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1 Effetto serra, metodi di rimozione e smaltimento della CO 2 1. Introduzione L’effetto serra è un processo naturale, che permette alle radiazioni solari di attraversare l’atmosfera terrestre ed impedisce a buona parte della radiazioni infrarosse riflesse di tornare nello spazio esterno. Il bilancio di energia del pianeta terra è quindi definito da un termine positivo, costituito dal flusso della radiazione entrante (l'energia solare assorbita nel visibile/ultravioletto, a piccole lunghezze d’onda), e da un termine negativo dovuto al flusso della radiazione uscente (l'energia emessa nell'infrarosso termico, a grandi lunghezze d'onda). Il termine di flusso entrante è dato dalla sola radiazione solare essendo del tutto trascurabili i contributi della radiazione stellare, di quella riflessa dalla luna e dai raggi cosmici. Il termine di flusso uscente è sostanzialmente costituito dalla somma di due termini: il primo è legato alla radiazione emessa dalla superficie terrestre che riesce a passare attraverso l’atmosfera, mentre il secondo è dato dalla radiazione emessa dai vari strati atmosferici verso lo spazio. Si ricordi che la radiazione viene emessa nell’infrarosso ad una temperatura inferiore (283 K) rispetto a quella ricevuta (6000 K). Durante il suo passaggio attraverso l’atmosfera terrestre, la radiazione solare subisce numerosi processi di assorbimento e diffusione in tutte le direzioni ad opera di diversi costituenti atmosferici (Fig. 1). Parte della radiazione solare incidente viene intercettata dalle nubi, riflessa all’indietro o diffusa verso la superficie terrestre. Altra radiazione solare viene diffusa in tutte le direzioni dalle molecole dell’aria (scattering di Rayleigh) e dalle particelle di aerosol. Un’altra percentuale non trascurabile viene assorbita dal materiale particolato ed un’altra frazione dal vapore acqueo e dagli altri gas atmosferici (ozono, anidride carbonica, ossigeno, metano,…). Valutazioni medie globali delle percentuali di radiazione solare coinvolte in tutti questi processi permettono di indicare i seguenti valori: - il 33% circa è riflessa all’indietro dal pianeta (suolo ed oceani) a lunghezze d’onda maggiori, sottoforma di infrarossi, - il 24% circa è assorbita dall’atmosfera, - il 43% circa è assorbita dalla superficie terrestre. La radiazione assorbita dai gas atmosferici viene a sua volta irradiata in tutte le direzioni, sia verso l’alto che verso il basso. Dato che la concentrazione dei gas atmosferici diminuisce esponenzialmente con l’altezza, anche la capacità di assorbire ed emettere radiazione da parte dei vari strati diminuisce con la quota. Pure la temperatura dell’atmosfera diminuisce con l’altezza presentando un gradiente medio che nei primi 10 km assume il valore di 6.5 K/km. Gli strati atmosferici più bassi sono pertanto più caldi ed emettono quindi più radiazione termica di quelli soprastanti: la densità di flusso della radiazione infrarossa emessa in atmosfera verso l’alto risulta essere considerevolmente più piccola di quella emessa verso il basso (208 W/m 2 contro 304 W/m 2 ). La proprietà dell’atmosfera terrestre di assorbire la maggior parte della radiazione emessa dalla superficie e di emettere verso la superficie in misura maggiore che verso lo spazio (con un rapporto di circa 1 a 0.6) prende il nome di effetto serra 1 . 1 Il nome deriva dal fenomeno analogo che sta alla base della coltivazione delle piante nelle serre, dove il vetro è trasparente alla radiazione luminosa ma opaco a quella infrarossa.

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Effetto serra, metodi di rimozione e smaltimento della CO2

1. Introduzione L’effetto serra è un processo naturale, che permette alle radiazioni solari di attraversare l’atmosfera terrestre ed impedisce a buona parte della radiazioni infrarosse riflesse di tornare nello spazio esterno. Il bilancio di energia del pianeta terra è quindi definito da un termine positivo, costituito dal flusso della radiazione entrante (l'energia solare assorbita nel visibile/ultravioletto, a piccole lunghezze d’onda), e da un termine negativo dovuto al flusso della radiazione uscente (l'energia emessa nell'infrarosso termico, a grandi lunghezze d'onda). Il termine di flusso entrante è dato dalla sola radiazione solare essendo del tutto trascurabili i contributi della radiazione stellare, di quella riflessa dalla luna e dai raggi cosmici. Il termine di flusso uscente è sostanzialmente costituito dalla somma di due termini: il primo è legato alla radiazione emessa dalla superficie terrestre che riesce a passare attraverso l’atmosfera, mentre il secondo è dato dalla radiazione emessa dai vari strati atmosferici verso lo spazio. Si ricordi che la radiazione viene emessa nell’infrarosso ad una temperatura inferiore (283 K) rispetto a quella ricevuta (6000 K). Durante il suo passaggio attraverso l’atmosfera terrestre, la radiazione solare subisce numerosi processi di assorbimento e diffusione in tutte le direzioni ad opera di diversi costituenti atmosferici (Fig. 1). Parte della radiazione solare incidente viene intercettata dalle nubi, riflessa all’indietro o diffusa verso la superficie terrestre. Altra radiazione solare viene diffusa in tutte le direzioni dalle molecole dell’aria (scattering di Rayleigh) e dalle particelle di aerosol. Un’altra percentuale non trascurabile viene assorbita dal materiale particolato ed un’altra frazione dal vapore acqueo e dagli altri gas atmosferici (ozono, anidride carbonica, ossigeno, metano,…). Valutazioni medie globali delle percentuali di radiazione solare coinvolte in tutti questi processi permettono di indicare i seguenti valori: - il 33% circa è riflessa all’indietro dal pianeta (suolo ed oceani) a lunghezze d’onda

maggiori, sottoforma di infrarossi, - il 24% circa è assorbita dall’atmosfera, - il 43% circa è assorbita dalla superficie terrestre. La radiazione assorbita dai gas atmosferici viene a sua volta irradiata in tutte le direzioni, sia verso l’alto che verso il basso. Dato che la concentrazione dei gas atmosferici diminuisce esponenzialmente con l’altezza, anche la capacità di assorbire ed emettere radiazione da parte dei vari strati diminuisce con la quota. Pure la temperatura dell’atmosfera diminuisce con l’altezza presentando un gradiente medio che nei primi 10 km assume il valore di 6.5 K/km. Gli strati atmosferici più bassi sono pertanto più caldi ed emettono quindi più radiazione termica di quelli soprastanti: la densità di flusso della radiazione infrarossa emessa in atmosfera verso l’alto risulta essere considerevolmente più piccola di quella emessa verso il basso (208 W/m2 contro 304 W/m2). La proprietà dell’atmosfera terrestre di assorbire la maggior parte della radiazione emessa dalla superficie e di emettere verso la superficie in misura maggiore che verso lo spazio (con un rapporto di circa 1 a 0.6) prende il nome di effetto serra1.

1 Il nome deriva dal fenomeno analogo che sta alla base della coltivazione delle piante nelle serre, dove il vetro è trasparente alla radiazione luminosa ma opaco a quella infrarossa.

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Fig. 1. Schema semplificato dell'effetto serra.

Tale effetto naturale ha mantenuto la temperatura della superficie terrestre circa 33°C più calda di quanto sarebbe stata senza atmosfera, permettendo lo sviluppo della vita. L’effetto serra prodotto dai gas atmosferici presenti in condizioni normali non causa, di per sé, alcun effetto straordinario di riscaldamento dell’atmosfera ma contribuisce solamente a mantenere sul pianeta le condizioni di equilibrio climatico indispensabili alla vita dell’uomo. In mancanza dell’azione di “intrappolamento” della radiazione esercitata dall’atmosfera la temperatura media della superficie terrestre sarebbe presumibilmente pari a -15°C. Questo valore si ricava imponendo che il pianeta re-irradi verso lo spazio la stessa quantità di energia media Im ricevuta dal sole, pari a 345.5 W/m2, secondo la formula:

4m m mI (1 a ) Tε σ− =

dove am e εm corrispondono ai valori medi dell’albedo (0.3÷0.34) e dell’emissività del pianeta (0.95). Si specifica che l’albedo indica la frazione di radiazione incidente che viene riflessa indietro. Senza l’effetto serra la vita sulla terra sarebbe dunque impossibile. Perché, allora, l’effetto serra preoccupa tanto gli esperti del settore? La risposta è legata al fatto che le attività antropiche generano gas serra che si aggiungono a quelli già esistenti in atmosfera, accumulandosi. E’ il rapido aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra a causare un incremento dei processi di assorbimento ed emissione tale da provocare il riscaldamento dell’atmosfera terrestre.

2. I gas serra Anidride carbonica (Fig. 2), protossido di azoto (Fig. 3) e metano (Fig. 4) sono gas responsabili dell’effetto serra. Oltre a questi vi sono il vapor d’acqua, presente in atmosfera in seguito all’evaporazione da tutte le fonti idriche e come prodotto delle varie combustioni, e tutti quei gas non presenti in natura, ma generati da diversi processi industriali, come gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6). Questi gas (GHGs, Greenhouse gases) vengono generati da una grande quantità di attività umane, fra cui l'uso di combustibili fossili, lo smaltimento di rifiuti in discariche, la deforestazione e varie pratiche agricole ed industriali (Fig. 7).

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Fig. 2. Concentrazione di CO2 in atmosfera.

Fig. 3. Concentrazione di N2O in atmosfera.

Fig. 4. Concentrazione di CH4 in atmosfera.

Il bilancio radiativo terrestre nella regione spettrale dell’infrarosso è fortemente dipendente dalla concentrazione dei gas serra che assorbono la radiazione emessa dalla superficie terrestre contribuendo al riscaldamento dell'atmosfera. La Fig. 5 mostra la dipendenza spettrale del fattore serra e, insieme alla Fig. 6, identifica i gas che contribuiscono maggiormente all'assorbimento della radiazione termica da parte dell'atmosfera: la CO2 e il vapor d’acqua risultano avere l’effetto predominante.

ppb

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Fig. 5. Fattore serra.

Fig. 6. Bande di assorbimento dei principali gas serra.

3. L’effetto serra I vari gas serra prodotti contribuiscono all'effetto serra in modo differente per la diversa quantità con cui vengono emessi, per il diverso potere di assorbimento degli infrarossi e per il tempo di permanenza in atmosfera, altrimenti detto “vita media atmosferica”.

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Quest’ultima indica l’approssimativo ammontare di tempo necessario affinché l’incremento della concentrazione di un inquinante dovuto all’attività umana scompaia e si ritorni ad un livello naturale. Ben più noto è il potenziale di riscaldamento globale, o GWP, Global Warming Potential, che rappresenta il rapporto fra il riscaldamento globale, causato in un determinato periodo di tempo, di solito 100 anni, da una particolare inquinante ed il riscaldamento provocato dalla stessa quantità di CO2. Naturalmente, si fissa il GWP della CO2 pari ad 1.

CO2 CH4 N2O Potenziale effetto serra (GWP) 1 21 290 Vita media atmosferica (anni) 100 12 120 Concentrazione (ppm) 380 1,7 0,3

Tab. 1. Caratteristiche di alcuni gas serra.

L'anidride carbonica è uno dei principali responsabili dell'incremento dell'effetto serra. La concentrazione di CO2 fino al 1800 è stata di circa 280 ppm2, mentre ai giorni nostri è cresciuta fino a 360 ppm. Attualmente vengono emesse in atmosfera circa 27 Gt di CO2 all’anno che equivalgono a 7.4 Gt di carbonio (GtC). Continuando con questo ritmo secondo le stime dell’IPCC3 arriveremo fino a 15-20 GtC nell’anno 2050 e fino a 20-35 GtC nel 2100: per il periodo 1990-2100 si stima dunque una emissione totale di CO2 compresa fra 1450 e 2200 GtC. Gli USA e i paesi dell'OECD4 da soli producono circa il 48% della CO2 mondiale. L’attuale concentrazione di CO2 in atmosfera è la più alta che si sia mai verificata negli ultimi 650 mila anni e molto probabilmente anche nell’ultimo milione di anni, come hanno dimostrato le più recenti ricerche in Antartide. L’aumento di CO2 in atmosfera (35% in 250 anni di cui ben 8% negli ultimi 20 anni) sta avvenendo con un tasso di crescita (circa 2 ppm per anno) che è il più alto mai verificatosi degli ultimi 20 mila anni.

Fig. 7. Fonti di emissioni dei gas serra.

Questo aumento ha provocato un incremento di calore fornito alla superficie terrestre pari a circa 2.8 W/m2. Per quanto riguarda la temperatura, si è avuto un incremento di 0.3-0.65°C a partire dalla fine del XIX secolo (Fig. 8). Occorre precisare che allo stato attuale non si ha

2 Parti per milione 3 Intergovernmental Panel on Climate Change 4 Organization of Economic Cooperation and Development

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la completa certezza che ciò sia conseguenza diretta dell’effetto serra, essendo la variazione dello stesso ordine delle fluttuazioni spontanee di temperatura. È tuttavia evidente che esiste una correlazione fra la concentrazione di CO2 e la variazione della temperatura terrestre. L’analisi dei dati storici è riportata in Fig. 9. Sono molte le complicazioni che impediscono di mettere direttamente in relazione l’aumento della concentrazione dei gas serra con l’aumento della temperatura. In primo luogo, la presenza di particelle solide o liquide (aerosol) nell’atmosfera scherma parzialmente la superficie terrestre dalla radiazione solare e porta quindi al raffreddamento della troposfera ed al riscaldamento della stratosfera. Le particelle possono derivare sia da cause naturali, come le eruzioni vulcaniche, sia da attività umane, come la combustione di carbone. In secondo luogo, l’effetto delle nuvole e le reazioni derivanti dalla biosfera accrescono l’incertezza sull’entità dell’influenza dei gas serra sul riscaldamento globale. Nonostante la complessità del problema e la scarsa conoscenza dei meccanismi di reazione e contro-reazione che caratterizzano l’evoluzione dei sistemi naturali, è possibile costruire dei modelli matematici aventi l’obiettivo di prevedere cosa accadrà in futuro. Questi identificano degli scenari possibili in funzione delle scelte energetiche, economiche e politiche e giungono a proiezioni ben diverse fra loro. Alcuni modelli di previsione suggeriscono che l'aumento di gas serra in atmosfera (Fig. 10) provocherà: - un incremento del riscaldamento di 3÷8 W/m2 con conseguente aumento della temperatura terrestre compreso fra 1.5 e 4.5°C entro il 2100; - un incremento dell'evaporazione, dovuta al riscaldamento della superficie terrestre, e quindi un aumento delle precipitazioni e della frequenza di quelle molto intense. A cambiare in maniera molto evidente è la distribuzione delle precipitazioni nel corso dell’anno piuttosto che i valori medi annuali. Si nota, soprattutto nelle aree intertropicali, una tendenza alla estremizzazione di tali fenomeni, con aumenti delle intensità delle precipitazioni ed una diminuzione della loro durata. Di pari passo è aumentata la frequenza dei periodi siccitosi con conseguente promozione dei processi di desertificazione dei suoli. - un’intensificazione dei fenomeni meteorologici più violenti, come tempeste ed uragani, con aumento delle inondazioni e delle erosioni a carico del terreno; - una riduzione dell'umidità del suolo nelle regioni continentali e tropicali con conseguente calo della resa agricola; - un aumento del livello dei mari compreso fra 15 e 55 cm entro la fine del prossimo secolo, principalmente a causa dell’espansione termica degli oceani e dello scioglimento dei ghiacci (Fig. 11).

Fig. 8. Andamento della temperatura media sulla superficie terrestre (1880-2001).

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Fig. 9. Concentrazione di CO2 e variazione della temperatura media superficiale della terra (ultimi 420000 anni).

Fig. 10. Previsioni delle emissioni di CO2 secondo sei differenti scenari.

Fig. 11. Previsioni dell’incremento della temperatura media della superficie terrestre e del livello del mare secondo sei differenti scenari.

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4. Sorgenti di emissioni di CO2 Prima della rivoluzione industriale le emissioni naturali di CO2 ed il suo assorbimento da parte dei mari, degli alberi, del suolo e della copertura vegetale, erano tali da mantenere questo ciclo in equilibrio. Oggi questo equilibrio non esiste più a causa dell’incremento delle emissioni antropiche. Analizzando il complesso ciclo biogeochimico del carbonio sulla terra (Fig. 12), ci si rende conto di come le quantità di CO2 scambiate fra oceani, atmosfera, suolo e biosfera siano molto più grandi del contributo dovuto alle attività umane. Tuttavia lo scostamento dalla condizione di equilibrio che da secoli governa il ciclo sta portando a delle conseguenze non trascurabili. Le principali sorgenti di CO2 sono legate all’uso di combustibili fossili. Il valore complessivo deriva da una serie di attività fra cui: riscaldamento di costruzioni private o commerciali, produzione di energia elettrica, uso di combustibili in processi industriali e alimentazione per autoveicoli. Differenziando le emissioni in funzione del tipo di combustibile si stima che il 42% delle emissioni derivino dall’utilizzo di petrolio, il 36% dal carbone ed il 22% da gas naturale. Altre fonti di emissioni di CO2 dipendono dall’uso di combustibili ricavati da biomassa, da processi industriali (nelle trasformazioni chimiche di materiali si può avere rilascio di CO2), dalla deforestazione ed dalle discariche di rifiuti.

Fig. 12. Ciclo del carbonio.

5. Il Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto, sottoscritto da più di 160 paesi nell’omonima città giapponese l’11 dicembre 1997, è il primo atto esecutivo globale di attuazione di alcuni degli impegni della Convenzione UN-FCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) in materia ambientale circa il riscaldamento globale. Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Infatti affinché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni

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inquinanti; quest’ultima condizione è stata raggiunta solo quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione. Gli USA hanno dichiarato ufficialmente la loro uscita dal Protocollo nel marzo 20015. All'aprile 2007 gli stati aderenti sono 169.

Il protocollo prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni inquinanti (anidride carbonica ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in misura non inferiore al 5,2% (inteso come valore medio) rispetto alle emissioni registrate nel 1990, considerato come anno base, nel periodo 2008-2012. In questa ottica, trentotto nazioni dovranno tagliare le loro emissioni di gas serra di una percentuale che varia di stato in stato, secondo le relative potenzialità: per i paesi dell’Unione Europea la riduzione media deve essere dell’8%, per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è prevista per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono invece aumentare le loro emissioni, fino all’1% la Norvegia, fino all’8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda. L'India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo. Cina, India e altri paesi in via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyoto perché essi non sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra fino ad oggi. L'Italia ha assunto l'obbligo di una riduzione del 6.5% (Tab. 2).

Stati europei Evoluzione emissioni gas serra 1990-1999

Obiettivi 2008-2012 secondo Kyoto

Austria +2,6% -13% Belgio +2,8% -7,5% Danimarca -4,6% -21,0% Finlandia -1,1% 0,0% Francia -0,2% 0,0% Germania -18,7% -21% Grecia +16,9% +25,0% Irlanda +22,1% +13,0% Italia +4,4% -6,5% Lussemburgo -43,3% -28,0% Paesi Bassi 6,1% -6,0% Portogallo +22,4% +27,0% Spagna +23,2% +15,0% Svezia +1,5% +4,0% Regno Unito -14% -12,5% Totale UE -4% -8%

Tab. 2. Quote di riduzione delle emissioni di gas serra nell'UE, secondo il protocollo di Kyoto.

Il protocollo di Kyoto prevede per i Paesi aderenti la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni: - Clean Development Mechanism (CDM): Consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti nei paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle

5 In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta.

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emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione per i Paesi che promuovono gli interventi. - Joint Implementation (JI): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite. - Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere tali "crediti" ad un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra. In tale contesto il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno approvato la Direttiva 2003/87/CE (di seguito Direttiva ETS) che ha istituito un sistema comunitario per lo scambio di quote di emissioni di gas al fine di ridurre le emissioni di CO2 “secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica”. Tale sistema consente di rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni attraverso l’acquisto dei diritti di emissione. Il sistema di Emission Trading introdotto dalla Direttiva è un sistema di tipo “Cap and Trade” che prevede la fissazione di un limite massimo (cap) alle emissioni realizzate dagli impianti industriali che producono gas ad effetto serra; tale limite è fissato attraverso l’allocazione di un determinato numero di quote di emissioni a ciascun impianto che rientra nelle categorie previste dalla direttiva (attività energetica, lavorazione dei metalli ferrosi, industria dei prodotti minerali, talune attività del settore cartaceo). Le quote (European Unit Allowance - EUA) attribuiscono il diritto ad immettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente in atmosfera nel corso dell’anno di riferimento della quota stessa, e vengono assegnate agli impianti regolati dalla Direttiva ETS attraverso i Piani Nazionali di Assegnazione (PNA); questi sono soggetti all’approvazione da parte della Commissione Europea. Gli impianti che svolgono una delle attività previste dalla Direttiva ETS (Fig. 13) a partire dal gennaio 2005 possono esercitare la propria attività solo se muniti di un’apposita autorizzazione rilasciata dall’autorità competente. In Italia le autorizzazioni sono state rilasciate con Decreti congiunti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Ministero delle Attività Produttive. Ogni anno ai gestori degli impianti verranno assegnate delle quote di emissione, previa apertura di un conto di deposito nel registro dell’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi tecnici), e tali quote dovranno essere restituite in un numero pari alle emissioni reali annuali prodotte dallo stesso impianto. L’eventuale surplus di quote (differenza positiva tra le quote assegnate ad inizio anno e le emissioni effettivamente immesse in atmosfera) potrà essere accantonato o venduto sul mercato, mentre il deficit potrà essere coperto attraverso l’acquisto delle quote. La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 euro/quota nel triennio di riferimento e di 110 euro/quota nei periodi successivi. Secondo un rapporto della Banca Mondiale e dell’Emission Trading Association, il valore degli scambi di crediti per la riduzione delle emissioni è cresciuto da 11,05 miliardi di $ nel 2005 a 21,5 miliardi di $ nei primi nove mesi del 2006. Praticamente l’intero incremento si è sviluppato sul mercato delle EUA, passato dai 324,3 milioni di t nel 2005 a 763 milioni di t nei primi nove mesi del 2006. Un andamento opposto hanno invece seguito le transazioni di tipo project-based, ossia JI e CDM. Queste cifre testimoniano come i meccanismi di tipo project-based stiano attualmente vivendo una fase di pausa di

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riflessione e ripensamento nell’ambito di un trend di lungo periodo che, tuttavia, si ha ragione di poter ritenere ancora fortemente espansivo.

Attività nel Settore Energetico - Installazioni di combustione con capacità termica superiore a 20 MW, sono esclusi impianti di incenerimento - Rifiuti (pericolosi e non) - Raffinerie di olio minerale - Forni a carbone

Metalli Ferrosi: produzione e processo - Minerali metalliferi - Produzione di ferro and acciaio

Industria dei minerali - Cemento - Calce - Vetro - Ceramica

Altri - Pasta-carta - Carta e cartone

Fig. 13. Attività previste dalla Direttiva 2003/87/CE.

6. Soluzioni per ridurre le emissioni Gli interventi per mitigare l’effetto serra passano inevitabilmente per la riduzione delle emissioni, obiettivo raggiungibile mediante

� promozione del risparmio energetico; � incremento dell’efficienza dei processi che producono energia, mediante impianti

capaci di ridurre i kg di CO2 prodotti per kWh; � sfruttamento delle fonti rinnovabili; � utilizzo dell’energia nucleare; � separazione della CO2 e relativo stoccaggio in oceani, acquiferi, pozzi esausti; � impiego di combustibili puliti, a bassa emissione di CO2, come il gas naturale.

A questi si aggiunge la riforestazione, operazione che può potenziare i meccanismi naturali di rimozione dell’anidride carbonica. Considerando che le emissioni di CO2 generate dai processi di produzione di potenza sono circa 1/3 del totale e che gli impianti di potenza rappresentano una fonte di emissioni concentrate è logico pensare di modificare opportunamente le tecnologie attualmente disponibili in funzione della cattura della CO2. Si ricorda che le tecnologie dominanti per la produzione di energia a partire dai combustibili fossili includono i cicli combinati a gas naturale (ηmedio=57%) ed i cicli a vapore con caldaia alimentata a carbone (ηmedio=40%). Gli IGCC (Integrated Gasification Combined Cycle), nonostante siano stati realizzati in scala commerciale, rappresentano un’alternativa non altrettanto appetibile sia dal punto di vista economico che da quello della continuità di esercizio.

7. Tecniche di rimozione della CO2 La separazione dell’anidride carbonica nei convenzionali impianti di produzione di energia a combustibili fossili richiede un notevole sforzo sia dal punto di vista economico che da quello energetico. In generale la CO2 deve essere separata da N2, H2O, O2 e impurità presenti nel gas. I principali motivi dell’alto costo energetico ed economico delle tecniche di separazione sono: - l’anidride carbonica è presente nei fumi in basse concentrazioni, a basse pressioni, condizioni che sfavoriscono il processo di separazione;

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- i processi di separazione sono ostacolati dal largo numero di componenti chimiche presenti (N2, CO2, H2O, O2, H2S, CO, SOx, NOx) e dalla natura corrosiva di alcune di queste specie; - il vapore acqueo presente nei gas di scarico deve essere rimosso prima di effettuare il processo di separazione; - l’anidride carbonica separata deve rimanere in pressione per essere trasportata, sotto forma di liquido, alla destinazione finale; - la domanda di utilizzo di anidride carbonica è più bassa rispetto alla quantità prodotta dagli impianti di produzione di energia, quindi il costo di separazione non può essere coperto tramite la vendita. Il tipo di tecnologia per una data applicazione dipende da molti fattori fra cui: la pressione parziale della CO2 nei fumi di scarico, la quantità di CO2 recuperata, la sensitività della tecnologia alle impurità come gas acidi e particolato eventualmente presenti nei fumi, il grado di purezza della CO2 in uscita, i costi di capitale e operativi del processo. Le soluzioni per la cattura della CO2 prodotta in un impianto di potenza si dividono in tre categorie a seconda della tipologia dell’intervento: 1) le tecnologie “post-combustione” separano la CO2 dai gas combusti per mezzo di solventi liquidi;

Criticità: Estrazione del vapore , Compressione della CO2

2) nelle tecnologie “pre-combustione” il combustibile viene fatto reagire con ossigeno separato dall’aria e/o vapore a dare CO e H2 (syngas). Il monossido di carbonio reagisce poi con il vapore in un secondo reattore: ne deriva una miscela di CO2 e H2 dalla quale si possono separare sia la CO2 che l’H2.

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Criticità: Unità di separazione dell’aria, Massificazione, Depurazione syngas, Turbina a gas ad idrogeno. 3) nell’oxyfuel combustion si utilizza ossigeno anziché aria per l’ossidazione del combustibile in modo tale da ottenere gas combusti composti da vapor d’acqua e CO2 ad alta concentrazione.

Criticità: Unità di separazione dell’aria, Boiler.

7.1. Metodi ad assorbimento chimico L’assorbimento della CO2 coinvolge una o più reazioni chimiche reversibili fra questo composto e altre sostanze come mono-, di-, tri- etanolammina6, isopropanolammina, idrossido di sodio, carbonato di sodio, carbonato di potassio. In queste reazioni si formano dei composti solidi o liquidi che, tramite riscaldamento, si dissociano liberando l’anidride carbonica e rigenerando il solvente. Questi processi richiedono: - vapore per la rigenerazione del solvente, o in maniera diretta o tramite l’utilizzo di uno scambiatore di calore, - energia elettrica per pompare il solvente e per comprimere gas, - acqua per raffreddare il gas dopo la rigenerazione. Vi possono essere notevoli vantaggi dal punto di vista del risparmio energetico utilizzando un solvente che abbia un’alta capacità assorbente a basse temperature pressioni e che sia rigenerabile ad alte pressioni. La tecnica di assorbimento tramite ammine (MEA) è la più utilizzata, anche perché è l’unica in grado di raggiungere buoni rendimenti depurativi (percentuale di recupero della CO2 pari al 98%) quando si ha di fronte un gas con basse percentuali di anidride carbonica (3÷15% in volume). Attualmente diversi impianti di potenza impiegano le ammine per la cattura della CO2 su larga scala. Lo schema tipico di un processo ad assorbimento è indicato in Fig. 14. L’impianto è composto da due colonne a riempimento, una per l’assorbimento della CO2 ed una per lo strippaggio. Nella prima colonna i fumi di scarico, dopo essere stati raffreddati, vengono in contatto controcorrente con il solvente (che in genere è composto da un mix di ammine ed 1. 6 Le ammine più utilizzate sono la Monoetanolammina (MEA), la Dietanolammina (DEA) e la

Metildietanolammina (MDEA)

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acqua) nel quale rimane intrappolata la CO2; i gas senza la CO2 escono dall’alto, mentre la soluzione che esce dalla base della colonna contenente la CO2 passata in soluzione viene convogliata nella seconda colonna; qui viene fornito calore tramite un reboiler o tramite iniezione di vapore, provocando così la rottura dei legami che la CO2 ha formato con le ammine. La soluzione rigenerata che esce dalla parte bassa della colonna di strippaggio viene utilizzata per preriscaldare il flusso in ingresso allo stripper, prima di essere reimmessa nell’assorbitore. Dalla parte alta dello stripper si ha invece un’uscita di vapore acqueo e CO2; tramite un condensatore si ha la separazione del vapore dall’anidride carbonica, che è così pronta per essere compressa e trasportata. Solitamente le torri operano ad una pressione vicina a quella atmosferica per limitare gli alti costi di compressione. La temperatura a cui lavora la torre di assorbimento può variare fra i 40 e i 65°C, mentre la torre di strippaggio opera a temperature intorno ai 100-120°C.

Fig. 14. Schema d'impianto di un processo di assorbimento e rigenerazione con ammine.

I principali problemi operativi che possono presentarsi durante questo tipo di processo sono: la corrosione, la formazione di schiume e la degradazione del solvente. La corrosione è un problema standard negli impianti che operano con ammine ed è per lo più causata dai gas acidi disciolti in soluzione. Test di laboratorio dimostrano che la corrosione aumenta al crescere della CO2 libera e del tenore di ammine nella soluzione. Altri agenti corrosivi sono i prodotti della degradazione dei reagenti, dovuti alle reazioni irreversibili fra i solventi ed i costituenti dei gas esausti. Altro problema comune in questi impianti è la formazione di schiume nelle colonne di assorbimento, dovuta alla contaminazione della soluzione da parte di idrocarburi leggeri condensati, solidi sospesi molto fini, prodotti della degradazione delle ammine o particolari agenti superficiali trasportati dai gas con conseguente riduzione dell’efficienza del processo. Non trascurabile è pure la questione relativa alla degradazione delle ammine causata dall’ossidazione. Una possibile soluzione consiste nel far passare la soluzione rigenerata su filtri a carbone attivo per eliminare la formazione di schiume ed i prodotti della degradazione delle ammine ad alto peso molecolare, la cui presenza alla lunga provoca una sempre minore rigenerabilità della soluzione.

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7.2. Sistemi a membrane Per membrane si intendono strutture solide, porose o semiporose che lasciano passare alcune specie chimiche e ne trattengono altre. Vi sono tre tipi di membrane utilizzate per i processi di trattamento dei gas: le membrane a separazione, le membrane ad assorbimento e quelle a trasporto facilitato.

Fig. 15. Rappresentazione dei processi di separazione e di assorbimento con membrane.

Le membrane a separazione sono solide e operano sfruttando il fatto che la loro struttura porosa permette il passaggio di alcune specie gassose trattenendone altre; i parametri fondamentali che le caratterizzano sono la selettività e la permeabilità. Il gas in cui è presente la CO2 è introdotto ad elevata pressione7 nel separatore a membrane, che è composto, di solito, da un grande numero di cilindri cavi formati da membrane, posti in parallelo; la CO2 passa attraverso le membrane per poi venire recuperata e compressa per il trasporto. In generale si può affermare che nei processi di separazione con membrane il costo energetico più elevato è da attribuirsi alla compressione, mentre nei metodi ad assorbimento e strippaggio chimico al calore da fornire per avere la rigenerazione del solvente. Le membrane ad assorbimento sono membrane solide microporose in contatto con un liquido assorbente. Il gas da separare viene diffuso sulla membrana, poi assorbito e rimosso dal liquido assorbente che, posto dall’altro lato della membrana, è selettivo nei confronti di una specie gassosa. In questo caso non è necessario che la membrana sia selettiva, poiché essa deve fungere unicamente da area di contatto, impedendo che il gas ed il liquido si miscelino. La selettività del processo dipende unicamente dal liquido assorbente; inoltre non è necessario che vi sia un gradiente di pressione fra il liquido assorbente e il flusso gassoso. A livello impiantistico questa soluzione risulta essere più compatta e più conveniente dal punto di vista energetico rispetto al caso delle membrane a separazione, ma pone il problema del trattamento del liquido assorbente carico di CO2, che deve comunque essere rigenerato o smaltito. Un’opzione molto interessante e di recente acquisizione è costituita dall’utilizzo di sistemi a membrane che funzionano ad assorbimento in luogo delle normali colonne a piatti, nell’ambito di impianti ad assorbimento e stripping di tipo chimico come quelli analizzati

7 Il rapporto di pressione fra il lato di alimentazione e quello permeato è di solito pari a 3

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nel precedente paragrafo. La stessa tecnologia è applicabile anche per la fase di strippaggio, riscaldando la soluzione con del vapore all’interno del desorbitore a membrane, invece che nel reboiler. Le membrane a trasporto facilitato sono liquide: la struttura di sostegno è impregnata di un liquido in grado di assorbire le specie chimiche al suo interno in maniera selettiva. La CO2 viene assorbita nel lato superiore della membrana dove reagisce con i vettori formando un composto instabile; viene poi trasportata attraverso la membrana liquida fino alla parte inferiore della stessa dove avviene il rilascio (Fig. 16).

Fig. 16. Membrana a trasporto facilitato.

Esiste la possibilità di sviluppare un processo che accoppi sistemi a membrane con quelli ad assorbimento tenendo presente che le unità ad ammine richiedono un’energia crescente all’aumentare della concentrazione di CO2 mentre le membrane a separazione risultano più efficaci per alte concentrazioni di anidride carbonica. In un sistema misto il reattore a membrane posto a monte rimuove la maggior parte della CO2, mentre le ammine vengono utilizzate per la pulizia finale dell’effluente gassoso, in modo da ottenere il rendimento depurativo richiesto. Tuttavia, allo stato attuale la tecnologia delle membrane non ha ancora raggiunto uno sviluppo tale da consentirne l’applicazione su larga scala.

7.3. Adsorbimento L’adsorbimento è un processo esotermico che realizza l’accumulo di una sostanza dispersa in fase gassosa (sostanza adsorbita) su una superficie solida (adsorbente). Le forze coinvolte nel processo sono sia di natura fisica (forze di Van Der Waals) che di natura chimica (forze di legame chimico). Il processo di de-adsorbimento, che consente il recupero e il riciclo della sostanza adsorbita e dell’adsorbente, si basa sulla reversibilità del fenomeno esotermico ad elevata temperatura ed è realizzato rimuovendo la sostanza adsorbita tramite forti riduzioni di pressione, con flussi di gas caldi o di vapore d’acqua, con l’impiego del vuoto e con tecniche combinate. In generale l’applicabilità del metodo è regolata dalla disponibilità di adsorbenti in grado di trattenere con efficienza accettabile la sostanza da rimuovere. Essendo l’adsorbimento un fenomeno di superficie, tutte le sostanze utilizzate a tale scopo sono caratterizzate da una superficie specifica elevata, dell’ordine di 1000-1500 m2/g. Altre caratteristiche richieste alle sostanze adsorbenti sono: elevate temperature di ossidazione ed elevata resistenza all’abrasione allo scopo di garantire efficienze adeguate di adsorbimento

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per più cicli di utilizzo. Per la depurazione dell’aria, il materiale adsorbente più diffuso è il carbone attivo; per l’adsorbimento della CO2 oltre al carbone attivo si utilizzano gli zeoliti, l’allumina e i gel al silicio. L’impianto di adsorbimento classico prevede che il flusso gassoso venga compresso e raffreddato prima di essere immesso in una colonna in cui attraversa la massa di adsorbente posta al suo interno. Possono essere impiegati impianti a letto fisso o a letto mobile, in cui l’adsorbente fluisce in controcorrente, in genere per gravità, rispetto al flusso di gas da trattare. L’energia richiesta è utilizzata per la compressione e il raffreddamento dell’effluente in ingresso e per la rigenerazione dell’adsorbente. Il principale vantaggio di questa soluzione consiste nella possibilità di recuperare le sostanze adsorbite, eliminando la complicazione dovuta alla gestione di scarichi residui, (ad eccezione dell’acqua di condensa, quando il deadsorbimento è realizzato con vapore). Analogamente alle membrane, anche l’adsorbimento non è attrattivo per la rimozione della CO2 in impianti di larga scala poiché la capacità selettiva degli adsorbenti è troppo bassa. 7.4. Altre tecniche di separazione Oltre ai metodi già esposti che corrispondono a quelli più diffusi, vi sono altre tecniche degne di nota: � Rimozione con solventi non riciclabili: il solvente impiegato in questo caso deve avere un costo ridotto ed un basso impatto ambientale visto che non viene rigenerato. Di solito viene usata l'acqua di mare. I costi per l'approvvigionamento dell'acqua ed il trasporto dell'effluente rimangono elevati ed incidono sulla convenienza economica di tale soluzione. � Separazione criogenica: la CO2 viene separata dagli altri gas mediante condensazione a temperature molto basse. Questa tecnica è utilizzata solo per flussi gassosi ad alta pressione ed elevata concentrazione di CO2 (>90%) tipici delle tecnologie “pre-combustione”. Lo svantaggio principale è la grande richiesta di energia per il raffreddamento; il vantaggio consiste nel disporre di CO2 liquida. 7.5. Quale soluzione scegliere? Al termine della descrizione delle tecnologie per la separazione della CO2 si può impostare un confronto fra le varie soluzioni mirato all’individuazione di quella più economica ed efficiente. La cattura della CO2, oltre a ridurre drasticamente le emissioni degli impianti di potenza (Fig. 17), comporta un aumento dei costi di investimento (Fig. 19) accompagnato dalla riduzione del rendimento del ciclo (Fig. 18) e quindi della potenza elettrica netta prodotta, a causa dell’aumento dei consumi degli ausiliari (compressori per la CO2, unità di separazione dell’aria…). Introducendo un ulteriore parametro di merito, ossia il costo relativo dell’elettricità (Fig. 20), si può concludere che la tecnologia della pre-combustione applicata in un impianto IGCC si profila come la migliore soluzione. Occorre precisare che i dati di Fig. 17 e Fig. 18 sono stati calcolati ipotizzando impianti di taglia pari a 500 MWel. Nell’IGCC la CO2 è separata mediante pre-combustione mentre negli altri due casi si è pensato ad una tecnologia post-combustione con ammine. Sono stati inclusi anche i costi per la compressione dell’anidride carbonica fino alla pressione di 110 bar. In riferimento alla Fig. 18, la riduzione del rendimento imputabile alla separazione della CO2 è compreso fra l’8 e il 13%. La penalizzazione sull’efficienza è minore per l’impianto a gas naturale perché questo produce meno CO2 per kWh prodotto rispetto a quelli a carbone. Confrontando le due soluzioni che adottano carbone, la penalizzazione sul

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rendimento è minore nell’impianto IGCC poiché la cattura pre-combustione è più efficiente di quella post-combustione.

Fig. 17. Effetto della cattura della CO2 sulle emissioni degli impianti di potenza.

Fig. 18. Effetto della cattura della CO2 sul rendimento degli impianti di potenza.

Fig. 19. Costi per la compressione e la cattura della CO2 (SCPC: supercritical pulverized coal).

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Fig. 20. Costo relativo dell’elettricità.

8. Riutilizzo e smaltimento della CO2 Una volta separata dal resto dei fumi, la CO2 viene liquefatta ad elevata pressione (>80 bar) in modo da consentirne il trasporto verso il sito di utilizzo/stoccaggio (Fig. 21). Fra i possibili utilizzi si possono citare: - processi per la produzione di composti chimici, - incremento della produzione di petrolio grezzo, - crescita di piante o alghe per la produzione di combustibili biologici. L'incremento nel recupero del petrolio (EOR = Enhanced Oil Recovery), stimato in percentuale variabile fra il 10% e il 15%, mediante CO2 è attualmente già praticato in alcuni giacimenti. In molti casi le compagnie petrolifere ricavano un guadagno dall’applicazione della tecnologia, tanto da acquistare la CO2 dai produttori (raffinerie, impianti di gassificazione del carbone, acciaierie, cementifici..). Circa 33 milioni di t. di CO2 vengono impiegate ogni anno negli USA per progetti EOR, come quello denominato Weyburn, in Canada.

Fig. 21. Diagramma di stato della CO2.

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Per quanto riguarda il sequestro della CO2, molto lavoro deve essere ancora fatto nell’ambito della ricerca scientifica: oltre alle numerose incertezze dal punto di vista dell’impatto ambientale, restano da risolvere i problemi legati alla disponibilità di siti di stoccaggio collocati possibilmente nelle vicinanze dell'impianto. Al momento le migliori proposte (Fig. 22) sono: - dispersione negli oceani; - accumulo in acquiferi salini profondi; - accumulo in giacimenti di petrolio o gas esausti; - recupero di metano da miniere di carbone.

Fig. 22. Soluzioni per il confinamento geologico della CO2.

Questo gruppo di tecnologie, che di fatto si ingegnano di rispedire “al mittente” cioè al sottosuolo il carbonio in forma ossidata dopo che è stato combusto dall’uomo partendo dalla sua forma ridotta (CH4, petrolio e carbone), si basa sull’evidenza basilare che l’anidride carbonica non è un refluo inquinante se iniettato nel sottosuolo, ma è un reagente acido che interagisce con la roccia, con i fluidi del sottosuolo e con le caratteristiche reologiche (di resistenza al taglio, di viscosità, permeabilità…) della roccia ospitante. La CO2 è, fin dalla nascita del pianeta, un componente del nostro sottosuolo come gli idrocarburi: in molti paesi esistono infatti depositi naturali di CO2 in formazioni geologiche stabili da milioni di anni. Dato che alcune situazioni geologiche hanno intrappolato idrocarburi per milioni di anni è più che ragionevole assumere che, nello stesso modo, anche la CO2 possa essere intrappolata per altrettanti milioni di anni. Per essere inviata negli strati geologici la CO2 viene compressa e portata in condizioni super critiche: presenta così una densità simile a quella dei liquidi ma proprietà di trasporto (diffusività e viscosità) più simili a quelle dei gas. Ciò consente di iniettare più facilmente grandi quantità di CO2 nelle formazioni destinate a contenerla. Queste devono essere profonde almeno 800 m, valore oltre il quale la pressione mantiene la CO2 in condizioni supercritiche. In tali siti la CO2 interagisce in vari modi con i fluidi presenti (acqua, olio,

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gas naturale) e con le matrici rocciose. I meccanismi di confinamento sono diversi ed operano su scale temporali diverse (Fig. 23). Nelle prime decine di anni prevalgono meccanismi fisici: parte della CO2 si dissolve nei fluidi di formazione ed una piccola frazione viene intrappolata dalle forze capillari nei pori della roccia. In tempi più lunghi, dell’ordine delle centinaia di anni, prevalgono meccanismi di tipo chimico: è ormai consistente la frazione di CO2 catturata dai pori delle rocce perciò iniziano processi di interazione con la matrice rocciosa che portano alla formazione di minerali. Dopo un periodo compreso fra 1000 e 10000 anni prevalgono i meccanismi di intrappolamento attraverso precipitazione di minerali. Il processo che è ben più complesso di quanto descritto dipende dalle caratteristiche fisiche, geochimiche e mineralogiche dei siti scelti per lo stoccaggio. Questi devono presentare alta porosità e permeabilità ed essere sovrastati da adeguati strati di copertura sigillanti, come avviene per i depositi di idrocarburi. I principali rischi sono connessi al trasporto ed al confinamento. Per quanto riguarda la prima operazione, il rischio non è superiore a quello del trasporto di gas naturale in condotte, peraltro già presenti in molti paesi europei. Si ricorda che la CO2, a differenza del gas naturale, non è infiammabile. Per quanto riguarda la seconda fase, i siti dovranno essere scelti lontano da aree a rischio di fagliazione superficiale in modo che siano stabili nel tempo. Il problema più grave che si potrebbe verificare in seguito all’iniezione di CO2

in un sito difettoso è la fuga di CO2 verso la superficie. La probabilità che ciò accada è estremamente ridotta e paragonabile alla fuga di gas naturale da un pozzo. Le perdite di CO2 dopo l’iniezione sono stimate minori dell’1%: all’aumentare del tempo di stoccaggio la CO2 si mineralizza ed è intrappolata definitivamente.

Fig. 23. Fenomeni di intrappolamento della CO2 in funzione del tempo.

Altri rischi di fuoriuscita sono tutti legati alla cattiva scelta del sito dovuta alle insufficienti informazioni circa la sua natura geologica. Comunque, anche se una piccola frazione dovesse sfuggire dallo strato di rocce impermeabili, l’impatto sulla biosfera sarebbe incomparabilmente inferiore a quello che si avrebbe immettendo in atmosfera tutta la CO2 prodotta.

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Dispersione della CO2 negli oceani

La CO2 catturata e liquefatta viene rilasciata in mare. La natura dell'interazione fra anidride carbonica e acqua di mare dipende dalla profondità a cui avviene il rilascio. Un fattore da tenere in considerazione è la possibilità che nel rilascio di CO2 liquida si formi un idrato solido che, essendo più denso dell’acqua, potrebbe depositarsi sul fondale. Certamente questo processo necessita di approfondimento prima che il rilascio in oceano divenga operativo al fine di evitare problemi ambientali. Infatti se le particelle che si formano sono grandi e pesanti si possono avere spesse deposizioni sul fondale con il conseguente seppellimento della fauna del fondo dell'oceano. Se al contrario si formano particelle piccole e leggere la deposizione è più lenta con diffusione su di un'area maggiore e sedimentazione di uno spessore inferiore, che può creare disturbo per possibili interferenze con sostanze nutritive. Considerazioni di tipo economico fanno propendere a favore di profondità di rilascio minori possibili e dagli studi effettuati sembra che una profondità di 800-1000 m, possa essere sufficiente per dissolvere le gocce di CO2. Accumulo in acquiferi salini profondi Gli acquiferi adatti per lo stoccaggio della CO2 si trovano a notevoli profondità e contengono acqua salata, per cui non potabile. L’anidride carbonica dissolta in acqua reagisce con i minerali presenti in loco a dare carbonati: questi dovrebbero intrappolarla in modo permanente. Uno strato di rocce impermeabile è indispensabile per minimizzare il rischio di perdite. L’iniezione di CO2 avviene in via preferenziale in rocce sedimentarie silicatiche, come nel caso del progetto Sleipner, nel Mare del Nord, dove la STATOIL effettua ogni anno lo stoccaggio di quasi 1 milione di t. di anidride carbonica ricavate dalla separazione dagli idrocarburi estratti. Accumulo in giacimenti di petrolio o gas esausti Composti da rocce porose coperte da uno strato impermeabile, questi giacimenti, in seguito al perpetuarsi dello sfruttamento della risorse petrolifere da più di 100 anni, sono in buona parte prossimi alla fine della loro vita produttiva. Risultano un ottimo contenitore per la CO2 in quanto si conosce tutto delle loro caratteristiche geologiche.

Recupero di metano da miniere di carbone Capita che i depositi sotterranei di carbone non possano essere coltivati poiché troppo esigui o profondi. Questi solitamente contengono del metano. Quando si inietta la CO2

questa si fissa al carbone meglio del metano. Quest’ultimo viene così liberato. Attraverso tale tecnica il giacimento di carbone non soltanto intrappola la CO2 ma produce pure gas naturale, a patto che il carbone non venga mai estratto. Una considerevole quantità di metano è prodotta secondo questa tecnologia negli USA: tuttavia, al momento è attivo soltanto un progetto denominato “CO2-enhanced coal bed methane” in New Mexico. Più di 100000 t. di CO2 sono state iniettate in un deposito di carbone della Alloson Unit in un periodo di tre anni. I principali progetti dimostrativi e di ricerca tuttora in corso, oltre a quello Sleipner, sono elencati in Tab. 3. Il progetto Weyburn è il più importante svolto sino ad ora negli USA. Si tratta di un’azione di recupero nel giacimento di olio Weyburn, nel sud del Canada, tramite iniezione di 5000 t./giorno di CO2 prodotta in un impianto di gassificazione nel Dakota e trasportata attraverso un gasdotto. Il progetto In Salah prende il nome dal giacimento di gas

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più importante scoperto nel deserto centrale dell’Algeria. La frazione di CO2 contenuta nel gas estratto verrà re-iniettata nelle aree periferiche del giacimento per aumentare il recupero complessivo del gas. Dal punto di vista economico, è comodo riferire i costi alla quantità di CO2 di cui si evita il rilascio in atmosfera8. Attualmente la cattura ha un costo compreso tra i 25 e i 60 euro per t di CO2 evitata. Con il procedere delle ricerche si confida nel dimezzamento di tali costi. Al confronto, i costi per il trasporto sono relativamente modesti: trasportare in condotte la CO2 per circa 100 km costa da 1 euro a 4 euro per t. CO2 evitata. I costi per il confinamento dipendono fortemente dal tipo di serbatoio naturale in cui essa viene iniettata: in acquiferi salini o giacimenti di petrolio esausti, i costi variano da 10 a 20 euro per t. di CO2. Sommando tutti questi contributi è possibile concludere che il costo medio totale per le operazioni di cattura e stoccaggio della CO2 è circa pari a 50$ per t di CO2 evitata. Le tecnologie CCS (carbon capture and storage) sono dunque competitive con le altre soluzioni per l’abbattimento delle emissioni (Fig. 24).

Fig. 24. Confronto fra le soluzioni per la riduzione delle emissioni di CO2 in termini di costo.

In conclusione si può affermare che le tecnologie CCS sebbene siano caratterizzate da livelli di maturità diversi (Tab. 4) sono di fatto già disponibili. Tuttavia lo stoccaggio geologico della CO2 può realmente contribuire a stabilizzarne la concentrazione in atmosfera soltanto se verrà applicato su ampia scala. Attualmente i principali fattori che ne limitano l’impiego sono: - il costo elevato della cattura - l’accettazione da parte della popolazione - la stesura di una legislazione che consenta di attuare il confinamento geologico. I progetti in corso mirano pertanto - ad ottimizzare le tecniche di cattura in modo da ridurne i costi, - a validare metodi per la scelta dei siti e per la valutazione dei rischi connessi,

8 Si noti che la quantità di CO2 evitata è inferiore rispetto a quella catturata, poiché l’energia spesa per la cattura equivale ad una produzione addizionale di anidride carbonica.

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- a sviluppare tecniche di controllo dell’evoluzione degli strati geologici profondi in cui la CO2 è iniettata - a definire best practice per tutte le fasi operative. Queste stanno alla base della definizione delle procedure autorizzative e delle responsabilità correlate alla scelta dei siti, alla realizzazione del confinamento ed al controllo dei siti nel breve e nel lungo periodo.

Tab. 3. I progetti di ricerca sulle tecnologie CCS.

Tab. 4. La maturità corrente dei sistemi CCS.