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Evoluzione degli spazi portuali e strumenti di pianificazione Ilaria Delponte

Evoluzione degli spazi portuali e strumenti di pianificazione · ghesia, consolidatasi grazie alle conquiste commerciali conse-guenti alle scoperte geografiche e successivamente

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Evoluzione degli spazi portualie strumenti di pianificazione

Ilaria Delponte

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2385–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2009

Indice

5 Presentazione 7 Capitolo I Porto-Città-Territorio

1.1 Trasporto marittimo e spazi portuali.

Cenni storici ed evolutivi 1.2 Il porto oggi: connessioni infrastrutturali e nodo logistico 1.3 Rapporto città-porto e sviluppo delle città portuali

45 Capitolo II

Strumenti di pianificazione portuale, dei trasporti e della mobilità 2.1 Pianificazione dei trasporti in Europa e in Italia 2.2 Pianificazione portuale:

fra livello puntuale e d’area vasta 2.3 Pianificazione della mobilità urbana

99 Capitolo III

Assetti odierni 3.1 Portualità e infrastrutture: una questione di scala 3.2 Binomio porto-retroporto

121 Bibliografia

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Capitolo I Porto-Città-Territorio

1.1 Trasporto marittimo e spazi portuali. Cenni storici ed evolutivi

Il porto si presenta come un mondo estremamente variega-

to, non solo in quanto suddiviso in aree di diversa attività speci-fica, ma anche perché, in esso, ogni ambito costituisce una te-stimonianza visibile dell’evoluzione storica dell’organizzazione del trasporto.

Il porto dunque appare come il risultato di successive strati-ficazioni che è andato formandosi nel tempo, recitando e inter-pretando il ruolo di contatto fra mare e terra emersa [Toschi, 1960]. Le attività che in esso si svolgono mostrano un modo di agire e operare conseguente alla disponibilità contingente di mezzi meccanici e tecnologici; ma riflette anche le basi teoriche e culturali su cui la regione portuale intende impostare il suo sviluppo.

L’articolarsi delle operazioni legate alla navigazione pre-sentano nel medesimo tempo, secondo quanto uniformemente inteso dalle scienze geografiche, un orizzonte “marittimo” ed uno “continentale” [Vallega, 1997]. Con la prima definizione, come noto, si mette in luce la capacità dello scalo di attrarre traffici di mare, come riflesso spaziale a terra delle relazioni marittime: qualora tali movimenti commerciali vadano ad inte-ressare principalmente destinatari diversi dal porto stesso, è possibile affermare che la propensione marittima del porto è so-prattutto riconducibile ad una funzione di transito. Con il se-

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Capitolo I 8

condo termine si sottolinea invece come il porto possa assumere il ruolo di prestatore di servizio per i centri urbani interni ed es-sere quindi considerato come il terminale ultimo di una serie di processi territoriali (continentali, per l’appunto, ad esempio di tipo industriale).

Organizzazione territoriale Funzione dei porti Navigazione marittima

Dipendenza oceanica

Dipendenza continentale

Figura n. 1.1 – Funzioni del porto

In accordo con quanto afferma il geografo Hoyle (1988), si

può constatare che gli studi già condotti aventi ad oggetto il porto hanno focalizzato l’attenzione dapprima sull’utilizzo del suolo in rapporto allo sviluppo dei traffici; solo in una seconda fase ci si è interrogati sui problemi inerenti l’interfaccia porto-città. Tale cambiamento culturale è significativo, in quanto pone l’accento sulla necessità di non suddividere il territorio per competenze e aree di attività, ma di integrare strategicamente le rispettive pianificazioni e programmazioni.

Un approccio che intenda tenere conto della complessità dei rapporti esistenti e delle evoluzioni del contesto portuale neces-sita di doppie coordinate storiche e geografiche, in modo da far emergere relazioni significative e le perimetrazioni corrispon-denti ad ogni fenomeno osservato: è evidente infatti, che, nel tempo, quanto riguarda e ha riguardato direttamente il porto, ha coinvolto, secondo modalità differenti, altri spazi contermini e non, collegati fisicamente e/o funzionalmente alle attività por-tuali stesse.

Secondo quanto affermato da più autori, gli stadi evolutivi che riassumono la storia del trasporto marittimo e quindi le va-riazioni vissute dai contesti portuali, possono essere sintetizzati in fasi: sul termine con cui definire tali macroperiodi, le defini-

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zioni ritrovate differiscono leggermente. Tuttavia, la predisposi-zione di un quadro sintetico di riferimento interpretativo, ripor-tato nel seguito, può consentire un facile collegamento fra la let-tura dei fenomeni portuali e l’evoluzione della città: a ciascuna delle suddivisioni individuate corrispondono, infatti, quei cam-biamenti della società e dell’economia attraverso cui la metro-poli contemporanea si è evoluta e nei quali oggi si riconosce.

Attraverso una ragionata mediazione tra i due modelli in-terpretativi stadiali più significativi (quello spazio-temporale di Vallega e quello evolutivo delle città-porto di Hoyle) si è arriva-ti ad unificarli in un quadro di riferimento (tre periodi: mercan-tile, industriale, transindustriale) che tenesse conto sia delle di-namiche storiche e geografiche, sia degli aspetti più specifica-tamente relativi all’interfaccia porto-città.

MODELLI STADIALI

VALLEGA (1997) HOYLE (1994)

Periodo Anni Anni Periodo

Mercantile fino al 1800 circa fino a XIX secolo Nucleo città-porto

Paleoindustriale 1800-1870 circa XIX secolo Espansione città-porto

Neoindustriale 1870-1960 circa XX secolo Moderna città-porto industriale

1960-1980 Abbandono del waterfront Transindustriale dal 1960 ad oggi

1970-1990 Ristrutturazione del waterfront

Figura n. 1.2 - Sintesi fasi evolutive dei porti

1.1.1 Dal porto mercantile al modello industriale

Il segmento temporale che giunge sino alle soglie del XX

secolo, può, come noto, essere definito dall’ascesa della bor-ghesia, consolidatasi grazie alle conquiste commerciali conse-guenti alle scoperte geografiche e successivamente alla coloniz-zazione dei territori oltreoceanici. Tale occasione storica, asso-ciata ad un miglioramento delle conoscenze relative alla costru-zione delle imbarcazioni, porta ad un impulso irripetibile ai

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commerci. Giunti alla consapevolezza della propria potenza mercantile, quasi tutti i paesi europei promulgano leggi in difesa della propria flotta, fatto che testimonia la crescente rilevanza del commercio all’interno dell’economia, fino a divenire metro di paragone per altre attività, che si qualificano così nell’avere contatto o nell’essere a servizio del settore marittimo.

L’inizio del XVIII secolo costituisce il punto di partenza della fase matura della società mercantile, che ha, come noto, fulcro geografico e organizzativo in Gran Bretagna. Di quegli anni sono le teorie economiche sul commercio internazionale della scuola classica inglese di Smith e Ricardo, da cui Marx ed Engels teorizzarono la dipendenza delle attività mercantili dalla manifattura.

L’aspetto urbanisticamente interessante riguarda il cambia-mento dell’utilizzo dello scalo a terra in conseguenza delle rotte oceaniche. L’arrivo di nuove materie prime dalle colonie o da paesi ricchi di risorse naturali induceva spontaneamente lo svi-luppo delle funzioni metropolitane e di collegamento: le città del mondo occidentale diventarono quindi manifestazioni evi-denti della crescita mercantile le cui caratteristiche erano soprat-tutto l’estrema dipendenza marittima e l’allargamento delle fun-zioni urbane. In essa si sviluppano infatti attività terziarie legate ai trasporti, alle banche, alle assicurazioni...

Il degrado urbano che spesso le caratterizzava é frutto della spontaneità nelle costruzioni e nella organizzazione del lavoro; sviluppata per accrescimento e per sovrapposizione, senza una moderna ottica di investimento e ottimizzazione logistica, la cit-tà portuale si distingue per la caoticità nell’utilizzo degli spazi, e per la pervasività della speculazione come unico criterio se-guito nell’edificazione. Il porto era “affare” dei mercanti e in quanto tale non esisteva una logica di miglioramento delle con-dizioni lavorative, ambientali ed igieniche che riflettesse la cura di interessi collettivi. La mancanza di finalità condivise (come si potrebbero definire con linguaggio odierno) e del persegui-mento sistematico di tutto ciò che potesse contribuire a “gene-rare economia”, ha avuto inevitabilmente risvolti all’interno del quadro urbano. I disagi sociali negli spazi adiacenti al porto fu-

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rono infatti un fertile substrato su cui attecchirono le lotte di classe dell’era industriale.

In questa fase, le figure di riferimento delle attività maritti-me sono il commerciante-armatore, lo spedizioniere e l’organizzatore di spedizioni militari; in tono molto minore le attività manifatturiere, da cui si evince la stretta dipendenza o-ceanica e non continentale di questa fase. Tuttavia, alcuni cam-biamenti stavano già avvenendo: la nascita di attività artigiane a contorno, lo sviluppo del settore dell’edilizia e delle costruzioni collegato ai trasporti ed alle attività marittime, fa sì che da cen-tri di negoziazione e compravendita, i portuali divengono gra-dualmente esportatori di prodotti fabbricati dalle imprese locali. Col tempo, il rapporto con l’entroterra produttivo si rafforza e con esso il potenziamento delle vie percorribili: dai canali, ove praticabili, alle via di terra, tutte le infrastrutture divengono og-getto di investimento. Qui, degni di nota sono l’utilizzo di inno-vative tecnologie per la costruzione e attrezzamento di vie navi-gabili e i conseguenti ampliamenti dei porti dei paesi anseatici, in particolare Germania, Olanda e Belgio: l’organizzazione spa-ziale ed economica derivante da quelle operazioni ancora oggi costituisce un indiscutibile punto di eccellenza dei porti del Nord Europa nello sfruttamento delle diramazioni del mare ver-so l’interno. Si può ben dire, in senso generale, che il frutto ma-turo dello stadio mercantile è la fitta rete di comunicazioni tra città interne e porti.

Tali maggiori contatti influenzano ulteriormente la libera espansione dell’industria. La trasformazione delle attività e del ruolo della borghesia (da tradizionali armatori a banchieri e speculatori) e il cambiamento nei processi di lavoro nella mani-fattura sconvolgono lo status sociale; nel quadro internazionale la domanda di beni é in forte ascesa e la necessità di indirizzare la produzione verso gli interessi del mercato convertiva man mano la figura dell’artigiano in imprenditore industriale vero e proprio. Tutto ciò fa trasparire le prime premesse dello stadio preindustriale.

Esso differisce dalla fase mercantile anche per la presenza di un impianto ideologico di supporto: il mercantilismo non era

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infatti da considerarsi una teoria di politica economica, ma piut-tosto un codice comportamentale [Vallega, 1997]. Secondo la logica mercantile infatti la penetrazione dei mercati si basava sulla forza militare, la cui stabilità era dovuta principalmente al-la finanza1. Alla fine del XIX, con l’affrancamento degli Stati Uniti come colonia, la prima nave in ferro e le contestazioni al protezionismo inglese, si creano le basi per l’innesto di uno nuovo stadio economico.

1.1.2 Industrializzazione e rivoluzione nelle modalità di tra-sporto

L’evoluzione del sistema mercantile comporta il passaggio

dal predominio del commercio e dell’artigianato fino all’imporsi delle attività di trasformazione e produzione tipica-mente industriali. Gli effetti della “rivoluzione industriale” regi-strati nel settore marittimo furono di poco spostati rispetto a quelli riguardanti l’estrazione e la manifattura (30 anni dopo circa).

Circa le tappe del processo che caratterizza il secolo, nume-rosi sono gli spunti in letteratura; sebbene gli studiosi non siano convergenti sulle origini specifiche che determinano il nuovo assetto non solo produttivo ed economico, ma anche sociale e ambientale, certo è che le condizioni incorse (dall’innalzamento demografico alle scoperte in campo tecnico) determinano un nuovo modo di organizzare il lavoro e quindi di generare beni e sviluppo. Le introduzioni in ambito tecnologico, almeno in que-sta prima fase, possono essere ricondotte all’affermarsi della fi-gura dell’“artigiano inventore” [Solfaroli Camillocci, 1975], che, per istanze pratiche ed esperienza quotidiana, trova le con-dizioni idonee ad intraprendere iniziative, che, solo successiva-mente, possono dirsi, ad opera di inventori più preparati, “scien-tifiche”. Nel decollo dell’era industriale l’innovazione é da con-

1 Significativo esempio di questo passaggio storico è il ruolo ricoperto da Genova

per la funzione dei mercanti genovesi come prestatori di denaro degli Stati nascenti e dei relativi eserciti e flotte.

Porto-Città-Territorio 13

siderarsi un vero e proprio frutto sociale e collaborativo, deriva-to da schemi collettivi di comportamento e di ceto che partiva dal circolo, dall’associazione, dalla corporazione fino ad arriva-re all’individuo. Solo in seguito si passa dall’empirismo alla ri-cerca sistematica, il cui protagonista è, fin dagli inizi, la borghe-sia industriale; essa, nel frattempo, viene istruita dai primi fon-damenti della dottrina economica, la quale tuttavia non é in gra-do di pervenire a veri e propri schemi di azione propositivi, ma si pone come valido supporto di indagine e di interpretazione dei fenomeni nascenti. Dalle teorie economiche di Smith, si dif-fonde la coscienza di porre fine a protezionismi e monopoli ti-pici della fase mercantile e di aumentare le possibilità dell’interscambio2. Il nuovo stadio va delineandosi come domi-nato, dal punto di vista marittimo, da “scambi complementari” di materie prime in luogo di prodotti finiti e di “scambi sostitu-tivi” tra potenze industriali. La nuova borghesia che ne detiene la regia, utilizzava il dominio militare non solo per approvvi-gionarsi, ma anche per mantenere equilibri geopolitici di impor-tanza strategica: questo perché l’ambito dei commerci si amplia sempre più e la concorrenza non solo mercantile ma anche in-dustriale, si fa sempre più aspra. Dal punto di vista geografico, i centri propulsori del periodo appaiono la Gran Bretagna, come polo affermato, accanto ai due nascenti, l’uno tedesco e l’altro statunitense.

Il primo effetto dell’ascesa industriale sulla navigazione è l’incremento del trasporto di materie prime, ma anche di prodot-ti ottenuti dalla specializzazione della produzione; a sua volta, con la disponibilità e il miglioramento dei mezzi, il settore ma-rittimo contribuisce all’evoluzione delle industrie. La storia del-le trasformazioni produttive, con principale protagonista “la fabbrica”, si affianca a quella delle innovazioni tecnologiche che hanno avuto come oggetto “la nave”: dall’introduzione dell’elica a propulsione meccanica, all’utilizzo dei materiali me-

2 Tuttavia, per difendersi dallo strapotere economico britannico, alcuni Paesi euro-

pei riadattano misure di protezione come rimedio al rallentamento dei proventi dell’industria.

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tallici, che a loro volta costituiscono prodotti finali della produ-zione industriale.

L’approvvigionamento diviene uno dei fattori fondanti la localizzazione industriale: a tal fine, le industrie nascono lungo le rive dei fiumi, possibilmente collegate in maniera diretta con canali navigabili a miniere di carbone e ferro. Lo stesso mecca-nismo che porta a richiedere spazi lungo i fiumi, porta dall’altro ad una domanda sempre crescente di spazi portuali: i progressi nell’armamento e nelle compagnie commerciali e l’interesse per i mercati internazionali favorisce l’insediamento industriale in riva al mare. Allo stesso tempo numerosi macchinari sia avval-gono dell’acqua per il funzionamento e questo costituisce un fattore determinante localizzativi, così come per le ferriere il ri-chiamo delle zone boschive. Ancor più propizia si presenta la posizione di quei porti fluviali (Amburgo, Anversa, Rotterdam, Amsterdam...) che allo stesso tempo possono contare su un faci-le e immediato sbocco sul mare del Nord. In tal senso, la neces-sità del rifornimento di carbone per i motori a vapore disegna di fatto l’assetto portuale prevedendo l’esistenza di moli dedicati per un rapido approvvigionamento.

Nell’epoca paleoindustriale non esistono navi specializzate in virtù della diversa categoria merceologica ed allo stesso mo-do gli scali si presentano genericamente adibiti allo sbar-co/imbarco di merci e passeggeri. La maggiore attenzione eco-nomica ai costi di impiego della nave in porto, anziché in mare aperto, induce la necessità di utilizzare il mezzo di trasporto so-lo ed esclusivamente per coprire le distanze (e non in fase suc-cessiva come stiva e deposito di beni) e di conseguenza deter-mina una netta suddivisione dei tempi (trasporto, sbar-co/imbarco) e delle relative competenze messe in campo per le differenti attività. La figura unica del commerciante-armatore tramonta per dare spazio a due professionalità distinte: chi si occupa di commercio non é più chi si occupa della gestione del-la nave. Si afferma sempre più un’ottica internazionale, grazie alla facilità delle comunicazioni da terra: la stessa figura del broker (professionalità relativa all’intermediazione) trae frutto

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da questa possibilità di organizzazione a distanza e su più mer-cati distanti fra loro.

Si segue l’indirizzo dei mercati, la necessità del momento, adattando le merci alle caratteristiche fisse della nave (fenome-no detto “tramping”). All’indipendenza di traffici, corrisponde-va un’estrema ripetitività di rotte (caffè, cotone, grano...) e noli preferenziali, su cui la concorrenza si faceva sempre più dura3. Tutto ciò, più che in termini spaziali, comporta cambiamenti a livello finanziario e merceologico: nascono infatti le prime bor-se portuali.

Mentre nello stadio mercantile le relazioni città-porto si svi-luppano per via delle funzioni e competenze che la città veniva ad assumere per la presenza del porto stesso (nel campo delle assicurazioni, notarile, bancario...), nella fase paleoindustriale a modificarsi è soprattutto l’uso del suolo e il paesaggio va deli-neandosi in conseguenza all’avvento della nave di acciaio e del-la trazione meccanica. In porto, i tradizionali servizi che prima accompagnavano il marinaio navigante, ora asservono ad un nuovo cliente: il “personale di macchina”. Alle tradizionali atti-vità di cantieristica, si affiancano installazioni siderurgiche, me-tallurgiche e meccaniche, nonché cokerie e centrali energetiche, tutte stanziate in zone portuali, a volte focive, talora insediate in prolungamenti a mare, come per quanto accaduto a Genova e a Marsiglia.

Il cambiamento del paesaggio avviene un po’ ovunque per l’intrioduzione dell’acciaio e del cemento che modificano il modo di costruire nonché la forma e l’aspetto esteriore di im-pianti e strutture; ma più significativamente proprio in ambito portuale, proprio per la particolare concentrazione di attività non riscontrabile in nessuna altra porzione di territorio.

Non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere legittima, a livello interpretativo, la differenziazione tra una prima e una se-conda rivoluzione industriale, quest’ultima corrispondente

3 In questo quadro assumono sempre più importanza le prime “conferenze”, che di-

verranno strumenti di delicato dibattito, anche politico, che coinvolgono i livelli più pre-stigiosi delle potenze internazionali.

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all’introduzione dell’energia elettrica e dell’uso degli idrocarbu-ri, nonché allo sviluppo della attività industriali di tipo chimico. Tuttavia, dal punto di vista produttivo, si notano evidenti tra-sformazioni, interpretabili almeno come accelerate evoluzioni degli stadi precedenti: tra di esse l’avvento dell’industria stru-mentale (mirata a produrre macchine per la produzione) e una sempre più articolata organizzazione del lavoro, fino al costi-tuirsi della cosiddetta “grande industria”. Parallelamente nasce la concezione stessa di “ricerca scientifica” come sostegno “si-stematizzato” alla produzione; non è più l’imprenditore con la sua inventiva a far progredire l’azienda, ma si affida ad esperti. Si moltiplicano le specializzazioni e le discipline (specie quelle legate al problem solving), e si amplia il tradizionale quadro dei contenuti del sapere.

Proprio nella ricerca scientifica si affaccia l’intervento sta-tale; si teorizza infatti come, in un momento di investimento in tecnologia avanzata, lo stato possa intervenire a sostegno del costo collettivo che il salto implica. Consolidato il rapporto fra scienza, tecnologia e produzione, la ricerca diviene un “must” politico strategico utile al mantenimento delle posizioni interna-zionali; ciò fu poi ancor più visibile all’epoca dei due conflitti mondiali.

La relazione in atto fra nuove localizzazioni produttive, in-frastrutturazione e sviluppo delle attività marittime mostra tutta la sua importanza con l’avvento della ferrovia, per la capacità che essa possiede di incidere sul territorio: la scelta localizzati-va si rivolge ora il più possibile all’interno, proprio per poter usufruire della vicinanza delle materie prime e della presenza di vie percorribili fluviali o ferroviarie. Gli stessi fenomeni vengo-no osservati in Gran Bretagna, nella Ruhr, negli USA; proprio in terra germanica si notano i primi segni di un’agglomerazione policentrica4, in cui si può osservare la vicinanza di infrastruttu-re (nodi e reti), miniere e risorse naturali, porti con proiezione oceanica e mercato di riferimento.

4 Tale macroregione è ancor oggi punto di riferimento della geografia economica,

come anche risulta all’interno dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE).

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Gli effetti dell’industrializzazione cominciano ad affiorare anche in termini portuali: alla funzione tradizionale di inter-scambio, si affianca quella industriale e, in conseguenza , la na-scita di porti specializzati (anche nella dizione, separata da quel-la del porto “storico”, come fu per Bagnoli, Vado Ligure, Piombino...) in virtù delle industrie ivi stanziatevi. Le prime e-sperienze si ebbero nel Nothern Range e negli USA.

Vengono costruiti nuovi attracchi in virtù delle necessità delle navi di nuova concezione; la stessa costruzione di nuove calate e banchine viene effettuata con criteri razionalizzanti.Il perimetro portuale si ingrandisce e si creano avamporti per la ricerca di maggiori profondità. Sorgono, spazialmente ricono-scibili ed imponenti per dimensioni, aree di deposito e di inter-scambio ferroviario, popolati da macchine per carico e scarico e da fasci di binari, nonché da silos e teleferiche per rinfuse. Tutto ciò in completa autonomia nei confronti della città, che rimane-va tale e quale e che precedentemente aveva visto, in epoca mercantile, crescere contestualmente le attività del porto e quel-le della città. Si può asserire che il rapporto porto-città rimane molto stretto in quelle località ove il porto si distinse specializ-zandosi prettamente fin da allora in relazioni commerciali: la cesura avviene invece ove si privilegiarono le prospettive indu-striali, ampliatesi spesso a scapito di siti naturali di pregio. Evi-dentemente, in quegli scali ove l’industria prende campo, si svi-luppa anche una netta coscienza di “proletariato portuale” pro-tagonista delle lotte sociali; al tempo stesso, nei siti portuali prevalentemente commerciali, lo sviluppo fu soprattutto nelle attività terziarie, che nell’ambiente urbano trovano quindi una sede idonea.

Da questo stadio, nel settore commerciale, si pongono le basi per la proiezione degli operatori economici sui traffici este-ri, secondo un quadro geopolitico simile a quello attuale: le città portuali come protagoniste di flusso di capitali. Ma dal punto di vista dell’organizzazione territoriale, il fattore più rilevante del-la seconda fase industriale fu l’invenzione della centrale elettri-ca: dal punto di vista localizzativo, infatti, non era più l’industria a seguire la fonte di energia (acqua e quindi fiume o

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mare, carbone e quindi miniera...), ma l’elettricità a raggiungere il sito. Inoltre, la nuova industria non necessita più di enormi spazi derivanti dall’impiego massiccio di legno o carbone, ma può concentrarsi su insediamenti più piccoli che al tempo stesso potevano scindersi e delocalizzarsi. L’elettricità si afferma in seguito secondo un’ulteriore sua caratteristica: quella di essere il veicolo delle informazioni a distanza e del controllo, attività prima sconosciute ed oggi parte predominante del nostro siste-ma produttivo.

Allo stesso tempo, un altro elemento contribuisce indiret-tamente all’organizzazione spaziale: le problematiche politiche medio-orientali, incidendo sul costo dell’approvvigionamento di carburanti, fanno sì che si ricorra alla costruzione di super-petroliere che ammortizzino in parte i costi del trasporto (fe-nomeno del “gigantismo navale5”). Di conseguenza, occorrono navi specializzate (cosa prima nient’affatto frequente) con moli dedicati: il porto si adatta a questa necessità con la creazione, quasi ovunque, di porto-petroli e, dove possibile, si installano piattaforme offshore adibite al bunkeraggio. Se dal Medio-Oriente giungono grossi quantitativi di greggio, di riflesso, nei porti occidentali, sorgono a filo banchina raffinerie, distillerie e stazioni di liquefazione per il gas; queste rappresentano l’immediato risvolto dello sviluppo degli anni ’50 e ’60, nei set-tori della produzione di energia, siderurgia e meccanica, raffi-nazione e petrolchimica.

5 Il gigantismo navale, quale strumento per l’abbattimento dei costi per unità di ser-

vizio erogato, rappresenta una strategia comune a molti segmenti in cui si articola lo shipping e induce effetti diretti dal punto di vista delle risorse infrastrutturali e impianti-stiche dedicate alla movimentazione della merce (ampi spazi, profondità dei fondali, di-sponibilità di accosti).

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Figura n. 1.3 – Impianti siderurgici a Boulogne-sur-Mer [foto: G. Basilico, 1984]

In quegli anni si ha la vera e propria spinta verso

l’industrializzazione dei porti: muovendosi dallo stadio paleo-industriale a quello neo-industriale, il posizionamento degli sta-bilimenti, da interno passa ad essere di preferenza litoraneo. La ricerca del “punto di minimo trasportazionale6” [Weber, 1909] porta ad insediare le attività prevalentemente dentro il porto per annullare le spese di rifornimento di materie prime o energia.

Si sottolinea come l’importanza strategica di taluni beni (il petrolio su tutti) accentui il ruolo dello Stato nelle decisioni ri-guardanti la localizzazione degli impianti: la possibilità di raffi-nare e curare tutta la catena di produzione del bene-petrolio su territorio nazionale costituisce un grosso valore aggiunto. Di qui la scelta di siti selezionati a servizio dell’intera nazione. In tante occasioni si sceglie il posizionamento degli stabilimenti in zona intermedia rispetto al mercato di destinazione finale: in questo modo è possibile inoltrare la merce dal sito prescelto verso dif-

6 Si tratta dell’obiettivo di un modello che schematizza il ciclo del trasporto con tre

poli distinti (fonte materie prime, industria, mercato destinazione) e i flussi di beni tra essi. Se le materie prime giungono direttamente dalle navi, posizionando le industrie lungo la costa, non vi sono costi aggiuntivi di trasporto per inoltrarle al sito produttivo localizzato all’interno.

Capitolo I 20

ferenti direzioni, qualora non sia sufficiente l’aggregazione del-la domanda dei beni.

Per la siderurgia invece, il modello seguito è per tutti iden-tico, in Europa, come in Giappone: quello di realizzare pochi mega-impianti (Dunkerque in Francia, Taranto in Italia,...) in scali giganteschi, dove poter contare su grandi quantità d’acqua per il raffreddamento nelle operazioni di produzione di oggetti meccanici, oltre al facile collegamento marittimo verso Paesi ove si trovano i minerali migliori. Nel Mediterraneo, si concen-trano le attività in grandi impianti, dove si brucia olio combu-stibile, ma anche dove si gassifica metano proveniente (liquido) dai Paesi maghrebini.

Figura n. 1.4 – Zone industriali a Genova e Dunkerque [foto: G. Basilico, 1985]

La tendenza a localizzare grande industrie appena alle spal-

le delle banchine di sbarco/imbarco genera uno spontaneo pro-cesso di organizzazione territoriale, il cui prodotto, in letteratu-ra, prende il nome di MIDA “ Maritime Industrial Developmet Area” o ZIP dal francese “Zone Industrielle Portuaire”. Il suo obiettivo è l’insediarsi di una zona industriale di prima trasfor-mazione in immediata successione di catena rispetto all’approvvigionamento di beni energetici. Il primo esempio di MIDA è il terminale Botlek di Rotterdam7, enorme impianto per la raffinazione del petrolio.

7 Ulteriore fattore localizzativi a vantaggio dei porti nordici fu la presenza di acqua

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In realtà i megaimpianti si trovano ad occupare grandi spa-zi che possono in maniera più redditizia (in rapporto suo-lo/ricavo) essere occupati da attività commerciali e inoltre, a pa-rità di uso del suolo non garantiscono lo stesso peso occupazio-nale di altre attività. Ma un altro fattore determina le scelte terri-toriali: la possibilità di agire sul mercato tramite investimenti integrati fra produzione industriale e armamento delle navi, cui affidare l’importazione delle materie prime.

I requisiti per lo sviluppo di siti industriali portuali diventa-no di fatto molto selettivi (buona accessibilità, alti fondali, ser-vizi efficienti) e l’investimento (spesso governativo) non poteva che essere fatto in pochi porti. I porti nordici si trovano alle pre-se con dragaggi per i fondali in continua sedimentazione allu-vionale, quelli mediterranei impegnati con soluzioni alternative alla scarsità di spazi per gli attracchi delle grandi navi.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, lo sviluppo del traffico marittimo è tale che vengono coinvolti anche i porti di medie dimensioni, i quali, attraverso successive fasi di crescita, si ampliano e da scali mercantili, si sviluppano come servizio delle industrie interne e in seguito a sostegno del commercio di rinfuse energetiche.

Se le previsioni di espansione industriale fossero state ri-spettate, lo spazio nei porti a servizio dell’industria sarebbe cre-sciuto esponenzialmente (come dimostrano i piani programma-tici previsti in quegli anni da Rotterdam, Fos e Anversa). Ma la fase acuta di crescita dura pochissimo, per cui le previsioni non vengono confermate; l’industrializzazione di fatto prende strade molto più diversificate e articolate. Inoltre, in USA l’avvento del contenitore stoppa la crescita delle MIDAs. La riduzione del carico in unità uguali comporta la standardizzazione dei vettori di trasporto, di movimentazione e di carico, e quindi l’integrazione funzionale tra tutti i mezzi e le attrezzature, di-mensionate su multipli standard. Di lì a poco si diffonde una nuova modalità di trasporto derivata dall’esperienza dei traghet-

a scarso contenuto di sali, possibile solo all’estuario dei fiumi e molto indicato per le operazioni di raffreddamento dei macchinari.

Capitolo I 22

ti e dalle navi militari (portelloni di sottocoperta destinati all’imbarco/sbarco di vettori): nasce il trasporto “ro-ro” (roll on, roll off8). E’ evidente che anche gli scali non dotati di attrezza-ture per container (lift on, lift off, “lo-lo”9) potevano ospitare navi ro-ro e ciò costituisce una possibilità per quei porti che an-cora stentano ad ammodernarsi.

L’unitizzazione può essere considerata come una tardiva applicazione del taylorismo in campo portuale10: non meno del-la progressiva scomparsa di attività artigianali in luogo di cate-ne di montaggio, il traffico container elimina progressivamente la ricchezza degli attracchi dalle geometrie variabili. Il terminal container segue infatti le rigide regole di gestione meccanizzata, per servire al meglio le navi cellulari. Mentre nella prima fase del porto industriale è la merce a definire le caratteristiche del molo scelto, ora è la nave in arrivo che determina geometrie e sovrastrutture. Ciò non fa che accentuare la dipendenza oceani-ca del porto che con le MIDAs si proietta invece più a sostegno del continente. Per lo stesso motivo, a banchinamenti a pettine per le importazioni, subentrano vasti terminali, con ampi fronti di accosto e accessi diretti all’autostrada.

L’elemento umano è sempre più raro per far posto alle macchine. Il lavoro su contenitore richiede molta meno mano-dopera della merce varia: per attenuare l’impatto delle trasfor-mazioni nel campo occupazionale si seguono due orientamenti: aumentare il flusso dei contenitori intercettati, oppure tentare di accaparrarsi quei contenitori che necessitano di manipolazione a terra, con conseguente grande aumento di valore aggiunto.

8 La definizione di gergo utilizzata "ro/ro" sta ad indicare roll-on/roll-off, un siste-

ma per caricare o scaricare orizzontalmente un veicolo stradale da una nave e/o da un treno, utilizzando le proprie ruote. La tecnica ro/ro è più utilizzata sulle brevi e medie distanze sulle quali spesso è richiesto l'utilizzo di stive capaci di trasportare oltre ai con-tainers, anche autoveicoli, semirimorchi, autoarticolati, anche accompagnati.

9 Il termine "lo/lo" sta ad indicare lift-on/lift-off, e cioè carico e scarico di una unità di carico mediante una attrezzatura dì sollevamento. Di norma la tipologia lo/lo è prefe-rita per trasporti internazionali media-lunga distanza.

10 Ciò attiene specialmente agli aspetti di serialità delle mansioni e relativa non spe-cializzazione di coloro che le espletano in una modalità molto simile alla catena di mon-taggio produttiva.

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La containerizzazione, al di là delle differenze regionali, è la principale causa che induce a pensare ai traffici marittimi su grandi spazi (nelle navi e sui moli) e ad organizzare le rotte su scala planetaria.

1.1.3 Globalizzazione e terziarizzazione

Lo sviluppo industriale subisce già a partire dalla fine degli

anni ’60 un brusco rallentamento: come già menzionato, non si verifica l’incredibile espansione delle MIDAs che era stato pre-visto. Gli aspetti denotativi della fase in cui ancor oggi ci tro-viamo sono caratterizzati specialmente dall’“integrazione a re-te”. Il computer, non più solo come strumento di calcolo ma come possibilità di connessione, ne è l’emblema: l’innovazione nel campo delle telecomunicazioni dà vita al cosiddetto “villag-gio globale”. Dal punto di vista della suddivisione del lavoro, la standardizzazione del lavoro intellettuale assume i connotati del taylorismo industriale. Asettici e invarianti, i programmatori, i modellisti, gli esperti di marketing, sono le figure irrinunciabili della società odierna. Nella società transindustriale, le strategie di governo dei trasporti marittimi sono profondamente diversi-ficate. L’unitizzazione e la diffusione delle tecnologie dell’informazione, accentuano sempre di più il ruolo di ganglio che il porto si candidava ad assumere: non è cioè solo più uno spazio operativo di movimentazione e manipolazione, ma so-prattutto un luogo in connessione con altri luoghi, ovvero nodo di una rete organizzativa di trasporto. Tuttavia le operazioni di movimentazione e manipolazione non scompaiono dal porto, ma assumono connotati completamente nuovi. La nuova gene-razione delle MIDAs vede al suo interno due tipologie ben dif-ferenti: nell’area emergente (Paesi in via di sviluppo), si assiste alla creazione di MIDAs del tipo conosciuto. Il secondo tipo so-stituisce le lavorazioni leggere in luogo di quelle pesanti (an-dando in alcuni casi ad occupare le stesse aree un tempo dedica-te alla siderurgia o alla raffinazione) in regime di porto franco. Si vanno cioè costituendo perimetri entro il quale le operazioni sulla merce viene condotta in franchigia da operatori multina-

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zionali: il mix variato di spazi portuali (regime di porto franco e impianto di industria leggera) attira enormi quantità di capitali, i quali, insediandosi, danno luogo a processi di contrattazione con le comunità locali, alle quali forniscono possibilità occupa-zionali in cambio di aree strategiche.

Tale processo ha indubbiamente grandi benefici: le materie prime giunte in porto possono, dopo il processo di manipola-zione, seguire direttamente la via marittima per le esportazioni. Allo stesso tempo, l’inserimento in un circuito di commercio in-ternazionale, gestito da multinazionali, fa sì che la località pre-scelta sia messa in diretto contatto con il resto del mondo, come nodo della rete delle comunicazioni. L’impatto ambientale non è paragonabile ai precedenti insediamenti industriali e la stessa relativa compatibilità con le strutture urbane ne fa motivo di ul-teriore appetibilità, oltre all’evidente beneficio degli sbocchi occupazionali.

Dal punto di vista trasportistico, nello stadio neoindustriale il contenitore viene trasportato per rotte oceaniche e per la pri-ma volta si presta attenzione anche al percorso a monte e a valle dello spostamento via mare (Combined Transport Operator (CTO), o Multimodal Transport Operator (MTO)); durante la fase transindustriale si fanno avanti operatori in grado di orga-nizzare ogni tipo di trasporto, non solo containerizzato, deno-minati “operatori del trasporto globale”, (Through Transport Operator TTO), per i quali il prodotto fornito è il “trasferimen-to” e non il percorso o il mezzo. Si può ragionevolmente affer-mare che la vera industria emergente oggi fa capo a coloro che, in evoluzione dal ramo della produzione fine a sé stessa, hanno volto l’attenzione al pacchetto “produzione-trasporto-controllo qualità-gestione”: da TTO si passa infatti a TLO (Through Lo-gistic Operator), ovvero operatori logistici responsabili dell’intero ciclo. Essi si trovano ad operare all’interno di reti sempre più articolate e complesse in cui le operazioni di inter-connessione terra-mare diventano determinanti per l’efficienza dei cicli logistici complessivi. Il perfezionamento delle rotte circumplanetarie pendolari (rotta “pendulum”, che connette A-sia, Europa e America), determinando il cambiamento

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dell’offerta dei servizi marittimi, fa variare le strategie della lo-gistica, anch’esse a livello planetario. In alternativa alle rotte, si ideano itinerari terrestri, cosiddetti “landbridge”11, in cui si pen-sa alla ferrovia in alternativa alla tratta marittima.

I cambiamenti avvenuti sono assolutamente visibili: geome-trie razionali nella forma delle banchine, vere e proprie piatta-forme per container e parchi ferroviari, dove vengono formati i treni-blocco da inoltrarsi via ferro. Fisicamente, la stazione dei convogli non è fatta solo di treni e binari, ma da una sorta di “cervello del sistema” che controlla il movimento dei container, il tragitto, la destinazione: prende il nome di Container Freight Station (CFS) ed è solitamente localizzata al confine del peri-metro portuale. Se si trova all’esterno, il ramo di collegamento costituisce l’elemento di continuità con il porto stricto sensu: spesso infatti sono porti interni, serviti da un asse attrezzato (“ inner port” o “inland port”).

È evidente come il porto in questa catena venga sempre di più ad assumere una funzione nodale. Una volta inoltrati i con-vogli, essi possono essere diretti anche molto distante; affinché sia presente un beneficio per il porto deve intervenire un fattore sinergico di relazioni ed accordi. Da un certo punto di vista, non è più il porto in quanto tale, con i suoi approdi, le sue maestran-ze ad essere competitivo, ma il sistema di infrastrutture e strut-ture di cui si avvale per gestire i traffici intercettati. Dall’altro, le sue caratteristiche di nodo fanno sì che esso sia a volte asser-vito all’utilizzo delle grandi compagnie, non interessate al porto per le sue caratteristiche peculiari ma solo ed esclusivamente per la sua presenza strategica all’interno della rete.

Se già nel porto neoindustriale si vedevano i segni di una certa omogeneizzazione a scala internazionale, tanto che gli im-pianti di Dunkerque sono in tutto simili a quelli di Genova, col-pisce ancora di più la totale standardizzazione nelle CFS: la sta-zione è uguale, ovunque il contenitore venga trasferito, anche i

11 Si denomina landbridge la soluzione che prevede il totale impiego della ferrovia

in luogo della via marittima; per minibridge si intende invece quel percorso in cui solo alcune tratte marittime possono essere opzionate dalla ferrovia.

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metodi e le attrezzature appartengono alla stessa regia multina-zionale. Ciò può determinare senza dubbio una caduta di presti-gio circa le caratteristiche storiche del porto stesso: tuttavia maggiori sono i vantaggi dell’agire in rete. L’essere inserito in circuiti internazionali affermati equivale alla sopravvivenza in un quadro competitivo come quello odierno. Inoltre, dall’inserimento nella rete deriva la possibilità di intercettare carichi ad alto valore aggiunto su cui possono giocarsi le strate-gie di mercato: da una semplice CFS si costruisce l’opportunità di una piattaforma logistica, come punto di reale maturazione del processo commerciale. La piattaforma logistica può essere definita come un tipico prodotto transindustriale, che non a-vrebbe potuto esistere se non in conseguenza della globalizza-zione dei mercati e dell’informatizzazione e comunicazione. Nasce indubbiamente un nuovo elemento nel paesaggio portua-le, anche se visibilmente staccato.

Figura n. 1.5 – Genova: Terminal Container

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I numeri occupazionali diminuiscono e al tempo stesso si riducono le caratteristiche professionali richieste per le mae-stranze: non e’ più necessaria alcune esperienza per un lavoro che ha perso le sue connotazioni peculiarmente “portuali”. Allo stesso tempo, se le professionalità tradizionali vanno scompa-rendo, nuove mansioni occorrono al porto odierno: esse sono legate all’informatica e alla comunicazione, alla telematica, al controllo di gestione, alla qualità, alla sicurezza. Il software di applicazione portuale, il calcolo di moduli di carico, gli schemi di movimentazione, tutto viene fatto in porto, dando vita ai pri-mi terminali informatici. Altre professionalità nascono dalla considerazione dell’aspetto ambientale, finalizzate al monito-raggio e salvaguardia delle condizioni marine per la sopravvi-venza dell’ecosistema costiero. Non si sono più verificati i livel-li occupazionali dell’era industriale: tuttavia si attinge oggi ad un diverso strato di professionalità per l’impiego in porto. Per attività decisamente innovative, professionalizzanti e ad alto va-lore aggiunto sono necessarie altre competenze: dal porto degli operai si passa al porto dei “colletti bianchi”, proprio come, in abbondante anticipo, accadde nei ranghi della produzione indu-striale. L’uomo appare, è vero, molto di rado, ma è un altro il luogo dove le attività umane e quindi la sua presenza si concen-tra: strettamente collegate al porto, si installano le strutture dei World Trade Center, organizzazione ramificata in tutti i porti del commercio internazionale, sede delle attività del terziario avanzato.

Presenza visibile è quella del porto storico, preservato, rico-struito e in parte rivissuto, spesso per attività ludico-ricreative; in esse si sono salvaguardati e ricreati gli scenari e i paesaggi ti-pici dell’identità portuale e del suo passato. Spesso, tali attività di leisure si sono affiancate ai terminali croceristici, tipica com-ponente spiccatamente transindustriale.

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Figura n. 1.6 – Lavoro portuale a Genova: - le Torri Shipping del centro Direzionale Terziario San Benigno

- operazioni di tinteggiatura in un bacino di carenaggio

Ulteriore aspetto del panorama portuale di oggi è l’aumento del fatturato dei settori ascrivibili alla nautica, per cui spesso all’interno di porti dalle grandi dimensioni, trovano spazio pic-coli porticcioli turistici, sede di club nautici e di scuole. Anche tale utilizzo, relativo al tempo libero, fa parte di tutte quelle ini-ziative che oggi prendono comunemente il nome di fenomeni di “rivitalizzazione del waterfront”.

1.2 Il porto oggi:

connessioni infrastrutturali e nodo logistico Come illustrato nei paragrafi precedenti, il porto da sempre

esercita, pur essendo mutato più volte nei secoli il suo ruolo all’interno dell’economia e del territorio, una funzione attrattiva nei confronti di cose, persone, investimenti e capacità. Dal mo-dello di scalo mercantile al moderno porto logistico, le attività strettamente portuali sono quelle che in modo minore rispetto ad altri comparti hanno subito la minaccia della delocalizzazio-ne; essi hanno anche saputo mantenere, in primo luogo, legami

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di prossimità dovuti al fattore fisico dell’affaccio a mare, ma anche una logica (assai meno scontata) di economia di agglo-merazione che tragga benefici dalla concentrazione stessa delle attività.

Il porto è per natura punto d’arrivo e di partenza di merci e persone in origine o destinazione per le parti più lontane del mondo; ovvio quindi che detenga un potere di gravitazione e che da questo derivi l’organizzazione urbana e territoriale che caratterizza la città adiacente e la regione di riferimento ad esso.

La crescita e l’evoluzione tecnologica delle attività portuali dà luogo e forma all’organizzazione del territorio, contraddistin-ta soprattutto dall’integrazione fra i servizi offerti dall’assetto urbano e la domanda di prestazioni mercantili generata dalle a-ree industriali circumportuali. L’assetto di alcuni contesti por-tuali possono essere così peculiari (in alcuni paesi economica-mente sviluppati) da essere facilmente individuabile secondo forme riconoscibili: già Vigariè nel 1970 individuava quattro regioni portuali all’interno della Comunità Economica Euro-pea12. Tuttavia se il trinomio caratterizzante fino a poco tempo fa era quello che connetteva porto-agglomerato urbano-aree in-dustriali, oggi forse si potrebbe dire che quello stesso trinomio è esprimibile secondo la formula porto-città-retroporto logistico, recitando il porto, sempre più spesso, il ruolo complesso di no-do che si lega ad altri nodi territoriali.

Il porto moderno ha assunto funzioni di “gateway” (nodo della rete), verso cui non convergono più solo attività connesse o subordinate alle attività portuali in senso stretto. Infatti la pro-sperità della città portuale dipende oggi sempre più dalla sua funzione economica regionale e nazionale che non dalle rela-zioni commerciali marittime. Il porto ha oggi lasciato il posto ad un nuovo concetto di “porto-territorio”, inteso come termina-le di interscambio di reti territoriali differenti che, a livelli di-versi, relazionano le sue parti alla città e al territorio.

12 Il complesso scandinavo (Oslo, Goteborg, Copenaghen); il complesso britannico

insulare; i sistemi portuali mediterranei di Marsiglia, Alto Tirreno e Alto Adriatico; il Nothern Range sul mare del Nord.

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Nel 1980 il geografo Bird formulò sui gateways un approc-cio teorico, il quale si propone di inquadrare le funzioni nodali del porto marittimo nel complesso dei nodi che fungono da por-ta di accesso nelle relazioni fra la regione e l’esterno. Bird di-stingue i gateways che governano le relazioni tra la regione considerata e le altre regioni dello spazio nazionale (internal ga-teway) e quelli a cui fanno capo i flussi internazionali (interna-tional gateway), oggetto di strategie governative. La sua proie-zione extraregionale e internazionale fa sì che il porto si inseri-sca in una rete di nodi anch’essi sede di funzioni di gateway in-ternazionale. La connessione funzionale tra porti ubicati su dif-ferenti versanti marittimi e dotati di funzioni international gate-way è costituita dai “landbridges”, ponti terrestri che sono attivi tra Mare Mediterraneo e Mare del Nord tra porti della façade i-talo-francese e nordica13. I flussi che scorrono fra i nodi percor-rono direttrici di comunicazione con elevatissima valenza fun-zionale, linee di forza che costituiscono la nervatura del tessuto delle relazioni interregionali, a sostegno delle quali sono inter-venute le politiche europee orientate alla crescita degli assi in-frastrutturali14. Di conseguenza l’aspetto su cui si gioca la com-petitività dello scalo è l’accessibilità infrastrutturale e quindi la presenza di una rete efficiente e capillare che permetta tempi concorrenziali di inoltro.

In tale scenario assumono importanza gli spazi e le reti di interconnessione che legano il nodo portuale agli altri nodi terri-toriali (la città stessa, lo scalo ferroviario, l’aeroporto, gli svin-coli autostradali, l’interporto). Si tratta di corridoi associati alla mobilità (ferroviaria, stradale..) che, ancorati ai grandi assi di collegamento extra-locale, penetrano nello spazio del porto per garantirne le connessioni con altri nodi infrastrutturali distribuiti a distanza variabile sul territorio. L’efficienza e la rapidità degli spostamenti che questi sistemi assicurano possono determinare e misurare la funzionalità, il rendimento e la produttività di una

13 Basti pensare ai “landbridge” (o “dry-channel”) previsti dalla cosiddetta opzione

mediterranea, che ipotizza “ponti” terrestri fra porti marittimi (ved. 1.1.3). 14 Ved. § 2.1.

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moderna macchina portuale e permetterle di collocarsi nelle reti di gateway di livello regionale, nazionale e internazionale.

Ciò che suscita l’interesse maggiore osservando uno scalo non è solo la sua natura tecnica. Quanto piuttosto lo studio della variabilità dei rapporti che esso instaura con le realtà insediative attraversate. Una variabilità che può essere interpretata rispetto a molteplici declinazioni formali. Agli spazi della connessione infrastrutturale frequentemente si associano un pluralità di ele-menti interagenti, che possono essere raggruppati approssimati-vamente in due principali famiglie: quelli direttamente coinvolti nei cicli trasportistici che fanno capo al porto (inteso come nodo di transito e trasbordo di merci e persone) e quelli apparente-mente estranei al funzionamento interno delle reti tecniche ma ad esse associati per ragioni di accessibilità, prossimità, conti-guità.

I nastri viabilistici che convergono a differenti livelli dal suolo nello spazio portuale, infatti, come flussi orizzontali si in-sinuano nei limiti del costruito. Nonostante la specificità dei ca-si, ciò che sembra ricorrere è la regolarità delle dinamiche che connotano i campi di forza circostanti i corridoi infrastrutturali [Di Venosa, 2002]. Questa condizione comune a molte città porto, se, per un verso, mette in luce le difficoltà che l’attuale sistema di connessione (viario e ferroviario) incontra nel rag-giungere il nodo portuale, dall’altro propone alla pianificazione urbanistica il tema della ricerca di nuovi procedimenti analitici e progettuali che interpretino il ruolo delle infrastrutture a parti-re dagli scambi possibili con i territori ad esse associati. Si è no-tato infatti che l’intensità e la frequenza delle forze trasversali, la pluralità e la eterogeneità delle forme insediative identificabi-li negli spazi della connessione infrastrutturale, sono tanto mag-giori e articolati, quanto minore è stata la tendenza dei singoli porti ad attuare politiche di decentramento, soprattutto di quelle attività con alti livelli di specializzazione funzionale e non più compatibili con i vecchi sedimi portuali.

Il funzionamento della macchina portuale mette in evidenza la continuità ormai necessaria tra le strutture della movimenta-zione e i depositi portuali e retroportuali. Questo significa con-

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siderare come strettamente integrati agli spazi operativi del por-to anche i punti di contatto tra le infrastrutture interne al porto ed il sistema di mobilità cittadina, le linee principali di origi-ne/destinazione delle merci e i terminal specialistici (esterni la bacino, ma interni al funzionamento delle catene cinematiche che dal/nel porto dipartono e convergono). Le strutture menzio-nate configurano una struttura economica e territoriale nuova ri-spetto al passato: in primo luogo, in quanto appaiono geometrie, ortogonali al bacino portuale e alle sue aree commercia-li/produttive, i cui principi insediativi rispondono a razionalità tutte interne ai processi produttivi in cui si inseriscono.

Secondo un’ottica di crescita del territorio in termini di si-

stema, il progetto delle infrastrutture va di pari passo allo svi-luppo delle piattaforme logistiche a sostegno delle attività del commercio, della produzione e del terziario. La rilevanza di centri logistici sul territorio è dovuta all’indubbia capacità di gravitazione che esse hanno a livello occupazionale e di richia-mo di competenze specializzate. In questo senso, la loro presen-za è da considerarsi un indicatore di ricchezza dell’ambito su cui insistono, in quanto rivela la salute di un territorio che, dopo passaggi sequenziali di crescita, ha saputo trarre beneficio dall’attività portuale e logistica15.

L’indagine sulla modalità di distribuzione nello spazio dei benefici derivanti presenta numerose difficoltà: dovrebbe infatti andare a ricercare quale dei fattori della produzione hanno una provenienza non spiegabile se non dalla presenza del porto, in modo da circoscrivere l’estensione geografica del valore ag-giunto derivante esclusivamente da queste attività. L’incidenza del fattore lavoro sul valore aggiunto, con i cambiamenti epoca-li che sono sopravvenuti (trasformazioni ciclo del trasporto, in-novazioni tecnologiche...), è oggi notevolmente ridotto; avviene il contrario per quanto riguarda il peso della remunerazione del

15 Ved. in Ugolini P., Delponte I.“ Le piattaforme logistiche come elemento di svi-

luppo per il territorio” in Pietro Ugolini “Pianificazione territoriale, portualità e infra-strutture. Il caso savonese”, Franco Angeli, Milano, 2006.

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capitale, secondo una tendenza ormai confermata di rafforza-mento del passaggio di molte aziende alla sfera di gestione “profit oriented”. Si evince quindi che mentre per le imprese “port required” (secondo una passata terminologia da intendersi similmente all’impatto occupazionale diretto) si situano inevita-bilmente nella regione portuale, la quota più significativa delle attività che pure riguardano il porto, non dovendo dipendere dalla localizzazione “a filo banchina”, possono stanziarsi in luoghi diversi dalla regione portuale, caratterizzandone un gene-rale impoverimento di ricadute territoriali. I grandi benefici e-conomici si concentrano in pochi e grandi punti strategici di scala mondiale e i vantaggi economici della regione portuale si limitano a quelli della cosiddetta industria portuale, da anni o-ramai non più ai livelli storici, per un netto cambiamento anche della gestione delle coste dal punto di vista territoriale, ma so-prattutto per la redistribuzione del lavoro su scala internaziona-le. Il porto deve quindi puntare, per l’attrazione di quelle impre-se che, per “definizione” potrebbero stanziarsi altrove, ad alcuni determinanti fattori di competizione. L’effetto polarizzante dei porti può acuirsi grazie alla collaborazione con le aree interne ed allo stesso tempo, può far agire a proprio vantaggio la libertà localizzativa come fattore razionalizzante le diseconomie deri-vanti dalla congestione.

Ulteriore gravitazione oggi non trascurabile dal punto di vi-sta portuale è quella che riguarda in generale il comparto turisti-co e principalmente il traffico crocieristico16. Una serie di fattori hanno contribuito alla crescita del settore, non ultime le possibi-lità di abbattimento dei costi di trasporto e l’opportunità di un lungo periodo di non belligeranza a scala internazionale, che certamente non pone freno alle opportunità di viaggiare. D’altro canto, lo sviluppo della cantieristica delle grandi navi e le pos-sibilità offerte dall’evoluzione tecnologica, permettono la co-struzione e l’impiego di navi da crociera che, per dimensioni e

16 A titolo di esempio, l’incremento delle entrate veicolari ai varchi nel periodo e-

stivo di picco per il flusso crocieristico è pari, nel porto di Genova, in media al 500% (e-laborazioni da dati Autorità Portuale di Genova).

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passeggeri trasportati, hanno sicuramente un impatto sui porti accentuato rispetto al passato.

Figura n. 1.7 – Genova: Terminal Crociere

Inoltre, le trasformazioni recentemente subite dagli spazi

portuali e produttivi a filo banchina volte all’integrazione urba-nistica fra città e porto (comunemente richiamate in letteratura con il nome di “interventi sul waterfront”) hanno determinato una variazione nella tipologia di fruizione degli spazi fronte-mare. Quegli ambiti dove un tempo stazionavano mezzi di tra-sporto o trovavano collocazione piccole e grandi industrie o ca-pannoni di riparazioni navali, oggi lasciano spazio ad attività ludico-ricreative, sportive, culturali (generalmente denominate con il nome anglosassone “entertainment”), capaci anch’esse di generare ulteriori gravitazioni, non solo a livello urbano. La ri-levanza del processo di riqualificazione del waterfront eviden-zia la complessità dei contesti portuali e il motivato svilupparsi di un largo interesse verso di essi.

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