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www.judicium.it 1 FABIO SANTANGELI Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite 1 Sommario: Sezione prima: Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in Cassazione. - 1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. - 2. Il controllo della motivazione come necessario strumento per l’esame degli errori di diritto nel giudizio di fatto. - 3. L’art. 360 n. 5 c.p.c. e le refluenze sul controllo del giudizio sul fatto e sulla motivazione. Per una possibile estensione del vizio di motivazione in assenza della “doppia conforme”. - 4. La reale portata dell’art. 384, comma 2, c.p.c. - 5. Segue. L’art. 384, comma 2, c.p.c. ed il principio di autosufficienza nel ricorso alla luce delle intervenute modifiche.- Sezione seconda: Le prime sentenze in Cassazione sul controllo in fatto delle decisioni, e sul vizio di motivazione.- 6. Le Sezioni unite ed il principio di diritto emesso ai sensi dell’art. 384 c.p.c. - 7. La necessità di implementare e riformulare il principio di diritto perché meglio risponda all’integrale contenuto della sentenza. - 8. Il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. nell’interpretazione che segue le Sezioni Unite. - 9. Sperando in una ulteriore evoluzione. Gli ulteriori esami che la cassazione è chiamata a compiere. - 10. Lo ius litigatoris come scudo dell'attribuzione alla magistratura ordinaria della funzione nomofilattica. Sezione prima. Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in Cassazione. 1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. La precedente versione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. 2 consentiva di proporre ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile 1 Questo articolo nasce dalla lettura del libro del Consigliere LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, di prossima pubblicazione nella collana La biblioteca di diritto processuale civile, Torino, 2015. Ne segue le profonde riflessioni, pur distaccandosi negli esiti. 2 Modificata con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in l. 11 agosto 2012, n. 143.

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1

FABIO SANTANGELI

Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni

Unite1

Sommario: Sezione prima: Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in

Cassazione. - 1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la

modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. - 2. Il controllo della motivazione come necessario

strumento per l’esame degli errori di diritto nel giudizio di fatto. - 3. L’art. 360 n. 5

c.p.c. e le refluenze sul controllo del giudizio sul fatto e sulla motivazione. Per una

possibile estensione del vizio di motivazione in assenza della “doppia conforme”. - 4.

La reale portata dell’art. 384, comma 2, c.p.c. - 5. Segue. L’art. 384, comma 2, c.p.c.

ed il principio di autosufficienza nel ricorso alla luce delle intervenute modifiche.-

Sezione seconda: Le prime sentenze in Cassazione sul controllo in fatto delle

decisioni, e sul vizio di motivazione.- 6. Le Sezioni unite ed il principio di diritto

emesso ai sensi dell’art. 384 c.p.c. - 7. La necessità di implementare e riformulare il

principio di diritto perché meglio risponda all’integrale contenuto della sentenza. - 8.

Il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. nell’interpretazione che segue le Sezioni Unite. - 9.

Sperando in una ulteriore evoluzione. Gli ulteriori esami che la cassazione è

chiamata a compiere. - 10. Lo ius litigatoris come scudo dell'attribuzione alla

magistratura ordinaria della funzione nomofilattica.

Sezione prima. Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in

Cassazione.

1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la

modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c.

La precedente versione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.2 consentiva di proporre ricorso

per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa

un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile

1 Questo articolo nasce dalla lettura del libro del Consigliere LOMBARDO, La natura

del sindacato della Corte di Cassazione, di prossima pubblicazione nella collana La

biblioteca di diritto processuale civile, Torino, 2015. Ne segue le profonde riflessioni, pur

distaccandosi negli esiti. 2 Modificata con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in l. 11 agosto 2012, n. 143.

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d’ufficio”3. Questa disposizione è stata di recente modificata, ed il nuovo

testo recita: “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è

stato oggetto di discussione tra le parti”.

Si è, almeno espressamente, escluso quindi che il vizio di motivazione possa

essere oggetto di contestazione in Cassazione, con evidenti refluenze anche

sul controllo del giudizio di fatto dei giudici di merito avanti alla Corte di

legittimità.

L’opinione degli studiosi, tuttavia, ha, seppur in modi differenti, offerto

diverse e più coerenti ed affascinanti letture del complesso dei motivi di

ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., proprio in riferimento al controllo della

motivazione e del giudizio di fatto.

Così, parte della dottrina ha ritenuto che i vizi della motivazione sul giudizio

di fatto sarebbero adesso sindacabili ex art. 360 n. 4 c.p.c.; la sentenza di

merito sarebbe nulla per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (ai sensi dell’art.

156 comma 2 c.p.c.), non soltanto per le ipotesi di motivazione inesistente,

ma anche per la motivazione contraddittoria o insufficiente4. Ed ha certo un

senso sostenere che “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto

della decisione” di cui all’art. 132 c.p.c. non debba essere intesa come

elemento integrato dalla mera esistenza di una motivazione purchessia, ma

che l’importanza del requisito, richiesto necessariamente in sentenza

addirittura dall’art. 111 cost., possa dirsi soddisfatto solo dall’esistenza di una

motivazione dotata di quei requisiti minimali, perché una motivazione possa

dirsi tale e che impongono che la stessa sia, appunto, se non completa ed

esaustiva ancorché concisa, come dovrebbe in realtà essere, quantomeno “non

contraddittoria”5 ma probabilmente almeno anche “sufficiente”, e non

soltanto esistente solo formalmente.

Con un esame della motivazione che sembra in sintonia con quanto di recente

espresso anche in sentenze della Corte di legittimità, che sanziona la

decisione oggetto di impugnazione quando “la decisione impugnata non ha

reso solo una motivazione succinta (cfr. nuovo art. 118, comma 1, att. c.p.c.,

come modificato dalla l. n. 69 del 2009), ma addirittura una motivazione

meramente apparente, ossia una non motivazione, sottraendosi all’obbligo che

grava sul giudice di fornire, sia pure in modo sintetico, i criteri di lettura del

3 Secondo il testo del n. 5 dell'art. 360 del codice del 1942, il ricorso per cassazione

era consentito «per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di

discussione tra le parti». Il testo poi modificato dalla riforma del 1950 prevedeva il ricorso

per «omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto della controversia

prospettato dalle parti, o rilevabile d'ufficio». 4 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 216-218.

5 Secondo DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell'ennesima «riforma

urgente»: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l.

83/2012), in www.judicium.it, la sentenza con una motivazione inesistente, contraddittoria o

illogica, sarebbe comunque sindacabile per violazione dell'art. 132 c.p.c. ai sensi dell'art. 360

n. 4.

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proprio ragionamento”; che inoltre, per la loro verifica, sembrano pretendere

un riesame potenzialmente alla luce degli atti della controversia6.

2. Il controllo della motivazione come necessario strumento per l’esame

degli errori di diritto nel giudizio di fatto

Altre tesi riconducono comunque seppur diversamente al sindacato della

cassazione il controllo dei (supposti) errori commessi dal giudice nel giudizio

di fatto. La Cassazione, in quanto giudice deputata al controllo in diritto, ha

certo anche il compito di controllare che nel giudizio di fatto siano rispettate

le regole giuridiche che espressamente o per desunzione il giudice di merito

ha il dovere di osservare; e questo esame non può non passare anche, quando

non soprattutto, dal controllo della motivazione del provvedimento.

È elemento acquisito già nel vigore della precedente disciplina che la

violazione delle norme che disciplinano l’assunzione delle prove (art. 191-

266 c.p.c.) sono denunciabili in cassazione, verosimilmente ai sensi dell’art.

360 c.p.c. n. 4, come errores in procedendo7. Ed altrettanto è a dirsi per

6 Cfr. Cass. sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1631. La prima sezione della Corte Suprema

ha cassato la decisione della Corte d'appello di Milano, la quale aveva respinto gli appelli

principale ed incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale di Monza di cessazione

degli effetti civili del matrimonio, che poneva a carico dell'ex coniuge un assegno divorzile di

Euro 300,00 mensili. La Corte di legittimità nel ribadire il principio che l’assegno di divorzio

è indipendente dagli obblighi di mantenimento operanti nel regime di separazione, per cui

l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un mero indice di riferimento

per fornire utili elementi di valutazione, ma non può far venir meno l'obbligo motivazionale

sulla esistenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno di divorzio, censura la decisione

impugnata in quanto priva dell'accertamento richiesto dall'art. 5, co. 6, della l. n. 898 del

1970, in ordine alla sussistenza in concreto dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno di

divorzio.

La Corte evidenzia che la motivazione della sentenza di merito si è limitata ad

affermare che: “Già con la sentenza di separazione emessa il 18/7/06 era stato riconosciuto un

assegno di mantenimento a favore della M. di Euro 500,00 mensili in considerazione del fatto

che era casalinga sfornita di redditi propri”. In tal modo, la decisione impugnata non ha reso

solo una motivazione succinta (cfr. nuovo art. 118 att. c.p.c., comma 1, come modificato dalla

L. n. 69 del 2009), ma addirittura una motivazione meramente apparente, ossia una non

motivazione, sottraendosi all'obbligo che grava sul giudice di fornire, sia pure in modo

sintetico, i criteri di lettura del proprio ragionamento. In particolare, la sentenza omette

qualsiasi valutazione del tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio e qualsiasi

considerazione circa l'impossibilità della M. di procurarsi per ragioni oggettive i mezzi di

sostentamento adeguati a conservare detto regime di vita, nè spiega come i dedotti problemi

di salute si conciliano con l'attività di badante svolta gratuitamente; non chiarisce la natura

effettiva della convivenza instaurata dalla medesima con tale S., quale fatto potenzialmente

incidente sulla stessa spettanza dell'assegno; non spiega come si concili l'acquisto di una

vettura (e le relative spese) con il ritenuto stato di indigenza economica”. 7 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 221.

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quelle decisioni del giudice di merito relative al giudizio di fatto (in

particolare, ma non soltanto, il giudizio di ammissione della prova) che non

costituiscono frutto di scelte discrezionali, ma pretendono il rispetto di

disposizioni che regolano in maniera vincolante questo ambito di quel

giudizio e che sono state così efficacemente riassunte8: “a) la mancata

pronuncia del giudice sulla istanza istruttoria avanzata dalla parte; b) la

violazione delle diverse norme che regolano l’ammissibilità delle prove,

purché si tratti di norme che non lasciano spazio al giudice per valutazioni

discrezionali9; c) il diniego di ammissione di una prova per irrilevanza della

stessa, qualora il giudice di merito abbia travalicato i limiti della

discrezionalità concessagli10

; d) l’esercizio dei poteri probatori d’ufficio,

allorquando il giudice abbia violato i confini della discrezionalità

riconosciutagli; e) la violazione delle norme che dettano l’efficacia delle c.d.

prove legali; f) la violazione delle norme che ripartiscono gli oneri probatori

tra le parti”, sovente ricondotte all’interno della violazione delle norme di

legge ex art. 360 n. 3 c.p.c..

Per certi versi, similmente ci si può riferire quanto al margine del controllo in

cassazione in riferimento al rispetto del principio di non contestazione11

,

anche esso caratterizzato da un vincolo normativo che il giudice di merito ha

l’onere di rispettare e che può essere oggetto di controllo in cassazione.

Una riflessione più sofferta va invece riferita a tutte le ipotesi in cui nel

giudizio di fatto il giudice pronunci in situazioni cui va ascritta

necessariamente un margine di discrezionalità alla determinazione del giudice

sull’esistenza o no dei fatti principali di segno positivo o negativo posti a

fondamento delle richieste e delle contro difese delle parti; la regola, del

8 Cfr. LOMBARDO, op. ult. cit., 221.

9 Nelle ipotesi in cui residui invece al giudice un margine di discrezionalità, residua il

diverso e ben più limitato ambito del controllo sulla (quantomeno) logicità del ragionamento

e sull’esistenza delle massime di esperienza adottate. 10

Si distingue tradizionalmente da un giudizio di pertinenza della prova, per

definizione esistente se riferito a provare l’esistenza di un fatto principale, sottoposto ad una

valutazione discrezionale nel caso in cui si verta sulla prova di un fatto secondario; e il

giudizio sulla rilevanza concreta del mezzo di prova dedotto, in relazione alla sua idoneità ed

alla non superfluità, anche queste esercizio del potere discrezionale del giudice di merito.

Discrezionalità sindacabile in cassazione negli (stretti) limiti di cui alla nota precedente, come

sarà spiegato esaustivamente più avanti nel prosieguo del paragrafo. 11

V. SANTANGELI, La non contestazione come prova liberamente valutabile, 2010, in

www.judicium.it; TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. dir. proc.,

2011, 76 ss.; SASSANI, Commento all'art. 115, in Commentario alla riforma del codice di

procedura civile (Legge 18 giugno 2009, n. 69), a cura di A. Saletti, B. Sassani, Torino 2009,

71; TARUFFO, Commento art. 115 c.p.c., in Carratta e Taruffo, Poteri del giudice.

Commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2011, 483 ss.;

RICCI, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. dir. proc., 2014, 321 ss.;

FRUS, Il principio di non contestazione tra innovazioni normative, interpretazioni dottrinali e

applicazioni giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. proc., 2015, 65 ss.

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resto, nel nostro processo non è certo quella della disciplina delle prove legali

come fonte di convincimento. E tuttavia, nel dettare gli art. 115 e 116 c.p.c., il

legislatore chiaramente afferma che, anche in riferimento al giudizio di fatto,

il giudice è tenuto a conformarsi a criteri che vanno ben oltre al proprio

esclusivo e personale convincimento. Dall’art. 115 c.p.c. si desume, tra

l’altro, il divieto della c.d. scienza privata del giudice ed il c.d. diritto alla

prova delle parti12

. Dall’art. 116 c.p.c. si precisano i confini del libero

convincimento del giudice: “….Dall'art. 116, comma 1, cod. proc. civ. e dal

metodo del «prudente apprezzamento» da esso dettato, scaturiscono

essenzialmente due canoni fondamentali che il giudice deve osservare nel

ragionamento col quale valuta le prove: 1) la “validità logica”, nel senso che

la valutazione delle prove deve essere compiuta mediante inferenze che per

un verso, ab interno, osservino le regole della logica, per l'altro, ab externo,

siano coerenti rispetto al thema probandum e al contenuto degli elementi di

prova acquisiti; 2) la “ragionevolezza” secondo il sensus communis e le

conoscenze umane generalmente riconosciute, nel senso che la valutazione

delle prove non può essere arbitraria, ma deve osservare le c.d. “regole

d'esperienza” generalmente accettate nell'ambito della cultura della

collettività sociale. In altri termini, il metodo del «prudente apprezzamento»

implica che il giudice, nel valutare le prove, osservi due ordini di regole: le

"regole della logica" e le "regole offerte dalla comune esperienza13

. Ed è

assolutamente condivisibile ascrivere ai canoni ora richiamati la natura di

vera e propria norma giuridica; sicché, laddove il giudice decidesse in

contrasto con la logica o con le massime di esperienza la sentenza risulterà

affetta da “errori di diritto”, e sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.

Più specificatamente, si è puntualizzato: “errori nella valutazione degli

elementi di prova" (violazione dell'art. 116, 1, cod. proc. civ.), i quali, a loro

volta, possono distinguersi in: B1) "errori di logica", che possono dipendere

da: 1) "contraddittorietà interna", ossia tra più parti del ragionamento del

giudice; 2) "contraddittorietà esterna", che riguarda il contrasto logico tra le

premesse del ragionamento del giudice e il thema probandum ovvero gli

elementi di prova acquisiti (c.d. probatum) (potendo, in quest'ultimo caso,

aversi o "travisamento di prova decisiva" o "omessa valutazione di prova

decisiva"). B2) "errori di ragionevolezza", che ricorrono quando il

ragionamento del giudice non adotti come premesse le c.d. regole

d'esperienza ovvero adotti regole d'esperienza false o inesistenti, ponendosi

così oltre il plausibile14

.

12

Ex plurimis, TARUFFO, Commento art. 115 c.p.c., cit., 447. 13

Cfr. LOMBARDO, op. ult. cit., 177. 14

Sull'utilizzo nel giudizio di fatto delle regole di esperienza da parte del giudice, si

veda LOMBARDO, op. ult. cit., 182; GRASSO, Dei poteri del giudice, in Commentario del

codice di procedura civile, diretto da ALLORIO, Torino, 1973, 1318; BOVE, Il sindacato della

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In quest’ambito, secondo questa tesi, si collocano i limiti del controllo del

giudizio di fatto ad opera della Cassazione. “La Corte è chiamata a

controllare solo se il giudice di merito abbia osservato le regole della logica e

le regole d'esperienza, che costituiscono i limiti giuridici "strutturali" della sua

discrezionalità e che garantiscono la ragionevolezza e la plausibilità del

giudizio di fatto; non è chiamata a condividere o non condividere la

ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né è chiamata a

procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della

decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella

compiuta dai giudici di merito: essa, pertanto, non può, senza tradire la sua

missione nomofilattica, sindacare la scelta del giudice di merito di dare

prevalenza ad una prova o all'altra, di valorizzare taluni caratteri di una prova

o di trascurarne altri, di scegliere la regola di esperienza più appropriata per

valutarne l'attendibilità. È sindacabile in cassazione solo il giudizio di fatto

che si pone al di là del ragionevole e del plausibile, per il fatto di fondarsi su

un ragionamento che non osserva le regole della logica o che è fondato su

asserite regole d’esperienza in realtà “inesistenti” come regole sociali o

addirittura “false” nel senso che sono ripudiate dal sensus communis (ad es.

sulla falsa regola d'esperienza per cui il teste che sia cittadino europeo è più

credibile del teste cittadino extracomunitario oppure su quella per cui l'acqua

fredda scotta); non è, invece, sindacabile in cassazione il giudizio di fatto che,

per essere stato posto in essere dal giudice di merito secondo il metodo

previsto dalla legge e, quindi, senza violare i limiti posti alla sua

discrezionalità, si mantiene entro i limiti del plausibile. Il ragionamento

plausibile è qualcosa in più di un ragionamento purchessia, perché esso è tale

solo se osserva le regole della logica e le regole della comune esperienza; ma

è anche qualcosa in meno di un ragionamento condiviso, perché è plausibile

anche ciò che non si condivide ma a cui si riconosce la dignità della

ragionevolezza”15

.

Sono sindacabili in cassazione, pertanto, sotto il profilo della violazione di

legge (art. 115-116 c.p.c.) gli errori di metodo del giudice di merito, non

anche gli errori di merito commessi nel giudizio di fatto.

“Al di fuori di questi possibili errori di diritto, v'è il vasto il vasto campo

della discrezionalità del giudice, cui è rimesso il giudizio di fatto; tale campo

è governato dalle regole di esperienza, e non da norme giuridiche, cosicché

gli eventuali errori commessi dal giudice nell'uso di tali regole (c.d. "errori di

merito"), purché di vere regole d'esperienza si tratti e purché non siano violate

le regole della logica, rimangono sul piano meramente opinativo e

assiologico, su un piano cioè che - per definizione - è sottratto al controllo

Corte di Cassazione, Milano, 1993, 214; NOBILI, Nuove polemiche sulle “massime

d'esperienza”, in Riv. dir. it. proc. pen., 1969, 142 ss. 15

LOMBARDO, op. ult. cit., 185-187.

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della legalità delle sentenze affidato alla Corte di Cassazione. Si tratta di

quegli errori che una volta, nella pratica giudiziaria, venivano sindacati come

vizio di "insufficienza" della motivazione, ma che oggi non possono più

essere sindacati, avendo la novella del 2012 espunto dai motivi di ricorso il

vizio in questione”16

.

In definitiva, con simili letture rimane fermo un margine di controllo sul

giudizio di fatto in cassazione per violazioni di legge; e tuttavia, questo

riesame si palesa meno intenso rispetto a quello possibile prima della riforma

del 2012.

3. L’art. 360 n. 5 c.p.c. e le refluenze sul controllo del giudizio sul fatto e

sulla motivazione. Per una possibile estensione del vizio di motivazione in

assenza della “doppia conforme”.

Il controllo in cassazione del giudizio di fatto, tuttavia, deve essere

determinato tenendo anche conto del disposto di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.,

che individua un ulteriore motivo di ricorso per cassazione “per omesso

esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione

tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso, ai fini che ci occupano, quantomeno,

rappresenta qualcosa che richiama elementi, “il fatto decisivo per il giudizio

che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che devono il più delle volte

ricavarsi al di fuori della motivazione della sentenza impugnata. Così

legittimando ed imponendo vieppiù la estensione del sindacato della Corte di

Cassazione oltre la sentenza e fino al controllo extratestuale della legittimità

della sentenza impugnata, similmente a quanto da tempo attuato, con analoga

modifica, nel codice di rito penale”17

.

Si tratta di una disposizione che, peraltro, non si applica a tutte le ipotesi di

ricorso per cassazione; la riforma del 2012, infatti, ha introdotto l’art. 348 ter

c.p.c. che al quarto18

e quinto comma specifica come, quando la sentenza

16

LOMBARDO, op. ult. cit., 244. 17

LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit.. L’art. 8 della

legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha sostituito la lett. e dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il

vizio della motivazione non è più censurabile soltanto quando risulti “dal testo del

provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti del provvedimento

specificamente indicati nei motivi di gravame”. 18

Come noto, la novella del 2012 ha introdotto un filtro di inammissibilità

dell'appello, basato sul preliminare vaglio di «non ragionevole probabilità di accoglimento»,

formulato dal giudice competente dell’appello (art. 348 bis c.p.c.). Esperito tale controllo, che

ha luogo nella prima udienza di trattazione, alla presenza delle parti, se non ricorre una

ragionevole probabilità di accoglimento, il giudice emette un'ordinanza di inammissibilità

succintamente motivata, anche «mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più

atti di causa e ai precedenti conformi». Tale filtro di inammissibilità non opera con

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d’appello confermi la decisione di primo grado, e si fondi sulle stesse ragioni

inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, questa

non possa essere impugnata per il motivo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.19

.

Anche per questo, è verosimile ritenere come sia ermeneuticamente

opportuno, forse anche in ossequio al criterio dell’interpretazione

costituzionalmente orientata (per il sostanziale rispetto dell’art. 111, comma

7, cost.), evitare di ascrivere (esclusivamente) al n. 5 fattispecie che oggi ben

potrebbero essere inquadrate anche nei n. 1, 2, 3, 4 dell’art. 360 c.p.c.. Ad

esempio, nell'“omesso esame di fatto decisivo”, si può ricondurre l’omesso

esame di un fatto costitutivo, o di una eccezione; questo vizio è, a mio avviso,

probabilmente inquadrabile esegeticamente nel n. 5, ma al tempo stesso,

trattandosi di una omissione di pronuncia, potrà essere oggetto di

impugnazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. per lesione dell’art. 112

c.p.c. Ciò significa semplicemente che il vizio potrà essere fatto valere con

due motivi20

in cassazione quando l’impugnazione sia “piena”; solo ai sensi

dell’art. 360 n. 4 c.p.c. quando la sentenza d’appello abbia confermato quella

di primo grado mantenendo le stesse ragioni sulla ricostruzione del fatto.

riferimento alle cause in cui è previsto l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, e nel

caso in cui il giudizio di primo grado si sia svolto secondo le forme del rito sommario di

cognizione. I nuovi articoli 348 bis e ter c.p.c. non prevedono alcun mezzo di impugnazione

avverso l'ordinanza di inammissibilità dell'appello, ma stabiliscono la possibilità del ricorso

in cassazione contro il provvedimento di primo grado per i motivi previsti dall'art. 360 c.p.c.,

eccetto il motivo di cui al numero 5, se l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni inerenti

alle questioni di fatto poste a fondamento della sentenza impugnata.

Sul tema dell'inammissibilità dell'appello a norma dell'art. 348 bis c.p.c. e sul ricorso

per cassazione contro il provvedimento di primo grado, da ultimo, POLI, Forma ed ogetto del

ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ex 348 ter, comma 3°, c.p.c.., in

Riv. dir. proc., 2015, 220 ss.; BENVEGNÙ, Inammissibilità dell'atto di appello: questioni

pratiche nei casi di pronuncia con sentenza e ordinanza, in Giur. it., 2014, 2867 ss.;

MONTELEONE, L'inammissibilità dell'appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c.. Orientamenti e

disorientamenti della giurisprudenza, in Giusto processo, 3/2014, 675 ss.; CARTUSO, “Filtro

di ammissibilità dell'appello e impugnazioni incidentali”, in Giusto processo civ., 2014, 1175

ss.; VERDE, La riforma dell'appello civile: due anni dopo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014,

97 ss.; SANTAGADA, Il giudizio d'appello riformato e l'introduzione del filtro, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2014, 611 ss.; BOVE, La pronuncia di inammissibilità dell'appello ai sensi

degli articoli 348 bis e 348 ter c.p.c. in Riv. dir. proc. civ., 2013, 389 ss.; PANZAROLA, Tra

filtro in appello e «doppia conforme»: alcune considerazioni a margine della l. n. 134 del

2012, in Giusto processo civ., 2013, 89 ss.; SCARSELLI, Note sulla ricorribilità per cassazione

dell’ordinanza che dichiara inammissibile l’appello, in www.questionegiustizia.it.; CAPONI,

Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, in

www.judicium.it. 19

Il che potrebbe indurre il giudice a non discostarsi dalla ricostruzione del giudice di

primo grado, appunto per ridurre il rischio della riforma della sentenza. E ciò mi fa dare un

giudizio negativo sulla doppia conforme per come realizzata nel nostro ordinamento. 20

A mio avviso, sotto il profilo grafico, anche all’interno di una unica

“macrocensura”.

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9

Così ritenendo, si può procedere nel definire la portata della disposizione, che

richiede un 1) omesso esame, circa un fatto decisivo per il giudizio che sia

stato 2) oggetto di discussione tra le parti.

Questa ultima espressione va probabilmente intesa nel senso di escludere

dalla fattispecie le ipotesi di “non contestazione”, facendosi riferimento ad

una necessaria controversia tra le parti sull’esistenza o no di un fatto21

o di

una massima di esperienza.

L'omesso esame del “fatto decisivo”; una espressione che è immediato riferire

ai fatti principali, costitutivi o impeditivi, modificativi, o estintivi che siano:

ma può valere anche per quei fatti secondari, utili all’accertamento probatorio

del fatto principale, da cui possano ricavarsi indicazioni sull’esistenza o no

del fatto principale. E che potrebbero pretendere dalla Cassazione un

penetrante esame sull'intera materia istruttoria, per valutare se l'omesso esame

assuma o no carattere potenzialmente decisivo. Situazioni, comunque, talora

già diversamente aggredibili in Cassazione con gli altri motivi di ricorso.

Mentre invece, esclusivamente al n. 5 vanno probabilmente riferite quelle

ipotesi in cui la critica attenga alla insufficiente valutazione operata da parte

del giudice di merito degli elementi di giudizio, fatti o massime di esperienza,

la cui esistenza, validità, e applicabilità avrebbero potuto rivelarsi

fondamentali per una decisione migliore, resa invece con grave leggerezza e

superfluità; a quei (supposti) errori di “merito”, e non di “metodo”, cioè,

compiuti dal giudice di merito ma che non possono essere oggetto del ricorso

per il motivo di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., che si ferma alla sanzione degli

errori di metodo.

Sono questi gli errori che prima sarebbero stati presumibilmente censurati

quali vizi che avrebbero condotto a valutare la motivazione come

“insufficiente”, e che oggi si traggono principalmente sempre dall’esame

della motivazione e dagli atti del processo, da cui si ricava la scarsa

attenzione a degli elementi potenzialmente essenziali per ottenere una attenta

decisione; siamo, cioè, al di fuori degli errori sull’uso di massime di

esperienza inesistenti o vizi clamorosi di logica (impugnabili anche ai sensi

del n. 5) che sono già aggredibili con i motivi di cui al n. 3 art. 360 c.p.c., di

cui al paragrafo precedente. Siamo al di fuori della “violazione di legge”,

probabilmente, ma non dei compiti della Corte di Cassazione, che si

desumono principalmente dalle disposizioni, e che non vedono

necessariamente una penalizzazione dello ius litigatoris nella riforma del

2012, quanto piuttosto una diversa individuazione del ruolo della Suprema

corte, con una limitazione dei poteri della Corte sull’operato dei giudici di

merito, ma tuttavia con una modifica incisiva ma non così invasiva.

La lettura che in questo articolo si propone, infatti, non tende a porre nel nulla

la riforma del 2012, ma a inquadrarla in giusti confini, che non cancellino

21

Cfr. LOMBARDO, op. ult. cit., 232, nota 91.

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l’imprescindibile presidio sul giudizio di fatto svolto dalla Corte di

Cassazione. Senza il quale, sotto un profilo non formale ma sostanziale, lo

stesso successivo controllo del giudizio di diritto, che sul giudizio di fatto pur

tuttavia poggia le basi, rischia di rivelarsi come un esercizio teorico.

La soluzione proposta, del resto, non è identica alla situazione precedente alla

riforma del 2012; la possibilità di contestare in cassazione un giudizio di fatto

“superficiale” sarebbe oggi riservata solo a quelle sentenze d’appello che

abbiano sul giudizio di fatto preso una posizione diversa da quella presa nel

giudizio di primo grado. Gli errori “di merito”, dunque, rimangono oggetto

del giudizio della cassazione solo quando i giudici di merito dei due gradi di

giudizio abbiano dato risposte contrastanti sulla ricostruzione del fatto;

invece, quando i due giudici abbiano condiviso il giudizio, si elimina la

possibilità che la Cassazione operi all’interno di un ambito che certo ha

margini di indubbia discrezionalità, contentandosi l’ordinamento del giudizio

condiviso di due giudici del merito.

Il giudizio di fatto operato nei giudizi di merito dunque è sempre soggetto a

riesame se irragionevole o irrazionale (360 n. 3); è soggetto a riesame quando

si contesti la superficialità o le lacune nel ragionamento del giudice

manifestato con la motivazione, solo laddove i giudizi di merito abbiano sul

punto dato esiti contrastanti (360 n. 5). Non è comunque mai soggetto a

cassazione quando il giudice di merito abbia fatto uso delle regole di logica e

di esperienza, ed al giudice di cassazione si chieda di sovrapporre il proprio

giudizio laddove con il corretto uso delle regole siano possibili più differenti

ricostruzioni del fatto, anche quando in ipotesi il giudice di legittimità

preferisca una diversa soluzione; in queste ipotesi, dunque, il giudice di

legittimità non ha il potere di legittimità di sovrapporre il proprio giudizio

sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito.

4. La reale portata dell’art. 384, comma 2, c.p.c.

La ricostruzione adottata nei paragrafi precedenti può incidere anche sulla

potenziale ulteriore attività della Corte di Cassazione, dopo che questa abbia

esercitato positivamente la propria classica funzione rescindente. Si deve,

cioè, valutare, specie dopo la riforma adottata nel 2006, che oggi, almeno

esegeticamente, l’art. 384 comma 2 c.p.c. non pone più limiti alla possibilità

(o, al vero e proprio onere) per la Corte di decidere la causa nel merito

“qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”, potendosi così

riferire il momento rescissorio ai n. 3, 4, 5 dell’art. 360 c.p.c. L’estensione

della c.d. cassazione sostitutiva discende dalla volontà del legislatore della

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riforma del 1990 prima, e poi in maniera ancora più incisiva appunto con la

riforma del 2006, di attribuire ulteriori compiti ed obblighi alla Corte di

Cassazione anche quale giudice chiamato di fatto a decidere nel merito delle

controversie, invece che limitarsi a rinviare in corte d’appello; il che, poi,

anche sotto altro profilo, sta ulteriormente a dimostrare che anche

l’evoluzione normativa della Corte di Cassazione conduce ad esaltare ulteriori

compiti che certo nulla hanno a che vedere con una supposta esclusiva

funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

E, tuttavia, l’ampiezza della portata della nuova disposizione va naturalmente

definita; d’altro canto, in dottrina si confrontano diverse letture della norma,

che talora viene ritenuta nella pienezza del dato esegetico22

, mentre da altri

viene variamente circoscritta23

.

È vero, da una parte, che per il principio di economia dei giudizi una lettura

ampia dell’art. 384 sarebbe auspicabile, oltre che, appunto, più conforme al

dato letterale; va riconosciuto, però, che l’attribuzione di un compito alla

Corte di cassazione di provvedere anche alla rivalutazione delle prove,

quando previamente la Corte abbia cassato la valutazione operata dalla corte

di merito (ad es. per illogicità o per uso di massime di esperienza inesistenti)

rende effettivamente il giudice di cassazione, anche per questi profili un vero

e proprio giudice di terza istanza. E, allo stesso modo, va chiarito che sotto il

profilo dei poteri tra giudice di secondo e terzo grado, il cambiamento è

evidente; si tratta proprio di valutare se, quando la corte di merito abbia

operato in maniera erronea tale da vedere il suo giudizio sul fatto cassato (per

le ragioni spiegate nei paragrafi precedenti), l’onere di decidere di nuovo nel

22

Taluna dottrina, anche sulla base del dato letterale dell'art. 384 c.p.c., comma 2,

c.p.c., ritiene che la possibilità per la Corte di decidere la causa nel merito si estenda a tutte le

ipotesi di accoglimento del ricorso per i motivi di cui all'art. 360 c.p.c., costituendo unico

limite alla cassazione sostitutiva la necessità di assumere nuovi mezzi di prova. In tal senso

ex plurimis, BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, IV ed., Torino, 2012, 389 ss.; LA

TERZA, Il giudizio di rinvio (Ammissibilità e limiti), in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura

di Ianniruberto e U. Morcavallo, II ed., Milano, 2010, 644 ss.; MONTELEONE, Manuale di

diritto processuale civile, vol. I, V ed., Padova 2009, 686 ss.; IMPAGNATIELLO, La cassazione

civile dopo la riforma: una nuova nomofilachia?, in Giusto proc. civ., 2008, 1030; VIDIRI, Il

nuovo giudizio di rinvio: la Cassazione giudice di terza istanza?, in Corr. giur., 2006, 1158

ss.; MOROZZO DELLA ROCCA, Le modificazioni in materia di processo di Cassazione tra

nomofilachia e razionalizzazione dell'esistente, in Corr. giur., 2006, 450. 23

Seconda altra parte della dottrina, l'ambito di applicazione dell'art. 384, comma 2,

c.p.c. è invece limitato all'accoglimento del ricorso ai sensi del n. 4 e n. 3 dell'art. 360 c.p.c.,

e in quest'ultimo caso solo per vizi attinenti alla quaestio iuris sostanziale. V. RICCI G.F., Il

giudizio civile di cassazione, Torino, 2013, 557 ss.; TROIANO, Il nuovo giudizio di

cassazione: osservazioni in tema di principio di diritto e cassazione sostitutiva, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2009, 357 ss.; CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, II ed.,

Padova, 2008, 233 ss.; POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. dir. proc.,

2007, 23 ss.; TEDOLDI, La nuova disciplina del procedimento di cassazione: esegesi e spunti,

in Giur. it., 2006, 2013.

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merito, effettuando un giudizio caratterizzato da margini di discrezionalità

tradizionalmente affidati al giudice d’appello e non alla Cassazione, sia o no

passato al giudice della Cassazione.

Una lettura nell’un senso o nell’altro, dunque, risente inevitabilmente della

più generale riflessione sui rapporti tra le corti di merito e la Corte di

cassazione. Sicché, per chi ad esempio ritenga esistere uno specifico del

giudizio di fatto assegnato necessariamente nel nostro ordinamento alle corti

di merito, è coerente ritenere che l’art. 384, comma 2, vada riferito alle ipotesi

in cui l’accoglimento afferisca al giudizio di diritto, poiché l’accertamento del

fatto resterebbe quello del giudice di merito; come coerentemente la Corte di

cassazione potrebbe decidere la causa nel merito se l’accoglimento del ricorso

discenda da un error in procedendo (art. 360 n. 4 c.p.c.), poiché nel giudicare

i vizi processuali ha cognizione piena, e può rinnovare la decisione; però,

quando invece il ricorso è accolto per vizi propri del giudizio di fatto, la Corte

di Cassazione non potrebbe provvedere ad un accertamento ex novo dei fatti,

se non sulla base di un attività di giudizio vincolata (ad es. una prova legale

erroneamente non valutata)24

. Sul punto, si segnala poi come la soluzione che

nega alla Corte di legittimità di, ad esempio, valutare discrezionalmente le

prove ai fini della ricostruzione del fatto debba, a mio avviso, piuttosto

ricavarsi dalla necessità in questi casi di assicurare alle parti in causa

l’esercizio del diritto di contraddittorio e difesa (come certamente potrà essere

fatto nel giudizio di rinvio), cosa che non potrebbe essere garantita data la

struttura del giudizio di cassazione, che prevede una udienza unica e non sul

nuovo thema decidendum, che si apre solo dopo l’annullamento del ricorso, e

data l’inapplicabilità al caso in specie della c.d. riserva di decisione di cui al

terzo comma dell’art. 384 c.p.c.25

.

Ed effettivamente il rischio della compressione del diritto di difesa a ritenere

che la Corte decida sul fatto, dopo avere annullato il precedente giudizio sul

fatto della corte di merito, è tema di grande impatto che non va sottovalutato;

perché è certo vero che nel giudizio di rinvio le parti, chiamate a dibattere

esclusivamente sulla riformulazione del giudizio di fatto, avranno una

possibilità di dibattere in misura nella maggioranza dei casi più efficace

rispetto a quanto hanno potuto fare nel giudizio di cassazione (laddove la

trattazione del merito è solo eventuale, subordinata all’ipotesi della previa

cassazione del ricorso per accoglimento dei motivi di ricorso). Elemento di

particolare importanza; ancora di più per chi ritenga che la dialettica tra le

parti aiuti, come io credo, il giudice a decidere meglio, soprattutto quando il

giudice sia chiamato a prendere una decisione quasi per definizione

contrassegnata da margini di opinabilità.

24

LOMBARDO, op. ult. cit., 264 ss. 25

LOMBARDO, op. ult. cit., 269-270.

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5. Segue. L’art. 384, comma 2, c.p.c. ed il principio di autosufficienza nel

ricorso alla luce delle intervenute modifiche

Ultime riflessioni, quanto alla disciplina dell’art. 384, comma 2, c.p.c. vorrei

dedicare al principio di autosufficienza, che richiede, a pena di

inammissibilità, che già dal ricorso sia possibile ricavare integralmente con

sinteticità e completezza le doglianze fatte valere; un compito che si palesa

viepiù complesso quando il ricorrente chieda una rivalutazione nel merito, un

nuovo giudizio di fatto che, quasi per definizione, dovrà fondarsi in teoria su

tutti gli accertamenti resi nel corso delle controversie di merito. Tuttavia, il

principio di autosufficienza, a mio avviso è inapplicabile alle fattispecie di cui

all’art. 384 comma 2 c.p.c. L'autosufficienza si fonda sull’art. 366 n. 4 c.p.c.

che richiede, a pena di inammissibilità, che il ricorso contenga l’indicazione

dei motivi per i quali si chiede la cassazione, ma questo a mio avviso non può

applicarsi all’art. 384 c.p.c laddove la Corte prima cassa la sentenza e poi

decide la causa nel merito, sicchè i motivi fanno riferimento alla sola funzione

rescindente; al 384, comma 2, c.p.c, dunque, non si applica il principio di

autosufficienza e la conseguente sanzione dell’inammissibilità.

Sezione seconda. Le prime sentenze in Cassazione sul controllo in fatto

delle decisioni, e sul vizio di motivazione.

6. Le sezioni unite ed il principio di diritto emesso ai sensi dell’art. 384

c.p.c.

Le Sezioni Unite sono intervenute sul controllo in fatto delle decisioni e sul

vizio di motivazione con le sentenze n. 8053 e 8054 del 201426

. Le pronunce

sono state sollecitate dal rinvio della sezione “tributaria”27

, e risolvono con

grande attenzione il problema della applicabilità del nuovo o del vecchio art.

360 n. 5 c.p.c. nei riguardi delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie,

ritenendo applicabili le nuove disposizioni28

.

26

Cfr. Cass. Sez. Un., 7 aprile, 2014, n. 8053, in Corr. giur., 1241 ss. con nota di

GLENDI, At ille murem peperit (a proposito di un altro “non grande” arresto delle Sezioni

unite); e la coeva conforme Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8054. 27

Con ordinanza interlocutoria del 14 ottobre 2013, n. 23273. 28

La portata delle due sentenze delle Sezioni Unite va oltre l'individuazione del vizio

denunciabile ai sensi del nuovo art. 360, primo comma, n. 5; esse chiariscono infatti che le

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Insieme, danno una interpretazione delle nuove disposizioni, su come e

quando sia ancora aggredibile il vizio di motivazione, con conclusioni che

devono essere oggetto di attento esame.

Una prima considerazione: le due decisioni non consentono di vedere

all’opera le Sezioni Unite su fattispecie concrete. Nella sentenza n. 8053,

infatti, i due motivi del ricorso in cassazione, di fatto, non vengono valutati

dalla Corte di cassazione, perché in pratica dichiarati inammissibili per

carenza del requisito dell’autosufficienza29

. Nella sentenza n. 8054, i tre

modifiche sul ricorso per cassazione (sia per quanto riguarda l'art. 360 n. 5 c.p.c., sia per

quanto concerne la proponibilità del ricorso per cassazione solo per i motivi di cui all'art. 360

n. 1, 2, 3, e 4, ove la sentenza di appello abbia confermato la decisione di primo grado per le

stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata),

apportate dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,

trovano applicazione anche con riferimento ai ricorsi avverso le sentenze della Commissione

tributaria regionale, atteso che nell'attuale sistema normativo il giudizio di legittimità in

materia tributaria non è caratterizzato da elementi di specialità rispetto a quello ordinario. Sul

tema tra i tanti, PERROTTA in Diritto & Giustizia, 2014; RUSSO, Filtro al ricorso in

cassazione avverso le sentenze del giudice tributario: i principi di diritto, in Boll. Trib., 2014,

1656; MARINELLI, Valgono anche per il processo tributario le recenti modifiche apportate

alla cassazione civile, in Riv. giur. trib., 241 ss. Sull'applicabilità o no della modifica

normativa dell'art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c., in relazione ai ricorsi per la cassazione delle

sentenze tributarie, prima delle pronunce delle Sezioni Unite, si veda MERONE, La riforma

del giudizio di cassazione e la sua applicabilità al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2013,

I, 243 ss.; TRISORIO LIUZZI, Il ricorso in Cassazione. Le novità introdotte dal d.l. 83/2012, in

www.judicium.it, 2013, § 9; PEVERINI, Recenti modifiche all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.,

limiti all'impugnazione in caso di «doppia conforme» e nozione di «processo tributario», in

Rass. Trib., 2015, 1295 ss.; ad avviso di SASSANI, Riflessioni sulla motivazione della sentenza

e sula sua (in)controllabilità in Cassazione, in Corr. giur., 849 ss., sebbene il giudizio di

cassazione contro le sentenze tributarie possa essere considerato un processo tributario in

senso molto improprio, una forzatura interpretativa dell'art. 54, comma 3 bis, della l. n.

134/2012, secondo cui «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al

processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546», permetterebbe

l'applicazione del testo anteriore dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Tale lettura, secondo l'Autore, appare

ragionevole alla luce del fatto che l'accertamento tributario è imperniato sul meccanismo

dell'inversione dell'onere della prova e sulle presunzioni a favore del fisco, il che impone

“alla Corte di fare uso molto cauto del giudizio di incensurabilità dei giudizi relativi alla

sufficienza e/o idoneità del tentativo del privato di dare la prova contraria”. 29

Ad avviso della Corte anche a voler ritenere il primo motivo del ricorso formulato

nel rispetto del nuovo art. 360 n. 5, esso è comunque inammissibile per violazione del

principio di autosufficienza sancito dall'art. 366 c.p.c., poiché l'amministrazione ricorrente

non ha riportato “testualmente nel ricorso i “contenuti” dell'atto impositivo che si assumono

erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte

di Cassazione di giudicare sulla congruità della valutazione del giudice a quo esclusivamente

in base al ricorso medesimo”. Ne consegue l'infondatezza del secondo motivo del ricorso, con

cui l'amministrazione aveva denunciato una nullità processuale, per aver il giudice di appello

ritenuto nuova e tardiva la contestazione di non inerenza dei costi documentati nelle fatture;

al riguardo la Corte afferma che la mancanza del contenuto dell'atto impositivo (non riportato

nel ricorso), “rende conclamata la novità dell'istanza non proposta in secondo grado

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motivi oggetto del ricorso sono diversamente declinati. Il primo, un problema

di interpretazione di una disposizione legislativa, che nulla ha a che vedere

con problemi di motivazione, viene dichiarato fondato; da ciò discende

l’assorbimento del terzo motivo, che sarebbe stato interessante vedere

affrontato ai nostri fini dalla Corte. Il secondo motivo, erroneamente

qualificato e declinato dal ricorrente come vizio ex n. 5, viene ricondotto dalla

Cassazione alla errata interpretazione di una disposizione di legge, e dunque

dichiarato inammissibile30

.

Le affermazioni delle Sezioni Unite, dunque, si declinano in via quasi

esclusivamente teorica e generalizzante, senza purtroppo potere osservare

come in concreto il giudicante applichi ad una fattispecie concreta le proprie

osservazioni; che tuttavia sono da valutare con grande attenzione, anche

perché il principio di diritto espressamente dichiarato dallo stesso giudice non

corrisponde integralmente, io ritengo, alle precise affermazioni della sentenza.

Ma è dal principio di diritto che occorre prendere le mosse: “si può quindi

affermare il seguente principio di diritto: a) La riformulazione dell'art. 360

c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con

modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile

esclusivamente l'"omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è

stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei

canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo

costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di

legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di

dall'ufficio finanziario”, in quanto “solo la prova dello specifico contenuto dell'atto di

accertamento può escludere la “novità” della questione dedotta in appello. 30

Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8054, con riferimento al secondo motivo osserva

che “si tratta di una formulazione che si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della

richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della "insufficienza" della

motivazione, limitando il controllo di legittimità all'omesso esame circa un fatto decisivo per

il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, "omesso esame" che non costituisce

nella specie oggetto di censura. Si prospetta in realtà un vizio di violazione di legge che

dovrebbe essere risolto alla luce dell'orientamento espresso da questa Corte, secondo cui: In

tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11, comma 2,

riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio

all'ufficio del Ministero delle finanze (oggi ufficio locale dell'Agenzia delle entrate) nei cui

confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona

preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale a

sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di speciale procura; ne

discende che, nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell'atto d'appello dall'ufficio

competente (e nel caso di specie non lo è), questo deve ritenersi ammissibile, ancorchè

recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore

titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio

appellante o, comunque, l'usurpazione del potere d'impugnare la sentenza di primo grado,

dovendosi altrimenti presumere che l'atto provenga dall'ufficio e ne esprima la volontà (Cass.

n. 874 del 2009). Ma poichè non è in questo senso formulata la censura alla sentenza

impugnata, il secondo motivo di ricorso deve essere ritenuto in ogni caso inammissibile”.

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legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge

costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè,

come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le

risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del

difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto

materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile

fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed

obiettivamente incomprensibile". b) Il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5),

introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di

un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della

sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione

tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe

determinato un esito diverso della controversia).

c) L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso

esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato

comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia

dato conto di tutte le risultanze probatorie. d) La parte ricorrente dovrà

indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma

1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia

stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il

"come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di

discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso”31

.

7. La necessità di implementare e riformulare il principio di diritto

perché meglio risponda all’integrale contenuto della sentenza

Il principio, o meglio i principi espressi, esprimono efficacemente le più

ampie considerazioni della sentenza, evidenziando così anche le zone

d’ombra del provvedimento; ma ne tacciono altri assunti, altrettanto

importanti per definire la portata della decisione.

Condivisibilmente o no è altro discorso, il sindacato sulla motivazione per la

Suprema Corte si converte in violazione di legge (non è chiaro se sindacabile

ai sensi del n. 3 o del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) solo per le ipotesi di inesistenza

o contraddittorietà della motivazione, o apparenza della stessa, desumibili dal

testo della sentenza. L’ampiezza del controllo per le Sezioni Unite, nel

principio di diritto richiamato, sembra fermarsi del tutto ingiustificatamente

all’esame di un provvedimento svincolato dalla sua genesi, che è invece

termine ineliminabile per il confronto. Tuttavia, con riferimento ad esempio

31

I principi e tutte le considerazioni sono esattamente gli stessi nelle due sentenze.

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alla censura relativa alla motivazione apparente, il riesame pur sempre

pretende il controllo sul supporto argomentativo, essendo imposto al giudice

del merito di fornire esaustivamente i criteri di lettura del proprio

ragionamento decisorio sulla quaestio facti, concretandosi altrimenti la

motivazione in una non motivazione, in una motivazione apparente.

Ma, quel che è più importante, la pronuncia delle Sezioni Unite non si

esaurisce qui.

Le Sezioni Unite aggiungono una ulteriore indicazione di importanza

fondamentale, che definisce diversamente il controllo sul giudizio di fatto ad

opera della Suprema Corte, sempre avendo ad oggetto un motivo di

violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., che testimonia come residui

integralmente alla Corte di cassazione anche un diverso e necessitato uso

della motivazione del giudice del merito. È opportuno trasporre integralmente

queste considerazioni: “Per quanto riguarda specificatamente il processo

tributario la descritta riforma del 2012 non ha sottratto al controllo di

legittimità le questioni relative al "valore" e alla "operatività" delle

presunzioni, che nel predetto processo hanno una loro specifica e particolare

rilevanza. Infatti, la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione

non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo

sulla sussistenza degli estremi cui l'art. 2729 c.c., comma 1, subordina

l'ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il

sindacato per violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò non

solo nell'ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la

norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi

su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli

abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e

concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell'art. 2729 c.c., fatti

privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della

norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma

erroneamente applicata alla "fattispecie concreta". In altre parole, poichè la

sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione

delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità

del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle

conseguenze. L'implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto

nell'apparenza della motivazione, quanto nell'omesso esame di un fatto che

interrompa l'argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle

premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo,

carattere di decisività: l'omesso esame è il "tassello mancante" alla plausibilità

delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo

giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una

surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis

mutandis, il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: "in sede di

legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare

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che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria

statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell'argomentazione (fatto

probatorio - massima di esperienza - fatto accertato) senza che sia consentito

alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata

(potendo questa essere disattesa non già quando l'interferenza probatoria non

sia da essa necessitata, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente

sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza

del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le

risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio

diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a

fondamento della sua decisione"32

.

Il controllo della motivazione33

e per suo tramite del giudizio di fatto, dunque,

si colora assai più intensamente di quanto ricavabile dalla mera lettura del

32

Cfr. Cass. Sez. Un., 7 aprile, 2014, n. 8053, che richiama un principio espresso

precedentemente nella sentenza n. 14953 del 2000. 33

Le Sezioni unite, del resto, non mancano almeno espressamente di manifestare

l’importanza della motivazione nella decisione della controversia, anche nelle decisioni in cui

apparentemente potrebbe sembrare che l’importanza di questo elemento sia ridimensionata; e

le Sezioni unite manifestano giustamente, a mio avviso, la necessità di una completezza della

motivazione, perché la stessa non sfoci in una motivazione apparente, che si raffronta

all’intera vicenda processuale, e non solo all’atto-sentenza, e che , ritengo, intendono come

riferite tanto alla motivazione sul giudizio di fatto che alla motivazione sul giudizio di diritto .

Così, ad esempio le Sezioni unite, in una recente pronuncia che ha affermato come "Nel

processo civile - ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del

1992, art. 1, comma 2 - non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della

decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti

processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso,

sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera

chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. È inoltre da

escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella

Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la

motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita

dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti". Proprio in questa decisione, le sezioni

unite ribadiscono che, se quindi una sentenza con una motivazione siffatta non potrebbe per

ciò solo definirsi meramente apparente, tuttavia “Alla luce dell'excursus che precede

(necessariamente non completo, ma utile a tratteggiare sia pure in grandissime linee il

contesto giurisprudenziale nel quale deve essere valutata la problematica in esame) deve

riconoscersi una tendenziale coerenza del giudice di legittimità nell'interpretare il contenuto

dell'obbligo costituzionale di motivazione al di là di ogni formalismo, riconducendo sul piano

esegetico ad unità le diverse previsioni processuali riguardanti la materia attraverso una

lettura delle medesime ispirata a principi di effettività e funzionalità.

La sentenza che emerge dagli interventi censori della giurisprudenza di legittimità

degli ultimi decenni è infatti una sentenza funzionale, flessibile, deformalizzata, improntata al

contemperamento delle esigenze di effettività della tutela ed efficienza del sistema attraverso

la conciliazione, in apparenza difficile, tra una motivazione comprensibile e idonea ad

esplicitare il ragionamento decisorio che sia tuttavia concisa, succinta ed in ogni caso tale da

giungere in tempi (più) ragionevoli……… Il "proprium" dell'attività del giudice, della sua

funzione e professionalità sta dunque nella decisione e nella individuazione delle ragioni che

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principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (che rischia pertanto di

essere latore di una informazione non corretta). Se la Corte, con un riesame ai

sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c, conferma di non potere e volere passare ad una

comparazione o a un riesame del giudizio di merito per ricavare altre massime

di esperienza o elementi di fatto o prove con cui procedere ad un riesame nel

merito (e, però, rimarranno naturalmente ferme tutte le diverse ipotesi di

impugnazione per vizi processuali anche sulla prova specie, ex art. 360 n.4

c.p.c.34

), si specifica tuttavia come rimane fermo il controllo addirittura di

applicazione alla fattispecie concreta degli elementi di prova, delle massime

di esperienza, delle inferenze, che consentono ed anzi impongono di

controllare anche l’esistenza della massima di esperienza fatta valere, e la

logicità della sua applicazione alla fattispecie concreta, e la logicità delle

inferenze ricavate; un margine di riesame, dunque, che continua a sottoporre,

quantomeno la motivazione nel merito ad un controllo che potremmo definire

tuttora penetrante. E che, come hanno appunto precisato espressamente le

Sezioni Unite, potrà essere, in taluni casi, sindacato addirittura sotto il profilo

della nullità per motivazione apparente!

In conseguenza, il principio di diritto enucleato dalle Sezioni unite sub a),

andrebbe necessariamente implementato aggiungendo due precisazioni:

“grava pertanto tuttora sul giudice di merito, per evitare una motivazione

meramente apparente (ossia una non motivazione) l’obbligo di fornire

la sostengono, le quali, ripetesi, devono essere corrette ed esposte chiaramente, non a tutti i

costi "originali" e/o esposte in maniera "originale", essendo l'attribuibilità al giudice (con

tutte le relative conseguenze anche in termini di responsabilità) della decisione e della

individuazione delle ragioni che la sostengono cosa diversa dalla "paternità" delle relative

modalità espressive, neppure richiesta dal codice nè tutelata dal diritto d'autore. Deve peraltro

considerarsi che la sentenza è l'atto conclusivo di un processo nel quale hanno agito più

soggetti, ciascuno in certa misura contribuendo alla decisione finale, la quale, sotto questo

profilo, può essere considerata un risultato "corale". Il compito del giudice (gravoso, spesso

assai complesso, in ogni caso mai "facile") è proprio quello di valutare, tra i fatti dedotti e i

diritti vantati, le ragioni sostenute e le pretese avanzate, le prove addotte e le argomentazioni

spiegate, quel che di volta in volta sia da ritenersi giuridicamente corretto e "verificato" in

fatto, quindi quanto risulti effettivamente meritevole di tutela da parte

dell'ordinamento……… Peraltro, è certo possibile che la redazione della motivazione della

sentenza attraverso la tecnica del collage esponga il giudice - in misura maggiore che non

nell'ipotesi di utilizzo di altre tecniche redazionali - al rischio di trascurare domande,

eccezioni e rilievi ovvero - eventualmente per un malaccorto uso del "copia - incolla" - di

rendersi incomprensibile. Tuttavia in questo caso l'omessa pronuncia, il difetto o l'apparenza

della motivazione andranno denunciati e valutati di per sè, con esclusivo riferimento al

contenuto oggettivo della sentenza, quindi indipendentemente dal fatto che essa sia stata

redatta attraverso la ricopiatura di altri atti…” (Cass. S.U. 642/2015). Rimane, così, come

l’omessa pronuncia, il difetto, l’apparenza della motivazione, siano dalle Sezioni Unite

richiamate per fattispecie “ampie” di completezza della motivazione, e che invero non

sembrano potersi esaurire se non con l’esame ed il raffronto degli atti precedenti alla

decisione. 34

V. retro al § 2.

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esaustivamente i criteri di lettura del proprio ragionamento sulla quaestio

facti”, ed ancora:

“Il controllo in sede di legittimità del giudizio di fatto operato dal giudice di

merito, sotto il profilo della motivazione deve inoltre spingersi fino a

valutarne la verosimiglianza: la riforma non ha sottratto al controllo di

legittimità le questioni relative al valore ed alla operatività delle presunzioni”.

In definitiva, dunque, il primo principio di diritto da estrapolare, dalle

sentenze n. 8053 e n. 8054, va così ricostruito: a) “La riformulazione dell'art.

360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito

con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile

esclusivamente l'"omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è

stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei

canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo

costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di

legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di

legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge

costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè,

come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le

risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del

difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto

materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile

fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed

obiettivamente incomprensibile.

Grava pertanto tuttora sul giudice di merito, per evitare una motivazione

meramente apparente (ossia una non motivazione) l’obbligo di fornire

esaustivamente i criteri di lettura del proprio ragionamento sulla quaestio

facti.

Il controllo in sede di legittimità del giudizio di fatto operato dal giudice di

merito, sotto il profilo della motivazione deve inoltre spingersi fino a

valutarne la verosimiglianza: la riforma non ha sottratto al controllo di

legittimità le questioni relative al valore ed alla operatività delle presunzioni”.

A questa prima indagine, sempre garantita, dunque, va poi aggiunto per le

Sezioni Unite, un altro ed ulteriore esame, con diversi e nuovi controlli, in

forza del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (tuttavia, solo nei casi in cui non ci sia

stata previamente una “doppia conforme”), nei termini evidenziati sub b e sub

c nel principio di diritto richiamato al paragrafo precedente.

Ma certo il controllo sul giudizio di fatto espresso dal giudice di merito si

apre ad un riesame che involge potenzialmente fatti storici o elementi

istruttori integralmente disattesi, da ricavarsi dal confronto tra la motivazione

e gli atti processuali, così legittimando un controllo anche extratestuale della

sentenza impugnata. E non sembra, a mio avviso, necessario, per

l’accoglimento del motivo di ricorso, che il riesame della Cassazione sia

limitato nel senso di dover necessariamente condurre ad una soluzione

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univoca, cioè che il mancato esame del fatto debba inequivocabilmente

condurre ad una diversa decisione; ma mi pare che alla Corte di Cassazione,

quando la sentenza di merito non abbia preso in considerazione questo o

quell’elemento, sia affidato il compito di una riformulazione del giudizio di

fatto che giunge fino a consentire alla Cassazione una valutazione nel merito

anche degli aspetti discrezionali. L’espressione adottata dalle Sezioni Unite,

per definire il concetto di “fatto decisivo per il giudizio” è: “vale a dire che se

esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia”, una

valutazione che ben potrebbe ermeneuticamente essere riferita appunto al

giudizio della Suprema Corte, chiamata a valutare anche sotto il profilo

discrezionale l’incidenza dell’elemento non considerato sul giudizio di fatto.

8. Il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. nell’interpretazione che segue le Sezioni

Unite

L’esame delle decisioni della Corte di Cassazione che pronunciano sul vizio

di motivazione, ai sensi del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., è suscettibile di analisi

solo parziali; per coglierne appieno la portata l’interprete dovrebbe avere a

disposizione (quantomeno) anche le sentenze impugnate, e gli atti difensivi

del giudizio di legittimità; in assenza, dovendo contare solo sulla lettura delle

sentenze della Suprema Corte, manca la possibilità di valutare appieno la

motivazione del giudice di merito e le contestazioni delle difese, che possono

essere spesso solo intuite dal necessariamente sintetico esame di queste

operato nella sentenza di cassazione.

Le Sezioni Unite richiamano o addirittura pedissequamente ripetono il

principio di diritto enucleato dalla sentenza n. 8053/2014 nelle successive

decisioni35

; e, nelle concrete applicazioni, manifestano un'attenzione

ragguardevole alla completezza della motivazione, in cui il concetto di

inesistenza o apparenza della motivazione non è delineato in maniera

restrittiva.

La non apparenza della motivazione della sentenza impugnata viene

affermata, ad esempio, perché la motivazione ha risposto (“pur

succintamente”) a tutte le contestazioni delle parti36

.

35

Cass. S.U., 14 gennaio 2015, n. 471. 36

Cass. S.U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. S.U., 14 gennaio 2015, n. 471.

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Si è ritenuto che l’inesistenza della motivazione vada lamentata ai sensi

dell’art. 360 n. 4 c.p.c, e non del n. 3, trattandosi di violazione di norme

processuali37

.

Una lettura restrittiva sembra invece offerta sulla portata dell’art. 360 n. 5

c.p.c., quanto alla definizione di “fatto decisivo”, laddove si è affermato che

“secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità costituisce fatto

decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., quello la cui differente

considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa

(fra le altre, Cass. n. 18368 del 2013, oltre la già citata S.U. n. 8053 del 2014)

in quanto per potersi configurare il vizio di motivazione su di un punto (o

fatto) decisivo è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si

assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia tale da far

ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad

una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di

mera probabilità (fra le numerose altre Cass. n. 25608 del 2013)”38

.

La prima sezione della Corte di legittimità, nel soffermarsi sulla portata del

motivo di impugnazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ha ritenuto

che “i fatti decisivi” su cui la valutazione è stata omessa siano da riferirsi in

astratto tanto ai fatti principali che anche ai fatti secondari. Ed ha ritenuto

“che l’omesso esame non può che intendersi come “omessa motivazione”

perché l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non

può che risultare dalla motivazione”39

; l’affermazione, credo, si deve

intendere nel senso che il fatto non considerato si può ricavare comunque

anche dagli atti e documenti della causa, ma che poi è dalla motivazione della

decisione che si evincerà, se quel fatto è stato o no oggetto di valutazione.

Non condivisibilmente, ha ritenuto poi inammissibile un ricorso fondato sulla

contraddittorietà della motivazione, per quanto sia non agevole comprendere

se l’inammissibilità nel caso di specie non sia ricavata esclusivamente dal

fatto che il vizio è stato lamentato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5

c.p.c.40

.

La seconda sezione ha ritenuto fondato un ricorso ex art. 360 n. 5 c.p.c.,

ritenendo un fatto storico decisivo il cui esame era stato omesso nella

sentenza impugnata nell’esistenza, risultante dalla documentazione in atti, di

un documento ritenuto dalla cassazione essenziale ai fini della prova, il cui

omesso esame peraltro renderebbe addirittura la motivazione inesistente41

.

La sezione lavoro rileva come “la lacunosità e la contraddittorietà della

motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave

da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in

37

Cass. S.U., 14 gennaio 2015, n. 471. 38

Cass. S.U. 24 febbraio 2015, n. 3670. 39

Cass., sez I, 4 aprile 2014, n. 7983. 40

Cass., sez. I, 25 febbraio 2015, n. 3794. 41

Cass. sez. II, 18 febbraio 2015, n. 3226.

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questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad

una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice di merito, a meno

che l’omissione della sua valutazione non si sia tradotta nell’omesso esame di

una circostanza impeditiva di un diverso risultato decisorio”42

.

La sezione tributaria ha rigettato un motivo di ricorso per vizio di

motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., fondato sull’effettivo mancato

esame di alcuni elementi istruttori o indiziari per la loro mancanza di

decisività, trattandosi di elementi che “non possono, di per se soli, implicare

l’insussistenza della cessione di azienda, accertata in forza di ulteriori

elementi e circostanze accertate dai giudici di merito...”43

.

La sesta sezione ha in più occasioni avuto modo di pronunciare sulla portata

del controllo sul giudizio di fatto in cassazione.

La terza sottosezione della sesta sezione, ha distinto le ipotesi di omesso

esame della contro eccezione, come la rinuncia o interruzione della

prescrizione: “dopo la novella del 2012 dell'art. 360 c.p.c., n. 5, l'omessa

pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della

domanda o dell'eccezione sottoposta all'esame del giudicante, il quale manchi

completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand'anche

solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla

soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto

dall'art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, presuppone che un esame della questione

oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma

che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico -

principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli

atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia

carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito

diverso della controversia) e che non sia stato preso in considerazione

neppure per implicito, neppure dovendo il giudice dare conto di ogni

risultanza istruttoria - ovvero che esso sia, sempre esclusa ogni rilevanza della

mera insufficienza motivazionale, inficiato dalla mancanza assoluta di motivi

sotto l'aspetto materiale e grafico, oppure da una motivazione apparente,

oppure da un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, oppure

ancora da una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”44

.

Si definisce l’“omesso esame” di cui al primo comma n. 5 dell’art. 360 c.p.c.

come attinente “pur sempre all’argomentazione giustificativa della decisione,

con la conseguenza che esso deve intendersi come omesso riscontro nella

motivazione di un fatto decisivo per il giudizio che abbia costituto oggetto del

dibattito processuale, prefigurando un’omessa motivazione parziale45

.

42

Cass, sez. lav., 3 ottobre 2014, n. 20954. 43

Cass., sez. V, 4 febbraio 2015, n. 1955. 44

Cass. sez. VI, sottosez. 3, 8 ottobre 2014, n. 21257. 45

Cass. sez. VI, sottosez. 3, 22 gennaio 2015, n. 1202, afferma che: “Tuttavia si deve

trattare di motivazione graficamente assente, cui va equiparata - sulla falsariga della

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Si considera con favore l’idea che il “fatto decisivo” possa estendersi

all’omesso esame di un documento, sottolineandone tuttavia la necessaria

decisività46

. In una ipotesi in cui il ricorrente aveva impugnato ai sensi

dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., lamentando una contraddittorietà nella

motivazione del provvedimento impugnato, che da una parte definiva

significativo l’esistenza di un documento (testamento) mentre poi si recepiva

una lettura degli avvenimenti corroborata da altre risultanze istruttorie senza

tenere conto delle affermazioni contenute nel testamento, la Corte ha

affermato: “la novella recata all’art. 360 c.p.c. n. 5, esclude dall’area del

sindacabile in sede di legittimità la correttezza logica della motivazione di

idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale; deve cioè

escludersi, alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 c.p.c., l’autonoma

rilevanza del vizio di contraddittorietà della motivazione”47

.

9. Sperando in una ulteriore evoluzione. Gli ulteriori esami sul giudizio di

fatto che la Cassazione è chiamata a compiere.

Questo, dunque, lo stato dell’arte, alla luce delle pronunce 8053 e 8054 del

2014 delle Sezioni Unite. Comunque, rimane ferma la nullità della sentenza di

merito con motivazione inesistente o apparente. Al di fuori, il controllo sulla

motivazione ed il giudizio sul merito operato dal giudice di merito si

“trasforma”, ed oggi il controllo del giudizio di fatto va esercitato sulla

coerenza e logica della decisione, valutando come si è formata quella parte

della decisione, la validità e l’esistenza delle massime di esperienza applicate,

la compatibilità della decisione all’applicazione appunto di quelle massime di

esperienza.

Inoltre, nelle ipotesi in cui la sentenza sia impugnata ai sensi dell’art. 360 n.5

c.p.c., sarà possibile estendere il controllo da parte della Corte di Cassazione a

nuove ed ulteriori ipotesi di omissione di esame da parte del giudice di merito

di elementi potenzialmente decisivi per la decisione e già acquisiti nel

giudizio di merito. Una lettura, a ben vedere, che potrebbe inoltre indurre anzi

l’interprete a ricavare una lettura del 384, comma 2, c.p.c., ovvero dell’onere

della Cassazione di decidere la causa nel merito dopo la cassazione della

giurisprudenza formatasi in tema di ricorso straordinario per cassazione ante riforma del 2006

- la motivazione meramente apparente ovvero articolata in affermazioni tra loro radicalmente

e insanabilmente contraddittorie (cfr. Cass. sez. un. 15 ottobre 1999, n. 716); il che non è

ravvisabile nel caso di specie, nel quale in buona sostanza, parte ricorrente si limita a

suggerire una lettura alternativa della prova orale”. 46

Cass. sez VI, sottosez. 4, 11 febbraio 2015, n. 2599. 47

Cass. sez. VI, sottosez. 5, 16 luglio 2014. n. 16300.

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sentenza, non pregiudizialmente negato nelle ipotesi appunto di cassazione ai

sensi del n. 548

.

Nella sua piana interpretazione, dunque, le Sezioni Unite accolgono una

lettura delle nuove disposizioni che non si spinge ad esplorare i margini del

controllo del giudizio di fatto nella piena potenzialità che le nuove

disposizioni pur permetterebbero49

, ma che comunque lascia al giudice di

legittimità chiari spazi di riesame.

Si tratta, allora, di combattere una falsa percezione sulla reale portata della

decisione delle Sezioni Unite, indotta a mio avviso appunto dalla stesura di un

principio di diritto “parziale” che ha ingenerato negli operatori una lettura

dimidiata del provvedimento, più in linea con le aspettative negative che lo

circondavano50

che non con il contenuto reale della decisione.

Ciò, soprattutto, se si considera come la decisione delle Sezioni Unite non

abbia certo, a mio avviso, la pretesa di esaurire tutti gli ulteriori controlli sul

giudizio di fatto che alla Cassazione residuano, volendo le Sezioni Unite

prendere posizione solo su quei controlli oggetto di potenziale modifica alla

luce della riscrittura operata dal legislatore del 2012. Rimangono, pertanto,

tuttora naturalmente ammissibili tutti quei vizi, già ritenuti oggetto di ricorso

anche dalla Suprema Corte, che fanno riferimento ad esempio all’errata

valutazione degli oneri probatori tra le parti, all'errata applicazione del

principio di non contestazione, o all’ingiustificato non accoglimento di un

mezzo di prova etc..

10. Lo ius litigatoris come scudo dell'attribuzione alla magistratura

ordinaria della funzione nomofilattica

Il compito dello studioso è particolarmente delicato: bisogna provare ad

accompagnare la Suprema Corte nella ricostruzione degli attuali limiti al

controllo del giudizio di fatto, operato dalle Corti di merito, in sede di

legittimità alla luce delle nuove disposizioni.

Allo stato attuale la situazione ha forse, come tratto caratterizzante, il

connotato della incertezza applicativa, come mi pare testimoniato anche dalle

pronunce delle sezioni semplici. E questo, nonostante le decisioni n. 8053 e n.

8054 del 2014 delle Sezioni Unite, tempestivamente adottate per provare a

dirimere la questione.

48

V. retro al § 4. 49

V. retro al § 6 e 7. 50

SASSANI, La logica del giudice e la sua scomparsa in cassazione, in Riv. trim. dir.

proc. civ., 2013, 641, osserva che “è altamente improbabile che la Corte leggerà nel taglio

legislativo l'attesa autorizzazione a sbarazzarsi all'ingrosso della massa dei ricorsi...”.

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Ed, anzi, un compito importante dell'interprete mi sembra oggi proprio quello

di ricavare e trasmettere il senso delle due recenti sentenze della Corte di

Cassazione, per impedirne una lettura incompleta. Il principio di diritto, pur

enucleato dalle Sezioni Unite, va, come retro dimostrato, opportunamente

integrato, perché non corrisponde esattamente alla reale portata della

decisione.

Ed ancora, come ho appena ricordato nel precedente paragrafo, i controlli sul

giudizio di fatto, affrontati e precisati dalle Sezioni Unite, non esauriscono

certo gli esami cui la Suprema Corte può essere chiamata a svolgere sul

giudizio di fatto delle Corti di merito51

.

**********

Una breve riflessione conclusiva sulla continua “tentazione” ideologica di

ridurre lo spazio attribuito allo ius litigatoris in Cassazione, per esaltare il

ruolo nomofilattico della Suprema Corte.

Ora, storicamente la Corte di Cassazione è nata come organo non

giurisdizionale; anzi, l'organo viene creato appunto per evitare il pericolo di

una infedele interpretazione ed applicazione della legge da parte dei giudici

ordinari52

.

La successiva evoluzione della Corte di Cassazione francese ed in generale

l'attribuzione del compito di nomofilachia alla Corte di Cassazione

“giurisdizionalizzata” discende, io credo, dal forte legame con la necessità di

immediata applicazione delle disposizioni legislative alle fattispecie concrete

oggetto di esame sulle richieste delle parti del giudizio.

È, più di recente, sempre questa esigenza a giustificare l'evoluzione ex art.

384 c.p.c. del giudice di Cassazione, giudice di terza istanza.

La tutela dello ius litigatoris, in buona sostanza è la vera ragione

giustificatrice della attribuzione del compito della nomofilachia alla

giurisdizione ordinaria mediante l'attuale composizione della Corte di

Cassazione.

Lo ius litigatoris giustifica l'attribuzione del compito nomofilattico, ne è lo

scudo, dunque, non l'ostacolo53

. Ed è, credo, bene non dimenticarsene, specie

51

Si veda, in argomento, l’attenta indagine di PASSANANTE, Le Sezioni Unite riducono

al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza civile,

in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 199 ss.. 52

Vedi LOMBARDO, op. cit., 5 ss. 53

Osserva SCARSELLI, Note sulla ricorribilità per cassazione dell’ordinanza che

dichiara inammissibile l’appello, cit.: “Non intendo…qui riprendere il dibattito su ius

constitutionis e ius litigatoris, e nessuno mette in discussione la funzione di nomofilachia

della corte di cassazione. Credo però che la funzione di nomofilachia si esplichi con la

decisione dei casi… Avevo già scritto in altra occasione che di questo passo la cassazione

potrebbe addirittura arrivare ad emanare circolari su come debbano interpretarsi le riforme o

le leggi (v. Circa il supposto potere della cassazione di pronunciare d’ufficio il principio di

diritto nell’interesse della legge, Foro it., 2010, I, 3339) . Però chiedo se questo è il compito

della cassazione, o se non sia un eccesso, e quali siano i limiti”.

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oggi. Perché l'attribuzione del compito di nomofilachia alla Cassazione non è

né un dogma, né un postulato; e, per chi ritiene che sia cosa buona e giusta,

questa attribuzione va difesa certo garantendone la funzionalità e l'effettività,

ma anche sempre rammentando che è proprio il rapporto con la giustizia della

fattispecie concreta a favorire l'ancoraggio più forte del compito alla

giurisdizione ordinaria.