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Estratti da MARKUS BANDUR, Estetica del serialismo integrale. La ricerca contemporanea dalla musica all’architettura, Roma: Testo & Immagine, 2003 (Universale di architettura, 132). [pp. 9-12] Oltre le parole, dentro i significati Il termine ‘serialismo’, nella teoria dell’arte e dei mezzi di comunicazione di massa, è utilizzato per indicare la riduzione a standard di numerosi ca- ratteri in una serie di prodotti. In una serie televisiva, generalmente si tratta di un gruppo di personaggi ed elementi ripetuti nella struttura della trama e delle diverse storie. Nel design […], la produzione in serie riguarda l’uso di una forma e dimensione per un gruppo di numerosi elementi, mentre i colori e i motivi non vengono replicati in nessuna circostanza. In entrambi i casi, il termine ‘serialismo’ è utilizzato per indicare un concetto opposto all’idea musicale di serialismo, che intende evitare la ripetizione di elementi a ogni livello creativo. I vocaboli tedeschi serielle Musik e Serialismus sono termini molto partico- lari e la loro traduzione in inglese, francese o italiano può generare confu- sione, in assenza di una spiegazione adeguata. Una breve indagine sull’evo- luzione dei termini musicali può essere d’aiuto per comprendere il significa- to tedesco e individuare le differenti connotazioni in altre lingue; questa considerazione si può applicare non solo a un contesto musicale, ma anche nell’uso di altri linguaggi artistici, quando le nozioni di seriale e serialismo si riferiscano a specifici elementi tecnici o stilistici. Solo i termini tedeschi possiedono una precisa valenza tecnica, mentre, come vedremo, in tutte le altre lingue queste parole acquisiscono un significato assai più ampio e – come accade soprattutto nelle arti visive, nel design e nella scienza dei mez- zi di comunicazione – piuttosto diverso, se non addirittura opposto. Il punto di partenza può essere individuato nel 1947, quando il compositore, direttore d’orchestra e teorico francese René Leibowitz coniò le espressioni «technique sérielle», «oeuvre sérielle», «principe sériel», «travail sériel», «composition sériel» e «musique sérielle» per designare il carattere delle opere dodecafoniche di Arnold Schönberg, sviluppate a partire dal 1923 (il termine tedesco Zwölftonmusik [dodecafonia] assunse questo significato in- torno al 1927) . Pertanto il francese «sériel» sottolinea l’uso base di una serie premotivica o sequenza di toni – nella maggior parte dei casi dodici entro i limiti di un’ot- tava – come una tecnica compositiva della musica contemporanea. Pierre Boulez, allievo di Leibowitz, e perciò influenzato dalla sua termino- logia, acquisì il termine «sériel», ma tentò di ampliarne il significato (paral- lelamente ai cambiamenti portati all’uso della parola «série» e seguendo la propria evoluzione musicale) fino a indicare, già nel 1951, un concetto più ampio, che designava la necessità di preordinare sotto l’aspetto simile di una 1

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Estratti da MARKUS BANDUR, Estetica del serialismo integrale. La ricerca contemporanea dalla musica all’architettura, Roma: Testo & Immagine, 2003 (Universale di architettura, 132). [pp. 9-12] Oltre le parole, dentro i significati Il termine ‘serialismo’, nella teoria dell’arte e dei mezzi di comunicazione di massa, è utilizzato per indicare la riduzione a standard di numerosi ca-ratteri in una serie di prodotti. In una serie televisiva, generalmente si tratta di un gruppo di personaggi ed elementi ripetuti nella struttura della trama e delle diverse storie. Nel design […], la produzione in serie riguarda l’uso di una forma e dimensione per un gruppo di numerosi elementi, mentre i colori e i motivi non vengono replicati in nessuna circostanza. In entrambi i casi, il termine ‘serialismo’ è utilizzato per indicare un concetto opposto all’idea musicale di serialismo, che intende evitare la ripetizione di elementi a ogni livello creativo. I vocaboli tedeschi serielle Musik e Serialismus sono termini molto partico-lari e la loro traduzione in inglese, francese o italiano può generare confu-sione, in assenza di una spiegazione adeguata. Una breve indagine sull’evo-luzione dei termini musicali può essere d’aiuto per comprendere il significa-to tedesco e individuare le differenti connotazioni in altre lingue; questa considerazione si può applicare non solo a un contesto musicale, ma anche nell’uso di altri linguaggi artistici, quando le nozioni di seriale e serialismo si riferiscano a specifici elementi tecnici o stilistici. Solo i termini tedeschi possiedono una precisa valenza tecnica, mentre, come vedremo, in tutte le altre lingue queste parole acquisiscono un significato assai più ampio e – come accade soprattutto nelle arti visive, nel design e nella scienza dei mez-zi di comunicazione – piuttosto diverso, se non addirittura opposto. Il punto di partenza può essere individuato nel 1947, quando il compositore, direttore d’orchestra e teorico francese René Leibowitz coniò le espressioni «technique sérielle», «oeuvre sérielle», «principe sériel», «travail sériel», «composition sériel» e «musique sérielle» per designare il carattere delle opere dodecafoniche di Arnold Schönberg, sviluppate a partire dal 1923 (il termine tedesco Zwölftonmusik [dodecafonia] assunse questo significato in-torno al 1927) . Pertanto il francese «sériel» sottolinea l’uso base di una serie premotivica o sequenza di toni – nella maggior parte dei casi dodici entro i limiti di un’ot-tava – come una tecnica compositiva della musica contemporanea. Pierre Boulez, allievo di Leibowitz, e perciò influenzato dalla sua termino-logia, acquisì il termine «sériel», ma tentò di ampliarne il significato (paral-lelamente ai cambiamenti portati all’uso della parola «série» e seguendo la propria evoluzione musicale) fino a indicare, già nel 1951, un concetto più ampio, che designava la necessità di preordinare sotto l’aspetto simile di una

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serie non soltanto i toni, ma anche i tempi, le dinamiche e gli attacchi o i «suoni». Kar1heinz Stockhausen, allievo di Olivier Messiaen a Parigi nel 1952, riferì in seguito che l’espressione «musique sérielle» era un termine ampiamente consolidato nelle lezioni di Messiaen, con riferimento alla musica di Anton Webern. Sulla scia dell’ampliato concetto di «sériel» elaborato da Boulez, nel 1953 Stockhausen utilizzò l’espressione tedesca «serielle Musik» per indicare l’i-dea musicale di una «composizione universale con serie», già chiamata, nel 1952 «ordine musicale totale» (durchgeordnete Musik), «musica totale» o «ordine totale di toni» (Totale Musik, Totale Tonordnung). In seguito a questi primi tentativi di attribuire una definizione al concetto di questo genere di musica radicalmente innovativo, dopo il 1950 la pubblica-zione dell’influente rivista «Die Reihe. Informationen über serielle Musik», curata da Herbert Eimert e Stockhausen fra il 1955 e il 1962 e di cui furono pubblicati otto numeri, favorì il consolidarsi del termine serielle Musik, in opposizione alla tradizionale musica dodecafonica, come definizione di un nuovo metodo compositivo che estendeva «il controllo razionale a tutti i pa-rametri musicali», come Eimert sottolineò nel primo numero della rivista. […] Nel primo numero della già citata rivista, viene sostenuta l’opinione che il serialismo sia strettamente connesso con il concetto di Modulor di Le Corbusier. Fu l’architetto e compositore svizzero Paul Gredinger, allievo di Max Bill, a sottolineare la relazione tra le nuove teorie del serialismo musi-cale e il pensiero di Le Corbusier, e a evidenziare la straordinaria importan-za del pensiero seriale per tutte le espressioni artistiche; la sua visione fu poi accolta da Stockhausen nel 1973, quando definì il Modulor di Le Corbusier un’importante anticipazione del serialismo al di fuori del campo musicale. Dunque, mentre la terminologia tedesca assume un significato tecnico ed e-stetico definito, sottolineando la distanza dalla tecnica compositiva di Schönberg, le corrispondenti traduzioni inglesi, francesi e italiane sono uti-lizzate con una valenza più ampia e tendono a non distinguere tra la musica dodecafonica di Schönberg, Berg e Webern, da un lato, e la nuova musica, sviluppata dopo il 1950, dall’altro. Queste lingue richiedono terminologie più precise per chiarire tale distinzione. Nel campo delle arti visuali, del design e della comunicazione di massa, l’i-dea di serialismo è utilizzata con significato molto più ampio, a causa dei diversi materiali a cui si può riferire il termine «serie». Il concetto di serie viene applicato a una varietà di oggetti artistici legati da un principio comu-ne (struttura, forma, contenuto ecc.), ma resi unici da dettagli teoricamente infiniti. Un modello ideale di tale concetto di serialismo può essere indivi-duato in una serie televisiva con una struttura a trama centrale e diversi per-sonaggi. Può anche essere rappresentato da una serie di immagini che mo-strano sempre lo stesso oggetto, ripreso da angolazioni, atmosfere e momen-ti diversi o da un oggetto di uso comune, prodotto in grandi quantità, con la

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stessa forma e dimensione, ma con colori, funzioni o decorazioni differenti per ogni esemplare.

[p. 13] La presenza estetica del passato: ideologie e tecniche La storia della musica europea è costituita da una straordinaria successione di innovazioni. Il sorgere della musica seriale, in una fase iniziale, appare come un ulteriore anello di questa catena, l’ultimo prodotto (almeno finora) di un processo evolutivo che affonda le sue origini nell’ antica Grecia e che mira a includere un numero crescente di espressioni musicali in un processo di razionalizzazione, volto ad ampliare il campo del controllo creativo. […] [pp. 14-15] Progresso e storicismo L’ascolto della musica del passato, sotto forma di opere eccezionali apparse nel corso della storia di quest’arte, iniziò come movimento conservatore ampiamente diffuso (in opposizione allo studio privato o professionale dell’epoca precedente), con la riproposta e riscoperta, nel 1829, della Pas-sione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, diretta a Lipsia da Felix Mendelssohn-Bartholdy, e, più in generale, con le opere dei cosiddetti clas-sici: Haydn, Mozart e Beethoven. La pratica, del tutto naturale fino a quel momento, di sostituire le opere del passato con la produzione estetica dei contemporanei scomparve. A partire da quel momento, l’«antico», un concetto in seguito ampliato fino a comprendervi le opere del Diciannovesimo secolo, divenne una presenza costante nella vita musicale e si oppose a ogni tentativo di consolidare il

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ruolo della musica contemporanea. In questo contesto, ha inizio nel Dician-novesimo secolo, e non nel Ventesimo, la vana creazione di organizzazioni atte a sostenere la distribuzione e l’apprezzamento della «nuova musica». Dopo un lungo periodo di convivenza con opere composte da musicisti con-temporanei, per la prima volta nella storia il pubblico si trova a confrontarsi per lo più con la produzione musicale del passato, diffusa in concerti, tra-smissioni radiofoniche o in occasioni pedagogiche. L’ascolto di musica con-temporanea seria è divenuto un fatto eccezionale per il pubblico di massa, mentre la situazione è diversa per la musica popolare, che utilizza tecniche consolidate, espresse con sonorità attuali. Compositori contemporanei che vogliano essere accolti dal pubblico devono condividere un gusto propenso a un linguaggio musicale e uno stile simili a quello dei «classici» e scrivere opere cosiddette «neoclassiche», se non composizioni «popolari». Superare le tendenze musicali alla restaurazione e al conservatorismo era quasi impossibile. Compositori come Arnold Schönberg, Charles Ives, E-dgar Varèse, tra coloro i quali, nella prima metà del Ventesimo secolo, insi-stettero nello sviluppo di un proprio linguaggio musicale e nella comunica-zione dei valori della loro epoca, furono considerati degli outsider; sempli-cemente non rispondevano alle richieste del mercato. La produzione di musica «nuova», una pratica abbastanza comune fino al Diciottesimo secolo, tanto da non richiedere una definizione, era ora consi-derata dalle masse noiosa e bizzarra, se non addirittura minacciosa. La «no-vità» non apparteneva più al processo di ricerca musicale. Le dinamiche del progresso, stabilite nella storia della musica sin dall’antichità e dal Medioe-vo, furono sostituite dalla staticità dello storicismo, che, come nella musica popolare attuale, comporta un continuo mutamento delle tendenze musicali, mentre il contenuto tecnico e materiale rimane costante. [pp. 51-54] Il pensiero seriale La descrizione delle conquiste e di tutte le innovazioni introdotte dalla com-posizione seriale può generare confusione, dal momento che, a un primo ap-proccio, sembra assente un comune denominatore. Che cos’ha in comune l’organizzazione dei gradi di tonalità con i progetti formali aleatori, o la di-stribuzione dei suoni nello spazio con l’integrazione della musica non euro-pea? A una considerazione più attenta delle idee su cui si fondano le conqui-ste già citate, risulta evidente come tali concetti, in tutte queste circostanze, condividano un principio comune nell’ordinamento di elementi specifici (gradi di tonalità, strutture sonore, posizione dei suoni nello spazio, tipolo-gie di stili culturali, gradi diversi di integrazione tra di loro e così via). Come vedremo in questo capitolo, si tratta un principio generale, che non si limita alla musica, ma accomuna tutti i tipi di organizzazione formale, natu-rale o artificiale, nonostante a lungo le arti si siano concentrate su concetti

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diversi. Guidato dalla volontà di trovare un nuovo linguaggio, il serialismo musicale, tuttavia, integra solo alcuni elementi disponibili, qualunque sia il carattere o la dimensione dell’ opera da creare. Da questo punto di vista, le forme convenzionali di organizzazione artistica – indipendentemente dalle capacità rappresentative dell’ artista e da ogni considerazione di tipo contenutistico – devono essere considerate come troppo semplici. Esempi di applicazione Anticipando la presentazione di elementi più dettagliatamente tecnici, alcuni esempi mostreranno lo spettro di principi seriali esistenti nei fenomeni natu-rali o applicati in ambiti artistici diversi da quello musicale. Ciò può aiutare a comprendere l’idea complessiva, anche se tutti gli esempi citati condivi-dono il fatto di non essere esplicitamente definiti seriali. In natura, la creazione di esseri viventi può essere considerata un’espressio-ne particolarmente rilevante della tecnica seriale: ogni essere vivente, infatti, è un elemento in una serie infinita di esseri, e presenta una relazione tipica tra le caratteristiche individuali e generali, come colore, dimensione, forma, capacità, attitudini ecc. Pur essendo una miscela unica e irripetibile dei ca-ratteri generali, tale bagaglio di caratteri individuali mantiene tuttavia forme tipiche e una variabilità limitata. Seriale, in questo caso, è la non ripetizione al livello delle caratteristiche individuali, che invece, su un altro piano, sono tipiche di una specie nel suo complesso (per esempio il numero di arti, l’abi-lità di agire secondo l’istinto o la capacità di apprendere). Uno dei primi esempi di testo letterario che si possa definire «seriale» è il progetto formale delle 120 giornate di Sodoma, di Donatien-Alphonse-François de Sade (1784). In quest’opera incompiuta, Sade delinea un siste-ma chiuso di tutte le possibili combinazioni riguardanti la sessualità umana, operando in una matrice contenente quali parametri gli orifizi del corpo e il numero e le caratteristiche dei partecipanti (individuo-gruppo, giovane-vec-chio, maschio-femmina, eterosessuale-omosessuale, umano-animale, vivo-morto. Mentre l’organizzazione del sistema e l’introduzione di ogni possibi-le combinazione una sola volta è assimilabile al pensiero seriale, il progetto dell’opera che cresce dinamicamente da forme semplici e accettate a realiz-zazioni sempre più «perverse» non è seriale.) Concentrandosi su aspetti di carattere grafico, Raymond Federman scrisse o, meglio, progettò, Double or Nothing. A Real Fictitious Discourse (1971), dove ogni pagina presenta uno stile diverso, facendo uso di «tutte» le varia-zioni offerte dall’ arte tipografica. Vicina al concetto formale di Sade è l’opera di George Perec, La vita, istru-zioni per l’uso (1978), che narra le differenti esistenze degli abitanti di un palazzo, ognuna progettata con una peculiare combinazione di caratteristi-che e avvenimenti esistenziali particolari in momenti diversi dei rispettivi passati, nel tentativo di dare un campionario esaustivo della vita umana con

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1’aiuto di schemi compIessi sotto forma di matrice, per evitare ridondanze e ripetizioni. Nell’ arte figurativa, stili quasi seriali sono apparsi comunemente fin dagli anni Quaranta, nel tentativo di evitare ripetizione e simmetria a ogni livello di una struttura, e operando con un numero limitato di elementi, in questo modo avvicinandosi all’idea di serialismo (in questo senso hanno operato, per esempio, Paul Klee, Piet Mondrian, Theo van Doesburg, Bart van Leck, Josef A1bers, Georg van Tongerloo, Max Bill, Richard P. Lohse o Burgo-yne Diller […]). Furono comunque Rainer Fleischhauer e Jom Janssen a sviluppare un progetto riguardante la costruzione di una città con metodolo-gie seriali (Hochbau für 200000 E), pubblicato nel 1960 nel settimo numero dell’influente rivista «Die Reihe. Informationen über serielle Musik», diretta da Herbert Eimert e Karlheinz Stockhausen.

Paul Klee, Monument an der Grenze des Fruchtlandes (1929-1940).

Max Bill, Rhytmus in vier Quadraten (1943). Dopo Le Corbusier, il cui concetto di Modulor fu considerato un’anticipa-zione del serialismo applicato in ambito extramusicale, Fleischhauer e Jan-ssen possono essere ritenuti i primi architetti che applicarono intenzional-mente i principi seriali nel progetto di un edificio, prestando particolare at-

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tenzione alle teorie di Stockhausen su tempo e spazio in musica, le quali po-stulavano che «si possono individuare strutture simili in musica, letteratura, pittura scienza e tecnologia». [pp.65-73] «Dài corrente e componi»: la musica elettronica La relazione tra serialismo e musica elettronica (o, meglio, elettroacustica), sia essa registrata, dal vivo, musique concrète o musica generata dal compu-ter, è complessa e assai diversa dal lavoro, basato su un uso arido del com-puter per l’elaborazione di complesse operazioni matematiche, proprio del-l’ultimo Iannis Xenakis, architetto, compositore e a lungo assistente di Le Corbusier, che ha rifiutato la composizione seriale. In primo luogo (ed è l’aspetto più «fantascientifico»), la volontà di superare le tendenze psicodinamiche in ambito musicale si espresse nei primi anni Cinquanta nell’esplorazione di universi sonori fino ad allora sconosciuti, non più caratterizzati dai colori musicali standardizzati e carichi di effetti propri degli strumenti del passato, ma anzi segnati da un’atmosfera tecnolo-gica più neutra. In secondo luogo, il tema della macchina: l’utilizzo di strumenti elettroacu-stici rese possibile realizzare direttamente su nastro le strutture notevolmen-te complesse del serialismo, eliminando così il problema rappresentato dai limiti tecnici degli esecutori o dalla qualità degli strumenti musicali. Quindi l’aspetto «superumano»: solo grazie al progresso di tali apparati fu possibile fornire una rappresentazione adeguata di certi nuovi caratteri mu-sicali, che divennero, di conseguenza, parte integrante della composizione seriale, come la distribuzione del suono e la sua propagazione nello spazio o la tecnica di intermodulazione, di cui si tratterà in seguito. Infine, l’aspetto simbiotico: la musica elettronica si è sottratta alla sfera dei colori esotici e dei suoni bizzarri sviluppando un proprio ambito artistico at-traverso le tecniche seriali, dal momento che solo mediante le più elaborate metodologie proprie del pensiero seriale si potevano gestire e utilizzare le attrezzature elettroniche in modo costruttivo e creativo. Nel 1955 Herbert Eimert osservò, sul primo numero del periodico «Die Reihe. Informationen über serielle Musik», che «la musica elettronica non è ‘anche’ musica, è musica seriale», e nel 1962, tra i suoi appunti, sosteneva che solo grazie all’adozione di una stretta sottomissione a metodi seriali pre-cisi è stato infine determinato il ruolo specifico della composizione nella musica elettronica. Tre esempi illustrano la profonda influenza esercitata in ambito musicale, a partire dal 1950, dalla strumentazione elettronica nella generazione e distri-buzione del suono e nei tentativi di creare nuovi, radicali «eventi» musicali. Il primo esempio mostra la possibilità di creare suoni con una precisione mai raggiunta prima nella storia della musica.

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A differenza di quanto era accaduto in precedenza con l’uso di suoni genera-ti elettronicamente, sin dagli anni Venti – com’ era per esempio il caso di concerti tradizionali nei quali venivano impiegati strumenti come il There-min o più tardi le onde Martenot – e a differenza della cosiddetta musica concreta – caratterizzata dall’uso di suoni (concreti) tratti dalla vita quoti-diana, rielaborati e manipolati con l’elettronica –, il pensiero seria1e si rive-lò in grado di strutturare e integrare suoni completamente artificiali nella concezione tradizionale di composizione. Il suono è importante quanto il tono o la durata, e non è più un valore arbi-trario legato alla scelta degli strumenti, al talento degli esecutori o ai diversi concetti interpretativi. L’elettronica consente al compositore di «penetrare» il mondo del suono e di determinare esattamente quali qualità e caratteristi-che un suono debba avere. Inoltre, essa consente al compositore di trasporre le sue idee creative nella microdimensione di una nota e di raggiungere un più profondo grado di coerenza a tutti i livelli della composizione. Parallelamente, grazie all’elettronica, è stato possibile integrare la produzio-ne spaziale del suono in un progetto seriale. Il tema della fonte sonora e del-la propagazione del suono nello spazio, per secoli un settore della musica trascurato come quello del suono, divenne un elemento fondamentale nella produzione musicale. Sebbene alcuni tempi e stili, nella storia della musica, si siano concentrati sul tema della musica nello spazio, come il Mehrchörigkeit veneziano, la re-alizzazione di suoni in movimento nello spazio, con l’uso di strumenti tradi-zionali, era limitato a un semplice ordinamento degli eventi (vedi i Gruppen fiir 3 Orchester di Stockhausen, che prevede semplici movimenti rotatori). Solo con il contributo dell’elettronica è possibile creare una composizione molto elaborata, con reali movimenti sonori nello spazio, che offra qualcosa di più di un mero effetto e integri l’informazione spaziale in un completo piano formale. Opere elettroniche come Répons per sei solisti e ensemble da camera, live electronics e suoni generati dal computer, di Pierre Boulez (1981), od Octo-phony di Stockhausen, dei primi anni Novanta, mostrano le grandi possibili-tà della composizione di musica spaziale tramite una strumentazione digita-le. In Octophony l’ascoltatore è seduto al centro di otto altoparlanti disposti in modo da formare un cubo. L’opera è composta da otto strati di differenti in-formazioni sonore: ognuna di queste esprime un movimento specifico del proprio suono e può essere distinta chiaramente dalle altre. L’informazione spaziale in questo caso è importante quanto i parametri di grado tonale, du-rata o altri, ed è concepita con la stessa attenzione. Infine – senza citare lo sviluppo della musica elettronica dal vivo comune fin dagli anni Sessanta – si può affermare che la strumentazione elettronica consentì al serialismo di oltrepassare il rigido confine stabilito tra i diversi parametri nella musica tradizionale: melodia, ritmo o armonia, in quanto de-

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terminazioni di una forma musicale, possono ora essere modulati per ade-guarsi l’uno all’altro, influenzando diversi parametri musicali. Con l’aiuto tecnico dell’intermodulazione, è possibile creare fenomeni mu-sicali che in certi ambiti sono contraddistinti dai caratteri di altri parametri, per esempio un ritmo può modulare una linea melodica o viceversa (vedi il brano per nastro intitolato Telemusik di Stockhausen, che mostra validi e-sempi di queste tecniche, lavorando con espressioni musicali di culture di-verse, e Hymnen, che si concentra sui diversi inni nazionali; entrambi rap-presentano efficacemente il concetto di world music di Stockhausen, che trasferisce l’idea fondamentale di integrazione a livello di civilizzazioni di-verse con un riferimento ai diversi stili musicali e persino storici). Questo metodo, reso possibile dalla tecnologia elettronica, produsse conse-guenze imprevedibili sull’idea di musica, dal momento che i campi, tradi-zionalmente separati, di melodia, armonia, ritmo ecc., cominciarono a me-scolarsi e ad aprire la strada a nuove possibilità compositive. [pp. 74-90] L’arte nell’epoca della decostruzione Le caratteristiche del pensiero seriale estendono la loro influenza anche a settori nei quali il termine non è comunemente utilizzato. Esistono numerosi parallelismi tra la musica e l’architettura circa l’emergenza di concetti seria-li. L’integrazione dei principi correlati al serialismo (musicale) in architettu-ra si è rivelata assai più astratta, anzi, talvolta sembra non esserci alcuna re-lazione con la musica. Ciò è accaduto innanzi tutto perché il serialismo si opponeva alle influenze tradizionali delle arti sull’architettura. Un esempio è rappresentato dall’analogia, sia con l’aiuto della musica come pura e sem-plice fonte d’ispirazione sia con l’aiuto di operazioni matematiche. È il caso del padiglione Philips a Bruxelles, costruito nel 1958 da Iannis Xenakis (che all’epoca lavorava nello studio di Le Corbusier), un edificio che aveva in comune con Metastasis (1953-54), una composizione dello stesso Xenakis, alcuni principi costruttivi fondamentali. In più, in molti casi, non risulta neppure chiaro se si assista a un’influenza diretta o indiretta dell’ avanguar-dia musicale o se si verifichi solo un casuale parallelismo, per quanto note-vole esso possa essere. Gli stessi problemi possono condurre a soluzioni simili e, dal momento che musica e architettura hanno molto in comune (per esempio, i temi dell’ordi-ne e della proporzione o il rapporto individuale e sociale fra opera ed esseri umani), risulta ragionevole che alcuni elementi siano simili o comparabili. È importante osservare come gli sforzi più significativi per contrastare le tendenze estetiche del Diciannovesimo secolo si siano concentrati nel cam-po dell’ architettura e della musica. Contemporaneamente agli esperimenti sull’atonalità compiuti da Schönberg e Webern all’inizio del Ventesimo se-colo, prese il via un dibattito critico riguardante le tendenze e gli obiettivi dell’architettura. Le posizioni ideologiche programmatiche erano diverse e

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comprendevano, da un lato, oggettività, funzionalità e standardizzazione in-dustriale, dall’altro obiettivi più umanistici, metafisici, simbolici o religiosi, per citare soltanto le posizioni estreme. Il distacco dall’architettura del Diciannovesimo secolo, considerata antiu-mana ma nello stesso tempo esageratamente egocentrica, monumentale e fa-stosa, contraria all’evoluzione, al progresso e allo sviluppo, costituì un pun-to di partenza insieme alla convinzione che la fondazione di valori, forme e stili non sarebbe stato un passaggio essenziale realizzabile solo grazie alla fusione di valori umani, onestà e «verità» di contenuto. Hans Poelzig riferisce, nel 1906 (Gärung in der Architektur), che il «nuovo movimento si fa portavoce della Sachlichkeit [oggettività], in opposizione alle forme più antiquate e aride, che si sono trasformate in uno schema rigi-do» e rivendica la necessità di un linguaggio architettonico puro, senza ma-nierismi alla moda. Analogamente, Henry van de Velde osserva nel 1907 (Credo), che l’aspetto funzionale deve avere un ruolo primario nel design e nell’architettura, mentre Adolf Loos, nel 1908 (Ornament und Verbrechen), suggerisce persino di bandire dall’architettura ogni elemento di carattere non funzionale. Nel 1910 (Organic Architecture), Frank Lloyd Wright si esprime contro la presenza di elementi superflui e arbitrari nell’organismo architettonico, mentre dopo la prima guerra mondiale, nel 1918, il gruppo «De Stijl» (Theo van Doesburg, Robert van’t Hoff, Piet Mondrian, Georges Vantongerloo e altri), nel suo Manifesto I, sostiene la necessità di abbandonare l’«indivi-dualismo», fortemente connesso alla «vecchia» coscienza del tempo, e di battersi per l’«universalismo» come fulcro di una «nuova» consapevolezza: «Tradizione, dogmi e supremazia dell’individualismo ostacolano il compi-mento della nuova coscienza del tempo». Nel 1924, per esempio, Van Doe-sburg enfatizza la necessità di abbandonare simmetria e ripetizione (Auf dem Weg zu einer plastischen Architektur):

La nuova architettura ha abolito la monotonia della ripetizione come la rigida regolarità delle due metà: immagine specchiata o simmetria. Non c’è ripeti-zione nel tempo, nessun orientamento, nessuna standardizzazione […]. Al posto della simmetria la nuova architettura consente una relazione più equili-brata tra le differenti parti del!’ edificio, il che significa che esse differiscono per posizione, dimensione, proporzione e disposizione, in base al rispettivo significato funzionale.

Queste affermazioni suonano familiari e ricordano la fase iniziale del seria-lismo musicale negli anni successivi alla seconda guerra mondiale: l’austeri-tà circa la responsabilità del soggetto creativo, sia questi un artista o un tec-nico; l’integrazione delle qualità dei materiali; il rifiuto dell’ornamentazione priva di significato e funzione; il riconoscimento di un’espressione pura e «vera» su cui concentrarsi.

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Non è sorprendente che, nel 1950, Le Corbusier abbia paragonato la sua in-venzione di un sistema di misura «armonico», basato sulle dimensioni del-l’uomo, ai concetti musicali, contribuendo così a realizzare una nuova archi-tettura e, in particolare, a evitare proporzioni e misure arbitrarie e su scala non umana. Il Modulor venne presentato come «uno strumento, una scala per comporre [ ... ] un’intera serie di costruzioni, per arrivare a vaste sinfo-nie di edifici con l’aiuto dell’unità».

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Ma, assai distante dall’austera serietà dei proclami e delle ideologie così come dall’influente impronta creativa di Le Corbusier (che crea l’unità at-traverso la relatività proporzionale), il serialismo musicale presenta una sor-prendente analogia estetica con il decostruttivismo architettonico (per esem-pio con le opere di Tschumi, Libeskind, Eisenman). Questa analogia non si limita al rifiuto della simmetria e della ripetizione, paragonabile a quello e-spresso dal serialismo musicale, ma si esprime anche nel di stacco consape-vole da aspetti della tradizione normalmente condivisi, si tratti del buon sen-so nella trattazione dei temi funzionali, della continuazione sconsiderata di caratteri fondamentali dell’architettura o delle aspettative degli utenti. È un idea che consente di infrangere le regole nell’uso di stili e forme in quanto elementi compositivi, integrandoli sistematicamente in un concetto più am-pio di architettura come arte, anziché limitarsi alla semplice citazione, come avviene del cosiddetto postmodernismo. Si è, oltretutto, elaborata la pratica di lasciare «aperte» alcune definizioni tecniche di applicazione (a differenza del gioco postmoderno) e di ribaltare l’ordine gerarchico delle dimensioni. La libertà di «leggere» un edificio è lasciata ai fruitori, proprio come il pro-getto formale ultimo delle composizioni aleatorie è lasciato agli esecutori o, in letteratura, ai lettori, come nel caso di Reise nach Duden, romanzo-dizionario di Andreas Okopenko, per non citare Finnegans Wake di James Joyce, in cui anche il significato delle parole è il risultato dell’intervento del lettore. Inoltre, il mutamento di dimensioni e funzioni distinte dell’architettura met-te in relazione gli edifici decostruttivisti con gli aspetti qualitativi del seriali-smo musicale. In ogni caso, l’applicazione dei principi seriali in architettura non è ancora terminata: gli obiettivi estetici e sociali dell’architettura contemporanea so-no troppo complessi e devono rispondere a troppe diverse aspettative perché gli architetti possano ancora confidare sulla pura sensazione o sulla sempli-ce misurazione. Controllo dell’immaginazione, integrazione della maggior parte dei parame-tri esaminati, considerazione generale dei rapporti tra costruzione, funziona-lità ed estetica (ossia, rispettivamente, piacere sensoriale e «ricchezza di si-gnificato»): tutto ciò è realizzabile con strumenti diversi. La teoria del seria-lismo potrebbe rivelarsi il più efficace.

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