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Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv / 117 8. Elena Canadelli Freccia e ciclo Metafore evolutive e morfologiche della natura [email protected] “L’iguanodonte potrebbe riapparire nei boschi, l’ittiosauro nel mare, mentre il periodattilo potrebbe di nuovo svolazzare negli ombrosi boschetti di felci” C. Lyell, Principles of Geology 1. Alla domanda di Gottfried Benn – Che cosa significa che la natura non ha si- stemi? – l’unica risposta sembra essere la sua: “Bene, allora dobbiamo inse- gnargliene noi uno” 1 . Come Goethe, possiamo uscire da una situazione imba- razzante grazie un procedimento artificiale o un’esposizione artificiosa e sosti- tuire il reale con un sistema simbolico. Nei laboratori della nostra esperienza non si opera con fatti empirici ma, come suggerisce Jean-Jacques Wunenbur- ger, con finzioni ragionate e fatti immaginati che ci aiutano a “digerire” il reale. Poiché la natura sfugge da ogni lato a sistemi e classificazioni, ricorriamo a —————————— 1 G. Benn, “Goethe e le scienze naturali” (1932), in Lo smalto sul nulla, a c. di L. Za- gari, Adelphi, Milano 1992, p. 120. Benn si riferisce probabilmente al Goethe di “Proble- mi” (1823): “Sistema naturale: un’espressione contraddittoria. La natura non ha sistema, essa ha vita, essa è vita e successione da un centro ignoto verso un confine non conoscibi- le. La contemplazione della natura è perciò senza fine: si può procedere nella sua sud- divisione nei più piccoli particolari, oppure seguirne le tracce nelle dimensioni più estese e profonde”, in La metamorfosi delle piante, tr. it. di B. Groff, B. Maffi, S. Zecchi, Guanda, Parma 1983, p. 144.

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8. Elena Canadelli Freccia e ciclo Metafore evolutive e morfologiche della natura

[email protected]

“L’iguanodonte potrebbe riapparire nei boschi, l’ittiosauro nel mare, mentre il periodattilo potrebbe di nuovo svolazzare negli ombrosi boschetti di felci” C. Lyell, Principles of Geology

1.

Alla domanda di Gottfried Benn – Che cosa significa che la natura non ha si-stemi? – l’unica risposta sembra essere la sua: “Bene, allora dobbiamo inse-gnargliene noi uno” 1. Come Goethe, possiamo uscire da una situazione imba-razzante grazie un procedimento artificiale o un’esposizione artificiosa e sosti-tuire il reale con un sistema simbolico. Nei laboratori della nostra esperienza non si opera con fatti empirici ma, come suggerisce Jean-Jacques Wunenbur-ger, con finzioni ragionate e fatti immaginati che ci aiutano a “digerire” il reale. Poiché la natura sfugge da ogni lato a sistemi e classificazioni, ricorriamo a ——————————

1 G. Benn, “Goethe e le scienze naturali” (1932), in Lo smalto sul nulla, a c. di L. Za-gari, Adelphi, Milano 1992, p. 120. Benn si riferisce probabilmente al Goethe di “Proble-mi” (1823): “Sistema naturale: un’espressione contraddittoria. La natura non ha sistema, essa ha vita, essa è vita e successione da un centro ignoto verso un confine non conoscibi-le. La contemplazione della natura è perciò senza fine: si può procedere nella sua sud-divisione nei più piccoli particolari, oppure seguirne le tracce nelle dimensioni più estese e profonde”, in La metamorfosi delle piante, tr. it. di B. Groff, B. Maffi, S. Zecchi, Guanda, Parma 1983, p. 144.

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metafore, similitudini e immagini, o, nel caso del tempo, a dicotomie, pur con-sapevoli che “sono modelli semplificanti per organizzare il pensiero, non modi del mondo” 2.

Spaesati, disorientati e meravigliati come Borges di fronte all’universo che gli appare concentrato nell’Aleph in una cantina di Buenos Aires i nostri discorsi sulla natura assomigliano alle strutture sintattiche e ai modelli con cui Ernst Jünger cercava “di afferrare un frammento del mosaico del mondo, co-me si incastona un brillante nel metallo prezioso” 3. Anche se “mirare al-l’ordine, al sistema nello studio della natura ostacola e aiuta” 4, siamo costretti a inventare un alfabeto di simboli e immagini per esprimere e organizzare in maniera significativa fatti ed esperienze. A meno che non si voglia rinunciare a definizioni e modelli e inseguire l’indefinibile, perdersi nel reale, nell’infini-tamente piccolo e nell’infinitamente grande.

Ci sono immagini e metafore che scompaiono nelle nebbie dei secoli e altre che attraversano la storia e riemergono nei contesti più diversi, conser-vando tutta la loro forza e suggestione. Tra le tante, ho scelto due “metafore eterne” che riguardano il tempo: la freccia e il ciclo. Ovvero la direzione e l’immanenza, l’irripetibile unicità di ogni istante e la regolarità predittiva della legge, l’irreversibilità della storia e l’atemporalità del ciclo.

Più in generale, estendo la metafora fino a comprendere l’evoluzione e la morfologia, come due grandi possibili letture della natura, cercando di non ca-dere nella “sterilità delle dicotomie troppo facili e delle soluzioni troppo sbri-gative” 5, come quella denunciata da Paolo Rossi tra un tempo ciclico del- ——————————

2 S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo (1987), tr. it. di L. Sosio, Feltrinelli, Milano 1989, p. 22. A questo proposito Gould aggiunge: “Spesso noi tentiamo di rac-chiudere a forza il nostro mondo complesso entro i confini di ciò che la ragione umana può afferrare, contraendo in una singola linea l’iperspazio della genuina complessità con-cettuale ed etichettando poi gli estremi della linea con nomi costruiti come opposti polari, cosicché tutta la ricchezza si riduca a una singola dimensione e a un singolo contrasto di presunti opposti” (p. 203).

3 E. Jünger, Sulle scogliere di marmo (1939), tr. it. di A. Pellegrini, Mondadori, Milano 1942, p. 45.

4 J.W. Goethe, Massime e riflessioni, tr. it. di S. Giametta, Rizzoli, Milano 1992, p. 233 (Massima 1375).

5 P. Rossi, “Il paradigma della riemergenza del passato”, in Il passato, la memoria, l’oblio (1991), Il Mulino, Bologna 2001, pp. 119-120. Nel saggio “Vicissitudo rerum”, apparso nello stesso volume, Paolo Rossi ribadisce: “Non credo affatto che la modernità possa es-sere collocata sotto la categoria del tempo lineare. Credo alla compresenza e alla difficile coesistenza, nella nostra tradizione, di una concezione lineare e di una concezione ciclica del tempo e credo anche – di conseguenza – che, nella nostra tradizione, siano operanti differenti immagini del progresso o della crescita del sapere”, p. 96.

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l’antichità e uno lineare della modernità. Per molti infatti il ciclo sarebbe l’im-magine di un modo antico di concepire il tempo, caduto in rovina con l’av-vento dell’era moderna e delle sue idee di progresso, superamento e linearità. Anche se la freccia unidirezionale è certamente un presupposto teorico impor-tante per lo sviluppo della teoria dell’evoluzione e della sua interpretazione della vita come storia con un’origine e uno svolgimento – dalla scimmia ance-strale all’uomo moderno –, il ciclo non scompare, anzi. Riemerge sempre con caratteristiche che possono definirsi morfologiche in senso lato: regolarità im-manenti, tipi atemporali e leggi costanti in affinità alla convinzione goethiana che la natura non abbandona le sue grandi massime. Il tempo moderno non si lascia esaurire nell’immagine della freccia, come vedremo con la legge biogene-tica fondamentale di Ernst Haeckel, uno dei più grandi darwinisti europei del-l’Ottocento con una irresistibile passione per la morfologia.

In un libro dedicato alla scoperta del tempo profondo in geologia Ste-phen Jay Gould ben riassume la dicotomia di freccia e ciclo:

A un estremo della dicotomia – lo chiamerò la freccia del tempo – la storia è una sequenza irreversibile di eventi irripetibili. Ogni momento occupa la sua posi-zione distinta in una serie temporale, e tutti i momenti, considerati nella sequen-za appropriata, narrano una storia di eventi connessi fra loro che muovono in una direzione. All’altro estremo – lo chiamerò il ciclo del tempo – gli eventi non hanno alcun significato come episodi distinti con un impatto causale su una sto-ria contingente. Gli stati fondamentali sono immanenti nel tempo, sempre pre-senti e mai soggetti a mutamento. I moti apparenti sono parti di cicli che si ripe-tono, e differenze del passato saranno realtà del futuro. Il tempo non ha una di-rezione 6.

Le due metafore convivono nel tentativo di districare le complesse vie seguite dalla natura al di là di un ipotetico predominio della freccia all’epoca dei trionfi dell’evoluzione e del progresso: “Qualche cosa di profondo nella nostra tradi-zione richiede, per l’intelligibilità stessa, sia la freccia dell’unicità storica sia il ciclo dell’immanenza atemporale, e la natura dice di sì a entrambi” 7. ——————————

6 S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 23. Secondo Gould “quella del-la freccia del tempo e del ciclo del tempo è, se si vuole, una “grande” dicotomia, giacché ognuno dei suoi poli comprende, per sua essenza, un tema così centrale per la vita intellet-tuale (e pratica) che le persone occidentali che sperano di capire la storia devono lottare in-timamente con entrambe le nozioni: poiché la freccia del tempo è l’intelligibilità di eventi distinti e irreversibili, mentre il ciclo del tempo è l’intelligibilità di un ordine atemporale e di una struttura simile alla legge. Noi abbiamo bisogno di entrambe le cose” (p. 28).

7 Ivi, pp. 211-213, corsivo mio.

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Ogni giorno sperimentiamo la dicotomia del tempo: le cose nascono, crescono e finiscono, sappiamo che invecchieremo e che minuto dopo minuto la mattina seguirà la notte. Anche se il tempo si muove verso la varietà, il nuo-vo e l’imprevedibile, è comunque possibile fare previsioni, rintracciare inva-rianti e trovare un ordine intellegibile in ciò che continuamente muta: “Si rac-contano storie che hanno un inizio e una fine, che incominciano e terminano, che procedono secondo un modello lineare e cumulativo, che assomigliano al-le biografie degli individui. Ma si possono anche raccontare storie e biografie collocandole su uno sfondo e facendo frequente riferimento a quello sfondo nonché alle leggi o alle regolarità che lo governano” 8.

Freccia e ciclo, ma potremmo dire omologia e analogia, ovvero genealo-gia e immanenza, eredità e funzionalità. Abbiamo infatti a disposizione due diversi concetti per definire la somiglianza tra gli organismi: designiamo “co-me omologia, la conservazione passiva di caratteri condivisi in virtù di un’ascendenza comune lungo la freccia del tempo della genealogia; e come a-nalogia l’evoluzione attiva di forme simili in linee genealogiche separate in con-seguenza del fatto che principi immanenti di funzione specificano una varietà limitata di soluzioni a problemi comuni” 9. Si può andare alla ricerca dei pro-genitori e costruire maestosi alberi genealogici altamente ramificati – dalla ma-teria indifferenziata all’uomo [Fig. 1] – oppure si possono rintracciare le forme simili in virtù delle stesse funzioni, come nel caso delle ali degli uccelli o dei pipistrelli, formatesi indipendentemente per assolvere gli stessi compiti, spin-gendosi oltre i confini della natura fino all’ingegneria e all’architettura.

La tensione tra omologia e analogia riemerge nelle differenti visioni di un evoluzionista sui generis come Ernst Haeckel [Fig. 2] e di un morfologo come D’Arcy Thompson [Fig. 3]. Per quest’ultimo la forma sarebbe il risultato di leggi matematiche e fisiche, criticando l’atteggiamento di chi, come Haeckel, è alla “infinita ricerca di parentele tra esseri viventi e di alberi genealogici di es-seri morti ed estinti” 10. Il biologo non deve ricostruire il cammino del-l’evoluzione attraverso le omologie, bensì comprendere le leggi di natura im-manenti che si articolano nelle analogie: nulla fa eccezione alla regola che “Dio geometrizza sempre”. I problemi di forma non sono da far risalire alla catena filogenetica, “sono prima di tutto dei problemi matematici; i loro problemi di accrescimento sono essenzialmente problemi fisici; e il morfologo diviene ipso ——————————

8 P. Rossi, “Il paradigma della riemergenza del passato”, cit., p. 127. 9 S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 209. 10 D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma (1961), a c. di J. T. Bonner, Bollati Borin-

ghieri, Torino 1992, p. 5.

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facto uno studioso di fisica” 11. Non l’adattamento e l’eredità quindi, ma la fun-zionalità e l’efficienza meccanica sono alla base degli organismi. E non solo. Lo stesso principio per cui travi, pilastri e ponti sono costruiti in modo da re-sistere alla forza di compressione e a quella di trazione, regna infatti anche in “quel meraviglioso sistema di leve e di tiranti che costituisce lo scheletro di un animale” 12. Così come il principio di similitudine vale sia nell’arte che nella natura: oggetti, alberi e animali non possono crescere oltre una certa misura se non cambiando materiale e proporzioni. Si è provveduto insomma (come dis-se Goethe e con lui D’Arcy Thompson) affinché gli alberi non crescano fino al cielo.

Se per un evoluzionista come Haeckel ogni analogia è un’omologia, ogni somiglianza un vincolo di sangue, per un morfologo come D’Arcy Thompson a contare sono le analogie come tracce degli aspetti funzionali della forma. Per lui forme diverse rimandano ad affinità matematiche e non ad alberi genealo-gici; egli non opera con gli strumenti dell’evoluzione ma con il metodo delle coordinate su cui si basa la teoria delle trasformazioni. Una forma può essere ottenuta da un’altra deformando il sistema di coordinate: da un pesce porco-spino, per esempio, si ottiene un pesce luna senza dover parlare di discenden-za comune; se trasferito in un sistema di assi inclinati di 70 gradi, il profilo di un Argyropelecus olfersi [Fig. 4], un piccolo pesce oceanico, assomiglia a un pesce di un genere diverso, lo Sternoptyx diaphana [Fig. 5]. Contro il predominio delle affinità genetiche attraverso i lunghi e profondi tempi geologici, l’immanenza atemporale dei principi matematici e delle forze fisiche indica una nuova stra-da per lo studio delle forme:

La ricerca delle linee di discendenza ha dominato la morfologia molti anni e ha preoccupato le menti di due o tre generazioni di naturalisti. Ma noi pensiamo che sia più facile considerare che una serie graduale o successiva di forme sia dovuta a cause fisiche, e che forme matematicamente simili possano appartenere anche a forme biologicamente lontane, e che, in generale, una somiglianza for-male non possa essere una guida sicura per scoprire l’evoluzione nel tempo e i rapporti di discendenza tra le specie 13.

——————————

11 Ivi, p. 11. Per J.T. Bonner, curatore dell’edizione ridotta di Crescita e forma, D’Arcy Thompson “preferisce considerare la struttura come originata da dirette forze fisiche: mo-lecolari, nelle strutture molto piccole, e meccaniche nelle più grandi”, p. XI.

12 Ivi, p. 245. Per un approfondimento di questi temi rimando al libro di M. Maz-zocut-Mis, Gli enigmi della forma (1995), Cuem, Milano 2002, in particolare al capitolo “Mor-fologia ed estetica”, pp. 97-110.

13 Ivi, pp. 168-169. La morfologia si deve far guidare dall’analogia, tramite cui “il morfologo può indagare se due forme, all’apparenza diverse – anche se isomorfe – , pos-

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Per questo si devono rifiutare i concetti preferiti in quegli anni dai biologi: e-redità, evoluzione, successione nel tempo, discendenza da antenati remoti, ori-gine comune e adattamento all’ambiente. E “sin tanto che le forme possono essere spiegate dal gioco delle forze fisiche e le variazioni di forma possono essere interpretate come dovute alle semplici variazioni di queste, noi respin-giamo il concetto biologico di consanguineità e ci rifiutiamo di riconoscere i vaghi canoni che connettono la classificazione con la filogenesi” 14.

Le caratteristiche del ciclo riemergono in D’Arcy Thompson grazie alla capacità della matematica e della fisica di spiegare i fenomeni indipendente-mente dalla cronologia lineare della freccia: “Nell’ordine fisico e matematico della conformazione non vi è questione di sequenza di tempo. Le forze che portano alla costituzione di una sfera, di un cilindro o di un ellissoide oggi so-no le stesse di ieri e saranno le stesse domani. Un cristallo di neve di oggi è i-dentico al primo che si è formato” 15. Certo, questo ragionamento può essere applicato facilmente a rocce, minerali, semplici organismi unicellulari come i radiolari e perfino a decorazioni ornamentali simmetriche come quelle del-l’Alhambra a Granada, ma difficilmente le eterne leggi della geometria pos-sono spiegare da sole gli organismi complessi, e soprattutto la loro storia.

Del resto bisogna precisare che anche Haeckel assegna un ruolo impor-tante alla geometria e lo fa attraverso una disciplina che chiama promorfolo-gia, una sorta di cristallografia organica che si occupa di trovare “la definizione della forma fondamentale ideale [Grundform] attraverso l’astrazione dalla forma organica reale e la conoscenza di determinate leggi naturali, secondo cui la ma-teria organica costituisce la forma esterna completa degli individui organici” 16. —————————— sano essere considerate come il risultato di mutue trasformazioni. Gli enigmi della forma vengono allora tradotti in relazioni visibili tra forme affini e risultano comprensibili grazie alla immediata evidenza dei rapporti” e non grazie a complicate catene filogenetiche dif-ficilmente ricostruibili. Cfr. M. Mazzocut-Mis, op. cit., p. 183.

14 Ivi, p. 222. 15 Ibidem; per D’Arcy Thompson si può parlare di evoluzione anche senza riferirsi al

tempo: di fronte a delle piccole conchiglie commenta, “restiamo perplessi se dobbiamo considerare questa serie come ‘evolutiva’ ché non abbiamo diritto di metterla in cor-relazione col tempo. Il matematico può tracciare, per esempio, una sezione conica in un’altra ed ‘evolvere’, con una serie graduale di ellissi, il cerchio dalla retta; questa è una vera evolu-zione, sebbene il tempo non entri nella questione” (p. 220).

16 E. Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen. Allgemeine Grundzüge der organischen Formen-Wissenschaft, mechanisch begründet durch die von Charles Darwin reformirte Descendenz-Theorie, von Ernst Haeckel, Band I, Georg Reimer, Berlin 1866, p. 377, traduzione mia. La cristallografia e la promorfologia hanno il compito di trovare nella forma corporea real-mente esistente una legge ideale di simmetria e di esprimerla con una formula matematica. Haeckel si serve a questo proposito della disposizione delle parti rispetto al centro naturale

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La promorfologia quindi, come branca della morfologia, deve ricondurre la molteplicità dei corpi reali a poche forme geometriche fondamentali, a leggi di simmetria matematicamente determinabili, tanto in natura quanto nelle arti fi-gurative. Nei Lebenswunder (1904) lo zoologo si domanda come si producono le forme fondamentali e quali cause ne hanno determinato la divergenza.

Problemi simili a quelli di D’Arcy Thompson trovano soluzioni diverse: nel sistema haeckeliano infatti anche la promorfologia si sottomette alle due cause meccaniche dell’evoluzione, eredità e adattamento. Di fronte a un pub-blico colto che ricorre a una creazione soprannaturale, a naturalisti che incli-nano a concetti mistici e trascendenti, Haeckel non fa eccezioni:

Seguendo principi fondamentalmente opposti ho sempre sostenuto l’opinione che anche per l’origine e la trasformazione delle “forme fondamentali”, come per tutti gli altri processi biologici ed anorgici, danno sufficiente spiegazione l’opera delle note forze fisiche, delle meccaniche cause efficienti. Per riuscire in questo chiaro intendimento monistico e per sfuggire a quegli errori dualistici si devono solo tener sempre presenti i processi fondamentali dell’accrescimento che determinano tutte le forme organiche e anorgiche; ma allo stesso tempo ri-cordare la lunga serie di gradi lentamente ascendenti dell’evoluzione che ci con-ducono ininterrottamente dai più semplici protisti, dalle monere, su fino ai più complicati organismi 17.

Nel mondo organico come nei cristalli, nella biologia come nella geometria, le forze fisiche e meccaniche senza tempo di D’Arcy Thompson lasciano quindi il posto alle dinamiche progressive dell’evoluzione.

2. Vediamo allora come Haeckel ha sviluppato il suo personale evoluzionismo, a dimostrazione che le dicotomie non sono mai rigide e le osmosi frequenti. Tracce di una concezione ciclica e tipologica si ritrovano per esempio nella sua legge biogenetica fondamentale. Ma tutta l’opera di Haeckel può essere defini-ta “un ritorno conclamato a Goethe attraverso l’impulso fornito dalla teoria —————————— del corpo, ottenendo 4 classi di forme fondamentali articolate al loro interno: le centro-stigme, le centrassonie, le centroplane e le centraporie.

17 E. Haeckel, Die Lebenswunder, Alfred Kröner Verlag, Stuttgart 1904, p. 207, tradu-zione modificata dell’ed. italiana, Le meraviglie della vita, tr. it. di D. Rosa, Utet, Torino 1906, p. 165.

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darwiniana dell’evoluzione della specie” 18. Nella sua ricostruzione della storia della scienza Darwin non è l’unico fondatore della teoria dell’evoluzione. Ac-canto troviamo altri due protagonisti: “Tra i grandi filosofi della natura, cui dobbiamo la prima fondazione di una teoria dell’evoluzione organica e che brillano a lato di Charles Darwin come primi sostenitori del trasformismo, stanno primi Jean Lamarck e Wolfgang Goethe” 19. Si comprende quindi co-me il darwinismo di Haeckel non sia quello di Darwin, nel senso che “Haeckel non promuoveva una pura forma di darwinismo, ma un concetto tipologico di evoluzione” 20, una sorta di spiegazione meccanica della morfologia. Nel suo sistema monistico la selezione naturale occupa un posto limitato rispetto alle due vere funzioni fisiologiche formatrici della varietà degli organismi, l’eredità e l’adattamento. La selezione naturale, in maniera analoga a quella artificiale, utilizzerebbe queste due forze per produrre le diverse specie attraverso la lotta per la vita, inconscia e senza scopo.

L’accenno a una tipologia evolutiva o, se si preferisce, a un’evoluzione tipologica, mi permette di aprire una parentesi sull’interpretazione haeckeliana di Goethe come scienziato, soprattutto per quanto riguarda i temi [Leitbegriffen] della metamorfosi [Metamorphose] e del tipo [Typus], letti come reali forme gene-rative all’opera nella filogenesi. Goethe avrebbe individuato le due cause mec-caniche già in un testo del 1823:

L’idea della metamorfosi è un dono che viene dall’alto, molto solenne, ma al tempo stesso molto pericoloso. Essa conduce all’assenza di forma; distrugge il sapere, lo disgrega. È simile alla vis centrifuga e si perderebbe nell’infinito se non avesse un contrappeso: voglio dire l’istinto di specificazione, la tenace capacità

——————————

18 F. Moiso, Morfologia e filosofia, in “Annuario filosofico”, 8, 1992, p. 79. 19 E. Haeckel, Natürliche Schöpfungsgeschichte (1868), zweite, verbesserte und vermehrte

Auflage, Verlag von Georg Reimer, Berlin 1870, p. 73, traduzione modificata dell’ed. it., Storia della creazione naturale, tr. it. di D. Rosa, Utet, Torino 1892, p. 50. A questi tre autori Haeckel dedica la conferenza, Die Naturanschauung von Darwin, Goethe und Lamarck, il 18 set-tembre 1882 a Eisenach in occasione della prima seduta pubblica della 55. Versammlung Deutscher Naturforscher und Aerzte, pubblicata lo stesso anno per i tipi della Verlag von Gustav Fischer di Jena. Goethe, quindi, “già verso la fine del secolo scorso, si avvicinò tan-to ai principi della filogenesi naturale da poter essere considerato come uno dei primi pre-cursori di Darwin sebbene non gli sia riuscito come al Lamarck di elevare la teoria della di-scendenza a sistema scientifico” (E. Haeckel, Anthropogenie, zweite unveränderte Auflage, Verlag von Wilhelm Engelmann, Leipzig 1874, p. 72, traduzione modificata dell’ed. it., An-tropogenia, tr. it. di D. Rosa, Utet, Torino 1895, p. 62).

20 O. Breidbach, “The former synthesis – Some remarks on the typological back-ground of Haeckel’s ideas about evolution”, in Theory in biosciences, vol. 121, 3, Urban & Fischer Verlag, Jena 2002, p. 278, traduzione mia.

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di persistere di ciò che una volta è divenuto realtà. È come una vis centripeta che nessuna esteriorità può danneggiare nel suo fondamento più profondo 21.

In questo brano Haeckel legge senza ombra di dubbio l’azione reciproca di una tendenza a conservarsi interna al tipo e di una tendenza a variare sotto la pressione esterna dell’ambiente. E commenta:

L’“Urbild” o “Typus”, che come “comunanza intima originaria” sta alla base di tutte le forme organiche, è la forza formatrice interna che conserva il piano origina-rio e lo propaga per eredità. Per contro “l’indefesso progressivo modificarsi” che nasce “dai necessari rapporti col mondo esterno” determina come forza formatrice esterna per adattamento alle condizioni ambientali di vita l’infinita “diversità delle forme”. L’interna spinta dell’eredità, che conserva l’unità del tipo [Urbild], è chiamata da Goethe in un altro sito la forza centripeta dell’organismo, la sua tendenza specifica; in opposizione a essa egli chiama la spinta esterna dell’adattamento, che produce la molteplicità delle forme organiche, forza centrifuga dell’organismo, la tendenza a variare 22.

Avendo riconosciuto le due cause efficienti dell’evoluzione, quella centripeta dell’eredità, e quella centrifuga dell’adattamento, Goethe “dovette essere natu-ralmente condotto all’idea fondamentale della teoria della discendenza, al con-cetto che le specie affini per forma sono veramente consanguinee e che esse discendono da comuni stipiti primitivi [ursprünglichen Stammformen]” 23. Ancora una volta l’analogia è indice di una omologia: il concetto goethiano di metamorfosi diventa una progressiva differenziazione da una forma-stipite originaria [Urbild] in cui i le-gami tra le forme organiche non sono da intendersi in senso figurato, ma in senso genealogico. L’idea fondamentale di ogni teoria della discendenza – l’evoluzione graduale di tutti gli organismi da pochi esseri primordiali imper-fetti – ben si adatta per Haeckel al concetto di tipo e di Urpflanze.

Lo zoologo sembra ignorare che “il tipo rappresenta l’unità immanente. Il tipo non è un primum da cui discendano forme che più o meno se ne al-lontanino: ogni forma è come tale trasformata, ed è egualmente ‘lontana’ dal tipo come lo è qualsiasi altra. Trasformazione non significa un processo di al-lontanamento da un’origine” 24. Se per Goethe il tipo osteologico è una strut- ——————————

21 J.W. Goethe, “Problemi” (1823), in La metamorfosi delle piante, cit., p. 144. 22 E. Haeckel, Natürliche Schöpfungsgeschichte, cit., pp. 80-81, traduzione modificata del-

l’ed. it. cit., p. 54. 23 Ivi, p. 82, corsivo mio. 24 F. Moiso, “La scoperta dell’osso intermascellare e la questione del tipo osteologi-

co”, in Goethe scienziato, Einaudi, Torino 1998, p. 327. Sul problema del tipo si veda anche il saggio di Emilio Ferrario in J.W. Goethe, Gli scritti scientifici. Morfologia II: zoologia, tr. it. di C.

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tura immanente all’esperienza, “un filo conduttore generale attraverso il labi-rinto delle forme, […] un tipo generale, uno schema generale, al quale fossero subordinati sia gli esseri umani sia gli animali, e secondo il quale verrebbero comparate e giudicate le classi, i generi, le specie” 25, per Haeckel diventa una forma-stipite, un prototipo in progressiva evoluzione in rapporto all’eredità e all’ambiente.

Queste interpretazioni sono sostenute da continui richiami agli scritti na-turalistici del poeta. Nell’Antropogenia la prova è un brano tratto dalle Lezioni sui primi tre capitoli dell’abbozzo di un’introduzione generale all’anatomia comparata, fondata sull’osteologia (1796) in cui Goethe scrive:

Avremmo dunque acquisito la possibilità di affermare senza timore che tutte le nature organiche perfette, tra le quali poniamo pesci, uccelli, mammiferi e, alla testa di questi ultimi, l’uomo, si sono formate da un unico prototipo [Urbild], che soltanto si differenzia nelle sue parti assai stabili, qui e là, ora più ora meno, e quotidianamente, grazie alla riproduzione [Fortpflanzung], si sviluppa e si trasfor-ma 26.

In Haeckel il prototipo diventa lo stampo originario da cui, col passare del tempo, si sarebbero prodotte tutte le diverse specie. La metamorfosi si è tra-sformata in evoluzione, la forma custodisce e rivela la sua genealogia.

Ma anche le riflessioni sulla foglia, la vertebra e l’osso intermascellare rientrerebbero nel programma evolutivo di Goethe ricostruito da Haeckel. Già nella Metamorfosi delle piante del 1790 si riconoscerebbero le idee fondamentali della teoria dell’evoluzione: in essa “Goethe si era sforzato di riconoscere un unico organo fondamentale dal cui infinitamente vario perfezionarsi e modifi-carsi si potesse immaginare derivata tutta la ricchezza di forme che ci si pre-senta nel mondo vegetale; quest’organo fondamentale lo trovò nella foglia” 27. La stessa idea Haeckel la ritrova nella teoria vertebrale del cranio, poiché “an- —————————— Mainoldi, A. Pinotti, Il capitello del sole, Bologna 1999, pp. 295-306.

25 J.W. Goethe, “Saggio sulla forma degli animali” (1794), in J. W. Goethe, Gli scritti scientifici. Morfologia II: zoologia, cit., p. 59. Goethe parla in maniera significativa del tipo an-che nel “Primo abbozzo di un’introduzione generale all’anatomia comparata” (1795) e nel-le “Lezioni sui primi tre capitoli dell’abbozzo di un’introduzione generale all’anatomia comparata” (1796).

26 J.W. Goethe, “Lezioni sui primi tre capitoli dell’abbozzo di un’introduzione gene-rale all’anatomia comparata, fondata sull’osteologia” (1796), in J.W. Goethe, Gli scritti scien-tifici. Morfologia II: zoologia, cit., p. 183.

27 E. Haeckel, Natürliche Schöpfungsgeschichte, cit., p. 74, traduzione modificata dell’ed. it. cit., p. 50.

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che qui s’incontra di nuovo il pensiero di un tipo unico, l’idea di un unico te-ma che solo varia infinitamente nelle singole specie e nelle parti di singole spe-cie” 28. Per non parlare delle ricerche sull’osso intermascellare, la cui mancanza nell’uomo era stata considerata fino a quel momento “il più umano di tutti i caratteri umani” 29 e che dopo la grande scoperta di Goethe costituirebbe una valida prova della continuità tra l’uomo e gli altri mammiferi.

Nel tentativo di fondare una morfologia generale degli organismi e di e-laborare una filosofia biologica Haeckel inserisce idee astoriche e tipologiche in uno schema storico e temporale, influenzando a lungo gli studi sui rapporti tra Goethe e Darwin sia per chi era favorevole sia per chi si opponeva alla let-tura del poeta come precursore dello scienziato inglese. “La convinzione di Haeckel, che Goethe avesse interpretato la sua Urpflanze filogeneticamente, che il suo tipo [Typus] variabile tramite metamorfosi fosse un modello di base mutevole e formativo nel corso dell’evoluzione” 30, contava già un gruppo di oppositori negli anni ’70 dell’Ottocento: Robby Kossmann nel 1877 scriveva da Heidelberg che, nonostante l’opinione di Haeckel fosse stata criticata nel 1871 da Oscar Schmidt nel libro War Goethe ein Darwinianer?, la sua interpreta-zione era ancora inspiegabilmente accettata. Riga per riga Kossmann si pro-poneva di confutare le argomentazioni dell’evoluzionista di Jena. In riferimen-to al brano sopra citato delle Lezioni sui primi tre capitoli di Goethe e alla lettura datane da Haeckel, l’autore ne fa una questione di termini: “Essere formato [geformt] secondo [nach] un Urbild significa forse essere disceso [abstammen] da [von] un Urbild? Tutte le copie della Venere medicea sono forse figli naturali e figli dei figli della stessa? Quando Mosè dice: ‘Dio creò l’uomo a sua im-magine’, significa forse che l’uomo deriva [abstammen] da Dio?”. E qualche riga dopo aggiunge: “Pochi saranno soddisfatti di questo miglioramento del testo di Goethe, e pochi penseranno che Goethe abbia usato l’espressione Urbild, dove pensava Urform o Stammform” 31.

Anche il tipo oscilla quindi tra gli estremi della nostra dicotomia: a se-conda delle interpretazioni può essere un modello originario in evoluzione lungo la freccia del tempo o un’unità immanente ai fenomeni, catturata in e-terno nel ciclo del tempo. Nelle pagine di Haeckel “la morfologia della natura ——————————

28 Ivi, p. 75, traduzione modificata dell’ed. it. cit., p. 51. 29 Ivi, p. 76, traduzione modificata dell’ed. it. cit., p. 51. 30 M. Wenzel, “Goethe und Darwin – Der Streit um Goethes Stellung zum Darwi-

nismus in der Rezeptionsgeschichte der morphologischen Schriften”, in Goethe Jahrbuch, Band 100, 1983, p. 148 (traduzione mia).

31 R. Kossmann, War Göthe ein Mitbegründer der Descendenztheorie?, Heidelberg 1877, p. 10 (traduzione mia).

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muta il suo campo d’azione per rivelare la sua dimensione più profonda: la temporalità, la storicità” 32. Perché a volte il ciclo si presenta sotto le sembian-ze della freccia.

3.

La legge biogenetica fondamentale rappresenta un residuo, una traccia del ci-clo in una concezione, come quella evolutiva, in cui la freccia dovrebbe trion-fare [Fig. 6]. Haeckel non è stato il primo a parlare di ricapitolazione, anche se ne ha elaborato la versione più nota e popolare: prima di lui si annoverano tra i suoi sostenitori Karl Friedrich Kielmeyer, Louis Agassiz e Johann Friedrich Meckel. Quest’ultimo scrisse nel 1821: “Lo sviluppo dell’organismo individua-le obbedisce alle stesse leggi dello sviluppo dell’intera serie animale; vale a dire, l’animale più elevato, nella sua evoluzione graduale, attraversa essenzialmente gli stadi organici permanenti degli animali che stanno sotto di lui” 33.

La legge biogenetica fondamentale di Haeckel fa la sua comparsa nella Generelle Morphologie der Organismen, opera prima in due volumi, a dire il vero poco apprezzati dal pubblico in confronto ai grandi successi della Natürliche Schöpfungsgeschichte (1868) o dei Welträthsel (1899), una vera e propria “Bibbia laica” dell’epoca, con centomila copie vendute nell’anno di pubblicazione, die-ci edizioni in venti anni e traduzioni in venticinque lingue. Siamo nel 1866 e Haeckel afferma:

L’ontogenesi o l’evoluzione dell’individuo organico, come la serie dei cambia-menti di forma che ogni organismo individuale percorre durante l’intero arco della sua esistenza, è causato direttamente dalla filogenesi o dall’evoluzione della specie organica a cui appartiene. L’ontogenesi è la breve e rapida ricapitolazione della filogenesi, causata dalle funzioni fisiologiche dell’ereditarietà (riproduzione) e dell’adattamento (mante-nimento).

—————————— 32 F. Moiso, Morfologia e filosofia, cit., p. 81. 33 J.F. Meckel, “System der vergleichenden Anatomie” (1821), in W. Coleman, La

biologia nell’Ottocento (1971), tr. it. di S. Marino, Il Mulino, Firenze 1984, p. 58. Per un’ampia e articolata trattazione della teoria della ricapitolazione rimando al volume di S.J. Gould, Ontogeny and philogeny, Harvard University Press, Cambridge 1977. Nell’articolo, “Das bio-genetische Grundgesetz. Eine historische Studie”, apparso nello Zoologischer Anzeiger, XXXVIII Band 1911, J.H.F. Kohlbrugge fa un elenco di 72 sostenitori della legge biogene-tica fondamentale da Goethe fino a Haeckel: tra i tanti, troviamo i nomi di Cuvier, Geof-froy St. Hilaire, Carus, Comte e Darwin.

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L’individuo organico […] durante il rapido e breve corso della sua evoluzione individuale ripete i più importanti di quei cambiamenti di forma che i suoi pro-genitori hanno percorso durante il lento e lungo corso della loro evoluzione pa-leontologica secondo le leggi dell’ereditarietà e dell’adattamento 34.

Ci sarebbe dunque una corrispondenza tra le fasi percorse dall’individuo e quelle percorse dalla specie, dall’infanzia all’età adulta, dallo stadio meno evo-luto a quello più evoluto, dal semplice al complesso, dove la filogenesi ricopre il ruolo di causa meccanica dell’ontogenesi, come Haeckel scrisse nel-l’Anthropogenie (1874). Nella sua filosofia monistica la ricca metafora del paral-lelismo tra lo sviluppo del singolo e quello della specie trova applicazioni non solo nell’evoluzione biologica ma anche nella storia delle civiltà, per esempio per il senso estetico e artistico dell’uomo: “Ontogeneticamente dal fanciullo all’adulto, filogeneticamente dai selvaggi e dai barbari all’uomo colto e al criti-co d’arte. La filogenesi dell’uomo e dei suoi organi che nell’antropogenia ci spie-ga la graduale evoluzione [Ausbildung] dalle forme inferiori alle superiori per la reazione reciproca dell’eredità e dell’adattamento, trova anche applicazione nella storia dell’estetica e dell’ornato: essa ci insegna che anche il senso, il gu-sto, il sentimento e l’arte si sono svolti poco alla volta” 35.

La legge di Haeckel ottenne notevole successo nonostante le continue critiche e smentite diventando un motivo centrale per tutto il pensiero evolu-zionistico dopo Darwin. La ricapitolazione infatti rappresentava una valida i-potesi di lavoro per addentrarsi negli sconosciuti abissi di un lontano passato e ricostruire la lunga storia degli animali nell’immagine di un albero genealogico. Le serie dei fossili erano spesso incomplete e presupporre che gli stadi em-brionali di una forma più elevata, che aveva per questo percorso un maggior tratto evolutivo, ripercorressero stadi ancestrali non osservabili nel presente era un vantaggio troppo grande per potervi rinunciare. Osservando lo svilup-po degli embrioni si poteva tornare indietro in epoche immemorabili e istituire nessi tra le specie viventi e quelle estinte, tra l’ontogenesi e la filogenesi. La ——————————

34 E. Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen, Band II, cit., p. 300 (traduzione mia). Per Haeckel “l’ontogenia è una ricapitolazione della filogenia. Ho provato a fondare in maniera dettagliata questa teoria, che ritengo quanto mai importante, nel secondo volu-me della mia Generelle Morphologie e nella mia Anthropogenie attuata all’uomo stesso. […] L’ontogenesi, l’evoluzione di un individuo, è una breve e rapida ripetizione (ricapitolazio-ne) della filogenesi o dell’evoluzione della specie a cui appartiene, causata dalle leggi del-l’ereditarietà e dell’adattamento” (in Natürliche Schöpfungsgeschichte, IX Auflage, Druck und Verlag Georg Reimer, Berlin 1898, pp. 308-309, traduzione mia).

35 E. Haeckel, Die Lebenswunder, cit., p. 214, traduzione modificata dell’ed. it. cit., p. 170.

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legge forniva quindi uno strumento prezioso per rintracciare regolarità e ren-dere comprensibile l’imprevedibile corso del tempo. Per questo Haeckel la de-finisce il “filo rosso” che ci guida tra i fenomeni di questa meravigliosa mate-ria, “il ‘filo di Arianna’, il solo aiuto con cui siamo in grado di trovare la strada della comprensione tra questo intricato labirinto di forme” 36. Accanto al-l’anatomia comparata e alla paleontologia anche l’embriologia poteva dire la sua nella ricostruzione del cammino evolutivo [Fig. 7].

A dimostrazione della persistente validità della ricapitolazione, in un ma-nuale di embriologia dei vertebrati del 1890 si trovavano affermazioni date per certe come questa: “Lo studio dello sviluppo ci ha […] rivelato che ogni ani-male porta il marchio della sua stirpe, ed è costretto a scoprire la sua parentela nel suo proprio sviluppo […]. L’evoluzione ci dice che ogni animale ha avuto una sua linea genealogica nel passato. L’embriologia ci rivela questa origine perché o-gni animale nel suo sviluppo ripete la sua storia, sale di nuovo il suo albero genealogico” 37. Una precisazione: Haeckel si riferiva alla ricapitolazione di antenati adulti. Ma le branchie presenti nell’embrione umano, ad esempio, non rappresentano più per gli evoluzionisti di oggi come Gould la ripetizione di un pesce adulto, ben-sì uno stadio embrionale comune a tutti vertebrati. In questo senso “costitui-scono la prova di una discendenza comune, non di un parallelismo fra gli stadi del-l’ontogenesi e della filogenesi” 38.

Non solo l’embriologia della seconda metà dell’Ottocento subiva il fasci-no della teoria della ricapitolazione, a dimostrazione di come le idee della bio-logia hanno influenzato la cultura tedesca di quegli anni al di là dei confini specialistici. Continui riferimenti e suggestioni si ritrovano nella fisiologia, nel-l’antropologia, nelle teorie sociali e nella psicologia dell’epoca, per esempio in Sigmund Freud, formatosi durante il trionfo dell’haeckelismo. Echi del dibat-tito evoluzionista si fanno sentire soprattutto durante i suoi studi di medicina a Vienna con il corso di Biologia generale e darwinismo dello zoologo Claus, se-guace di Lamarck e di Haeckel, e nei suoi primi lavori, indicativi “di una riusci-ta assimilazione di quella visione dinamica darwiniana, filtrata attraverso la di-vulgazione di Haeckel, appartenente allo Zeitgeist dell’epoca, che rappresentava uno tra gli aspetti che più lo entusiasmavano della scuola di Vienna e che in- ——————————

36 E. Haeckel, Anthropogenie, cit., p. 9, traduzione modificata dell’ed. it. cit. 37 In W. Coleman, op. cit., p. 60, corsivo mio. 38 S.J. Gould, Ontogeny and phylogeny, cit., p. 204, corsivo mio. Ricordo che la teoria

della ricapitolazione, sostenuta per esempio da Meckel, era già stata criticata da Karl Ernst von Baer nel 1828: gli embrioni sono simili solo all’inizio, poi divergono l’uno dall’altro in maniera crescente. Nonostante la correttezza delle argomentazioni di von Baer, le sue ar-gomentazioni passarono sotto silenzio, soprattutto dopo la campagna di Haeckel.

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fluenzò il primo ventennio delle sue ricerche” 39. Freud vedeva nella nevrosi non solo una regressione all’infanzia, ma anche all’uomo primitivo, al selvag-gio. L’individuo nella malattia scavalca se stesso e regredisce agli inizi dei tem-pi perché gli individui sono tracce di ciò che è stato, di una genesi e filogenesi remota, anche se non ne hanno più memoria.

In settori diversi e con modalità specifiche la dicotomia di freccia e ciclo riemerge quindi nel parallelismo tra lo sviluppo del singolo e quello della spe-cie, tra la storia degli individui e quella dei popoli. Ancora una volta metafore evolutive convivono con metafore morfologiche.

La legge biogenetica fondamentale si basa su un particolare modo d’in-tendere la materia, la memoria e l’ereditarietà. È senza dubbio vero – come scrive Borges alla fine dell’Aleph – che la nostra mente è porosa per l’oblio e che sotto la tragica erosione degli anni dimentichiamo anche i tratti delle per-sone amate, ma nel monismo di Haeckel questo non è un problema, visto che ogni singola cellula, ogni grumo di materia indifferenziata ha proprietà “psi-chiche”, tra cui la memoria. Il sostrato materiale e attivo di tutta la natura Ha-eckel lo chiama plasma o protoplasma, ovvero plasma senza struttura, una sor-ta di composto chimico costituito soprattutto dal carbonio, l’elemento bioge-no principale, il “creatore del mondo organico” e dei fondamentali composti albuminoidi e proteici alla base della vita. Gli organismi non sarebbero che corpi plasmatici, differenti solo per il grado più o meno complesso di organiz-zazione e sviluppo: tutte le loro proprietà vitali, anche le più alte e perfette, di-pendono dalle caratteristiche fisiche e chimiche del plasma.

Haeckel rintraccia e segue le facoltà presenti in massimo grado nell’uomo fin nel regno dell’inorganico: il plasma è senziente, irritabile, dotato di volontà e di emozioni, come nel fenomeno dell’attrazione-simpatia e repulsione-antipatia tra gli atomi. Le affinità elettive non sono solo quelle di cui narra Goethe, ma anche quelle che portano due molecole di idrogeno e una di os-sigeno a unirsi per formare una molecola d’acqua. Tra l’uomo e le forme di vi-ta inferiori ci sono quindi solo differenze quantitative e non qualitative. Grazie al comune sostrato materico che sente, vuole, ricorda e “pensa”, anche

il fenomeno più meraviglioso della natura, che per tradizione designiamo col nome di spirito o di anima, è una proprietà affatto generale degli esseri viventi. In tutta la materia vivente, in tutto il protoplasma si devono ammettere i primi elementi della vita dell’anima, la forma semplice di sensazione di piacere e dolore, la forma

——————————

39 A. Aparo, M. Casonato, M. Vigorelli, Modelli genetico-evolutivi in psicoanalisi, Il Muli-no, Bologna 1989, p. 70.

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semplice di movimento di attrazione e repulsione. Solo i gradi dello sviluppo e della complessità di quest’“anima” sono diversi nei vari esseri viventi; questi ci con-ducono dalla quieta anima cellulare attraverso una lunga serie di gradini inter-medi sino all’anima umana cosciente e ragionante 40.

Per la sua interpretazione della memoria Haeckel si ispirò soprattutto alle teo-rie del fisiologo Ewald Hering e alle ricerche del suo allievo, Richard Semon, come non manca di ripetere in più punti della sua opera:

Già trent’anni or sono Ewald Hering ha definito in uno scritto denso di pensie-ro “la memoria come una funzione generale della materia organizzata”, ed ha ri-levato l’alto significato di questa attività psichica “cui dobbiamo quasi tutto ciò che siamo e ciò che abbiamo” (1870). Più tardi (1876) io ho sviluppato di più questo pensiero, ed ho cercato di basarlo nella sua applicazione feconda alla teo-ria dell’evoluzione nel mio lavoro sulla “perigenesi dei plastiduli […]”. Io ho cercato di dimostrare colà, che la “memoria incosciente” è una funzione impor-tantissima generale di tutti i plastiduli 41.

La memoria come proprietà fondamentale della materia spiegherebbe una del-le due cause dell’evoluzione, la tendenza dei caratteri a conservarsi. Per Hae-ckel infatti l’eredità è la memoria incosciente e inconsapevole dei plastiduli, le molecole di plasma alla base della vita, istituendo così una relazione di identità tra i processi della memoria e quelli dell’eredità. La legge biogenetica fonda-mentale s’inquadra quindi in una filosofia della natura in cui la materia è capa-ce di trattenere informazioni, ogni fibra ricorda, ogni cellula (come direbbe Benn) custodisce il passato, i progenitori, le Madri, la massa ereditaria, la storia ontogenetica e quella filogenetica.

Certo, come scrive Gould, “le somiglianze complesse della genealogia organica sono conservazioni passive di un’ascendenza comune: contingenze di percorsi storici, non registrazioni di regolarità immanenti” 42, eppure l’ontoge- ——————————

40 E. Haeckel, “Zellseelen und Seelenzellen”, in Deutsche Rundschau, 1878, p. 40, tra-duzione e corsivo mio. Per un approfondimento di questi temi rimando all’articolo di P. Bellinazzi, “Panpsichismo e psicologia nel pensiero di Ernst H. Haeckel”, in Storia e critica della psicologia, dicembre 1982.

41 E. Haeckel, Problemi dell’universo (Die Welträthsel, 1899), tr. it. di A. Herlitzka con ag-giunte del Prof. Enrico Morselli, Utet, Torino 1904, p. 160. Haeckel continua: “Ho insisti-to espressamente che suppongo incoscienti queste attività psichiche di sensazione e di volon-tà, che si possono attribuire agli atomi; incoscienti, come la memoria elementare che anch’io considero, seguendo l’eminente fisiologo Ewald Hering (1870), come ‘una funzio-ne generale della materia organizzata’ (o meglio, della ‘sostanza vivente’)” (p. 242).

42 S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 208.

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nesi è una breve e rapida ricapitolazione della filogenesi. Questo significa che nello sviluppo imprevedibile e lineare dell’individuo sono all’opera regolarità immanenti e che mentre si percorre la freccia del tempo si ripetono eventi già accaduti. Il passato riaffiora nel presente, “viviamo sopra antichi templi e non lo sappiamo più” 43: la vita irripetibile di ognuno è traccia di momenti che ri-tornano uniformemente, così come per Haeckel l’embrione ricapitola le fasi precedenti dell’evoluzione. In altre parole, potremmo dire che nel singolo si ri-trova il tipo, nell’individuo la specie, nella psiche il passato ontogenetico e fi-logenetico dell’uomo. Al di là della sua correttezza, la ricapitolazione trae forza dalla capacità di esprimere la compresenza di freccia e ciclo, evoluzione e mor-fologia.

La ruota del tempo continua a girare e lascia cadere nel mondo il suo ca-rico sempre nuovo di uomini e civiltà, animali e piante. Ma ogni novità è, in realtà, oblio di ciò che è stato, ogni freccia è dimenticanza di un ciclo.

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43 G. Benn, op. cit., p. 122.

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MATERIALE ICONOGRAFICO

[Fig. 1] Albero genealogico dell’uomo. Disegno per la tavola XII della Anthropogenie (1874)

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[Fig. 2] Ernst Haeckel (Potsdam 1834-Jena 1919)

[Fig. 3] D’Arcy Wentworth Thompson (Edimburgo 1860-Saint Andrews 1948)

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[Fig. 4] Trasformazione dell’Argyropelecus olfersi in Sternoptyx diaphana, da Crescita e forma [Fig. 5] Trasformazione di un pesce del genere Scarus in uno del genere Pomacanthus,

da Crescita e forma

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[Fig. 6] Legge biogenetica fondamentale. Tavole XII e XIII della Anthropogenie, 6. ed.

(1910)

[Fig. 7] 1907: allestimento presso il Volkshaus di Jena in occasione della conferenza di Haeckel, Das Menschenproblem und die Herrentiere von Linné.