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Economia E Politica Enciclopedia del Novecento III Supplemento - stampa di Guido Tabellini Economia e politica sommario: 1. Introduzione. 2. L'impostazione dell'analisi. a) Chi trae beneficio dall'intervento pubblico? b) Quando viene scelto l'intervento pubblico? 3. La competizione elettorale. a) Il modello dell'elettore mediano. b) Il voto probabilistico. c) Gruppi di pressione e finanziamenti alla campagna elettorale. 4. La politica dei governi. a) iI controllo degli elettori sull'operato dei governi. b) Istituzioni politiche e politica economica. 5. Miopia collettiva e razionalità individuale. 6. Osservazioni conclusive. Bibliografia. 1. Introduzione Nelle moderne democrazie i governi sono gli operatori economici di gran lunga più importanti. A metà anni novanta, nella media dei 14 principali paesi OCSE la spesa pubblica assorbiva quasi metà del prodotto interno lordo. Anche nella restante metà non intermediata direttamente dal settore pubblico, l'attività economica privata è disciplinata da regolamenti e vincoli imposti da agenzie pubbliche o da leggi dello Stato. Come si comportano i governi, le assemblee legislative, le agenzie indipendenti? Quali criteri ispirano gli interventi pubblici nell'economia? Come possiamo spiegare le decisioni di politica economica? Rispondere a queste domande è una delle priorità di un ampio filone di ricerca, che si è sviluppato negli ultimi decenni, a cavallo tra economia e scienze politiche. Fino a non molto tempo fa, l'analisi dell'economia pubblica aveva un approccio quasi esclusivamente normativo e ignorava questi interrogativi. Nell'impostazione tradizionale, i governi erano visti come 'dittatori benevoli' e si dava per scontato che l'obiettivo dell'intervento pubblico nell'economia fosse il perseguimento del benessere

Economia E Politica - UniBG · Il secondo tipo di intervento pubblico (con pochi beneficiari) è esemplificato dai beni pubblici locali (ad esempio, le strade), o dai programmi ridistributivi

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Economia E PoliticaEnciclopedia del Novecento III Supplemento - stampa

di Guido Tabellini

Economia e politica

sommario: 1. Introduzione. 2. L'impostazione dell'analisi. a) Chi trae beneficiodall'intervento pubblico? b) Quando viene scelto l'intervento pubblico? 3. Lacompetizione elettorale. a) Il modello dell'elettore mediano. b) Il voto probabilistico.c) Gruppi di pressione e finanziamenti alla campagna elettorale. 4. La politica deigoverni. a) iI controllo degli elettori sull'operato dei governi. b) Istituzioni politiche epolitica economica. 5. Miopia collettiva e razionalità individuale. 6. Osservazioniconclusive. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Nelle moderne democrazie i governi sono gli operatori economici di gran lunga piùimportanti. A metà anni novanta, nella media dei 14 principali paesi OCSE la spesapubblica assorbiva quasi metà del prodotto interno lordo. Anche nella restante metànon intermediata direttamente dal settore pubblico, l'attività economica privata èdisciplinata da regolamenti e vincoli imposti da agenzie pubbliche o da leggi delloStato. Come si comportano i governi, le assemblee legislative, le agenzie indipendenti?Quali criteri ispirano gli interventi pubblici nell'economia? Come possiamo spiegare ledecisioni di politica economica? Rispondere a queste domande è una delle priorità diun ampio filone di ricerca, che si è sviluppato negli ultimi decenni, a cavallo traeconomia e scienze politiche.Fino a non molto tempo fa, l'analisi dell'economia pubblica aveva un approccio quasiesclusivamente normativo e ignorava questi interrogativi. Nell'impostazionetradizionale, i governi erano visti come 'dittatori benevoli' e si dava per scontato chel'obiettivo dell'intervento pubblico nell'economia fosse il perseguimento del benessere

generale. Compito dell'analisi economica era suggerire lo strumento di politicaeconomica migliore per raggiungere questo obiettivo. Politiche economiche sbagliate einterventi pubblici inefficienti erano considerati il frutto di errori dovuti all'ignoranza:all'analisi economica spettava pertanto il compito di aiutare a correggere questi errori,spezzando i vincoli conoscitivi nelle scelte pubbliche in campo economico.I limiti di questa impostazione furono denunciati in maniera sistematica a partire dallametà degli anni cinquanta dalla scuola di public choice, e in particolare da James M.Buchanan, i cui contributi in questo settore furono premiati con il Nobel perl'economia nel 1986. Buchanan, per la verità, non fu il primo ad adottare un approcciopositivo nell'analisi dell'economia pubblica; egli stesso si richiama apertamente a unatradizione italiana in scienza delle finanze che risale all'inizio del Novecento e include inomi di Amilcare Puviani e Giovanni Montemartini. Lo studioso statunitense partedall'ipotesi realistica secondo la quale i governi perseguono obiettivi opportunistici: lavittoria alle elezioni, il soddisfacimento di ambizioni personali o, più in generale, lamassimizzazione del tornaconto individuale di coloro che ricoprono incarichi politici.Come questi obiettivi si traducano in scelte di politica economica dipende dal contestoistituzionale e sociale: dalle informazioni di cui dispongono i cittadini, dai vincoliistituzionali, dalla situazione economica.La scuola di public choice è la prima a studiare la politica economica e l'interventopubblico nell'economia dal punto di vista positivo, anziché normativo. L'aspettonormativo è riservato all'analisi delle istituzioni: ci si chiede quali vincoli istituzionali(ad esempio, il pareggio di bilancio) siano opportuni per correggere le sceltesistematicamente distorte operate dal sistema politico. Il compito dell'analisieconomica è quello di studiare il comportamento dei governi per proporre correttiviistituzionali che consentano di sfuggire alle ambizioni dei rappresentanti, non quello difornire puri strumenti conoscitivi.I contributi di Buchanan e dei suoi collaboratori furono inizialmente trascurati daglieconomisti, forse anche perché formulati con strumenti analitici non molto raffinati;solo con il diffondersi della teoria dei giochi e della teoria delle scelte razionali,l'intervento pubblico nell'economia è divenuto oggetto di indagine positiva e non solonormativa da parte di molti economisti. Oggi, l'impostazione suggerita dal paradigmadella scuola di public choice è data quasi per scontata, ma gli strumenti di indaginesono diventati più sofisticati e le conclusioni degli studi più recenti non sempre dannoragione alle intuizioni originali di Buchanan e della sua scuola.In questo articolo saranno riassunti i principali risultati di questo nuovo filone diricerca che studia l'intervento pubblico nell'economia dal punto di vista positivo,soffermandosi in particolare sui progressi compiuti nel corso degli ultimi due o tredecenni. Nel cap. 2 si descriverà brevemente l'impostazione analitica più recente,

mentre nei capitoli successivi verranno illustrati i risultati con essa ottenuti.

2. L'impostazione dell'analisi

Il metodo dell'analisi economica è quello dell'individualismo metodologico: i fenomenisociali ed economici sono spiegati correlandoli a decisioni individuali, nel presuppostoche gli individui agiscano sempre nel modo migliore, data la situazione in cui sitrovano. Per spiegare i fenomeni sociali, pertanto, occorre studiare le situazionidecisionali più rilevanti.Le democrazie moderne sono tutte rappresentative. Le decisioni di politica economica,cioè, sono delegate ai rappresentanti politici dei cittadini. È dalle decisioni di costoro,quindi, che occorre partire. Ma i rappresentanti politici sono eletti dai cittadini edunque anche essi hanno un ruolo centrale nell'analisi. Facendo riferimento alla teoriadei giochi, dobbiamo pensare a un 'gioco di delega': i cittadini sono i mandanti, gliuomini politici sono gli agenti; i mandanti controllano gli agenti attraverso le elezioni ocon altre forme di partecipazione politica; i rappresentanti politici scelgono la politicaeconomica. Entrambi si comportano in modo razionale, o comunque appropriato allasituazione decisionale in cui si trovano. Questa impostazione è comune a quasi tutta laletteratura economica che studia l'intervento pubblico in economia; ed è ancheadottata da un ampio filone di ricerca in scienze politiche che parte dalla teoria dellescelte razionali per spiegare i fenomeni politici (per un dibattito tra politologi sullacorrettezza di questa impostazione analitica, v. Friedman, 1996). Essa si dirama poi indiverse linee di ricerca, a seconda dei problemi studiati e delle ipotesi specifiche circale situazioni politiche ed economiche più rilevanti.

a) Chi trae beneficio dall'intervento pubblico?Una prima distinzione riguarda il tipo di intervento pubblico (o lo strumento dipolitica economica), e in particolare chi ne sia il beneficiario. L'intervento pubblicopuò infatti beneficiare molti, pochi o nessuno (eccetto gli uomini politici). Ognuno diquesti diversi tipi di intervento induce un particolare tipo di conflitto economico.L'offerta di beni pubblici universali (come la difesa), o i programmi ridistributivi tipicidello Stato sociale (come le pensioni e la sanità) sono esempi del primo tipo diintervento pubblico. Esso non può essere facilmente adattato alle esigenze di gruppiristretti di cittadini, ed è valutato in maniera analoga da ampi gruppi di beneficiari. Perquesto, il conflitto economico sottostante è riconducibile a un numero esiguo didimensioni di eterogeneità tra i cittadini (le altre dimensioni di eterogeneità non sonorilevanti): ad esempio, può instaurarsi tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, o tralavoro e capitale. Spesso il conflitto si riduce a un'unica dimensione, riconducibile alla

tradizionale distinzione ideologica tra destra e sinistra. Per semplicità, chiameremoquesto tipo di conflitto politico 'conflitto tra interessi economici generali'.Il secondo tipo di intervento pubblico (con pochi beneficiari) è esemplificato dai benipubblici locali (ad esempio, le strade), o dai programmi ridistributivi disegnatiappositamente per particolari categorie economiche o gruppi ristretti di individui (adesempio, le politiche di sostegno all'agricoltura, o i sussidi a favore di specificheimprese pubbliche o private). Qui le dimensioni di eterogeneità sono rilevanti emolteplici (proprio perché lo strumento di politica economica discriminaaccuratamente tra gruppi di cittadini) e anche il conflitto economico sottostante èmultidimensionale. Chiameremo questo tipo di conflitto politico 'conflitto tra interessieconomici particolari'.Infine, il terzo tipo di intervento pubblico ha il solo effetto di arrecare benefici aipolitici, a scapito dell'interesse collettivo dei cittadini. L'esempio tipico è ilfinanziamento (lecito o illecito) ai partiti, ma, in maniera meno diretta, si può pensarea tante forme di inefficienza o di corruzione nel settore pubblico, che hannoprincipalmente lo scopo di beneficiare direttamente alcuni uomini o gruppi politici, adanno dei cittadini. Mentre l'intervento pubblico del primo o del secondo tipo induceconflitti tra i cittadini, questo terzo tipo di intervento pubblico è al cuore del conflittodi interessi tra governanti e governati - il cosiddetto 'conflitto di agenzia'. I cittadinisono unanimi nel voler limitare le rendite sottratte dagli uomini politici, ma nonsempre hanno i mezzi o l'informazione per riuscire a farlo. Le risorse di cui essidirettamente si appropriano a danno di tutta la collettività sono generalmente didimensioni molto ridotte nelle moderne democrazie. Ma poiché queste risorsearrecano benefici diretti a coloro che hanno la responsabilità di scegliere le politichepubbliche, la lotta politica per appropriarsi di queste 'briciole' può esercitareun'influenza notevole su tante altre decisioni pubbliche.La distinzione tra queste tre diverse tipologie di intervento pubblico è utile perché iconflitti economici sottostanti determinano situazioni decisionali diverse sia per icittadini che per i rappresentanti politici. L'analisi politica dell'intervento pubblico,pertanto, in questi tre casi è differente.

b) Quando viene scelto l'intervento pubblico?Una seconda distinzione importante riguarda il momento in cui viene decisol'intervento pubblico rispetto alla data delle elezioni. Alcune decisioni politichevengono prese prima delle elezioni e prima dell'insediamento al governo. Ad esempio,durante la campagna elettorale gli opposti schieramenti politici formulano promesseche poi - una volta eletti - vincolano le loro azioni. Oppure, sempre durante lacampagna elettorale o poco prima che questa abbia inizio, i partiti politici scelgono i

candidati per i più rilevanti posti di governo; anche queste scelte hanno preciseconseguenze su ciò che i partiti faranno una volta al governo. Le decisioni politicheprese durante la campagna elettorale sono tipicamente guidate da uno scopo: vincerele elezioni. Per spiegare l'intervento pubblico, quando questo viene deciso prima delleelezioni, occorre pertanto soffermarsi sulla competizione elettorale. Per irappresentanti politici è questa, infatti, la situazione decisionale rilevante quandodevono scegliere gli interventi di politica economica.In altri casi, le decisioni politiche importanti vengono prese dopo le elezioni, una voltaavvenuto l'insediamento al governo. Le promesse fatte in campagna elettorale sonospesso vaghe e lasciano ampi spazi alle scelte discrezionali dei governi in carica. Inquesto caso, la preoccupazione di vincere le elezioni successive è solo una delledeterminanti delle decisioni di politica economica. Altre determinanti importanti sonole istituzioni che regolano le procedure decisionali dei governi e delle assembleelegislative: ad esempio, se la proposta del governo è emendabile oppure no dalparlamento; se il governo è eletto direttamente dai cittadini (come in un sistemapresidenziale), oppure se può essere costretto alle dimissioni da un voto di sfiducia delparlamento (come in un sistema parlamentare); se la decisione di politica economica èpresa da un governo di coalizione, oppure da un governo sostenuto da un unico partitoche ha la maggioranza in parlamento; e così via. In altre parole, per spiegare ledecisioni di politica economica quando queste sono prese dai governi in carica - e nondurante la campagna elettorale - l'analisi delle istituzioni politiche assume un ruolocruciale. Sono le istituzioni, infatti, assai più della competizione elettorale, chedeterminano la situazione decisionale rilevante per i rappresentanti politici.Più in generale, possiamo pensare che in una moderna democrazia le elezioni politicheassolvano due funzioni. La prima è quella di consentire ai cittadini di scegliere tra lediverse promesse elettorali formulate dai candidati politici. Questa funzione è centralein una visione 'populista' della democrazia, secondo la quale le decisioni politiche piùimportanti vengono prese durante la campagna elettorale: i candidati promettono cosafaranno una volta eletti, e i cittadini scelgono le promesse per loro più attraenti. Nesegue che l'intervento pubblico in economia è scelto (indirettamente) dai cittadini eriflette le preferenze della maggioranza degli elettori. Per spiegare i modi e lecaratteristiche dell'intervento pubblico dobbiamo pertanto risalire alle preferenze dellamaggioranza degli elettori. Questa è la strada tradizionalmente seguita dalla primaletteratura economica sul funzionamento delle democrazie.La seconda funzione delle elezioni è quella di consentire ai cittadini di scegliere ipropri rappresentanti politici e, in particolare, di punire con la mancata rielezione irappresentanti politici che si sono comportati male (o perché hanno commesso errori,o perché hanno agito in modo disonesto, o semplicemente perché hanno deluso le

aspettative). Questa funzione è centrale in una visione 'liberale' della democrazia,secondo la quale la costituzione politica è un 'contratto incompleto'. I rappresentantipolitici sono eletti senza un mandato preciso e le decisioni politiche più rilevanti sonoprese una volta al governo, non nel corso della campagna elettorale. Per spiegare ledecisioni di politica economica non basta rifarsi alle preferenze degli elettori, occorreanche tener conto della posizione ideologica dei governi in carica e, soprattutto, dicome l'insieme delle istituzioni influisca sugli incentivi dei rappresentanti politici. Unaletteratura recente ma in rapida crescita segue questa seconda strada per studiare ilfunzionamento delle democrazie. (Sulla distinzione tra visione populista e visioneliberale, v. Riker, 1982).I capitoli che seguono riassumono brevemente i principali risultati di queste due lineedi ricerca. Il cap. 3 si concentra sulla competizione elettorale, mentre nel cap. 4 sianalizza il comportamento dei governi in carica, una volta eletti: in entrambi siesaminano le tre tipologie di intervento pubblico, che beneficia molti, pochi o nessuno.Infine, nel cap. 5 si riassume brevemente la letteratura recente che spiega l'emissionedi debito pubblico da parte dei governi democratici.

3. La competizione elettorale

La letteratura esistente ha studiato soprattutto la competizione elettorale tra due solicandidati (o partiti politici) e così sarà fatto anche in questo capitolo. I risultati sullacompetizione elettorale con più candidati sono meno generali e la derivazione è assaipiù complessa (v. Osborne, 1995).Il 'gioco di delega', da cui sono ricavate le conclusioni riportate in questo capitolo, èformulato come segue. In un primo tempo, entrambi i candidati annuncianosimultaneamente le loro promesse elettorali: l'obiettivo di ognuno dei due è quello dimassimizzare la probabilità di vincere le elezioni. In un secondo tempo, avendoascoltato le promesse dei due candidati, i cittadini votano: il candidato che ottiene piùvoti è eletto e attua la politica promessa. L'equilibrio della competizione elettorale è unequilibrio perfetto di Nash del 'gioco di delega' (v. giochi, teoria dei).

a) Il modello dell'elettore medianoLa letteratura ha studiato due tipi di competizione elettorale. Il più semplice e il piùnoto è il cosiddetto modello dell'elettore mediano, dovuto ad Anthony Downs (v.,1957), in cui i candidati sono identici tra loro e gli elettori votano esclusivamente sullabase delle promesse da essi enunciate. In equilibrio, entrambi i candidati scelgono lapolitica economica che corrisponde al 'vincitore nel senso di Condorcet', cioè quellache non può essere battuta da nessun'altra in un confronto bilaterale con voto a

maggioranza semplice. Se l'equilibrio esiste, esso coincide con la politica economicapreferita dall'elettore mediano (cioè dall'elettore che divide esattamente a metà ladistribuzione delle preferenze individuali circa la politica economica), da cui il nome'modello dell'elettore mediano'.Ma l'esistenza dell'equilibrio è problematica: se non esiste il vincitore nel senso diCondorcet, non esiste neanche l'equilibrio del gioco di competizione elettorale (quantomeno non in strategie pure). E le condizioni per l'esistenza di un vincitore nel senso diCondorcet sono stringenti. Sostanzialmente, occorre che il problema politico siaunidimensionale, o perché la politica economica ha una sola dimensione (ad esempio,la scelta di un'unica aliquota d'imposta), oppure perché gli elettori differiscono tra loroper una sola caratteristica (ad esempio il reddito, oppure la posizione ideologica,destra vs. sinistra; v. Austen-Smith e Banks, 1999).Si noti che le caratteristiche dell'equilibrio riflettono la distribuzione delle preferenzedegli elettori, non l'intensità delle loro preferenze. Elettori con preferenze molto fortiinfluenzano l'equilibrio scelto dai candidati tanto quanto elettori che sono quasiindifferenti. La ragione è che, nel selezionare le promesse elettorali, i candidaticalcolano i voti a favore o contro le varie proposte e danno peso esclusivamente allapercentuale dei voti ricevuti da ognuna di queste.L'equilibrio dell'elettore mediano è stato ampiamente usato dagli economisti perspiegare le caratteristiche dell'intervento pubblico. Una ragione è che, se l'equilibrioesiste, esso riflette le tendenze politiche di fondo di una società. Sebbene quasinessuno approvi la scelta di equilibrio (tranne l'elettore mediano), tuttavia leopposizioni si bilanciano esattamente: metà elettorato vorrebbe spostare l'equilibrio inuna direzione, ma l'altra metà vorrebbe spostarlo nella direzione opposta. Questasituazione di stallo è un riflesso delle preferenze dei cittadini, non delle caratteristicheistituzionali del sistema politico. In questo senso, l'equilibrio dell'elettore medianoassomiglia un po' all'equilibrio walrasiano in un'economia di mercato: una voltaraggiunto l'equilibrio, vi sono delle forze fondamentali che impediscono diallontanarvisi. Una seconda ragione della popolarità del modello dell'elettore medianoè la sua semplicità. Per trovare l'equilibrio politico basta calcolare la politicaeconomica preferita dall'elettore mediano. Questa semplicità consente di studiare ledeterminanti politiche dell'intervento pubblico anche in contesti economicirelativamente complessi.Poiché l'equilibrio dell'elettore mediano esiste se il problema politico èunidimensionale, le sue applicazioni più tipiche riguardano programmi ridistributivi odi intervento pubblico valutati in modo simile da ampi gruppi di cittadini, in cui ilconflitto è riconducibile alla generica divisione tra destra e sinistra o, comunque, apoche dimensioni di eterogeneità individuale (che sopra avevamo chiamato 'conflitto

tra interessi economici generali').Un esempio tipico è la ridistribuzione tra ricchi e poveri, come nel modello classicostudiato da Meltzer e Richard (v., 1981). Il governo sceglie un'aliquota d'impostaproporzionale al reddito e ne ridistribuisce i proventi in eguale misura tra tutti icittadini (ovvero finanzia un bene pubblico che arreca lo stesso beneficio a tutti icittadini, indipendentemente dal reddito). L'imposta scelta in equilibrio è quellapreferita dall'elettore con reddito mediano. Poiché il reddito mediano è tipicamentepiù basso del reddito medio, l'elettore mediano, che non internalizza pienamente icosti della tassazione, generalmente sceglie un'aliquota d'imposta maggiore rispetto aquella ottimale per la collettività nel suo complesso (o più precisamente, rispettoall'aliquota che sarebbe scelta da un governo benevolo e utilitarista che pesi le utilitàindividuali di tutti i cittadini in rapporto alla loro frequenza nella popolazione).Inoltre, l'aliquota d'imposta scelta in equilibrio è tanto maggiore quanto più grande èla differenza tra il reddito medio e il reddito dell'elettore mediano. Generalizzando, ilmodello prevede che la dimensione della spesa pubblica sia maggiore nelle democraziecon una distribuzione più diseguale del reddito (nel senso della differenza suddetta tramedio e mediano). Esso prevede anche che l'estensione del suffragio a gruppi piùpoveri di cittadini si accompagni a un'espansione della spesa pubblica.Versioni di questo modello sono state applicate anche alla scelta delle dimensioni deisistemi pensionistici, o a quella delle istituzioni relative al mercato del lavoro (adesempio, l'indennità di disoccupazione o di licenziamento). Nel caso delle pensioni, ilconflitto è tra giovani e anziani, oltre che tra ricchi e poveri. L'invecchiamento dellapopolazione porta a un'espansione della spesa pensionistica sia perché aumenta ilnumero dei pensionati, sia perché cresce il numero degli elettori favorevoli a unsistema di ridistribuzione agli anziani. Nel caso del mercato del lavoro, l'elettoremediano è probabilmente un lavoratore con un'occupazione stabile o pressoché sicura;l'equilibrio politico, pertanto, probabilmente sarà connotato da un'assicurazione assaiscarsa contro il rischio di disoccupazione (rispetto all'ottimo utilitarista), ma anche daun mercato del lavoro troppo rigido, in cui licenziare è assai costoso per le imprese.Infine, il modello dell'elettore mediano contiene una previsione semplice per quantoriguarda il conflitto di interessi tra governanti e governati (il cosiddetto 'conflitto diagenzia'). Poiché gli elettori votano esclusivamente sulla base delle politicheannunciate, qualunque candidato che prometta una politica inefficiente dal punto divista degli elettori è destinato a perdere le elezioni. In equilibrio, pertanto, tutti icandidati si asterranno dal prospettare scelte che avvantaggiano i politici a scapito deicittadini. Secondo questo modello, cioè, la democrazia consente un controllo efficacecontro l'abuso di potere da parte dei politici.Le prove empiriche a sostegno del modello dell'elettore mediano sono piuttosto

ambigue. Da un lato, vi è ampia evidenza che i sistemi impositivi e ridistributivi delledemocrazie moderne tendono ad avvantaggiare le classi medie (cioè le classi di redditocui appartiene l'elettore mediano). Tuttavia, la previsione specifica che una maggioredisuguaglianza del reddito sia associata a una maggiore spesa pubblica non è in generesuffragata dai dati emersi dal confronto tra paesi (v. Lindert, 1996), sebbene sia veroche l'ampliamento del diritto di voto è stato seguito da un'espansione della spesapubblica (v. Husted e Kenny, 1997). Quanto a pensioni e mercato del lavoro, indagini acampione riferite ad alcuni paesi europei suggeriscono che la maggioranza dei cittadinipreferisce sempre lo status quo a qualunque alternativa di riforma, un'altra previsioneche appartiene al modello dell'elettore mediano (v. Boeri e altri, 2001).

b) Il voto probabilisticoLa non esistenza dell'equilibrio è un problema grave per il modello dell'elettoremediano. Per porvi rimedio, all'inizio degli anni ottanta diversi contributi hannocercato di generalizzare il modello di competizione elettorale di Anthony Downs (v.Enelow e Hinich, 1982; v. Ledyard, 1984; v. Lindbeck e Weibull, 1987). L'idea centraleè che, dal punto di vista dei candidati, il comportamento degli elettori è incerto (nelmodello di Downs invece non vi è incertezza). Un candidato non sa esattamente quantivoti prenderà in funzione delle sue promesse elettorali; egli sa solo che la probabilità diottenere il voto di un elettore è tanto più alta quanto più la politica da lui promessaappare preferibile rispetto alla politica promessa dal suo concorrente. Questa ipotesipuò essere giustificata in diversi modi. Ad esempio, andare a votare può comportaredei costi, sicché la partecipazione al voto è incerta; elettori quasi indifferenti tra lealternative prospettate più probabilmente si asterranno dal voto, mentre quelli che piùhanno a cuore l'esito delle elezioni affluiranno numerosi alle urne. Oppure, si puòpensare che gli elettori abbiano preferenze intrinseche quanto ai candidati (adesempio, perché non tutto si può decidere in campagna elettorale), oltre che per lepolitiche promesse; o che gli elettori che hanno particolarmente a cuore le scelteannunciate in campagna elettorale voteranno più probabilmente in base alle promessepiuttosto che all'identità dei candidati.Quale che sia l'interpretazione data, la conseguenza di questa ipotesi è che ora viene acontare anche l'intensità delle preferenze degli elettori, non solo la loro distribuzione.Elettori con preferenze più marcate hanno maggiori probabilità di ricompensare con ilproprio voto promesse elettorali a loro favorevoli. Essi pertanto riceveranno piùattenzione da parte di entrambi i candidati, rispetto agli elettori più indifferenti. Ciò èauspicabile, in quanto avvicina l'esito della competizione elettorale alla politicasocialmente ottima. Infatti, se il comportamento politico dei cittadini èsufficientemente simmetrico, nel senso che tutti i gruppi di elettori si comportano più

o meno allo stesso modo, allora l'equilibrio della competizione elettorale coincide conl'ottimo utilitarista.Più precisamente, l'equilibrio dei modelli con voto probabilistico può essere calcolatocome la soluzione di un problema di ottimo sociale, in cui si pesa ogni individuo inrapporto alla sua 'mobilità elettorale', cioè alla probabilità che egli ricompensi i favorielettorali con il suo voto. Se tutti gli individui sono egualmente 'mobili' tra i duecandidati, allora si ottiene l'ottimo utilitarista. Se invece alcuni gruppi o alcuniindividui hanno minori probabilità di astenersi dal voto, oppure se hanno preferenzepiù decise per le politiche promesse, piuttosto che per le qualità intrinseche deicandidati, costoro saranno anche più 'mobili', e pertanto tenderanno maggiormente aricompensare favori elettorali con il loro voto. Questi gruppi o individui sarannoquindi politicamente più influenti e verrà dato loro più peso nella competizioneelettorale.Intuitivamente, in equilibrio entrambi i candidati indirizzano le promesse elettoraliverso i gruppi più mobili, più attivi politicamente, ma anche meno fedeli e piùfacilmente conquistabili con promesse elettorali. Un piccolo cambiamento apportato aun'ipotesi apparentemente neutra circa il comportamento degli elettori ha portato aconclusioni profondamente diverse rispetto al modello di Downs, in cui l'unica cosache conta è la posizione dell'elettore mediano.Rispetto al modello dell'elettore mediano, questo modello di competizione elettorale -che è stato impiegato più raramente per spiegare l'intervento pubblico in economia,forse perché fino a poco tempo fa era poco noto agli economisti - ha il vantaggio chel'equilibrio esiste sempre, anche quando non esiste un vincitore nel senso diCondorcet; pertanto, può essere utilizzato per studiare politiche economichemultidimensionali, che inducono un conflitto tra 'interessi economici particolari',come, ad esempio, la concessione di favori a gruppi anche piccoli ma influenti.Secondo questo modello, l'influenza politica di un gruppo è data, appunto, dallamobilità dei suoi elettori, e fra costoro quelli anziani sono più influenti di quelli giovaniperché partecipano più massicciamente al voto (come è documentato), oppure perché,rispetto ai giovani, sono ideologicamente meno attaccati a un determinato partitopolitico.Ma cosa determina la mobilità politica di un gruppo? Qui l'analisi economica non hamolto da dire. Un'idea plausibile è che gli elettori più mobili siano generalmente i piùinformati: se un elettore è poco informato, come può venire a conoscenza dellepromesse elettorali fatte dai candidati? Alcune recenti ricerche empiricheeffettivamente suggeriscono che i gruppi più informati sono anche quelli politicamentepiù influenti (v. Strömberg, 1998). Ma molta strada resta ancora da fare per capire dacosa dipenda questa importante caratteristica del comportamento degli elettori.

L'idea che gli elettori non siano tutti uguali e che alcuni siano più influenti degli altri,perché più mobili o politicamente più attivi, ha conseguenze importanti per ilfunzionamento di una democrazia. Ovviamente, gli elettori più influenti sarannofavoriti dai programmi ridistributivi. Ma vi è una seconda conseguenza, meno ovvia.La competizione elettorale è associata a una deformazione sistematica: i candidati alleelezioni preferiscono destinare risorse a programmi ridistributivi che avvantaggianosolo i gruppi più influenti, piuttosto che a beni pubblici che arrecano uguali benefici atutti.Detto altrimenti, la democrazia ha una tendenza a ridistribuire troppo e a spenderetroppo poco in beni pubblici universali (quali la giustizia, la difesa, la tutela dell'ordinepubblico). La ragione è che i soldi spesi in beni pubblici sono sprecati, dal punto divista dei candidati politici. Per vincere le elezioni, un candidato ha bisogno di ottenerepoco più del 50° dei voti. Lo strumento efficace per raggiungere questo scopo èfavorire gli elettori più influenti, non spendere in beni pubblici che danno benefici atutti, inclusi gli elettori meno mobili.Questa deformazione è più marcata in un sistema elettorale maggioritario che in unoproporzionale. Con una legge elettorale maggioritaria, un candidato può vincere leelezioni con il consenso di meno del 50° degli elettori. L'incentivo a indirizzare laridistribuzione verso gli elettori più influenti (e in particolare verso i distretti elettoralimarginali e cruciali per la vittoria), a scapito della spesa in beni pubblici universali, èancora più forte che non in un sistema elettorale proporzionale (per una discussionepiù approfondita in merito, v. Persson e Tabellini, 2000).Infine, rispetto al modello di Downs, questo modello di competizione elettorale porta aconclusioni meno ottimistiche circa il 'conflitto d'agenzia'. Poiché i candidati sonoincerti circa le conseguenze elettorali delle loro promesse, resta ampio spazio perl'abuso di potere. Un candidato che annunci una politica economica più contrariaall'interesse di tutti gli elettori di quella prospettata dal suo concorrente non è sicuro diperdere le elezioni (anche se è sicuro di perdere voti rispetto al caso in cui annunci lastessa politica). Infatti, l'esito delle elezioni rimane incerto. Questa incertezza riducegli incentivi dei candidati ad annunciare politiche consone all'interesse generale eimplica che in equilibrio possa esservi abuso di potere da parte di entrambi, anche inpresenza di un'accesa competizione elettorale.

c) Gruppi di pressione e finanziamenti alla campagna elettoraleL'influenza politica di un gruppo economico non dipende solo dalla sua partecipazioneal voto o dalla sua mobilità elettorale da un partito all'altro. Un altro fattore cruciale èl'abilità del gruppo a organizzarsi per esercitare pressioni politiche, ad esempio conmanifestazioni pubbliche a sostegno di un candidato o di un partito; oppure con

finanziamenti alla campagna elettorale o interventi sui mezzi di informazione, oancora con donazioni illecite o veri e propri atti di corruzione. Molte di queste forme dipartecipazione politica diversa dal voto sono state analizzate dalla letteratura recente(tra i primi studi sull'influenza dei gruppi di pressione, v. Schattschneider, 1935; v.Olson, 1965; per la letteratura più recente, v. Grossman e Helpman, 2001).Il caso più studiato è quello dei finanziamenti alla campagna elettorale dei candidati.Si consideri il modello di voto probabilistico descritto nel paragrafo precedente, ma sisupponga che alcuni gruppi economici siano organizzati e in grado di finanziare lacampagna elettorale dei candidati. Specificamente, si supponga che l'entità e laripartizione dei finanziamenti elettorali siano decise dai gruppi organizzati dopo averascoltato le promesse dei candidati, ma prima del voto. L'effetto dei finanziamenti èquello di aumentare la popolarità relativa (e quindi la percentuale di voti) delcandidato che ne ha ricevuti in maggior misura. Data la sequenza di eventi, entrambi icandidati avranno ora interesse a promettere favori politici ai gruppi organizzati perattrarre più finanziamenti. La politica economica di equilibrio può di nuovo esserecalcolata come la soluzione di un problema di ottimo sociale modificato, in cui aigruppi di pressione si assegna più peso che al resto della popolazione.Anche in questo caso, quindi, come nella versione più semplice del modello con votoprobabilistico, ciò che conta sono le asimmetrie: se tutti i gruppi economici sonoorganizzati e in grado di finanziare la campagna elettorale dei candidati, l'equilibrioraggiunge l'ottimo utilitarista e i finanziamenti sono irrilevanti perché l'azione di ungruppo vanifica l'azione di quelli contrapposti. Ma se solo alcuni gruppi economicisono organizzati, ciò li rende più influenti dei cittadini non organizzati. Le conclusionisono le stesse se il gruppo esercita pressione in altro modo, ad esempio con donazionie 'bustarelle' incassate dai rappresentanti politici.Si noti che, sebbene i gruppi organizzati siano trattati meglio dei gruppi nonorganizzati, nel caso in esame (gruppi di interesse che finanziano la campagnaelettorale) nessun finanziamento viene elargito in equilibrio. La ragione è cheentrambi i candidati promettono gli stessi favori ai gruppi organizzati, sicché questisono indifferenti circa l'esito delle elezioni. Ciò che conta, cioè, è l'ipotetica possibilitàdi esercitare pressioni politiche (nel caso specifico col finanziare la campagnaelettorale), ma non necessariamente queste pressioni devono tradursi in atti concretiper influenzare l'esito politico. È sufficiente che la minaccia sia attendibile.L'influenza politica di gruppi di pressione organizzati è più probabilmente rilevantequando la politica economica crea conflitti tra interessi particolari. Molte decisioni dipolitica economica arrecano a pochi e ben identificati gruppi economici beneficisostanziosi, i cui costi ricadono sulla collettività in generale. Esempi tipici sono laprotezione commerciale, oppure i sussidi a particolari imprese o settori produttivi. In

questo caso, i gruppi beneficiari hanno un forte incentivo a organizzarsi per esercitarepressioni politiche, perché per loro la questione è di vitale importanza. Al contrario, lamaggioranza che sostiene i costi ha un incentivo a organizzarsi assai inferiore, perchéquesti sono ripartiti tra tanti individui. Questa asimmetria tra benefici concentrati ecosti diffusi induce una naturale asimmetria nei meccanismi di partecipazione politica,con alcuni gruppi di interesse efficacemente organizzati e politicamente attivi, e altricittadini non organizzati e quindi assai meno influenti.

4. La politica dei governi

Per quanto importanti siano le promesse elettorali, molte decisioni politiche sonoprese dai governi e dai parlamenti una volta che sono stati eletti. Anche in questo casole decisioni vengono prese con un occhio alle elezioni successive, ma poiché non sitratta di fare mere promesse elettorali, bensì di scegliere fra interventi specifici diversi,entrano in gioco anche altre considerazioni e altre determinanti. Inoltre, l'opposizioneha un ruolo più passivo e assai meno simmetrico che in campagna elettorale.In questo capitolo si propone una sintesi della letteratura recente che ha studiato ledeterminanti dell'intervento pubblico in questo contesto. Rispetto ai modelli dicompetizione elettorale discussi nel cap. 3, l'approccio risulterà un po' menosistematico e varierà a seconda del problema in esame.

a) Il controllo degli elettori sull'operato dei governiSi consideri, per semplicità, una situazione di puro 'conflitto di agenzia': gli elettorisono unanimi nel valutare la politica economica e il governo è pronto ad agire in modocontrario all'interesse generale (ad esempio, appropriandosi di risorse pubblichetramite forme di corruzione, oppure non impegnandosi sufficientemente a tutela delbene pubblico). Sempre per semplicità, si supponga che il governo sia un attoreunitario (un presidente con poteri esecutivi, come negli Stati Uniti, oppure un primoministro a capo di un partito che ha la maggioranza assoluta in parlamento). In chemisura gli elettori possono costringere il governo in carica a operare secondol'interesse generale, facendo leva esclusivamente sulle elezioni come strumento dicontrollo? Una letteratura recente ha cercato di rispondere a questo interrogativo,esplorando due strade alternative.Una prima strada è quella seguita da John A. Ferejohn (v., 1986) e successivamente daaltri. Il problema degli elettori è descritto come controllo 'dell'azzardo morale' in unrapporto mandante-agente. Il governo intraprende un'azione che gli arreca un utile,ma danneggia gli elettori; gli elettori guardano alla loro utilità (possono considerare omeno l'azione del governo, a seconda dei casi) e votano alle elezioni; essi possono

rieleggere il governo in carica, oppure votare per l'opposizione. Poiché il governo vuoleessere rieletto, gli elettori possono disciplinarne l'azione, ma solo entro certi limiti.Essi possono credibilmente punire un governo che si è comportato male (cioè che haintrapreso un'azione contraria all'interesse generale) cacciandolo e votando perl'opposizione. Questa minaccia induce il governo in carica a rispettare la volontà deglielettori, almeno entro certi limiti. Ma il controllo elettorale è imperfetto: la punizioneche gli elettori possono infliggere ai governi è limitata alla sconfitta elettorale. Vipossono pertanto essere delle situazioni in cui l'uomo politico al governo preferisceapprofittare della sua posizione di potere per trarne beneficio personale, anche sequesto può costargli la sconfitta elettorale.Questo tipo di analisi aiuta a identificare le caratteristiche istituzionali e politiche chepossono rendere più o meno efficace il controllo degli elettori sui governi. L'efficaciadel controllo elettorale è rinforzata dai seguenti fattori: dall'informazione adisposizione degli elettori; da un buon sistema di separazione dei poteri che limita lasfera d'azione del governo; dall'abitudine degli elettori a votare sulla base di indicatoriaggregati di performance dei governi, anziché sulla base di indicatori ridistributivi;dall'assenza di collusione tra maggioranza e opposizione.Una seconda strada per studiare l'effetto delle elezioni sul comportamento dei governiè suggerita dalla teoria dell'impresa. Qui il meccanismo incentivante è la 'selezioneavversa', anziché l'azzardo morale. Studiando il comportamento dei direttori diimpresa, Bengt Holmström (v., 1982) ha mostrato che il desiderio di apparirecompetente nel proprio lavoro per ottenere altri incarichi remunerativi (per la'continuazione della carriera') è una determinante cruciale degli sforzi individuali. Lostesso meccanismo può rappresentare una molla importante per i ministri di ungoverno o i burocrati di un'amministrazione pubblica. Torsten Persson e GuidoTabellini (v., 2000) hanno adattato il modello di Holmström a un contesto elettorale.Gli elettori vogliono rieleggere i governi competenti, e mandare via quelliincompetenti, per ovvie ragioni. La competenza o incompetenza di un uomo politico èuna qualità intrinseca ignota sia a lui medesimo che agli elettori (si può supporre, adesempio, che la competenza o il talento si definiscano anche in relazione alle sfide che igoverni devono affrontare, e che queste non siano note in anticipo). Per apparirecompetente, il politico cercherà di accontentare gli elettori, mettendo impegno nel suolavoro e astenendosi da azioni contrarie all'interesse generale. Gli elettori valutanol'utilità tratta dall'azione di governo (o utilizzano qualche indicatore generale diefficienza dell'azione governativa) e rieleggono i governi che hanno agito bene o, alcontrario, puniscono quelli che hanno agito male. Diversamente da quanto accade nelcaso dell'azzardo morale, il comportamento degli elettori non è motivato dal desideriodi punire o premiare l'azione del governo, bensì da quello di selezionare i governi

intrinsecamente migliori. Ma dal punto di vista degli incentivi per il governo in carica,l'effetto è analogo.L'idea che le elezioni rinforzino gli incentivi dei governi ad apparire competenti agliocchi dei cittadini è alla base dell'ampia letteratura sul ciclo economico-politico. Peressere rieletti, i governi devono apparire competenti, soprattutto poco prima delleelezioni. Ma se gli elettori non sono pienamente e tempestivamente informati del lorooperato, l'apparenza può contare più della sostanza. Ad esempio, per stimolarel'economia e apparire competente, un governo può essere indotto a ridurre le impostein prossimità delle elezioni, o a procrastinare tagli di spesa fino a dopo le elezioni. Colsenno di poi, questi stimoli artificiali sono inefficienti perché alterano l'andamentodell'economia; ma al momento delle elezioni, anche elettori razionali possonopremiare stimoli siffatti non per scelta deliberata, ma magari perché basano il lorovoto su indicatori aggregati, per quanto imperfetti, di efficienza economica. Si èempiricamente riscontrato nella politica fiscale dei governi che il ciclo elettoraleassume dimensioni rilevanti: in un ampio campione di paesi democratici, infatti, si èvisto che, rispetto agli altri anni, nell'anno in cui si svolgono le elezioni il disavanzofiscale sale in media di mezzo punto percentuale, prevalentemente per via dei tagli alleimposte.

b) Istituzioni politiche e politica economicaLe elezioni politiche non sono l'unica istituzione che influisce sulle scelte dei governi incarica; anche quelle che regolano le procedure legislative e che disciplinano laformazione o lo scioglimento dei governi hanno un ruolo cruciale.Diversi studi hanno sottolineato l'importanza del potere di iniziativa legislativa (v.Romer e Rosenthal, 1978; v. Baron e Ferejohn, 1989). I parlamenti democraticidecidono a maggioranza semplice o qualificata generalmente dopo un confronto tra lostatus quo e una proposta alternativa. Chi ha il potere di proporre tale alternativa o distabilire l'ordine delle votazioni nel caso in cui vi siano più proposte, esercita una forteinfluenza sulle decisioni collettive della legislatura. I regimi democratici disciplinanoquesti poteri in maniera diversa: in quelli presidenziali, ad esempio negli Stati Uniti, ilpotere di iniziativa legislativa è in gran parte una prerogativa delle commissionicongressuali; in quelli parlamentari, invece, tale potere appartiene tipicamente aigoverni. Ma esistono differenze rilevanti anche all'interno delle forme di governoparlamentare. Ad esempio, nel Regno Unito il ministro del Tesoro ha forti poteri inmerito alla legge di bilancio, che il parlamento può approvare o rifiutare ma nonemendare. In altri paesi, tra cui l'Italia, il parlamento può apportare emendamentisignificativi e il potere di proposta del governo riguardo alla legge di bilancio è piùdebole.

Dai confronti tra le democrazie parlamentari è emerso che là dove i poteri di iniziativadel governo (e in particolare del ministro del Tesoro) sulla legge di bilancio sono piùforti, la spesa pubblica e il disavanzo fiscale sono tendenzialmente più bassi (v. vonHagen e Harden, 1994). Questo risultato è in linea con le previsioni teoriche. Ilministro del Tesoro (o il primo ministro) tende ad avere una visione unitariadell'azione di governo e a imporre il rispetto del vincolo di bilancio. Il comportamentocollettivo del parlamento, invece, è più facilmente influenzabile da gruppi di pressionee da interessi particolari. Il singolo parlamentare è motivato a proporre una spesamaggiore nella voce che va direttamente a beneficiare i suoi sostenitori, senzapreoccuparsi troppo del costo finanziario che ricade sull'intera collettività. Se il poteredi iniziativa non è concentrato nel governo, è più probabile che l'esito complessivo siauna politica fiscale poco disciplinata.Altri studi hanno sottolineato l'importanza della distinzione tra forme di governoparlamentari e forme di governo presidenziali. In un regime parlamentare, una crisi digoverno ha l'effetto di trasferire tutti i poteri di cui godeva la vecchia coalizione dimaggioranza alla coalizione che sostiene il nuovo governo. In un regime presidenziale,invece, i poteri esecutivo e legislativo sono attribuiti al governo e alle commissionicongressuali per tutta la durata della legislatura. Questa differenza fa sì che la condottadelle coalizioni legislative, nelle democrazie parlamentari, sia molto più cauta, dalmomento che eventuali rotture interne porterebbero alla crisi di governo e, diconseguenza, alla formazione di un nuovo (e diverso) esecutivo. In un regimepresidenziale, anche se la coalizione si rompe, non vengono rassegnati i poteri; in unregime parlamentare, invece, la minaccia della crisi di governo costringe la coalizione avotare compatta. Studi teorici e ricerche empiriche hanno messo in luce che questedifferenze tra forme di governo sono rilevanti per la politica fiscale. I regimiparlamentari tendono ad avere una spesa pubblica maggiore e più indirizzata versoprogrammi che beneficiano ampi gruppi di cittadini (come i programmi ridistributivitipici dello Stato sociale o i beni pubblici universali), rispetto ai regimi presidenziali (v.Persson e altri, 2000; v. Persson e Tabellini, 2003).Nonostante questi recenti contributi, si sa ancora poco circa l'effetto delle istituzionipolitiche sull'intervento pubblico e sulla politica economica. Naturalmente, la scienzapolitica ha da tempo studiato e confrontato le diverse istituzioni politiche. Ma laricerca dei politologi si è generalmente soffermata sugli effetti politici dellecostituzioni: l'effetto delle leggi elettorali sulla struttura dei partiti o sulla stabilità deigoverni, l'effetto delle varie forme di governo sulla stabilità politica, e così via. L'analisieconomica delle istituzioni politiche, e soprattutto dei loro effetti economici, è uncampo d'indagine ancora abbondantemente da esplorare. Solo in alcuni studi recenti èstato esaminato l'effetto delle leggi elettorali sulle scelte di politica economica,

mettendo a confronto sistemi proporzionali e sistemi maggioritari (v. Persson eTabellini, 2003).

5. Miopia collettiva e razionalità individuale

Le teorie esposte nei capitoli precedenti sono sostanzialmente statiche, nel senso chenon si stabilisce alcun legame tra gli strumenti di intervento pubblico di un datomomento e quanto avviene nel periodo successivo (essi non riguardano cioè unavariabile di stato). Eppure, gli aspetti intertemporali hanno un ruolo cruciale in moltedecisioni di politica economica, se non altro perché il debito pubblico accumulato inpassato vincola gli indirizzi futuri. Quali variabili influiscono sulle scelteintertemporali dei governi e in particolare sulla dimensione del disavanzo fiscale?Diversi contributi teorici hanno cercato di rispondere a questa domanda,sottolineando l'importanza dell'interazione tra le istituzioni politiche da una parte e ilconflitto tra interessi particolari dall'altra. Sebbene pongano l'accento su meccanismipolitici diversi, tutti questi contributi spiegano perché il conflitto tra attori politiciperfettamente razionali e lungimiranti possa sfociare in una politica fiscale miope e inscelte intertemporali inefficienti.Una prima idea è che il disavanzo fiscale sia tendenzialmente più grande nei regimi incui il potere politico è più disperso (come avviene con i governi di coalizione) o neipaesi in cui i gruppi di interesse organizzati sono particolarmente influenti e leprocedure di bilancio poco gerarchiche (v. Velasco, 1999). In questo caso, il disavanzofiscale riflette la difficoltà di imporre il rispetto del vincolo di bilancio a unamoltitudine di decisioni di spesa prese in sedi decentrate, più che una precisa econsapevole volontà politica di indebitarsi. Supponiamo che la spesa pubblica siaispirata a un criterio ridistributivo tra gruppi di interesse particolari, e ipotizziamo unaprocedura di bilancio debole. In particolare, si supponga che le decisioni di spesa sianodecentrate (ad esempio, siano demandate ai ministri di un governo di coalizione), eche il finanziamento della spesa sia invece centralizzato ma residuale (cioèdeterminato a posteriori, una volta che siano note le decisioni di spesa). In questocaso, il diritto di attingere al gettito fiscale corrente e futuro non è ben definito.Pertanto, tutti gli attori pubblici che hanno potere di spesa hanno un incentivo adanticipare le spese e a comportarsi in modo apparentemente miope, per appropriarsidi più risorse. Detto altrimenti, essi si rendono conto che le spese sono insostenibili ele anticipano proprio per far cadere i tagli futuri sulle spese altrui piuttosto che sulleproprie. Il disavanzo fiscale riflette quindi l'interazione tra il conflitto di interessieconomici particolari e una particolare istituzione politica (una procedura di bilanciodecentrata e poco gerarchica).

Non è detto, tuttavia, che il rimedio sia semplicemente quello di cambiare e rinforzarela procedura di bilancio, come emerge da una seconda linea di ricerca che spiegal'eccessiva accumulazione di debito in relazione all'instabilità politica, piuttosto chealla dispersione dei poteri all'interno di un governo di coalizione (v. Persson eSvensson, 1989; v. Alesina e Tabellini, 1990). Supponiamo, infatti, che continui aesservi conflitto di interessi particolari su come allocare la spesa pubblica, maimmaginiamo di rinforzare la procedura di bilancio e il sistema politico, in modo che laspesa e il suo finanziamento siano decisi da un attore unitario e lungimirante (adesempio, da un governo sostenuto da un unico partito che ha la maggioranza inparlamento). Se il governo in carica si aspetta di essere rieletto, allora non ha ragionedi indebitarsi; ma se ritiene, essendo l'esito elettorale incerto, che sarà sostituito da ungoverno con tendenze politiche diverse, allora l'emissione di debito pubblico puòessere una strategia ottimale perché i costi dei futuri tagli di spesa non sono da essopienamente internalizzati. Intuitivamente, l'emissione di debito è uno strumento concui si influenzano le decisioni dei governi successivi. Se il disaccordo tra i governi chesi succedono riguarda la composizione della spesa (e quindi vi è conflitto tra interessiparticolari), allora tutti i governi avranno la tendenza a emettere troppo debito rispettoalla politica efficiente (tanto più quanto maggiore è l'instabilità politica); se invece ildisaccordo riguarda la dimensione complessiva della spesa pubblica, allora i governi'di destra' tenderanno a indebitarsi troppo, per costringere eventuali loro successori 'disinistra' a tagliare la spesa, mentre i governi 'di sinistra' si comporteranno in manieraopposta, cioè accumuleranno eccedenze fiscali troppo grandi dal punto di vistadell'efficienza economica.Infine, una terza linea di ricerca ha cercato di spiegare l'indebitamento pubblico (e inparticolare il permanere di situazioni di finanza pubblica insostenibili) correlandoloall'incapacità di decidere, piuttosto che a decisioni consapevoli ed esplicite (v. Alesina eDrazen, 1991). In altre parole, si ritiene che in certi regimi democratici troppi attoripolitici abbiano diritto di veto. Di nuovo, un riferimento possibile è ai governi dicoalizione, ma si può anche pensare che il diritto di veto sia associato al potere digruppi di pressione o a un conflitto sociale troppo esasperato che impedisce decisionicollettive. In questi casi, se la situazione economica è favorevole e lo status quo èsostenibile, non vi è alcun problema di debito pubblico. Ma se la situazione economicapeggiora, o se lo status quo diventa insostenibile, allora gli attori politici dotati dipotere di veto iniziano una vera e propria 'guerra di logoramento' su chi devesopportare i costi dei tagli di spesa o degli aumenti fiscali. Fino a quando dura questoconflitto politico, lo status quo non può essere cambiato e il paese continua adaccumulare debito con ulteriore grave danno.

6. Osservazioni conclusive

L'analisi economica dell'intervento pubblico è un campo di ricerca in rapidaespansione sia in economia che in scienze politiche. Ormai ben pochi economistiprendono sul serio il paradigma del governo 'dittatore benevolo'; lo studio dellafattibilità politica delle riforme, dei vincoli e degli incentivi politici dei governi èdiventato parte integrante dell'economia pubblica e della teoria della politicaeconomica. L'economia è una scienza sociale 'imperialista' e l'analisi economica delfunzionamento delle democrazie è ormai ampiamente diffusa anche tra i politologi. Magli scambi tra discipline vanno in entrambe le direzioni, e stiamo assistendo a unarapida integrazione di due tradizioni di ricerca, in economia e scienze politiche, chefino a non molto tempo fa erano distanti e separate.Questo non vuol dire che la teoria e l'analisi empirica abbiano dato risposte esaurientialle domande più pressanti circa le determinanti dell'intervento pubblico in economia.Al contrario, questo campo di ricerca è giovane e molto resta ancora da fare. Ma iproblemi aperti sono tra i più interessanti e rilevanti nelle scienze sociali, e vi è unaconcreta e fondata speranza che i progressi al riguardo possano essere rapidi.

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