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Editoriale La situazione politica italiana è a dir poco anomala. Così è certamente da “mani pulite” in poi. Una lunga stagione caratterizzata da interessi sociali contrapposti ma scarsamente chiari nella rappresentanza, se non si guarda a quelli personali invece chiarissimi. Una costante domanda di credibilità e un rinnovarsi continuo di offerte che alla fine hanno e potrebbero continuare a tradire le aspettative. Comunque ricerca e investimenti su leader, pochi reali progetti, quantomeno non facilmente descrivibili per, in diversi casi, incapacità di comunicazione, assenza di trasparenza o banalmente per carenza di sostanza. Se c’è qualcosa che non ci siamo fatti mancare invece sono stati gli scontri, feroci e virulenti. Talmente distanti dell’interesse comune da mettere ripetutamente in discussione la tenuta costituzionale, quasi risiedesse in questa il problema e non nel carrierismo dilagante e la corruzione diffusa. Il tutto contornato da una serie ininterrotta di rinnovati fenomeni di suggestione collettiva utili a distrarre l’attenzione dal merito delle questioni, dall’approfondimento necessario e dal dovere di spiegazione. Tanto che oggi basta dire che per fare buona politica, per fare ripartire il Paese occorre fare le riforme. Poco importa spiegare esaustivamente quali, con quali scopi, quali conseguenze e per la realizzazione di quale modello di società. La politica italiana sembra, sorprendentemente, avere fatto proprio uno dei motti fondanti del protestantesimo: “Ecclesia semper riformanda est”. Nel nostro caso: la politica non può essere che riformista. Tutti paiono essere d’accordo ma è proprio questa la ragione, nella misura in cui non si chiarisce quali siano gli obiettivi, per cui i conti non tornano. Se Mario Monti sostiene, come ha fatto, di condividere totalmente le riforme proposte dal PD di Renzi, significa che Monti non ha capito cosa dice Renzi o che Monti è, a sua insaputa, un uomo di sinistra oppure che le riforme che propone questo PD vanno bene a tutti. E allora la domanda diventa: di che sinistra stiamo parlando? Perché il riformismo ecumenico universale forse si può raggiungere sulle riforme istituzionali e di legge elettorale (nel nostro caso sarebbe da aprire un capitolo a parte sulla questione) ma certamente non sulle politiche sul lavoro, l’economia, in generale un’idea di società. E se a Monti, emblematicamente, va tutto bene e il suo elettorato ha votato in massa questo PD, non siamo solo alla realizzazione del sogno a vocazione maggioritaria predicato da Veltroni, stiamo scivolando “lievemente” verso l’idea di partito unico. Un Partito capace di attrarre voti e questo è bene “ma anche” (sempre veltronianamente) di assorbile interi blocchi sociali che in natura hanno interessi legittimi ma contrapposti. Ecco perché, a costo di sembrare ossessivi, occorre domandarsi: che sinistra? Claudio Fantoni

Editoriale Fantoni

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L'editoriale di Claudio Fantoni sul quinto numero di Firenze Dispari, "Che sinistra?"

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Page 1: Editoriale Fantoni

Editoriale

La situazione politica italiana è

a dir poco anomala. Così è certamente da

“mani pulite” in poi. Una lunga stagione

caratterizzata da interessi sociali contrapposti

ma scarsamente chiari nella rappresentanza,

se non si guarda a quelli personali invece

chiarissimi. Una costante domanda di

credibilità e un rinnovarsi continuo di offerte

che alla fine hanno e potrebbero continuare

a tradire le aspettative. Comunque ricerca e

investimenti su leader, pochi reali progetti,

quantomeno non facilmente descrivibili per,

in diversi casi, incapacità di comunicazione,

assenza di trasparenza o banalmente per

carenza di sostanza.

Se c’è qualcosa che non ci siamo fatti

mancare invece sono stati gli scontri, feroci

e virulenti. Talmente distanti dell’interesse

comune da mettere ripetutamente in

discussione la tenuta costituzionale, quasi

risiedesse in questa il problema e non nel

carrierismo dilagante e la corruzione diffusa.

Il tutto contornato da una serie ininterrotta di

rinnovati fenomeni di suggestione collettiva

utili a distrarre l’attenzione dal merito delle

questioni, dall’approfondimento necessario

e dal dovere di spiegazione. Tanto che oggi

basta dire che per fare buona politica, per

fare ripartire il Paese occorre fare le riforme.

Poco importa spiegare esaustivamente quali,

con quali scopi, quali conseguenze e per la

realizzazione di quale modello di società. La

politica italiana sembra, sorprendentemente,

avere fatto proprio uno dei motti fondanti del

protestantesimo: “Ecclesia semper riformanda

est”. Nel nostro caso: la politica non può essere

che riformista. Tutti paiono essere d’accordo

ma è proprio questa la ragione, nella misura in

cui non si chiarisce quali siano gli obiettivi, per

cui i conti non tornano.

Se Mario Monti sostiene, come ha

fatto, di condividere totalmente le riforme

proposte dal PD di Renzi, significa che Monti

non ha capito cosa dice Renzi o che Monti è,

a sua insaputa, un uomo di sinistra oppure

che le riforme che propone questo PD vanno

bene a tutti. E allora la domanda diventa:

di che sinistra stiamo parlando? Perché il

riformismo ecumenico universale forse si

può raggiungere sulle riforme istituzionali

e di legge elettorale (nel nostro caso sarebbe

da aprire un capitolo a parte sulla questione)

ma certamente non sulle politiche sul lavoro,

l’economia, in generale un’idea di società. E se

a Monti, emblematicamente, va tutto bene e

il suo elettorato ha votato in massa questo PD,

non siamo solo alla realizzazione del sogno a

vocazione maggioritaria predicato da Veltroni,

stiamo scivolando “lievemente” verso l’idea

di partito unico. Un Partito capace di attrarre

voti e questo è bene “ma anche” (sempre

veltronianamente) di assorbile interi blocchi

sociali che in natura hanno interessi legittimi

ma contrapposti.

Ecco perché, a costo di sembrare

ossessivi, occorre domandarsi: che sinistra?

Claudio Fantoni