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MENSILE DI INFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZE ANNO LXXII - NN. 467-468 lug.-ago. 2009 - Poste Italiane SpA - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma ENRICO MATTEI, CHI ERA COSTUI? Tentare di fare il ritratto di Enrico Mattei, del- l’uomo e del manager, non è un problema di facile risoluzione. Il personaggio che ha creato l’impero energetico italiano, l’Ente Nazionale Idrocarburi, aveva caratteristiche così singolari da sfuggire alla descrizione di quello che si dice uno stereotipo. Ogni ritratto ha il suo punto focale e le sue angola- ture e, quindi, il prodotto dipende dalla metodologia con cui viene rappresentato. In quest’analisi si parte dal punto di vista non facile, quello di uno che ha lavorato in una scia tracciata da una macchina che era già passata. I ricordi di quelli che avevano lavorato a stretto con- tatto con lui, l’aria dei corridoi dove aveva cammi- nato, le sue paure, i suoi tratti di severità e di bontà, sono tutte caratteristiche che la classe dirigente del- l’ENI ha incorporato nel suo DNA. Una in partico- lare ha unificato tutti i giudizi dei suoi più stretti collaboratori: Mattei era il Grande Capo. Capi si diventa non perché qualcuno ti conferisce dei gradi da appiccicare sulla divisa ma perché sono le perso- ne che lavorano per te che ti riconoscono il carisma, l’intelligenza, la visione strategica dei problemi. Mattei, però, non era solo un Capo per i suoi dipen- denti ma lo era anche per quelli che lo avevano designato a Commissario liquidatore dell’Agip. Personaggi come Enrico Mattei non nascono molto spesso: il manager era indubbiamente di grande valore ma anche l’uomo non lo era da meno. Per inquadrare bene questo lato della sua per- sonalità vale la pena di raccontare un semplice epi- sodio avvenuto a Roma: una sera Mattei arriva al distributore Agip situato accanto a Ponte Flaminio, la sua mitica giulietta aveva un problema e a lui la macchina serviva per il giorno dopo. Il gestore del- l’impianto chiama Mario, un meccanico di 16 anni che lavorava per lui nell’officina, e lo mette al lavo- ro. Mario lavora tutta la notte, crea anche un pezzo di ricambio al tornio ed il giorno dopo la macchina è pronta e funzionante. Mattei arriva, chiede chi avesse fatto il lavoro e si fa accompagnare da Mario. Scopre che Mario lavora in una posizione innaturale, supino nella buca scavata nel terreno. Mattei lo chiama, lo ringrazia e contemporanea- mente da istruzioni al gestore e, poi, al management Agip per far si che i meccanici delle stazioni di ser- vizio Agip da allora in avanti lavorassero in condi- zioni più umane: in una posizione non supina ma, grazie ad una trincea più profonda, eretta. Qualche giorno dopo arrivarono alla stazione di servizio due funzionari dell’Agip, chiesero di Mario e gli consegnarono a nome dell’ingegner Mattei un assegno cospicuo, con cui Mario si comprò il moto- rino. Per Mario fu una svolta: smise di prendere due autobus per recarsi al lavoro e di fare un pezzo di strada a piedi, da Ponte Milvio al distributore Agip di Ponte Flaminio. Mattei amava il suo ruolo di manager ed era, perciò, molto attento alle condizio- ni, anche di vita, in cui operavano i suoi dipendenti. Mario è ancora vivo e continua ad operare nella stessa officina dell’Agip accanto a Ponte Flaminio. All’estero Mattei è conosciuto, stimato e temu- to sia per il carattere che per l’intelligenza con cui promuoveva il business petrolifero dell’ENI. Quan- do Gronchi lo presenta a Charles De Gaulle, il Pre- sidente francese tendendogli la mano lo saluta: Comment ça va, Votre Majesté?”. Non è un “re” ma è considerato l’italiano più potente d’Italia, Vati- cano compreso. Dall’analisi della sua vita emerge la figura di un leader, che ha una visione strategica del suo business, che non è finalizzato a i soli interessi aziendali ma all’unico ed ossessivo interesse del suo Paese. IL SUO PIANO STRATEGICO: DAL FIFTY -FIFTYDELLE MAJORS AL 75% DELL ’ENI. Mattei non era un carneade qualsiasi arrivato ENRICO MATTEI: RITRATTO DI UN UOMO CHE AMAVA IL SUO PAESE

ENRICO MATTEI: RITRATTO DI UN UOMO CHE … luglio-agosto09.pdfIl suo piano era un’au-tentica bomba in quanto non solo permetteva all’I-talia di avere accesso alle fonti di energia

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MENSILE DI INFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZEANNO LXXII - NN. 467-468 lug.-ago. 2009 - Poste Italiane SpA - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma

ENRICO MATTEI, CHI ERA COSTUI?Tentare di fare il ritratto di Enrico Mattei, del-

l’uomo e del manager, non è un problema di facilerisoluzione. Il personaggio che ha creato l’imperoenergetico italiano, l’Ente Nazionale Idrocarburi,aveva caratteristiche così singolari da sfuggire alladescrizione di quello che si dice uno stereotipo.Ogni ritratto ha il suo punto focale e le sue angola-ture e, quindi, il prodotto dipende dalla metodologiacon cui viene rappresentato.

In quest’analisi si parte dal punto di vista nonfacile, quello di uno che ha lavorato in una sciatracciata da una macchina che era già passata. Iricordi di quelli che avevano lavorato a stretto con-tatto con lui, l’aria dei corridoi dove aveva cammi-nato, le sue paure, i suoi tratti di severità e di bontà,sono tutte caratteristiche che la classe dirigente del-l’ENI ha incorporato nel suo DNA. Una in partico-lare ha unificato tutti i giudizi dei suoi più stretticollaboratori: Mattei era il Grande Capo. Capi sidiventa non perché qualcuno ti conferisce dei gradida appiccicare sulla divisa ma perché sono le perso-ne che lavorano per te che ti riconoscono il carisma,l’intelligenza, la visione strategica dei problemi.Mattei, però, non era solo un Capo per i suoi dipen-denti ma lo era anche per quelli che lo avevanodesignato a Commissario liquidatore dell’Agip.Personaggi come Enrico Mattei non nascono moltospesso: il manager era indubbiamente di grandevalore ma anche l’uomo non lo era da meno.

Per inquadrare bene questo lato della sua per-sonalità vale la pena di raccontare un semplice epi-sodio avvenuto a Roma: una sera Mattei arriva aldistributore Agip situato accanto a Ponte Flaminio,la sua mitica giulietta aveva un problema e a lui lamacchina serviva per il giorno dopo. Il gestore del-l’impianto chiama Mario, un meccanico di 16 anniche lavorava per lui nell’officina, e lo mette al lavo-ro. Mario lavora tutta la notte, crea anche un pezzo

di ricambio al tornio ed il giorno dopo la macchinaè pronta e funzionante. Mattei arriva, chiede chiavesse fatto il lavoro e si fa accompagnare daMario. Scopre che Mario lavora in una posizioneinnaturale, supino nella buca scavata nel terreno.Mattei lo chiama, lo ringrazia e contemporanea-mente da istruzioni al gestore e, poi, al managementAgip per far si che i meccanici delle stazioni di ser-vizio Agip da allora in avanti lavorassero in condi-zioni più umane: in una posizione non supina ma,grazie ad una trincea più profonda, eretta.

Qualche giorno dopo arrivarono alla stazione diservizio due funzionari dell’Agip, chiesero di Marioe gli consegnarono a nome dell’ingegner Mattei unassegno cospicuo, con cui Mario si comprò il moto-rino. Per Mario fu una svolta: smise di prendere dueautobus per recarsi al lavoro e di fare un pezzo distrada a piedi, da Ponte Milvio al distributore Agipdi Ponte Flaminio. Mattei amava il suo ruolo dimanager ed era, perciò, molto attento alle condizio-ni, anche di vita, in cui operavano i suoi dipendenti.Mario è ancora vivo e continua ad operare nellastessa officina dell’Agip accanto a Ponte Flaminio.

All’estero Mattei è conosciuto, stimato e temu-to sia per il carattere che per l’intelligenza con cuipromuoveva il business petrolifero dell’ENI. Quan-do Gronchi lo presenta a Charles De Gaulle, il Pre-sidente francese tendendogli la mano lo saluta:“Comment ça va, Votre Majesté?”. Non è un “re”ma è considerato l’italiano più potente d’Italia, Vati-cano compreso. Dall’analisi della sua vita emerge lafigura di un leader, che ha una visione strategica delsuo business, che non è finalizzato a i soli interessiaziendali ma all’unico ed ossessivo interesse delsuo Paese.

IL SUO PIANO STRATEGICO: DAL “FIFTY-FIFTY”DELLE MAJORS AL 75% DELL’ENI.

Mattei non era un carneade qualsiasi arrivato

ENRICO MATTEI: RITRATTO DI UNUOMO CHE AMAVA IL SUO PAESE

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2 SCIENZA E TECNICA, NN. 467-468, 2009

all’Agip1 dal nulla. Era stato uno dei capi del Comi-tato di Liberazione Nazionale (CLN), aveva creato edirigeva un’industria chimica di sua proprietà.Molti ricordano la foto in cui sfilano per Milano luie gli altri quattro capi della resistenza clandestina,tra cui Ferruccio Parri. Arrivato per liquidare l’Agipsi trova invece a costruire qualcosa di grande per ilsuo Paese: dopo la nomina a Commissario ed unduro scontro con il suo predecessore, ing. CarloZanmatti2, che lui aveva licenziato, entra in amiciziacon lo stesso e viene a conoscere lo stato dell’arte ele prospettive della società nel settore della ricercapetrolifera. Scopre, quindi, un grande segreto: Zan-matti gli rivela di aver aveva già trovato il gas natu-rale e come era stato abile a non svelare prima aitedeschi e poi agli inglesi ed agli americani, i risul-tati della ricerca petrolifera in Valle Padana.

A Caviaga, vicino a Milano, era stato scopertoun giacimento di gas naturale molto importante siaper qualità dello stesso che per le riserve recupera-bili, quelle che in gergo i petrolieri chiamano riser-ve “certe”. Mattei capisce subito l’importanza stra-tegica della scoperta ed invita tutti alla più rigorosariservatezza sulla materia. Trova, quindi, un alleatonel Presidente della Banca Commerciale, RaffaeleMattioli, che gli concede una linea di credito ed, ingran segreto, prepara il lancio pubblicitario del pro-getto. All’inaugurazione arrivano il Presidente delConsiglio, Alcide De Gasperi, ed il Ministro dell’e-conomia, Ezio Vanoni che aveva partecipato alladefinizione del famoso codice di Camaldoli3, che èstato alla base della creazione delle PartecipazioniStatali nel nostro Paese.

La nuova via italiana all’energia a basso costoera tracciata, ora bisognava portarla avanti. Da quinasce il suo progetto strategico che era quello ditrovare gas naturale e petrolio in tutta la Valle Pada-na e di metanizzare industrie e settore civile delPaese. Mattei intuisce subito l’importanza dell’e-nergia in un paese come l’Italia, ne parla con Vano-

ni e De Gasperi ed ottiene il via libera. Questo pro-getto, che era nato con il giacimento a gas di Cavia-ga, è stato poi completato con la scoperta del primogiacimento di petrolio. L’Italia aveva bisogno dienergia a basso costo e non era facile farsi largo inun mondo in cui dominavano le “sette sorelle”.

Da qui i negoziati con l’Egitto, la Russia, conlo Scià dell’Iran e con l’Algeria: Mattei elaborò unastrategia globale per poter accedere alle fonti dienergia che si trovavano fuori dal territorio naziona-le. Un capolavoro di intelligenza politica, tattica,sfrontatezza ma che, ahimè, si rivelò foriera di gravirischi. Ma per sviluppare il sogno di avere fonti d’e-nergia a buon mercato serviva un “catalizzatore”che lo facesse accreditare presso i Governi dei paesiproduttori di petrolio: elaborò, quindi, una strategiadi rottura del mercato creando la famosa “regolaMattei” con cui si riconosceva il 75% dei profitti aipaesi produttori ed il 25% all’operatore del giaci-mento indebolendo, in questo modo, il fronte delle“sette sorelle” saldamente ancorato ad una divisionedei profitti “fifty-fifty”4. Questa mossa sconvolse ilmondo petrolifero di allora. Il suo piano era un’au-tentica bomba in quanto non solo permetteva all’I-talia di avere accesso alle fonti di energia su unpiano paritario con le grandi del petrolio ma inde-

1 L’Agip era stata creata, con RDL del 3/4/1926, dal Ministro dell’Economia De Stefani sostituito, per dissensi con Mussolini,dal Conte Volpi di Misurata. L’incarico di Commissario a tempo, sei mesi, gli venne conferito da Ferruccio Parri, presidentedel Consiglio dei Ministri, e non da De Gasperi, allora Ministro degli Esteri.2 L’ing. Carlo Zanmatti era stato a capo dell’Agip fino all’avvento di Mattei ed aveva acquisito una notevole esperienza nelsettore petrolifero. Era stato tra i fautori del partito Fascista ma decise di collaborare con Mattei perché tra i due si stabilì unanotevole sintonia di pensiero. Senza il petroliere Zanmatti, Mattei non sarebbe riuscito nella sua missione.3 Il Codice di Camaldoli (99 articoli) è un programma di politica economica elaborato da esponenti delle forze cattoliche, chesi erano riunite dal 18 al 23 luglio del 1943 nel Cenobio dei padri Camaldolesi a Camaldoli(Casentino). A tale programma s’i-spirò, e ne fece la sua linea guida, la politica economica della DC che dopo la caduta del Fascismo fu per un lungo periodo ilpartito di maggioranza del Governo. Il codice fu elaborato con il contributo di circa cinquanta giovani dell’ACI e della FUCI econ l’obiettivo di stabilire le linee guida dello sviluppo economico italiano a guerra finita. I principi guida furono elaborati daPasquale Saraceno, Ezio Vanoni e Ferrari Aggradi. Questo documento fu alla base dello sviluppo dell’IRI e della nascita delcolosso petrolifero ENI, nel 1957.4 Il fifty-fifty prevedeva che gli utili venissero ripartiti in maniera eguale tra le parti: 50% allo stato produttore e 50% allamajor che operava sul giacimento. Mattei invece offriva il 75% agli stati produttori, fatto di 50% di utili e di 25% di azioni esolo il 25%alle compagnie petrolifere che sviluppavano il giacimento.

Enrico Matteiad un radunodi ex partigiani

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boliva, nel contempo, il fronte opposto che vennecostretto ad accettare la formula Mattei ed a ridurredi conseguenza i suoi profitti, che Mattei, tra l’altro,giudicava semplicemente scandalosi. Inoltre questaproposta gli aprì le porte dei paesi produttori che loconsiderarono, da allora in poi, loro interlocutoreprivilegiato, amico e consigliere ascoltato.

CHI ERANO I SUOI NEMICI?Gli amici più fidati erano i suoi dipendenti:

chiunque lavorava con Mattei era pronto a buttarsinel fuoco per lui, anche se nessuno sapeva spiegar-si il perché, raccontava un alto dirigente dell’Agip.A distanza di anni dalla sua scomparsa esiste anco-ra nel gruppo Eni lo spirito di Mattei. Mattei non èmorto invano come lascia credere Daniel Yergin5

nel suo libro The Price e per capirlo è sufficienteparlare con quei pochi dirigenti ancora viventi chehanno lavorato a stretto contatto con lui, comel’ing. Egidio Egidi, direttore generale dell’Agip, oil vice direttore generale della Gestione minerariadr. Francesco Guidi ed anche il Presidente RaffaeleGirotti. Si nota, anche, un continuo fiorire di colla-boratori che lavoravano nello staff dell’ENI e che,pur non essendo sulla linea di produzione vera, cer-cano di tradurre il suo pensiero accreditandosicome veri portavoce del Capo.

Una cosa è certa: Mattei era riservato finoall’inverosimile, quasi timido e non permetteva anessun collaboratore di entrare in confidenza conlui. Per impedire che l’ufficio stampa entrasse incontatto con la linea produttiva, lo aveva isolato invia Lombardia con il divieto assoluto ai tecnici diavere rapporti con i responsabili della comunicazio-ne aziendale e, per reciprocità, anche ai dipendentidella linea era proibito avere contatti con l’ufficiostampa. L’ufficio stampa faceva trapelare solo quel-lo che Mattei voleva uscisse sui giornali, i fatti verili conosceva solo la linea.

Quando si accorse che Baldacci, il direttore delGiorno, giornale di proprietà dell’ENI, non era piùin sintonia con la sua “mission” non esitò a sosti-tuirlo prendendosi i rimbrotti di Nenni, cui il Bal-dacci aveva confidato i suoi giudizi pesanti su Mat-tei e sulla classe politica democristiana. All’internodel’Agip, quindi, non c’erano nemici, all’esterno inemici c’erano ed erano numerosi, sia a livello poli-tico che a livello industriale ed economico: acominciare da Confindustria, da Edison e da Mon-tecatini, che mal tolleravano la crescita di un poterestatale, forte politicamente ed economicamente, cheoscurava in parte le loro ambizioni.

La sua posizione, che lo portò ad essere l’uomopiù potente d’Italia, in un mondo che conosceva con-tinue crisi di Governo, gli procurò non pochi ostaco-li: a livello delle “sette sorelle” era cresciuta l’ostilitàverso l’uomo che aveva sconvolto i mercati petrolife-ri del mondo e che le stesse facevano molta fatica adaccettare nel loro milieu. Mattei, però, riuscì a tessereottime relazioni con la Esso, con cui fece dei notevoliaccordi a livello raffinazione. Con una politica saggiariuscì a sopire il muro di ostilità che si era instauratocon la rottura dell’accordo “fifty-fifty”.

Certamente a livello politico, oltre ai nemici“dichiarati” capitanati da don Luigi Sturzo e dalgiornalista Indro Montanelli, che gli fece una duracampagna contro, dovette giostrarsi anche all’inter-no della Democrazia Cristiana, in cui c’erano alcunisettori che mal tolleravano questo suo strapotere. Sipensi che Giulio Andreotti, da Ministro degli Esteri,disse che, se voleva sapere in dettaglio la situazionepolitico economica di un paese che stava per visita-re, non lo chiedeva all’Ambasciatore d’Italia in locoma al responsabile dell’Agip di quel paese.

Il Dipartimento di Stato degli USA guardavacon attenzione le mosse del petroliere italiano,come risulta da una lettera dell’allora responsabiledel dipartimento di Stato da cui ricevette assicura-zioni dell’ambasciata americana a Roma che Mat-tei non era pericoloso ai fini delle strategie ameri-cane in politica estera. Suoi nemici, in senso lato,erano anche i liberisti di Einaudi, che aveva pubbli-cato anni prima della guerra un saggio contro i tri-

SCIENZA E TECNICA, NN. 467-468, 2009 3

SOMMARIO

Enrico Mattei: ritratto di un uomo che amava il suo Paese pag. 1

Editoriale » 8Sheref Mansey al C.I.B.I.O. perricostruire la prima cellula terrestre » 9

All’orizzonte un vaccino contro l’epatite C » 10

Novità nella cura dei tumori » 11

Nanoparticelle: alcune novità » 11

Diritto al suicidio assistito. L’Australia dice si anche per chi non è in coma né in stato vegetativo permanente » 12

Competizione ed esperienza alla basedello sviluppo cerebrale » 12

Cinque studi in Svizzera su staminali da grassi » 13

La casa del futuro è già tra noi » 13

La colonscopia in un bicchier d’acqua » 14

La spugna marina che elimina i “super-batteri” » 15

Tecnologia e salute » 15

L’auto elettrica per lunghe distanze » 15

L’auto decollerà nel 2011 » 16

5 Daniel Yergin ha scritto un volume sulla storia del petroliointitolato The Price, che è stato malamente tradotto in Italia-no con il titolo Il premio.

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vellatori di Stato, e stranamente anche i socialisti.Il vero nemico di Mattei, comunque, stava dietro laporta accanto ed era costituito dalla Francia delgenerale Charles de Gaulle, a causa dell’appoggiofinanziario dato da Mattei al Fronte di LiberazioneNazionale (FLN) algerino.

L’INTUIZIONE DEL GAS NATURALE

Nel settore petrolifero, fino agli anni novanta,trovare gas naturale6 invece del petrolio era conside-rata una iattura imputabile all’incapacità dei geologidi fare bene il proprio lavoro. Solo negli anni novan-ta, a fronte dello scoppio del problema delle emissio-ni degli idrocarburi nell’atmosfera, causa del cosid-detto effetto serra, si capì l’importanza del gas natu-rale. In rari scritti sulla materia degli anni sessanta siaccennava alle possibilità del gas naturale: tra questimerita una citazione particolare la ricerca del prof.Cesare Marchetti, grande fisico italiano, prima allaRockefeller University di New York e, poi, diventatodirettore dello IIASA di Vienna, e del suo collega J.Ausubel, oggi alla guida della Rockefeller Universitydi New York. Non credo che Mattei abbia letto i loroscritti; comunque Mattei capì per primo in Europal’importanza del gas naturale nella strategia di cresci-ta dell’industria nazionale. La metanizzazione dellaValle Padana, anche se portata avanti con metodi nonproprio ortodossi, diede i suoi frutti, che contribuiro-no alla nascita del miracolo italiano.

Mattei, scrive Frankel nel suo libro “Petrolio ePotere”, trovò nelle grandi compagnie il bersagliosu cui esercitarsi con forza travolgente e abilitàstraordinaria, cercando di liberare l’Italia dalla pre-senza delle onnipresenti società petrolifere interna-zionali. La promessa di avere accesso al gas natura-le algerino da parte dei capi del Fronte di Liberazio-ne Nazionale (FLN) era la conferma di questa gran-de intuizione. Mattei non ebbe il tempo di firmarel’accordo sul gas con la Sonatrach.

Gli Algerini, dopo la sua scomparsa, memori diquanto Mattei avesse fatto per l’indipendenza del loro

paese mantennero fede alle loro promesse firmaronol’accordo con la Snam e “dulcis in fundo” chiamaronoil gasdotto (che va da Hassi ‘R Mel, al centro dell’Al-geria, fino al confine con la Tunisia di Saf-Saf) con ilnome di “Enrico Mattei”. In Italia il gasdotto si chia-ma invece “TransMed”, con la consueta abilità italicadi misconoscere il valore dei suoi grandi personaggi.

L’intuizione che ebbe David Rockefeller di svi-luppare l’industria del petrolio negli USA, emargi-nando il carbone, corrisponde a quella che ebbe Enri-co Mattei in Italia nel settore del gas naturale. In checosa consisteva questa intuizione: come la risoluzionedei grandi problemi avviene con un colpo di genio,che spesso è l’uovo di Colombo, così Mattei capìl’importanza del gas naturale. Petrolio e gas naturale,in sintesi, sono entrambi degli idrocarburi ma solo ilgas naturale può essere portato direttamente al domi-cilio del consumatore senza passaggi intermedi chene avrebbero incrementato il prezzo di vendita.

Non credo che Mattei avesse ragionato in ter-mini di rapporto idrogeno carbonio all’internodegli idrocarburi, per quanto la curiosità dell’uomofosse molto intensa. Certamente se avesse parlatocon i tecnici dei suoi laboratori di San DonatoMilanese avrebbe potuto metabolizzare anche ilconcetto di minori emissioni di CO2 nell’atmosferacon l’utilizzo del gas naturale. La molla che lospinse verso il gas naturale era dovuta sia alle riser-ve certe che erano state individuate in Italia sia allapossibilità di portare questo combustibile diretta-mente al consumatore finale a prezzi competitivicon il mercato esistente. Diede, così, un grandeimpulso allo sviluppo della Società NazionaleGasdotti (SNAM), che i numerosi marchigianiassunti da Mattei avevano orgogliosamente tradottonella frase “Siamo Nati A Matelica”, per significa-re il loro attaccamento al paese in cui Mattei, natoad Acqualagna il 29 aprile 1906, andò ad abitareall’età di 13 anni.

I SUOI METODI DI LAVORO

Per capire Enrico Mattei bisogna capire anchei suoi metodi di lavoro. La costruzione del gratta-cielo dell’EUR sull’esempio del palazzo di vetrodelle Nazioni Unite a New York, il nuovo ambientedi lavoro “open space” per i dipendenti, la “jobevaluation”, il ponte radio che metteva in comuni-cazione tra loro le sedi italiane ed estere, l’ariacondizionata negli uffici, i rapporti sindacali, l’isti-tuzione della settimana corta, le case per il lavora-tori del’Eni a San Donato Milanese nonché all’Eur,sono uno strumento in più per capire i metodi dilavoro dell’imprenditore Mattei.

E. Mattei eAbderahim Bou-bid, ministrodell’Economiadel Marocco, fir-mano l’accordopetrolifero del1958

6 Spesso si usa la dicitura metano al posto del gas naturale. Si tratta di una definizione non corretta. Il gas naturale contiene non solometano ma anche altri componenti come etano, butano e propano, anche se in quantità limitate rispetto al metano.

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I villaggi vacanze di Borca di Cadore e diPugno Chiuso, concepiti per essere dedicati allevacanze a buon prezzo delle famiglie dei dipenden-ti, erano un altro strumento per capire la sua politi-ca del personale. Come abbiamo visto all’inizio ilsuo pensiero principale era quello di creare ungruppo omogeneo di lavoro che potesse operaresenza preoccupazioni di sorta. Chi è sereno sulposto di lavoro lavora con maggiore vigore e conmaggiore serenità e, quindi, il suo rendimento nonpuò che migliorare. Attuava la stessa filosofia cheadottò Ford verso i suoi dipendenti: li pagava pro-fumatamente perché potessero comprare le macchi-ne del gruppo.

Aveva una speciale predilezione per l’organiz-zazione aziendale: si rivolse alla migliore societàamericana del settore, la Booz, Hallen & Hamiltondi Chicago, Illinois, per delineare le strutture orga-nizzative del gruppo che vennero varate nel 1957,dimostrando in questo modo lungimiranza e grandeintelligenza. Era molto aperto all’innovazione anchese con particolare attenzione al controllo dei costi.La cosa sorprendente era che non prendeva né unostipendio7 dall’Agip né aveva case a lui dedicate:viveva con la sobrietà di un francescano.

La sua missione era la creazione di una grandesocietà petrolifera nazionale, sull’esempio delle“sette sorelle” ed oggi dobbiamo riconoscere cheriuscì in pieno nel suo intento: quando creò la retedei gasdotti in Valle Padana usò certamente deimetodi spicci ma i tempi non erano quelli odierni e,quindi, era consentito quello che oggi non si potreb-be fare. Se solo si pensa che oggi per iniziare laperforazione di un pozzo petrolifero servono lefirme di circa 32 Direzioni Generali di diversi Mini-steri, senza contare quelle locali di Provincia,Regione e Comune, si capisce come i metodi gari-baldini usati da Mattei, quali la posa nella notte delgasdotto di Crema, siano serviti per creare questogrosso impero.

Diceva David Rockefeller, che aveva creato laStandard Oil con metodologie non proprio ortodosse,che non era in grado di spiegare come avesse fatto adaccumulare il primo miliardo di dollari, mentre per ilseguito era in grado di documentare tutte le spese.Naturalmente se lo faceva Rockefeller non era scan-daloso, mentre se lo faceva Mattei diventava un affa-re di Stato. Mattei pagava i politici non per corrom-perli ma per tenerli lontani dal suo business.

L’Agip e la Snam erano società che non aveva-no nessun contatto con la politica ed operavano congli stessi criteri delle società private che miravano alprofitto. Mattei diceva che ogni volta che parlavacon il Governo era come “succhiare degli aghi”8. Inrealtà li subiva, stimava alcuni ma non altri e liusava come si usa un taxi, pagando la corsa. DiceDaniel Yergin nel suo libro “The Prize” a propositodei suoi metodi di lavoro: “Possedeva una sorta dimagnetismo, un fascino irresistibile e grande capa-cità di persuasione, il tutto sostenuto da un’energiavulcanica, trainante”. Il fatto di partire dal basso, disaper soffrire per raggiungere gli obiettivi che si eraprefisso e di definirsi povero gli avevano conferitola capacità di rischiare sapendo che al massimosarebbe tornato al punto di partenza.

I RAPPORTI CON IL FRONTE DI LIBERAZIONE

NAZIONALE ALGERINO (FLN).Il prof. Giuseppe Vedovato9, docente di storia

dei trattati alla Sapienza in Roma, oggi 97enne,definisce l’opera del prof. Buccianti su Mattei unlibro di storia caratterizzato da ”precisione dellaricostruzione, sicurezza dei riferimenti documen-tari, serena franchezza delle conclusioni”. Nelvolume “Enrico Mattei: Assalto al potere petrolife-ro mondiale” viene tracciata un’analisi completadei rapporti che Enrico Mattei ebbe con i Governidegli Stati produttori, con i capi delle Majors e coni Governi di USA, UK, Francia e Russia. Da que-sto libro, che è rigoroso per la ricerca e fondamen-tale per la completezza della documentazione esa-minata, si può delineare la figura storica di Matteicome negoziatore internazionale, le trame chedovette affrontare e le difficoltà che incontrò pro-venendo da un paese che aveva perso la secondaguerra mondiale.

La sua posizione del 75%, gli assicurò l’amici-zia e la stima dei paesi produttori, specialmentedell’Algeria che allora lottava per la sua indipen-denza dalla Francia. Aveva conosciuto ed eradiventato amico di Ben Khedda, che sarebbe diven-tato presidente dell’Algeria dopo la concessionedell’indipendenza da parte di Charles De Gaulle.La sua strategia lo portò ad aprire un ufficio dell’-FLN a Roma, a finanziare il movimento di libera-zione FLN a Ginevra e, perfino, in Algeria. NellaSonatrach c’è chi dice di aver conosciuto personal-mente la persona che portava i finanziamenti clan-

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7 In realtà prendeva uno stipendio da prima A, ultima classe impiegatizia prima della dirigenza ma lo versava ad un istituto di suore. 8 Daniel Yergin, Il Premio, Sperling & Kupfer editori.9 Deputato e senatore democristiano dal 1953 al 1976. Presidente eletto dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europadal 1972-al 1975. Fondatore e Direttore della Rivista di Studi Politici Internazionali. Professore emerito di Storia dei Trattatidell’Università di Roma. È autore di moltissimi saggi di politica internazionale. Ha guidato missioni diplomatiche in moltipaesi Africani, Asiatici e dell’America Latina per promuovere l’Azienda Italia.

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destini al movimento di liberazione. CertamenteMattei non era un uomo di destra. Proveniva dallalotta di liberazione dell’Italia del Nord, di cui erastato uno dei capi riconosciuti e, quindi, per lui nonera difficile trasferire questa sua esperienza anchesu altri orizzonti.

Quello che stupisce nell’uomo è che non avessebene calcolato i pericoli mortali cui andava incon-tro, ponendosi su un piano così inclinato comequello della politica estera francese. Dato il tipo dipersonalità che possedeva potrebbe anche averli sti-mati e non averne tenuto conto, pensando alla mis-sione che stava portando avanti per il suo Paese.Qualcosa però capì, anche per le due lettere diminacce che gli erano arrivate firmate dall’OAS,l’organizzazione che si opponeva alla liberazionedell’Algeria. Il Ministro degli esteri francese,Couve de Murville, spedì al suo ambasciatore aRoma un “cahier de doleances” per la politica prati-cata da Mattei, non conforme a quella di un entepubblico come era l’ENI, verso un paese amico edalleato come la Francia. Mattei vedendosi accer-chiato, sentì il bisogno di concedere un’intervista algiornale francese “Nouvel Observateur”, fatta daGilles Martinet, che divenne poi Ambasciatore diFrancia a Roma, dal titolo provocatorio: “Sono ioun nemico della Francia?”.

Mattei era troppo intelligente per non sapereche un’intervista simile non lo avrebbe messo alriparo da possibili attentati alla sua vita ma conti-nuò imperterrito la sua missione di dotare l’Italia diun’indipendenza energetica dalle “sette sorelle”, peravere energia a costo competitivo con quella deglialtri paesi europei. Questa è stata la sua grandeintuizione, ma anche la sua pietra tombale.

I DUE ATTENTATI

Di fronte ad uno strapotere crescente, ad unapolarità senza confini, non risulta difficile immagi-nare che qualcuno avesse deciso la sua eliminazio-ne, per liberarsi da un personaggio scomodo eassolutamente non controllabile. Erano in molti adessere interessati alla sua scomparsa ma certamentepiù di tutti lo erano quelli che erano contrari all’in-dipendenza algerina. De Gaulle sperimentò sullasua pelle, nel fallito attentato alla sua vita al “PetitClamar” cosa volesse dire la forza dell’OAS10,quando decise di concedere all’Algeria l’indipen-denza. Certamente quelli che avevano ordito unattentato a Charles De Gaulle, non si sarebbero fer-mati di fronte ad una figura meno istituzionalecome quella di Enrico Mattei.

Una prima avvisaglia di quello che sarebbesuccesso avvenne nel mancato attentato detto delcacciavite. Da un’ispezione effettuata dal suo pilo-ta emerse un cacciavite che avrebbe potuto causareun guasto fatale ad uno dei motori del suo aereo.In quell’occasione Mattei dette ordine che la cosarestasse segreta e circondato come era da personefidatissime, la cosa non trapelò. Era il primosegnale importante che qualcosa di gravementepericoloso si era messo in moto e che chi avevaordito l’attentato non era tipo da fermarsi di frontea nulla.

La sua ossessione per la privacy ed una malce-lata timidezza probabilmente gli fecero fare deglierrori di valutazione, che, poi, si sarebbero rivelatifatali per la sua persona. Continuò, infatti, a svolge-re la sua missione senza cedimenti o tentennamenti,apparentemente incurante di quello che si stava pre-parando per lui. L’unica cosa che fece fu quella dirafforzare la sua scorta personale.

Il primo attentato non era andato secondo ilverso giusto ma i mandanti ne perseguirono subitodopo un altro, questa volta molto più sofisticato.Secondo quanto sembrerebbe emergere dalla cosid-detta pista francese: i Servizi avrebbero dato incari-co alla mafia marsigliese, che, poi, passò l’ordine aquella siciliana, di piazzare una bomba a strapponel carrello dell’aereo di Mattei. Prima di partireMattei ricevette una telefonata, in cui gli si chiede-va di recarsi a Milano e, così, decise di cambiare larotta. L’arrivo non era più su Roma: il pilota Ber-tuzzi ricevette l’ordine di fare rotta sull’aeroportodi Linate (Milano). Quando il pilota cominciò lamanovra di atterraggio, estraendo il carrello, labomba a strappo scoppiò e l’aereo precipitò in unapalla di fuoco.

Che l’aereo sia scoppiato in volo non ci sonodubbi, anche perché un portello venne trovato acirca trenta chilometri di distanza dal punto dicaduta di Bescapé. Il dottor Giancarlo Baldassarriallora dirigente del’Agip e poi AmministratoreDelegato della stessa per la parte Approvvigiona-mento Petrolifero, scomparso di recente, si recòcon tempestività sul luogo dell’incidente e rintrac-ciò la borsa in cui Mattei teneva le sue carte piùriservate. Arrivò un ordine da Roma di consegnarela borsa direttamente all’on. Amintore Fanfani.Così fu fatto ma del suo contenuto non è rimastatraccia nei resoconti dell’incidente.

Quella borsa certamente potrebbe aver cam-biato i rapporti di forza all’interno della Democra-zia Cristiana: lo stesso Amintore Fanfani, Presi-

10 L’Organisation Armée Secrète (OAS) era un’organizzazione clandestina francese, creata il 20 gennaio 1961 dopo un incon-tro a Madrid, da Jean-Jacques Susini e Pierre Lagaillarde. La sigla OAS comparve sui muri di Algeri il 16 marzo del 1961.L’emblema era la croce celtica e lo slogan “L’Algérie française”.

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dente del Senato, parlando molti anni dopo ad unconvegno dei partigiani cristiani a Salsomaggiore,condivise la teoria del complotto: “Chissà, forsel’abbattimento dell’aereo di Mattei, più di ventianni fa, è stato il primo gesto terroristico nelnostro paese”. La Procura della Repubblica diPavia ha, recentemente, avallato questa tesi utiliz-zando, sulla base delle analisi sui resti dell’aereodove vennero trovate tracce di esplosivo, la sibilli-na affermazione di Fanfani “abbattimento dell’ae-reo di Mattei” e confermando, quindi, l’ipotesidell’attentato, anche se non si è riusciti a provarechi fossero i mandanti11.

IL SUO TESTAMENTO SPIRITUALE

Il suo testamento non esiste ma esisteva edesiste ancora stampato nei cuori della dirigenzaAgip quello che lui aveva progettato e che venne,comunque, messo in pratica dai suoi successori,Eugenio Cefis e Raffaele Girotti, in primis. Lospirito di Mattei è ancora vivo nei corridoi del-l’ENI e la sua figura resta indelebile nella storiadell’energia italiana. “Il 27 ottobre si era conclu-sa la sua tragica vicenda - come scrive il prof.Buccianti nel suo libro - quella di un protagoni-sta della vita politica ed economica italiana, chenon è esagerato definire storica”. Il sei novembredel 1962 avrebbe dovuto firmare i famosi accordicon Ben Bella, capo dello Stato Algerino, succe-duto a Ben Khella, grande amico di Mattei. L’Ac-cordo prevedeva la costituzione di una societàcongiunta Italo/Algerina, la costruzione di unaraffineria in Algeria e di un gasdotto che portasseil gas algerino in Italia. Delle tre cose in pro-gramma l’unica che si realizzò fu quella delgasdotto che gli algerini della Sonatrach dedica-rono ad Enrico Mattei.

Nel corso di un convegno sul gas naturalesvoltosi ad Algeri alcuni anni fa, lo scrivente, cheera relatore a tale simposio, ebbe modo di parlarecon vari Ministri del Governo algerino in carica. IlMinistro per le Acque, membro del comitato diret-tivo del fronte di liberazione nazionale (FLN), midisse: “Tutti in Algeria sanno da chi e perché èstato ucciso Enrico Mattei. Noi lo abbiamo semprenei nostri cuori e per riconoscenza abbiamoottemperato alla promessa che gli avevamo fattodi fornire il gas all’Italia e gli abbiamo anchededicato il gasdotto che si chiama col suo nome“Gasdotto Enrico Mattei”.

Scrive ancora il professor Buccianti nel suolibro su Mattei, che non esito a definire fondamen-tale per la mole di documenti che sono stati analiz-zati e per il rigore scientifico dell’impostazione: “fu

un ricercatore di scenari produttivi per il suo Paesedal punto di vista economico e finanziario. Matteinon cercò solo di trattare petrolio, vide lontano,guardò al futuro come opportunità, futuro da intui-re, comprare, vendere. Ebbe innata la capacità diprevedere, di intuire quello che sarebbe accaduto.Era semplice e vedeva subito, disse di Lui GiorgioLa Pira, il mitico sindaco santo di Firenze” che eraun suo grande amico ed estimatore.

A Bescapé il destino terreno di un uomo si eraconcluso, ma il suo progetto non era finito con lui,ma è stato proseguito secondo gli indirizzi che luiaveva tracciato: “Operare in silenzio con tenacianell’interesse del Paese”.

Tre giorni prima dell’attentato di Bescapé ilprof. Giuseppe Vedovato gli aveva scritto una let-tera sottolineando che, nelle realizzazioni dell’E-NI, emergeva in maniera significativa “il duplicecarattere di affermazioni del lavoro e dell’ingegnoitaliani e di conquiste, con particolare riguardoalle popolazioni di quelle zone depresse, siaall’interno che all’estero, che vedono nascere, conla possibilità di un lavoro, la possibilità della vitastessa”.

Per chiudere questo tentativo di dare a quelliche non lo hanno conosciuto elementi storici digiudizio ed a corollario anche della bella frase delprof. Vedovato, vale la pena di ricordare la famosariunione di Montecarlo, con i vertici della Stan-dard Oil. Al presidente Eugene Holman, che gliproponeva di spartirsi il monopolio del mercatoitaliano del petrolio, facendo nel contempo lievita-re i prezzi e gli utili delle due società, Matteirispose con la sua consueta franchezza: chiuse l’a-genda dei lavori dicendo che non vi era più nullada discutere e nulla da spartire, in quanto Lui lavo-rava esattamente con l’obbiettivo opposto, che eraquello di ridurrei prezzi di vendita dell’energia peril suo Paese.

Le idee di Mattei, quelle idee che avevanocome obbiettivo di fare dell’Italia “un paese moder-no e di salda democrazia, a partire dal controllodelle risorse”, hanno consentito all’Agip di diventa-re la sesta società petrolifera al mondo: il suo sognosi era avverato, con buona pace dei suoi nemiciinterni ed esterni. Molti lo hanno combattuto, senzacapirlo, ma il Popolo, che poi è quello che da lesentenze definitive, lo ha sempre stimato ed amato elo continua ad amare, anche a tanti anni di distanzadalla sua scomparsa, e lo ha consegnato alla storiacome uno degli Italiani più illustri ed amati del ven-tesimo secolo.

PROF. ING. RENATO URBAN

Amministratore Delegato della Urban Gas & Power

11 Prof. Giovanni Buccianti, Assalto al potere petrolifero mondiale, p. 1, Giuffrè editore, 2005

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In Messico la maggioranza dei ministri “economi-ci” è formata da tecnici: una “tecnocrazia” che si èformata negli Stati Uniti ed è rientrata nel paese

proprio allo scopo di assumere degli incarichi governa-tivi. Un fenomeno questo (conosciuto come “tequilatechnocracy”) che ha avuto origine con la presidenza diMiguel de la Madrid, il primo tecnocrate assurto allacarica di presidente del Messico nel 1982.

De la Madrid era uno studente nell’Università incui insegnava Lopez Portillo, il suo predecessore allapresidenza. Quando Portillo divenne presidentenominò de la Madrid ministro del Bilancio: de laMadrid, con l’aiuto di un team di economisti educatinegli Stati Uniti, affrontò con successo la crisi petroli-fera iniziata nel 1981. Proprio questo successo suggerìal presidente Portillo l’dea di affidare il potere a unapersona con competenze nel campo economico nomi-nandolo sostanzialmente quale suo successore. A suavolta de la Madrid ha cooptato altri tecnocrati: infattiil sistema politico messicano ha consentito al presi-dente de la Madrid di promuovere a posizioni di verti-ce persone da lui scelte. Il Messico è, infatti, unarepubblica di tipo presidenziale, in cui le nomine delpresidente sono meno soggette all’influenza dellapolitica sicché i ministeri “economici” (finanza, com-mercio, eccetera) non sono oggi occupati da politici.

A ciò ed ad onor del vero c’è anche un secondofattore che ha giocato un ruolo fondamentale nel favo-rire il germogliare di questa nuova tecnocrazia, la pre-senza fattiva della Banca Centrale e dell’ITAM, la piùprestigiosa università di economia e business del Mes-sico. Le due istituzioni hanno rappresentato degli otti-mi “specchietti” per attirare in patria i talenti emigratiall’estero, prima di trovare loro una collocazioneappropriata nell’amministrazione. Per comprendere ilprimo governatore “tecnico” della banca centrale,Miguel Mancera, è un laureato dell’Itam e sotto la suaguida (1982-98), la Banca Centrale ha assunto un grannumero di messicani con un PhD Usa.

Un altro fattore che ha giocato a favore è stata l’as-senza di vincoli “burocra-tici” alla base delle assun-zioni nel settore pubblico:ciò ha permesso di desti-nare posizioni di altolivello a giovani con PhDliberi da lacciuoli cheavvantaggiano i burocratidi professione ed i loroprotetti.

Un fattore non indif-ferente per attirare i cer-velli “emigrati” è statol’aver garantito una rapidaprogressione di carriera.

Un trentenne con un PhD conseguito negli Stati Unitiviene assunto al livello di “assistente al direttore gene-rale” di un ministero, tre gradi sotto il ministro stesso,ed in un paio d’anni, può salire di grado ed inoltre, aquaranta anni, può aspirare a essere sottosegretario.Arrivare a essere ministro è una questione un po’ piùcomplessa e meno lineare, ma i fatti parlano chiaro: lamaggior parte dei ministri “economici” è formata dagiovani tecnici attorno ai quarantacinque anni. Anche ilsalario svolge la sua parte: un giovane con PhD appenaassunto nell’amministrazione può guadagnare fra i 70 egli 80 mila dollari l’anno, esentasse, circa dieci volte ilreddito pro-capite in Messico. Rapportato al redditopro-capite italiano, ciò corrisponderebbe a un salarioannuale di circa 180 mila euro esentasse.

Ricapitando negli ultimi venticinque anni, questatecnocrazia ha progressivamente conquistato le levedel potere in Messico. Il primo presidente “tecnocra-te” è stato Miguel de la Madrid, eletto nel 1982 con unmaster in pubblica amministrazione di Harvard, comequello dell’attuale presidente, Felipe Calderon. Nel-l’intervallo fra i due ci sono stati due presidenti conPhD, Carlos Salinas (in political economy, Harvard)ed Ernesto Zedillo (in economia, Yale). Nel frattempo,l’influenza dei tecnocrati si è estesa dalla banca cen-trale ai ministeri delle Finanze, dello Sviluppo sociale,del Commercio estero ….

Quello che, però, rileva e che grazie a questa“tequila technocracy” in Messico sono state effettuatedelle riforme non di poco conto. La Banca Centrale èdiventata indipendente dal potere politico e ciò ha por-tato la vittoria sull’inflazione, passata da un tasso del99 per cento nel 1982 al 5 per cento di oggi, con lariduzione dei tassi d’interesse ed il Messico è entratonell’Oecd, il club dei paesi sviluppati. Sono stati con-clusi accordi tariffari per il commercio estero, fra cui ilNafta (North American Free Trade Agreement) e chehanno beneficiato sia i produttori che i consumatorimessicani. È stato approvato un nuovo sistema pensio-nistico per i lavoratori statali a “contribuzioni definite”.Un miracolo di riforme che fa invidia a qualsiasi paesesviluppato ed in un paese come il Messico gravato dauna eredità di profondi problemi sociali ed economici.

Veniamo, quindi, al Bel Paese. Potrebbe accaderela stessa cosa anche in Italia, con il ritorno dei molticervelli emigrati all’estero? Da noi, anni or sono, c’èstato un evento per certi versi analogo a quello messi-cano: la nomina di Carlo Azeglio Ciampi, un tecnico apresidente del Consiglio. Il governo Ciampi nominòdei tecnici a capo di alcuni dicasteri. Ma non seguì una“spaghetti technocracy”, anzi.

La nostra è una repubblica parlamentare in cui lenomine “ministeriali” -e non solo- sono fortementecondizionate dall’esigenza di soddisfare partiti e cor-renti, cosicché diviene difficile per un presidente del

EDITORIALE

Miguel de la Madrid

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Sheref S. Mansy, classe 1975, giovane e brillantericercatore statunitense dell’Università di Den-ver in Colorado sarà in Italia per i prossimi cin-

que anni per fare ricerca presso il CIBIO, il Centro dibiologia integrata dell’Università di Trento. La suamissione sarà quella di studiare l’origine della vita,lavorando alla sintesi di una cellula artificiale. Lanotizia, che circola già da qualche tempo negliambienti scientifici, suscita interesse anche fuori daiconfini del mondo accademico per il calibro delloscienziato e per la ricca “dote” che porta con sé aTrento: complessivamente un milione di dollari, daspendere per fare ricerca.

Mansy, infatti, nonostante la giovane età, si è giàdistinto a livello internazionale per i suoi studi di bio-logia sintetica e per questi ha ricevuto il consistentefinanziamento messo a disposizione dalla FondazioneArmenise-Harvard per il programma Career Develop-ment Awards. Ogni anno la Fondazione sostiene uno odue scienziati dotati di particolari capacità con l’o-biettivo di contribuire a creare nuove aree di ricercanel settore delle scienze biologiche nel nostro Paese,incentivando la mobilità internazionale e favorendorapporti di collaborazione tra gli scienziati italiani e laHarvard Medical School di Boston (HMS). Dal 1996fino ad oggi la Fondazione ha investito in Italia oltre14 milioni di dollari creando 12 laboratori per i bene-ficiari del Career Development Award, finanziandotre PhD presso la Harvard Medical School e premian-do 21 giovani giornalisti scientifici.

Per il 2009 la Fondazione ha dunque deciso dicredere in Sheref Mansy che, per portare avanti la suaattività di ricerca –vale a dire per pagare il suo stipen-dio e quello degli altri membri del suo gruppo e persostenere le spese per le apparecchiature necessarie–riceverà un finanziamento di 200mila dollari l’annoper cinque anni. E proprio a Trento Mansy ha sceltodi investire per proseguire la sua promettente carrierascientifica, convinto dalle ottime premesse del centroCIBIO e dall’attenzione che da qualche tempo l’Ate-neo trentino riserva agli studi sulla biologia integrata.Per l’Università di Trento riuscire a battere l’agguerri-

ta concorrenza internazionale e ad attrarre un giovanetalento statunitense è un ulteriore segnale della positi-va reputazione che l’ateneo si sta conquistando nellacomunità scientifica, soprattutto in settori emergenti estrategici come quelli legati alle scienze della vita.

L’attività di ricerca di Mansy, infatti, si concentraproprio sulla replicazione cellulare: quella proprietà,affascinante e al tempo stesso ancora misteriosa, checostituisce il fondamentale presupposto della vitasulla Terra. A Trento Mansy proseguirà la sua attività,premiata recentemente da una pubblicazione sull’im-portante rivista “Nature”, cercando di dare sostanzaall’intuizione secondo cui la vita comincerebbe dasemplici vescicole, prima che da cellule. E lo farà ten-tando di ricreare in laboratorio delle cellule artificiali,partendo da componenti biologici primari, in modo daosservare più facilmente i meccanismi di replicazionegenetica all’interno delle vescicole che stanno allabase della divisione cellulare. Le competenze e le tec-nologie che entreranno in campo in questa indaginesono fortemente transdisciplinari: vanno infatti dallachimica delle proteine e dei lipidi alla biologia mole-colare, dalla biofisica alla nuova biologia sintetica.

Ma che cos’è in realtà la vita? E come si può rico-struire qualcosa che già di per sé è tanto difficile da defi-nire? “Queste domande mettono in luce come la riprodu-zione in laboratorio di strutture analoghe alle cellule pri-mordiali sia una sfida formidabile -commenta Alessan-dro Quattrone, direttore del CIBIO di Trento e arteficedel contatto con Mansy- Purtroppo non esistono in natu-ra indizi che ci possano suggerire come fosse la primacellula comparsa sulla Terra e di come la stessa si siamoltiplicata e sia evoluta. La ricostruzione in laboratoriodi questo processo ancestrale, che risale a circa 3,5miliardi di anni fa, non ci permetterebbe soltanto di capi-re finalmente quali fenomeni chimici presiedono all’e-mergere della vita ma anche di realizzare applicazioni diimportanza cruciale in ambito, ad esempio, di sostenibi-lità ambientale: penetrare il segreto più basilare dellavita per riconciliarci, in un certo senso, con essa.”

“Per cominciare questo cammino, come ricerca-tori, partiremo dal basso –spiega Mansy– osservando

Consiglio “investire” poltrone destinandole a tecnici.Comunque ad impedire qualsivoglia velleità, interven-gono le regole poste a guardia delle assunzioni nellapubblica amministrazione. Recentemente sono stateanche modificate ma con risultati ancor più deprimen-ti: molti politici hanno usato il loro margine di mano-vra per assumere “famuli” e “clientes” di modestovalore professionale.

Nel Bel Paese la classe politica è “castacea”: solo

il 65 per cento dei parlamentari neo-eletti nel 2006aveva una laurea, contro il 90 per cento nel 1948. E’un dato che dovrebbe far riflettere: la nostra classepolitica premia più la fedeltà di partito che la compe-tenza. Da decenni ci narcotizzano con la promessa di“riforme strutturali” volte a tenere sotto controllo ildebito pubblico e a riavviare la crescita (che ormai èda avviare e non da “ri” avviare). Ma tutto ciò ha uncosto: il futuro del Bel Paese.

SHEREF MANSEY AL C.I.B.I.O. PER RICOSTRUIRE LA PRIMA CELLULA TERRESTRE

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e tentando di ricreare la ricca varietà di fattori e con-dizioni, come la concentrazione di proteine, l’attrazio-ne di ioni, la viscosità o l’attività enzimatica, checaratterizzano una vescicola. Questo innovativoapproccio dal basso rende più evidente come le diffe-renti reazioni biochimiche si influenzino l’un l’altra ecome si combinino nel formare una cellula perfetta-mente funzionante. In questo modo è più facile com-prendere quali siano i requisiti minimi di cui le celluledevono essere in possesso per replicarsi e per faremergere la vita. Ciò serve anche per capire, attraver-so tecniche spettroscopiche, come esse si evolvano innatura dando origine a sistemi più complessi, che ven-gono poi compartimentali, a cominciare dalla struttu-razione e poi dalla replicazione del materiale di

immagazzinamento dell’informazione genetica, ilDNA. Così i primi passi che muoveremo nel compren-dere questo meccanismo e nel riprodurre la cellulaancestrale partiranno proprio dalla ricostruzione deicompartimenti che danno luogo al processo di replica-zione cellulare.”

Un lavoro con la stessa finalità di quello realizzatorecentemente da alcuni altri gruppi di ricerca (ad esem-pio dell’università americana di Harvard) che hannomodellato in laboratorio una cellula primitiva (o proto-cellula) in grado di costruire, copiare e contenere ilDNA, partendo però da un approccio “dall’alto”, chenon permette di acquisire tante preziose informazioni.Un’avventura scientifica affascinante, che ha inizio pres-so il CIBIO dell’Università di Trento.

Una recente scoperta, dei ricercatori della Rocke-feller University su come trasmettere l’infezione dell’e-patite C ai topi, potrebbe condurre ad un vaccino perl’HCV. Il virus dell’epatite C, un’infezione potenzial-mente fatale, ha poggiato finora il suo successo su unastrategia piuttosto inusuale: le sue limitazioni. La suaincapacità di infettare animali diversi dagli esseri umanie dagli scimpanzé ha gravemente ostacolato i ricercatorinello sviluppo di un modello per piccoli animali utiliz-zabile per lo studio della malattia.

Ora però si è verificato un balzo in avanti, pubblica-to sulla rivista Nature: i ricercatori della RockefellerUniversity hanno identificato una proteina che consenteal virus di entrare nelle cellule di un topo, una scopertache rappresenta il cammino più diretto per lo sviluppo diun vaccino molto atteso e non solo dalle 170 milioni dipersone che nel Mondo convivono con un virus tenace,insidioso e che cambia rapidamente.

Utilizzando uno screen genetico, il gruppo diretto daCharles M. Rice, capo del Laboratorio di Virologia eMalattie Infettive, ha identificato una proteina umana,denominata occludina che rende le cellule di topo sensi-bili al virus. La scoperta fa sì che ora i ricercatori abbianola lista completa dei fattori cellulari (in totale quattro) chesono necessari al virus per entrare in cellule non umane.

Il virus dell’epatite C attacca esclusivamente le cel-lule epatiche umane, suggerendo che queste celluleesprimono dei geni che consentono al virus di attecchire,geni che non sono espressi in altre cellule umane e nonumane. Negli anni passati erano state identificate 3 pro-teine (CD81, CLDN1 e SR-BI) che hanno un ruolo chia-ve nel trasportare il virus nelle cellule ma evidentementemancava ancora qualcosa.

Il gruppo di Rice ha scoperto che, ingegnerizzatedelle cellule di topo affinché esprimessero in modoaumentato tutte e tre le proteine, le cellule ancora impe-divano l’ingresso del virus. Ma la scoperta della occludi-na ha cambiato questa situazione. Quando Rice ed i suoicolleghi hanno ingegnerizzato delle linee cellulari ditopo ed umane affinché esprimessero tutte e quattro le

proteine, hanno dimostrato che ciascuna delle linee cel-lulari diventava infettabile dal virus.

Per stabilire ancora meglio il ruolo dell’occludina,come un fattore di ingresso necessario, il gruppo hadimostrato che le cellule epatiche umane esprimononaturalmente degli alti livelli di occludina e che, bloccan-do la sua espressione, potevano dare a queste cellule, pre-cedentemente altamente sensibili al virus, la capacità dibloccare completamente l’infezione. Rice riconosce che“… bisogna anche essere fortunati. Vi sono questi tre fat-tori che sapete essere importanti, ma potevano essercialtri 10 fattori umani necessari per l’ingresso nelle cellu-le del virus dell’epatite C. Questo lavoro ha dimostratoche (per fortuna) le cose non stanno in questo modo”.

Nel suo screening del DNA, il team ha prima clo-nato tutti i geni espressi nelle cellule epatiche per poitrasportarli nelle cellule di topo “Procedendo quindi conun processo di screening iterativo, abbiamo affinato laricerca fino a giungere ai geni che rendevano penetrabi-li le cellule di topo -dice Alexander Ploss (ricercatoreassociato dl laboratorio) che ha condotto il progettoinsieme a Matthew J. Evans, attualmente alla MountSinai School of Medicine di New York.

Dato che sia i topi che gli umani posseggono unaversione dei 4 fattori specifica per la loro specie, il grup-po ha utilizzato delle cellule di criceto per vedere qualecombinazione di fattori fosse la migliore nel rendere lecellule infettabili. Hanno quindi scoperto che nel caso di2 delle proteine, l’occludina e la CD81, solo la versioneumana funzionava: mentre per la SR-BI e la CLDN1 leversioni umane e del topo funzionavano ugualmentebene. Questi esperimenti non suggeriscono solo che cipossa essere più di un potenziale modello animale maanche che vi sono molte combinazioni specifiche di fat-tori di ingresso che li possono generare.

“Questo lavoro fornisce un chiaro fondamento su cuipossiamo ora iniziare a costruire un modello animale per ilpatogeno esclusivamente umano -afferma Rice- Questo èsolo un primo passo, ma è anche un grande balzo in avantiper la creazione di un modello animale per l’epatite C”.

ALL’ORIZZONTE IL VACCINO CONTRO L’EPATITE C

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Novità nella cura dei tumoriArriva dagli scienziati del Politecnicodi Milano una nuova tecnologia percombattere i tumori con laradioterapia e l’adroterapia, la terapiacon fasci di particelle cariche. IlTbmLab del Dipartimento diBioingegneria del Politecnico diMilano, dove opera da anni il gruppodi ricerca Cart-Computer AssistedRadioTherapy, ha, infatti, sviluppatouna tecnologia di nuova concezioneper il puntamento dei tumori basatasull’analisi tridimensionale e, intempo reale, del movimento consistemi optoelettronici e laserscanning. Questo nuovo metodo è infase di sperimentazione presso laDivisione di Radioterapia dello IEO,l’Istituto Europeo di Oncologia,nonché presso diversi prestigiosiIstituti Internazionali, fra cui ilMassachussetts Genaral Hospital diBoston. Le metodologie sviluppateincludono la modellizzazione dellameccanica dei tessuti molli, ottenutada imaging diagnostico, e sonofinalizzate a ricostruire la posizionedella lesione da trattare per unirraggiamento preciso e mirato delbersaglio. La condizione imprescindibile perun’irradiazione ottimale è la correttariproduzione della posizione delpaziente all’unità di terapia e laverifica sistematica degli errori diposizionamento del paziente e deglispostamenti della massa tumorale datrattare. I risultati ottenuti hanno,così, consentito al Politecnico diMilano di contribuire allarealizzazione del nuovo CentroNazionale di AdroterapiaOncologica di Pavia, primo centroospedaliero in Italia per la cura ditumori con fasci di protoni e ionicarbonio ad alta energia, promossodalla Fondazione Cnao. Al suo interno si trova il sincrotrone,un’apparecchiatura di 24 metri didiametro che farà fare un milione digiri a miliardi di particelle perlanciarli e guidarli a colpire tumoriprofondi in sedi complesse. I primitrattamenti nel Cnao sono previsti apartire dal 2010.Una nuova tecnica capace dibloccare la diffusione delle cellulecancerogene nel cervello è statascoperta da scienziatidell’Università di Oxford,

Inghilterra. La tecnica, spiegata inuno studio pubblicato su PLoSONE, è in grado di impedire allecellule tumorali di diffondersiall’interno dei tessuti celebrali,bloccando loro il nutrimento. La chiave è una proteina, chiamataintegrina, che si trova sulla superficiedelle cellule tumorali. Questaproteina permette alle cellule diattaccarsi ai vasi sanguini e riceverele sostanze nutritive necessarie per lasopravvivenza. Bloccandol’integrina, tramite farmaci specifici,si può evitare che queste cellule sinutrano e si diffondano all’internodel cervello. Infatti, nella maggiorparte dei casi, una volta che il tumoresi diffonde al cervello lasopravvivenza media non supera i 9mesi. I ricercatori hanno anchescoperto che le cellule metastatichecelebrali nel 95 per cento dei casicominciano a crescere attorno allepareti dei vasi sanguinei del cervelloe non attorno alle cellule nervose. Cellule staminali del midollo,ingegnerizzate geneticamente, sisono rivelate promettenti comeinnovativo strumento per veicolare altumore proteine in grado dieliminarlo. Esperimenti in colturecellulari e nel topo hanno, infatti,mostrato che cellule staminali adulte,in particolare quelle mesenchimali,possono puntare in modo preciso allecellule cancerose e rilasciare controdi esse una proteina letale che attaccasolo il tumore e non danneggia iltessuto sano. Sono questi i risultatidella ricerca presentata da MichaelLoebinger dell’University Collegedi Londra, al congressodell’American Thoracic Societysvoltosi a San Diego. Loebinger haspiegato di essere riuscito acombinare due dati già noti almondo della ricerca. Il primo èl’innata capacità delle cellulestaminali mesenchimali di scovare itumori presenti nell’organismo e, ilsecondo, è l’abilità della proteinakiller del tumore (denominata TNF-related apoptosis-inducing ligand oTRAIL) di uccidere solo edesclusivamente le cellule tumorali. Partendo da questi due elementi, iricercatori hanno modificato cellulemesenchimali staminali per far loroesprimere e produrre la proteinaTRAIL e hanno inoltre iniettato lecellule in topi cui era stato indotto il

tumore alla mammella.Dall’esperimento si è visto che questecellule sono state in grado di vagareper l’organismo, uccidendo le celluletumorali incontrate sul loro percorsoe lasciando intatti i tessuti sani. Con questo metodo ben il 38% deitumori è stato completamenteeliminato. Si è poi visto che lecellule prodotte sono risultate“immunoprivilegiate”, nel senso chel’organismo non le ha rigettate comeestranee. Questo ulterioreparticolare rappresenta una svoltanel campo delle terapie cellulari.Grazie a questa proprietà le terapie abase di cellule mesenchimalipotranno essere prodotte in serie,anziché dover realizzare cellulepersonalizzate per ogni paziente alfine di evitarne il rigetto. Sulla basedi questi dati promettenti iricercatori sperano di poter iniziaregli studi clinici nel giro dei prossimidue o tre anni.

Nanoparticelle: alcune novitàUna nanoparticella capace diattaccare le placche sulle pareti deivasi sanguinei è stata sviluppata daun team di ricercatoridell’Università di Santa Barbara,Stati Uniti. La nanoparticella -unagglomerato di molecole grandemeno di 200 nanometri- è statatestata con successo su delle cavieda laboratorio, e nel futuro potrebbeessere applicata nel trattamentodelle malattie cardiovascolari. I risultati della ricerca sono statipubblicati sulla rivista Proceedings ofthe National Academy of Sciences:“Il nostro obiettivo -ha detto ErkkiRuoslahti del Burnham Institute forMedical Research all’Universitàcaliforniana di Santa Barbara, tra gliautori dello studio- era quello disviluppare delle nanoparticellecapaci di individuare le placcheaterosclerotiche: degli inspessimentidelle pareti dei vasi sanguinei chepossono causare infarti o ictus”. La nanoparticella sviluppata è unasfera costituita da una serie di lipidi,chiamata ‘micella’, sulla cuisuperficie vi un peptide, cioè unframmento di proteina, in grado diriconoscere le placcheaterosclerotiche e di attaccarsi adesse: “Abbiamo scelto di nonattaccare semplicemente la placca,

NOTIZIARIO

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ma di agire sui punti in cui si potevadistaccare con facilità, come adesempio al punto di attacco con lepareti del vaso - ha spiegatoRouslanti- Ci sembrava il puntomigliore dove agire”.Le nanoparticelle sono state testatesu dei topi che avevano problemi diplacche aterosclerotiche, a causadella loro dieta ad alti grassi. Iricercatori hanno iniettato nel flussosanguineo le ‘micelle’, che sonostate lasciate circolare nel sangueripulendo le arterie. “Pensiamo chele ‘micelle’autoassemblanti, comequelle che abbiamo usato noi, sianoversatili e funzionali per l’utilizzo invivo. Il fatto che siano capaci diautoassemblarsi è un vantaggio per itrattamenti e le terapie che abbiamoin mente -ha detto Matthew Tirrel,del College of Engeneering di SantaBarbara, coautore dello studio- Iltrattamento con le nanoparticelle ètra i più promettenti nel campo dellemalattie cardiovascolari”.Uno studio, sempre in tema dinanoparticelle, di alcuni scienziatidell’Institute of Bioengineering andNanotechnology (IBN) di Singaporeha sviluppato nuovi trattamenti chesfruttano nanoparticelle peptidicheper la cura dalla meningite, o dabatteri resistenti ai farmaci e dainfezioni fungine. “Il nostro trattamento -ha spiegatoYiyan Yang, a capo della ricercapubblicata sulla rivista NatureNanotechnology- attacca lemembrane delle cellule patogene,intaccandone la struttura. Il nostrooligopeptide (una proteina costituitada pochi amminoacidi) ha unastruttura chimica unica che formananoparticelle capaci di penetrarele membrane. Le nanoparticellepossono facilmente entrare dentrocellule di batteri, funghi e lieviti eucciderle dall’interno, bloccandol’avanzata dell’infezione”.La nuova terapia è potenzialmenteun’alternativa superiore ai trattamentiesistenti contro queste letali infezionidel cervello: la maggior parte degliantibiotici non è capace di superarele barriere delle membrane cellulari ole molecole del farmaco sono troppograndi per passare attraverso lamembrana. Nei test preclinici lenanoparticelle, invece, si sonodimostrate più efficaci contro lacrescita di infezioni fungine rispettoai trattamenti tradizionali e nonhanno mostrato effetti collaterali odanni ai reni e fegato. “Il nostrogruppo di ricerca ha fatto enormi

progressi nella ricerca di nuovifarmaci e trattamenti -ha dettoJackie Y. Ying, direttore esecutivodella IBN- Con questa scopertasaremo in grado di sfidare malattiefinora di difficile trattamento”.

Diritto al suicidio assistito.L’Australia dice sì anche per chinon è in coma né in statovegetativo permanente(Sentenza 14/08/2009 - SupremeCourt of Western Australia)

La decisione della corte australianafarà discutere: riguardal’accoglimento della richiesta di unpaziente tetraplegico cosciente, vigilee non in stato di coma di rifiutare lasomministrazione dell’idratazione edell’alimentazione forzate. La vita di Christian Rossiter è statafunestata da gravi incidenti che nehanno minato irrimediabilmente ilfisico costringendolo all’immobilitàcompleta e alla totale dipendenzadalle cure dell’associazioneumanitaria Brightwater Care Group.La legislazione australiana consenteal paziente di rifiutare i presidifarmaceutici salvavita, qualialimentazione e idratazioneartificiali. ma aiutare qualcuno,anche tramite comportamentiomissivi, a commettere un suicidioconfigura comunque un reato penale. La causa ha visto contrapposti MrRossiter e l’associazione umanitariaBrightwater Care Group in meritoal “duty of care” (al dovere di cura)nella somministrazione di nutrizionee idratazione che l’associazioneriteneva di avere nei confrontidell’impossibilitato Rossiter.La questione è di rilevante interesseperché non riguarda un caso tipicoriconducibile all’eutanasia: il pazienteè lucido, non è un malato terminale,né in stato vegetativo permanente,quindi è in grado di manifestareautonomamente la propria volontà.Tuttavia necessita per sopravvivere diun aiuto esterno, aiuto necessarioanche per porre in essere la suaeutanasia, anche se come semplicecomportamento omissivo. In altri termini: da un lato c’è Mr.Rossiter, che chiede all’associazionedi astenersi dal somministrarglinutrimento e idratazione, dall’altrovi è la Brightwater Care Group cherisponde che tale omissioneintegrerebbe breach of duty of care,una violazione del dovere di cura,ovvero un reato. I giudici australianihanno risolto la questione in favore

del ricorrente Mr Rossiteraffermando quanto segue: “dopo cheegli è stato pienamente informatorispetto alle conseguenze diqualsiasi decisione egli vogliaprendere, Mr Rossiter ha il diritto didecidere direttamente se continuareo meno i trattamenti cui è sottopostoe questi non possono esseresomministrati contro la sua volontàe i suoi desideri. Se, dopo averricevuto l’informativa sulleconseguenze dell’atto omissivo, egliribadisce le sue intenzioni allaBrightwater, questa deve smettere disomministrargli idratazione enutrimento artificiali e laBrightwater è legalmente obbligataa seguire le sue direttive”.Gli argomenti che la decisioneaustraliana coinvolge sono statimolteplici, i principali riguardano ildiritto al suicidio assistito, ilriconoscimento di piena validitàlegale alle cosiddette direttiveanticipate di fine vita, laqualificazione dell’idratazione edell’alimentazione artificiali qualicure farmacologiche o meno.La Corte australiana ha proposto,così, una soluzione matura econsapevole: il riconoscimento aciascuno di autodeterminarsiattraverso la manifestazione di unavolontà libera ed informata el’accettazione delle inevitabiliconseguenze di questa.L’orientamento che invece si staformando nel legislatore italiano,dopo l’esplosione delle polemicheconseguenti al “caso Englaro” vacattolicamente in una direzioneopposta: il legislatore parla di“alleanza terapeutica” in un disegnoche sembrerebbe dare nuova forza alcosiddetto “paternalismo medico “ ascapito della libertà diautodeterminazione del pazientesulla propria vita e sulle propriecondizioni di vita.

Competizione ed esperienzaalla base dello sviluppocerebraleNegli ultimi due milioni di anni, ledimensioni del cervello umano sisono triplicate, crescendo piùvelocemente rispetto a quello deglialtri mammiferi: questo per via dellacompetizione sociale cui gli esseriumani sono sottoposti. Almenoqueste sono le conclusioni di unostudio condotto da un gruppo diricercatori dell’University ofMissouri e riportato dal sito

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ScienceDaily. Dopo aver esaminatol’organo, i ricercatori hanno preso inconsiderazione tre ipotesi diverseche potrebbero spiegarequest’estensione del cervello: ilcambiamento climatico, lemotivazioni ecologiche e lacompetizione sociale. Tra questequella che sembra aver convintomaggiormente i ricercatori èl’ipotesi della competizione sociale.Per testare le tre ipotesi i ricercatorihanno raccolto i dati su 153 teschidi ominidi che risalgono a duemilioni di anni fa. Prendendo,quindi, in considerazione i luoghi edi cambiamenti climatici globalidell’epoca in cui risalgono i fossili,e tenuto in debito conto il numerodei parassiti nella regione nonché lastima della densità dellapopolazione nelle aree in cui sonostati trovati i teschi, i ricercatorihanno scoperto che la densità dellapopolazione ha avuto l’effetto piùrilevante sulle dimensioni del cranioe, quindi, sulla sua capacità.“I nostri risultati -hanno dettoDavid Geary e Thomas Jefferson,coautori dello studio- hannosuggerito che le dimensioni delcervello sono aumentatemaggiormente nelle aree con grandipopolazioni. Aree in cui, quasisicuramente, l’intensità dellacompetizione sociale era piùelevata”. Secondo i ricercatori, ilcervello ha iniziato ad aumentarequando gli uomini hannocominciato a competere pernecessità e status sociale. Un gruppo di ricercatori delBiotechnology and BiologicalSciences Research Council (Bbsrc) inuno studio pubblicato sulla rivistaNeuron hanno, quasi contestualmente,evidenziato come l’apprendimentoindotto dall’esperienza cambirealmente i circuiti cerebrali in mododa permettere di categorizzarevelocemente ciò che percepiamo e diprendere una decisione altrettantorapidamente. L’esperienza passata ristrutturaeffettivamente il nostro cervello inmodo che esso possa rispondere inmodo appropriato in qualunquecontesto. Nello scegliere losvolgimento dell’azione che con piùprobabilità avrà successo, il cervellodeve interpretare ciò che vede, o ingenerale percepisce, attribuendo unsignificato a un’informazioneintrinsecamente incerta. Tale capacitàcruciale, per esempio, quandodobbiamo rispondere con un’azione a

stimoli visivi che sono tra loro moltosimili. E ciò che succede ad esempioquando si cerca di riconoscere unvolto amico in una folla. Per arrivare a queste conclusioni iricercatori hanno analizzato imeccanismi messi in atto dalcervello che influiscono sulledecisioni mediate dall’esperienzamisurando i segnali cerebrali di ungruppo di volontari che svolgevanoun test in cui occorreva imparare adiscriminare tra schemi visivi similiassegnandoli a differenti categorie. Isoggetti sottoposti al test dovevanoclassificare alcuni schemi visivisulla base di due diverse regole,concepite in modo da produrrecategorizzazioni tendenzialmentediverse tra loro. “Il nostro utilizzo dell’imaging incombinazione con tecnichematematiche ci permette di ottenerepreziose informazioni sui segnalicerebrali che indicavano le scelteadottate dai partecipanti -haspiegato Zoe Kourtzi- Ciò cheabbiamo mostrato è che leprecedenti esperienze possonoallenare i circuiti cerebrali che cipermettono di riconoscere lecategorie percepite invece chesemplicemente le somiglianzefisiche tra schemi visivi. Sulla basedi ciò che abbiamo trovato,proponiamo un modello in cuil’informazione appresa sullecategorie è effettivamentepreservata nei circuiti cerebralinelle aree occipitali del cervello. Daqueste, l’informazione vienetrasferita alle aree frontali che latrasformano in decisioni flessibili eazioni appropriate che dipendonodalle richieste del compito”.

Cinque studi in Svizzera su staminali da grassiLa Swiss Stem Cell Bank, unacriobanca svizzera con sede aLugano, sta finanziando cinqueprogetti di ricerca con cellulestaminali ottenute da tessutoadiposo. Le ricerche si concentranosulle cellule mesenchimali chepossono essere ricavate proprio dalgrasso e sul loro utilizzo nellarigenerazione dei tessuti. “Da alcuni anni la comunitàscientifica discute sull’efficacia dellecellule staminali mesenchimalinell’ambito della rigenerazione deitessuti: cellule che possono essereisolate dai tessuti adulti e che nonpongono, quindi, alcun problema ditipo etico -premette Gianni Soldati,

direttore scientifico della SSCB- Iltessuto adiposo da liposuzione, inparticolare, sembra essere una fonteestremamente ricca di cellulemesenchimali: queste possono essereisolate in condizioni di sterilità erisultano essere particolarmenteversatili e promettenti nella medicinarigenerativa”. I ricercatori dopo averestratto cellule multipotenti, quindicapaci di differenziarsi in cellule ditipo diverso, dal tessuto adiposo,sono riusciti ad ottenere cellule deltessuto osseo, della cartilagine, deltessuto adiposo stesso, muscoloscheletrico e cellule neurali. SSCB sta, quindi, operando su trefonti: innanzitutto la selezione dellemesenchimali che si trovano nelgrasso “Lo scopo è sviluppare unatecnologia innovativa in grado diseparare e concentrare le cellulestaminali adulte provenienti daltessuto adiposo attraverso unsistema ‘chiuso’, in totale sicurezzaaffinché si possa selezionare unprodotto cellulare di alta qualità”spiega Soldati. In secondo luogo, lavorando sullagrande esperienza di raccolta dellestaminali cordonali, SSCB stastudiando le condizioni ideali perpoter conservare queste cellule. Ed infine sulle applicazioni: dallarigenerazione ossea a quella dellecicatrici, fino alla rigenerazione dicartilagine. I progetti di ricerca sonosvolti in collaborazione con l’Unità diTerapia Cellulare nata dallacollaborazione della stessa SSCB, delCardioCentro Ticino e delLaboratorio di DiagnosticaMolecolare. Per far ciò l’ Unità diTerapia Cellulare ha avviato unaCell Factory: una “camera bianca”certificata a norma Gmp (GoodManufaturing Practices) edautorizzata da Swissmedic, l’istitutosvizzero di controllo.

La casa del futuro è già tra noiUn’abitazione “quasicompletamente ecologica”, nelsenso che sia in grado di produrreenergia elettrica ed acqua calda è

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realizzabile da qualche anno ma acondizione che siano disponibililarghi spazi per pannelli solari efotovoltaici nonché terreni atti adaccogliere gli scavi profondinecessari alle pompe di calore. Ora una nuova tecnologia, in usopresso la cooperativa della Fabbricadel Sole e non a caso denominata“Off-Grid” cioè Fuori Rete,sembrerebbe poter fare a meno ditutto quanto sinora era indispensabile,come anche alle realizzazioniecocompatibili e cioè gli acquedotti egli impianti di smaltimento delleacque reflue, bianche e nere. Unimpianto, inoltre, totalmenteindipendente dai fattori ambientali,ciò diversamente dall’eolico e daidiversi pannelli che sono tutti più omeno legati alle condizioni climatichedel momento e condizionati dalproblema dell’accumulo econservazione dell’energiaeventualmente prodotta in più. Partiamo dall’elemento portante diun sistema off-grid,l’elettrolizzatore, un contenitore nonpiù grande di un baule che può stareovunque: l’elettrolizzatore scinde lamolecola dell’acqua ottenendol’idrogeno. L’acqua utilizzata èquella piovana raccolta in unacisterna sotterranea. Nella scissioneè coinvolta l’energia solare, assorbitadai pannelli fotovoltaici sul tetto. L’avventura Off-Grid parte, quindi,dalla constatazione che, indefinitiva, l’idrogeno in questiultimi anni è divenuto relativamentesemplice da produrre. Ottenutol’idrogeno lo si conserva in bombolea bassa pressione oppure lo sitrasforma in energia per l’usodomestico. Di solito le bombole distoccaggio vengono ubicate nelsottotetto di una casa dato chel’idrogeno è leggero e, in caso difuga, si disperde subito verso l’altosenza contaminare l’ambienteL’ovvio vantaggio è che si avràenergia elettrica sempre disponibileanche durante i lunghi periodiinvernali o in condizioni climaticheavverse; quanto all’acqua da bere siottiene attraverso un comunepotabilizzatore, mentre quellenormalmente smaltite negli impiantifognari dovranno subire un processodi decantazione e purificazione peressere rese idonee a usi domesticinon alimentari compreso ilriscaldamento mediante pannelliradianti inseriti nei muri. Il raffreddamento, quando necessario,può essere prodotto mediante

l’impiego di pannelli solari, dai qualil’acqua riscaldata va ad attivare unacella frigorifera. Il sistema pensatoper gli immobili di nuovacostruzione, meglio se casetteindipendenti con circostante terreno adisposizione, ha il pregio di poterridurre gli oneri di urbanizzazioneprimaria. Quanto ai costi d’installazionedell’intero sistema Off-Griddovrebbero essere contenuti in circaun decimo del costo dell’interofabbricato con una manutenzioneannua ordinaria, e straordinaria,stimata non superiore all’1% nelmedio periodo, in soldoni un prezzobase di installazione di circa 50 milaeuro, con costo di mantenimento dicirca 500 euro all’anno. Sul lungotermine, il risparmio è garantito.

La colonscopia in unbicchier d’acquaIl cancro del colon è il terzo tumorepiù frequentemente diagnosticato(dopo quello al polmone e quelloalla prostata). Il principalestrumento preventivo è quello difare uno screening a tutti icinquantenni per verificare lecondizioni dell’ultima partedell’intestino e prevenire leeventuali malattie.“Il problema -spiega CristianoSpada dell’Unità operativa diEndoscopia Digestiva chirurgicadel Policlinico universitario“Agostino Gemelli” di Roma,diretto dal professor GuidoCostamagna- è che il tipo di esameche si usa in questi casi, lacolonscopia, in genere è moltofastidioso e a volte anche doloroso.Per questo solo una piccolapercentuale dei cinquantenni sisottopone a questa analisi che.Invece. dovrebbe essere di routineperché è molto importante perscoprire per tempo lesioni e polipiche potrebbero degenerare inmalattie più gravi”.Oggi in aiuto di medici e pazientiarriva la videocapsula per lo studiodel colon: una vera e propria pillola,contenente due telecamere, duesorgenti luminose e un’antenna, e perora prodotta da una sola azienda nelmondo. Una pillola lunga 31 mm,con un diametro di 11 mm, daingerire proprio con un bicchierd’acqua. Dopo un paio di minuti lacapsula si spegne per risparmiare lebatterie e si riattiva dopo un’ora etre quarti, giusto il tempo perarrivare all’intestino tenue, che è a

monte del colon. A quel punto invia4 immagini al secondo a un piccoloricevitore che il paziente porta consé. Grazie alle due telecamere si puòvedere e studiare le pliche dellamucosa, guardandole davanti edietro. Normalmente al terminedella decima ora, il tempo di duratadelle batterie, la pillola è stata giàespulsa in modo tale da non perderenessuna parte del colon.Come accade per una colonscopiaprima di assumere la videocapsulabisogna eseguire una “preparazione”che consiste, in sostanza, in una“pulizia” profonda dell’intestino perconsentire alle videocamere divedere la superficie della mucosa. Ilpaziente deve assumere alcunesostanze sciolte in abbondanteacqua. In questo modo, oltre allapulizia, si ottiene di riempire ilcolon di liquidi trasparenti che lodistendono di modo tale che lacapsula si possa muovere propriocome farebbe un sottomarino.Inoltre la preparazione prevedeanche farmaci che stimolano ilmovimento del colon per favorire loscorrimento della capsula.“Per la prima volta -spiega GuidoCostamagna- sono stati studiati piùdi 300 pazienti in tutta Europa perverificare l’efficacia di questo nuovostrumento diagnostico“ con risultatiincoraggianti ”sicuramente c’èancora da lavorare, ma già oggiriusciamo a identificare le piùimportanti patologie che possonocolpire il colon. Siamo in una faseiniziale. Ci sono ancora deiproblemi da superare: in particolaredobbiamo individuare unapreparazione che ci garantiscaun’ottimale pulizia del colon. Sitratta, poi, di una tecnica costosa,più cara della colonscopia maquesto può cambiare se latecnologia prende piede. Inoltre, lavideocapsula può essere impiegatasolo per la diagnosi ma perasportare un eventuale polipo perora la colonscopia rimane l’unicometodo. Comunque, i risultati dellostudio europeo sono moltopromettenti: la videocapsula sembraessere in grado di studiare

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accuratamente il colon con unenorme vantaggio rispetto allacolonscopia tradizionale: quello dinon provocare assolutamentedolore. Questo è un grande risultatoperché trasforma un esamefastidioso in un esame facile… comebere un bicchier d’acqua”.

La spugna marina cheelimina i “super-batteri”Un composto che si trova in unaspugna marina si è rivelato in gradodi combattere la resistenza agliantibiotici comuni di diversi ceppidi batteri: la scoperta arriva dagliStati Uniti e lascia sperare in unanuova classe di farmaci persconfiggere i “super-bug”. “Siamoriusciti a rendere questi batteriestremamente resistenti attaccabilidagli antibiotici comuni, standard -ha spiegato Peter Moeller delNational Oceanic and AtmosphericAdministration’s Hollings MarineLaboratory a Charleston, SouthCarolina- I batteri che resistono agliantibiotici, come lo Stafilococcoaureo meticillino-resistente (Mrsa),sono un problema sempre più serioper gli ospedali di tutto il Mondo”.Negli Stati Uniti ogni anno 19.000persone muoiono per infezionicausate da super-batteri sempre piùdifficili da eliminare. Moeller, chelavora con ricercatori della MedicalUniversity of South Carolina e dellaNorth Carolina State University, hariferito che il suo team ha notatouna spugna che vive in una barrieracorallina morta. “Ci siamo chiesti:come sopravvive quando tutto ilresto è morto?” ha raccontato loscienziato illustrando il progetto inoccasione dell’incontrodell’American Association for theAdvancement of Science, aChicago. I ricercatori hanno studiatola spugna per capire che cosa leconsente di vivere in condizioniambientali tanto ostili e hannoscoperto che ha la capacità direpellere i biofilm batterici: unsottile strato che i batteri formanoper aderire alle superfici degliorganismi che attaccano. “Si trattadi una proprietà estremamenteinteressante, considerato che il 65-80% di tutte le infezioni patogenicheumane si basa su biofilm”, haspiegato Moeller. Il team ha testato la sostanzacontenuta nella spugna su alcuni deipatogeni più resistenti, tra cuil’Mrsa, e ha scoperto che,mescolando materiale estratto dalla

spugna con un antibiotico, si riescea rendere sensibili all’antibioticoanche batteri “resistenti”.Poiché i composti estratti dallaspugna non sono tossici, il teamamericano sta già lavorando con unaserie di aziende che produconoapparecchi medicali per incorporare iderivati della spugna marina neimateriali usati per stent o altriapparecchi. In futuro Moellerprevede una nuova classe difarmaci, che ha chiamato “helperdrugs”, che potrebbe ripristinare lapotenza degli antibiotici attualmenteinefficaci con i super-bug. Maoccorre prima passare al vaglio dellaFood and Drug Administration eottenerne l’approvazione.

Tecnologia e saluteDurante la più recente edizionedell’International StrokeConference, un team dell’Universitàdella California-San Diego hapresentato un’innovativa tecnica ingrado di “salvare” il cervello daipostumi degli attacchi acuti causatida ictus grazie all’utilizzo di unospeciale raggio laser.Difficoltà del linguaggio, paresi oproblemi alla vista potranno essereal centro di successivi azioniterapeutiche condotte dal teamstatunitense: per ora, infatti, il pooldi San Diego ha registrato buonirisultati solamente con soggetticolpiti da ictus di moderata gravità.Lo studio condotto negli States haanalizzato gli effetti dell’utilizzo dellaser nella zona dell’infrarosso e lasua azione su quelle aree del cervellonon del tutto compromesse dallacarenza di ossigeno, con l’obiettivodi favorire la rigenerazione deineuroni e, più in generale, unaripresa del metabolismo.Secondo quanto spiegato dal dottorRoberto Sterzi dell’OspedaleNiguarda ca’ Granda di Milano edirettore della Stroke Unit che hacommentato la ricerca nordamericana,lo studio verrà ulteriormente verificatoma potrebbe aprire interessantiscenari in termini di non-invasività eriduzione dei rischi poiché “utilizzasolo sonde esterne” e sarebbeparticolarmente indicata in pazientiche non possono essere sottoposti atrombolisi, oggi trattamento-chiavenella cura dell’ictus.In Italia, l’ospedale di Cremona ha adisposizione un vero e proprio“navigatore satellitare” per il corpoumano utile per farsi strada tra imeandri del cervello e della spina

dorsale consentendo interventichirurgici piu’ sicuri e rapidi.La novità si chiamaNeuronavigatore ma, a livellonazionale, è operativa in poco menodi trenta strutture, sette delle qualisolo in Lombardia. Il nuovostrumento consente di eseguire inmodalità mininvasiva interventi chealtrimenti andrebbero condotti a“cielo aperto”. A Cremona neigiorni scorsi è stata eseguita laprima “cifoplastica neuro navigata”.Questo tipo d’intervento viene usatoper riparare le fratture vertebrali,inserendo un palloncino all’internodella colonna per stabilizzarla ecorreggere le deformità. Ilneuronavigatore è utilizzabile anchenella chirurgia cerebrale, dove lamininvasività gioca un ruoloimportantissimo. Infatti, mentrefinora si sono utilizzate radiazioniionizzanti per fotografare l’internodel corpo, con il neuronavigatore sihanno poche scansioniradiografiche, eseguite direttamentein sala operatoria. Per il cuore è stato messo a punto unnuovo modello di computer in gradodi esplorarne virtualmente l’anatomiacon una definizione mai prima d’orapossibile su pazienti: a creare ilnuovo sistema, descritto sulla rivistaNew Scientist, è stato un gruppo dimedici dell’Heart Hospital e ungruppo di specialisti di post-produzione della società Glassworks. Il “cuore” virtuale può esseremanipolato tramite mouse: il‘telespettatore’ può ruotare l’organovirtuale attorno al suo asse e vederlodentro e fuori. Il cuore può essereosservato quando batte normalmenteo si può simulare un disturbo pervedere cosa succede nel caso in cuiuna condizione patologica nedisturbi il suo normalefunzionamento.

L’auto elettrica per lunghedistanzeSi chiama Zhong Tai ed è prodottadall’azienda cinese New Power. Lasua particolarità è di essere un’autoelettrica che, in condizioniriconducibili a quelle di un“ambiente automobilistico urbano”,può percorre anche circa 400chilometri con una sola carica. Dotata di una batteria da 300 kg, laZhong Tai può viaggiare per più di270 chilometri a 100 km/h o per 350chilometri a 77 km/h senza lanecessità di fare rifornimento. In un tipico scenario cittadino (fatto

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SCIENZA E TECNICAmensile a carattere politico-culturalee scientifico-tecnico

Dir. resp.: Lorenzo Capasso

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di fermate e ripartenze frequenti,oltre che di percorsi a velocitàcontenute), la New Power calcolache la propria vettura potrà marciarein autonomia per circa 400chilometri. Se il confronto con leauto alimentate a idrocarburi, dalpunto di vista dell’autonomia, non lavede vincitrice assoluta, rispetto allesorelle elettriche la Zhong Tai ècertamente un gradito miglioramentoin quello che da sempre è consideratouno dei talloni d’Achille delle autoelettriche: la possibilità di percorreredistanze accettabili senza doverricaricare ogni pochi chilometri. La Danimarca, comunque, haintenzione di rimediare a questoproblema costruendo un’infrastrutturacapillare di rifornimento e se questaopzione si accompagna a un’auto che

non richiede frequenti soste, gliautomobilisti non avranno più remoread abbandonare la benzina e, diconseguenza, ad acquistare autoelettriche. La New Power è, così, convinta diquesto da programmare l’inizio dellaproduzione di massa della Zhong Tainel 2010: l’azienda conta di realizzarecirca 20.000 veicoli ogni anno.

L’auto decollerà nel 2011Terrafugia, l’azienda costruttrice diTransition, l’auto che vola, hacompletato la prima fase del progettoe sarebbe pronta a lanciarsi nellarealizzazione di una versione “beta”del velivolo, ossia un nuovoprototipo basato sulle conoscenzeacquisite finora e l’esperienzaderivata dai testo compiuti con ilprimo esemplare. A metà strada tra un piccoloaeroplano e un’automobile, Transitionnecessita per decollare e atterrare diun piccolo aeroporto; quando è aterra, in mezzo un minuto puòripiegare le ali e diventare unanormale auto a benzina verde che puòessere parcheggiata nel garage di casa.

Dopo aver compiuto 28 voli di prova(con il colonnello dell’aviazioneamericana Bill Meteer quale pilota),Transition è pronta a cedere il passoa un nuovo prototipo. La strada verso la creazione di unveicolo utilizzabile da chiunque chepossieda una licenza di volo si èrivelata più lunga e costellata didifficoltà rispetto a quanto i progettistiavevano inizialmente immaginato.Secondo le stime iniziali, il 2009avrebbe dovuto segnare l’immissionesul mercato dei primi modellicommerciali; le previsioni attualiparlano invece del 2011 quale anno incui sarà possibile acquistare le prime“auto volanti”, a patto di avere unalicenza di pilota privato.

LA SIPS, SOCIETÀ ITALIANA PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZE - ONLUS, trae le sue origini nella I Riunione degliscienziati italiani del 1839. Eretta in ente morale con R.D. 15 ottobre 1908, n. DXX (G.U. del 9 gennaio 1909, n. 6), svolge attività interdisciplinare e multidisciplinaredi promozione del progresso delle scienze e delle loro applicazioni organizzando studi ed incontri che concernono sia il rapporto della collettività con il patrimonioculturale, reso più stretto dalle nuove possibilità di fruizione attraverso le tecnologie multimediali, sia ricercando le cause e le conseguenze di lungo terminedell’evoluzione dei fattori economici e sociali a livello mondiale: popolazione, produzione alimentare ed industriale, energia ed uso delle risorse, impatti ambientali,ecc.Allo statuto vigente, approvato con D.P.R. n. 434 del 18 giugno 1974 (G.U. 20 settembre 1974, n. 245), sono state apportate delle modifiche per adeguarlo al D.Lgs.460/97 sulle ONLUS; dette modifiche sono state iscritte nel Registro delle persone giuridiche di Roma al n. 253/1975, con provvedimento prefettizio del 31/3/2004.In passato l’attività della SIPS è stata regolata dagli statuti approvati con: R.D. 29 ottobre 1908, n. DXXII (G.U. 12 gennaio 1909, n. 8); R.D. 11 maggio1931, n. 640 (G.U. 17 giugno 1931, n. 138); R.D. 16 ottobre 1934-XII, n. 2206 (G.U. 28 gennaio 1935, n. 23); D.Lgt. 26 aprile 1946, n. 457 (G.U. - edizionespeciale - 10 giugno 1946, n. 1339). Oltre a dibattere tematiche a carattere scientifico-tecnico e culturale, la SIPS pubblica e diffonde i volumi degli ATTIcongressuali e SCIENZA E TECNICA, palestra di divulgazione di articoli e scritti inerenti all’uomo tra natura e cultura. Gli articoli, salvo diversiaccordi, devono essere contenuti in un testo di non oltre 4 cartelle dattiloscritte su una sola facciata di circa 30 righe di 80 battute ciascuna, comprensivedi eventuali foto, grafici e tabelle.CONSIGLIO DI PRESIDENZA:Carlo Bernardini, presidente onorario; Maurizio Cumo, presidente; Francesco Balsano, vicepresidente; Mario Alì, Vincenzo Barnaba,Vincenzo Cappelletti, Cosimo Damiano Fonseca, Salvatore Lorusso, Elvidio Lupia Palmieri, Antonio Speranza, consiglieri; Alfredo Martini,amministratore; Enzo Casolino, segretario generale.Revisori dei conti:Salvatore Guetta, Vincenzo Coppola, Antonello Sanò, effettivi; Giulio D’Orazio, Roberta Stornaiuolo, supplenti.COMITATO SCIENTIFICO:Michele Anaclerio, Mauro Barni, Carlo Bernardini, Carlo Blasi, Elvio Cianetti, Waldimaro Fiorentino, Michele Lanzinger, Gianni Orlandi, RenatoAngelo Ricci, Fiorenzo Stirpe, Roberto Vacca, Bianca M. Zani.SOCI:Possono far parte della SIPS persone fisiche e giuridiche (università, istituti, scuole, società, associazioni ed in generale, enti) che risiedono in Italia e all’estero,

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