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27 Superare i confini per uscire dalla crisi Non è il momento migliore ma certo qual- cosa si può fare per sciogliere ‘nodi’ am- ministrativi, vincoli e barriere che frenano lo sviluppo e la possibile integrazione tra le imprese del nostro territorio. a cura di Maurizio Abbati Piccola cià museo traboccante di itale glorie o area vasta in grado di pro- porsi come modello urbano votato ad integrare la sua preziosa vocazione turisca con la presenza importante e strategica dell’industria? Un’industria che sa scommeere sulla qualità, vocata all’export, in grado di creare un osmosi con il territorio, assorbendo cultura e know how e pro- ducendo ricchezza. La scelta in teoria appare facile, ma quando si traa di allargare i confini amministravi e guardare a un futuro desnato a passare necessariamente araverso l’accorpamento di funzioni burocrache e de- cisionali, le riserve sono sempre molte. Perché significherebbe mandare a fondo per sempre quel conceo di “piccolo è bello” di cui spesso abbiamo abusato, adoperandolo in modo troppo generico sia per le piccole aziende soocapitalizzate e non in grado di superare i confini commerciali del loro distreo produvo, così come per quei microComuni che hanno l’unico van- taggio di permeere ai loro abitan di avere l’ufficio anagrafe soo casa e riconoscersi in un’identà da vecchio borgo. Un piccolo che è bello solo se sa crescere, meendosi in rete. Di see nani insomma forse non si può fare un gigante ma almeno un’aitante

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Superare i confini per uscire dalla crisiNon è il momento migliore ma certo qual-cosa si può fare per sciogliere ‘nodi’ am-ministrativi, vincoli e barriere che frenano lo sviluppo e la possibile integrazione tra le imprese del nostro territorio.

a cura di Maurizio Abbati

Piccola città museo traboccante di itale glorie o area vasta in grado di pro-porsi come modello urbano votato ad integrare la sua preziosa vocazione turistica con la presenza importante e strategica dell’industria?Un’industria che sa scommettere sulla qualità, vocata all’export, in grado di creare un osmosi con il territorio, assorbendo cultura e know how e pro-ducendo ricchezza. La scelta in teoria appare facile, ma quando si tratta di allargare i confini amministrativi e guardare a un futuro destinato a passare necessariamente attraverso l’accorpamento di funzioni burocratiche e de-cisionali, le riserve sono sempre molte. Perché significherebbe mandare a fondo per sempre quel concetto di “piccolo è bello” di cui spesso abbiamo abusato, adoperandolo in modo troppo generico sia per le piccole aziende sottocapitalizzate e non in grado di superare i confini commerciali del loro distretto produttivo, così come per quei microComuni che hanno l’unico van-taggio di permettere ai loro abitanti di avere l’ufficio anagrafe sotto casa e riconoscersi in un’identità da vecchio borgo. Un piccolo che è bello solo se sa crescere, mettendosi in rete. Di sette nani insomma forse non si può fare un gigante ma almeno un’aitante

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comunità. Firenze è città dove i campanili battono ciascuno la propria ora, si sa. Eppure ci piacerebbe raccontare un’altra storia, quella di un’area urbana in cerca di una sua diversa identità e di nuove funzioni, dove il capoluogo deve fare necessariamente da locomotiva, ma non deve pensare di essere il solo a tirare, poiché dal territorio inteso come area vasta arriva un supporto economico imprescindibile oltre che la sola possibilità di sviluppo, almeno per quanto riguarda i futuri insediamenti produttivi, per i quali certo non c’è spazio all’ombra di Palazzo Vecchio. A Firenze ci sono il Duomo e il Ponte Vecchio, ma a Scandicci ci sono Gucci e le grandi griffe della pelletteria, a Sesto Fiorentino c’è Eli Lilly. Ma quando si parla di area vasta non si faccia l’errore di confonderla con l’area metropolitana, perché in termini economici anche questo resta un abito troppo stretto e bisogna guardare più lontano, alle stesse rotte su cui si muovono le imprese, o almeno quelle capaci di vali-care i confini per fare sinergia. Per adesso purtroppo siamo costretti a restare ancorati ai numeri, come quelli elencati dall’Irpet, che parlano di una Firenze certo ancora più ricca del resto della Toscana, ma che sta vivendo in questi ultimi anni un progressivo impoverimento. Dal 2008 al 2012 il valore ggiunto su scala provinciale ha ce-duto un 5%, mentre quello regionale si è fermato al -4,1%; l’export è invece cresciuto dell’11,4%, ma sempre meno di quello toscano: +12,2%. Una ric-chezza che dunque sembra sgretolarsi anno dopo anno. Questo non significa che la centralità di Firenze sia in discussione, come dimostra il valore del suo Pil, sempre più elevato di quello toscano, grazie alla voce turismo. Ma non solo.Perché l’area fiorentina manifesta anche una propensione all’export maggio-re, grazie alla presenza delle sedi di grandi aziende multinazionali che hanno scommesso su un territorio di pregio, sia per un nome che costituisce un brand, sia perché negli anni queste aziende hanno dato vita a reti di imprese in grado di garantire produzione di elevata qualità. Prendiamo il caso della pelletteria, che ha la sua testa a Scandicci, ma ha tessuto una rete di fornitori che spazia fino ai contrafforti di Piancastagnaio e alla Valdera. Ma non solo. Ci sono la camperistica, il biomedicale e via e via. Nonostante questa propensione, l’anamnesi della situazione imprenditoriale evidenzia uno stato di astenia progressiva, una sorta di svuotamento dovuto alla crisi economica ma anche all’incapacità di riposizionarsi e assecondare il cambiamento. Si continua dunque ad aprire nuove attività destinate a restare scatole vuote e bruciando così altre risorse. I dati della Camera di Commercio fiorentina relativi al primo trimestre 2013 sono esemplificativi, soprattutto confrontandoli con lo storico di questi ultimi 4 anni. Al marzo 2009 le imprese

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registrate erano in effetti 108.228, contro le 108.497 del marzo scorso; ma i numeri si ribaltano se si prendono in considerazione le sole imprese attive, perché allora si passa dalle 93.480 di 4 anni fa alle 93.076 di oggi. Solo nei primi tre mesi dell’anno si sono registrate 2.041 iscrizioni e 2.707 cessazioni, cioè 666 unità in meno. Il numero del diavolo, ma qui non c’è alcuna cospira-zione satanica a cui imputare la colpa. Perché i colpevoli sono ben più reali. Come i costi della burocrazia. Si potrebbe cominciare con i costi di avviamen-to di una qualsiasi società indispensabile per lavorare, a meno di non ricadere nella formula individuale. Secondo alcune stime, per avviare ad esempio una srl a capitale ridotto, cioè sotto i 10mila euro, servono tra gli 800 e i 1.300 euro di notaio, 400 euro di bolli, 168 euro di tassa di registro, 200 di diritto annuale Camera di commercio più 90 di diritti di segreteria, 309,87 euro per Ccgg vidimazione libri più altri 39,62 per diritti e bolli per vidimazione, infine altri 29,28 euro per la bollatura del libro giornale e inventari. C’è di che farsi passare la voglia. A fronte di questo, quali sono le ricadute economiche degli investimenti della Camera di commercio? Che solo dalla gestione corrente da diritto annuale, secondo il preconsuntivo 2012, ha proventi per oltre 26 milioni di euro, a cui ne vanno sommati altri 5 per diritti di segreteria e oblazioni.Intanto il panorama economico provinciale evidenzia tutta la sua fragilità e si gira con l’ombrello, perché la tempesta non accenna a passare oltre. Nel 2012 solo il 7,2% delle imprese ha fatto registrare fatturati in crescita; nel 2011 era l’11%, nel 2010 addirittura il 15,6%. Nel 2013 si stima poco sopra il 2%. Stesso dicasi per l’occupazione: solo lo 0,8% pensa di creare nuovi posti di lavoro quest’anno, mentre l’11,2% teme purtroppo di essere costretto a ri-durli. Gli altri, i più, non sanno dire ancora cosa sarà di loro, o hanno già dato, tagliando e salvaguardando dove si poteva, poiché a nessuno piace mandare la gente a casa. Dire che il problema è la crisi dei mercati è dunque come rassegnarsi all’atte-sa, a una fermata del bus, senza sapere a che ora passerà. Firenze non riesce a crescere dimensionalmente e rimane bloccata in una ragnatela amministra-tiva e politica che spesso ne frena lo sviluppo economico. Guardiamo a cosa è accaduto con l’applicazione della tassa di soggiorno. Un’opportunità per fare cassa a cui quasi nessun Comune ha saputo resistere, anche quelli che forse per lo sviluppo turistico non hanno mai fatto niente o quasi. Tanto che delle 44 amministrazioni che si dividono il territorio provinciale, per le quali si può ipotizzare un ricavo di circa 27 milioni di euro, solo due hanno per ora rinviato l’applicazione del ticket sui pernottamenti. Ma nessuno si è preso la briga di concertare un’applicazione omogenea, se non a livello di area, come per il

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Chianti o il Mugello, così che ad oggi i turisti si trovano di fronte a 5 importi diversi da pagare per dormire in un albergo con lo stesso numero di stelle. Omogeneità che non c’è neanche per l’aliquota Irpef. Basti vedere. Firenze per il 2013 ha deciso di stare bassa allo 0,2; Sesto poco oltre a 0,3; Scandicci è sullo 0,5, Fiesole e Bagno a Ripoli hanno applicato il massimo cioè 0,8, Campi Bisenzio ha invece adottato un sistema a fasce che vanno da 0,58 a 0,80. Ci sono però anche esempi positivi, quelli di Comuni virtuosi che decidono di superare le barriere che li separano per condividere un progetto di sviluppo importante, anche se poi sono costretti a fare i conti con un sistema che ren-de difficile ogni cosa. E’ quanto accaduto nel 2001, quando si deve individua-re un’area per realizzare un nuovo insediamento produttivo di 26mila metri quadri per la lavorazione dei prodotti Laika.Tavarnelle Val di Pesa, il Comune dove Laika ha la sua sede storica, si mette alla ricerca di un’area idonea, ma non c’è niente da fare. La partita però è troppo grossa per una sconfitta a tavolino, cioè senza giocarsela fino in fon-do, visto che si tratta di 250 posti di lavoro diretti con un indotto di altri 600 almeno. Accade allora una cosa davvero singolare: viene chiesto aiuto alla confinante San Casciano per evitare che l’azienda sia trasferita altrove. I due sindaci lavorano assieme e nel 2003 viene individuata un’area già classificata come produttiva in un precedente Prg regionale, quella di Ponterotto. Sem-bra fatta, ma ci vogliono sette anni per aprire il cantiere e la produzione non potrà essere avviata prima del 2014. C’è di che farsi passare la voglia.Ben venga allora la città metropolitana, ma attenzione perché non si tratta di un semplice puzzle. Nessuno accetterà di rinunciare al proprio campanili-smo se il capoluogo, quello che dovrebbe tracciare la strada, per risparmiare decide ad esempio di tagliare i punti anagrafe nei quartieri dimostrando di non aver chiaro il significato del termine decentramento. Ma anche se non si riuscirà a guarire dalla sindrome di Nimby, all’origine delle dispute infinite su termovalorizzatore e piano dei rifiuti, sviluppo dell’aeroporto e bretelle autostradali. L’economia si rilancia solo se si gioca in squadra. Quanti anni sono che ce lo sentiamo ripetere. Peccato che nessuno poi si decida a scendere in campo.Ambizioni personali a parte.

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L’etica del lavoro e l’economia dal bassoLa crisi non riguarda solo gli altri o meglio il giacimento inesauribile del turismo non può proteggere e sanare i problemi economici di Firenze, non è così nei numeri e non lo è nei fatti, soprattutto se lo si intende come risorsa da spremere passivamente. Eppure nella storia recente della città le fabbriche non sono realtà assenti anche se sembra che con la loro dismissione sia venuta meno, o si sia affievolito, il valore etico del lavoro e della produzione. Oggi, eccezion fatta per la ‘Nuova Pignone’ e poche altre, le fabbriche sono ‘fuori’, nei Comuni della Piana o delocalizzano. Qualcuno dice che ‘lavorare stanca’, forse (anche) così si spiega la crisi vocazionale in molti ambiti dell’artigianato. Così ci restano i grandi volumi dei capannoni e dei contenitori di funzioni ormai dismesse; spesso abbandonati questi possono e devono essere oggi oggetto di una riflessione ap-profondita. Il Centro storico di Firenze non li possiede e quando li ritrova, vedi il recente caso di San Firenze, rischia di confondere l’altissimo valore monumentale con la ‘plus-valenza’ immobiliare; o addirittura sono ostaggio di storie così ‘contorte’ da rappresentare la saga del recupero impossibile, Sant’Orsola docet. Viceversa i grandi ‘scatoloni’ possono rappresentare il volano di una rigenerazione urbana che molte zone della città attendono con ansia. Forse non è necessario, sempre, pensare a questi grandi contenitori come l’oggetto della possibile attenzione per grandi gruppi e società immobiliari, si potrebbe (come accade nel nord Europa) creare consorzi, anche di giovani imprese, che, in un disegno complessivo e con funzioni compatibili, ne rendano possibile l’uso per parti. Così non sono necessari grandi budget ma grandi idee e capacità di vedere il nuovo. E’ anche quello che servirebbe per rianimare l’Osmannoro, oggi in ‘disarmo’ ma, domani, potenziale risorsa della città metropolitana. Il fermento economico richiede a monte un fermento umano, non si può solo sperare nel colpo di genio isolato. CRISI deriva dal greco [krisis] scelta, da [krino] distinguere, ebbene le crisi aprono spazi per chi riesce a fare le scelte giuste. Se pensiamo che nessun luogo al mondo è dotato del numero pro capite di progettisti (architetti, designers, ecc. ecc.) di Firenze possiamo pensare a questo come una risorsa e non come una zavorra. Incentiviamo i laboratori creativi, facciamo in modo che i grandi spazi diventino piccoli co-sti, accettiamo che ciò che “muore” nel centro possa emigrare nella periferia, accettiamo che i semplici volumi edilizi possano essere oggetto di esperimenti edilizi, architettonici ed artistici a bassissimo costo, attacchiamo finestre vecchie ai muri per aprire nuovi orizzonti.Andate su Google e digitate ‘Object Orange Detroit’ e poi ‘Gordon Matta Clark’ ed ancora ‘Aleksandr Brodsky’ e poi ne riparliamo.

Mario Pittalis