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L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN AMERICA
“Mamma mia dammi cento lire
che in America voglio andare…”
- LAVORO DI RICERCA -
CLASSE 3^I SCUOLA SEC. DI 1° GRADO “G. PASCOLI” - ANNO SCOLASTICO 2018/2019
PERCHÉ GLI ITALIANI LASCIARONO IL PROPRIO PAESE? La parola America era diventata in Italia, nel corso
dell’Ottocento e del primo Novecento, una parola quasi magica:
terra delle promesse, della modernità, del sogno metropolitano,
della democrazia…Un mito alimentato dalla certezza di trovare
lavoro e dalla speranza di avere una vita migliore.
In fuga da uno Stato che si ricorda dei suoi figli solo quando li
deve richiamare in guerra o imporre nuove tasse, gli emigranti
italiani decidono di fuggire dalla fame e dalla miseria, e molti
scelgono gli Stati Uniti come nuova patria in cui riacquistare la
dignità attraverso il lavoro.
Tra le cause principali dell’emigrazione italiana ci fu la povertà, nonché la mancanza di terra da
lavorare, specialmente nell’Italia meridionale. Altre motivazioni sono dovute ai problemi politici
interni, all’insicurezza causata dalla criminalità organizzata, alla sovrappopolazione (soprattutto
nell’Italia meridionale, che trasse origine dal miglioramento delle condizioni socio-economiche
del Paese, avvenuto nei primi decenni dopo l’unificazione nazionale).
Tra il 1861 e il 1985 gli italiani che sono emigrati sono stati circa 29 milioni: di questi, più di
10.000.000 sono successivamente tornati in Italia, mentre circa 18.000.000 si sono definitivamente
stabiliti all’ estero senza fare più ritorno.
LA PARTENZA FU ORGANIZZATA O IMPROVVISATA? Si può dire che le innumerevoli partenze verso l’America
di milioni di italiani furono principalmente organizzate.
Inizialmente partivano dall’Italia solo gli uomini e, dopo
aver trovato una casa e un buon lavoro, arrivava anche il resto
della famiglia composta da donne e bambini.
Ci potevano essere dei casi, però, in cui partivano tutti i
membri della famiglia insieme, con la speranza di trovare fin
da subito una buona sistemazione e migliori condizioni di vita.
«E IL VIAGGIO NON FINIVA MAI…» La traversata degli emigranti italiani, per arrivare sulle tanto desiderate
coste americane, durava molti giorni, vissuti in condizioni precarie.
All’interno delle navi spesso scoppiavano molte epidemie e si verificavano dei veri e propri naufragi
che portavano alla morte di migliaia di emigranti.
Questo accadde poiché gli emigranti si affidavano a chiunque, anche a coloro che si arricchivano
sfruttando la disperazione della gente.
Le condizioni igieniche all’interno delle navi erano disumane e talvolta molte persone morivano.
Molte navi trasportavano un numero di persone superiore a quello possibile, quindi anche la
sicurezza scarseggiava.
Il trasporto di emigranti fu un grosso affare per la marina mercantile italiana e consentì ai porti
italiani di inserirsi nel mercato internazionale dei trasporti marittimi in cui, fino ad allora, avevano
occupato una posizione marginale.
Le condizioni dell’emigrante alla partenza (relative ad età, cultura, motivazioni) influivano sulle
sensazioni suscitate dall’attraversamento dell’Oceano.
Il viaggio assumeva spesso i tratti di un’esperienza indimenticabile, una sorta di rigenerazione
prima di entrare in una realtà completamente nuova.
LE PRIME SENZAZIONI NEL PAESE STRANIERO E L’ARRIVO A ELLIS ISLAND
Lo sbarco racconta però un’altra
storia, un’altra America... Tutti gli
emigranti della terza classe venivano
portati a Ellis Island, un’isola di tre
ettari nella baia di New York, dotata
di strutture di accoglienza degli
aspiranti cittadini americani e fino al
1954 “porta d’ingresso per
l’America” (gli altri passeggeri,
quelli della prima e seconda classe,
erano visitati sommariamente sulla
nave). A Ellis Island i nuovi arrivati
erano sottoposti a ispezioni mediche
e legali perché negli USA non
dovevano entrare né malattie
contagiose, né delinquenza, né forme
di disabilità. Se i medici, in questa
prima fase di controllo dello stato di
salute dei migranti, riscontravano
qualche anomalia, segnavano con un
gesso delle sigle sui loro abiti.
Dalla nebbia emerge la Statua della Libertà.
Grida di gioia e cappelli sventolano al cielo.
UNA VOLTA ARRIVATI…LE ASPETTATIVE VENGONO TRADITE Se gli immigrati passavano i controlli dovuti, non iniziavano subito con un lavoro considerato ben
renumerato, ma venivano sfruttati nelle miniere o nei lavori più umili e faticosi che erano disprezzati
da gran parte della società.
A rendere ancor più difficili le loro esistenze, erano i forti pregiudizi degli abitanti dei Paesi che li
accoglievano: agli italiani venivano attribuiti aggettivi quali “sporchi, pigri, infidi, dei selvaggi
pronti a estrarre il coltello alla prima occasione…”
Sarebbero dovuti trascorrere ancora parecchi decenni prima di arrivare ad una loro buona
integrazione.
L’AMERICA LATINA È PIÙ OSPITALE…
Gli italiani che scelsero come destinazione i Paesi dell’America Latina - Perù, Uruguay, Brasile, ma
soprattutto l’Argentina - ebbero invece un’accoglienza migliore.
A differenza degli altri Stati, qui erano più benvoluti perché nel corso dell’‘800 avevano partecipato
attivamente alle rivoluzioni che avrebbero poi dato vita agli Stati sudamericani moderni.
L’Argentina divenne come una «seconda patria» e nel 1925 vivevano nel Paese oltre due milioni e
mezzo di italiani e anche i meno intraprendenti avevano la possibilità di fare fortuna.
Gli italiani trovarono sollievo nell’emigrazione perché in Argentina c’era grande disponibilità di
lavoro (ad esempio tante città ancora da costruire e campagne che avevano bisogno di essere
occupate e coltivate).
Little Italy (in italiano “Piccola Italia”) è un piccolo quartiere di New York
situato all’interno del distretto di Manhattan.
Un tempo era popolato da moltissimi italo-americani e italiani che decisero
di stabilirsi in questo quartiere. A partire dalla metà del 1900, però, iniziò a
perdere molti dei suoi abitanti, i quali si spostarono nelle zone più periferiche
di New York. Da allora la sua estensione si è ridotta notevolmente e soprattutto la zona più a nord
ha perso l’aspetto tipicamente italiano.
Little Italy oggi conta un numero di abitanti pari a solo 2000 persone. Il patrono di questo
quartiere è San Gennaro, lo stesso patrono di Napoli.
LITTLE ITALY
ALCUNE TESTIMONIANZE
«Un sentimento nuovo e piacevolissimo mi riempiva l’anima ,che non si può provare in nessun luogo, in nessuna condizione al mondo, fuorché sopra un piroscafo che attraversi l’Oceano: il sentimento d’un’assoluta libertà dello spirito (…). Venti giorni di orizzonte senza limiti, di meditazione senza disturbo, di pace senza timore, di ozio senza rimorso. Un lungo volo senza fatica attraverso un deserto sterminato, davanti a uno spettacolo sublime, dentro un’aria purissima, verso un mondo sconosciuto, in mezzo a gente che non si conosce.» (di Edmondo De Amicis)
Nel 1894 Edmondo De Amicis viaggiò da Genova in
Argentina a bordo del piroscafo «Nord America» insieme a
1600 emigranti italiani.
Pubblicato nel 1889, il romanzo «Sull’oceano» racconta i
ventidue giorni di quel viaggio ed ottenne uno straordinario
successo, divenendo un modello obbligato per coloro che si
accingevano a scrivere della traversata transoceanica.
Nelle parole di De Amicis, la nave appare come un piccolo
Stato: l’aristocrazia viaggia in prima classe, la borghesia in
seconda, la gente comune alloggia in terza classe, il
comandante e gli ufficiali rappresentano il governo e la
magistratura.
« E gli emigranti affollati verso poppa guardavano le porte del salone e i passeggeri con un occhio
più torvo del consueto (…). Perché, insomma, eravamo noi che rubavamo loro tanta parte del
piroscafo, ingombrando noi soli, tra men di cento, quasi altrettanto spazio di quello che occupavan
essi, che erano un popolo (…). Essi erano stufi alla fine di quel lungo contatto con l’agiatezza
spensierata , di sentirsi come pigiati nella propria miseria, dentro a quella piccionaia piena di stracci
e di odori cattivi.»
IL VIAGGIO DEL GIOVANE DAMASO SENEGHINI,
EMIGRATO IN AMERICA NEL 1906
Lasciò l’Italia il 25 agosto 1906 e viaggiò in terza classe
come la maggior parte delle persone a bordo.
Appena arrivato ad Ellis Island, un fuzionario gli chiese
quanti soldi avesse con sè e lui rispose di avere dieci
dollari. Il funzionario lo portò poi da un medico che constatò che era sano e lo fecero passare.
In seguito, nella Sala Registri, scrissero la sua nazionalità: Italiana, e la razza, anch’ essa Italiana;
poi lo misero “sotto torchio” chiedendogli se fosse poligamo, anarchico, che lavoro facesse, se
fosse mai stato in carcere e da chi sarebbe andato ad abitare. Egli rispose che lo avrebbe
ospitato Antonio Morri, ma il funzionario capì male e scrisse “Marri”, però Damaso non lo
corresse poiché analfabeta come circa il 70% degli emigranti italiani.
Il giovane si sistemò a Mulberry Streat, nel cuore di Little Italy.
ESTRATTO DA PANE,VINO E ANGELI (di Anna Paletta Zurzolo)
[...] Quando al mattino mio padre e mia madre si svegliarono, rabbrividirono dal freddo e la maglia della bambina che mio padre aveva appeso ad asciugare la sera precedente, era ancora bagnata. Così mio padre dovette avvolgere mia sorella in una coperta. Che razza di America era questa, pensavo, quando sentivo quello che mia madre diceva nella lettera. Ma l’America era una realtà o era solo un sogno? Era forse un miraggio, un accecante trucco che la luce del sole giocava alla mia mente?
[...] Non conoscevo mio padre. Non ricordavo la sua faccia. C’era una fotografia di un uomo sopra il nostro armadio accanto al letto. Mia zia diceva che era mio padre ma io non le credevo. Nessun uomo vestito con un abito di lana così bello, migliore di quello del padre di Maria Pia, che stava in piedi su un pavimento di marmo lucente, avrebbe dovuto partire per l’America o per qualunque altro posto.
I poeti popolari del meridione italiano chiamavano il momento della partenza dell’emigrante «spartenza» (separazione), per indicare un distacco violento e doloroso.
Un flusso di migranti italiani avevano già scelto di andare negli Stati Uniti tra la fine del 1700 e la prima metà del 1800: molti erano dissidenti politici, gli sconfitti dei moti del 1848, ai quali l'esilio negli Usa era dato come possibilità alternativa al carcere. Tra questi ci fu Giuseppe Garibaldi, che arrivò a New York nel 1850. Egli era già una celebrità per le sue imprese militari, ma questo non gli impedì di cercarsi un lavoro. Per un anno fece l'operaio in una fonderia; in compenso, durante l'esperienza americana, si fece molti amici che in seguito finanzieranno anche la spedizione dei Mille, quando rientrerà in Italia.
Il viaggio in nave verso le Americhe, che durava circa 12 giorni, costava meno del biglietto del treno per il nord dell'Europa.
Gli italiani in America vengono apostrofati in molti modi: durante la grande immigrazione il nomignolo più in voga era "wop", acronimo di "without official papers" (senza documenti ufficiali), che ad alcuni ricorda la parola “guappo”.
CURIOSITÀ!