negoziazione in proprio
e negoziazione delegata; tipi di s.f.: intermediazione creditizia, mobiliare e assicurativa.
Segmentazione dei destinatari: caso specifico della banca
Se si concepisce l’intermediario non tanto in relazione alle funzioni d’uso dei suoi prodotti,
quanto in rapporto alla sua funzione di servizio nei confronti della clientela, diviene logico
riferire il concetto di attività sia al segmento della clientela cui è riferito il servizio, sia alla
modalità con cui il servizio viene reso. Ecco come si classificano le attività di
intermediazione finanziaria:
private banking: insieme di prodotti e servizi che l’intermediario offre per il soddisfacimento dei bisogni della clientela “privata” (persone fisiche e famiglie), appartenente a categorie di reddito elevate. Il contenuto del servizio offerto è alto, l’offerta del prodotto è personalizzata, lo scambio è orientato a produrre con continuità le migliori soluzioni dei problemi dei clienti secondo una visione integrata della sua gestione finanziaria. Il private banking presuppone una modalità di “scambio relazionale” denominata con il concetto di relationship banking, cioè di esercizio dell’attività bancaria sul fondamento di una relazione forte e duratura col cliente;
corporate banking: è analoga alla precedente, ma la clientela è costituita da imprese di grandi dimensioni e dotate di forma societaria (corporate). Costituisce un’area di affare molto estesa, in cui l’offerta è costituita da una continua e mutevole composizione di prodotti elementari. Anche qui si applica il concetto di relationship banking.
retail banking: si riferisce a un modello di attività bancaria che fa riferimento: da un lato alla distribuzione al dettaglio di s.f. ai segmenti di clientela minore per dimensione individuale di relazione di scambio e distinti per funzione economica (famiglia, impresa o altro); dall’altro lato, a una modalità di offerta focalizzata non tanto sul servizio della relazione di clientela, quanto sull’efficienza delle transazioni elementari di prodotti standardizzati, cui potrebbe essere riferito il concetto di
commodity. Il piccolo importo delle operazioni non consente all’intermediario la produzione di servizi rivolti a personalizzare le prestazioni. Quindi, l’intermediario sviluppa una modalità competitiva che, attuando una segmentazione della clientela sull’omogeneità del bisogno, focalizza l’offerta di prodotto sul segmento considerato. Alla nozione di retail banking viene contrapposta quella di wholesale banking (attività bancaria all’ingrosso), con la quale si intende identificare la fornitura di servizi di grandi dimensioni alla clientela.
Le aree azzurre identificano le coordinate dove è improbabile che l’intermediario
posizioni la propria offerta.
DELEGA CONFERITA DAL CLIENTE: negoziazione in proprio e negoziazione
delegata.
Le attività possono essere classificate in relazione alla circostanza che fra intermediario e
cliente esista una relazione contrattuale di credito-debito, di mandato, oppure una
semplice prestazione di servizi. Le attività dell’intermediario possono essere classificate
così:
negoziazione in proprio: attività in cui l’intermediario si pone come controparte diretta del cliente; esso negozia in proprio nome e conto; lo scambio ha per oggetto il trasferimento temporaneo o definitivo della proprietà di un bene (moneta, capitale o titoli rappresentativi). Gli scambi classici al riguardo sono tutte le attività di finanziamento e di raccolta, costituite da sequenze di scambi con cui l’intermediario cede o acquisisce la proprietà di risorse finanziarie in contropartita di un diritto di credito o di un’obbligazione di debito nei confronti del cliente finanziato. L’intermediario rischia in proprio (rischio di credito -legato alla solvibilità del cliente-, rischio di liquidità, rischio di prezzo -nel caso in cui venda o compri valori mobiliari-). Questa negoziazione è l’attività tipica dell’intermediario creditizio e comporta gestione e trasformazione del rischio;
negoziazione delegata: attività di scambio che l’intermediario svolge in nome e per conto del cliente, cioè per sua delega o mandato; le azioni del mandatario producono effetti economico-giuridici in capo al mandante: esse non modificano la contabilità dei beni di proprietà (o stato patrimoniale) dell’intermediario. Assume rilevanza l’ampiezza della delega conferita. Si distinguono attività: o che consistono nell’esecuzione di ordini conferiti dal cliente (l’intermediario
-broker- non ha autonomia decisionale); il mandato contiene una delega limitata. ES: ordini di pagamento e/o incasso; ordini di compravendita di valori
mobiliari -l’intermediario è responsabile della scelta della controparte, mentre il rischio dell’emittente è in capo all’acquirente-;
o attività in cui l’intermediario riceve un mandato con delega decisionale più ampia, il cui esercizio può modificare il rischio in capo al cliente. ES: contratto di gestione patrimoniale individuale, con cui l’intermediario decide gli investimenti mobiliari del cliente; gestione a monte del risparmio: consiste nella gestione dei patrimoni -in genere mobiliari- per conto di una collettività di investitori, nella forma del fondo comune di investimento (è un’attività riservata alle SGR); attività di progettazione, organizzazione e collocamento di emissione di valori mobiliari in nome e per conto di imprese clienti.
Le attività di negoziazione delegata rappresentano un meccanismo di integrazione
dei circuiti di scambio diretto.
Negoziazione in proprio e delegata si distinguono per:
diversa intensità di rischio assunto dall’intermediario (maggiore nel primo caso);
diversa focalizzazione del cliente (maggiore nel secondo caso);
diversa evidenza contabile: mentre la negoziazione in proprio è rappresentata nello stato patrimoniale dell’intermediario, quella delegata -riguardando beni di terzi- trova rappresentazione nei conti d’ordine.
servizi di consulenza e assistenza alla decisione finanziaria: attività con cui l’intermediario contribuisce alla formazione della decisione finanziaria del cliente. L’elemento distintivo rispetto alla negoziazione delegata sta nel fatto che la decisione finanziaria viene assunta dal cliente, ma sulla base di informazioni fornite dall’intermediario. Quest’attività consiste nella: fornitura di informazioni utili per il processo decisionale; offerta di consulenza finanziaria; ricerca di controparti idonee per lo scambio progettato. In genere, queste attività non sono oggetto di vendita isolata, anche perché la determinazione del loro prezzo è molto difficile: esse integrano l’offerta di servizio dell’intermediario, assumendo funzione di sostegno alle attività di negoziazione in proprio o delegata (nel caso di basso contenuto di delega decisionale).
TIPI DI S.F. USATI: INTERMEDIAZIONE CREDITIZIA, MOBILIARE E ASSICURATIVA
Gli intermediari possono svolgere le proprie attività impiegano s.f. o strumenti non
finanziari (in questo caso non si tratta di intermediazione finanziaria -servizi di
informazione, consulenza, ricerca di controparte, ecc.-). In relazione agli s.f. usati, le
attività di intermediazione si distinguono in tre classi:
intermediazione creditizia: comprende attività di scambio che impieghi s.f. non trasferibili e appositamente prodotti dall’intermediario per lo scambio: prestiti e depositi, contratti di credito/debito non trasferibili;
intermediazione mobiliare: comprende attività di scambio che ha per oggetto s.f. di tipo mobiliare, cioè trasferibili e standardizzati, emessi da imprese, amministrazioni pubbliche e intermediari a scopo di finanziamento nel circuito diretto;
intermediazione assicurativa: si basa sull’emissione di s.f. (polizze) che hanno per oggetto il trasferimento di rischi puri dagli assicurati alle imprese di assicurazione: i premi pagati ex ante concorrono a formare il capitale necessario per sostenere gli impegni dell’impresa al verificarsi degli eventi previsti (danni e vita). Tale capitale è oggetto di investimento per massimizzare il rendimento.
Queste tre forme di intermediazione costituiscono, congiuntamente, l’intermediazione
finanziaria. Esse sono definite esclusivamente dal tipo di s.f. impiegato e non
dall’emittente o produttore del medesimo. Per quanto riguarda le prime due, si tratta di
forme di intermediazione che possono coesistere ed essere esercitate dallo stesso
soggetto, ma anche integrarsi reciprocamente in un processo di intermediazione unitario
(ES: intermediario che si finanzia tramite raccolta di depositi e investe parte di tali risorse
in valori mobiliari). Inoltre, bisogna chiarire le relazioni fra intermediazione creditizia e
mobiliare e i modi di negoziazione (in proprio e delegata). L’intermediazione creditizia si
serve esclusivamente di modalità di negoziazione in proprio (si realizza sempre con
l’assunzione di debiti e crediti). La negoziazione delegata -che si realizza solo tramite
scambi di strumenti di terzi, cioè non prodotti direttamente dall’intermediaria che scambia
in nome e per conto di terzi- è una modalità operativa che appartiene solo
all’intermediazione mobiliare.
BANCHE: dalla riforma del ’93, la definizione di «banca» non si basa più sull’esercizio
congiunto delle attività di raccolta del risparmio e di concessione del credito (requisiti
minimi). Il TUB, infatti, ammette un campo di operatività più ampio: dall’intermediazione
creditizia all’intermediazione mobiliare; dalla negoziazione in conto proprio alla
negoziazione delegata; dai servizi in conto proprio all’attività di servizio; fino all’assunzione
diretta di partecipazioni nel capitale di rischio delle imprese industriali [modello di banca
universale]. Caratteristiche distintive delle banche:
svolgimento della funzione monetaria, che si basa sull’accettazione dei debiti bancari come mezzo di pagamento. Tale consenso presuppone che la singolo banca e il sistema bancario goda della fiducia del pubblico e che il sistema stesso predisponga una serie di procedure e strutture tecnologiche che rendano efficiente l’uso della moneta bancaria;
funzione di trasferimento delle risorse finanziarie tra unità in surplus e in deficit: la banca: si inserisce nel circuito creditizio (ciò comporta negoziazione in proprio e, dunque, rischio); attua la trasformazione delle scadenze (dal breve al medio-lungo periodo); svolge una funzione di selezione ex ante e di controllo ex post (discrimina la domanda di finanziamenti accettabili e non e sorveglia i soggetti, scoraggiando il moral hazard);
funzione di trasformazione e gestione del rischio: la gestione fa riferimento allo svolgimento di attività, incentrate su contratti a termine e derivati, che hanno come scopo il trasferimento di rischi tra operatori economici e finanziari.
Tradizionalmente la banca si è dedicata e si dedica ad attività di retail banking mediante
processi produttivi standardizzati, canali distributivi diretti e con modalità di scambio
orientate alle transazioni (s.f. elementari, di dimensione contenuta). Ora -e nel futuro- le
banche tendono a dedicare attenzione maggiore alle attività di private banking e di
corporate banking, che presentano caratteristiche diverse: si tratta di strumenti e servizi
complessi, messi a punto secondo un criterio di personalizzazione, di dimensione
unitaria grande, negoziati all’interno di una relazione di clientela duratura e consolidata
(relationship banking). Per tutte queste sfumature, è impossibile proporre una definizione
di banca empiricamente rappresentativa della realtà.
Trasformazione delle banche: dall’attività creditizia al corporate ed investment
banking: con il termine corporate ed investment banking, vengono indicati diversi tipi di
attività finanziaria, che hanno in comune la specificità di offrire strumenti e servizi
destinati alla gestione finanziaria di imprese, famiglie e clientele istituzionali (alto grado di
personalizzazione). Queste considerazioni si riallacciano a quella che, storicamente, è
stata la differenza, negli USA, tra:
investment bank: intermediario finanziario con un’ampia gamma di attività a elevato contenuto personalizzato, per conto di una clientela corporate, di taglio mediamente elevato, non dotato di una rete operativa territoriale capillare;
commercial bank: intermediario dedito ad attività di intermediazione creditizia, dotato di un’estesa e capillare rete operativa territoriale.
Questa distinzione ha origine nel contesto normativo americano, dopo la «grande crisi»,
come misura necessaria per separare il credito dalle vicende dei mercati azionari. Questa
separazione è caduta con la crescente internazionalizzazione dei grandi intermediari,
che possono coniugare le due attività. In Italia il sistema finanziario si è sviluppato
secondo un modello incentrato sull’intermediazione creditizia, che non ha favorito la
crescita parallela dei mercati mobiliari (di conseguenza le attività di corporate e investment
banking non hanno avuto né storia, né riconoscimento normativo). Solo con l’ordinamento
attuale si fa spazio al corporate e investment banking anche nel nostro sistema. Infatti:
le banche sono abilitate a svolgere direttamente attività di intermediazione mobiliare, sia di mercato primario (collocazione per conto di emittenti), sia di mercato secondario (negoziazione) e attività di merchant banking (es: assunzione di partecipazioni azionarie);
le società di intermediazione mobiliare vengono abilitate a svolgere attività di intermediazione mobiliare, in modo analogo alle banche;
gli altri intermediari possono svolgere servizi si assunzione di partecipazioni, di cash management, di intermediazione in cambi.
In definitiva, nel nostro ordinamento non esiste una relazione univoca tra le attività di
corporate e investment banking e una specifica figura istituzionale di intermediario: queste
vengono svolte da intermediari diversi.
Credito: l’attività creditizia riguarda sia:
l’organizzazione di operazioni finanziate da altri soggetti (banche commerciali): è il c.d. financial advisory. Le banche organizzano dei sindacati di prestito e la sindacazione di prestiti finalizzati all’acquisizione di imprese; esse, inoltre, forniscono consulenza alle aziende delle linee di credito e prestano la loro assistenza nello studio di fattibilità e nella successiva ricerca di fondi da destinare al finanziamento dei grandi progetti;
il finanziamento diretto delle operazioni stesse: tramite leasing relativo a grandi opere. Questi sono aspetti innovativi.
Attività di corporate finance: rappresenta il campo di attività storica del corporate e
investment banking. È un’area molto ampia, il cui tratto distintivo è l’elevato contenuto di
servizio delle attività svolte per il cliente. Al suo interno sono inclusi:
o mercato primario (azioni e debito): è costituito dall’insieme dei servizi offerti ai clienti che ricorrono all’emissione di azioni/obbligazioni. In questa attività, le banche forniscono sia servizi di originating (studio dell’emissione, di tempi e modalità di collocamento dei titoli, definizione del prezzo di emissione), sia di underwriting (garanzia del buon fine del collocamento), sia di placement (distribuzione dei titoli emessi).
o operazioni di finanza straordinaria: comprende diversi segmenti operativi: consulenza nelle operazioni di fusione o di acquisizione (che si attua tramite la
ricerca dell’impresa target, la revisione dei conti aziendali, la determinazione del prezzo); consulenza alle imprese in crisi o che affrontano una fase di ristrutturazione; altri servizi collegati. o assunzione di partecipazioni nel capitale di rischio di imprese non finanziarie: può
essere realizzata direttamente (tramite mezzi propri), sia indirettamente (attraverso veicoli di investimento). Una nicchia di questa attività è costituita da imprese neonate o a elevato contenuto tecnologico: si tratta di imprese con alto grado di rischio ma con prospettive di notevole incremento di valore nel tempo.
Attività di capital markets: attengono al brokerage e al dealing di valori mobiliari sui
mercati secondari, all’attività sul mercato dei cambi e a quella in derivati per la copertura
dei rischi. Strettamente collegati a queste ultime sono i servizi di cash management che
hanno come obiettivo la gestione economica (gestione accentrata dei conti bancari; nelle
versioni più complesse può denotare la gestione globale della tesoreria dell’impresa).
Attività di asset management: è costituita dai servizi che l’investment bank offre alla
clientela per la gestione dei patrimoni. È un campo ampio che può essere svolto nei
confronti di diversi segmenti di clientela: persone fisiche che dispongono di patrimoni
consistenti, fondi pensione e investitori istituzionali.
BILANCIO DELLE BANCHE: le regole di contabilizzazione, i criteri di valutazione, il
formato dei bilanci sono spesso regolati da norme di legge, non solo di derivazione
nazionale, ma anche europee. Il bilancio di una banca è centrato sui tradizionali documenti
contabili: stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa.
Stato patrimoniale (riclassificato): è redatto a «sezioni contrapposte»:
attivo: comprende gli investimenti e i crediti, cioè le attività. Propone le diverse forme di impiego delle risorse finanziarie alla chiusura dell’esercizio. Le voci sono distinte «per natura» e, con riferimento alle voci più importanti, anche per «categoria di controparte»;
passivo: comprende i debiti (passività) e le voci del capitale netto, che nel caso delle banche è indicato col termine «patrimonio». Propone le diverse forme di finanziamento dell’attività (modalità di raccolta di risorse). Le voci sono distinte «per
natura», per «categoria di controparte» e talvolta anche per classi di scadenza. Le voci del patrimonio (fonti di finanziamento dei soci) sono: capitale sociale; riserve sovrapprezzo azioni, riserve di rivalutazione e tutte le altre riserve e i fondi di natura patrimoniale (es: «fondo per rischi bancari generali», che rappresenta un importante strumento di rafforzamento patrimoniale; è alimentato dall’accantonamento di utili; in periodi sfavorevoli permette di far fronte a manifestazioni negative dei rischi tipici della gestione); utile (o perdita) dell’esercizio.
Le «attività finanziarie fruttifere di interessi» rappresentano la classe di investimento più tipica dei soggetti che, come le banche, svolgono attività di intermediazione finanziaria. Tale classe accoglie le disponibilità liquide, tutte le tipologie di crediti finanziari verso la clientela e verso le altre banche e tutti i titoli a reddito fisso (anche titoli di Stato e obbligazioni emesse da altre banche o imprese non finanziarie);
le «attività finanziarie non fruttifere di interessi» rappresentano un insieme eterogeneo di grandezze contabili, comprendendo sia attività che producono ricavi finanziari (ma non sotto forma di interessi: partecipazioni, titoli azionari, quote di fondi comuni di investimento), sia attività che emergono dallo svolgimento delle normali operazioni di gestione ma che non sono di natura finanziaria;
«attività non finanziarie»: distinte in: o immobilizzazioni materiali: attività reali strumentali all’esercizio dell’attività
(immobili o attrezzature informatiche); sono soggette al processo contabile dell’ammortamento;
o immobilizzazioni immateriali: sono rappresentate da quelle poche tipologie di costo che possono essere «capitalizzate»: costi d’impianto per l’avvio dell’attività e gli avviamenti pagati a fronte di eventuali acquisizioni az.li che la banca può aver concluso nel passato;
«passività onerose di interessi»: complesso delle risorse finanziarie raccolte presso la clientela privata di altre banche, nelle diverse forme tecniche: depositi in c/c, depositi a risparmio, certificati di deposito, obbligazioni. Tutte queste forme di finanziamento prevedono il pagamento di una remunerazione in forma di interessi passivi da parte della banca debitrice;
«passività non onerose di interessi»: complesso dei debiti della banca che emergono dallo svolgimento della normale operatività ma che non danno luogo al pagamento di interessi passivi (debiti vs erario, fondi previdenziali, ratei e risconti passivi);
«patrimonio»: voci contabili espressive di fonti di finanziamento di competenza degli azionisti, quindi vincolate al rischio di impresa.
Conto economico (riclassificato): redatto in forma verticale; evidenzia una serie di
margini reddituali che conducono alla misura dell’utile.
Margine di interesse: somma algebrica degli interessi attivi e passivi di competenza dell’esercizio. Gli interessi attivi e passivi rappresentano ricavi e costi imputabili all’attività di intermediazione creditizia (raccolta da banche e da clientela, impieghi in prestiti, titoli). Assume una rilevanza fondamentale per il conseguimento dell’equilibrio economico da parte della banca;
margine di intermediazione: somma algebrica del margine di interesse e di due aggregati: o ricavi da servizi: si manifestano sotto forma di commissioni (fee) e derivano dalle
diverse attività di servizio che la banca svolge nei confronti della clientela (servizi di pagamento, negoziazione, gestione di portafoglio, consulenza, distribuzione di prodotti e servizi finanziari e assicurativi), tenendo conto delle commissioni passive che devono essere pagate;
o profitti-perdite da operazioni finanziarie: voce incisa dai risultati positivi o negativi che la banca effettivamente ottiene negoziando sul mercato i titoli azionari, ma anche dal saldo delle rivalutazioni e delle svalutazioni di fine esercizio che la banca effettua con riferimento a una particolare categoria di titoli.
Questo margine rappresenta una misura del risultato lordo imputabile alle due
principali aree di affari nelle quali si sviluppa la gestione della banca: quella
dell’intermediazione creditizia e quella dei servizi;
risultato di gestione: somma algebrica del margine di intermediazione, dei costi operativi (per il personale, spese amministrative e tutti gli altri oneri e proventi imputabili al normale funzionamento della banca) e le componenti espressive degli accantonamenti (utilizzo effettivo, nel corso dell’esercizio, dei fondi del passivo) e delle c.d. “rettifiche di valore” (comprendono le svalutazioni -e le eventuali riprese di valore- calcolate per le immobilizzazioni materiali -ammortamenti-, per le immobilizzazioni immateriali e per alcune attività finanziarie che sono oggetto di valutazione alla fine dell’esercizio -partecipazioni, alcuni titoli, crediti-);
risultato lordo: somma algebrica del risultato di gestione e delle componenti straordinarie di reddito, cioè quei valori estranei alla gestione ordinaria della banca;
risultato netto: somma algebrica del risultato lordo, delle imposte di competenza dell’esercizio e del saldo degli accantonamenti e degli utilizzi del fondo per rischi bancari generali. Rappresenta il risultato economico espressivo della complessiva gestione della banca, nel corso di un esercizio.
VALUTAZIONE DI TITOLI. Le categorie per classificare le attività finanziarie sono tre:
titoli held for trading (HTF): titoli che la banca ha acquistato con intento di negoziazione di breve periodo;
titoli held to maturity (HTM): titoli che presentano scadenza fissa e pagamenti fissi e preordinati, che la banca ha acquistato con un intento di detenzione in portafoglio fino alla scadenza;
titoli available for sale (AFS): titoli che la banca ha acquistato con un generico intento di detenzione per lungo tempo, ma che potrebbero essere ceduti sul mercato in ogni momento.
Criteri di valutazione:
fair value: impone di valutare un titolo al suo valore di mercato; il valore di bilancio degli asset in portafoglio può oscillare nelle due direzioni (aumento o diminuzione), in funzione dell’andamento dei prezzi;
del “costo ammortizzato”: impone di valutare un titolo sulla base del prezzo a cui la banca lo ha effettivamente acquistato, tenendo conto anche di alcune ulteriori componenti accessorie di costo (es: commissioni pagate ad un intermediario). Il loro valore di bilancio è soggetto a variazioni più ridotte (sia perché il titolo può essere svalutato ma mai rivalutato), sia perché le eventuali svalutazioni dipendono dalle condizioni dell’emittente e molto poco dalle condizioni di mercato.
I titoli classificati come HFT devono essere valutati al fair value e i risultati del processo di
valutazione (sia positivi che negativi), devono essere imputati al C/E alla voce “profitti -o
perdite- da operazioni finanziarie”; i titoli classificati come HTM devono essere valutati al
costo ammortizzato e i risultati di tale procedimento devono essere imputi al C/E, alla voce
“rettifiche di valore”; i titoli classificati come AFS devono essere valutati ai fair value, ma i
risultati del processo di valutazione devono essere imputati a una riserva di carattere
patrimoniale, dedicata a tale operazione contabile (“riserva fair value”).
VALUTAZIONE CREDITI: la banca li valuta tramite il criterio del costo ammortizzato;
sono, inoltre, definite le fasi del c.d. procedimento di impairment, in ordine al quale i
crediti possono subire delle svalutazioni (accolte nel C/E alla voce “rettifiche di valore”).
Tramite questo procedimento, la banca identifica, all’interno del proprio portafoglio crediti,
tutte le singole posizioni per le quali è prevedibile anche un solo parziale inadempimento
da parte del debitore nel pagamento puntuale degli interessi e nel rimborso del capitale
prestato.
Nota integrativa: parte del bilancio ricca di informazioni sui fatti di gestione. In quasi tutti
i paesi la regolamentazione speciale in tema di bilancio delle banche prevede, per la nota
integrativa, una struttura alquanto rigida, nel senso che sono stabilite con un alto grado di
precisione le informazioni che essa deve fornire e il modo con cui devono essere
elaborate (forma “tabellare”). La nota integrativa presenta due caratteristiche che ne
qualificano il ruolo e l’importanza all’interno del bilancio bancario:
documento di tipo “analitico”, mentre SP e C/E sono documenti di tipo “sintentico”: propone tre tipologie di informazioni: 1. offre, sotto forma di tabelle, elementi di dettaglio relativi alle voci di SP e C/E; 2. offre informazioni ulteriori sui rischi delle diverse aree di gestione; 3. offre informazioni relative a variabili gestionali assenti nello SP e nel C/E, ad
esempio, quelle relative al campo delle c.d. “operazioni fuori bilancio” (impegni irrevocabili della banca a erogare un finanziamento su richiesta del cliente -non ha ancora effettivamente erogato il credito, ma deve essere pronta a farlo-; obbligazioni accessorie -fideiussioni rilasciate a favore del cliente: la banca non ha acceso un debito ma ha assunto un obbligo di intervenire a sostegno dell’obbligazione di un terzo, nell’ipotesi che esso non assolva il proprio impegno-);
documento sia qualitativo che quantitativo (SP e C/E sono solo quantitativi): o deve contenere un’articolata descrizione dell’effettiva applicazione, da parte della
banca, dei criteri di valutazione imposti dalla normativa con riferimento alla attività possedute alla fine dell’esercizio;
o la disciplina contabile impone alla banca di commentare e spiegare tutte le informazioni quantitative che la NI offre.
COMPOSIZIONE DELL’ATTIVO E DEL PASSIVO DEL SISTEMA BANCARIO.
Attivo: composto dagli investimenti dei fondi raccolti a titolo di capitale proprio e di
debito; comprendono:
prestiti: componente caratteristica dell’intermediazione creditizia attuata dalle banche, mediante s.f. non trasferibili;
titoli: principalmente di Stato e obbligazioni, costituiscono le relazioni strutturali esistenti tra la banca e il mercato mobiliare; in questa voce si collocano anche azioni e partecipazioni, e cioè le quote di minoranza nel capitale proprio di altre imprese a scopo di finanziamento.
attività sull’estero. Passivo: attività di acquisizione di fondi a titoli di indebitamento. La “raccolta bancaria”
comprende: depositi, obbligazioni, operazioni pronti contro termine (vendita temporanea
di titoli con previo accordo di riacquisto), rapporti interbancari, provvista sull’estero
(acquisizione risorse finanziarie denominate in valuta estera).
Conto economico del sistema bancario: è rappresentato in forma scalare, cioè
evidenziando il processo di formazione dell’utile netto passando per diverse nozioni di
margine. Fra queste assume grande importanza il “margine di intermediazione”, poiché
rappresenta il margine lordo industriale dell’intermediazione finanziaria: a monte si
collocano tutti i ricavi e i costi tipici, mentre a valle trovano posto i costi operativi, le
rettifiche, gli accantonamenti e le imposte. Il metodo scalare di rappresentazione della
formazione dell’utile consente anche di distinguere:
“margine di interesse” che costituisce il margine formato dalle attività di negoziazione in proprio, nelle quali ha un peso rilevante l’intermediazione creditizia;
gli altri ricavi netti che costituiscono una sorta di margine provvigionale.
SOCIETA’ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE (SIM)
Gli intermediari mobiliari possono svolgere un’ampia gamma di attività: negoziazione,
collocamento, gestione portafogli, esecuzione di ordini del mercato. Le SIM che,
costituite nella forma delle spa con sede legale e direzione generale in Italia. Il dato
relativo al numero delle SIM operative è in progressiva riduzione: ciò riflette la maggiore
concorrenza, sia lo spostamento delle attività verso le banche e le SGR.
Servizi di investimento: l’attività delle SIM si caratterizza per lo svolgimento dei “servizi di
investimento”, classificati in grandi categorie:
negoziazione di s.f. per conto proprio (dealing) o per conto terzi (brokerage); collocamento di s.f. con garanzia (underwriting) o senza garanzia (selling) di
sottoscrizione a favore dell’emittente; gestione individuale di portafogli di s.f.; ricezione e la trasmissione di ordini di negoziazione di s.f.; consulenza in materia di investimenti. Dealing e underwriting implicano la gestione di un portafoglio titoli di proprietà e quindi
l’assunzione dei correlati rischi di mercato (di prezzo, di cambio, di tasso di interesse).
Brokerage, selling, gestione di risparmi, ricezione/trasmissione di ordini di consulenza,
rappresentano attività di servizio per conto terzi, per le quali l’intermediario non assume
posizioni in proprio, sopportando rischi meno intensi.
Le caratteristiche operative descritte possono essere condotte a una semplificata
rappresentazione di bilancio che, nello SP tenga conto delle più significative categorie di
attività e passività e, nel C/E, organizzi in forma progressiva le principali componenti di
reddito. Per una SIM dealer o underwriter vale la seguente rappresentazione:
La presenza di debiti finanziari nel passivo è legata alla propensione delle SIM in esame a
finanziare le posizioni in titoli agendo sul grado di indebitamento; le voci “profitti” e
“perdite” da operazioni finanziarie identificano i risultati di titoli sul mercato secondario. I
costi operativi comprendono sia costi fissi (spese per il personale, ammortamenti di
immobili e di attrezzature telematiche) che variabili.
Il punto nodale risiede nella capacità di generare un margine positivo tra componenti
positive e negatice di reddito derivanti dalla gestione del portafoglio di proprietà (detto
“margine di intermediazione”), che deve a sua volta coprire il totale dei costi operativi.
Nel caso di una “SIM di servizio” la struttura contabile si semplifica molto:
L’equilibrio reddituale di una “SIM di servizio” si fonda sulla capacità di generare un flusso
di commissioni attive in grado di coprire il complesso dei costi di struttura.
Una SIM, come ogni altra impresa, deve esercitare una serie di opzioni strategiche:
un primo aspetto è quello del possibile collegamento tra SIM e banche. Le SIM c.d. “di emanazione bancaria” sono espressione di banche in genere di grande dimensione, che decidono di localizzare presso una società giuridicamente distinta (SIM) l’offerta di alcuni servizi di investimento; le SIM bancarie beneficiano di minimi gradi di libertà nella definizione delle politiche di mercato (a differenza di quella indipendente, che gode di ampi gradi di libertà);
tipo di clientela prevalentemente servita. Se l’underwriting e il selling si svolgono tipicamente nei confronti di clientela istituzionale, rappresentata dalle imprese emittenti, i restanti servizi possono essere offerti sia a controparti istituzionali (banche, assicurazioni, fondi comuni e pensione) [operazioni di alto importo unitario, costi di struttura elevati] sia a controparti private (famiglie) [operazioni di basso importo unitario, costi di struttura contenuti] o a una combinazione delle due tipologie di clientela;
modalità di distribuzione: dipende dal tipo di servizio offerto (quelli caratterizzati da un ridotto grado di personalizzazione la distribuzione intesa in senso fisico non esiste; il contatto tra produttore e utilizzatore avviene attraverso reti informative e tempi rapidissimi);
scelta del portafoglio di servizi offerti: una SIM può richiedere l’autorizzazione a svolgere uno, più di uno o al limite tutti i servizi di investimento previsti dalla normativa.
ALTRI INTERMEDIARI FINANZIARI [artt. 106-107, TUB]:
società di leasing; società di factoring; società di credito al consumo.
Le prime due sono caratterizzate da una specificità contrattuale (leasing e factoring);
l’ultima da una particolare finalizzazione delle attività.
SOCIETA’ DI LEASING: esercitano la propria attività iscrivendosi all’apposito “elenco
generale”, risultando così sottoposte alla vigilanza della BdI. Le condizioni necessarie per
l’iscrizione sono riferite:
all’assunzione da parte dell’intermediario della forma di spa, della società in accomandita per aziono, della srl o della società cooperativa;
al versamento di capitale sociale in misura non inferiore a 5 volte il valore minimo previsto per le spa;
al possesso dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale della società e di professionalità degli esponenti aziendali.
Esse svolgono un’attività creditizia mediante la stipulazione di contratti di locazione
finanziaria, che hanno la funzione di soddisfare fabbisogni finanziari emergenti da
decisioni di investimento (presupposto: esistenza di un bene utile per il cliente e idoneo
alla locazione). La disponibilità di un bene necessario allo svolgimento di processi
produttivi può essere ottenuta mediante due modalità: acquisto diretto del bene
finanziato con il capitale proprio o con il debito oppure con una combinazione dei due;
ottenimento del bene mediante un contratto di leasing: una parte (società di leasing, nella
veste di locatore) concede in locazione all’altra (cliente, nella veste di locatario) il bene
acquistato dal locatore su indicazione del locatario, per un tempo determinato e in
contropartita di un canone periodico. La conseguenza di questa formula è che la
proprietà del bene locato appartiene alla società di leasing, fino all’eventuale riscatto da
parte del cliente. Le società di leasing, in genere, finanziano investimenti produttivi, sia
beni mobili (macchinari, impianti industriali, navi, aerei, ecc.) sia beni immobili (stabilimenti
industriali, centri commerciali, ecc.). Ciò non esclude che le società di leasing svolgano
pure una funzione di finanziamento al consumo con l’acquisto/locazione di beni
durevoli come l’automobile, il computer, ecc. In modo accessorio rispetto alla funzione
principale di finanziamento, la società di leasing produce ulteriore “valore” per il locatario,
in diverse forme: capacità di esercitare “forza contrattuale” vs il produttore, con effetto
favorevole sul prezzo; possibilità di risolvere problemi di relazione fiduciaria e finanziaria
fra produttori e acquirenti di beni strumentali; produzione implicita e indiretta di vantaggi
fiscali. Bisogna tenere conto che il flusso dei canoni periodici corrisposti dal locatario deve
consentire di coprire non solo gli interessi passivi sui finanziamenti accesi per acquistare il
bene, ma anche le relative quote di ammortamento. Inoltre, la società di leasing sopporta il
“rischio bene”, relativo alla possibilità della sua obsolescenza.
Stato patrimoniale
Il contratto prevede uno scambio in cui il locatore trasferisce al locatario il diritto
all’utilizzo di un bene, in contropartita del pagamento di una serie di canoni periodici. Vi
sono due categorie di contratti:
leasing finanziario: si trasferiscono al locatario tutti i rischi e i benefici connessi alla proprietà del bene, anche se il trasferimento di quest’ultima avviene solo al termine del contratto;
leasing operativo: non prevede il sostanziale trasferimento di rischi e benefici. L’attivo del bilancio delle società di leasing è caratterizzato dalla voce “crediti”:
rappresenta il valore attuale dei crediti impliciti (canoni futuri da riscuotere) nei contratti
di leasing in corso; tale valore deve essere pari all’investimento netto nel leasing. La
rappresentazione avviene secondo il c.d. metodo finanziario; in questa prospettiva la
contabilizzazione a bilancio del bene avviene da parte del locatario, cioè del soggetto che
è di fatto titolare del diritto di utilizzo del bene e ne sostiene i rischi (anche se non
proprietario). L’intermediario contabilizza nel suo attivo la dimensione finanziaria del
contratto, cioè il valore del diritto a riscuotere i canoni di locazione. Nel bilancio di un
intermediario che svolge attività di leasing, la struttura delle fonti di finanziamento non si
presenta particolarmente articolata: la raccolta si sviluppa attraverso finanziamenti a breve
e a medio-lungo termine, sotto forma di prestiti concessi da banche.
Conto economico: è caratterizzato da tre voci principali:
o ricavi da interessi a fronte dei crediti; o interessi passivi corrisposti sui finanziamenti accesi a titolo di debito; o commissioni nette e il risultato netto delle operazioni finanziarie. A queste si aggiungono quelle tipiche della gestione operativa (spese amministrative e
rettifiche di valore su attività finanziarie).
SOCIETA’ DI FACTORING: intermediari finanziari il cui oggetto sociale consiste
nell’esercizio dell’attività di acquisto dei crediti commerciali da imprese. L’attività si basa
su un contratto di cessione, pro soluto (cioè con rischio di credito a carico del
cessionario), o pro solvendo (cioè con rischio a carico del cedente), di crediti
commerciali a una società specializzata (factor), a fini di gestione, di incasso ed
eventualmente di finanziamento del cedente. Le società svolgono anche l’attività di
intermediazione creditizia, secondo la seguente articolazione:
servizi informativi riferiti alle condizioni finanziarie della clientela commerciale; servizi di amministrazione, gestione, incasso dei crediti commerciali; servizi legali per il recupero dei crediti; servizi di garanzia del buon esito dell’incasso (pro soluto); anticipazione parziale del valore dei crediti ceduti.
Con il contratto di factoring l’impresa cedente può “esternalizzare” la gestione dei crediti
commerciali, ottenere finanziamento e usare servizi assicurativi. Tali diverse prestazioni
delle società di factoring trovano remunerazione in prezzi che assumono forma di
commissioni, provvigioni e tassi di interesse. Il processo produttivo del factoring si
caratterizza per la necessità di gestire l’offerta di un insieme articolato di servizi che
presentano un elevato grado di interrelazione gestionale e implicano stretti rapporti con la
clientela.
I crediti acquistati devono essere iscritti nell’attivo patrimoniale, in apposite poste “per
operazione di factoring”, per il loro valore di acquisizione; il soggetto di contropartita è
rappresentato dal debitore ceduto. Al passivo deve essere iscritta la quota di tali crediti
eventualmente non ancora corrisposta ai relativi soggetti cedenti. Le principali fonti di
finanziamento che caratterizzano il passivo delle società di factoring sono rappresentante
essenzialmente dall’indebitamento bancario, utilizzato in svariate strutture tecniche e
generalmente a breve scadenza. Le società di factoring si caratterizzano per l’impiego di
un elevato rapporto di indebitamento che sottolinea l’importanza della componente
creditizia delle loro attività.
Il C/E presenta, tra i ricavi, commissioni e interessi derivanti dall’attività di gestione e di
smobilizzo anticipato dei crediti; tra i costi si trovano gli interessi passivi, i costi operativi e
le perdite su crediti.
SOCIETA’ DI CREDITO AL CONSUMO: sono classificate in relazione alla natura dei
partecipanti al loro capitale sociale. Si distinguono in:
società indipendenti; società facenti parte di gruppi industriali, bancari, assicurativi, di distribuzione
commerciale. I principali operatori, quelli cioè che detengono le maggiori quote di mercato, sono
riconducibili a gruppi operanti in campo industriale e bancario, mentre le società
assicurative hanno rilevanza minore. Tra i principali esempi abbiamo: finanziarie di
matrice industriale (captive), che hanno lo scopo di agevolare la vendita dei prodotti della
casa madre. La loro presenza è diffusa nel comparto automobilistico; finanziarie di
matrice bancaria: finanziano, invece, tutti i tipi di beni e offrono i loro crediti attraverso
una vasta rete di commercianti convenzionati.
Il credito al consumo comprende due categorie di operazioni:
credito (o prestito) personale, attribuibile alle banche. È un finanziamento: a durata pluriennale; di importo relativamente contenuto e basato sulla struttura del mutuo; senza vincolo di destinazione; direttamente negoziato dall’ente creditore con il cliente. Serve a soddisfare bisogni disparati e temporanei del richiedente (spese mediche);
credito finalizzato, erogato principalmente dalle società finanziarie. Serve ad acquistare uno specifico bene di consumo scelto dal cliente. Esso viene reso disponibile dal venditore del bene all’atto dell’acquisto; il cliente, se affidato, potrà ricevere quanto acquistato senza utilizzare contante e provvederà a pagare una serie di rate, comprensive di capitale e interessi sino all’estinzione del debito. Esso può assumere la forma del mutuo a rata costante, ma si va diffondendo sempre più il finanziamento revolving e su carta di credito. Il revolving (che può usare carta di credito) prevede che il cliente, effettuato un acquisto e pagato un certo numero di rate, veda ripristinarsi la linea di credito, che potrà utilizzare per effettuare nuovi acquisti presso punti vendita convenzionati.
La necessità di fornire risposte immediate e la peculiare natura dei soggetti finanziati
(persone fisiche che non dispongono dell’informativa contabile richiesta alle società) fa sì
che le procedure di valutazione del merito creditizio siano di tipo statistico e si basino
sull’attribuzione di un punteggio di merito calcolato in base a determinate caratteristiche
economiche e personali del soggetto richiedente. Ogni società definirà un punteggio di
accettazione qual è la percentuale di rischio che intende assumente (tanto più basso sarà
questo rischio, tanto più frequenti saranno i rifiuti). L’utilizzo del credit scoring permette
non solo di elaborare un set di informazioni particolari, ma anche di lavorare a distanza,
senza entrare direttamente in contatto con il soggetto richiedente.
Lo SP di una società di credito al consumo non è molto diverso da quello di qualsiasi altro
intermediario creditizio. Attivo: riserve liquide, impieghi vs clienti (portafoglio prestiti, con
durata media tra i 10 e i 24 mesi), investimenti strumentali; passivo: mezzi propri e debiti
vs terzi (prestiti bancari). Per quanto riguarda il C/E, si rileva che l’elevato costo di
provvista si confronta con rendimenti attivi abbastanza consistenti; sul margine di
interesse incidono in misura rilevante i costi distributivi e gestionali che scaturiscono dai
consistenti investimenti in tecnologia e dall’elevata frammentazione del portafoglio. Meno
significativi sono, invece, i costi da insolvenza, che sono ridotti grazie a un processo
produttivo e di controllo oneroso, ma efficace.
FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO: forme di investimento collettivo o di gestione in
monte del risparmio. Il termine “comune” sta a indicare che il patrimonio ottenuto per
somma dei conferimenti dei partecipanti è indiviso e che il fondo è una comunione
indivisa di beni di cui ciascun partecipante è comproprietario per la quota versata. La
formula del fondo comune di investimento prevede che:
il patrimonio è gestito da un’apposita SGR; il patrimonio del fondo è distinto da quelle delle società di gestione, sia da quello dei
partecipanti; le quote di partecipazione al fondo comune hanno tutte uguale valore e uguali diritti,
e sono rappresentate da certificati nominativi o al portatore; la quota di partecipazione viene definita “passività di mercato”, poiché il suo valore
dipende dal valore di mercato del patrimonio del fondo (fondo aperto) e dalla quotazione della quota nel mercato regolamentato (fondo chiuso);
i fondi comuni di investimento si differenziano sia per la modalità di funzionamento (aperti e chiusi), sia per il tipo di bene oggetto dell’investimento (valori mobiliari o beni immobili).
Fondo aperto: il partecipante/sottoscrittore ha in ogni momento la facoltà di investire nel
fondo (acquistando quote di nuova emissione al prezzo corrente) o di disinvestire dal
fondo stesso (esercitando il riscatto delle quote); il patrimonio del fondo è variabile per
effetto degli ingressi e delle uscite.
Fondo chiuso: trascorsa la fase costitutiva non possono accedervi nuovi partecipanti,
mentre quelli entrati hanno la facoltà di esercitare il riscatto non prima di una predefinita
scadenza.
Nel sistema finanziario italiano, la forma di fondo comune di investimento mobiliare
aperto è quella più diffusa. Il funzionamento del fondo comune presuppone l’interazione di
quattro soggetti:
1) sottoscrittore o partecipante al fondo; 2) SGR: investe in titoli e altre attività finanziare le somme versate dai partecipanti ai
fondi; provvede alla negoziazione (compravendita) dei valori mobiliari gestiti,
all’esercizio dei diritti inerenti ai titoli, all’eventuale distribuzione dei proventi e ogni altra attività di gestione;
3) banca depositaria: ha il compito di custodire il patrimonio del fondo, svolgendo compiti di accertamento della conformità delle operazioni della società di gestione rispetto alle norme vigenti e al regolamento del fondo;
4) collocatore: soggetto autorizzato a collocare le quote dei fondi presso il pubblico. I fondi comuni mobiliari aperti sono classificati in relazione ai principali profili distintivi, che
fanno riferimento: alla natura degli investimenti che caratterizzano il portafoglio; ai criteri di
segmentazione per area, settore, valuta; all’orizzonte di tempo; alla destinazione dei
proventi; alle modalità di sottoscrizione; ai costi per il sottoscrittore e le modalità di
distribuzione.
La combinazione fondo comune più società di gestione (costituiscono una sola impresa: la
società di gestione “produce” fondi comuni) costituisce una forma di intermediazione,
poiché si interpone fra datori di fondi (investitori/sottoscrittori) e prenditori finali di risorse
(imprese emittenti). L’intermediazione ha un ruolo sostitutivo dello scambio indiretto e
diretto (si tratta di una modalità strutturata di scambio diretto assistito). Tale
intermediazione si realizza secondo un modello di negoziazione delegata che si
caratterizza per la circostanza di utilizzare un tipo di delega molto ampio (simile alla
negoziazione in proprio). Prova di ciò è il fatto che la società di gestione esercita la totalità
dei diritti di proprietà per conto del fondo (e quindi dei comproprietari), ma formalmente in
nome proprio.
Il processo produttivo della SGR ha per oggetto la gestione del portafoglio delle attività del
fondo. Le funzioni dell’intermediazione sono:
trading valutazione e selezione degli investimenti del fondo; negoziazione accentrata: acquisto e vendita di valori mobiliari per q.tà unitarie
rilevanti; trasformazione del rischio: il rendimento della quota è uguale al rendimento medio
ponderato delle attività in portafoglio, mentre il suo rischio (volatilità del rendimento) è inferiore alla media ponderata dei rischi delle singole attività del portafoglio;
trasformazione delle scadenze e produzione di liquidità: la scadenza della quota è a vista e il riscatto può essere esercitato in ogni momento al prezzo corrente; la scadenza media ponderata del fondo ha valori più o meno elevati; la liquidabilità delle attività del fondo è molto elevata, dato che si tratta di valori mobiliari quotati (ma essa subisce rischi di prezzo).
L’intermediario finanziario costituito dalla combinazione fra società di gestione e fondo
comune svolge efficienti funzioni di brokeraggio, trasforma con effetto positivo sia il rischio
sia le scadenze e produce liquidità. Il conseguimento di questi effetti positivi dipende dalla
capacità dell’organizzazione della società di gestione di sviluppare e accumulare
professionalità, tecnologie, informazioni, conoscenze.
Stato patrimoniale: lo SP della SGR (forma giuridica di spa) evidenzia al passivo le
consistenze dei mezzi propri e componenti eventuali di indebitamento strumentali sia alla
gestione degli investimenti della società, sia a quella dei fondi. All’attivo trovano invece
espressione sia gli investimenti reali in attività materiali e immateriali necessarie per il
funzionamento della società, sia le attività finanziarie di proprietà (titoli di Stato) acquisite
con le disponibilità finanziarie non utilizzate per gli investimenti reali. Il fondo comune,
invece, non presenta un vero e proprio stato patrimoniale, bensì un rendiconto annuale
contenente:
prospetto di sintesi del patrimonio, cioè la situazione iniziale, finale e i movimenti nell’esercizio delle attività e delle passività, con l’indicazione del valore complessivo netto del fondo, del numero delle quote in circolazione, emesse e rimborsate nell’esercizio e il loro valore unitario; tale prospetto espone anche le provvigioni e gli oneri a carico del fondo; in sintesi, esso evidenzia l’attività di gestione e la performance conseguita;
prospetti di ripartizione del portafoglio secondo i mercati di contrattazione, settori di attività economica e le valute di denominazione;
elenco dei primi 50 titoli posseduti o di tutti quelli che superano lo 0.5% del valore complessivo netto del fondo.
La normativa impone obblighi di trasparenza e informativa molto complessi e onerosi.
In particolare occorre tenere presente:
prospetto informativo, che espone tutte le informazioni indispensabili per conoscere in dettaglio le caratteristiche dell’investimento proposto e il benchmark rispetto al quale quest’ultimo si confronta, il regolamento del fondo, le società di gestione, i collocatori, la banca depositaria e la società di revisione incaricata;
relazione semestrale, che ha gli stessi contenuti del rendiconto annuale; prospetto giornaliero, che illustra la situazione del fondo in ogni data; calcolo e pubblicazione giornaliera del valore della quota.
Conto economico: bisogna distinguere, anche qui, fra le componenti di reddito facenti
capo al fondo e quelle riferite alla società di gestione. Per il fondo comune, tali valori sono
indicati nella sezione reddituale del rendiconto annuale. I ricavi della gestione
patrimoniale (cedole, dividendi, plusvalenze) e i costi (perdite, minusvalenze, oneri fiscali
e di gestione) sono imputati al fondo comune e vanno ad accrescere (diminuire) il
patrimonio del fondo. I ricavi dipendono dalla composizione del fondo, dalle caratteristiche
delle attività detenute dal fondo, dall’entità del patrimonio del fondo. Il conto economico
della SGR, invece, evidenzia i proventi e gli oneri dell’attività di gestione nel suo
complesso. I ricavi concernono le provvigioni di gestione pagate dal fondo comune alla
società di gestione e le commissioni attive per l’emissione e per il rimborso dei certificati.
A queste si contrappongono le commissioni passive, cioè i costi che la società sostiene
per i servizi di negoziazione utilizzati per la gestione dei fondi e altri costi operativi
(informativi, remunerazione del personale, spese amministrative, pubblicità).
IMPRESE DI ASSICURAZIONE: l’assicurazione rappresenta una modalità per
fronteggiare bisogni economici conseguenti al manifestarsi di un evento (perdita, minori
redditi) [si parla di rischio puro: eventualità negativa a svantaggio del soggetto]. Con il
risparmio, il singolo può accumulare mezzi necessari a coprire un bisogno; tuttavia, il
danno subito può essere di dimensioni tali che il risparmio individuale risulta insufficiente.
Con l’assicurazione l’individuo, previo versamento del premio (che è però inferiore
all’intero ammontare necessario a fronteggiare il bisogno economico), ottiene quei mezzi
da un altro soggetto. L’assicurazione si basa sul principio mutualistico, in relazione al
quale gli eventi negativi che provocano la perdita di una situazione goduta, colpiscono
solo alcuni soggetti appartenenti a una collettività determinata. Pertanto, il costo
complessivo degli accadimenti negativi viene ripartito fra tutti i partecipanti alla collettività
stessa. Il sistema mutualistico può essere attuato direttamente da una collettività di
soggetti esposti al medesimo rischio, che si impegnano reciprocamente a versare dei
contributi a favore di coloro che sono colpiti dall’avvenimento. Il sistema mutualistico può
essere attuato anche indirettamente, cioè tramite l’interposizione di un intermediario, in
forma di impresa di assicurazione che, previa raccolta ex ante dei contributi, si impegna a
risarcire i partecipanti alla collettività colpiti dall’evento assicurato. L’impresa di
assicurazione, dunque, assume e gestisce i rischi a essa trasferiti dagli assicurati.
Le assicurazioni si distinguono in:
assicurazioni danni, relative ai rischi attinenti ai beni (incendio, furto), ai soggetti (malattia, infortuni) e al patrimonio (responsabilità civile);
assicurazioni vita, relative ai rischi attinenti esclusivamente alla vita umana (rischi di morte e sopravvivenza).
I premi raccolti ex ante vengono investiti dalla compagnia per coprire i costi aziendali.
L’investimento sistematico dei premi porta a qualificare le imprese di assicurazione come
investitori istituzionali. Essi divengono intermediari finanziari nella misura in cui tali
investimenti sono indirizzati verso attività finanziarie emesse e non verso attività reali. Vi
sono, però, alcune differenze con gli intermediari tipici. Con riferimento alle passività delle
assicurazioni, una prima distinzione deriva dalle peculiarità dei contratti stipulati con il
pubblico. Un elemento distintivo del contratto assicurativo consiste nell’aleatorietà della
prestazione nei confronti dei singoli assicurati: la corresponsione del risarcimento dipende
dal manifestarsi -o no- del rischio; l’importo del risarcimento dipende dall’entità del danno
subito (nei limiti della somma assicurata) e il destinatario può essere un soggetto diverso
dal contraente che ha pagato il premio (es: RCA: il danneggiato è in genere diverso dal
contraente della polizza). La compagnia conosce la dinamica economico-finanziaria delle
proprie passività.
Nel caso delle assicurazioni danni, la dimensione delle passività, denominate riserve
tecniche, può anche essere maggiore dei premi complessivamente raccolti; le passività
si caratterizzano per un grado di liquidità stimabile solo statisticamente (dipendente dalla
manifestazione di eventi aleatori). Nel caso delle assicurazioni vita vi è minore incertezza
nelle passività: la compagnia sa che dovrà adempiere la propria prestazione nei confronti
di tutti gli assicurati (conosce i destinatari delle prestazioni assicurative fin dalla stipula).
Permangono comunque elementi di incertezza, relativi al profilo della liquidabilità del
passivo, in relazione a “quando” si manifesterà il rischio puro.
La gestione tipica delle imprese assicurative può essere distinta in:
gestione patrimoniale-finanziaria si compone di varie fasi, relative: o all’assunzione dei rischi puri, tramite la rete di intermediari o tramite l’acquisizione
di quote di rischi da altre compagnie (riassicurazione attiva); o alla costituzione e gestione del portafoglio rischi; o alla cessione di rischi ad altre compagnie (riassicurazione passiva); o all’ispezione dei sinistri; o alla valutazione e liquidazione dei risarcimenti.
Le operazioni relative a questo profilo gestionale sono “al dettaglio”, la cui dimensione
è condizionata dalle caratteristiche dei contraenti (individui, piccole/grandi imprese) e
dall’importo delle somme assicurate. A questa gestione sono riconducibili una serie di
decisioni strategiche che si riflettono sulle caratteristiche del portafoglio rischi e sui costi
sostenuti dalla compagnia: scelte di specializzazione tecnica, commerciale, geografica,
istituzionale, scelte relative ai canali distributivi (che si riflettono in parte sulla
dimensione dei rischi assunti), scelte relative alla struttura liquidativa (che si riflettono
sui costi dei risarcimenti);
gestione patrimoniale-finanziaria: include l’attività di tesoreria, relativa all’incasso dei premi e di eventuali altri ricavi, al pagamento dei risarcimenti ai danneggiati, sia l’attività di investimento delle riserve tecniche. È un’attività accentrata e si caratterizza per un impiego più ridotto di strutture e risorse umane. Ha come obiettivo il conseguimento dell’equilibrio finanziario.
Bilancio delle imprese di assicurazione
Dato che la commercializzazione di un prodotto assicurativo impegna la compagnia su
orizzonti temporali medio-lunghi, emerge la necessità di introdurre norme che
consentano di ridurre la possibilità di comportamenti di breve periodo incoerenti con gli
impegni assunti nel lungo e di monitorare l’effettivo stato di saluto della compagnia. Tale
obiettivo viene perseguito attraverso tre insiemi di norme, che nel loro insieme consentono
di minimizzare i rischi insiti nello svolgimento dell’attività assicurativa e definiscono la
struttura della stato patrimoniale delle imprese di assicurazione:
1) disciplina sulle riserve tecniche: obbliga l’impresa a creare una sorta di fondo di accantonamento sufficiente a consentire all’impresa di far fronte agli impegni derivanti dai contratti di assicurazione;
2) disciplina sulle attività di copertura: obbliga l’impresa a detenere attività non solo di ammontare almeno pari agli accantonamenti, ma che abbiano anche caratteristiche coerenti con il tipo di prestazione promessa agli assicurati;
3) disciplina in tema di margine di solvibilità: obbliga la compagni a disporre di ulteriori attività destinate a coprire i rischi eventuali.
Stato patrimoniale: nello SP delle assicurazioni figurano, al passivo, gli impegni nei
confronti dei clienti e, all’attivo, le poste nelle quali sono investiti i premi. Le passività si
caratterizzano per le riserve tecniche. Esse si distinguono in:
riserva premi (sia nel ramo danni che nel ramo vita) per i rischi in corso alla fine dell’esercizio. Essa è composta dalle frazioni di premio di competenza degli esercizi successivi;
riserva sinistri (nel ramo danni), composta dalle somme necessarie per fronte al pagamento dei sinistri avvenuti nell’esercizio stesso o in quelli precedenti e non ancora
liquidati; a essa di aggiunge la riserva per sinistri denunciati tardivamente (avvenuti nell’esercizio ma non ancora denunciati). Per alcuni rami di rischio del ramo danni, sono previste riserve aggiuntive (di compensazione, per il ramo credito; di senescenza per il ramo malattie). Le riserve sinistri rappresentano un valore stimato delle spese previste; per questo costituiscono una posta critica sia per l’equilibrio economico-patrimoniale dell’impresa di assicurazione, sia per la solvibilità della compagnia;
riserva matematica (ramo vita): tiene conto di tutti gli obblighi futuri dell’impresa (prestazioni garantite, future partecipazioni agli utili garantite, dichiarate o assegnate, spese dell’impresa).
Per quanto riguarda l’attivo, esso comprende poste di natura “patrimoniale” (beni mobili e
immobili, titoli, partecipazioni, mutui, prestiti, crediti verso altre compagnie, verso gli agenti
e i crediti diversi). Gli investimenti a copertura delle riserve devono avere caratteristiche di
solidità, redditività e liquidità coerenti con le peculiarità del passivo.
Conto economico: i ricavi tipici sono costituiti dai premi, il cui volume complessivo
dell’esercizio costituisce il “fatturato” della compagnia. Dato che in genere i contratti
assicurativi hanno durata pluriennale, il monte premi raccolto è composto dai premi di
polizze vendute nel passato e da quelli relativi alle polizze di nuova emissione. I costi tipici
sono i risarcimenti per sinistri (ramo danni) e l’erogazione di capitali maturati a scadenza
o dovuti in caso di morte (ramo vita). Ai ricavi e ai costi tipici si aggiungono i ricavi e i costi
delle operazioni di riassicurazione. In genere, ai costi, si affiancano anche i costi gestionali
sostenuti dalla compagnia.
Per quanto riguarda la valutazione dei titoli valgono le considerazioni fatte in proposito
della valutazione dei titoli del portafoglio di proprietà delle banche.
FONDI PENSIONE: il sistema previdenziale si fonda su tre pilastri:
previdenza pubblica di base: il cui principio ispiratore è quello della ripartizione, per cui i contributi pagati dal singolo lavoratore non sono accumulati per costituire la sua rendita pensionistica futura, ma sono immediatamente utilizzati per erogare le pensioni attuali [trasferimento nello spazio];
previdenza complementare collettiva (fondi pensione): è di natura privatistica e gestito su base collettiva, secondo il principio della capitalizzazione (i contributi pagati dal lavoratore vengono accantonati e investiti senza che egli ne perda la titolarità) [trasferimento nel tempo];
previdenza complementare individuale: è un’alternativa al secondo pilastro; si fonda sui piani previdenziali individuali. Vi rientrano le polizze vita, i piani di accumulo di fondi comuni, ecc.
Caratteristiche dei fondi pensione: essi possono essere definiti come istituzioni
autonome e dotate di soggettività giuridica che, in forza di un contratto stipulato su
base collettiva, accumulano i contributi dei lavoratori ed eventualmente dei datori di lavoro
di una o più imprese per erogarne il montante in forma di rendite vitalizie o di capitale
postlavorativo.
Per quanto riguarda il rapporto tra fondi pensioni e sistema finanziario, sono interessanti
due aspetti:
divieto di autogestione delle risorse: la normativa vigente vieta l’amministrazione diretta delle risorse raccolte. La gestione finanziaria può quindi essere svolta solo mediante apposite convenzioni con investitori istituzionali. In questo modo si evita di creare una figura di investitore istituzionale ad hoc, consentendo l’esercizio dell’attività di gestione solo a soggetti già esistenti (e autorizzati): banche e SIM, compagnie di assicurazione e SGR. NB: i fondi pensione non sono intermediari finanziari; sono gestori del rapporto tra lavoratori e investitori istituzionali;
differenza tra fondi chiusi e aperti: i primi sono istituiti attraverso una contrattazione collettiva promossa da imprenditori, lavoratori, sindacati e associazioni; il vantaggio è che il fondo è disegnato sulle esigenze della collettività (tuttavia sono molto costosi). I fondi aperti sono istituiti non da imprenditori, lavoratori o sindacati ma da soggetti abilitati alla gestione delle risorse; possono accedervi i lavoratori subordinati, autonomi e liberi professionisti che non possono iscriversi al fondo chiuso.
Specializzazione e diversificazione degli intermediari.
Dalle conoscenze acquisite emerge che non esiste una corrispondenza biunivoca fra
singola attività di intermediazione e singolo tipo di intermediario finanziario. Infatti:
la stessa attività di intermediazione è svolta da intermediari diversi;
lo stesso intermediario può svolgere nello stesso tempo diverse attività di intermediazione.
Dunque, a prevalere è il tipo di intermediario diversificato, rappresentato per eccellenza
dalla banca. Come si spiega questo fenomeno? La spiegazione economica risiede nella
constatazione che la divisione del lavoro (e con essa la specializzazione produttiva)
genera economie di specializzazione. Inoltre la specializzazione contribuisce a
migliorare la qualità del prodotto e del processo produttivo. Con riferimento agli
intermediari occorre identificare i motivi per cui questo principio generale trova
applicazione parziale. Per farlo bisogna osservare che la specializzazione degli
intermediari è in parte dettata da fattori esogeni (sistemi finanziari e ordinamenti
normativi). È ovvio osservare un maggior grado di specializzazione degli intermediari nei
sistemi finanziari dove l’ordinamento impone condizioni di separatezza fra le diverse
attività di intermediazione in relazione al tipo (creditizia o mobiliare), alla durata e ad altri
parametri. Inoltre, nel corso del tempo, si nota che il grado di specializzazione aumenta in
seguito all’introduzione di ordinamenti restrittivi orientati alla separatezza, mentre
diminuisce in seguito alla deregolamentazione (adozione di ordinamenti permissivi).
“Diversificazione” nella teoria: si definisce diversificata l’impresa che esercita
contemporaneamente attività di produzione, distribuzione, servizio indipendenti. Ciò
implica che:
i prodotti siano diversi in quanto alla loro “funzione d’uso”, cioè rispetto al bisogno che soddisfano;
i mercati di tali prodotti siano indipendenti, nel senso che variazioni di q.tà e prezzi in uno non influiscano sull’altro;
i processi produttivi impieghino risorse “specifiche”, cioè non trasferibili da un processo all’altro.
Questo livello di diversificazione totale difficilmente si riscontra in natura: esso non spiega
le ragioni per cui le imprese diversificherebbero le proprie attività. D’altra parte, è semplice
verificare che le condizioni imposte da questa definizione non sono riscontrabili e
applicabili alla diversificazione degli intermediari. Infatti le molteplici combinazioni
prodotto-mercato-tecnologia che questi possono mettere in atto presentano relazioni
reciproche.
Tali relazioni sono le seguenti:
fra i diversi prodotti e servizi esistono relazioni di succedaneità, intersostituibilità e complementarità di funzioni d’uso e bisogni soddisfatti;
non esistono relazioni biunivoche fra prodotti e mercati: ogni prodotto è destinato a una pluralità di segmenti di utenza e ogni segmento di clientela utilizza contemporaneamente una pluralità di prodotti e servizi sostituendoli e combinandoli nel tempo e nello spazio;
le risorse impiegate nei processi produttivi sono convertibili dall’uno all’altro e, in alcuni casi sono comuni, nel senso che possono essere condivise da una pluralità di prodotti/processi (si pensi alla tecnologia informatica e telematica).
In definitiva, la diversificazione degli intermediari è un caso di diversificazione correlata:
lo stesso prodotto può essere destinato a nuovi segmenti di clientela; lo stesso segmento
di clientela può essere servito con tecnologie e prodotti innovativi; la stessa tecnologia può
essere impiegata in processi produttivi diversi.
Opportunità di diversificazione degli intermediari: anzitutto il fenomeno dell’utenza
congiunta(alcuni segmenti di clienti utilizzano contemporaneamente e in modo stabile
un’ampia varietà di strumenti e di servizi: ciò consente all’intermediario di migliorare i
profili rendimento/rischio delle relazioni con diversi segmenti di clientela); la situazione di
produzione congiunta genera la già viste economie di costo, dovute sia alla maggiore
dimensione dei singoli processi produttivi (economie di scala), sia al maggiore “raggio
di azione” dell’attività aziendale (economie di scopo), cioè al fatto che lo stesso fattore è
condiviso da una pluralità di prodotti, processi, mercati e tecnologie. Si noti, inoltre, che la
scelta di diversificare l’attività non esclude i vantaggi della specializzazione. Le
specializzazioni acquisite possono essere conservate, purché il modello organizzativo
riesca a proteggere le condizioni di contesto favorevoli alla specializzazione e a mettere in
comune i fattori produttivi condivisibili delle diverse attività diversificate. Le considerazioni
precedenti convergono alla conclusione che la diversificazione dell’intermediario
“universale” si realizza in un modello di offerta ampiamente diversificata, composta da
un’estesa varietà di strumenti e servizi focalizzati alla soddisfazione dei bisogni: la
diversificazione presuppone una capacità di specializzazione produttivo-tecnologica. La
condizione di successo della diversificazione risiede in tre condizioni:
capacità di sfruttare i vantaggi di ricavo e di costo potenziali nelle situazioni di utenza e produzione congiunte;
sviluppo di bisogni finanziari sempre più focalizzati e diversificati; disponibilità di risorse interne dotate di caratteri idonei per alimentare le nuove combinazioni prodotto-mercato-tecnologia (c.d. risorse eccedenti, che possono avere natura finanziaria -capacita di autofinanziamento- e devono avere caratteri di fungibilità per essere reimpiegate in combinazioni diverse). La teoria economica afferma che l’impresa che disponga di risorse eccedenti non solo deve usarle in modo conveniente, ma non deve avere convenienza di cedere a terzi le risorse stesse.
Modelli istituzionali: banca universale e gruppo bancario
Il modello istituzionale è una realtà definita da tre dimensioni fondamentali:
natura e integrazione dei processi produttivi;
assetto giuridico, cioè la struttura societaria e le relazioni tra soggetti delle attività di intermediazione. L’intermediario può configurarsi come un soggetto giuridico unico (banca universale), oppure come gruppo bancario (consente maggior autonomia alle aziende controllate), secondo una struttura societaria plurisoggettiva in cui l’azienda capogruppo svolge al proprio interno i processi produttivi “portanti” e affida ad altrettante società controllate (c.d. “aziende prodotto”) lo svolgimento di funzioni produttive specifiche (credito a medio-lungo termine, leasing, factoring, servizi informatici, ecc.). Tuttavia, fra i due modelli esistono modelli intermedi;
assetto organizzativo, cioè la struttura, gli organi e le relazioni che regolano l’intermediario. Il modello organizzativo si caratterizza per le scelte del livello di accentramento/decentramento delle decisioni e delle responsabilità (strutture funzionalialto grado di accentramento; strutture divisionalimaggior grado di delega decisionale).
Si noti che un intermediario caratterizzato da minore diversificazione è più efficacemente
governabile con modalità gerarchiche di maggiore accentramento. Il paradigma
sottostante è costituito dalla relazione fra grado di diversificazione, meccanismo di
coordinamento e livello di decentramento.
OBIETTIVO DELLA PRODUZIONE DI VALORE: il fine dell’impresa consiste nella
produzione di reddito e quindi nell’accumulazione di ricchezza mediante lo svolgimento
di attività di distribuzione e di scambio. Questa definizione vale anche per gli intermediari:
essi sono finalizzati a produrre un margine economico (differenza positiva fra ricavi e
costi), secondo i prezzi di mercato. Tale margine prende il nome di reddito o profitto. La
titolarità di questo margine compete giuridicamente a coloro che detengono i diritti
proprietari dell’impresa e ne sopportano il rischio economico. Queste considerazioni
evidenziano che il modello dell’economia dell’intermediario fa riferimento al concetto di
redditività per l’azionista. Si noti che la struttura della proprietà dell’impresa determina
relazioni fra la remunerazione riferita ai proprietari e quella espressa dal mercato
azionario. Infatti, nel caso di grande frazionamento della proprietà (azionariato diffuso,
modello della public company), l’azionista assume il modello di comportamento tipico
dell’investitore.
Profili dell’equilibrio della gestione: reddituale, finanziario e patrimoniale: l’equilibrio
della gestione identifica le condizioni necessarie affinché l’intermediario sia in grado di
mantenere, nel tempo, stabilità e continuità di funzionamento.
Equilibrio reddituale: capacità dell’intermediario di conseguire i risultati economici necessari per garantire stabilità e sviluppo; fa riferimento alla struttura di ricavi e costi, in funzione della dimensione operativa, della diversificazione dell’attività, dell’organizzazione dei processi e così via;
equilibrio finanziario: capacità della gestione di mantenere con continuità l’equilibrio fra i flussi di cassa in entrata e quelli in uscita. Questa condizione si fonda sull’equilibrio monetario della gestione. Esso denota pure la capacità dell’intermediario di mantenere sotto controllo la corrispondenza fra struttura dell’attivo e del passivo;
equilibrio patrimoniale: capacità della gestione di mantenere con continuità un’adeguata eccedenza del valore dell’attivo rispetto al passivo (capitale netto positivo);
Questi equilibri sono interdipendenti. L’asse portante dell’equilibrio di gestione è costituito
dal risultato reddituale, nel medio-lungo periodo. Gli intermediari finanziari (soprattutto
creditizi), si caratterizzano per la maggiore importanza delle variabili finanziarie e
patrimoniali. L’intermediario si distingue dall’impresa generica per il fatto di avere
maggiore dimensione di indebitamento, di collocare nel mercato finanziario passività a
vista e di svolgere funzioni di trasformazione di rischio e scadenze. Accanto alla nozione di
equilibrio della gestione, bisogna introdurre quella di rischio di impresa, inteso come
probabilità che le diverse condizioni di equilibrio, misurate da un’idonea variabile
(redditività, liquidità/solvibilità, …), possano subire alterazioni.
Tra gli indicatori dell’equilibrio reddituale, il più utile e il più sintetico è quello che esprime
la redditività del capitale proprio e dell’impresa (ROE). Il ROE è il rapporto tra risultato
netto (C/E) e il capitale netto (Stato patr.): è espressione della redditività contabile. In
quanto dato puntuale ricorrente, il ROE è idoneo a sintetizzare la redditività complessiva
della gestione az.le; la sua variabilità nel tempo, è invece in grado di rappresentare il
rischio complessivo d’impresa. Il ROE ha il vantaggio di essere un quoziente di bilancio
direttamente collegabile col sistema complessivo dei quozienti di bilancio. Si tenga
presente che i quozienti di bilancio vengono ricavati da q.tà reddituali, finanziarie e
patrimoniali elaborate secondo criteri contabili che concorrono a limitarne il contenuto
informativo. Per modello di economicità dell’intermediario si intende la modalità
analitico-interpretativa più corretta per metterne in evidenza la specificità nella formazione
del suo equilibrio reddituale. Tali modelli possono essere osservati ex post (espressione
dell’impatto sugli indicatori prescelti) o ex ante (piani e programmi da realizzare). Tuttavia,
questi modelli sono rappresentazioni semplici delle diverse modalità con cui si forma il
margine reddituale.
I modelli di economicità elementari, fanno riferimento a quattro nozioni di margine
reddituale:
margine di interesse;
margine da commissioni;
margine da plusvalenze;
margine assicurativo.
Composizione e scomposizione del margine reddituale della banca: la formazione del
suo margine reddituale è composita e il margine stesso si presta a una scomposizione in
margini elementari. Per sviluppare l’analisi bisogna ricorrere alla rappresentazione dello
stato patrimoniale e del conto economico.
1. Mis o Margine di interesse: ricavi per interessi attivi – costi per interessi passivi. Misura il valore lordo della produzione dell’intermediazione creditizia (ma non tiene conto del rischio di insolvenza o di credito);
2. Rsn o Margine da commissioni: costituito da ricavi netti da servizi. I servizi vs i clienti (di pagamento e di incasso, di negoziazione, di gestione patrimoniale) sono remunerati da commissioni (la banca paga anche delle commissioni);
3. MPlus o Margine da plusvalenze o risultato netto dell’attività di negoziazione da cessione o acquisto di crediti.
La forma scalare del C/E è predisposta per ottenere la scomposizione del risultato netto, e
il metodo di analisi consiste nella costituzione di un albero di quozienti che consente di
“pesare” le aree di contribuzione alla formazione del risultato finale. Il quoziente a cui si fa
riferimento è il ROE, che è espresso dal rapporto fra risultato netto (Rn) e mezzi propri
(Mp):
, dove:
Rn/Rl misura l’incidenza dell’imposizione fiscale, ed è sempre <1;
Rl/Rgf misura l’incidenza dei costi operativi; è sempre <1;
Rgf/MinT misura l’incidenza dei rischi dell’intermediazione creditizia (di insolvenza); è
sempre <1;
MinT/Min1° misura il contributo positivo o negativo di MPlus alla formazione del margine di
intermed.;
Min1°/Mis misura il contributo del margine da commissioni (Rsn) al margine di interesse; è
>1.
Mis/TA misura il margine di interesse unitario riferito al totale della attività della banca, cioè
al suo capitale investito (ROA);
TA/Mp misura la leva finanziaria della banca.
Formazione del margine di interesse:
(
)
Equilibrio finanziario della banca (caratterizzata da raccolta a vista, costituita da
depositi in c/c): la banca concede alla clientela la facoltà di attingere a risorse finanziarie
mediante la forma tecnica dell’apertura di credito in c/c. È, quindi, intuitivo che la banca
debba essere costantemente liquida, cioè in grado di far fronte a un elevato volume di
potenziali obbligazioni di pagamento a vista. L’equilibrio finanziario della banca è espresso
dal saldo dei flussi finanziari in entrata e in uscita nel corso di un determinato periodo.
Classificazione flussi finanziari:
a) flussi positivi:
variazioni positive di passività finanziarie;
variazioni negative di attività finanziarie;
variazioni negative di attività reali;
variazioni positive dei mezzi propri per nuovi conferimenti di provenienza esterna;
ricavi finanziari e non finanziari; b) flussi negativi:
variazioni negative di passività finanziarie;
variazioni positive di attività finanziarie;
variazioni positive di attività reali;
imposte e tasse;
dividendi. Occorre considerare che queste voci producono variazioni monetarie, solo se hanno
contropartita monetaria. (ES: la maturazione di interessi passivi sui depositi dovrebbe
manifestarsi con un’uscita di cassa -pagamento di interessi-, ma normalmente essa dà
luogo a un accredito degli interessi sui rispettivi depositi e trova, perciò, contropartita -
non monetaria- in aumento delle passività). La misurazione dei flussi finanziari è
necessaria per definire le condizioni correnti dell’equilibrio finanziario e fornisce
informazioni fondamentali per la gestione dell’equilibrio finanziario, in una prospettivo di
breve periodo. Tuttavia, il risultato finanziario periodico è un’informazione molto
sintetica a fini gestionali. Trattandosi di una conoscenza storica (ex post) non fornisce
nessuna indicazione utile allo scopo di mettere la direzione in grado di “gestire in anticipo”
le condizioni favorevoli alla formazione di un equilibrio finanziario stabile e ottimale
(questo obiettivo è continuo). La sequenza e la dinamica dei saldi finanziari nel tempo
danno un’informazione utile della tendenza in atto e del conseguente impatto sulla scorta
di liquidità esistente.
Liquidità e solvibilità.
Liquidità: capacità della banca di far fronte continuamente, tempestivamente e in
condizioni economiche, alle obbligazioni assunte vs i creditori:
dal lato del passivo (depositanti, sottoscrittori di obbligazioni). Una gran parte di obbligazioni sono senza scadenza (o “a vista”): esiste una considerevole area di incertezza;
dal lato dell’attivo (soggetti che hanno stipulato contratti di apertura di credito). Solvibilità: il bilancio della banca deve rendere evidente che il valore corrente delle attività
possedute è superiore al valore delle passività sottoscritte (patrimonio netto positivo).
La correlazione tra le due situazioni è positiva nel breve periodo, ma, guardando a
periodo più lunghi, appare chiaro che una banca non liquida è esposta a un rischio
crescente di insolvenza.
Articolazione degli equilibri di gestione della banca.
L’intermediario creditizio contribuisce a rendere possibile il trasferimento di risorse
finanziarie tra soggetti che direttamente non scambierebbero perché: sono separati da un
gap informativo incolmabile (asimm. inform.); sono caratterizzati da esigenze inconciliabili
(diverse propensioni al rischio). In questo contesto la funzione della banca consiste in:
trasformare le scadenze, cioè intermediare tra i soggetti assumendo una struttura per scadenze dell’attivo notevolmente più lunga di quella del passivo;
trasformare il rischio, cioè assumere direttamente i rischi caratteristici degli investimenti in attività (prestiti) secondo il modello economico-giuridico della negoziazione in proprio, e perciò impegnandosi vs i propri creditori a non trasferire questi rischi (prestiti sono rischiosi; depositi e obbligazioni non lo sono).
Ne consegue che la funzione della banca è remunerata dal divario tra tassi di interesse
attivi e passivi (che si formano in condizioni negoziali -di scadenza e rischio- radicalmente
diverse).
CLASSIFICAZIONE SISTEMATICA DEI RISCHI: è importante tenere presente che la
banca detiene attività rischiose e fruttifere (prestiti e titoli) e ne finanzia l’acquisizione e il
mantenimento con l’assunzione di passività onerose; inoltre è importante tenere presente
che: le attività e le passività della banca possono essere denominate sia con la moneta in
cui viene redatto il bilancio, sia con monete diverse; quando la banca assume attività e
passività (crediti e debiti) “prende posizione” rispetto alle variazioni eventuali di valore
delle stesse: essa assume il rischio che l’attività oggetto di investimento abbia variazioni
positive o negative ai fini della formazione del risultato economico.
Rischio di controparte, o di insolvenza della controparte: possibilità che la controparte contrattuale, obbligata ad eseguire una certa prestazione (rimborso di capitale, pagamento di interessi, …), si riveli insolvente (cioè non disposta a pagare o incapace di farlo);
rischio di mercato: possibilità che le variazioni dei prezzi di mercato (anche tassi di interesse e di cambio) influiscano sul risultato reddituale della gestione;
rischio operativo: caratterizza l’operatività dell’intermediario (eventualità che l’organizzazione az.le presenti disfunzioni, determini o subisca danni);
rischio di variazione del livello generale dei prezzi: possibilità che l’inflazione influisca sulla redditività della gestione.
Ognuno di questi rischi influisce -in negativo o in positivo- sul livello e sulla variabilità del
risultato reddituale complessivo, e quindi sul patrimonio netto