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www.giurisprudenzapenale.com │Giurisprudenza Penale│[email protected] Rivista Giuridica registrata presso il Tribunale di Milano (Aut. n. 58 del 18.2.2016) │Codice ISSN 2499-846X Ergastolo “ostativo”: la “presunta” legittimità costituzionale del “fine pena mai” tra spinte riformatrici nazionali e sovranazionali. di Francesca Di Caro Sommario: 1. L’ergastolo “ostativo”, quale oggetto di quotidiane istanze di revisione della pena. 2. L’ergastolo in generale: evoluzione normativa e interpretazione costituzionalmente orientata. 3. L’ergastolo “ostativo”, l’esigibile collaborazione e il baratto della propria libertà con quella degli altri. 4. Alcune paradigmatiche pronunce della Corte EDU in materia di ergastolo “effettivo”. 5. Conclusioni: dal “Progetto Palazzo” ad una necessaria riforma della disciplina dell’ergastolo “ostativo. 1. L’ergastolo “ostativo”, quale oggetto di quotidiane istanze di revisione della pena. La pena dell’ergastolo ha da sempre interessato l’analisi e la ricerca in vari campi del diritto, da quello penale, ove essa trova la sua origine, a quello costituzionale, passando, da ultimo, anche per il diritto europeo. Nella prassi giudiziaria, quotidianamente, numerosi detenuti, condannati alla pena dell’ergastolo, ed in particolare a quella dell’ergastolo c.d. “ostativo”, per aver commesso reati di particolare gravità, legati a fatti di criminalità organizzata o di terrorismo, propongono istanza di revisione della pena al magistrato competente. Quest’ultimo, verificata la sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla disciplina, ha il potere di concedere o negare la liberazione condizionale all’ergastolano che ne fa richiesta. Ad ogni nuova istanza, tuttavia, ritorna un interrogativo di fondo: la sanzione dell’ergastolo “ostativo” è compatibile con l’Ordinamento nazionale e con quello sovranazionale? Per risolvere tale quesito è necessario esaminare la disciplina generale dell’ergastolo, nonché quella speciale dell’ergastolo “ostativo”. 2. L’ergastolo in generale: evoluzione normativa e interpretazione costituzionalmente orientata. Lergastolo è pena stabilita dal nostro sistema sanzionatorio vigente, menzionata all’art. 17 c.p. e cristallizzata dall’art. 22 c.p., che così dispone: “La pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al lavoro all'aperto.

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www.giurisprudenzapenale.com │Giurisprudenza Penale│[email protected]

Rivista Giuridica registrata presso il Tribunale di Milano (Aut. n. 58 del 18.2.2016) │Codice ISSN 2499-846X

Ergastolo “ostativo”: la “presunta” legittimità costituzionale del

“fine pena mai” tra spinte riformatrici nazionali e sovranazionali.

di Francesca Di Caro

Sommario: 1. L’ergastolo “ostativo”, quale oggetto di quotidiane istanze di

revisione della pena. – 2. L’ergastolo in generale: evoluzione normativa e

interpretazione costituzionalmente orientata. – 3. L’ergastolo “ostativo”, l’esigibile

collaborazione e il baratto della propria libertà con quella degli altri. – 4. Alcune

paradigmatiche pronunce della Corte EDU in materia di ergastolo “effettivo”. – 5.

Conclusioni: dal “Progetto Palazzo” ad una necessaria riforma della disciplina

dell’ergastolo “ostativo”.

1. L’ergastolo “ostativo”, quale oggetto di quotidiane istanze di revisione della

pena.

La pena dell’ergastolo ha da sempre interessato l’analisi e la ricerca in vari campi

del diritto, da quello penale, ove essa trova la sua origine, a quello costituzionale,

passando, da ultimo, anche per il diritto europeo.

Nella prassi giudiziaria, quotidianamente, numerosi detenuti, condannati alla pena

dell’ergastolo, ed in particolare a quella dell’ergastolo c.d. “ostativo”, per aver

commesso reati di particolare gravità, legati a fatti di criminalità organizzata o di

terrorismo, propongono istanza di revisione della pena al magistrato competente.

Quest’ultimo, verificata la sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla disciplina,

ha il potere di concedere o negare la liberazione condizionale all’ergastolano che ne

fa richiesta.

Ad ogni nuova istanza, tuttavia, ritorna un interrogativo di fondo: la sanzione

dell’ergastolo “ostativo” è compatibile con l’Ordinamento nazionale e con quello

sovranazionale?

Per risolvere tale quesito è necessario esaminare la disciplina generale dell’ergastolo,

nonché quella speciale dell’ergastolo “ostativo”.

2. L’ergastolo in generale: evoluzione normativa e interpretazione

costituzionalmente orientata.

L’ergastolo è pena stabilita dal nostro sistema sanzionatorio vigente, menzionata

all’art. 17 c.p. e cristallizzata dall’art. 22 c.p., che così dispone: “La pena

dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con

l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato all'ergastolo può

essere ammesso al lavoro all'aperto”.

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Venendo alle origini dell’istituto, è opportuno chiarire che l’ergastolo, così come

indica la stessa etimologia, per i Greci era il luogo dove riposavano gli schiavi, dopo

aver lavorato nei campi o dove erano confinati gli insolventi, detenuti per debiti. 1

Ma è nell’antica Roma che può ravvisarsi la prima origine dell’ergastolo come

punizione: il pater familias, infatti, rinchiudeva all’interno di uno spazio, detto

ergastulum, quegli schiavi da lui ritenuti incorreggibili.

Durante il Medioevo, il termine assume una connotazione differente, legandosi

definitivamente al concetto di perpetuità.

Invero, la Chiesa medioevale, concepiva l’ergastolo come ozio perpetuo,

segregazione forzata, attribuendo all’istituto una valenza più rigorosa, dal momento

che a tale “castigo” erano destinati i peccatori, bisognosi di “medicine forti”.

Essi, tuttavia, non erano considerati irrecuperabili, poiché attraverso l’espiazione, il

sincero pentimento e il perdono potevano riottenere la libertà.

Quanto di tale concezione si tramanderà nei secoli successivi, sino ad arrivare ai

nostri giorni?

Per brevità espositiva, si guardi al Codice Zanardelli, dove l’ergastolo occupava il

posto di pena e l’art.11 disponeva la perpetuità della stessa, salvo possibilità di

grazia. 2

A tale trattamento sanzionatorio erano condannati tutti coloro che si rendevano

responsabili di gravi delitti. A titolo esemplificativo si pensi ai reati di attentato

contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato; omicidio con premeditazione;

omicidio per preparare, facilitare o consumare un altro reato, benché questo non sia

avvenuto.

In seguito, l’entrata in vigore del Codice Rocco e la conseguente introduzione della

pena di morte limitavano le ipotesi di ricorso all’ergastolo, riservando invece la più

grave sanzione ai reati contro la personalità dello Stato e la vita dei cittadini.

Nell’ottica del Legislatore del 1930, la pena aveva funzione retributiva e general-

preventiva, poiché "la funzione di rieducazione e di emenda del colpevole non

costituiva lo scopo essenziale della pena".3

1 Dal greco “ἐργάζομαι”, cioè “lavorare”. 2 La pena dell’ergastolo, scontata in particolari luoghi, denominati “ergastoli”, si componeva

di 7 anni di segregazione cellulare continua, obbligo di lavoro che, una volta scontato, dava

acceso al solo isolamento notturno.

Per completezza, si pensi che gli ergastolani, dopo il periodo di segregazione continua,

potevano andare al passeggio in comune, durante il quale dovevano osservare la regola del

silenzio e camminare in fila uno dopo l'altro alla distanza che veniva loro ordinata. Non

potevano né uscire dalla fila, né fermarsi o sedersi senza avere ottenuto il permesso dagli

agenti di custodia; tale permesso doveva essere chiesto alzando la mano (art. 247). I

condannati all'ergastolo non potevano essere addetti ai servizi domestici prima di avere

scontato venti anni di pena (art. 279). Il prezzo integrale del lavoro da loro compiuto si

divideva in decimi ed erano loro assegnati 3/10 a titolo di gratificazione (art. 287). Durante

il periodo della segregazione cellulare continua, potevano avere un colloquio l'anno e,

compiuto questo periodo, ne potevano avere uno ogni sei mesi (art. 305); potevano infine

scrivere una lettera ogni quattro mesi (art. 317). 3 SALTELLI C., voce Ergastolo, in Nuovo Dig. It., Torino, 1938, 458.

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L’avvento della Costituzione Repubblicana segnava una frattura con l’ideologia

precedente e contribuiva alla modifica della disciplina previgente.

In particolare, punto di partenza della nostra analisi è l’art. 27 del dettato

costituzionale che, dopo aver abrogato la pena di morte, sancisce: “Le pene non

possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla

rieducazione del condannato”.

Già la lettera della disposizione evidenzia marcatamente il mutamento di concezione

del Costituente, poiché introduce un nuovo fine a cui la sanzione penale deve tendere

: la rieducazione del reo e il reinserimento dello stesso nella società. 4

A ben guardare, infatti, l’ergastolo era una pena destinata a coincidere, nella sua

durata, con l’intera vita del condannato e dunque definita con l’espressione “fine

pena mai”.5

Occorre, adesso, chiedersi: ma in un sistema di valori, quali quelli a cui la

Costituzione Repubblicana si ispira e dai quali è permeata, è possibile accettare una

prospettiva come il “fine pena mai”?

Il 16 giugno del 1956, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, con una storica ordinanza,

respingeva la questione di legittimità costituzionale dell’ergastolo, attraverso una

motivazione, articolata in alcuni punti chiave.

In primis, la Corte affermava che la rieducazione del condannato non dovesse a

fortiori passare per un recupero sociale dello stesso, essendo, al contrario, sufficiente

la mera redenzione morale.

Tale argomentazione, legata ad una visione puramente giusnaturalistica, identificava

la redenzione morale come <<quel processo attuoso dello spirito, diretto a facilitare

il pentimento, che – liberando il condannato dal peso del delitto commesso – lo porti

a redimersi>>.6

Il secondo aspetto era fondato sull’interpretazione letterale, poiché, se il Costituente

avesse voluto escludere la pena perpetua, avrebbe ben potuto scriverlo in

Costituzione, così come per la pena di morte, abrogata per effetto dell’art. 27, ult.

co., Cost.

In subordine, la Suprema Corte enunciava la tesi della polifunzionalità delle pene,

giustificando l’ergastolo sulla base della deterrenza, della prevenzione generale e

speciale.

La Cassazione, infine, chiosava la sua pronuncia rammentando che l’esistenza della

grazia e della commutazione della pena facevano venir meno, astrattamente, la

perpetuità dell’ergastolo.

4 Molti dei Padri Costituenti, oppositori del regime fascista, avevano potuto sperimentare

l’inumanità delle carceri e dei trattamenti riservati ai detenuti. Tale tremenda esperienza

aveva fatto sorgere in loro l’idea che la pena dovesse avere varie funzioni e tra queste vi era

la rieducazione del condannato. 5 CARNELUTTI F., La pena dell’ergastolo è costituzionale?, in Riv. dir. proc., 1956, I, 1. 6 Cass., SS.UU., sent., 16 giugno 1956, in Rivista italiana di diritto penale, 1956, 485.

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Passi avanti erano fatti alcuni anni dopo, a partire dalla L. 25 novembre 1962, n.1634

che permetteva anche agli ergastolani, che avessero scontato ventotto anni di pena,

di beneficiare della liberazione condizionale. 7

Tale norma contribuiva a rendere la pena dell’ergastolo compatibile con il disposto

dell’art.27, co.3, Cost., introducendo nell’ordinamento un “ergastolo non più

perpetuo” e dunque tendente alla rieducazione del reo.8

Rimaneva, tuttavia, aperta l’ulteriore questione legata alla competenza per la

concessione del predetto beneficio, in quanto il Ministro della Giustizia poteva

disattendere al parere redatto dal giudice di Sorveglianza.

Invero, dovrà attendersi il 1974, quando la Consulta con la sentenza 4 luglio 1974,

n. 204 dichiarava incostituzionale la predetta disciplina, poiché in contrasto con gli

artt. 24 e 111 Cost.

Il dettato costituzionale, infatti, non poteva certamente ammettere che la concessione

della liberazione condizionale dipendesse dal Ministro, organo inidoneo, in quanto

il condannato diventava titolare del diritto a che <<il protrarsi della pretesa punitiva

venisse riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata avesse

o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo>>.

Tale progressivo arresto della Corte Costituzionale, tuttavia, veniva superato dalla

sentenza 22 novembre 1974, n. 264, con la quale si ritornava alla tesi della

polifunzionalità della pena, tanto cara alla Suprema Corte.

La Consulta, infatti, affermava che la rieducazione del reo non sempre fosse

raggiungibile e che alla base delle pene ci fossero egualmente la dissuasione, la

prevenzione e la difesa sociale.

Un ultimo argomento veniva infine speso in relazione all’adempimento delle

obbligazioni civili nascenti dal reato.

Nel caso in esame, il remittente aveva sostenuto che soltanto l’ergastolano in grado

di adempiere alle predette obbligazioni avrebbe potuto beneficiare della

condizionale, comportando tale obbligo una manifesta discriminazione nei confronti

degli altri condannati.

A tal proposito, la Corte affermava che il detenuto non abbiente e quindi non in grado

di adempiere alle obbligazioni avrebbe potuto dare prova delle precarie condizioni

economiche e accedere ugualmente ad anzidetto beneficio.

In seguito, la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975, che si poneva come

punto di svolta rispetto al precedente sistema, riconosceva al detenuto una certa

“soggettività giuridica”, in ossequio ai principi sanciti nella Costituzione, ove

l’individuo, all’interno dell’Ordinamento, ricopre ruolo preminente. Tuttavia,

sebbene il detenuto iniziasse ad essere considerato titolare di diritti e aspettative,

7 La liberazione condizionale, già disciplinata nel Codice Zanardelli, era legata a doppio filo

con il ravvedimento del condannato. Il Codice Rocco, invece, riservava tale beneficio ai

detenuti contraddistintisi per una buona condotta. 8 La legge in esame abrogava, altresì, i commi 3 e 4 dell’art.22 cp, che disponevano

l’esecuzione dell’ergastolo in una colonia o in un possedimento oltre mare.

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corrispondenti ai valori costituzionalmente garantiti, il trattamento riservato agli

ergastolani rimaneva assai diverso.

In particolare, gli ergastolani non erano ammessi al beneficio della liberazione

anticipata e non potendo godere degli sconti di pena, era a loro, di fatto, precluso il

beneficio della condizionale.9

A tal riguardo, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, l’ergastolano

avrebbe potuto accedere alla liberazione condizionale solo dopo aver scontato

“effettivamente” ventotto anni di pena, ex art. 176 ord. penit..

Per la Cassazione, dunque, gli sconti di pena non erano compatibili con tale

disciplina.

La soluzione alla questione arriverà con la sentenza della Corte Costituzionale 27

settembre 1983, n. 274, con la quale la Consulta dichiarava l’illegittimità

costituzionale dell'art. 54 ord. penit. nella parte in cui non prevedeva la possibilità di

concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del

computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata, richiesta per

l'ammissione alla liberazione condizionale.

Predetta pronuncia veniva in seguito recepita dal Legislatore, che con la L. 10 ottobre

1986, n.663, c.d. “Gozzini”, abbassava da ventotto a ventisei anni il limite di pena

scontata per accedere alla liberazione condizionale.10

Un’ulteriore pronuncia, destinata a segnare l’evoluzione dell’istituto, era, poi,

rappresentata dalla sentenza della Corte Costituzionale 28 aprile 14, n.168, inerente

alla pena dell’ergastolo comminato ai minorenni.

Nel caso di specie, un minore era imputato di omicidio volontario aggravato, in

danno di un ascendente, per il quale l’Ordinamento stabilisce la pena dell’ergastolo

e per tale motivo il remittente si doleva della lesione di numerose norme

sovranazionali e, in riferimento alla materia che qui ci occupa, lamentava la

violazione dell’art. 27, co. 3, Cost.

Preliminarmente, è questo il caso di rammentare che il nostro Ordinamento prevede,

in ipotesi di ergastolo comminato ad un minorenne, la possibilità di accedere alla

condizionale, indipendentemente da un numero di anni già scontati.

Tornando, dunque, alla pronuncia, la Consulta dichiarava fondata la questione di

legittimità in riferimento all’art. 31, co. 1, Cost. in relazione all’art. 27, co. 3, Cost.,

in quanto, sebbene l’ergastolo astrattamente considerato fosse stato giudicato

compatibile con la Costituzione, l’art. 31 Cost. sanciva un’incisiva diversificazione

del trattamento penalistico riservato al minore.

9 Più nel dettaglio: l’art. 54 della L. 26 luglio 1975, n. 354 Norme sull’ordinamento

penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, non

prevedeva che gli sconti di pena , ossia le detrazioni, pari a giorni venti per ciascun semestre

di pena scontato, per gli ergastolani non potevano concorrere al raggiungimento della soglia

minima di pena per procedere all’istanza di liberazione condizionale. 10 La legge Gozzini, inoltre, alzava da venti a quarantacinque giorni a semestre il “quantum”

della liberazione anticipata, disciplinando anche il metodo di calcolo “frazionato”.

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Ed in particolare, nei confronti del condannato minorenne doveva essere ribadita e

confermata la funzione rieducativa della pena: quest’ultimo è infatti <<un soggetto

ancora in formazione e alla ricerca della propria identità>>, per cui doveva rilevarsi

un’assoluta incompatibilità tra la disciplina codicistica, priva di distinzione tra

detenuti maggiorenni e minorenni e accentuarsi la preminente funzione rieducativa

della pena, nel caso di detenuti minorenni.

Ma se la Corte, con tale pronuncia, aveva rilevato il necessario bisogno di

adattamento della legge ordinaria ai valori costituzionali, nello stesso tempo aveva

rinvigorito il dibattito sulla differenza di trattamento accordata al condannato

minore. In quest’ottica, infatti, tanto i minorenni quanto i maggiorenni avrebbero

dovuto accedere, in qualsiasi momento, alla condizionale, pena la violazione dell’art.

3 Cost.

La risposta non tardò ad arrivare, poiché con la sentenza 4 giugno 1997, n. 161 la

Corte Costituzionale era chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale dell’art.

177, co. 1, c.p., nella parte in cui non ammetteva che l’ergastolano, a cui era stata

revocata la liberazione condizionale, potesse fruire nuovamente della stessa, attesa

la “riviviscenza” dei presupposti di legge.

In primo luogo, la Corte ripercorreva la nascita e l’evoluzione dell’istituto e

sosteneva, infine, che il rifiuto di nuova concessione tornava a rendere la pena

dell’ergastolo incompatibile con il dettato costituzionale, poiché perpetua, fatta salva

sempre l’astratta possibilità di chiedere la grazia.11

La Corte, richiamando la sua giurisprudenza precedente in materia di ergastolo, 12

affermava che non poteva non essere rilevata l’illegittimità costituzionale dell’art.

177, co. 1, c.p., in quanto escludeva il reo in modo permanente ed assoluto dal

processo di rieducazione e di reinserimento sociale, laddove vietava la riammissione

del condannato alla libertà condizionale.

11 La revoca della liberazione condizionale era già presente nel codice Zanardelli e la sua

disciplina rimaneva immutata anche con l’entrata in vigore del Codice Rocco. Presupposti

della revoca erano la commissione di un reato che importava una pena restrittiva della libertà

personale, oppure l’inadempimento delle condizioni imposte con la concessione della

condizionale stessa. Conseguenze della revoca erano, invece, il divieto di computare il

periodo trascorso in libertà nel calcolo della pena residua e il divieto assoluto di riammissione

alla condizionale. Occorre ribadire che sino al 1962 la liberazione condizionale poteva essere

concessa solamente ai condannati ad una pena temporanea. Dal 1962 in poi le riforme

parlamentari riguardarono anche la revoca della condizionale, poiché il Legislatore stabilì

che, a seguito dell’esperimento positivo del periodo di liberazione condizionale, il detenuto

potesse essere liberato definitivamente, trascorsi cinque anni. Infine, con la sentenza Cost. n.

282 del 1989 era dichiarato incostituzionale il sistema della revoca nella parte in cui vietava

alla Magistratura di Sorveglianza di sottrarre alla pena detentiva ancora da espiare, il periodo

di tempo trascorso in libertà condizionale, atteso che il condannato in ogni caso aveva subito

delle restrizioni di libertà personale. 12 S. v. Le cc. dd. Sentenze gemelle, Corte cost., sent., 24 giugno 1974, n. 264 con nota di

PAVARINI M., in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 262. ; Corte cost. sent., 21 settembre 1983,

n. 274.

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Infine, con l’ordinanza del 5 marzo 1998, n. 48, ancora in materia di revoca della

condizionale, la Corte completava quanto precedentemente affermato con l’anzidetta

pronuncia.

Nel caso di specie, l’analisi della Consulta si indirizzava nei riguardi dei presupposti

della revoca, in relazione alle violazioni del principio di rieducazione della sanzione

penale, nonché di quello di uguaglianza.

Il sistema normativo, infatti, poneva a fondamento della revoca la condanna per ogni

tipologia di delitto, tralasciando la possibilità di valutare la compatibilità, de facto,

tra la nuova condanna e la condizionale, concessa in regime di libertà vigilata.

La Corte, in conclusione, affermava la fondatezza della questione, poiché la revoca

della condizionale nel caso di commissione di un qualsiasi delitto o nell’ipotesi di

trasgressione degli obblighi imposti dalla libertà vigilata determinava un rigido

automatismo legislativo, tuttavia, chiosava la Corte che non poteva essere preclusa,

al Legislatore, la facoltà di assumere determinate condanne quali parametri per

escludere l’ammissione del condannato ad alcuni benefici o per revocare quelli già

ottenuti.

3. L’ergastolo “ostativo”, l’esigibile collaborazione e il baratto della propria

libertà con quella degli altri.

Partendo, adesso, dall’assunto secondo cui non tutti gli ergastoli sono uguali, resta

indispensabile chiarire che nel caso di condannato all’ergastolo “ostativo”, l’art. 4

bis, L. 26 luglio 1975, n. 354 ord. penit. prevede il divieto di concessione dei

benefici e l’accertamento della pericolosità dei condannati per taluni delitti di

particolare gravità, di matrice mafiosa o terroristica, cc.dd. “reati ostativi”.13

Siffatta pena esclude in prima battuta la possibilità di usufruire dei benefici carcerari,

riservandosi di concedere questi ultimi solo ai condannati che collaborino con la

giustizia o nei casi in cui tale collaborazione sia impossibile o irrilevante, fatta salva

l’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la

criminalità terroristica o eversiva.

La disposizione di cui all’art. 4bis ord. penit. era introdotta all’indomani delle stragi

di Capaci e Via D’Amelio ed era volta a inasprire il trattamento sanzionatorio di

coloro che erano condannati per gravi fatti di mafia, ponendosi, altresì, quale

incentivo alla collaborazione con la giustizia, ove possibile.14

Tale previsione normativa, da subito, destava clamorose critiche, poiché si ricadeva

in una nuova ipotesi di pena perpetua e quindi in contrasto con il dettato

costituzionale.

13 S.v. il testo dell’art. 4 bis, ord. penit. 14 Con la L. 12 Luglio 1991, n.203 , Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità

organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa, il Legislatore

intendeva inasprire il circuito trattamentale di quei soggetti resisi autori di gravi reati legati

alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Gli interventi principali riguardavano

l’esclusione o la limitazione all’accesso delle misure alternative e degli altri benefici

penitenziari.

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La Carta Costituzionale, infatti, aveva sancito a chiare lettere che la sanzione è volta

principalmente alla rieducazione del reo, poiché <<puniamo qualcuno per poi

riaverlo indietro, possibilmente cambiato>> e il percorso rieducativo tende a far sì

che la pena non sia solamente pena. 15

La giurisprudenza della Cassazione, tuttavia, sosteneva e continua a farlo la

perfetta compatibilità dell’ergastolo ostativo con il dettato costituzionale,

degradando l’astratta incompatibilità dell’istituto ad una mera quaestio facti : la

perpetuità della sanzione dipende soltanto da una libera scelta del detenuto, atteso

che la legge, a determinate condizioni, concede a quest’ultimo il beneficio della

liberazione condizionale.

Invero, svariate questioni giuridiche affastellano il tema dell’ergastolo ostativo e

proveremo, adesso, a dare loro rilievo.

In primo luogo, problema di non poco momento è quello legato alla disparità di

trattamento tra gli ergastolani comuni e i detenuti condannati all’ergastolo ostativo,

nonché quella interna anche a quest’ultima categoria.

Ed in particolare, solitamente i detenuti in regime di ergastolo ostativo erano divisi

in due categorie, a seconda dei delitti commessi, e segnatamente si era soliti

distinguere tra cc.dd. reati di prima fascia, a cui appartenevano i condannati per

delitti di criminalità organizzata, e cc.dd. reati di seconda fascia, di cui facevano

parte i condannati per i delitti di grave allarme sociale, pur se non di matrice mafiosa

o terroristica.

Nei confronti dei condannati per i reati di prima fascia, la concessione dei benefici

penitenziari e delle misure alternative era subordinata alla prova dell’assenza di

collegamenti con le associazioni criminali e all’espiazione di una parte di pena più

consistente rispetto al regime ordinario.

Gli autori dei delitti di seconda fascia, invece, potevano accedere alle misure

alternative e ai benefici penitenziari dopo l’espiazione di una parte di pena più lunga

rispetto a quella richiesta agli altri condannati, fatta salva la verifica

dell’insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

In seguito, il disposto dell’art. 58 ord. penit., parificava il trattamento penitenziario

tra le due categorie di condannati all’ergastolo ostativo, subordinando le predette

concessioni alla collaborazione “esigibile” con la giustizia.

La novella del 1992, inoltre, equiparava l’utile collaborazione ex art. 58 ord. penit.

con le ipotesi di collaborazione oggettivamente irrilevante, in virtù dell’applicazione

delle circostanze attenuanti di cui al n. 6 dell’art. 62 c.p., all’ art. 114 e al n.2 dell’art.

116, fermo restando l’accertamento della mancanza di attualità di collegamenti con

l’associazione criminale.

Il Legislatore ordinario, successivamente, con la L. 23 dicembre 2002, n.279,

estendeva la disciplina della collaborazione inutile a tutti i casi in cui l'integrale

15 A. PUGIOTTO, Quando la clessidra è senza sabbia. Ovvero: perché l’ergastolo è

incostituzionale, in F. CORLEONE – A. PUGIOTTO (a cura di), Il delitto della pena, Roma,

2012, 126 ss.

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accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile,

rendeva comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia.

A ben guardare, la collaborazione si traduceva in un comportamento produttivo di

vantaggi, altrimenti non conseguibili. 16

Ma se molti condannati decidevano di “pentirsi”, quasi barattando la propria con

l’altrui libertà, molti altri ritenevano di non poterlo fare, allegando, nelle loro istanze

di revisione della pena, che «nessun pentimento può esservi per chi è innocente e

vittima di un errore giudiziario».

Ed invero, attualmente, alcuni di loro, attraverso la predetta istanza, chiedono al

giudice dell’esecuzione di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 22 c.p. e

dell’art. 4bis ord. penit., in relazione agli artt. 2, 3, 25 e 27 Cost. e chiedono, di

conseguenza, la conversione della pena dell’ergastolo nella pena della reclusione a

trent’anni.

Tale istanza trova fondamento nella presunta illegittimità costituzionale

dell’ergastolo ostativo, poiché in contrasto con i principi rieducativo e riabilitativo,

cristallizzati nell’art. 27 Cost., nonché nelle recenti pronunce della Corte EDU.

In secondo luogo, a fondamento dell’istanza, vi è la disparità di trattamento tra i

condannati all’ergastolo ostativo e gli ergastolani comuni, atteso che l’accesso ai

benefici e alla liberazione condizionale passa a fortiori per la collaborazione con la

giustizia.17

Siffatta prospettiva, a detta dei proponenti, configura una «ulteriore responsabilità

penale personale del soggetto per il solo fatto di non collaborare con la giustizia,

trasferendo il presupposto della responsabilità penale e della pena dal fatto,

all’essere del soggetto».

Ciò premesso, giova precisare che vari orientamenti si sono consolidati nel tempo,

tuttavia, per concisione è questo il caso di enunciare i due opposti.

Il primo di essi, legato a doppio filo al principio della polifunzionalità della pena,

ritiene l’ergastolo, rectius dell’ergastolo ostativo, legittimo poiché astrattamente non

perpetuo. 18

L’art. 4 bis ord. penit., infatti, prevede una serie di ipotesi nelle quali la causa

ostativa, sebbene la sussistenza di reati particolarmente gravi, può essere superata

con la conseguente “riviviscenza” del regime comune dell’ergastolo e la possibilità

di accedere ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale.

Ne discende che in questi casi l’ergastolo non è più pena perpetua e, pertanto,

conforme ai principi previsti dalla Costituzione e dalla C.E.D.U., secondo

l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU.

16 A. PRESUTTI, Alternative al carcere , regime delle preclusioni e sistema della pena

costituzionale, in A. PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche

penitenziarie, Milano, 1994, 81 ss. 17 RUGA RIVA C., Il premio per la collaborazione processuale, Milano, 2002, 12. 18Cfr. CARNELUTTI F., La pena dell'ergastolo è costituzionale?, in Rivista di diritto

processuale, 1956, I, 1 ; BERNARDI A., Ergastolo: verso un'effettiva pluridimensionalità

della pena perpetua?, in Archivio Giuridico Serafini, 1984, 391 ss

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Deve, infine, ribadirsi che la causa ostativa viene meno nell’ipotesi in cui il

condannato collabori con la giustizia, purché siano stati acquisiti elementi tali da

escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

Quindi, la collaborazione con la giustizia e l’accertata inesistenza dei collegamenti

con la criminalità organizzata determina la mutatio dell’ergastolo ostativo in

ergastolo comune, con il conseguente accesso alla liberazione condizionale dopo

ventisei anni di reclusione.

Un secondo orientamento, invece, condiviso da quanti considerano la pena

dell’ergastolo in re ipsa incompatibile con l’ordinamento interno, prende le mosse

dall’art. 27 Cost. e passa per il disposto dell’art. 3 della C.E.D.U., secondo cui

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o

degradanti”.19

Il primo argomento, a sostegno di tale prospettiva, è strictu sensu letterale, nonché

costituzionalmente orientato : l’ergastolo ostativo equivale ad una condanna

intramuraria perpetua, determinando un vulnus del dettato costituzionale,

concretizzandosi nell’impossibilità del reinserimento sociale del reo.20

A tal proposito, è opportuno ribadire che a poco rileva la sliding door offerta dalla

collaborazione con la giustizia, poiché il problema dell’ergastolo ostativo occupa nel

nostro Ordinamento la preminente posizione di quaestio facti, prima che di quaestio

iuris.

Se, infatti, così come affermato dalla Consulta con la pronuncia 4 giugno 1997, n.

161, la collaborazione rappresenta l’unico mezzo in grado di rendere l’ergastolo

ostativo compatibile con la Costituzione, cosa dire nell’ipotesi di ergastolani non

collaboranti per scelta o perché vittime di errori giudiziari? 21

Ed ancora, atteso che il percorso rieducativo del reo non occupa alcun parametro nel

giudizio volto alla concessione della condizionale, poiché ciò che in realtà conta è la

collaborazione con la giustizia, come argomentare tale scelta legislativa, se la

<<finalità rieducativa presuppone la messa a valore dei risultati dell’osservazione,

della partecipazione all’opera rieducativa, dell’adesione al trattamento da parte del

detenuto>>?22

In riferimento alla fattispecie che ci riguarda, infatti, il sistema interno è

caratterizzato dall’assoluta rigidità edittale: la pena, così come comminata nel

giudizio di cognizione, è immutata e immutabile.

19 Ex multis FIANDACA G., Commento all’art.27, comma 3° Cost., in Commentario alla

Costituzione, a cura di BRANCA e PIZZORUSSO, Bologna, 1991, 222. 20 PUGIOTTO A., Una quaestio sulla pena dell’ergastolo, in www.penalcontemporaneo.it,

5 marzo 2013. 21 Corte Cost. sent. 4 luglio 1997, n.161, la pronuncia in esame riconosceva all’ergastolano,

cui era stata revocata la liberazione condizionale, il diritto di richiedere predetto beneficio,

ricorrendone nuovamente i presupposti. Il divieto sancito dall’art. 177, co. 1, c.p., infatti,

precludeva tale possibilità, privando di fatto la rieducazione e il reinserimento sociale del reo,

violando l’art. 27, co. 3, Cost. 22 PUGIOTTO A., op. cit.

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In senso contrario, si rintracciano alcune pronunce, che attribuiscono valenza

rieducativa alla incentivazione alla collaborazione con la giustizia, poichè la scelta

del condannato di collaborare è indice legale di ravvedimento. 23

A tal riguardo, l’equazione secondo cui la collaborazione con la giustizia si traduce

nel “sicuro ravvedimento” sembra difettare di una logica di fondo, poiché non

mancano casi in cui si ha collaborazione priva di ravvedimento e ravvedimento senza

collaborazione.24

Invero, la decisione di collaborare attiene esclusivamente ad una visione oggettiva,

in quanto depone a favore del distacco del reo dal sodalizio criminale, ma non può,

altresì, considerarsi indice di ravvedimento, né di assenza di pericolosità sociale.25

È giocoforza che il meccanismo di previsione legale assoluta si presterebbe anche a

“collaborazioni” di comodo, di scambio della propria libertà con quella di altri. 26

Inoltre, nell’analisi testé condotta non deve tralasciarsi il fatto che l’impalcatura, che

regge il sistema normativo di cui sopra, è incardinata su una serie di presunzioni

legali.27

E più nel dettaglio, dall’integrazione della fattispecie criminosa di cui all’art. 4bis

ord. pen. derivano due presunzioni: la prima relativa alla pericolosità sociale e la

seconda legata alla permanenza dell’adesione al sodalizio criminale.

Le predette presunzioni sono infine accompagnate da una terza, ossia la condotta

collaborativa, indice iuris et de iure di ravvedimento.28

Siffatto sistema normativo finisce con il tradursi in un rigido automatismo, che

innumerevoli volte è stato definito, dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale,

contrario alla Carta fondamentale, poiché impeditivo o limitativo della verifica

dell’adeguatezza della sanzione rispetto al fatto concreto.29

A ben guardare, diversi comportamenti del reo potrebbero essere eletti a parametri

indicativi della rescissione del vincolo che il condannato aveva con il sodalizio

criminale, quali ad esempio le pubbliche esternazioni contro l’organizzazione

criminale di appartenenza, il nuovo interesse nei confronti delle persone offese dal

reato, o delle di loro famiglie, il pagamento delle obbligazioni sorte dalla condanna,

l’aver intrapreso un percorso di studi ispirato a modelli di legalità e correttezza.

Questi ultimi, tuttavia, non assumono alcuna rilevanza per le argomentazioni

precedentemente analizzate.

23 Cfr. ex multis, Cass., Sez. V, 10 gennaio 2011, n.273, in C.E.D. Cass. 24 MANTOVANI F. Diritto penale, Parte generale, Cedam, Padova, 1992, 56. 25 SAMMARCO A. A., La collaborazione con la giustizia nella legge penitenziaria, in Riv.

it. dir. proc. pen., II, 871 ss. 26 PRESUTTI A., Alternative al carcere , regime delle preclusioni e sistema della pena

costituzionale, in PRESUTTI A. (a cura di), Criminalità organizzata e politiche

penitenziarie, Milano, 1994, 81 ss. 27 LA GRECA G., Liberazione condizionale e criminalità organizzata nella giurisprudenza

costituzionale, in Foro It., I,2002 24. 28 DE MINICIS F., Ergastolo ostativo: un automatismo da rimuovere, in Dir. pen e proc.,

11, 2014, 1273 ss. 29 Cfr. Corte Cost. ord., 28 ottobre 2013, n.253; Corte Cost., sent., 23 luglio 2015, n. 185;

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Resta da indagare un ulteriore profilo, cioè quello legato alla possibile violazione del

diritto alla difesa esercitabile nella fase di esecuzione della pena.

Il meccanismo dell’art.4bis ord. penit., infatti, sembra astrattamente retroagire già

alla fase del giudizio di cognizione, poiché lascia intravedere all’imputato quali

potranno essere le certe conseguenze di una non collaborazione con la giustizia nel

caso di eventuale condanna.30

Se tale sistema è espressione del principio di prevedibilità dell’illecito e della sua

sanzione, si trasforma altresì in strumento di scelta tra il silenzio e una possibile

confessione.

Ma anche il silenzio è esercizio del diritto di cui all’art. 27 Cost., laddove

quest’ultimo eviti all’imputato di fornire elementi a proprio danno o di mentire.

Per contra, la Corte Costituzionale con la pronuncia 8 luglio 1993, n. 306

evidenziava come il diritto alla difesa dovesse esercitarsi entro i limiti e le condizioni

stabilite dalla legge, destando con tale decisione numerose critiche, legate al rispetto

della gerarchia delle fonti, secondo cui la legge ordinaria non può in alcun modo

derogare al dettato costituzionale.

Infine, non può e non deve trascurarsi un’ultima censura, relativa al divieto di tortura,

consacrato dall’art. 13, co. 4, Cost., nonché obbligo internazionale pattizio ex art.

117, co. 1, Cost.

Invero, l’ergastolano ostativo è sottoposto ad un regime carcerario caratterizzato da

una restrizione dei colloqui e delle conversazioni telefoniche, sottoposto ad una

sorveglianza rafforzata, non può intrattenere rapporti con gli altri detenuti, collocati

in circuiti di media sicurezza o di custodia attenuata e non può essere ammesso alla

modalità detentiva di custodia aperta.31

Tali modalità di detenzione verosimilmente integrerebbero anche il disposto di cui

all’art. 1 della Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti e pene crudeli,

inumane e degradanti CAT, firmata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata ed

eseguita in Italia con la L. 3 novembre 1988, n. 489, che vieta tutti gli atti con cui si

infligge in modo intenzionale, ad una persona, grave sofferenza mentale o fisica al

solo fine di estorcerle una confessione.

L’ergastolano, infatti, è sottoposto ad un regime di costrizione psico-fisica,

caratterizzata da una detenzione intramuraria perenne, finalizzata, dunque, ad una

collaborazione con l’Autorità giudiziaria.

La disposizione in esame, per quanto lecita, poiché stabilita con legge ordinaria,

sarebbe illegittima, poiché contraria al dettato costituzionale, in relazione agli artt.

13, co.4 e 117, co.1, Cost.

Tuttavia, giova precisare che dal punto di vista giuridico vi è un’apprezzabile

differenza tra il sanzionare la non collaborazione e il premiare la medesima,

30 PUGIOTTO A., Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, in

www.penalecontemporaneo.it, 4, 2016. 31 PRESUTTI A., Alternative al carcere , regime delle preclusioni e sistema della pena

costituzionale, in PRESUTTI A. (a cura di), Criminalità organizzata e politiche

penitenziarie, Milano, 1994, 81 ss.

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ricollegandole un vantaggio aggiuntivo, poiché intesa sempre quale condotta

premiale.32

Invero, nella predetta ipotesi, la collaborazione si traduce nel risultato del regime di

tortura, a cui l’ergastolano è sottoposto.

Per contra, tale interpretazione è stata rigettata dalla Consulta, che ha posto l’accento

sulla reale possibilità di scelta lasciata al detenuto, libero anche di non collaborare

con la giustizia.

La norma, secondo l’interpretazione datale dalla Corte, dunque, non rappresenta un

invito alla <<delazione attraverso la minaccia di un trattamento punitivo

deteriore>>, rimanendo espressione del diritto di difesa. 33

In definitiva, sebbene le molteplici critiche mosse nei confronti di un “fine pena mai”

lecito, ma illegittimo, appare evidente che tutte siano state respinte dalla Corte

Costituzionale, avendo quest’ultima, nel corso degli anni, ribadito la legittimità

costituzionale dell’istituto, pur essendo intervenuta con varie pronunce e avendo

offerto, ad ogni singola censura, un’interpretazione costituzionalmente orientata,

anche se, in alcune ipotesi, al limite della costituzionalità.

4. Alcune paradigmatiche pronunce della Corte EDU in materia di ergastolo

“effettivo”.

L’ergastolo ostativo, così come disciplinato nel nostro Ordinamento interno, è

istituto non rintracciabile in altri Ordinamenti, essendo una peculiarità italiana.

Tuttavia, anche in altri Paesi i condannati ritenuti pericolosi sono sottoposti ad un

regime carcerario che non prevede la concessione della liberazione condizionale.34

Per tale motivo, numerose sono le sentenze della Corte di Strasburgo che hanno ad

oggetto un ergastolo “effettivo”.

In particolare, la Corte ha indirizzato le sue pronunce sulla violazione dell’art. 3

C.E.D.U., esaminando due profili: il primo inerente alla pena dell’ergastolo

“effettivo” senza la previsione di liberazione anticipata o condizionale; il secondo

relativo all’estradizione di detenuti, condannati all’ergastolo senza possibilità di

liberazione anticipata, che nello Stato richiedente potrebbero essere sottoposti a

trattamenti violativi dell’art. 3 C.E.D.U.

La Grande Camera si occupava per la prima volta dell’istituto nel 2008 con la

sentenza Kafkaris c. Cipro, destinata a diventare il leading case nella materia che ci

occupa.

Nel caso di specie, un cittadino cipriota aveva proposto ricorso, poiché condannato

alla pena dell’ergastolo, senza la possibilità di accedere alla liberazione anticipata o

condizionale, fatta salva la facoltà di ottenere un provvedimento di grazia, concessa

a discrezione dal Presidente della Repubblica.

32 PUGIOTTO A., op.cit. 33 Corte Cost., sent., 17 febbraio 1994, n.39 . 34 Cfr. VIGANO’ F., Ergastolo senza speranza di liberazione condizionale e art. 3 CEDU:

(poche) luci e (molte) ombre in due recenti sentenze della Corte di Strasburgo, in

www.penalecontemporaneo.it, 4 luglio 2012.

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La Corte EDU, con la sua pronuncia, escludeva l’incompatibilità tra l’ergastolo e il

divieto di trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 3 C.E.D.U., ma affermava

che l’inesistenza, nella legislazione nazionale, di una prospettiva di liberazione

anticipata avrebbe potuto determinare l’incompatibilità con la predetta norma.

Sebbene tali premesse di principio, la Corte considerava la legislazione cipriota

compatibile con la Convenzione, poiché la previsione del meccanismo della grazia,

concesso dal Presidente della Repubblica, rendeva la pena dell’ergastolo

astrattamente non perpetua e rappresentava, quindi, una concreta possibilità per

l’ergastolano di essere scarcerato anticipatamente.35

Il principio affermato con tale sentenza si prestava a varie interpretazioni, tuttavia

l’unica prediletta dalla Corte sembrava essere molto restrittiva, in quanto la remota

possibilità di una liberazione anticipata veniva considerata compatibile con la

Convenzione, indipendentemente dall’inesistenza nell’ordinamento interno di un

meccanismo di revisione del regime carcerario, cui era sottoposto l’ergastolano.

Con la successiva sentenza Vinter c. Regno Unito, la Corte precisava i criteri usati

nell’ambito della precedente pronuncia, sebbene tale caso venisse affrontato

dapprima dalla IV Sezione della Corte, con pronuncia del 17 gennaio 2012 e

successivamente, con un netto ribaltamento, dalla Grande Camera, con sentenza del

9 luglio 2013.36

In primo luogo, è opportuno precisare che nell’Ordinamento del Regno Unito, con

l’abrogazione della pena di morte avvenuta nel 1965, l’omicidio è punito

tassativamente con la sanzione dell’ergastolo, ciò nonostante il giudice,

nell’emanare la sentenza ha l’obbligo di stabilire, tenuto conto di varie circostanze,

un periodo minimo di carcerazione.

Decorso tale lasso temporale, si apre la fase di revisione della pena che, in presenza

di determinati presupposti, può concludersi con un rilascio anticipato del

condannato.

Tuttavia, così come accade nel nostro Ordinamento, anche il sistema legislativo del

Regno Unito prevede che, in determinate ipotesi, tassativamente indicate dalla legge,

il giudice possa condannare il reo ad un ergastolo “effettivo”, c.d. whole life order.

Passiamo, adesso, ad esaminare alcuni snodi tematici prospettati dalla Corte,

partendo dalla distinzione tra la fase dell’inflizione della pena e quella della sua

esecuzione.

In riferimento alla prima fase, la Corte Edu propugnava la tesi della “grave o

manifesta sproporzione”, stabilendo che la pena senza possibilità di liberazione

anticipata non era incompatibile con la disposizione dell’art. 3 C.E.D.U., laddove

gravemente o manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità del fatto di reato.

Conseguentemente, dall’analisi dei ricorsi, la Corte concludeva che non vi era stata

alcuna grave o manifesta sproporzione in relazione ai fatti di reato.

35 Corte EDU, sent., Grande Camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro. 36 Corte EDU, sent., Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e a. c. Regno Unito.

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Secondo i giudici della IV Sezione, infatti, poteva ravvisarsi una violazione dell’art.3

C.E.D.U. solo se i ricorrenti fossero riusciti a dimostrare in primis la mancanza di

giustificazioni, quali la retribuzione, la prevenzione special-generale o la

rieducazione, nella protrazione della detenzione e in secundis che non vi fosse reale

possibilità di liberazione anticipata.

Nel caso di specie, i ricorrenti non riuscivano a dimostrare il primo profilo, per cui

la Corte escludeva de plano la sussistenza di violazione dell’art.3 C.E.D.U.

In seguito, come precedentemente accennato, il 17 gennaio 2012 la Grande Camera,

riesaminato il caso, affermava la violazione da parte del Regno Unito dell’art. 3

C.E.D.U., dichiarando che l’impossibilità di scarcerazione equivaleva ad un

trattamento inumano e degradante per il detenuto.

La Corte, poi, chiosava ribadendo che l’ergastolo sarebbe stato astrattamente

compatibile con il disposto dell’art. 3 C.E.D.U., laddove l’Ordinamento interno

avesse previsto un meccanismo giurisdizionale o amministrativo di revisione della

necessità attuale di esecuzione della pena, che includesse il percorso di rieducazione

intrapreso dal reo.

Siffatto sistema di revisione doveva offrire sicure possibilità di liberazione al

condannato, decorso un lasso di tempo minimo di detenzione, che la Corte suggeriva

di venticinque anni, ma che precisava dovesse essere lasciato al libero

apprezzamento dei singoli Stati.

In ultimo, la Grande Camera dichiarava che ogni Stato doveva disciplinare

chiaramente le modalità e le tempistiche della revisione, di modo che ergastolano, in

qualsiasi momento, fosse a conoscenza di quando chiedere il riesame del proprio

trattamento sanzionatorio.37

Tale pronuncia ha rappresentato il paradigma di riferimento per i singoli Stati in

materia di ergastolo, sancendo, di fatto, la compatibilità di tale sanzione nelle ipotesi

in cui: essa non sia “gravemente o manifestamente sproporzionata” rispetto al reato

commesso; la protrazione della sua esecuzione sia ancora funzionale a uno dei

molteplici scopi legittimamente ascrivibili alla pena (indicati dalla Corte di

Strasburgo nelle funzioni di retribuzione, prevenzione generale, difesa sociale,

risocializzazione del reo); il condannato possa essere rimesso in libertà anticipata.38

Inoltre, con la sentenza Vinter, la Corte EDU, per la prima volta, ammetteva il

“diritto alla speranza”, ricompreso nell’art. 3 C.E.D.U.

Tale diritto è per i Giudici di Strasburgo insito nella persona umana, in quanto, se è

vero che i condannati all’ergastolo “effettivo” sono responsabili di gravi reati e le

loro condotte hanno inflitto ad altri indescrivibili sofferenze, tuttavia, essi

conservano un’umanità fondamentale ed hanno la capacità intrinseca di cambiare.

37 VIGANO’ F., op. cit. 38 Cfr. Corte EDU, sent., 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro; Corte EDU, sent., sez. IV, 17

gennaio 2012, Vinter e altri c. Regno Unito; Corte EDU, sez. IV, sent., 17 gennaio 2012,

Harkins e Edwards c. Regno Unito; Corte EDU, sent. ,sez. IV, 10 aprile 2012, Babar Ahmad

e altri c. Regno Unito.

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Ne consegue che, indipendentemente dalla quantità della pena loro inflitta, essi

conservano al speranza di riscatto per gli errori commessi. 39

I suddetti principi, affermati dalla Corte, si ritrovano, altresì, nelle sentenze attinenti

alle procedure di estradizione, ossia nelle ipotesi in cui uno Stato, non aderente alla

Convenzione, richieda l’estradizione di un detenuto, con il rischio che quest’ultimo

possa essere sottoposto a trattamenti penitenziari contrari all’art. 3 C.E.D.U, tra i

quali rientra la condanna all’ergastolo senza possibilità di revisione della pena ed

eventuale liberazione anticipata.

Contemporaneamente alla pronuncia Vinter c. Regno Unito, era altresì emessa la

sentenza Harkins e Edwards c. Regno Unito, riguardante un’ipotesi di estradizione.

Nel caso in esame, la Corte confermava la decisione, assunta dal Governo inglese,

di estradare due detenuti negli Stati Uniti, sebbene nell’Ordinamento statunitense

fosse contemplata la possibilità che questi potessero essere sottoposti ad un ergastolo

senza possibilità di liberazione condizionale.40

I giudici di Strasburgo partivano dal domandarsi se sussistesse o meno il diritto a

non essere estradato in presenza di un rischio effettivo del detenuto di essere

sottoposto a trattamenti contrari all’art. 3 C.E.D.U.41

A tale interrogativo di fondo, la Corte rispondeva, sulla scorta delle argomentazioni

espresse nella sentenza Vinter, escludendo la sussistenza di una grave sproporzione

tra il fatto di reato commesso dai due condannati e la sanzione loro comminata ed

affermava l’inesistenza di una violazione dell’art. 3 C.E.D.U., poiché ai due

ricorrenti, a determinate condizioni, poteva essere concessa la grazia, in esecuzione

di una decisione discrezionale del Governatore dello Stato.42

A questo punto della nostra analisi, è necessario chiedersi: quale linea seguirebbe la

Corte EDU se chiamata a decidere sulla compatibilità tra la disciplina inerente

l’ergastolo ostativo e il divieto di cui all’art. 3 C.E.D.U., interpretato alla luce della

sua giurisprudenza?

A tale quesito, cercheremo di dare una qualche soluzione nel prosieguo.

5. Conclusioni: dal “Progetto Palazzo” ad una necessaria riforma della

disciplina dell’ergastolo “ostativo”.

Tornando, dunque, al nostro Ordinamento interno, anche alla luce della

giurisprudenza precedentemente esaminata, deve evidenziarsi che il meccanismo

previsto dall’art. 4bis ord. penit. sarebbe, de iure e de facto, incompatibile con

principi della Convenzione.

39 POWER-FORD A., Concurring opinion, in Corte Edu, Grande Camera, 9 luglio 2013,

Vinter e altri c. Regno Unito. 40 PARODI C., Ergastolo senza liberazione anticipata, estradizione e art. 3 CEDU, in

www.penalecontemporaneo.it, 3 novembre 2014. 41 D. FALCINELLI, L’umanesimo della pena dell’ergastolo Ideologia e tecnica del diritto

dell’uomo ad una pena proporzionalmente rieducativa, in www.federalismi.it, febbraio 2013. 42 PARODI C., Ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata e art. 3 CEDU: meno

rigidi gli standard garantistici richiesti in caso di estradizione, in

www.penalcontemporaneo.it, 14 maggio 2012.

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Non deve, infatti, tralasciarsi che esso rimane un ergastolo privo di possibilità di

liberazione, indipendentemente dall’effettivo distacco dall’organizzazione criminale

di appartenenza.

La sentenza Vinter c. Regno Unito, per prima, ha sancito che ciascun Ordinamento

deve prevedere un meccanismo tale per cui ogni ergastolano possa conoscere in

qualsiasi momento quando e come richiedere la revisione della propria pena.

A ben vedere, il nostro sistema difetta di tale previsione, poiché poggia sulla

presunzione assoluta di collaborazione con la giustizia, che assicura l’accesso ai

benefici, escludendo da tale disciplina ogni pentimento o ravvedimento del

condannato, nonché ogni progresso conquistato con un percorso di recupero.

Le predette argomentazioni e la progressiva giurisprudenza della Corte di Strasburgo

inducevano, quindi, il Ministro della Giustizia italiano, nel 2013, a istituire una

commissione per elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio

penale, c.d. Commissione Palazzo, che concludeva i lavori relazionando sulla

modifica dell’art. 4bis ord. penit..

In particolare, il Progetto Palazzo tendeva alla revisione della preclusione assoluta

dell'accesso ai benefici penitenziari da parte dei soggetti autori di reati di cui all'art.

4bis, co. 1, ord. penit., per la sola mancata “collaborazione” ed era volto al

superamento del regime dell’ergastolo ostativo, nonché alla trasformazione

dell'attuale presunzione di non rieducatività, in assenza di collaborazione, da assoluta

in relativa. 43

Tale proposta, tuttavia, rimaneva priva di attuazione a causa delle dimissioni del

Governo, ma il suo contenuto e il fine a cui essa tendeva sono attualmente oggetto

di numerose istanze provenienti dalla dottrina e da una più lungimirante

giurisprudenza.

Una riforma costituzionalmente orientata dell’art. 4bis ord. pen. rappresenta, infatti,

un obiettivo irrinunciabile, tenendo bene a mente che la nuova via perseguibile non

comporterebbe la concessione della liberazione condizionale in virtù del tanto

criticato automatismo legislativo, ma ancorerebbe predetto beneficio al rispetto di

determinate condizioni.

L’ergastolano ostativo, quindi, potrebbe beneficiare della liberazione condizionale

solo se siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con

la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e se, dopo aver scontato 26 anni

della pena, nel tempo di esecuzione di quest’ultima, abbia mostrato un

comportamento indicativo di un inequivocabile e sicuro ravvedimento.

Spinte riformistiche costanti arrivano dalla maggior parte della dottrina, che da

sempre propugna il rispetto della persona umana nell’esecuzione della pena, fine

primario e ineludibile della sanzione penale.

43 Cfr., Superamento dell'ergastolo ostativo: la proposta della commissione Palazzo:

proposta di modifica dell'art. 4bis, co. 1-bis, l. 26 luglio 1975, n. 354 e dell'art. 2, co. 1 d.l.

13 maggio 1991, n.152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203, in www.penalecontemporaneo.it ,

19 febbraio 2014.

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GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2017, 5

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Per contra, istanze opposte sembrano provenire dalla società civile, che vede

nell’istituto dell’ergastolo il mezzo unico e precipuo di punizione per gravi ed

efferati delitti, nell’ottica più ampia della certezza della pena.

Così operando, tuttavia, la sanzione finirebbe per coincidere meramente con le

funzioni retributiva e general preventiva, comprimendo quella rieducativa che, nel

nostro Ordinamento, rende ogni pena giusta, poiché conforme a Costituzione.

Soltanto perseguendo quest’ultima via, infatti, si realizzerebbe l’umanità di un diritto

penale che, davanti ai crimini più gravi, voglia differenziarsi, con vigore, dal suo

proprio oggetto. 44

44 PUGIOTTO A., op. cit.