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ARACNE Etica Pubblica e Amministrazione tra senso e consenso Il destino incerto dei valori Angela Iacovino Fabio Marino Introduzione di Giuseppe Acocella

Etica Pubblica e Amministrazione tra senso e consenso · Introduzione di Giuseppe Acocella p. 7 Parte Prima Alla ... Etica e democratizzazione del Servizio pubblico p. 157 La codificazione

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ARACNE

Etica Pubblicae Amministrazione

tra senso e consenso

Il destino incerto dei valori

Angela IacovinoFabio Marino

Introduzione diGiuseppe Acocella

Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1197–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: giugno 2007I ristampa aggiornata: marzo 2008

INDICE

Introduzione di Giuseppe Acocella p. 7

Parte Prima Alla ricerca di un fondamento etico di Fabio Marino

Capitolo Primo Dall’Etica alle etiche

Bisogno etico p. 19 Definizione di Etica p. 27 Etica ed etiche p. 30

Capitolo Secondo Dalla cosmologia classica alla crisi della modernità – relativismo etico e pluralismo dei valori –

Etica universale tra cosmologia e giusnaturalismo p. 39 Etica (sociale) e Modernità p. 47 L’etica sociale: compiti e finalità p. 59

Capitolo Terzo La responsabilità quale fondamento dell’etica pubblica

Alla ricerca di un fondamento etico p. 63 Etiche della responsabilità p. 66 Principio responsabilità p. 71

Agire l’etica responsabilmente p. 78

Capitolo Quarto Dall’etica alle etichette

Etica come deontologia p. 87 Un’etica per ogni prassi p. 90

Dal Codice Deontologico alla Carta Etica: p. 95 l’emblematico caso delle professioni sociali

Bibliografia Parte Prima p. 101

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Indice

Parte Seconda Etica e Pubblica Amministrazione di Angela Iacovino

Capitolo Primo Preliminarmente

Di premesse, di ritrovamenti e di insolite rotte p. 111

Capitolo Secondo L’agire amministrativo nella morsa dell’etica. I civil servants tra valori, regole e retoriche

Premessa p. 119 Etica amministrativa e Costituzione p. 121 Evoluzione del sistema amministrativo: p. 130 burocratico vs manageriale Etica e funzione pubblica: p. 138 la tensione dinamica tra vecchi e nuovi valori

Capitolo Terzo Positivizzazione dell’etica. Quale deontologia per il pubblico impiego?

Premessa p. 149 Quali sfide per l’etica pubblica? p. 150 Etica e democratizzazione del Servizio pubblico p. 157 La codificazione dell’etica. p. 163 La dialettica tra ethos burocratico ed ethos democratico Il codice di comportamento dei pubblici dipendenti. p. 172 Il diritto all’onestà

Bibliografia Parte Seconda p. 179

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Parte Prima Alla ricerca di un fondamento etico

Dove le parole si arenano, solo i sentimenti si fanno verità. Un grazie al Prof. Giuseppe Acocella per aver benevolmente accolto e sostenuto i miei progetti e le mie idee, che senza il suo insegnamento e la sua guida non avrebbero mai visto la luce dell’entusiasmo. Un ringraziamento non degno della sua disponibilità a rendersi primo lettore di queste pagine, nonostante gli impegni e le responsabilità che quotidianamente tracciano la sua vita. Un grazie all’amica Angela Iacovino che ha sempre saputo ispirare il sacro do-no della curiosità e dell’ottimistica avventura poietica. Un grazie a Francesca che con amorevole pazienza mi ha fatto intravedere la luce lungo il cammino.

Capitolo Primo Dall’Etica alle etiche

L’etica possiede un fondamento-legittimazione sia biologico che di carattere culturale […] appare come una risposta necessaria alla costituzione e al mantenimento dei raggruppamenti sociali e, quindi, anche dei loro membri.

Mariano Bianca, Fondamenti di Etica e Bioetica Bisogno etico

L’etica, Τα ηθικά, è genericamente intesa quale scienza del-la condotta1; viene associata all’espressione filosofia pratica per la prima volta in Aristotele «là dove, per definire la metafisica, cioè la filosofia prima, come scienza della verità, egli afferma: è giusto anche chiamare la filosofia (philosophian) scienza della verità, poiché di quella teoretica (theôrêtikês) è fine la verità, mentre di quella pratica (praktikês) è fine l’opera (ergon); se anche, infatti, i (filosofi) pratici indagano come stanno le cose, essi non considerano la causa per sé, ma in relazione a qualco-sa ed ora (Metafisica II 1, 993 b 19-23)»2. È in questo luogo di distinzione della filosofia pratica con la filosofia teoretica che Aristotele affida alla prima un duplice campo d’azione: quello della prassi domestica (economia) e quello della prassi pubblica (politica – in quanto dottrina della πόλις).

Fin dalle sue origini, inoltre, la filosofia pratica «è tale non solo perché ha per oggetto l’azione, cioè perché si occupa non della natura, ma dell’agire umano (solo l’uomo, per Aristotele, è capace di azione nel senso proprio del termine); essa è tale an-che perché ha come fine l’azione, cioè mira non soltanto a co-noscere, bensì a rendere possibile un certo tipo di azione,

1 N. ABBAGNANO, Voce Etica, in Dizionario di Filosofia, UTET, Tori-no 1993, p. 360.

2 E. BERTI, Filosofia pratica, Guida, Napoli 2004, p. 5.

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Parte Prima Capitolo Primo

l’azione buona (eupraxia), e quindi a rendere migliore colui che agisce»3. Tale scienza, «anche la filosofia pratica…è un sapere, anzi una scienza, nel senso antico del termine, cioè una cono-scenza della causa…»4, pertanto, pone al centro della propria costruzione di senso e della propria acquisizione di sapere l’agire, l’azione come attività (energeia), imponendo, così, già ad Aristotele – come si evidenzia nell’analisi condotta dal Berti – la necessità di sottolineare la differenza tra “azione vera e pro-pria” (praxis) e “produzione” (poiêsis): «il genere dell’azione (praxeôs) è altro da quello della produzione (poiêseôs), perché il fine della produzione è diverso (dalla produzione stessa), mentre quello dell’azione non lo è; il fine dell’azione, infatti, è la stessa azione buona (eupraxia) (Etica Nicomachea VI 5, 1140 b 3-7)»5. Occorre, dunque, oculatamente non confondere, né far confluire in un’unica realtà, i tre piani che il sapere antico già identifica nella differenziazione del concetto di “azione”.

L’agire umano, quale capacità di azione e produzione, è, in-fatti, identificabile attraverso i tre termini, Ποιέω, Τέχνη e Πρά-ξις che di tale agire indicano diverse espressioni e finalismi: se il Ποιέω configura l’agire umano come capacità di realizzare prodotti, individuando «il principio dei prodotti (proiêtôn, le cose producibili mediante la poiêsis)… in colui che li produ-ce… l’intelletto, o l’arte o una qualunque capacità…»6, la Τέχ-νη, di contro, quale arte, abilità manuale, ma anche mestiere, professione7, delinea l’agire umano come «rapporto con il mon-do extraumano, sottolineandoci come …tutta quanta la sfera della techne (abilità manuale), fatta eccezione per la medicina, era neutrale sotto il profilo etico in relazione tanto all’oggetto quanto al soggetto di tale agire: in relazione all’oggetto, poiché

3 Ibid., p. 6. 4 Ibid. 5 Ibid., p. 7. 6 Ibid., p. 8. 7 [N.D.A.] Per una ricognizione esaustiva dei diversi significati del termine

greco cfr. L. ROCCI, Vocabolario Greco-Italiano, Società editrice Dante Ali-ghieri, Città di Castello (PG) 1989, p. 1826.

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Dall’Etica alle etiche

l’arte coinvolgeva soltanto in misura irrilevante la natura capace di autoconservazione delle cose, non sollevando quindi alcuna questione riguardante un danno duraturo all’integrità del suo oggetto, l’ordine naturale nel suo insieme; e in relazione al sog-getto agente, poiché la techne in quanto attività considerava se stessa quale tributo limitato alla necessità e non come progresso autogiustificantesi verso il fine primario dell’umanità»8.

Diverso è il senso dell’agire umano delineato dalla Πράξις per la quale «il principio delle azioni (praktôn, le cose fattibili mediante la praxis) è in colui che agisce, …è la scelta (prohai-resis), infatti ciò che può essere fatto mediante l’azione è iden-tico a ciò che può essere scelto (Metafisica VI 1, 1025 b 22-24)»9: è solo in questa dimensione dell’agire umano che «il be-ne e il male, di cui si doveva occupare l’agire, si manifesta ap-punto nella prassi stessa oppure nella sua portata immediata»10.

È in questa articolata costruzione di senso dell’espressione agire umano che risiede la primigenia distinzione aristotelica tra scienze teoretiche, che «hanno per oggetto ciò che ha in sé il principio del proprio mutamento, e scienze pratiche e scienze poietiche che hanno per oggetto rispettivamente l’azione e la produzione, il cui principio è in altro da esse, cioè è nell’uomo»11, ed è sempre su questa articolata differenziazione che Jan Rohls costruisce la sua Storia dell’etica ponendo, come pietra miliare del sapere delineato, la visione dell’etica quale scienza pratica che si «occupa dell’agire umano: più precisa-mente, non della prassi umana in generale, ma solo della prassi che è [...] quella del libero cittadino che vive nella comunità so-ciale»12, dell’individuo che fa parte di una struttura sociale da cui non può prescindere. È, qui, fortemente evidente il carattere imprescindibilmente sociale di tale scienza.

8 H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologi-

ca, Einaudi, Torino 1993, pp. 7-8; [N.d.A.] il corsivo è mio. 9 E. BERTI, op. cit., p. 9. 10 H. JONAS, op. cit., p. 8. 11 E. BERTI, op. cit., p. 8. 12 J. ROHLS, Storia dell’etica, il Mulino, Bologna 1995, p. 7.

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Parte Prima Capitolo Primo

Di questa scienza sono date due concezioni fondamentali: la prima la considera scienza del fine, cui la condotta dell’uomo deve essere indirizzata, e dei mezzi, per raggiungere tale fine; la seconda, invece, la considera la scienza del movente della con-dotta dell’uomo e, pertanto, cerca di analizzare e determinare tale movente. La prima impostazione «parla il linguaggio dell’ideale cui l’uomo è indirizzato dalla sua natura la seconda, invece, dei motivi o delle cause della condotta umana o delle forze che la determinano»13.

Nel corso dei secoli, abbiamo assistito ad un continuo svi-luppo di tale scienza e ad una sua evoluzione “formale” che ha, però, lasciato inalterato l’altalenare dei filosofi tra questi due poli concezionali; evoluzione – in senso di progressione crono-logica della temporalità storica e non di passaggio da un livello meno ad un livello più del senso logico e del valore dei principi fondativi di riferimento – che ha permesso (e tuttora permette) di rintracciare nell’uomo, sia declinato nel genere dell’umanità, sia percepito nella categoria dell’individualità, un bisogno etico, una necessità di raccordare il piano della propria esistenza a quello della delineazione del bene e del male, e delle infinite connessioni che tra i due poli si rendono ravvisabili.

È, dunque, possibile sovrapporre, fino a farla scomparire, la differenza semantica tra umanità e moralità? È pensabile, anche oggi, descrivere l’umanità in termini di moralità ed attribuire alla moralità le griglie interpretative dell’umanità? È razional-mente lecito la traslazione sintattica da umanità e moralità ad umanità è moralità?

Verifichiamo dunque l’ipotesi partendo dalla ricognizione di senso dell’espressione, e subito notiamo che «l’accostamento dei due termini: umanità e moralità, in un primo momento, può sembrare la proposta di una tautologia. Una riflessione più ap-profondita ci rivela invece un fecondo intreccio di problemi sot-tesi alla comparazione tra i due termini …possiamo distinguere il plesso di questi problemi in due ordini diversi […] “umanità” …da un lato, indica una disposizione morale, una interiore sen-

13 N. ABBAGNANO, Voce Etica, in op. cit., pp. 360-361.

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Dall’Etica alle etiche

sibilità rivolta a informare l’azione di alti valori e di larga com-prensione, dall’altro lato il termine può indicare semplicemente l’umanità come l’insieme degli uomini, l’umanità intera appun-to»14.

Qualora, in riferimento alla prima accezione del termine, o-perassimo un’identificazione tra umanità e moralità tenderem-mo a ricondurre l’analisi filosofica all’originaria antichità greca, alla dimensione aristotelica per cui l’uomo, e l’uomo solo, può agire e regolare il proprio agire in vista di un bene, assecondan-do l’incline predisposizione a concretizzare, attraverso l’azione buona (eupraxia), la ricerca della felicità (eudaimonia), quel bene supremo che l’uomo in essa ravvisa e che, pertanto, per-mette di accogliere con «plausibilità l’affermazione che tutte le nostre scelte, tutto il nostro agire, la nostra vita tendono alla fe-licità»15. Sarebbe, dunque, un ritorno all’etica della virtù, in cui la moralità risiede nell’umanità quale «armonica architettura della vita morale, secondo un modello classico, in cui la morali-tà è l’espressione più alta e compiuta di umanità. L’humanitas viene a coincidere con la vita morale, quale vita secondo ragio-ne e quindi in perfetta consonanza con le strutture ontologiche dell’uomo e del mondo in cui l’uomo vive»16, un mondo retto da un principio irenico che, ironizzato e disprezzato dal para-digma della modernità e dalla crisi della stessa, è, oggi, ricerca-to nella comprensione di un suo impossibile ritorno.

Se, invece, guardiamo all’umanità come l’insieme degli uo-mini, viene incontro al nostro bisogno di chiarezza il concetto di «comunità universale cui – afferma Husserl – assegniamo il nome di “umanità” – una nazione o un’umanità complessiva che abbraccia più nazioni. […] Un’umanità che si estende tanto quanto l’unità della cultura – fino al limite di una cultura uni-versale autonomamente compiuta che può abbracciare molte

14 A. RIGOBELLO, Umanità e moralità, in «Dialegesthai. Rivista telema-

tica di filosofia», Anno I, febbraio 1999, disponibile su World Wide Web: http://mondodomani.org/dialegesthai/.

15 A. DA RE, Filosofia morale, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 12. 16 A. RIGOBELLO, op. cit.

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Parte Prima Capitolo Primo

culture nazionali particolari. In una cultura si oggettiva un’unità di vita attiva, il cui soggetto complessivo è l’umanità che la ri-guarda. Per cultura non intendiamo nient’altro che l’insieme delle azioni e operazioni messe in atto da uomini accomunati nelle loro continue attività; operazioni che esistono e perdurano spiritualmente nell’unità della coscienza della comunità e della sua tradizione mantenuta sempre viva […] e che possono essere esperite nel loro senso spirituale da chiunque sia in grado di ri-comprenderle»17. L’unitarietà di queste comunità universali ri-siede nella capacità di riconoscersi in una unitaria e universale prassi etica ricomprendendo quell’insieme di azioni e operazio-ni che, ricordando e rileggendo Aristotele, si richiamano alle scienze pratiche poietiche avendo «per oggetto rispettivamente l’azione e la produzione, il cui principio è in altro da esse, cioè è nell’uomo»18.

Nell’uno come nell’altro caso, dunque, sia leggendo l’umanità come disposizione morale interiore, sia definendola come l’insieme di tutti gli uomini, la riflessione si ricollega ad una dimensione di (in)sperata pax moralis, grazie alla quale l’uomo riscopre, quale dimensione fondante la propria esisten-za, quale radice ontologica, la dimensione etica, riuscendo così a ricucire la lacerata realtà sociale e la frammentaria coscienza individuale attraverso il medium morale che, volendo seguire le ipotesi interpretative della neurofisiologia dell’etica, può inten-dersi come bisogno da sempre insito nell’uomo, e da questi ela-borato e ri-elaborato nel dispiegarsi dello sviluppo storico, pro-cesso in cui l’etica risulta frutto dell’attività teoretico-pratica dell’uomo stesso, e in cui è possibile cogliere l’evoluzione filo-genetica degli stessi processi che hanno portato al delinearsi dei sistemi etici19. È proprio guardando alle ipotesi interpretative della neurofisiologia dell’etica che scopriamo la dirompente e-videnza del bisogno etico che accompagna l’uomo fin dalle sue

17 G. ACOCELLA, Etica sociale, Guida, Napoli 2003, pp. 13-14. 18 E. BERTI, op. cit., p. 8. 19 [N.d.A.] Per un’analisi dettagliata dell’approccio interpretativo cfr. M.

BIANCA, Fondamenti di Etica e Bioetica, Patron Editore, Bologna 2000.

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Dall’Etica alle etiche

primordiali manifestazioni esistenziali. Così, dalle forme della paleoetica fino alle manifestazioni della notetica epistemica, scopriamo quel processo di filogenesi dell’etica con cui si in-tende il «modo in cui i concetti etici si sono originati e sviluppa-ti sino all’epoca delle prime concettualizzazioni o delle prime indicazioni orali o scritte»20.

Inseguendo tale approccio crolla, rovinosamente ed inesora-bilmente, quella impalcatura logica di coloro che, legando l’etica al valore normativo dei suoi principi, o ancora alla finali-tà sociale delle sue istanze, ravvisano per un suo sorgere la ne-cessità di un contesto sociale, già dato o in procinto di, identifi-cabile in margini paradigmatici noti. Nell’approccio neurofisio-logico, «l’analisi storica dell’origine dell’etica affonda nel com-portamento biologico di soggetti appartenenti a culture umane molto remote nel tempo: a quelle del Sapiens moderno, del Sa-piens antico e forse anche di specie precedenti di Homo come l’Erectus (circa un milione e cinquecentomila anni fa) e anche l’Habilis (intorno ai due milioni di anni fa)»21; si evidenzia, pertanto, che già nei gruppi Habilis è rintracciabile, con riscon-tro evidente, «un’organizzazione sociale con una relativa coe-sione dei gruppi, una distribuzione naturale della ricchezza, una forma di leadership naturale, un articolato e organizzato rap-porto con il mondo esterno»22, ovvero tutta una serie di caratte-ristiche organizzative e gestionali della sfera sociale ed indivi-duale che richiedono «norme etiche relative a comportamenti e atteggiamenti»23. Si tratta, ovviamente, dell’elaborazione di un’etica legata ai bisogni e alle esigenze del gruppo; certo non di un’etica elaborata nel riconoscimento della comunità univer-sale, come intesa da Husserl, quanto piuttosto di un’etica quale istanza fondativa di principi, precetti e paleo-norme, in cui le stesse «nozioni etiche affondano le loro radici nei comporta-

20 Ibid., pp. 39 e sgg. 21 Ibid., p. 35. 22 Ibid., pp. 35 e sgg. 23 Ibid.

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Parte Prima Capitolo Primo

menti elementari di natura biologica»24, una paleoetica, di na-tura genetica e propria di modalità comportamentali “formulate dal gruppo” e dal riconoscimento in esso, che lascerà in seguito il posto ad una pseudoetica, quale «insieme di regole di com-portamento, prive di alcuna influenza culturale, di natura im-modificabile e quindi legate ad un meccanismo di stimo-lo/risposta geneticamente determinato, anche in riferimento all’ambiente… regole che si trovano in tutte le specie viventi e, in particolare, anche nelle antropomorfe»25.

Siamo ancora, storicamente e antropologicamente, lontani dall’etica quale filosofia pratica – che, per il Bianca, si configu-ra soltanto attraverso la fase della protoetica, «fase in cui le modalità comportamentali si strutturano in forme astratte e ac-quistano un valore simbolico, segnino e linguistico»26, della ne-oetica, «che si sviluppa in seguito, attraverso la vera e propria figurazione e concettualizzazione delle astrazioni dei compor-tamenti e degli atteggiamenti in valori, concetti e principi»27, e della notetica, fase «nuova …(da nous ed etica), cioè della ri-flessione sui valori etici, espressi nel linguaggio, nei comporta-menti, nelle regole sociali e nelle norme costituite»28 –, ma co-munque vicini all’evidenza con cui il bisogno etico si accompa-gna all’essere umano, necessità che dal piano dei bisogni fisio-logici, nel corso dei secoli e dei millenni, si sposta sul piano dei bisogni logico-conoscitivi e sociali; pur sempre un bisogno che è lì, avvertito nella contemporanea istanza esistenziale.

L’uomo esiste concretando l’umanità, e fin dal suo primo passo nel mondo cerca un’istanza, una certezza, una regola, av-verte subito il bisogno di un punto fermo, un’ancora al suo in-cedere instabile, un puntello che ancora non sa definire ma di cui sa di aver bisogno. Solo poi lo descriverà come etica, mora-le, regolamentazione privata e pubblica del proprio agire, solo

24 Ibid. 25 Ibid., p. 37. 26 Ibid., p. 38. 27 Ibid. 28 Ibid.

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Dall’Etica alle etiche

più tardi descriverà, analizzerà e si spiegherà quei principi di cui fisiologicamente avverte l’urgenza. Definizione di Etica

Constatato il bisogno etico quale evidenza esistenziale pri-mordiale del vivente “uomo” – un bisogno che, sebbene ini-zialmente poggi su un’esigenza fisiologica ed istintiva, si eleva ben presto al rango di esigenza organizzativa e gestionale della doppia dimensione umana, individuale e sociale, privata e pub-blica – bisogna fare un passo oltre, e delineare un profilo con-cettuale, o meglio ancora una definizione, di ciò che nelle evo-luzioni biologiche, prima, e storiche, poi, si è soliti definire Τα ηθικά.

Nella molteplicità delle voci filosofiche, la scelta cade su due ipotesi di senso che sistematicamente sostanziano la rifles-sione che ruota attorno alla possibilità definitoria dell’etica. Po-tremmo, così, da un lato affidarci alla ricostruzione – definibile filologica – elaborata da Jan Rohls, nel suo già citato Storia dell’etica. Partendo da tale approccio dovremmo rivendicare la duplice origine etimologica del termine etica e guardare alla doppia radice greca, anche in un’ottica occidentalista che riba-disce un’origine tutta greca della filosofia pratica, e pertanto considerare rilevante, nella ricostruzione dell’orizzonte di senso del termine in questione, tanto la radice τό εθος-εθους, che indi-ca «uso; abitudine; consuetudine; usanza; costume»29, quanto la radice τό ηθος-ηθους, che, invece, richiama ai significati di «dimora; soggiorno; sede; abitazione [...] consuetudine; uso; a-bitudine; costume; istituzione»30. In tale direzione, lo stesso Rohls ci avverte che oramai un impianto etico, che voglia in-tendersi aristotelicamente quale scienza che «abbraccia sia la dottrina della prassi domestica (l’economia), sia la dottrina della polis, cioè della politica in quanto filosofia della società, del di-

29 L. ROCCI, op. cit., p. 544. 30 Ibid., p. 849.

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Parte Prima Capitolo Primo

ritto e dello stato»31, per la sua vastità deve necessariamente andare oltre il tempo aristotelico e porsi alla ricerca di defini-zioni di senso cronologicamente precedenti, cercando di «pene-trare i tentativi prearistotelici dell’ethos tradizionale, e questo stesso ethos»32. Così Rohls ricuce il fil rouge che lega dalle ori-gini, perse nei millenni, εθος e ηθος, per cui l’abitudine (τό εθος) si riunisce nel luogo di vita abituale, consuetudine, uso, carattere (τό ηθος) in sintonia con il significato del latino mo-res, origine e fonte del concetto di moralità. L’analisi filologica approda, così, ad una certezza: «l’ethos o la morale sono quindi la struttura dei modi di comportamento abituali in una determi-nata comunità sociale, in senso oggettivo (come costume) e in senso soggettivo (come carattere)»33. Ecco, dunque, come Rohls, recuperando dalla radice etimologica del termine il signi-ficato profondo dello stesso, riconferma la definizione ed il pun-to di partenza tutto aristotelico della filosofia pratica, senza an-nullare quanto di etico vi fosse prima, in senso cronologico e logico, dello stesso filosofo di Stagira.

Dall’altro lato, invece, potremmo guardare alla ricognizione husserliana – definibile classificatoria – in base alla quale, svin-colando la nostra attenzione da ogni mero desiderio di ricostru-zione cronologica, possiamo più liberamente guardare ai diversi momenti funzionali dell’etica e alle diverse sue applicazioni, scoprendo, così, i diversi volti dell’etica generati in Husserl, come ci ricorda Acocella, da un’unica e fondante certezza che lega insieme umanità e moralità: «il rinnovamento dell’uomo – del singolo uomo e di un’umanità accomunata – è il tema su-premo di ogni etica. La vita etica è, per essenza, una vita sog-getta consapevolmente all’idea di rinnovamento, ed è da questa volontariamente guidata e formata»34. È da questo presupposto che l’autore elabora la differenziazione tra etica pura ed etica umana empirica e, ancora, tra etica individuale ed etica sociale,

31 J. ROHLS, op. cit., p. 7. 32 Ibid. 33 Ibid., pp. 7-8. 34 G. ACOCELLA, op. cit., pp. 12-13.

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Dall’Etica alle etiche

trovando, in questa sorta di catalogo etico, un posto a parte per la filosofia morale/pratica tout court.

Se, infatti, «l’etica pura è la scienza dell’essenza e delle forme possibili di una tal vita nella pura (a priori) generalità, di converso, l’etica umana empirica mira …ad adeguare le norme dell’etica pura all’empirico, e a diventare la guida dell’uomo terreno nelle condizioni (individuali, storiche, nazionali, ecc.) date»35: vi è quindi un doveroso concretarsi dell’Etica in etica, uno svelarsi dell’imprescindibile unitarietà di umanità e morali-tà per cui quella istanza avvertita, ma non ancora codificata, è il senso aprioristico dell’avvertimento etico, ovvero dell’avvertire il fondamento etico dell’Uomo, ontologicamente inteso, che si disvela e rivela nell’esistenza individuata di ogni uomo, vivente che rivendica un’istanza, una certezza, una regola. È la ricerca di questo punto fermo, per un incedere instabile, a rintracciare la necessità di coniugare l’etica in individuale e sociale, ovvero l’impossibilità, per questo uomo, ancora conscio di essere Uomo esistenziato (esistenzialmente individuato), di affidarsi soltanto a qualche principio orientante la coscienza, la sfera del privato, e di converso la necessità di orientare il proprio agire, la propria vita, in vista di un’etica sociale, appunto, che «non è già data per il solo fatto che la condotta pratica del singolo uomo nei confronti dei suoi “simili”, vale a dire dei suoi compagni nell’unità della comunità, è oggetto di ricerca da parte dell’etica individuale. È necessaria anche un’etica delle comunità in quan-to tali. In particolare, di quelle comunità universali36 cui asse-gniamo il nome di “umanità”»37. Quest’articolata classificazio-ne38 rende doveroso rompere il processo di identificazione tra etica e morale, identificabili d’ora in poi solo per prossimità, avendo riscontrato che «la filosofia morale non è che una parte, assolutamente non indipendente, dell’etica che, a sua volta, de-

35 Ibid., p. 13. 36 [N.d.A.] cfr. nota 17 presente lavoro. 37 G. ACOCELLA, op. cit., p. 13. 38 [N.d.A.] Per una lettura più completa ed articolata della posizione, si ri-

manda a E. HUSSERL, L’idea di Europa, C. SINIGAGLIA (a cura di), Raf-faello Cortina Editore, Milano 1999, pp. 25-27.

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Parte Prima Capitolo Primo

ve essere necessariamente concepita come la scienza che ab-braccia l’intera vita attiva di una soggettività razionale dal pun-to di vista della ragione che regola tale intera vita in modo uni-tario»39.

Tanto l’approccio rohlsiano, quanto la visione husserliana dell’Etica guardano alla duplice dimensione dell’uomo e del suo vivere, sfera privata e sfera pubblica, individuale e sociale, economica e politica (per guardare ancora una volta ad Aristote-le), e inoltre entrambi gli approcci considerano il processo etico una manifestazione propria dell’essere uomo, e pertanto un suo connotato universale, stringendo, così, a doppio nodo moralità e umanità, intendendo quest’ultima più «come l’insieme degli uomini, l’umanità intera appunto»40, che come semplice dispo-sizione morale e interiore.

Il bisogno etico, proprio di ogni uomo, trova così una defini-zione universalmente riconosciuta ed accettata, una caratteriz-zazione del discorso valida in riferimento a qualunque approc-cio interpretativo e indagativo, lasciandoci così l’illusione della ri-collocazione della questione Etica nuovamente nell’alveo metafisico della quaestio de universalibus; un’illusione appunto che si in(s)-contra con il principio della realtà in cui l’uomo è, o vuole descriversi, scisso tanto nella propria dimensione di indi-viduo, quanto in quella di soggetto membro di una società-comunità-gruppo, con le conseguenti differenziazioni di ruolo e di vissuto che a queste si accompagnano.

Etica ed etiche

L’analisi della questione Etica, per quanto relegata alla mar-ginalità di poche pagine, e scevra pertanto da ogni intento di e-saustività del discorso, non potrebbe dirsi completa nel suo ab-bozzo, se non contemplasse anche l’aspetto dell’illusione uni-versale, ovvero di quella tematica, sottesa alla questione, cui

39 G. ACOCELLA, op. cit., p. 13. 40 A. RIGOBELLO, op. cit.

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Dall’Etica alle etiche

spetta il compito di chiarire per quale motivo non possiamo più parlare di un’Etica universalmente data ed univocamente rico-nosciuta.

Quale fattore ha, dunque, modificato l’immutabile corso dei tempi, storici ed umani, marginalizzando in taluni contesti il ruolo della scienza etica, riducendo, altresì, i principi universali ad epifenomeni rispetto agli assunti scientifici, alle leggi fisiche e alle regole dell’agire politico? Quale avvenimento ha squar-ciato il velo del Tempio del sapere etico e ha sottratto all’uomo la certezza di rintracciare in qualche piega del passato una nor-ma sicura, certa e immutabile al suo agire?

La risposta a questi interrogativi non trova esaustività nelle pagine che seguono per un doppio ordine di motivi: in primis, la questione posta risulta complessa ed articolata oltre misura, non esiste un unico ordine di fattori, né tanto meno un avvenimento singolo cui attribuire, se non convenzionalmente, il ruolo di de-tonatore dello stravolgimento prodotto; in secondo luogo, oc-correrebbero più vite, e più menti, per tracciare, una volta rin-venuti gli elementi richiesti, una griglia interpretativa atta a for-nirci una mappa completa ed esaustiva dei fattori intercorsi e delle loro interrelazioni. È possibile, pertanto, rinvenire, nella complessità della questione, un elemento, una sorta di minimo comune denominatore che, nel mutare degli eventi, risulti sem-pre riconoscibile, o comunque in ogni caso ravvisabile nella sua presenza, quale correlato oggettivo dell’Etica, e così, focaliz-zando l’attenzione su tale elemento, da esso partire per verifica-re quali e quante rivoluzioni hanno dominato la questione Etica.

L’Etica si è, fin dalle sue prime manifestazioni, sempre ri-condotta alla questione del Bene, termine che nella «sfera gene-rale, per cui la parola si riferisce a tutto ciò che ha un valore qualsiasi, si può ritagliare la sfera del significato specifico per cui la parola si riferisce in particolare al dominio della moralità, cioè dei mores, della condotta dei comportamenti umani inter-soggettivi, e designa perciò il valore specifico di tali comporta-menti. In questo secondo significato, cioè come Bene morale, il Bene è oggetto dell’etica e la registrazione dei suoi differenti

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significati storici deve essere fatta appunto a proposito della vo-ce Etica»41.

Ed è proprio questo Bene morale quel minimo comune de-terminatore da cui partire; la questione deve, pertanto, essere analizzata partendo dalla lettura del concetto Bene, o per mag-giore precisione del concetto Valore, essendo «Bene …la parola tradizionale per indicare ciò che nel linguaggio moderno si chiama valore»42.

Ma la stessa storia del termine Valore è una storia di trava-gli: il significato più originario del termine ricorda «in generale, ciò che dev’essere oggetto di preferenza o di scelta. […] L’uso filosofico del termine comincia soltanto quando il significato viene generalizzato per indicare qualsiasi oggetto di preferenza o di scelta; e ciò accade per la prima volta con gli Stoici i quali introdussero il termine nel dominio dell’etica e chiamarono Va-lore gli oggetti delle scelte morali. […] La ripresa della nozione nel mondo moderno si ha soltanto con la ripresa della nozione soggettiva del bene: il che accade con Hobbes. […] Tuttavia la nozione di Valore soppiantò la nozione di bene nelle discussioni morali solo nel sec. XIX»43. Dal Bene aristotelico, dunque, al Valore stoico sempre mantenendo un’analoga divisione, già ravvisata nel caso della nozione di Bene, per cui riconosciamo «un concetto metafisico o assolutistico e un concetto empiristi-co o soggettivistico del Valore stesso. Il primo attribuisce al Va-lore uno status metafisico, che è completamente indipendente dai rapporti del Valore con l’uomo. Il secondo considera il mo-do d’essere del Valore in stretto rapporto con l’uomo o con le attività o il mondo umano»44.

Ebbene, la novità che annulla il riconoscimento di un’Etica universalmente data ed univocamente riconosciuta si attesta prorprio sul piano interpretativo del Valore che viene ricondotto unicamente alla seconda ipotesi (concetto empiristico o sogget-

41 N. ABBAGNANO, Voce Bene, in op. cit., p. 100. 42 Ibid. 43 Ibid., p. 908. 44 Ibid., p. 909.

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tivistico), estirpando fin dalla radice l’universalità dell’Etica, obbligandola, così, a vagare alla ricerca di un nuovo fondamen-to stabile e sicuro che molti, ancora, le negano.

Resta dunque una pluralità di significati, ognuno privo di un rimando metafisico, altro dal piano umano, e comunque tutti as-serviti al volere dell’uomo45; una privazione del piano metafisi-co che sicuramente trova una primigenia origine nell’opera di Nietzsche e nello «scandalo che egli suscitò con la pretesa di invertire i valori tradizionali. […] L’inversione dei valori tradi-zionali, ironizzati come “Valori eterni”, fu ritenuta da Nietzsche il compito della sua filosofia. E questa inversione consisteva so-stanzialmente nel sostituire ai Valori della morale cristiana fon-data sul risentimento quindi sulla rinuncia e sull’ascetismo, i Valori vitali che nascono dall’affermazione della vita cioè della sua accettazione dionisiaca»46.

Così, ricercando il significato del termine Valore su un qual-siasi vocabolario della lingua italiana, sicuramente la nostra at-tenzione è colpita dai diversi e specifici significati che il termi-ne assume a seconda del contesto letterario e della finalità con cui lo si usa, articolazione e varietà di significati che rinvenia-mo scorrendo anche le pagine degli specifici dizionari filosofici.

È, pertanto, evidente la centralità del termine all’interno del dibattito economico: “valore” è la qualità di una cosa, di un og-getto che ne permette la negoziazione con un altro; o anche in un contesto matematico-musicale: “valore” è la qualità intrinse-ca di un elemento algebrico, di un logaritmo o di una nota in uno spartito; o ancora in contesto antropologico: “valore” è la qualità dell’individuo umano che dimostra capacità di altruismo ed eroismo, solidarietà verso il prossimo. Un caleidoscopio di significati in cui, oggi, con sempre maggiore frequenza, si nota il ruolo marginale che, in una potenziale ricostruzione di senso del vocabolo, viene ad essere assunto dall’ambito morale e dalla

45 [N.d.A.] A tale proposito si veda la definizione del termine Valore ela-

borata da P. DONATELLI, in E. LECALDANO, Dizionario di bioetica, Edi-tori Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 316-319.

46 N. ABBAGNANO, Voce Valore, in op. cit., p. 910.

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Parte Prima Capitolo Primo sfera etica, quello stesso contesto in cui il termine “valore” ha acquisito il significato di qualità infinita e perdurante di un sog-getto, di un’azione, di un oggetto, di un avvenimento o di un fe-nomeno eticamente rilevante.

Oggi il valore si coniuga in termini economici, si lega al concetto di negoziazione, scambio di una merce in luogo di un’altra di equivalente portata, e sempre più ci si dimentica che ciò che gode di un valore infinito e perdurante, eticamente rile-vante, non si accompagna mai ad una quantificazione economi-ca, non si concede mai all’atto mercificatorio.

Valore è la qualità più profondamente e propriamente uma-na, Valore è l’elemento originariamente divino che si rivela nell’uomo, Valore non è una facoltà acquisibile nel tempo, né una dote da esercitare con perizia attendendone un accrescimen-to, Valore è l’espressione totalizzante dell’umanità che lo eser-cita attraverso l’affermazione, la tutela e la diffusione dei valori.

I “valori” non sono semplicemente il plurale grammaticale del termine Valore, ne sono la manifestazione, sono il cioccola-tino che ci permette di godere del cioccolato che non avrebbe un sapore, un odore, un colore, che non susciterebbe in noi il desiderio di gustarlo se non si concretizzasse in cioccolatino. I “valori” sono, quindi, la certezza che il Valore possa essere co-nosciuto, non soltanto in via razionale, attraverso un semplice ragionamento, ma attraverso azioni, comportamenti e scelte di vita realmente operate dalle persone.

Molteplici, e di diversa intensità nel corso dei secoli, in cui si è articolata la vita umana, sono stati i “valori” cui l’uomo ha guardato; è impossibile poter ricostruire questa molteplicità di azioni, comportamenti e scelte di vita che hanno concretato il Valore: possiamo pensare al “valor di patria”, bandiera dell’Ottocento e motore propulsore dell’Unità d’Italia, o ai “va-lori religiosi” che hanno governato l’intero MedioEvo, o ancora ai “valori della rivoluzione francese” che dal 1789 hanno guida-to la diffusione dell’ideale democratico, o ancora ai “valori u-manistici” che hanno affermato il ruolo centrale dell’uomo all’interno del cosmo creato: possiamo pensare a questi e ad al-tri “valori” e notare come, con sempre maggior prepotenza, gli

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ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla scomparsa dei “va-lori” e di seguito dalla perdita di Valore, di quella qualità infini-ta e perdurante, eticamente rilevante, che possiamo rintracciare solo in azioni, comportamenti e scelte di vita realmente operate dalle persone. È, dunque, doveroso un recupero dei valori in vista della riaf-fermazione del Valore, un recupero che però non deve leggersi quale perdita di libertà, ma quale ri-affermazione della nostra libertà: libertà dalla piacevolezza delle cose, ma anche dalla soddisfazione di desideri e preferenze, che secondo Donatelli continuano ad essere gli unici criteri interpretativi dei valori do-po la crisi del Valore. Risulta, infatti, evidente come per molti sia indispensabile tro-vare un valore d’interesse in ogni aspetto della vita; ma allora l’interesse ha sempre un rendiconto o è possibile riaffermare il Valore, a discapito di “un valore”, dell’uomo?

Potremmo seguire l’insegnamento di Paolo di Tarso che, ri-cordandoci che «la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,(5) non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene con-to del male ricevuto, (6) non gode dell’ingiustizia, ma si compia-ce della verità»47, ci rivela che una strada è possibile: quella della carità, dell’amore. Ma il totale affidamento all’amore, specie se di natura religiosa, si rivela la “scelta” di chi ha già scelto. Per chi è ancora alla ricerca di una strada bisogna, forse, indicare più di un sentiero. Allora potremmo affidarci a filosofi e pensatori contemporanei che riconoscono, per la moderna ri-cerca del sapere e della verità, una pluralità di vie, percorsi e sentieri di senso.

È, questo, il caso dello statunitense Michael Walzer, Member Permanent all’Institute for Advanced Study di Princeton, studio-so di filosofia morale e politica che con le sue opere e la sua at-tività di ricerca, tenta una strenua difesa del Valore nel tumul-tuoso mare dei “valori”. Si tenta, nella pluralità dei valori rin-

47 I Corinzi 13, 5-6 in La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane,

Bologna (concorda con l’«editio princeps» del 1971), p. 2472-2473.

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Parte Prima Capitolo Primo tracciati, di fissare nuove coordinate che possano condurci alla riscoperta e alla rivalutazione del Valore (della Vita) e al rifiuto incondizionato dell’interesse quale principio regolatore del no-stro agire, nella consapevolezza, però, che qui non si tratta della pretesa di riaffermare e far accettare universalmente il Valore dell’uomo e della vita, ma del desiderio di non metter in com-mercio il rispetto, per il Valore dell’uomo e della vita, per mero interesse. Se permettiamo all’interesse individuale e personali-stico di regolare le scelte della nostra vita rischiamo di intende-re, quest’ultima, sempre come un tornaconto, un criterio più da “politica industriale” che da “politica umana”.

Se tutto ciò che faccio, e che non faccio, nasce dall’interesse, che provo o non provo, ogni cosa inevitabilmente diventerà un interesse da ricavare da tutte le circostanze della mia vita; una circostanza questa in cui non ho altra possibilità che constatare di aver raggiunto un punto di non ritorno, di aver toccato il fon-do dal quale solo una conversione potrà risollevarmi. Ma una conversione richiede un Dio o quanto meno un nuovo Valore, altro dal piano umano del puro volere, in cui credere. Viene per-tanto spontaneo chiedersi: perché prima di arrivare alla necessi-tà di una conversione, cui si giunge solo attraverso o la com-prensione o l’affidamento a ciò che ha realmente valore, non possiamo comprendere e affidarci, tanto più semplicemente a quell’antica dimensione del Valore che avvertiamo bistrattata? Perché non riaffermare e far accettare il significato profondo del Valore? Di un Valore universalmente riconoscibile come il Va-lore della vita e dell’uomo, ovvero dell’umanità che si associa sempre alla moralità? Perché, dunque, non riconoscere il fon-damento etico quale presupposto della vita umana? Perché non riconoscere all’Etica il primato nella costruzione di senso dell’essere uomo e sempre attore sociale, lasciando così il piano dell’interesse individualistico per ricomporre quello dell’Etica universalmente data ed univocamente riconosciuta?

Ma il vero motivo per cui l’illusione universale deve restare tale risiede in quello che Walzer definisce particolarismo della storia. Non a caso questi afferma che «il problema più impor-tante non è il particolarismo degli interessi (…) la gente comune

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può farlo per amore, poniamo dell’interesse generale. Il pro-blema più rilevante è il particolarismo della storia, della cultura e dell’appartenenza»48. È, pertanto, impensabile recuperare il piano universale dell’Etica essendo l’uomo privo, se non in via di ricordo onirico, del fondamento metafisico della stessa; in questa dimensione caratterizzata dall’individuazione di indistin-ti “valori”, dall’impossibilità di differenziare la portata di ogni singolo “valore” richiamandosi al Valore quale «oggetto di pre-ferenza e scelta»49, la possibilità di un’Etica resta illusione uni-versale perché in assenza di un principio, universalmente rico-nosciuto e legittimato quale principio di discernimento, non re-sta all’uomo che l’impossibilità della scelta opzionale, la qual cosa si concreta nella pluralità delle possibilità e nella moltepli-cità delle scelte indistinte. Non più, quindi, un’Etica ma l’evidenza di più etiche, ognuna associata ad un proprio princi-pio posto quale fondamento, ovviamente privo di alcuna velleità di universabilità, ed ognuna colta nella pretesa di autofondazio-ne e autoregolamentazione. Tuttavia nella presa di coscienza di siffatto panorama, ormai da tempo sottoposto all’interpretazione delle categorie del plurali-smo dei valori e del relativismo etico, al desiderio di un ritorno all’Etica non resta, seppure nei panni dell’illusione universale, di assurgere ad un ruolo regolativo, kantianamente inteso.

Lo stesso Walzer, come del resto molti pensatori contempo-ranei, ha tentato e tenta, tuttora, attraverso i suoi lavori di dar corpo ad una conciliazione tra l’universalità del Valore e il plu-ralismo delle contemporanee istanze etiche; il suo non è un ten-tativo “buonista”, ma dettato dal vivo desiderio di dar vita ad un’armonia sociale e politica che si generi da un processo di crescita ed evoluzione della società stessa. Walzer è, dunque, alla ricerca di un’armonia morale, che si traduca in riassetto po-litico e sociale, ma non dà voce ad un imperativo pacifista, anzi accetta la guerra socialmente giusta; non vuole un’armonia im-posta dalla società dei “più forti”, economicamente o politica-

48 M. WALZER, Sfere di giustizia, Feltrinelli, Milano 1987, p. 17. 49 N. ABBAGNANO, Voce Valore, in op. cit., p. 908.

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mente, ma spera che ad ogni nazione, gruppo sociale, etnico o religioso sia concessa l’opportunità di vivere quel travaglio cul-turale e sociale che, solo, può portare alla conquista dei valori etici e sociali, e garantire i diritti individuali e di gruppo. L’etica, come istanza regolativa della vita privata e pubblica dell’uomo, vive il travaglio evolutivo proprio di ogni cultura e società, pertanto, come «la democrazia è stata raggiunta attra-verso un processo politico che, per sua natura, può produrre altri risultati differenti. Ogni qual volta questi risultati minacciano la vita e la libertà, è necessario un qualche tipo di intervento, ma non sempre ciò capita, e quando non accade alle differenti for-mazioni politiche, che emergono, deve essere lasciato lo spazio per svilupparsi (e cambiare)»50, così anche l’etica nel suo deli-nearsi, subendo il confluire dei fattori culturali e ambientali, e inoltre soggiacendo all’incedere a tentoni dell’uomo privo di riferimenti certi e immutabili, è costretta a rinascere, come la fenice, sempre dalle proprie ceneri.

Nell’incertezza del pluralismo scopriamo che l’universalità del Valore non può essere né imposta da un’altra società-comunità-gruppo che l’abbia già (ri)elaborata, né tanto meno donata come il fuoco dalla divinità, non essendo più riconosciu-to alcun ruolo e alcun potere ad un dio morto; ma deve sempre essere accolta come conquista operata dall’interno: solo un principio di non imposizione può garantire il rispetto del plura-lismo etico delle contemporanee società e nutrire speranze per un rinnovato processo di formazione che spinga l’uomo a rico-noscere ed accettare un’alternativa al relativismo etico.

50 [N.d.A.] Mi permetto di rimandare a F. MARINO, Per un progetto di

Società internazionale: Michael Walzer e il critico sociale, in G. ACOCELLA e F. MARINO (a cura di), Del diritto delle genti e delle sue trasformazioni. Momenti di storia dell’etica sociale e politica, Arc en Ciel edizioni, Salerno 2003, p. 197.

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