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 F ed ericoII d i P ru ssia  L 'A n ti m achi av el l i ed . 180 7  T ra d u z io n e d i A d rianaPoz z i Cerian i P er gen t i l e co ncess i o n e d el l at rad uttri ce F ed ericoII L 'A n ti m achia vel  O vv er o A N ALISI DEL L O PERADI M AC H IAVELLI  Intito l a ta I LP RINCI P E  Trad u z io n e di A d ri an a P o zzi Ceri an i p er ge n t i l e c o n ces si on e d el l a tr a d u t t ri ce E d i zi o n e d i r i feri m ento Fréd ér i c02(r o id e Prusse; 1712-1786 ) , O euv r es , vol. I, A Post d am : au x d épen s d es asso ciés, 180 5 C API TO LO I Q u a n t i t i p i di P rinci p a t i vi son o , e co me si p ossono o t tenere Quando s i vu ole e s a m i na r e un ar gome nt o i n modo corre t t o, si dev e

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Federico II di Prussia 

L'Antimachiavellied. 1807

 Traduzione di Adriana Pozzi Ceriani

Per gentile concessione della traduttrice

Federico II

L'Antimachiavel Ovvero

ANALISI DELL’OPERA DI MACHIAVELLI Intitolata

IL PRINCIPE

 Traduzione di

Adriana Pozzi Cerianiper gentile concessione della traduttrice

Edizione di riferimentoFrédéric 02 (roi de Prusse; 1712-1786),Oeuvres, vol. I, A Postdam: aux dépens desassociés, 1805

CAPITOLO I

Quanti tipi di Principati vi sono, e come si possono ottenere

Quando si vuole esaminare unargomento in modo corretto, si deve

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anzitutto approfondirne la natura, risalirefino all’origine per conoscerne per quantopossibile i primi principi; in tal modorisulterà più facile inquadrarne i progressi e

tutte le conseguenze che possono derivarne.Prima di stabilire le diversità degli Stati, mipare che Machiavelli avrebbe dovutoprendere in esame l’origine dei prìncipi estudiare le ragioni che possono aver spintodegli uomini liberi ad attribuirsi dei Padroni.

Forse sarebbe stato meglio, in un libro incui ci si proponeva di dogmatizzare ilcrimine e la tirannia, non parlare di ciò che

avrebbe dovuto distruggerli; Machiavelliavrebbe potuto fare a meno di dire che ipopoli, per mantenere la pace e lasopravvivenza, hanno ritenuto necessarioavere dei giudici per sistemare i loro litigi,dei protettori per aiutarli a difendere ilpossesso dei loro beni dall’aggressività deiloro nemici, dei sovrani per riunire tutti i loromolteplici interessi in un unico interesse

comune; e infine che hanno scelto anzituttoquelli fra loro che ritenevano i più saggi, i piùimparziali, i più disinteressati, i più umani, ipiù coraggiosi per governarli.

È dunque la giustizia, si sarebbe detto,che deve rappresentare lo scopo principale diun sovrano, è dunque il bene dei popoli chegoverna che egli deve anteporre a qualsiasialtro interesse. A cosa portano allora tutte

quelle idee di interesse, di grandezza, diambizione e di despotismo? Possiamoconcludere che il sovrano, ben lungidall’essere il padrone assoluto dei popoli chesono sotto il suo dominio, per quel che loconcerne non ne è che il primo servitore.

Dato che mi sono imposto dicontrobattere in dettaglio quei principiperniciosi, mi riservo di parlarne non appena

il soggetto di ogni capitolo me ne daràl’occasione.

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Devo comunque dire ciò che ho dedottoin generale sull’origine dei sovrani: secondome essa rende l’azione degli usurpatoriancora più atroce di quanto non sia

prendendo in considerazione unicamente laloro violenza; poiché essi si oppongonocompletamente al volere dei popoli, che sisono scelti dei sovrani per farsi proteggere, eche si sono sottomessi a una sola condizione:invece di ubbidire all’usurpatore, devonosacrificare se stessi e tutti i loro beni persoddisfare l’avarizia e tutti i capricci di untiranno. Vi sono quindi soltanto tre modi

legittimi per diventare padroni di un paese: oper successione, o mediante l’elezione daparte dei popoli che ne hanno il potere, oquando con una guerra giustamenteintrapresa siano state conquistate alcuneprovincie che appartenevano al nemico.

Prego coloro a cui quest’opera è da medestinata di non dimenticare questeosservazioni sul primo capitolo di

Machiavelli, poiché sono come un perno sucui ruoteranno tutte le mie riflessioni cheseguiranno.

CA P I T O L O II

 Principati Ereditari.

Gli uomini hanno un certo rispetto pertutto ciò che è antico, e arrivano fino allasuperstizione; e quando il diritto di eredità siunisce al potere che ha sugli uominil’antichità, non vi è giogo più pesante chenon si possa portare più facilmente. Sonoquindi ben lungi dal contestare a Machiavelliciò che tutti gli potranno concedere, e cioèche i regni ereditari sono i più facili da

governare.Mi limiterò ad aggiungere che i Principiereditari sono radicati nel loro possesso

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dall’intimo legame che esiste fra loro e lefamiglie più potenti dello Stato, la maggiorparte dei quali devono i loro beni o la lorograndezza alla casa sovrana, e la cui fortuna è

così inseparabile da quella del principe chenon possono abbandonarla senza pensareche ne deriverebbe inevitabilmente la lorocaduta.

Ai giorni nostri, le numerose truppe e ipotenti eserciti che i principi tengono infunzione, sia in pace che in guerra,contribuiscono ancora alla sicurezza degliStati. Essi impediscono le azioni dei principi

vicini, e rappresentano delle spade snudateche riescono a mantenere nel fodero quelledegli altri.

Non è però sufficiente che il principe sia,come dice Machiavelli, di “Ordinariaindustria”, io ambirei anche che egli sisforzasse di rendere felice il suo popolo. Unpopolo soddisfatto non penserà mai arivoltarsi, un popolo felice teme più di

perdere il suo principe, che nello stessotempo è anche il suo benefattore, di quantoquello stesso sovrano non tema ladiminuzione del suo potere. Gli Olandesinon si sarebbero mai ribellati agli Spagnoli,se la tirannia degli Spagnoli non avesseraggiunto un tale eccesso per cui gli Olandesinon avrebbero potuto essere più disperati.

Il Regno di Napoli e quello di Sicilia

sono passati più di una volta dalle mani degliSpagnoli a quelle dell’imperatore, edall’imperatore agli Spagnoli; la conquista èstata sempre molto facile, poiché sia l’una chel’altra dominazione sembravano loro moltorigide, e quindi quei popoli speravanosempre di trovare dei liberatori nei loro nuovipadroni.

Che differenza fra quei Napoletani e i

Loreni! Quando sono stati obbligati acambiare dominazione, tutta la Lorena era inlacrime; non volevano perdere il rampollo di

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quei duchi che da tanti secoli erano inpossesso di quel paese così fiorente, queiduchi fra cui molti furono dotati di tanta bontà che meritarono di essere d’esempio ai

Re. Il ricordo del duca Leopoldo era ancoracosì cara ai Loreni, che quando la sua vedovafu costretta a partire da Luneville, tutto ilpopolo si mise in ginocchio davanti alla suacarrozza, e si dovettero fermare i cavalliparecchie volte. Si sentivano solo lamenti e sivedevano solo lacrime.

C A P I T O L OIII

Dei Principati Misti

Il quindicesimo secolo, durante il qualevisse Machiavelli, era ancora un’epoca di barbari. In quel tempo si prediligeva la gloriafunesta dei conquistatori, e di quelle azioni

decisive che impongono un certo rispetto,mediante la loro grandiosità, verso ladolcezza, l’equità, la clemenza, e tutte levirtù. Al giorno d’oggi, noto che si preferiscel’umanità a qualsiasi altra dote di unconquistatore, e non esiste più la follia diincoraggiare con delle lodi le passioni crudeliche possono rivoluzionare il Mondo.

Io mi domando che cosa possa condurre

un uomo a diventare potente. Grazie a checosa potrebbe mirare ad elevare la suapotenza a scapito della miseria e delladistruzione di altri? E come potrebbe pensaredi diventare famoso rendendo infelici glialtri? Le nuove conquiste di un sovrano nonrendono più fiorenti né più ricchi gli Stati chegià possedeva; i suoi popoli non ne traggonogiovamento, e se pensa di diventare così più

felice si sbaglia di grosso. Quanti principihanno fatto conquistare dai loro generalidelle provincie che non vedranno mai? Si

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tratta quindi di conquiste che si possonoconsiderare immaginarie, e cherappresentano una realtà molto relativa per iprincipi che le hanno comandate; significa

rendere molto infelice tanta gente persoddisfare la fantasia di una sola persona,che spesso non valeva neppure la pena diconoscere.

Supponiamo però che questoconquistatore riesca a dominare tutti: riusciràpoi a governare tutta questa gente a luisottomessa? Per quanto possa essere ungrande principe, non sarà che una persona

dalla mentalità molto ristretta; riusciràappena a ricordarsi il nome delle sueprovincie, e la sua grandiosità non potrà chemettere in risalto la sua reale piccineria.

Non è certo la vastità del suo principatoche dà maggior gloria al principe: non sonoquelle leghe in più di terreno che lorenderanno illustre, altrimenti coloro “chepossiedono più arpenti di terra dovrebbero

essere i più stimati”.L’errore di Machiavelli sulla gloria dei

conquistatori potrebbe essere tipica della suaepoca, ma la sua cattiveria non lo erasicuramente. Non vi è niente di più orrendodi certi mezzi che egli suggerisce permantenere delle conquiste fatte; prendendoliin esame, non ce n’è uno che sia ragionevoleo giusto. “Si deve – dice quest’uomo crudele

–estinguere la dinastia dei principi cheregnavano prima della vostra conquista” Visembra possibile leggere tali precetti senzafremere di orrore e di indignazione? Significacalpestare quanto vi sia di santo e di sacro almondo, aprire all’interesse la strada di tutti idelitti. Come?! Se un ambizioso si èimpadronito mediante violenza degli Stati diun principe, avrà il diritto di farlo

assassinare, avvelenare? Ma lo stessoconquistatore, comportandosi in tal modo,instaura una pratica nel Mondo che non

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potrà che ritorcersi a suo danno. Un altro, piùambizioso e più abile di lui, lo punirà con lalegge del taglione, invaderà i suoi Stati e lofarà morire con la stessa crudeltà con cui egli

aveva fatto morire il suo predecessore. Ilsecolo di Machiavelli ce ne mostra fin troppiesempi. Abbiamo visto Papa Alessandro VI,quasi spodestato per i suoi crimini; il suospregevole Bastardo Cesare Borgia spogliatodi tutte le terre che aveva invaso e morto inmiseria; Galeazzo Sforza assassinato nellaChiesa di Milano; Luigi Sforza, usurpatore,morto in Francia in una gabbia di ferro; i

principi di York e di Lancaster distruggersi avicenda; gli Imperatori di Grecia assassinatigli uni dagli altri, finché i Turchi hannoapprofittato dei loro crimini sterminando laloro debole potenza. Se oggi fra i Cristiani visono meno rivoluzioni, è perché i principi disana moralità sono sempre più numerosi: gliuomini hanno arricchito maggiormente lospirito, sono divenuti meno feroci; e forse

possiamo ringraziare per questo i Letterati,che hanno migliorato l’Europa.

La seconda massima di Machiavelli èche il conquistatore deve stabilire la suaresidenza nei suoi nuovi Stati. Questo non ècrudele, e sembra anche abbastanza di buonsenso sotto un certo aspetto; bisogna peròprendere in considerazione il fatto che lamaggior parte degli Stati dei grandi principi

è situata in modo che essi non possanoabbandonarne il centro senza che tutto loStato ne risenta. Essi sono il primo inizio diattività in quel complesso, e quindi nonpossono lasciare il centro senza che leestremità deperiscano.

La terza massima di politica è “che bisogna creare delle colonie per mantenerlenelle nuove conquiste, poiché serviranno ad

assicurarne la fedeltà”.L’autore si basa sulla pratica dei Romani,

ma non pensa che se i Romani, mandando

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delle colonie, non avessero anche inviatodelle legioni, avrebbero rapidamente perdutole terre conquistate; non pensa che, oltre aquelle colonie e a quelle legioni, i Romani

sapevano anche procurarsi degli alleati. IRomani, al tempo felice della Repubblica,erano i briganti più saggi che abbiano maioffuscato la terra. Conservavano conprudenza tutto quello che avevanoconquistato con l’ingiustizia: ma alla finequel popolo ebbe ciò che succede ad ogniusurpatore; fu oppresso a sua volta.

Cerchiamo ora di capire se quelle

colonie, per organizzare le quali Machiavellifa commettere tante ingiustizie al suo“Principe”, siano veramente tanto utiliquanto pensa l’autore. O si mandano neipaesi conquistati di recente delle coloniepotenti, o se ne mandano di deboli. Se lecolonie sono forti, si rischia di spopolare inmodo considerevole il proprio Stato e discacciare molti nuovi sudditi, il che

indebolisce le forze; se si mandano dellecolonie deboli nei paesi conquistati, esserischieranno di assicurare male il propriopossesso: il risultato sarà quindi che sirenderanno infelici coloro che sono statiscacciati, senza peraltro averne tratto grandevantaggio.

È quindi molto meglio mandare delletruppe nei paesi che sono appena stati

sottomessi, poiché esse, mantenendo ladisciplina e l’ordine, non calpesteranno ipopoli né saranno a carico delle città chedovranno sorvegliare. Questa politica è piùsaggia, ma non poteva essere di dominiocomune ai tempi di Machiavelli I sovrani nonpossedevano grandi eserciti, e quelle truppeerano per la maggior parte un branco di banditi, che solitamente vivevano solo di

violenze e di rapine. Allora non si potevaneppure immaginare che potessero esisteredelle truppe arruolate anche in tempo di

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pace sotto una bandiera, un servizio di leva,delle caserme e mille altri regolamenti chegarantiscono la sicurezza di uno Stato intempo di pace, contro i suoi vicini, e anche

contro i soldati pagati per difenderlo.“Un principe deve attirare a sè, e

proteggere i piccoli principi suoi vicini,seminando rivalità fra di loro, in modo dainnalzare, o abbassare chi vuole”. È la quartamassima di Machiavelli, ed è così che feceClovis, il primo re barbaro che si fececristiano e fu imitato da alcuni principi nonmeno crudeli. Ma quanta differenza fra quei

tiranni e un uomo onesto, che potrebbeessere il mediatore di quei piccoli principi,che risolverebbe i loro litigi equamente, checonquisterebbe la loro fiducia con la suagiustizia e con piena imparzialità nelle loroquestioni, e del tutto disinteressatamente! Lasua prudenza lo renderebbe un padre per isuoi vicini, invece di esserne l’oppressore, ela sua grandezza li proteggerebbe, invece di

danneggiarli.È anche vero che dei principi che hanno

voluto allevare altri principi nella violenza sisono auto-danneggiati; il nostro secolo ne hadato due esempi. Uno è quello di Carlo XIIche ha allevato Stanislao per il trono dellaPolonia, e l’altro è ancora più recente. Neconcludo quindi che l’usurpatore non saràmai degno di gloria; che gli assassinii

saranno sempre odiati dal genere umano; chei principi che commettono delle ingiustizie edelle violenze nei riguardi dei loro nuovisudditi si inimicheranno tutti invece diguadagnarne la fiducia, che non è possibilegiustificare i crimini, e che tutti coloro chevorranno farne l’apologia ragioneranno malecome Machiavelli. Rivolgere l’arte delragionamento contro il bene dell’umanità è

come ferirsi con una spada che ci è stata dataper difenderci.

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CAPITOLO IV

Per quale ragione il Regno di Dario non si ribellò

dopo la morte di Alessandro, che l’aveva occupato.

Per dare un giudizio esatto sul geniodelle varie nazioni, è necessario paragonarlele une alle altre. Machiavelli in questocapitolo fa un confronto fra i Turchi ed iFrancesi, che tanto differiscono fra loro negliusi, costumi e modo di pensare. Egli esaminale ragioni che rendono la conquista di questoprimo Impero difficile da mettere in atto, mafacile da mantenere; osserva inoltre ciò chepotrebbe contribuire a far soggiogare laFrancia senza troppa fatica, e ciò cheminaccia senza sosta il riposo dell’invasorecreando innumerevoli disordini.

L’Autore si limita però ad osservare lecose da un solo punto di vista, e arriva soloalla costituzione dei Governi. Sembra ritenereche la potenza dell’Impero dei Persiani e deiTurchi fosse basata unicamente sullaSchiavitù generale di tali Nazioni, e sulla solaelevazione al potere di un unico uomo che neè il Capo. Secondo lui un Despotismo senzaalcuna restrizione, ben stabilito, è il mezzopiù sicuro che possa avere un principe perregnare senza problemi e per resisterevalidamente ai suoi nemici.

Al tempo di Machiavelli in Francia igrandi e i nobili erano ancora considerati deipiccoli sovrani che condividevano in qualchemodo la potenza del principe; il che creavadelle separazioni, rinforzava i partiti efomentava spesso delle rivolte. Io non so peròse il Gran Signore non è più facilmentesoggetto ad essere detronizzato che non unRe di Francia. La differenza che esiste fra di

loro è che un imperatore Turco è solitamentestrangolato dai Giannizzeri, che i Re diFrancia che sono morti, sono stati assassinati

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da Monaci, o da mostri che i monaci avevanoformato. Ma Machiavelli in questo capitoloparla piuttosto di rivoluzioni generali che dicasi particolari: egli ha infatti scoperto alcune

delle molle che compongono una macchinamolto complessa, però mi sembra che nonabbia esaminato le più importanti.

La differenza di clima, di alimentazionee di educazione degli uomini determina unadifferenza totale nel loro modo di vivere e dipensare; donde la differenza fra un monacoItaliano e un letterato Cinese. Iltemperamento di un Inglese, profondo ma

ipocondriaco, è completamente diverso dalcoraggio orgoglioso di uno Spagnolo, e unFrancese potrebbe assomigliare così poco adun Olandese, come la vivacità di unascimmia alla flemma di una tartaruga.

È stato osservato in ogni tempo che ilgenio dei popoli orientali è dato da unospirito di costanza verso le abitudini e icostumi antichi, da cui non si distaccano

quasi mai. La loro religione, diversa daquella degli Europei, li obbliga ancora inqualche maniera a non favorire l’iniziativa dicoloro che essi chiamano gli infedeli, ascapito dei loro padroni, e ad evitarescrupolosamente tutto ciò che potrebbenuocere alla loro religione e sconvolgere illoro governo. Ecco ciò che rappresenta lasicurezza del trono piuttosto che quella del

monarca, poiché il monarca può esseredetronizzato, ma l’impero non viene maidistrutto.

Il genio della nazione Francese,completamente diverso dai Musulmani, èstato appunto, o almeno in parte, la causadelle frequenti rivoluzioni di questo regno.La leggerezza e l’incostanza sono tipiche delcarattere di questa amabile nazione. I

Francesi sono inquieti, libertini e moltoinclini ad annoiarsi di tutto; la loro passioneper i cambiamenti si è manifestata anche

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nelle cose più gravi. Pare che quei cardinali,odiati e stimati dai Francesi, che hannosuccessivamente governato questo impero,abbiano approfittato delle massime di

Machiavelli per sminuire i grandi, e dellaconoscenza del genio della nazione per sviarequelle frequenti tempeste durante le quali laleggerezza dei sudditi minacciava senza sostai sovrani.

La politica del cardinale de Richelieuaveva come unico scopo quello di sminuire igrandi per aumentare la potenza del Re, eper farne la base di tutte le parti dello Stato.

Vi riuscì così bene, che al giorno d’oggi inFrancia non vi sono più tracce della potenzadei signori e dei nobili, e di quel potere dicui, secondo i Re, avevano abusato i grandi.

Il cardinale Mazarino seguì le orme diRichelieu; trovò molti oppositori, ma viriuscì. Per di più spogliò il parlamento dellesue prerogative, in modo che questaassociazione oggi non è che un fantasma, che

riesce ancora talvolta a immaginare di essereun corpo, ma che sappiamo che poi si pentedi tale errore.

La stessa politica che portò i ministri ainstaurare un dispotismo assoluto in Franciainsegnò loro l’abilità di usare la leggerezza el’incostanza della nazione per renderla menopericolosa: mille occupazioni frivole, lesciocchezzuole, i vani piaceri spodestarono il

genio dei Francesi; in tal modo che queglistessi uomini che avevano per tanto tempocombattuto il grande Cesare, che avevanoscosso tanto spesso il giogo sotto gliimperatori, che chiamarono gli stranieri asoccorso al tempo dei Vallesi, che si allearonocontro Enrico IV, che complottarono sotto leminoranze; quei Francesi, dicevo, oggigiornonon si occupano che di seguire il corso della

moda, di cambiare spesso di gusti, didisprezzare oggi ciò che ieri ammiravano, difare tutto con leggerezza e incostanza, di

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cambiare amanti, luoghi, divertimenti efollie. E non è tutto, poiché degli esercitipotenti e un gran numero di fortezzeassicurano per sempre ai sovrani il possesso

di questo regno, ed essi non hanno nulla datemere, né guerre intestine né assalti dei lorovicini.

CAPITOLO V

In che modo si debbano governare le città e i Principati

che prima di essere occupati si reggevano con le loro leggi.

Non vi è altro modo certo, secondoMachiavelli, per conservare uno Stato liberoappena occupato, che quello di distruggerlo;è il sistema più sicuro per non dover temereuna rivolta. Un Inglese commise la follia diuccidersi, qualche anno fa a Londra; sultavolo fu rinvenuta una lettera in cui egligiustificava il suo atto, affermando che si era

tolto la vita per non ammalarsi mai. Ecco ilcaso di un principe che distrugge uno Statoper non perderlo. Non parlo di umanità, conMachiavelli sarebbe come profanare la virtù.Si può smentire Machiavelli con le sue stesseparole, con quell’interesse, l’anima del suolibro, questo dio della politica e del crimine.

Voi dite, Machiavelli, che un principedeve distruggere un paese libero, appena

occupato, per poterlo possedere con piùsicurezza. Ma, ditemi, a che scopo haintrapreso tale conquista? Mi direte che èstato per aumentare il suo potere e perdivenire più potente. È proprio ciò che volevosentire, per dimostrarvi che seguendo levostre massime egli fa tutto il contrario;poichè questa conquista gli viene a costareancora più cara, ed egli rovina l’unico paeseche avrebbe potuto compensarlo delle sueperdite. Mi direte che un paese saccheggiato,

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privato di abitanti, non potrebbe renderepotente un principe per averlo occupato. Ioritengo che un monarca che possedesse ivasti deserti della Libia e del Barca non

sarebbe molto pericoloso, e che un milione dipantere, di leoni e di coccodrilli non varrebbeun milione di sudditi, delle città ricche, deiporti navigabili pieni di vascelli, dei cittadinilaboriosi, delle truppe, e tutto ciò che unpaese ben popolato può produrre.

Tutti sono d’accordo nell’affermare chela forza di uno Stato non consistenell’estensione dei suoi confini, ma nel

numero dei suoi abitanti. Confrontatel’Olanda con la Russia, non vedrete che delleisole paludose e sterili che sorgono dal cuoredell’oceano, una piccola Repubblica chemisura solo 48 leghe di lunghezza su 40 dilarghezza; ma quel piccolo corpo è tuttonervi. È abitato da una popolazioneimmensa, e quella gente laboriosa è moltopotente e molto ricca; ha scosso il giorgo

della dominazione spagnola, che a queltempo era la monarchia più fiorented’Europa. Il commercio di questa repubblicasi estende fino ai confini del mondo, essa sipiazza immediatamente dopo i re, puòmantenere in tempo di guerra un’armata dicinquantamila combattenti, senza contareuna flotta numerosa e ben tenuta.

Guardate invece la Russia. È un paese

immenso che si offre alla vostra vista; è unmondo che ricorda l’universo quando eraappena uscito dal caos. Quel paese confinada un lato con la grande terra dei Tartari econ le Indie, dall’altro con il Mar Nero el’Ungheria: le frontiere si stendono fino allaPolonia, la Lituania e la Curlandia; la Sveziaconfina con essa verso Nord-Ovest. La Russiapuò avere trecento miglia di confine con la

Germania di larghezza, su più di cinquecentomiglia di lunghezza. Il paese è fertile, ricco digrano, e fornisce tutti gli alimenti necessari

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alla vita, soprattutto nei dintorni di Mosca everso la piccola terra dei Tartari; eppure, contutti questi vantaggi, non contiene chequindici milioni di abitanti al massimo.

Questa Nazione, che comincia ora afigurare in Europa, non è certo più potentedell’Olanda per quanto riguarda le truppe dimare e di terra, e ne è molto inferiore quantoalle ricchezze e alle risorse.

La forza di uno Stato non giace per nullanella vastità del territorio, né nel possesso diuna vasta distesa solitaria o di un immensodeserto; ma nella ricchezza dei suoi abitanti e

nel loro numero. L’interesse di un principe èquindi di popolare un paese, di renderlofiorente, e non di devastarlo o distruggerlo.Se la cattiveria di Machiavelli fa orrore, il suoragionamento fa pietà; e avrebbe fatto meglioad imparare a ragionare correttamente invecedi insegnare la sua mostruosa politica.

“Un principe deve stabilire la suaresidenza in una Repubblica occupata di

recente”: è la terza massima dell’autore. Èpiù moderata delle altre; ma ho già spiegatonel terzo capitolo le difficoltà che possonoopporsi a tale politica.

Mi sembra che un principe, che abbiaconquistato una repubblica dopo avere avutodelle buone ragioni per combattere contro diessa, potrebbe accontentarsi di averla punita,e renderle poi la sua libertà. Pochi la

penserebbero così: per coloro che la pensanodiversamente, potrebbero mantenerne ilpossesso, creando delle specie di guarnigioninei punti principali della loro nuovaconquista, lasciando che il popolo goda ditutta la sua libertà.

Che pazzi siamo! Vogliamo conquistaretutto, come se avessimo il tempo di possedereogni cosa, e come se potessimo durare fino

all’infinito. Il nostro tempo passa troppo infretta, e spesso quando crediamo di lavorare

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solo per noi, lavoriamo invece per deisuccessori indegni o ingrati.

CAPITOLO VIDei Principati nuovi, che il principe conquista

con il suo valore e con le sue armi.

Se gli uomini non avessero passioni, sipotrebbe perdonare a Machiavelli di volernedare loro; sarebbe un novello Prometeo cherapirebbe il fuoco celeste per animare degli

automi. Le cose infatti non sono proprio inquesti termini, poiché non esistono uominiprivi di passioni. Quando esse sonomoderate, sono l’anima della Società; maquando si toglie ogni freno, ne diventano ladistruzione.

Di tutti i sentimenti che tirannizzano lanostra anima, non ve n’è alcuno più funesto,per coloro che ne hanno l’impulso, né più

contrario all’umanità, né più fatale al riposodel mondo, di una sfrenata ambizione, di una brama eccessiva di falsa gloria.

Un individuo che abbia la disgrazia diessere nato con delle simili disposizioni, èdecisamente più spregevole che pazzo. Èinsensibile per quanto riguarda il presente,non esiste che per il futuro, nulla al mondo lopuò soddisfare; l’assenzio dell’ambizione

mescola sempre la sua amarezza alladolcezza dei suoi piaceri.

Un principe ambizioso è più infelice diun individuo qualsiasi, poiché essendo la suafollia proporzionata alla sua grandezza, eglisarà ancora più vago, più indocile e piùinsaziabile. Se gli onori, se la grandezzapossono alimentare la passione dei privati, leprovincie e i regni nutrono le ambizioni dei

monarchi; e dato che è più facile otteneredelle cariche e degli impieghi piuttosto che

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conquistare dei regni, i privati possonosoddisfare le loro passioni più facilmente deiprincipi.

Machiavelli propone loro gli esempi di

Mosè, di Ciro, di Romolo, di Teseo, e diIerone. Si potrebbe ancora aggiungere deinomi a questo elenco, prendendo quelli diqualche creatore di sette, come Maometto inAsia, Mango Kapac in America, Odino nelNord, di tanti settari in tutto l’universo. E igesuiti del Paraguay mi permettano di offrireloro un posticino, che non può essere cheglorioso, in questo elenco, mettendoli nel

numero dei legislatori.La malafede con cui l’autore fa uso di

questi esempi merita di essere messa inevidenza. È bene scoprire tutte le finezze e lefurbizie di questo seduttore. Machiavelliriesce a vedere l’ambizione sotto la sua lucemigliore, ammesso che ne abbia una: nonparla che degli ambiziosi che sono stati baciati dalla fortuna, ma mantiene un

silenzio profondo su quelli che sono stativittime delle loro passioni; ciò significainfluenzare la gente, e non si può negare cheMachiavelli non si comporti in questocapitolo come un ciarlatano del crimine.

Perché, parlando del legislatore degliebrei, del primo Monarca di Atene, delconquistatore dei Medi, del fondatore diRoma, i successi dei quali furono il risultato

dei loro progetti, Machiavelli non aggiungel’esempio di qualche capo di partitosfortunato, per dimostrare che se l’ambizionedà il successo ad alcuni, ne conduce altri allaperdizione? Non c’è stato forse un Jean deLeyde, capo degli anabattisti, torturato, bruciato e impiccato in una gabbia di ferro aMunster? Se Cromwell è stato felice, suofiglio non è forse stato detronizzato? Non ha

forse visto portare al patibolo il corpoesumato di suo padre? Tre o quattro Ebrei,che si erano spacciati per il Messia, non sono

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forse morti fra atroci supplizi? E l’ultimo nonè finito come sguattero presso il gran signoredopo essersi fatto Musulmano? Se Pipinodetronizzò il suo Re con l’approvazione del

Papa, il Duca di Guisa lo Sfregiato, chevoleva detronizzare il suo con la stessaapprovazione, non è stato forse assassinato?Non si contano forse più di trenta capi settarie più di mille altri ambiziosi che perirono dimorte violenta?

Mi sembra d’altra parte che Machiavelliabbia messo molto sconsideratamente Mosècon Romolo, Ciro e Teseo. Mosè poteva

essere ispirato, o non esserlo affatto. Se non loera (cosa che ci guardiamo bene dalsupporre), si potrebbe allora considerarlounicamente come un impostore che si servivadi Dio, più o meno come i poeti usano i lorodei come degli artifici quando hanno bisognodi trovare una spiegazione. Mosè era quindicosì incapace (ragionando umanamente), cheguidò il popolo Ebreo per 40 anni su un

cammino che avrebbero fatto comodamentein sei settimane; aveva tratto così pocoprofitto dai lumi degli Egiziani, e in questosenso era di gran lunga inferiore a Romolo, aTeseo e a tutti quegli eroi. Se invece Mosè eraispirato da Dio, come riteniamo senza alcundubbio, non lo si può considerare chel’organo cieco di ogni potere divino, e coluiche ha guidato gli Ebrei era in tal senso molto

inferiore come uomo al fondatoredell’Impero Romano, al Monarca Persiano edagli eroi che compivano con il loro valore e leloro proprie forze delle azioni molto piùgrandiose che non quelle compiute dall’altrocon l’aiuto immediato di Dio.

Confesso in generale e senza essereprevenuto, che è necessario avere un grandegenio, molto coraggio, abilità e spirito di

comando per uguagliare gli uomini di cuiabbiamo parlato pocanzi; ma non potreiaffermare che si possano considerare

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virtuosi. Il valore e l’abilità possono esseredoti possedute sia dai banditi di strada chedagli eroi: la differenza fra loro è che ilconquistatore è un bandito illustre, e il

 bandito ordinario è un oscuro malfattore,uno riceve corone d’alloro e incenso aricompensa delle suo violenze, e l’altro lacorda del boia.

È vero che ogni volta che si vorrannointrodurre delle novità nel mondo, sipresenteranno mille ostacoli per impedirle, eche un profeta alla testa di un’armata farà piùproseliti che non combattendo solo con degli

argomenti.È anche vero che la religione cristiana,

reggendosi unicamente sulle dispute, èsempre stata debole e oppressa, e che sipropagò in Europa soltanto dopo aver sparsomolto sangue; ed è pure vero che si è potutodar corso a delle opinioni e a delle novità conpoca fatica. Quante religioni, quante settesono state create con una facilità incredibile!

Non esiste nulla di più adatto del fanatismoper dar credito a delle novità, e mi pare cheMachiavelli abbia parlato in tono troppocategorico su questo argomento.

Mi resta ancora qualche osservazione dafare sull’esempio di Ierone di Siracusa, cheMachiavelli cita ad esempio fra coloro chehanno raggiunto la gloria per mezzo delleamicizie e delle truppe.

Ierone si sbarazzò degli amici e deisoldati che l’avevano aiutato a mettere in attoi suoi progetti; fece nuove amicizie e ingaggiòaltre truppe. Io sostengo, a dispetto diMachiavelli e degli ingrati, che la politica diIerone era molto ingiusta, e che la prudenzainsegna che è meglio fidarsi di truppe di cuisi è già messo alla prova il valore, e di amicidi cui si è già sperimentata la fedeltà,

piuttosto che di sconosciuti, sui quali non siha nessuna certezza. Lascio al lettore ilcompito di spingere questo ragionamento

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ancora più in là; tutti coloro che hanno orroredell’ingratitudine e che sono tanto felici daconoscere da vicino la vera amicizia nonesiteranno a pronunciarsi su questo soggetto.

Mi sento comunque in dovere diavvisare i lettori di stare attenti ai diversisignificati che Machiavelli attribuisce alleparole. Non bisogna confondersi, quandodice “se manca l’occasione, la virtù siannulla”. Ciò significa per lui che se non vifossero circostanze favorevoli, i furbi e itemerari non saprebbero fare uso del lorotalento; è soltanto la somma dei crimini che

può spiegare il significato oscuro delle paroledi questo autore.

Mi sembra insomma, per concluderequesto capitolo, che l’unica occasione in cuiun individuo qualsiasi può aspirare adiventare Re senza commettere crimini èquando nasce in un Regno elettivo o quandoha liberato la sua patria.

Sobieski in Polonia, Gustavo Vaza in

Svezia, gli Antonini a Roma, ecco i veri eroidi queste due categorie. Se Cesare Borgia è ilmodello dei Machiavellisti, il mio è MarcoAurelio.

CAPITOLO VII

Dei Principati nuovi, conquistati

con le armi altrui, o per buona sorte.

Fate un confronto fra il “principe” di M.Fénelon e quello di Machiavelli: vedretesubito nel primo il carattere di un uomoonesto, vi troverete bontà, giustizia, equità,tutte le virtù, insomma, al massimo grado;pare proprio che si tratti di uno di quegliintelletti eccelsi, di cui si può dire che

abbiano la saggezza per poter governare ilMondo; nell’altro invece troverete

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scelleratezza, furberia, perfidia, tradimento, e“tutti” i crimini. Si tratta quindi di un mostro,che persino l’inferno avrebbe fatto fatica agenerare. Se è vero che la nostra natura

sembra assomigliare a quella degli angelileggendo il “Telemaco”, quando si legge il“Principe” di Machiavelli sembra invece chesi avvicini ai demoni dell’Inferno. CesareBorgia, o il Duca Valentino, è il modello sucui l’Autore forma il suo “Principe”, e che hal’impudenza di presentare come esempio acoloro che si innalzano nel mondo con l’aiutodei loro amici o delle loro armi. È dunque

indispensabile sapere chi fosse CesareBorgia, per farsi un’idea dell’eroe, edell’Autore che lo glorifica.

Non vi è crimine che Cesare Borgia nonabbia commesso; fece assassinare suofratello, rivale nella gloria e nell’amore, quasisotto gli occhi di sua sorella; fece massacraregli Svizzeri del Papa, per vendetta controalcuni Svizzeri che avevano offeso sua madre;

spogliò di tutti i loro averi dei Cardinali e deiricchi, per saziare la sua cupidigia; tolse laRomagna al Duca d’Urbino che la possedeva;e fece giustiziare il crudele Dorco, suo vice-tiranno; fece assassinare a Senigallia,mediante un orrendo tradimento, alcuniprincipi la cui vita riteneva che contrastasse isuoi interessi; fece annegare una damaVeneziana di cui aveva abusato; insomma,

quali crudeltà non vennero commesse persuo ordine? E chi potrebbe contare tutti i suoicrimini? Questo è l’uomo che Machiavellipredilige fra tutti i grandi Geni della suaepoca, e fra gli eroi dell’Antichità, e la cui vitae le cui azioni sono secondo lui degne diservire da esempio a tutti coloro che sonoinnalzati dalla sorte.

Io devo però contraddire Machiavelli

più dettagliatamente, perché coloro che lapensano come lui non trovino più sotterfugi,

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e perché non possano in alcun modonascondere la loro cattiveria.

Cesare Borgia fondò le basi della suagrandezza sulla distruzione dei principi

d’Italia. Per usurpare tutti i beni dei mieivicini occorre indebolirli, e per indebolirli bisogna confonderli; questa è la logica degliscellerati.

Borgia voleva assicurarsi un appoggio,era quindi necessario che Alessandro VIaccordasse una dispensa di matrimonio aLuigi XII perché egli potesse andare al suosoccorso. Fu così che tanti politici si fecero

gioco del mondo, pensando unicamente ailoro interessi, e mostrando invece un grandeattaccamento alle cose divine. Se ilmatrimonio di Luigi XII era destinato allaseparazione, il Papa stesso avrebbe dovutodichiararlo, ammesso che ne avesse avuto ilpotere; se invece tale matrimonio non fossestato destinato alla rottura, il capo dellaChiesa Romana non avrebbe dovuto

prendere nessuna decisione in merito.Borgia doveva necessariamente crearsi

degli Alleati, perciò cercò di corrompere condei doni la fazione degli Urbinati; ma nonimputiamo a Borgia troppi crimini, eignoriamo le sue corruzioni, se non altroperché hanno almeno qualche falsarassomiglianza con le buone azioni. Borgiavoleva liberarsi di alcuni principi del Casato

di Urbino, di Vitellozzo, di Oliveto di Fermo,ecc., e Machiavelli dice che prese laprecauzione di farli venire a Senigallia, doveli fece uccidere per tradimento.

Abusare della buona fede del prossimo,usare degli stratagemmi infami, tradire,spergiurare, assassinare, ecco ciò che chiamaprecauzione il Dottore della scelleratezza; maio mi chiedo se si può chiamare precauzione

il mancare di buona fede, lo spergiurare? Sesi eliminano la buona fede e il giuramento,che cosa resterà come garanzia della fedeltà

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degli uomini? Prendete degli esempi ditradimento, avrete paura di essere traditi;prendete degli esempi di assassinio, avretepaura della mano dei vostri discepoli.

Borgia fece nominare Governatore dellaRomagna il crudele Dorco per reprimere deidisordini. Borgia punisce con barbarie neglialtri dei vizi meno gravi dei suoi! Il piùviolento fra gli usurpatori, il più falso deipergiuri, il più crudele degli assassini e degliavvelenatori, che condanna al supplizio piùtremendo qualche ladruncolo, qualchemalvivente che cerca di copiare il nuovo

padrone nel suo piccolo e secondo le suelimitate capacità! Quel Re di Polonia, la cuimorte ha causato tanti problemi in Europa, sicomportava con molta più coerenza e nobiltànei riguardi dei suoi sudditi Sassoni. Le leggiSassoni condannavano tutti gli adulteri altaglio della testa. Non ho mai approfonditol’origine di quella legge barbara, chesembrerebbe convenire più alla gelosia

Italiana che alla pazienza Tedesca.Un disgraziato trasgressore di questa

legge venne condannato, Augusto dovevafirmare la condanna a morte; ma Augusto erasensibile all’amore e all’umanità, quindiconcesse la grazia al criminale e feceabrogare una legge che tacitamentecondannava lui stesso. Il comportamento diquel re era quello di una persona sensibile e

umana; C.Borgia puniva unicamente inquanto era un feroce tiranno. Borgia poimetterà sotto accusa il crudele Dorco cheaveva perfettamente eseguito i suoi ordini,per farsi bello castigando l’autore materialedella sua barbarie. Il peso della tiranniaaumenta sempre di più quando il tirannovuole apparire innocente e quandol’oppressione viene effettuata sotto la

maschera della legge. Borgia, spingendo lasua previdenza fino oltre la morte del papasuo padre, cominciava con lo sterminare tutti

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quelli che aveva spogliato dei beni, perché ilnuovo papa non potesse avvalersene controdi lui. Osservate la scaletta del crimine: persopperire alle spese, bisogna avere dei beni;

per averne, bisogna spogliare coloro che nepossiedono; e per goderli con tranquillità, bisogna sterminarli. Ragionamento da veri briganti di strada.

Borgia, per avvelenare alcuni cardinali,li invitò a cena da suo padre. Il papa e luistesso bevvero per errore una bevandaavvelenata. Alessandro VI ne morì, Borgiariuscì a sopravvivere per poi vivere una vita

disgraziata, degna ricompensa per degliavvelenatori e assassini.

Ecco le precauzioni, l’abilità e le virtùche Machiavelli non cessa di lodare: il famosoVescovo di Meaux, il celebre Vescovo diNimes, l’eloquente ammiratore di Traianonon avrebbero potuto dire di più dei loroeroi, di quanto non dica Machiavelli diCesare Borgia Se l’elogio che egli ne fa non

fosse che un’ode, o una figura retorica, sipotrebbe lodare la sua sottigliezza purdetestando la sua scelta: ma è tutto ilcontrario, è un “Trattato di Politica” che deveessere tramandato ai posteri; è un’operamolto seria, nel quale Machiavelli hal’impudenza di accordare delle lodi al mostropiù abominevole che l’inferno abbia vomitatosulla terra. Ciò significa esporsi a sangue

freddo all’odio del genere umano.

CAPITOLO VIII

 Di quelli che per scelleratezze sono pervenuti al principato.

Non faccio uso che delle parole stesse diMachiavelli per confutare i suoi argomenti.

Cosa potrei dire di lui di più atroce se nonche detta delle regole per coloro che salgonoal massimo potere grazie ai loro crimini? È

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appunto il titolo di questo capitolo. SeMachiavelli insegnasse il crimine, sedogmatizzasse la perfidia in un’Universitàdei Traditori, non sorprenderebbe il fatto che

trattasse dei soggetti di questo tipo; ma egliparla a tutti. Infatti un autore che si dà allastampa vuole comunicare con tuttol’universo; egli si indirizza principalmente aquelle persone che dovrebbero essere le piùvirtuose, poiché sono destinate a governaregli altri. Che cosa c’è di più infame, di piùinsolente dell’insegnare loro il tradimento, laperfidia e l’assassinio? Si dovrebbe piuttosto

desiderare per il bene comune che degliesempi simili a quelli di Agatocle e diOliviero di Fermo, che Machiavelli gode acitare, fossero ignorati per sempre. La vita diun Agatocle, o di un Oliviero di Fermo,sarebbero in grado di sviluppare in un uomoche per istinto è portato verso la scelleratezzaquel germe pericoloso che egli racchiude insè, senza rendersene conto. Quanti giovani,

che hanno dilettato il loro spirito con lalettura dei Romanzi, non vedono e nonpensano più che con gli occhi e la mente diGandalino o di Medoro? Vi è qualcosa diepidermico nel modo di pensare, se mi èconcesso di esprimermi in questo modo, chesi comunica da uno spirito all’altro.Quell’uomo straordinario, quell’avventurierodegno dell’antica cavalleria, quell’eroe

vagabondo in cui tutte le virtù, spinteall’eccesso, degenerano in vizi, in una parolaCarlo XII, portava con sè dalla più tenerainfanzia la biografia di Alessandro il Grande,e molte persone che hanno conosciuto benequest’Alessandro del nord sostengono che fuQuinto-Curzio che distrusse la Polonia, cheStanislao divenne re dopo Abdolomine, e chela battaglia di Arbelle fu la causa della

disfatta di Pultava.Mi è forse lecito scendere da un esempio

così grandioso a degli esempi minori? Mi

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sembra che quando si tratta della storia dellospirito umano, quando non vi è piùdifferenza di condizioni e di Stati, i re nonsono che semplici uomini, e tutti gli uomini

sono uguali, allora non sono che delleimpressioni o dei cambiamenti in generaleche hanno generato certe satire esterne sullospirito umano.

Tutta l’Inghilterra è al corrente di quantoaccadde a Londra qualche anno fa; furappresentata una commedia piuttostomediocre con il titolo diLadri e imbrogli dimascalzoni; il soggetto di questa commedia

era l’imitazione di qualche tiro mancino equalche furtarello dei ladri. Il risultato fu cheall’uscita dalla rappresentazione molti siaccorsero di non avere più i loro anelli, leloro tabacchiere, gli orologi, e l’autore siprocurò così rapidamente dei discepoli, chemisero in pratica i suoi insegnamenti nelteatro stesso. Ciò prova in modo evidente, mipare, quanto sia pernicioso citare dei cattivi

esempi.La prima riflessione di Machiavelli su

Agatocle e su Fermo si basa sui motivi che lisostennero nei loro piccoli Stati malgrado leloro crudeltà. L’autore li attribuisce al fatto diaver commesso tali crudeltà di proposito:dunque, essere prudentemente barbari edesercitare la tirannia in seguito significa,secondo questo Politico, effettuare di colpo e

tutti in una volta qualsiasi violenza equalsiasi crimine che si ritiene possa essereutile ai propri interessi.

Fate assassinare tutti quelli che giudicatesospetti e di cui non vi fidate, e quelli che sidichiarano vostri nemici; ma non ritardatetroppo la vostra vendetta. Machiavelliapprova delle azioni simili ai Vespri Siciliani,all’orrendo massacro di San Bartolomeo,

durante i quali vennero commesse crudeltàche fecero rabbrividire l’umanità intera.Questo mostro non prende neppure in

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considerazione l’orrore di quei crimini,purché vengano commessi in modo daimpressionare i popoli, da terrorizzare almomento in cui sono effettuati, e lo giustifica

dicendo che questi ricordi svaniscono piùfacilmente nel Pubblico, che non quelli dellecrudeltà successive e continue dei Principi,come se non fosse altrettanto perverso di farmorire mille persone in un giorno solo, chedi farle assassinare a intervalli.

Non basta però confutare l’orrendamorale di Machiavelli, bisogna ancheaccusarlo di falsità e di mala fede.

Anzitutto è falso quello che scriveMachiavelli, e cioè che Agatocle abbia godutoin pace il frutto dei suoi crimini: è stato infattiquasi sempre in guerra contro i Cartaginesi; èstato persino obbligato ad abbandonare inAfrica la sua armata, che ha massacrato i suoifigli dopo la sua partenza, e lui stesso morìavvelenato da una bevanda che suo nipote glifece bere. Oliveto di Fermo morì a causa della

perfidia dei Borgia, degna ricompensa deisuoi crimini; e dato che ciò avvenne un annodopo la sua usurpazione, la sua cadutasembra così rapida che si direbbe abbiapreceduto con la sua punizione ciò che l’odiodel popolo gli preparava.

L’esempio di Oliveto di Fermo nondovrebbe quindi essere citato dall’autore,poiché non prova assolutamente nulla.

Machiavelli afferma che il crimine l’ha resofelice, e si compiace di avere delle buoneragioni per provarlo, o almeno un argomentodiscreto da produrre.

Supponiamo però che il crimine possaessere commesso senza problemi, e che untiranno possa esercitare impunemente lascelleratezza; anche se non dovesse temereuna morte tragica, sarebbe ugualmente

infelice vedendosi oggetto del disprezzo delgenere umano; non potrebbe mai soffocarequel rimorso di coscienza dentro di sè; non

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potrebbe mai imporre il silenzio a quella vocepotente che si fa sentire sui troni dei re, nonpotrebbe mai evitare quella malinconiafunesta che colpirà la sua immaginazione,

che sarà il suo giustiziere in questo mondo.Leggendo la Vita di un Dionisio, di un

Tiberio, di un Nerone, di un Luigi XI, di untiranno Basilowitz, ecc., si noterà che queimostri, ugualmente insensati e furiosi,finirono i loro giorni nel modo più infelicedel mondo.

L’uomo crudele ha un temperamentomisantropo e irascibile: se non combatte dalla

più tenera età questa disgraziata tendenzadel suo corpo, diventerà inevitabilmentefurioso ed insensato. Se anche non vi fossegiustizia sulla terra né Divinità in cielo,sarebbe ancora più necessario che gli uominifossero virtuosi, poiché la virtù li unisce, ed èassolutamente necessaria per la loroconservazione, e il crimine non può cherenderli sfortunati e distruggerli.

CAPITOLO IX

Del Principato civile

Non esiste un sentimento piùinseparabile dal nostro essere di quello dellalibertà. Dall’uomo più civilizzato al più

 barbaro, tutti ne sono ugualmentecompenetrati; infatti, dato che veniamo almondo senza catene di sorta, vogliamovivere senza costrizioni. È appunto questospirito di indipendenza e di fierezza che haprodotto tanti grandi uomini nel Mondo, eche ha fatto nascere i governi repubblicani,che stabiliscono una specie di uguaglianzafra gli uomini, e li fanno vivere in una

condizione quasi naturale.Machiavelli offre in questo capitolo delle buone massime di politica a coloro che si

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innalzano al potere supremo, con il consensodei capi di una repubblica. Ecco forse l’unicocaso in cui permette di essere onesti; mapurtroppo questo caso non si presenta quasi

mai. Lo spirito repubblicano, estremamentegeloso della sua libertà, si offusca dinanzi atutto quello che può causargli impedimenti, esi ribella alla sola idea di avere un padrone.Conosciamo in Europa dei popoli che hannoscosso il giogo dei loro tiranni per goderedell’indipendenza; ma non ne conosciamo diliberi che si siano assoggettati ad unaschiavitù volontaria.

Parecchie repubbliche sono ricadute conil passar del tempo sotto il Dispotismo,sembra anche che si tratti di una disgraziainevitabile che finisce con il coinvolgerletutte.

Infatti, come potrebbe una Repubblicaresistere in eterno a tutte le cause che minanola sua libertà? Come potrebbe frenare persempre l’ambizione dei grandi che essa nutre

in seno? Come potrebbe alla lungacontrollare le seduzioni, le tacite manovre deisuoi vicini, e la corruzione dei suoi membri,finché l’interesse regnerà sovrano fra gliuomini? Come può sperare di uscire semprefelicemente dalle guerre che dovrà sostenere?Come potrà prevenire quelle circostanzeperniciose per la libertà, quei momenti criticie decisivi, e quelle incognite che favoriscono i

corrotti e gli audaci? Se le truppe sonocomandate da Capi vigliacchi e timidi, essasarà preda dei suoi nemici; e se alla testadelle truppe vi sono uomini validi ecoraggiosi, essi diventeranno pericolosi intempo di pace, dopo essere stati utili intempo di guerra.

Le repubbliche si sono quasi tutteinnalzate dall’abisso della tirannia al culmine

della libertà, e sono poi quasi tutte ricaduteda quella libertà nella schiavitù. Quegli stessiAteniesi, che dai tempi di Demostene

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oltraggiavano Filippo il Macedone,strisciarono dinanzi ad Alessandro; queglistessi Romani che aborrivano la Monarchia,dopo aver espulso i re sopportarono

pazientemente, dopo alcuni secoli, tutte lecrudeltà dei loro imperatori; e quegli stessiInglesi, che condannarono a morte Carlo Ipoiché calpestava i loro diritti, persero tutto illoro coraggio sotto il potere arrogante delloro protettore. Non sono quindi questeRepubbliche che si sono scelte dei padroni,ma sono degli uomini intraprendenti che, conl’aiuto di circostanze favorevoli, le hanno

sottomesse contro la loro volontà.Come gli uomini nascono, vivono per

un certo tempo, e muoiono di malattia o divecchiaia, allo stesso modo le Repubbliche siformano, fioriscono per qualche secolo, eperiscono infine per l’audacia di un cittadinoo per le armi dei loro nemici. Ogni cosa ha ilsuo tempo; tutti gli Imperi, e anche le piùgrandi monarchie hanno il loro tempo. Le

repubbliche sentono tutte che questo tempoprima o poi arriverà, e tengono d’occhio ognifamiglia troppo potente, come il germe dellamalattia che provocherà la loro morte.

Non si potrà mai convincere deirepubblicani veramente liberi a sottostare adun padrone, anche se fosse il migliorpadrone, poiché essi vi diranno sempre che èmeglio dipendere dalle leggi che dai capricci

di un solo uomo.

CAPITOLO X

Di come si misurano le forze di tutti i Principati.

Da quando Machiavelli ha scritto il suo“Principe” politico, il mondo è così cambiato

che quasi non lo si riconoscerebbe. Sequalche abile capitano di Luigi XIIriapparisse ai giorni nostri, resterebbe

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completamente disorientato. Vedrebbe cheora si fa la guerra con una quantità enorme disoldati, che si riescono a mala pena a teneredurante le Campagne, mantenuti e addestrati

sia in tempo di pace che in tempo di guerra,mentre ai suoi tempi bastava avere un pugnodi uomini per far prova di forza e per metterein atto le grandi imprese, e le truppe eranocongedate a guerra finita. Al posto di quellearmature di ferro, di quelle lance, di quegliarchibugi a ruota, troverebbe delle divise diordinanza, dei fucili e delle baionette, deisistemi nuovi per accamparsi, per assediare,

per combattere, e l’arte di far sussistere delletruppe, altrettanto necessaria ai tempi nostridi quanto non potesse essere allora l’arte disopraffare il nemico. Ma cosa non direbbeMachiavelli stesso, se potesse vedere la nuovacomposizione del corpo politico dell’Europa,tanti grandi principi che vi sono attualmentenel mondo, e che allora non esistevanoaffatto? La potenza dei re solidamente

affermata, il modo di negoziare dei sovrani, equesto bilanciamento in Europa checontrappone agli ambiziosi l’alleanza dialcuni principi molto potenti, e che ha loscopo di ottenere la pace nel mondo?

Tutto ciò ha provocato un cambiamentocosì generale e universale, da rendere lamaggior parte delle massime di Machiavelliinapplicabile alla nostra politica moderna; è

appunto quello che indica principalmentequesto capitolo, e ne citerò qualche esempio.

Machiavelli afferma “che un principe ilcui paese è molto esteso, e che possiedeinoltre molti soldi e delle truppe, puòsostenersi con le proprie forze, senza l’aiutodi nessun alleato, contro gli attacchi dei suoinemici”.

È ciò che mi permetto di contraddire.

Dirò di più, io sostengo che un principe, perquanto possa essere temuto, non sarebbe ingrado di resistere da solo a dei nemici

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potenti, e che avrebbe senz’altro bisognodell’aiuto di alcuni alleati. Se il piùformidabile, il più potente principe d’Europa,Luigi XIV, stava quasi per soccombere nella

guerra di successione di Spagna, e che permancanza di alleati non riuscì quasi più aresistere all’unione di tanti re e principi cheritenevano di poterlo battere, a maggiorragione qualsiasi sovrano inferiore a lui nonpotrà restare isolato e privato di alleatipotenti, senza rischiare troppo.

Si dice, e ciò viene ripetuto senza tropporiflettere, che i trattati sono inutili, poiché

non si adempiono mai tutti gli articoli, e chenel nostro secolo le cose non sono moltocambiate in quel senso rispetto ai secoliprecedenti. Io posso rispondere a coloro chela pensano in questo modo, che non dubitoaffatto che possano trovare degli esempiantichi, e anche molto recenti, di principi chenon hanno fatto fronte ai loro impegni, mache peraltro è sempre molto vantaggioso

stipulare dei Trattati. Gli Alleati che viprocurerete saranno tutti nemici in meno, ese anche non vi fossero di grande aiuto,potrete sempre costringerli a restare neutralialmeno per un certo periodo di tempo.

Machiavelli parla poi dei “principini”,cioè di quei sovrani in miniatura che, nonavendo che dei piccoli Stati, non possonomettere in piedi un’armata per una

campagna. L’autore insiste molto sul fatto cheessi debbano fortificare le loro capitali, inmodo da potervisi rinchiudere con le lorotruppe in tempo di guerra.

I principi italiani di cui parla Machiavellinon sono altro che degli ermafroditi, sovranie privati nello stesso tempo; essi non recitanola parte dei gran signori che con i lorodomestici, e ciò che si potrebbe consigliare

loro di meglio sarebbe, mi pare, di diminuirein un certo senso l’opinione eccelsa chehanno della loro grandezza, dell’estrema

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venerazione che hanno per la loro razzaillustre e antica, e dello zelo inviolabile chehanno per i loro stemmi. Le persone di buonsenso dicono che sarebbe meglio apparire al

mondo come dei signori che si sentono moltoa loro agio, di abbandonare una buona volta itrampoli su cui li fa salire il loro orgoglio, ditenere unicamente un corpo di guardiasufficiente per scacciare i ladri dal lorocastello nel caso in cui ve ne fossero di tantoavidi da cercarvi qualcosa, e di abbattere i bastioni, le mura, e tutto quello che può darl’aria di un fortino alla loro abitazione.

Ed ecco le ragioni: la maggior parte deipiccoli Principi, per esempio quelli dellaGermania, si rovinano per le spese eccessiverispetto alle loro entrate, spese fatte permania di grandezze; vanno in rovina permantenere una vita di lusso, e per vanitàfiniscono in miseria o all’ospedale; non esisteun discendente di tutti i discendenti di uncasato privilegiato che non immagini di

mettersi nei panni di Luigi XIV, costruendo lasua Versailles, circondandosi di favorite,formando interi eserciti.

Esiste al giorno d’oggi un certo principe,appartenente a un nobile casato, che, permania di grandezze, organizza la sua servitùcome le truppe che proteggono il palazzo diun grande Re, e le proporzioni di tali truppesono così minuscole, che occorrerebbe un

microscopio per notarne ogni presidio; il suoesercito sarebbe forse abbastanza numerosoda poter rappresentare una battaglia alTeatro di Verona.

Ho anche detto che i piccoli Principisbagliavano a fortificare le loro residenze, e laragione è molto semplice; non potrebberoessere assediati dai loro simili, poiché i vicini,più potenti di loro, si occupano

principalmente dei loro litigi e propongonoloro una mediazione che non possonorifiutare; così, evitando spargimenti di

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sangue, le loro piccole discussioni vengonorisolte con due tratti di penna.

A cosa servirebbero dunque le lorofortificazioni? Quand’anche fossero in grado

di sostenere un assedio lungo quanto quellodi Troia, contro i loro minuscoli nemici, nonpotrebbero mai sostenerne uno come quellodi Gerico, di fronte alle armate di un potentemonarca. Se d’altronde vi sono grandipotenze nel vicinato, non sono loro chepossono decidere di restare neutrali, osarebbero completamente rovinati. E seappoggiano il partito di una delle potenze

 belligeranti, la loro capitale diverrà base diguerra di quel principe.

L’idea che Machiavelli ci dà delle cittàimperiali in Germania è completamentediversa da ciò che sono ai giorni nostri; basterebbe un petardo, e magari anche unmandato dell’imperatore, per impadronirsi ditali città. Esse sono infatti mal fortificate, lamaggior parte con delle mura antiche,

fiancheggiate in alcuni punti da grandi torri,e circondate di fossati, ora quasicompletamente colmati di terra precipitata.Hanno poche truppe, e quelle che hannosono indisciplinate; i loro ufficiali sono inmaggior parte rifiuti della società o anzianiche non sono più in grado di servire. Alcunedelle città imperiali hanno un’artiglieriaabbastanza valida; ma questa non sarebbe

sufficiente per opporsi all’imperatore, che hal’abitudine di mettere spesso a dura prova laloro debolezza. Concludendo, fare la guerra,organizzare delle battaglie, attaccare odifendere delle fortezze sono coseunicamente alla portata dei grandi sovrani, ecoloro che vogliono imitarli senza averne lapotenza assomigliano a colui che imitava ilsuono del tuono, credendo di essere Giove.

CAPITOLO XI

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Dei Principati Ecclesiastici.

Non penso che nell’Antichità vi sianostati dei Preti che sono diventati sovrani. Mi

sembra che fra tutti i popoli di cui ci è statatramandata qualche notizia non vi siano chegli Ebrei che hanno avuto una serie diPontefici dispotici. Non mi sorprende il fattoche nella più superstiziosa e la più ignorantedi tutte le nazioni barbare, quelli che eranoalla testa della Religione si fossero infineimpadroniti della conduzione degli affari; main tutte le altre nazioni mi sembra che i preti

si occupassero unicamente delle lorofunzioni. Facevano sacrifici, ricevevano unostipendio, avevano alcune prerogative; perònon insegnavano e non governavano; e pensoche, non avendo essi né dogmi per dividere ipopoli nè potenza per poterne abusare, pertale motivo non vi siano mai state in nessunanazione delle guerre di religione.

Quando l’Europa durante la decadenza

dell’Impero Romano divenne un’anarchia di barbari, tutto fu diviso in mille piccolesovranità; molti vescovi divennero principi, efu appunto il vescovo di Roma che diedel’esempio. Pare che sotto quei governiecclesiastici i popoli vivessero felici; poichédei principi eletti, dei principi allevati in vistadi una sovranità in età avanzata, dei principiinfine i cui Stati sono molto limitati, come

quelli degli ecclesiastici, devono governare iloro sudditi, se non con la religione, maalmeno con la politica.

È un fatto che in nessun paese vi sianopiù Mendicanti che in quelli dei preti. È lì chepossiamo avere un quadro commovente ditutte le miserie umane, non di quei poveriattratti dalla generosità e dall’elemosina deisovrani, di quei parassiti che si attaccano ai

ricchi e che strisciano verso l’opulenza, ma diquei pezzenti famelici, che la carità del loro

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Sovrano priva anche del necessario, perprevenire la corruzione e gli abusi in cui ilpopolo sfocia partendo dal superfluo.

Sono senz’altro le leggi di Sparta, dove i

soldi erano proibiti, su cui si fondano iprincipi della maggior parte di quei governiEcclesiastici; tenendo presente però che iprelati si riservano l’uso dei beni di cui isudditi sono stati privati. Beati i poveri, essidicono, poiché di loro sarà il Regno dei cieli;e poiché vogliono che tutti siano salvati, sipreoccupano di renderli tutti poveri.

Non dovrebbe esservi nulla di più

edificante della storia dei Capi della Chiesa edei Vicari di Gesù Cristo, ci si convince ditrovarvi degli esempi di costumiirreprensibili e sacri; Tuttavia è esattamente ilcontrario, non vi sono che oscenità, abomini efonti di scandalo, ed è impossibile leggere lavita dei Papi senza detestare a più riprese leloro crudeltà e le loro perfidie.

A grandi linee, vi leggiamo la loro

ambizione usata per aumentare la loropotenza temporale e spirituale, la loroavarizia nel sottrarre al popolo i suoi beni eaccumularli nelle loro famiglie per arricchirei loro nipoti, le loro amanti o i loro bastardi.

Quelli che leggono senza tropporiflettere troveranno strano che i popolisopportino con tanta docilità e pazienzal’oppressione di questo genere di sovrani, che

non sappiano aprire gli occhi sui vizi e suglieccessi degli ecclesiastici, e che subiscano daparte di una testa che ha una tonsura ciò chenon potrebbero subire da parte di una testauna corona d'alloro. Questo fenomenosembra meno strano a coloro che conosconoil potere della superstizione sugli idioti, e delfanatismo sullo spirito umano; essi sanno chela Religione è una macchina antica, che non

si consumerà mai, e di cui ci si è serviti inogni tempo per assicurarsi la fedeltà deipopoli, e per mettere un freno all’indocilità

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della ragione umana; sanno che l’errore puòaccecare gli uomini più perspicaci, e che nonvi è nulla di più trionfante della politica dicoloro che usano il cielo e l’inferno, Dio e i

dannati per raggiungere i loro scopi. Tant’èvero che la Religione stessa, che è la fonte piùpura di tutti i nostri beni, diventa spesso, acausa di un abuso veramente deplorevole,l’origine e il principio di tutti i nostri mali.

L’Autore osserva molto giudiziosamenteciò che contribuì maggiormenteall’elevazione del sacro seggio. Ne attribuiscela ragione principale all’abile condotta di

Alessandro VI, di quel Pontefice che spinseall’eccesso la sua crudeltà e la sua ambizione,e che non conosceva altra giustizia che il suointeresse personale.

Ora, se è vero che uno degli uomini piùcrudeli che abbia mai portato la Tiara siacolui che ha maggiormente affermato lapotenza dei Papi, cosa dobbiamo pensaredegli eroi di Machiavelli?

L’elogio di Leone X conclude questocapitolo. L’ambizione, le dissolutezze, e lamancanza di religione di quel papa sono bennote. Machiavelli non lo loda particolarmenteper queste qualità, ma gli fa la corte: similiprincipi meritavano simili cortigiani. Se nonapprezzasse Leone decimo in quantomagnifico Principe e restauratore delle Arti,avrebbe anche ragione; ma egli lo loda in

quanto Politico.

CAPITOLO XII

Quanti tipi di eserciti vi sono, e quanto valgono le milizie mercenarie.

Tutto è vario nell’Universo; itemperamenti degli uomini sono differenti, e

la natura produce la stessa varietà, se possoesprimermi in tal modo, nei temperamentidegli Stati. In generale, per temperamento di

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uno Stato, intendo la sua situazione, la suasuperficie, la popolazione e la suaintelligenza, il suo commercio, le sueabitudini, le sue leggi, il suo forte e il suo

debole, le sue ricchezze e le sue risorse.Questa differenza di governo è molto

sensibile; è infinita, se si vuole scendere finoagli infimi dettagli, e come i dottori nonconoscono alcun segreto che possa guarirequalsiasi malattia e qualsiasi temperamento,così i politici non saprebbero prescriveredelle regole generali la cui applicazione vada bene per qualsiasi forma di governo.

Questa riflessione mi porta adesaminare il pensiero di Machiavelli sulletruppe straniere e mercenarie. L’autore nerifiuta interamente l’uso, basandosi su degliesempi secondo i quali egli sostiene che talitruppe hanno portato più danni che vantaggiagli Stati che ne hanno fatto uso.

È un fatto provato, e l’esperienza l’hadimostrato, che le truppe migliori per uno

stato sono quelle nazionali. Si potrebbe citarecome esempio la resistenza valorosa diLeonida alle Termopili, e soprattutto iprogressi sorprendenti dell’Impero Romanoe degli Arabi. Questa massima di Machiavellipuò dunque andar bene per tutti i paesi chehanno molti abitanti e che possono quindifornire un numero sufficiente di soldati perassicurarne la difesa. Sono convinto, some

del resto l’autore, che lo Stato è mal servitodalle truppe mercenarie, e che la fedeltà e ilcoraggio dei soldati reclutati nel paese stessoli sorpassa di gran lunga. È soprattutto moltopericoloso lasciar languire i propri sudditinell’inattività e lasciarli rammollire neiperiodi in cui le fatiche della guerra e icombattimenti rendono i loro vicini piùagguerriti.

Si è notato più di una volta che gli Statiche escono dalle guerre civili sono risultatimolto superiori ai loro nemici, poiché

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chiunque può diventare un soldato nellaguerra civile, poiché il merito si distingueindipendentemente dal gusto, poiché tutti italenti si sviluppano e gli uomini si abituano

a tirar fuori tutto ciò che hanno in sè in fattodi arte e di coraggio.

Vi sono peraltro dei casi in cui pare visiano eccezioni a tali regole. Se dei Regni odegli Imperi non producono un numero diuomini sufficiente per poter formare deglieserciti, e se la guerra ne riduce il numero,per necessità si deve ricorrere ai Mercenari,come unico mezzo per sopperire ai bisogni

dello Stato.Si trovano allora degli espedienti che

eliminano la maggior parte delle difficoltà; e,cosa che Machiavelli trova bizzarra in questotipo di eserciti, si mescolano accuratamentegli Stranieri ai nazionali, per impedire loro difare banda a parte, e per addestrarli con lastessa disciplina e alla stessa fedeltà; e si faparticolarmente attenzione al fatto che il

numero degli Stranieri non superi il numerodei nazionali.

Vi è un Re del Nord, il cui esercito ècomposto da quel tipo di miscuglio, e chenon è pertanto meno potente né menoformidabile. La maggior parte delle truppeeuropee è composta da nazionali e damercenari. Quelli che coltivano la terra, quelliche abitano in città, visto che pagano una

certa tassa per mantenere le truppe chedevono difenderli, non vanno più in guerra. Isoldati non rapprensentano che la parte piùvile dei popoli, dei fannulloni chepreferiscono l’ozio al lavoro, dei depravatiche cercano di trovare la permissività el’impunità fra le truppe, dei giovaniscervellati che si ribellano ai genitori, che siarruolano per leggerezza. Tutti questi hanno

la stessa mancanza di simpatia e diattaccamento per il loro padrone che queisoldati stranieri. Come sono diverse quelle

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truppe dai Romani che hanno conquistato ilmondo! Queste diserzioni, così frequenti aigiorni nostri in tutti gli eserciti, eranocompletamente sconosciute presso i Romani.

Quegli uomini, che combattevano per le lorofamiglie, per i loro penati, per la borghesiaRomana, e per tutto ciò che avevano di piùcaro nella vita, non pensavano certo a tradiretanti interessi congiunti con una vilediserzione.

La sicurezza dei grandi principid’Europa consiste nel fatto che le loro truppesono più o meno simili, e che non hanno

nessun vantaggio gli uni rispetto agli altri.Soltanto le truppe Svedesi comprendono borghesi, contadini e soldati insieme; inquesto caso però, quando vanno in guerra,non resta quasi nessuno all’interno del paeseper coltivare la terra. Quindi la loro potenzanon è notevole, perché alla lunga nonottengono nulla senza rovinare se stessi piùche i loro nemici.

Questo per ciò che riguarda i mercenari.Quanto al modo in cui un grande principedeve fare la guerra, mi schiero totalmentedalla parte di Machiavelli Infatti un grandeprincipe deve occuparsi personalmente dellesue truppe, restare presso il suo Esercitocome se fosse il suo luogo di residenza,poiché là sono i suoi interessi, il suo dovere,la sua gloria; egli è il capo della giustizia

distributiva, e nello stesso tempo è ilprotettore e il difensore del suo popolo; deveconsiderare la difesa dei suoi Sudditi come loscopo principale del suo ministero, chequindi non può essere affidato che a luistesso.

 È nel suo stesso interesse che devetrovarsi di persona di fianco al suo esercito,poiché tutti gli ordini provengono da lui, e

quindi il consiglio e l’esecuzione sisusseguono con estrema rapidità. La suapresenza mette anche fine

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all’incomprensione dei generali, così funestaper gli eserciti, e così dannosa per gliinteressi del padrone; crea più ordine in tuttociò che riguarda gli arsenali, le munizioni e i

rifornimenti di guerra, senza i quali unCesare, alla testa di centomila combattenti,non potrà fare mai niente. Dato che è ilprincipe che ordina di dare battaglia, neconsegue che è lui che deve dirigerne losvolgimento e comunicare con la suapresenza lo spirito di valore e di sicurezzaalle sue truppe; è alla testa dei suoi soldatiper dar loro l’esempio.

Certo, mi si potrà obiettare che non tuttihanno l’anima del soldato, e che moltiprincipi non hanno né il talento nél’esperienza né il coraggio necessari percomandare un esercito. Questo è vero,l’ammetto; questa obiezione però non mimette in imbarazzo più di tanto, poiché visono sempre dei validi Generali in unesercito, e il principe non deve fare altro che

seguire i loro consigli, così la guerra saràancora più valida di quando il Generale sitrova sotto la tutela del Ministero, che, nonessendo sul luogo della battaglia, non è ingrado di giudicare la situazione, e spessoimpedisce al più abile generale di esprimereil meglio delle sue capacità.

Terminerò questo capitolo, non senzasottolineare una frase di Machiavelli che mi è

sembrata molto particolare: “I Veneti, diceva,non avendo fiducia nel Duca di Carmagnolache comandava le loro truppe, furonoobbligati a farlo uscire da questo mondo”.

Vi confesso che non capisco bene cosasignifichi essere obbligati a far uscirequalcuno da questo mondo, a meno che nonsi tratti di tradirlo, avvelenarlo, assassinarlo.È così che il dottore del crimine pensa di

rendere innocenti le azioni più nere e piùcolpevoli, addolcendone i termini.

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I Greci usavano servirsi di perifrasiquando parlavano della morte, poiché nonpotevano sostenere, senza provare un intimoorrore, tutto ciò che il trapasso ha di

spaventoso, e Machiavelli si esprime con unaperifrasi parlando dei delitti poiché il suocuore, ribellandosi al suo spirito, nonriuscirebbe a digerire cruda la moralespregevole che egli insegna.

È molto triste dover arrossire quando cisi mostra agli altri come si è, e quando arrivail momento di fare un esame di coscienza.

CAPITOLO XIII

Delle Truppe ausiliarie, miste e proprie.

Machiavelli spinge l’iperbole ad unpunto estremo, sostenendo che un principeprudente preferirebbe morire con le proprietruppe piuttosto che vincere con degli aiuti

stranieri.Io penso che un uomo che stesse perannegare non darebbe ascolto a coloro chedicono che sarebbe indegno da parte suadovere la vita ad altri che a se stesso, e chequindi dovrebbe morire piuttosto cheafferrare la corda o il bastone che gli altri glitendono per trarlo in salvo.

L’esperienza ci dimostra che il primo

istinto dell’uomo è quello dellaconservazione, e il secondo è quello del benessere, cosa che distrugge completamenteil paralogismo enfatico dell’autore.

Se cerchiamo di approfondire questamassima di Machiavelli, troveremo forse chenon è solo di una gelosia estrema chepotrebbero soffrire i principi, ma anche dellaloro gelosia nei confronti dei loro generali, o

piuttosto verso le truppe ausiliarie, a cui nonvolevano ricorrere per timore di dovercondividere la loro gloria, il che è sempre

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stato dannoso per i loro interessi. Un’infinitàdi battaglie sono state perse per questaragione, e le piccole gelosie hanno spessocagionato più problemi ai principi, che non il

numero superiore e i vantaggi dei loronemici.

Un principe non deve assolutamentefare la guerra soltanto con le truppeausiliarie, ma deve essere lui stesso ausiliario,e mettersi in condizione di dare tanto aiutoquanto ne riceve. Ecco che cosa insegna laprudenza: Mettiti in condizioni di nontemere né i tuoi nemici né i tuoi amici, ma

quando hai stipulato un trattato devi restarvifedele. Finché l’Impero, l’Inghilterra el’Olanda si sono uniti contro Luigi XIV,finché il principe Eugenio e Marlbourougsono rimasti uniti, hanno sempre vinto. Manon appena l’Inghilterra ha abbandonato isuoi Alleati, Luigi XIV si è risollevato.

Le Potenze che possono fare a meno ditruppe miste o di truppe ausiliarie hanno

ragione di escluderle dai loro eserciti; madato che pochi principi d’Europa si trovanoin un simile situazione, penso che nonrischino nulla con le truppe ausiliarie, finchéle truppe nazionali sono superiori di numero.

Machiavelli scriveva solo per dei piccoliprincipi, e confesso che non trovo che piccoleidee; in lui non c’è nulla di grande né di veroperché non è una persona onesta.

Chi non fa la guerra che per altri èsoltanto un debole; chi la fa insieme ad altri èmolto forte.

Senza parlare della Guerra del 1701degli Alleati contro la Francia: l’impresa concui tre Re del Nord spogliarono Carlo XII diuna parte dei suoi Stati in Germania fucondotta a termine con truppe appartenenti adiversi padroni, riuniti con Alleanze; e la

guerra del 1734, che la Francia iniziò con ilpretesto di sostenere i diritti di quel re diPolonia sempre eletto e sempre detronizzato,

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fu condotta dai Francesi e dagli Spagnoliuniti ai Savoiardi.

Cosa resta a Machiavelli dopo tantiesempi, e a cosa si riduce l’allegoria delle

armi di Saul, che Davide rifiutò perchétroppo pesanti, quando doveva combattereGolia? Non è che panna montata. Ammettoche gli Ausiliari talvolta danno fastidio aiprincipi; ma mi domando se non si subiscevolentieri un fastidio, quando si possonoguadagnare delle città e delle province.

A proposito di tali ausiliari, egli cerca dispargere il suo veleno sugli Svizzeri che sono

al servizio della Francia. Devo però dire unaparola su quelle truppe coraggiose; poiché èindubbio che i Francesi abbiano vinto più diuna battaglia con il loro aiuto, che essiabbiano reso dei grandi servigi a tale Impero,e che se la Francia congedasse gli Svizzeri e iTedeschi che prestano servizio nella lorofanteria, le sue armate sarebbero molto menotemibili di quanto non siano attualmente.

Questo per quel che riguarda gli erroridi giudizio, ora vediamo quelli della morale.I cattivi esempi proposti ai principi daMachiavelli sono delle cattiverie che nonpotremmo onestamente concedergli; egli citain questo capitolo Gerone di Siracusa che,considerando che le sue truppe ausiliarieerano pericolose sia da tenere sia dacongedare, le fece tagliare tutte a pezzi. Fatti

simili sono rivoltanti quando si trovano citatinella Storia, ma ci si indigna quando sivedono riportati in un libro che dovrebbeservire all’educazione dei principi.

La crudeltà e la barbarie sono spessofatali al popolo, e infatti la maggior parte neha orrore; ma i principi, che la Provvidenzaha posto così al di sopra dei destini del volgo,ne hanno tanto meno avversione, quanto

meno le devono temere: quindi è a tutticoloro che devono governare altri uomini chesi dovrebbe inculcare l’odio per tutti gli abusi

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che potrebbero derivare da un potere senzalimiti.

CAPITOLO XIVDelle istruzioni al Principe riguardo alla Milizia.

Vi è una specie di pedanteria comune atutti i mestieri, che nasce unicamentedall’avarizia e dall’intemperanza di coloroche li esercitano. Un soldato è pedantequando si accanisce troppo sulle minuzie, o

quando è un fanfarone e si dà alDonchisciottismo.L’entusiasmo di Machiavelli in questo

caso espone al ridicolo il suo principe;esagera molto il fatto che il suo principe siaunicamente un soldato; ne fa un veroDonchisciotte, con la testa piena di campi di battaglia, di trinceramenti, dei sistemi diinvestire delle piazzeforti, di costituire linee

di difesa o d'attacco.Un principe però non adempie che allametà dei suoi compiti se si applicaunicamente al mestiere della guerra.Evidentemente è falso che egli non debbaessere che un soldato, e possiamo ricordarequi ciò che ho detto sull’origine dei principinel primo capitolo di quest’opera, e cioè cheessi sono giudici di istituzioni, e se sono

Generali, è un di più. Il principe diMachiavelli è come gli Dei di Omero, chevenivano descritti come molto robusti epotenti, ma mai equi. Quest’autore ignoraanche il catechismo della giustizia, nonconosce che l’interesse e la violenza.

L’Autore non rappresenta altro che dellepiccole idee: il suo genio pieno di sè nontocca che dei soggetti tipici della politica dei

piccoli principi; nulla di più debole delleragioni che adduce per raccomandare lacaccia ai principi. Egli ritiene che i principi

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apprendano con tale mezzo a conoscere lesituazioni e i passaggi dei loro paesi. Se un redi Francia, se un imperatore pretendesse diacquisire in questo modo la conoscenza dei

suoi Stati, occorrerebbe loro tanto tempo nelcorso della loro caccia, quanto ne impiegatutto l’universo per compiere la rivoluzionedei pianeti.

Permettetemi di affrontare piùdettagliatamente questo argomento, che saràuna specie di digressione a proposito dicaccia. Visto che tale divertimento è unapassione quasi comune a tutti i nobili, ai gran

signori e ai re, soprattutto in Germania, misembra che possa meritare una discussione.

La Caccia è uno di quei piaceri sensualiche agitano molto il corpo e che non dicononulla allo spirito; è un desiderio ardente diinseguire qualche animale, e unasoddisfazione crudele di ucciderlo; è undivertimento che rende il corpo robusto e informa, e che lascia lo spirito incolto, senza

per nulla arricchirlo.I cacciatori mi rimprovereranno

indubbiamente di prendere le cose controppa serietà, di fare una critica tropposevera e di mettermi al posto dei preti, cheavendo il privilegio di parlare soli sulpulpito, hanno il vantaggio di poter dire tuttoquello che credono senza suscitare alcunaopposizione.

Non intendo comunque avvalermi diquesto privilegio; elencherò invece le ragionispeciose che adducono gli appassionati dellacaccia. Mi diranno anzitutto che la caccia è ilpiacere più nobile e più antico degli uomini;che fra i cacciatori si annoverano deipatriarchi e parecchi uomini illustri; e checacciando gli uomini continuano adesercitare quello stesso diritto sulle bestie,

che Dio stesso si degnò di concedere adAdamo.

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Ma ciò che è vecchio non è per questomigliore, soprattutto quando è esagerato.Degli uomini illustri sono stati appassionatidi caccia, lo ammetto: avevano anch’essi i

loro difetti e le loro debolezze: cerchiamo diimitare ciò che hanno fatto di grande, e noncopiamo le loro minuzie.

I Patriarchi andavano a caccia, è vero; èanche vero che hanno sposato le loro sorelle,che la poligamia si usava ai loro tempi: maquei buoni Patriarchi cacciavano perchéinfluenzati dalla barbarie dei secoli in cuivivevano, erano molto grossolani e molto

ignoranti; erano gente oziosa che, nonsapendo come impiegare il tempo che parevaloro sempre troppo lungo, ammazzavano lanoia con la caccia, e trascorrevano nei boschi,rincorrendo le bestie, i momenti che nonavevano né la capacità né lo spirito perpassarli in compagnia di persone ragionevoli.Mi chiedo dunque se questi siano degliesempi da imitare, se la grossolanità deve

insegnare l’educazione o se non toccapiuttosto ai secoli illuminati di servire damodello agli altri.

Che Adamo abbia ricevuto il dono dellapadronanza sulle bestie o meno non lo mettoin discussione; ma so per certo che noi siamopiù crudeli e più rapaci delle bestie, e chefacciamo un uso tirannico di questa pretesapadronanza. Se qualcosa dovesse darci un

vantaggio rispetto agli animali, sarebbe senzadubbio la nostra ragione; e quelli cheabitualmente fanno della caccia unaprofessione hanno il cervello riempito dicavalli, di cani e di animali di ogni sorta.Talvolta sono anche grossolani, e c’è pericoloche diventino anche rispetto agli uomini cosìinumani come lo sono verso le bestie, o chealmeno l’abitudine crudele di lasciar soffrire

con tanta indifferenza li renda menocompassionevoli verso le disgrazie dei lorosimili. È questo il piacere la cui nobiltà viene

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tanto proclamata? E questo passatempo èveramente degno di un essere ragionevole?Mi si obietterà che la caccia fa bene allasalute; che l’esperienza dimostra che quelli

che cacciano hanno lunga vita; che è unpiacere innocente che conviene ai grandiSignori, poiché ostenta la loro magnificenza,poiché li distrae dai loro dispiaceri, e che intempo di pace presenta loro le immaginidella guerra.

Sono ben lungi dal condannare unesercizio moderato; ma che si facciaattenzione, poiché l’esercizio è necessario

solo agli intemperanti. Non vi è principe cheabbia vissuto più del cardinale de Fleuri, odel cardinale di Ximene, e del Papa ClementeXIII; eppure questi non erano affattocacciatori. Bisogna quindi scegliere unaprofessione il cui unico merito è dipromettere lunga vita? I monaci vivono disolito più a lungo degli altri uomini, e allora bisogna farsi monaco?

Non occorre che un uomo arrivi all’etàdi Matusalemme trascinando il filo indolentee inutile dei suoi giorni; ma più avràriflettuto, più avrà commesso azioni belle eutili, più a lungo avrà vissuto.

D’altronde la caccia è, fra tutti idivertimenti, quello che meno si adatta aiprincipi, che possono dimostrare la loromagnificenza in cento modi molto più utili ai

loro sudditi, e qualora l’abbondanza diselvaggina dovesse nuocere all’agricoltura,l’incarico di distruggere tali animali potrebbeessere facilmente affidato ai cacciatoriretribuiti per questo scopo. I principi nondovrebbero occuparsi di altro che di istruirsie di governare, per poter aumentare le loroconoscenze e farsi un’idea più precisa dellaloro professione per comportarsi nel migliore

dei modi e ampliare i loro punti di vista. Laloro professione consiste nel pensare bene eagire di conseguenza.

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Devo aggiungere, e soprattuttorispondere a Machiavelli, che non ènecessario essere un cacciatore per essere ungrande capitano. Gustavo-Adolfo, Turenne,

Marlbouroug, il Principe Eugenio, ai qualinon si può negare l’attributo di uominiillustri e abili Generali, non sono mai staticacciatori. Non ci perviene di aver letto cheCesare, Alessandro o Scipione lo siano stati.

Possiamo anche, volendo divagare, faredelle riflessioni più giudiziose e più solidesulle differenti situazioni di un paese perquel che riguarda l’arte della guerra, e cioè

che delle pernici, dei cani da punta, dei cervi,una muta di animali di qualsiasi tipo, el’ardore della caccia possono distrarre. Ungrande principe, che fece la sua secondacampagna in Ungheria, rischiò di essere fattoprigioniero dei Turchi per essersi smarritodurante la caccia. Si dovrebbe anche proibirela caccia negli eserciti, poiché essa provocamolto disordine nelle marce.

Posso quindi concludere che si puòperdonare ai principi di andare a caccia,purché ciò avvenga solo di tanto in tanto, eunicamente per distrarli dalle lorooccupazioni più serie e talvolta anche moltotristi. Non voglio proibire ancora una voltaun piacere onesto: ma la cura di bengovernare, di rendere fiorente il proprioStato, di proteggere, di vedere il successo di

tutte le Arti, è senza dubbio il piacere piùgrande, e guai a colui che cerca altri piaceri!

CAPITOLO XV

Di ciò che dà lode o biasimo agli uomini, e soprattutto ai principi.

I Pittori e gli Storici hanno in comune il

compito di copiare la Natura: i primidipingono i tratti e i colori degli uomini, isecondi i loro caratteri e le loro azioni.

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Vi sono dei pittori particolari, che nonhanno dipinto che Mostri e Demoni;Machiavelli è un pittore di quel genere.Rappresenta l’universo come un inferno, tutti

gli uomini come dei dannati; si direbbe chequesto Politico abbia voluto calunniare tuttoil genere umano con un odio specifico e chesi sia imposto il compito di annientare lavirtù, forse per rendere tutti gli abitanti diquesto continente simili gli uni agli altri.

Machiavelli afferma che non si puòessere fondamentalmente buoni senza perire,tanto il genere umano è scellerato e corrotto.

Io invece sostengo che per non perire bisognaessere buoni e prudenti. Di solito gli uomininon sono mai completamente buoni ocompletamente cattivi, ma i cattivi, i buoni e imediocri riusciranno tutti a formare unprincipe potente, giusto e abile. Preferirei farguerra a un Tiranno che a un buon re, a unLuigi XI che a un Luigi XII, a un Domizianoche a un Traiano; poiché il buon re sarà

servito bene, e i sudditi del tiranno siuniranno alle mie truppe. Se andassi in Italiacon diecimila uomini contro un AlessandroVI, la metà dell’Italia si unirebbe a me; ma sevi entrassi con quarantamila uomini controun Innocenzo XI, tutta l’Italia si ribellerebbecontro di me per uccidermi.

Mai un re buono e saggio è statodetronizzato in Inghilterra da grandi eserciti,

e tutti i loro re malvagi sono crollati peropera di avversari che non avevano iniziato laguerra con quattromila uomini in trupperegolari.

Non essere quindi cattivo con i cattivi,ma sii virtuoso e intrepido con loro: renderaiil tuo popolo virtuoso come te, i vicinicercheranno di imitarti e i cattivi crolleranno.

CAPITOLO XVI

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Della liberalità e dell’economia

Due scultori famosi, Fidia e Alcamene,fecero ciascuno una statua di Minerva, e gli

Ateniesi dovettero scegliere la più bella perporla in cima ad una colonna. Furonopresentate entrambe al pubblico: quella diAlcamene ottenne la maggioranza deisuffragi, poiché l’altra fu giudicata di fatturatroppo grossolana. Fidia non fu per nullasconcertato dal giudizio del pubblico, echiese, visto che le statue erano state fatte peressere poste su una colonna, di collocarle

entrambe in cima. E allora fu quella di Fidiache ottenne il premio.

Fidia dovette il suo successo allo studiodell’ottica e delle proporzioni. Questa regoladelle proporzioni dovrebbe essere osservataanche in politica; le diversità dei luoghicorrispondono alle diversità delle massime;volerne applicare una in generale sarebbecome renderla viziosa: ciò che sarebbe

ammirevole per un grande regno potrebbenon convenire a un piccolo stato. Il lusso chenasce dall’abbondanza e che fa circolare lericchezze in tutti i rami di uno stato, fa fiorireun grande regno. È ciò che fa vivere leindustrie, che moltiplica i bisogni dei ricchi,per legarli ai poveri per mezzo di quei bisogni stessi.

Se qualche abile politico decidesse di

 bandire il lusso da un grande impero, questoimpero finirebbe per languire; il lussofarebbe invece morire un piccolo Stato. I soldiche uscissero dal paese in grandeabbondanza, ma che non rientrassero inproporzione, farebbero cadere quel corpodelicato in una forma di consunzione, e lofarebbero morire riducendolo scheletrico. Èquindi una regola indispensabile a qualsiasi

politico quella di non confondere mai ipiccoli Stati con i grandi, ed è proprio in

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questo che Machiavelli pecca gravemente inquesto capitolo.

La prima colpa di cui devo accusarlo èdi dare alla parola liberalità un senso troppo

vago; egli non distingue infatti abbastanza laliberalità dalla prodigalità. « Un principe,dice, per fare grandi cose deve passare perliberale ed esserlo ». Non conosco nessuneroe che non lo sia stato. Predicare l’avariziasignifica dire agli uomini « non aspettatevinulla da me, pagherò sempre male i vostriservizi »; significa spegnere l’ardore che ognisuddito ha insito per servire il suo principe.

Indubbiamente solo l’uomo economopuò essere liberale; soltanto chi governa isuoi beni con prudenza può fare del beneagli altri.

Conosciamo l’esempio di Francesco I redi Francia, le cui spese eccessive furono inparte causa delle sue disgrazie. I piaceri diFrancesco I assorbirono le risorse della suagloria. Quel re non era liberale ma prodigo, e

verso la fine della sua vita divenne piuttostoavaro. Invece di essere un buonamministratore, mise dei tesori nelle suecasseforti, ma non sono dei tesori che noncircolano che bisogna avere, è un ampioreddito. Qualsiasi privato e qualsiasi re chenon faccia che ammassare, sotterrare soldi,non sa quello che fa; bisogna farlo circolareper essere veramente ricchi. I Medici

ottennero la sovranità di Firenze solo perchéil grande Cosimo, padre della patria,semplice mercante, fu abile e liberale. Ogniavaro è un piccolo genio, e penso che ilcardinale de Retz ha ragione quando dice chenei grandi affari non bisogna mai contare isoldi. Il sovrano deve quindi essere in gradodi procurarsene molti, favorendo ilcommercio e le fabbriche dei suoi sudditi, in

modo da poterne spendere molti in modooculato; sarà così amato e stimato.

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Machiavelli dice che la liberalità lorenderà disprezzabile, ecco cosa potrebbedire un usuraio; ma è così che deve parlareun uomo che si picca di dare delle lezioni ai

principi?

CAPITOLO XVII

Della crudeltà e della clemenza, e se sia meglio essere amati che temuti.

Il deposito più prezioso che si possaconfidare ai principi è la vita dei loro sudditi:

il loro incarico dà loro il potere dicondannare a morte i colpevoli o diperdonarli; essi sono gli arbitri supremi dellagiustizia.

I buoni principi considerano quel poteretanto decantato sulla vita dei loro sudditicome il peso più grave della loro corona.Sanno che sono uomini come quelli chedevono giudicare, sanno che dei torti, delle

ingiustizie, delle ingiurie possono sempreessere riparati a questo mondo, ma che unacondanna a morte precipitosa è un maleirreparabile. Cercano di essere severi perevitare un rigore più increscioso di quantoprevisto se agiscono altrimenti; nonprendono quelle tristi decisioni che in casidisperati, esattamente come un uomo cheabbia un membro in cancrena e, malgrado

ami molto il suo corpo, acconsenta alasciarselo tagliare, per garantire e persalvare il resto del corpo con tale operazionedolorosa.

Machiavelli considera inezie delle cosecosì gravi, così serie, così importanti. Secondolui la vita umana non conta niente, el’interesse, il solo Dio che egli adora, contaper tutto. Preferisce la crudeltà alla clemenza,

consiglia a coloro che sono appena statielevati alla sovranità di trascurare più deglialtri la reputazione di essere crudeli.

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Sono dei boia che fanno salire al tronogli eroi di Machiavelli e che ve limantengono. Cesare Borgia è il rifugio diquesto politico quando cerca degli esempi di

crudeltà.Machiavelli cita ancora alcuni versi che

Virgilio mette in bocca a Didone; ma questacitazione è decisamente fuori luogo, poichéVirgilio fa parlare Didone come qualcuno faparlare Giocasta nella Tragedia di Edipo. Ilpoeta attribuisce a quei personaggi unlinguaggio consono al loro carattere; non èquindi l’autorità di Didone né l’autorità di

Giocasta che deve essere usata in un trattatodi politica, occorre l’esempio dei grandiuomini e di uomini virtuosi.

La politica prescrive soprattutto il rigorenei confronti delle truppe. Opponel’indulgenza di Scipione alla severità diAnnibale, preferisce i Cartaginesi ai Romani,e conclude subito che la crudeltà è il moventedell’ordine, della disciplina e di conseguenza

dei trionfi di un esercito.Machiavelli non agisce in buona fede in

quest’occasione, poiché sceglie Scipione, ilpiù molle di tutti i generali quanto adisciplina, per contrapporlo ad Annibale eper favorire la severità.

Ammetto che l’ordine di un’armata nonpossa sussistere senza severità: come infatti sipotrebbero controllare dei libertini, dei

traviati, degli scellerati, dei poltroni, deitemerari, degli animali grossolani cheagiscono meccanicamente, se la paura di uncastigo non li frenasse in parte? Tutto ciò chechiedo a Machiavelli su questo argomento èun pò di moderazione. Che sappia dunqueche se la clemenza di un uomo onesto loconduce alla bontà, anche la saggezza loporta al rigore. Ma questo rigore va trattato

come quello di un abile pilota: si devonotagliare gli alberi e i cordami della sua barcasolo quando c’è un pericolo imminente,

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quando viene esposta al temporale e allatempesta. Vi sono casi in cui occorre essereseveri, ma mai crudeli; e in un giorno di battaglia preferirei essere amato piuttosto che

temuto dai miei soldati.Giungo ora al suo argomento più

capzioso. Egli dice che un principe guadagnadi più a farsi temere che a farsi amare, poichéla maggior parte della gente è portataall’ingratitudine, al cambiamento, alladissimulazione, alla vigliaccheria eall’avarizia; che l’amore è un legamed’obbligo che la malizia e la bassezza del

genere umano hanno reso molto fragile;mentre il timore del castigo rende la gentepiù conscia del suo dovere; che gli uominisono padroni della loro benevolenza ma chenon lo sono del loro timore. Quindi, che unprincipe dipenderà da lui stesso piuttosto chedagli altri.

Non nego che non vi siano degli uominiingrati e subdoli al mondo, non nego che la

severità non sia in alcuni casi molto utile; masostengo che ogni re, la cui politica non abbiaaltro scopo che quello di farsi temere, regneràsu delle città schiave; che non potrà ottenereazioni grandiose dai suoi sudditi; che tuttociò che è fatto per timore e per timidezza neha sempre mantenuto i caratteri. Io dico cheun principe che abbia il dono di farsi amareregnerà sui cuori, poiché i suoi sudditi

troveranno il loro interesse nell’averlo comecapo, e che vi sono molti esempi nella storiadi grandi e belle azioni fatte per amore e perattaccamento. Dico anche che la moda dellesedizioni e delle rivoluzioni pare siatramontata definitivamente ai nostri giorni.Non vedo nessun regno, tranne l’Inghilterra,in cui il re abbia motivo di temere i suoisudditi: anche il Re d’Inghilterra non ha nulla

da temere a meno che non sia lui che suscitala tempesta. Ne concludo quindi che unprincipe crudele si espone a essere tradito

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più che un principe bonario, poiché lacrudeltà è insopportabile, ci si stanca prestodi temerla; e dopo tutto perché la bontà èsempre piacevole e non ci si stanca mai di

amarla.Dovremmo quindi augurarci per la

felicità del mondo che i principi siano buoni,senza essere troppo indulgenti, perché la bontà sia sempre una virtù per loro, e maiuna debolezza.

CAPITOLO XVIII

Se i principi debbano mantenere la parola data.

Il Precettore dei Tiranni osa affermareche i principi possono approfittarsi dellagente con le loro finzioni: comincerò da qui adisputarlo.

Sappiamo fino a che punto il Pubblicosia curioso, è un animale che vede tutto,

sente tutto e divulga tutto ciò che ha visto esentito. Se la curiosità di quel Pubblicoesamina la condotta dei privati, è peroccupare i suoi ozi; ma quando giudica ilcarattere dei principi è per il suo interesse.Quindi i principi sono esposti airagionamenti e al giudizio del mondo più ditutti gli altri uomini; sono come astri su cuiuna folla di astronomi abbia puntato i suoi

cannocchiali e i suoi astrolabi; i cortigiani cheli osservano fanno ogni giorno le loroosservazioni, « un gesto, un colpo d’occhio,uno sguardo li tradiscono », e la gente siavvicina loro per mezzo di congetture. Inpoche parole, come il sole non puònascondere le sue macchie, così i grandiprincipi non possono celare i loro vizi e lavera essenza del loro carattere agli occhi di

tanti osservatori.Quand’anche la maschera delladissimulazione potesse coprire per un certo

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tempo la deformità naturale di un principe,egli non potrebbe comunque tenere incontinuazione tale maschera, e se pure latogliesse talvolta, non fosse che per respirare,

 basterebbe una sola occasione peraccontentare i curiosi.

L’astuzia e la dissimulazione potrannoquindi dimorare invano sulle labbra di quelprincipe, la furbizia nei discorsi e nelle azionigli sarà del tutto inutile, poiché non sigiudicano gli uomini dalle parole, in quantosi potrebbe sempre sbagliare, maconfrontando le loro azioni e i loro discorsi;

la falsità e la dissimulazione non avrannoalcun valore in questo paragone sempreripetuto.

Si può recitare bene soltanto il proprioruolo, e occorre avere realmente il carattereche il mondo vi attribuisce: altrimenti, quelliche pensano di farsi gioco del pubblico nesaranno essi stessi le vittime.

Sisto Quinto, Filippo II, Cromwell

furono considerati dal mondo uomini ipocritie intraprendenti, ma mai virtuosi. Unprincipe, per quanto abile sia, non può, ancheseguendo tutte le massime di Machiavelli,attribuire una virtù che non possiede aidelitti che gli sono propri.

Machiavelli non ragiona meglio suimotivi che devono condurre i principi allafurbizia e all’ipocrisia. L’applicazione

ingegnosa e falsa della favola del centauronon conclude nulla; infatti, se quel centauroaveva mezza figura umana e mezza equina,ciò significa forse che i principi devono essereastuti e feroci? Occorre avere molta voglia didogmatizzare il crimine, quando si usanodelle argomentazioni così deboli e cosìremote.

Ma ecco un ragionamento più falso

ancora di tutti quelli visti sinora. Il politicodice che un principe deve possedere lequalità del leone e della volpe; del leone per

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disfarsi dei lupi, della volpe per essere furbo,e conclude dicendo: « il che dimostra che unprincipe non è obbligato a mantenere la suaparola ». Ecco una conclusione senza

premesse: il Dottore del crimine non sivergogna di balbettare in questo modo lelezioni di empietà?

Se si volesse attribuire probità e buonsenso ai pensieri confusi di Machiavelli, eccopiù o meno come si potrebbero svolgere. Ilmondo è come un gioco, in cui si trovano deigiocatori onesti, ma anche dei furbi che barano: perché un principe che deve

partecipare a quel gioco non sia imbrogliato,occorre che sappia come barare, non per farloegli stesso, ma per non diventare il bersagliodegli imbrogli altrui.

Ma torniamo ai difetti del nostroPolitico. « Dato che tutti gli uomini – dice –sono degli scellerati, e non mantengono maila parola data, voi non siete affatto tenuti amantenere la vostra ». Ecco già una

contraddizione; poiché l’autore dice unmomento dopo che gli uomini subdolitroveranno sempre degli uomini tantoingenui di cui potersi approfittare.

È anche falso sostenere che il mondo èfatto solo di scellerati. Bisogna proprio esseremisantropi per non rendersi conto che inqualsiasi Società vi sono persone oneste, eche la maggior parte di esse non sono né

 buone né cattive. Ma se Machiavelli nonavesse pensato che il mondo è scellerato, sucosa avrebbe basato la sua abominevolemassima?

Quand’anche dovessimo supporre chegli uomini siano così cattivi come pensaMachiavelli, ciò non significherebbe che noidobbiamo imitarli. Se Cartouche ruba,saccheggia, assassina, ne concludo che

Cartouche è un disgraziato che va punito, enon che io debba regolare il miocomportamento sul suo. Se non vi fosse più

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onore né virtù al mondo, diceva Carlo ilSaggio, dovremmo ricercarne le tracce pressoi principi.

Dopo aver provato la necessità del

crimine, l’Autore vuole incoraggiare i suoiDiscepoli dimostrando la facilità dicommetterlo. Coloro che hanno bene appresol’arte di fingere, dice, troveranno sempredegli uomini tanto ingenui da lasciarsiimbrogliare; quindi, il vostro vicino è unosciocco, e voi siete svelti: perciò doveteimbrogliarlo perché lui è uno sciocco. Sonodei sillogismi per cui dei seguaci di

Machiavelli sono stati impiccati e sottoposti atortura.

Il Politico, non contento di averdimostrato, secondo il suo modo diragionare, la facilità del crimine, sottolineapoi la gioia della perfidia; ma la cosaspiacevole è che Cesare Borgia, il più grandescellerato, il più perfido degli uomini, quelCesare Borgia è stato effettivamente molto

infelice. Machiavelli si guarda bene dalparlare di lui in quell’occasione, poiché glioccorrevano degli esempi; ma dove avrebbepotuto cercarli se non nel registro deiprocessi criminali o nella storia dei cattiviPapi e dei Neroni? Egli assicura cheAlessandro VI, l’uomo più falso, più empiodel suo tempo, ebbe sempre successo nellesue imposture, poiché sapeva perfettamente

che la debolezza degli uomini era la lorocredulità.

Mi permetto di assicurarvi che non sitrattava tanto della credulità degli uominiquanto di certi avvenimenti e di alcunecircostanze che fecero riuscire talvolta iprogetti di quel Papa: il contrasto delleambizioni Francese e Spagnola, la disunionee l’odio delle famiglie italiane, le passioni e la

debolezza di Luigi XII vi contribuirono più ditutto.

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L’impostura è anche un difetto nello stiledella politica, quando è spinta all’eccesso.Cito qui l’autorità di un grande Politico, donLuigi de Haro, che diceva del Cardinale

Mazarino che aveva un grande difetto inpolitica, e cioè che voleva sempre ingannare.Volendo Mazarino spingere Monsieur deSaber ad una trattativa scabrosa, ilMaresciallo de Saber gli disse: “Permettete,Monsignore, che io rifiuti di ingannare ilDuca di Savoia, tanto più che si tratta solo diuna bazzecola, il mondo sa che io sono unuomo onesto, tenete quindi da parte la mia

probità per un’occasione in cui sarà in giocola salvezza della Francia”.

Non parlo ora dell’onestà né della virtù;ma prendendo in considerazione solol’interesse dei principi, io dico che è unapolitica molto sbagliata da parte loro di fare ifurbi e di ingannare il mondo. Potrannoingannare una volta sola, e ciò farà perdereloro la fiducia di tutti i principi.

Una certa Potenza dichiarò da ultimo inun Manifesto le ragioni del suocomportamento, e poi agì in manieracompletamente opposta. Confesso che deimodi di agire così palesi come quelloalienano completamente la fiducia; infatti,più la contraddizione si segue da vicino, piùè grossolana. La Chiesa Romana, per evitareuna contraddizione del genere, ha molto

saggiamente deciso che coloro che sono inodore di santità possano essere fatti santisolo cento anni dopo la loro morte; così ilricordo delle loro stravaganze e dei lorodifetti morirà con loro; i testimoni della lorovita e quelli che potrebbero deporre contro diloro non saranno più in vita, e così nulla siopporrà all’idea di Santità che si vuole dareal Pubblico.

Spero che mi si perdonerà questadigressione. Confesso inoltre che vi sonodelle necessità spiacevoli per cui un principe

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non possa fare a meno di rompere i suoitrattati e le sue Alleanze; egli dovrà peròsepararsene onestamente avvertendo intempo i suoi alleati, e soprattutto non

arrivare mai a tali estremi senza esserneobbligato dalla salvezza dei suoi popoli o dauna imprescindibile necessità.

Terminerò questo capitolo con una solariflessione. Che si noti la fecondità con cui ivizi si propagano fra le mani di Machiavelli.Egli vuole che un Re incredulo incoroni lasua incredulità con l’ipocrisia, pensa che ipopoli saranno più colpiti dalla devozione di

un principe che non rivoltati per i cattivitrattamenti che subiranno da lui. Vi sonopersone che concordano con Machiavelli; perquanto mi riguarda, io penso che si puòessere indulgenti verso degli errori dispeculazione, quando tali errori noncomportano la corruzione del cuore comeconseguenza, e che il popolo amerà più unprincipe scettico ma onesto e che li rende

felici, che non un ortodosso scellerato emalefico. Non sono i pensieri dei principi chefanno la felicità degli uomini, ma le loroazioni.

CAPITOLO XIX

Che occorre evitare di essere disprezzati e odiati

La mania dei sistemi non è stata unprivilegio dei filosofi, ma è divenuta anche lafollia dei politici. Machiavelli ne è afflitto piùdi qualsiasi altro, vuole provare che unprincipe deve essere cattivo e furbo; tali sonole parole sacre della sua religione.Machiavelli ha tutta la cattiveria dei mostriche ha annientato Ercole, non ne ha però la

forza: quindi non occorre avere la clava diErcole per abbatterlo; infatti, cosa c’è di piùsemplice, di più naturale, di più consono ai

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principi della giustizia e della bontà? Io noncredo che occorra spremersi inargomentazioni per provarlo. La Politica deveinevitabilmente perdere sostenendo il

contrario. Poiché, se sostiene che un principeconfermato in trono debba essere crudele,furbo, traditore, ecc., lo dichiarerà cattivo inpura perdita: e se vuole attribuire tutti queivizi ad un principe che sale al trono perconfermare la sua usurpazione, l’autore glidà dei consigli che solleveranno tutti isovrani e tutte le Repubbliche contro di lui.Infatti, come potrebbe un privato essere

elevato alla Sovranità se non spossessandoun principe sovrano dei suoi Stati, oppureusurpando l’autorità di una Repubblica? Nonè certo così che l’intendono i principidell’Europa. Se Machiavelli avesse compostouna raccolta di imposture ad uso dei ladri,non avrebbe fatto un’opera più biasimevoledi questa.

Devo comunque render conto di qualche

ragionamento errato che si trova in questocapitolo. Machiavelli sostiene che ciò cherende odioso un principe è quando egli siappropria ingiustamente dei beni dei suoisudditi, e quando attenta al pudore delle lorodonne. È chiaro che un principe interessato,ingiusto, violento e crudele non potrà evitaredi essere odiato e di rendersi odioso al suopopolo; non è però la stessa cosa per quel che

riguarda la galanteria. Giulio Cesare, che aRoma veniva chiamato il marito di tutte lemogli e la moglie di tutti i mariti; Luigi XIV,che amava molto le donne; Augusto I re diPolonia che le possedeva in comune con isuoi sudditi, questi principi, dicevo, nonfurono odiati per colpa dei loro amori. SeCesare fu assassinato, se la Libertà Romanaaffondò tanti pugnali nel suo fianco, fu solo

perché Cesare era un usurpatore, e non certoperché Cesare era galante.

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Mi si potrebbe obiettare, forse persostenere il sentimento di Machiavelli,l’espulsione dei Re di Roma, per viadell’attentato al pudore commesso contro

Lucrezia; ma a ciò posso rispondere che nonè stato l’amore del giovane Tarquinio perLucrezia, ma la violenza di quell’amore, cheha provocato la ribellione di Roma. Dato chequella violenza ha risvegliato nella memoriadel popolo l’idea di altre violenze commessedai Tarquini, i Romani pensarono seriamentedi vendicarsi, ammesso che l’avventura diLucrezia non fosse che un romanzo.

Non dico ciò per scusare la galanteriadei principi, poiché potrebbe anche esseremoralmente perversa, mi sono soltantolimitato a dimostrare che essa non rendevaodiosi i sovrani. Si considera l’amore nei buoni principi come una debolezzaperdonabile, purché non sia accompagnatada ingiustizie. Si può far l’amore come LuigiXIV, come Carlo II Re d’Inghilterra, come il

Re Augusto; ma non bisogna imitare Neronené Davide.

Ecco, secondo me, una contraddizionedi forma. “La Politica vuole che un principesi faccia amare dai suoi sudditi per evitare lecospirazioni”, e nel capitolo XVII dice che“un principe deve cercare anzitutto di farsitemere, poiché può contare su una cosa chedipende da lui, e che non è la stessa cosa per

quel che riguarda l’amore del popolo”. Qualedelle due affermazioni è il vero sentimentodell’Autore? Egli parla il linguaggio deglioracoli, e si può interpretarlo come si vuole;ma quel linguaggio degli Oracoli, sia dettofra noi, è quello dei Furbi.

Devo dire in generale in quest’occasioneche le congiure e gli assassinii non sicommettono quasi più nel mondo. I principi

sono sicuri da quel punto di vista: quei delittisono fuori moda, e le ragioni che adduceMachiavelli sono ottime; tutt’al più vi è solo il

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fanatismo di qualche Ecclesiastico che possafargli commettere un crimine così spaventosoper puro fanatismo.

Fra le cose buone che Machiavelli dice

sull’argomento delle cospirazioni, ve n’è unaparticolarmente buona, ma che diventacattiva se detta da lui: “Un Congiurato, dice,è turbato dal timore delle punizioni che lominacciano e i re sono sostenuti dalla maestàdell’impero e dall’autorità delle leggi”. Misembra che l’Autore politico non sia benpiazzato per parlare di Leggi, lui che nonconsiglia che l’interesse, la crudeltà, il

dispotismo e l’usurpazione. Machiavelli facome i Protestanti, che si servono degliargomenti degli increduli per combattere latransustanziazione dei Cattolici, e si servonodegli stessi argomenti con cui i Cattolicisostengono la transustanziazione percombattere gli increduli. Machiavelliconsiglia ai principi di farsi amare, diriguardarsi per questo motivo, e di

guadagnarsi ugualmente la benevolenza deigrandi e dei popoli. Ha ragione di consigliareloro di scaricare sugli altri ciò che potrebbeattirare loro l’odio di uno di quei due stati, edi stabilire a questo scopo dei magistratigiudici fra il popolo e i grandi; prende comemodello il governo Francese. Quell’amicoindignato del dispotismo e dell’usurpazionedi autorità approva la potenza che i

Parlamenti Francesi avevano un tempo. A mesembra che se c’è un governo la cui saggezzapotrebbe essere citata ad esempio ai giorninostri è quello Inglese. Là il parlamento èarbitro del popolo e del re, e il re ha tutto ilpotere di fare del bene; ma non ne ha affattoper fare del male.

Entra poi in una grande discussionesulla vita degli imperatori romani, da Marco

Aurelio fino ai due Gordiani. Attribuisce lacausa di quei cambiamenti frequenti allavenalità dell’impero; ma quella non è la sola

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causa. Caligola, Claudio, Nerone, Galba,Ottone, Vitellio fecero una brutta fine senzaaver acquistato Roma come Didio Giuliano.La venalità fu infine una ragione di più per

assassinare gli imperatori; ma la vera causadi quelle rivoluzioni è stata la forma digoverno. Le guardie pretoriane divennero ciòche erano state fin dai mammalucchi inEgitto, i giannizzeri in Turchia, gli strelizzi inMoscovia. Costantino distrusse abilmente leguardie pretoriane; ma infine le disgraziedell’Impero esposero ancora i suoi padroniall’assassinio e all’avvelenamento. Osserverò

soltanto che i cattivi imperatori morirono dimorte violenta; ma un Teodosio morì nel suoletto, e Giustiniano visse felice ottantaquattroanni. Ecco su cosa voglio insistere. Nonesistono praticamente dei cattivi principi chesiano felici, e Augusto non fu tranquillo senon quando divenne virtuoso. Il tirannoComodo, successore del divino MarcoAurelio, fu condannato a morte malgrado il

rispetto dovuto a suo padre; Caracalla nonpoté sostenersi per colpa della sua crudeltà;Alessandro Severo fu ucciso per il tradimentodi quel Massimino di Tracia che passa per unGigante; e Massimino, dopo aver scosso tutticon la sua barbarie, fu assassinato a sua volta.Machiavelli sostiene che sia morto per ildisprezzo per le sue umili origini, maMachiavelli ha torto. Un uomo salito agli

onori dell’impero grazie al suo coraggio nonha più genitori; si pensa al suo potere, e nonalle sue origini. Pupieno Massimo Clodio erafiglio di un maniscalco del villaggio, Probo diun giardiniere, Diocleziano di uno schiavo,Valentiniano di un cordaio; eppure furonotutti rispettati. Lo Sforza che conquistòMilano era un contadino; Cromwell cheassoggettò l’Inghilterra e fece tremare

l’Europa era figlio di un mercante. Il grandeMaometto, fondatore della religione piùfiorente dell’universo, era un apprendista

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mercante; Samon, primo re di Schiavonia, eraun mercante francese; il famoso Piast, il cuinome è ancora così riverito in Polonia, fueletto re quando ancora aveva gli zoccoli ai

piedi, e visse rispettato per moltissimi anni.Quanti Generali d’armata, quanti Ministri eCancellieri di origine plebea! L’Europa ne èpiena, e non per questo è meno felice; poichéquei posti sono attribuiti secondo il merito.Non dico questo per disprezzare il sanguedei Witikinds, dei Carlomagno, e degliOttomani; per molte ragioni rispetto ilsangue degli eroi, ma apprezzo ancora di più

il merito. Non dobbiamo dimenticare che

Machiavelli sbaglia di molto quando credeche al tempo di Severo bastasse aver cura deipropri soldati per mantenersi sul trono; lastoria degli imperatori lo contraddice. Più sicuravano i pretoriani indisciplinabili, più sirendevano conto della loro forza; era anchepericoloso adularli, e volerli reprimere. Oggi

non si temono più le truppe, poiché sonotutte divise in piccoli corpi che vegliano gliuni sugli altri, poiché i Re determinano tuttigli incarichi, e la forza delle leggi è piùregolata. Gli imperatori Turchi non sonotanto esposti alla miccia perché non hannoancora saputo servirsi di quella politica. ITurchi sono schiavi del sultano, e il sultano èschiavo dei giannizzeri. Nell’Europa cristiana

un principe deve trattare allo stesso modotutti gli ordini di quelli che comanda, senzafare differenze che potrebbero causare gelosiefuneste ai suoi interessi.

Il modello di Severo, proposto daMachiavelli a coloro che si eleverannoall’impero, è quindi tanto sbagliato, quantoquello di Marco Aurelio potrebbe esserevantaggioso. Ma come si può proporre

insieme Severo, Cesare Borgia e MarcoAurelio come modelli? Vorrebbe dire unire lasaggezza e la virtù più pura alla scelleratezza

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più orrenda. Non posso terminare senzainsistere ancora sul fatto che Cesare Borgia,con la sua crudeltà così abile, fece una finemolto disgraziata, e che Marco Aurelio, quel

filosofo premiato, sempre buono, semprevirtuoso, non subì fino alla morte nessunrovescio di fortuna.

CAPITOLO XX

Se le fortezze e molte altre cose che i Principi

fanno spesso siano utili o nocive

Il Paganesimo rappresentava Gesù condue facce; ciò significava la conoscenzaperfetta che aveva del passato e dell’avvenire.L’immagine di Dio, presa in senso allegorico,può benissimo applicarsi ai principi. Essidevono, come Giano, guardare dietro di sènella storia di tutti i secoli trascorsi, cheforniscono loro delle utilissime lezioni di

condotta e di dovere; devono, come Giano,guardare avanti per la loro penetrazione, eper quello spirito di forza e di giudizio cheunisce tutti i rapporti, e che legge nellecongiunture attuali quelle che devonoseguire.

Machiavelli propone cinque domande aiprincipi, tanto a quelli che abbiano fatto dellenuove conquiste, quanto a quelli la cui

politica non chiede che di affermarsi nei loropossedimenti. Vediamo ciò che la prudenzapotrà consigliare di meglio unendo il passatoal futuro e determinandosi mediante laragione e la giustizia.

Ecco la prima domanda: Un principedeve disarmare i popoli conquistati o no?

Bisogna sempre pensare come il mododi far la guerra sia cambiato dai tempi di

Machiavelli Sono sempre degli esercitidisciplinati, più o meno forti, che difendono

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il loro paese; sarebbe molto disprezzata unatruppa di contadini armati. Se talvoltadurante gli assedi la Borghesia impugna learmi, gli Assedianti non lo sopportano; e per

impedirglielo, li si minaccia con bombardamenti e palle arroventate. Sembrad’altronde che sia prudente disarmare in unprimo tempo i Borghesi di una cittàconquistata, soprattutto se si ha ragione ditemere qualcosa da parte loro. I Romani, cheavevano conquistato la Gran Bretagna, e chenon potevano mantenervi la pace per colpadel carattere turbolento e bellicoso di quei

popoli, presero la decisione di renderlieffeminati, per moderare i loro istinti bellicosie feroci; cosa che ebbe il successo che ci siaspettava a Roma. I Corsi sono un pugno diuomini, altrettanto coraggiosi e decisi chequegli Inglesi; non si potrà domarli, penso,che con la prudenza e la bontà. Permantenere la sovranità di quell’isola, misembra indispensabile disarmare gli abitanti,

e addolcire i loro costumi. Diròincidentalmente, parlando dei Corsi, che sipuò vedere dal loro esempio quanto coraggioe quanta virtù dia agli uomini l’amore per lalibertà, e quanto sia pericoloso e ingiustoopprimerlo.

La seconda domanda verte sulla fiduciache un principe deve avere, dopo essersiimpadronito di un nuovo Stato, in quei nuovi

sudditi che l’hanno aiutato adimpadronirsene, o in quelli che sono rimastifedeli al loro legittimo principe.

Quando si conquista una città, conl’intelligenza o per il tradimento di qualcheCittadino, sarebbe molto imprudente darfiducia ai traditori, che probabilmente vitradirebbero a loro volta: e dobbiamopresumere che coloro che sono rimasti fedeli

ai loro antichi padroni lo saranno anche ainuovi sovrani; poiché si tratta di solito dispiriti saggi, di uomini residenti che hanno

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dei possedimenti nel paese, che amanol’ordine, a cui può nuocere qualsiasicambiamento. Però non bisogna avere troppaleggerezza nel dare fiducia a qualcuno.

Supponiamo però che dei popoli,oppressi e costretti a scuotere il giogo deiloro tiranni, chiamino un altro principe pergovernarli: io penso che il principe debbarispondere interamente alla fiducia che gli èstata concessa, e che se non si fidasse in taleoccasione di quelli che gli hanno affidatoquanto avevano di più caro, mostrerebbe illato più indegno di un’ingratitudine che non

mancherebbe di infamare la sua reputazione.Guglielmo, principe d’Orange, mantennefino alla fine della sua vita la sua amicizia e lasua fiducia verso coloro che gli avevanomesso in mano le redini del governod’Inghilterra, e i suoi oppositoriabbandonarono la loro patria e seguirono ilre Giacomo. Nei Regni elettivi, dove lamaggior parte delle elezioni avvengono per

intrighi, dove il Trono è venale, checché se nedica, io credo che il nuovo sovrano troverà ilmodo, dopo essere stato eletto, di comprare isuoi oppositori, come si è conquistato quelliche l’hanno eletto.

La Polonia ci fornisce degli esempi. Itraffici intorno al trono sono così grossolaniche sembra quasi che l’acquisto avvenga suun pubblico mercato. La liberalità di un re di

Polonia libera il suo cammino da qualsiasiopposizione, egli è padrone di guadagnarsila collaborazione delle grandi famiglie permezzo di palatinati, di staroste, e di altrecariche che conferisce; ma dato che i Polacchiriguardo ai benefici ricevuti hanno lamemoria corta, bisogna spesso tornare allacarica. In due parole, la Repubblica diPolonia è come le botti delle Danaidi, il re più

generoso spargerà invano i suoi benefici su diloro, ma non le riempirà mai. Comunque,dato che un re di Polonia ha molti favori da

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fare, può procurarsi spesso delle risorse,offrendo le sue liberalità soltanto nelleoccasioni in cui ha bisogno delle famiglie chearricchisce.

La terza domanda di Machiavelliriguarda la sicurezza di un principe in unRegno ereditario, vale a dire se è meglio chefavorisca l’accordo o la discordia fra i suoisudditi.

Questa domanda poteva forse essered’attualità al tempo degli antenati diMachiavelli a Firenze; ma al giorno d’oggipenso che nessun politico l’adotterebbe così

com’è e senza addolcirla. Mi limiterò a citareil bell’apologo così noto di Menenio Agrippa,con cui ha riunito il popolo Romano. Lerepubbliche comunque devono in qualchemodo coltivare un pò di gelosia fra i loromembri, poiché se nessuna delle parti vegliasull’altra, la forma di governo si cambia inmonarchia.

Vi sono dei principi che pensano che la

disunione dei loro Ministri sia necessaria alloro interesse, ritengono di essere menotraditi da uomini che un odio reciprocomantiene sempre sul chi vive, ma se questiodi producono tali effetti, ne produconoanche uno molto pericoloso; poiché taliMinistri, invece di concorrere al servizio delprincipe, cercando di nuocere l’uno all’altrosi ostacolano in continuazione, e confondono

nelle loro dispute private il vantaggio delprincipe e la salvezza dei popoli.

Nulla contribuisce dunque al successo diuna Monarchia più dell’unione intima einseparabile di tutti i suoi membri, e l’unicoscopo di un principe saggio deve essereappunto quello di instaurarla.

Questa mia risposta alla terza domandadi Machiavelli può in un certo qual modo

servire da soluzione al suo quarto problema.Esaminiamo comunque, e giudichiamo indue parole se un principe deve fomentare

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delle fazioni contro se stesso o se deveconquistarsi l’amicizia dei suoi sudditi.

Farsi dei nemici per poi vincerli sarebbecome fabbricare dei mostri per poi

combatterli; è molto più naturale, piùragionevole e più umano farsi degli amici.Fortunati i principi che godono la dolcezzadell’ amicizia, e ancora più fortunati quelliche si meritano l’amore e l’affetto dei popoli!

Eccoci giunti all’ultima domanda diMachiavelli: sapere se un principe deve averedelle fortezze e delle cittadelle o se deveraderle al suolo. Credo di aver già espresso il

mio pensiero nel capitolo X per ciò cheriguarda i piccoli principi, vediamo ora ciòche concerne la condotta dei re.

Al tempo di Machiavelli, il mondo era infermento, lo spirito di sedizione e di rivoltaregnava ovunque, non si vedevano altro chefazioni e tiranni. Le rivoluzioni continue efrequenti obbligarono i principi a costruiredelle cittadelle sulle alture delle città, per

contenere in tal modo lo spirito inquietodegli abitanti.

Da quel secolo barbaro, sia gli uomini sisono stancati di distruggersi gli uni gli altri,sia piuttosto perché i sovrani hanno nei lorostati un potere più dispotico, non si sente piùtanto parlare di sedizioni e di rivolte, e sidirebbe che quello spirito inquieto, dopo averinfuriato non poco, si è ora un pò calmato;

tanto che ora non occorrono più cittadelle persalvaguardare la fedeltà delle città e delpaese. Non così per quanto riguarda lefortificazioni, che servono per difendersi dainemici e per assicurare maggiormente latranquillità dello Stato.

Gli eserciti e le fortezze sonougualmente utili per i principi; infatti, sepossono opporre i loro eserciti ai loro nemici,

possono riparare quell’esercito sotto ilcannone delle loro fortezze in caso di battaglia perduta, e l’assedio a tale fortezza

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intrapreso dal nemico dà loro il tempo dirifarsi e di riunire nuove forze, chepotrebbero ancora, se riunite in tempo,impiegare per far togliere l’assedio al nemico.

Le ultime guerre nelle Fiandre fral’imperatore e la Francia non avanzavanoquasi più a causa della moltitudine dipiazzeforti; e delle battaglie di centomilauomini che vincevano su centomila uomininon si concludevano che con la conquista diuna o due città. Alla campagna seguente,l’avversario, che aveva avuto il tempo diriparare le sue perdite, riappariva di nuovo, e

si rimetteva in discussione ciò che era statodeciso l’anno precedente. In quei paesi dovevi sono molte piazzeforti, degli eserciti checoprono due miglia di terrenocombatteranno per trent’anni e vinceranno,se sono fortunati, al prezzo di venti battaglie,dieci miglia di terreno.

Nei paesi aperti la sorte di uncombattimento, o di due campagne, decide

della fortuna del vincitore, e gli sottomettedei Regni interi. Alessandro, Cesare,Gengiskan, Carlo XII debbono la loro gloriaall’aver trovato pochi posti fortificati neipaesi che hanno conquistato. Il vincitoredell’India non fece che due assedi nelle suegloriose campagne, l’arbitro della Polonianon ne face mai di più. Eugenio, Villars,Marlbouroug, Luxembourg erano grandi

Capitani, ma le fortezze smorzarono in uncerto senso lo splendore dei loro successi. IFrancesi conoscono bene l’utilità dellefortezze, poiché dal Brabante fino alDelfinato c’è quasi una doppia catena difortezze; la frontiera della Francia dalla partedella Germania è come la bocca spalancata diun leone, che presenta due file di dentiminacciosi, e dà l’impressione di voler

inghiottire tutto. Basta questo per dimostrareil grande uso delle città fortificate.

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CAPITOLO XXI

Di come il principe debba governare per farsi stimare.

Questo capitolo di Machiavelli contienedel buono e del cattivo. Vorrei sottolineareprima di tutto gli errori di Machiavelli,confermerò poi ciò che dice di buono e dilodevole, e in seguito esprimerò il miopensiero su alcuni soggetti che appartengonoa questo argomento.

L’Autore propone il comportamento diFerdinando d’Aragona e di Bernardo da

Milano come modello a coloro che voglionodistinguersi con grandi imprese e azioni raree straordinarie. Machiavelli cerca ilmeraviglioso nell’ardire delle imprese e nellarapidità di esecuzione. Questo è grandioso,ne convengo, ma è lodevole soltanto a pattoche l’impresa del conquistatore sia giusta.“Tu, che ti vanti di sterminare i ladri,dicevano gli Ambasciatori Sciti ad

Alessandro, sei tu stesso il più gran ladro cheesista sulla terra; poiché tu hai spogliato esaccheggiato tutte le nazioni che haiconquistato. Se tu sei un Dio, devi fare del bene ai mortali, e non sottrarre i loro averi; setu sei un uomo, pensa sempre a ciò che sei.”

Ferdinando d’Aragona non si contentavasempre di fare unicamente la guerra; ma siserviva della Religione come di un velo per

coprire i suoi progetti. Abusava della fede deisermenti, non parlava che di giustizia, e noncommetteva altro che ingiustizie. Machiavelliloda in lui tutto ciò che è da biasimare.

Machiavelli prende come secondoesempio Bernardo da Milano, per insinuareai principi che devono ricompensare e punirein un modo clamoroso, perché tutte le loroazioni abbiano impresso in se stesse un

carattere di grandiosità. I principi generosinon mancheranno di avere una buonareputazione, soprattutto quando la loro

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liberalità proviene dalla loro grandezzad’animo e non dal loro amor proprio.

La bontà dei loro cuori può renderli piùgrandi di tutte le altre virtù. Cicerone diceva

a Cesare: “Voi non avete nulla di più grandenella vostra fortuna del potere di salvare tanticittadini, né di più degno della vostra bontàdella volontà di farlo.” Perciò le pene inflitteda un principe dovrebbero sempre essere aldi sopra dell’offesa, e le ricompense che eglidà dovrebbero sempre essere al di sopra delservizio.

Ma ecco una contraddizione. Il dottore

della politica in questo capitolo esige che iprincipi mantengano le loro alleanze, e nelcapitolo XVIII li libera formalmentedall’obbligo di mantenere la parola data. Eglifa come quelli che predicono il futuro, chedicono bianco agli uni e nero agli altri.

Se Machiavelli ragiona male su tuttoquello che abbiamo appena detto, parla beneinvece della prudenza che i principi devono

avere nel non impegnarsi alla leggera conaltri principi più potenti di loro, i quali,invece di aiutarli, potrebbero rovinarli.

Di ciò era ben conscio un gran principedi Germania, ugualmente stimato dai suoiamici e dai suoi nemici. Gli Svedesi entrarononei suoi Stati mentre si era allontanato contutte le sue truppe per soccorrerel’imperatore nel basso Reno, nella guerra che

stava sostenendo contro la Francia. I ministridi quel principe gli consigliarono, alla notiziadi quell’improvvisa irruzione, di chiamare asoccorso lo Zar di Russia; ma quel principe,più perspicace di loro, rispose che i Moscovitierano come degli orsi che non bisognavascatenare, poiché si rischiava di non poter piùrimetterli in catene. Si assunsegenerosamente il compito di vendicarsi, e

non ebbe mai a pentirsene.Se io vivessi nel secolo futuro,

allungherei certamente questo articolo con

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altre riflessioni che vi si adatterebbero, manon sta a me giudicare la condotta deiprincipi moderni, e nel mondo bisogna saperparlare e tacere a proposito.

L’argomento della neutralità è bentrattato da Machiavelli, come quello degliimpegni dei principi. L’esperienza hadimostrato da tempo che un principeneutrale espone il suo paese alle ingiurie deidue partiti belligeranti; che i suoi Statidiventano teatro della guerra, e che egli èsempre perdente nella neutralità, senza chevi sia mai nulla di solido da guadagnare.

Vi sono due modi in cui un principe puòingrandirsi: uno è quello della conquista,quando un principe guerriero ritira i limitidei suoi possedimenti costretto dalla forzadelle armi; l’altro è quello del buon governo,quando un principe laborioso fa fiorire neisuoi stati tutte le arti e tutte le scienze che lirendono più potenti e più civili.

Tutto questo libro è riempito solo di

ragionamenti su questa prima maniera diingrandirsi, diciamo ora qualcosa dellaseconda, più innocente, più giusta ealtrettanto utile che la prima.

Le arti più necessarie alla vita sonol’agricultura, il commercio, le manifatture.Quelle che rendono più onore allo spiritoumano sono la geometria, la filosofia,l’astronomia, l’eloquenza, la poesia, la

pittura, la musica, la scultura, l’architettura,l’incisione, e tutto ciò che si intende con ilnome di belle arti.

Dato che tutti i paesi sono molto diversi,in alcuni l’attività principale è l’agricoltura,in altri la vendemmia, in altri le manifatture,e in altri ancora il commercio. Alcune diqueste arti sono anche presenti insieme inqualche paese.

I sovrani che sceglieranno questo mododolce e amabile per diventare più potentisaranno obbligati a studiare prima di tutto la

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costituzione del loro paese, in modo dasapere quali fra queste arti avranno piùprobabilità di riuscita, e di conseguenza qualiessi dovranno maggiormente incoraggiare. I

Francesi e gli Spagnoli si sono resi conto cheil commercio mancava al loro paese, e pertale motivo hanno studiato il sistema dirovinare quello degli Inglesi. Se riescono nelloro intento, la Francia aumenteràconsiderevolmente il suo potere, più diquanto non avrebbe potuto fare con laconquista di venti città e di un migliaio divillaggi; e l’Inghilterra e l’Olanda, i due paesi

più belli e più ricchi del mondo, deperirannoinsensibilmente come un malato che muoredi consunzione.

I paesi le cui ricchezze sono costituite dapiccoli villaggi e da vigneti devono tenerpresenti due cose. Una è quella di dissodarecon cura tutta la terra, in modo da trarreprofitto anche dal più piccolo terreno; l’altraè di migliorare in modo radicale i sistemi per

trasportare questa merce a un costo inferiore,in modo da poterla vendere a migliormercato.

Quanto alle manifatture di qualsiasispecie, sono ciò che vi è di più utile e piùvantaggioso per uno stato, poiché per mezzodi esse si sopperisce alle necessità e ai lussidegli abitanti, tanto che i vicini sono persinoobbligati a pagare un tributo alle vostre

industrie. Esse infatti impediscono che i soldiescano da un paese, e nello stesso tempo nefanno entrare altri.

Sono sempre stato convinto che fosse lamancanza di manifatture che aveva causatoin parte quelle grandi emigrazioni dai paesidel nord, di quei Goti, di quei Vandali cheinondarono così di frequente i paesimeridionali. L’arte non era tanto conosciuta

in quei tempi remoti in Svezia, in Danimarcae nella maggior parte della Germania, quantol’agricoltura o la caccia. I terreni coltivabili

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erano suddivisi fra un certo numero diproprietari che li coltivavano, e che netraevano sostentamento.

Ma poiché la razza umana è sempre

stata molto feconda in quei climi rigidi,accadeva che in un paese vi fosse il doppio diabitanti di quanti ne potessero sussisteremediante il lavoro dei campi: e quei cadettidelle nobili famiglie si raggruppavano in bande, diventavano per necessità brigantiillustri, devastavano altri paesi e nespodestavano i padroni; notiamo infatti nellestorie degli imperi di oriente e di occidente

che quei barbari solitamente chiedevano solocampi da coltivare, onde ricavarne il lorosostentamento. I paesi del nord non sono orameno popolati di quanto non lo fosseroallora, ma dato che il lusso ha moltosaggiamente moltiplicato le nostre necessità,ciò ha fatto sorgere delle manifatture, e tuttequelle arti che fanno vivere delle interepopolazioni, che sarebbero altrimenti

obbligate a cercare altrove il lorosostentamento.

Questi modi di far prosperare uno Statosono come dei talenti affidati alla saggezzadel sovrano, che deve metterli a consumo efarli valere. Il fattore che dimostra conmaggior sicurezza che un paese ha ungoverno saggio e felice è quando le belle artinascono sotto la sua egida; sono dei fiori che

crescono in un terreno ricco e sotto un cielofortunato, che però la siccità o il vento disettentrione (Aquilone) fanno morire.

Nulla può rendere più illustre un regnoquanto le arti che fioriscono sotto di lui. Ilsecolo di Pericle è tanto famoso per i grandigeni che vivevano ad Atene quanto per le battaglie che gli Ateniesi intrapresero. Quellodi Augusto è più conosciuto per Cicerone,

Ovidio, Orazio, Virgilio, ecc. che per leproscrizioni di quel crudele imperatore, chedeve dopotutto gran parte della sua

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reputazione alla lira di Orazio. Quello diLuigi XIV è più famoso per i Corneille,Racine, Molière, Boileau, Cartesio, Le Brun,Girardon, che non per quel passaggio del

Reno tanto esagerato, per gli assedi in cuiLuigi si trovò in persona, e per la battaglia diTorino che Monsieur de Marsin fece perdereal Duca di Orléans per ordine del suogabinetto.

I re rendono onore all’umanità quandodistinguono e ricompensano coloro che fannoloro più onore, e quando incoraggiano queglispiriti superiori che cercano di perfezionare

le nostre conoscenze e che si dedicano alculto della verità.

Fortunati i sovrani che coltivano essistessi quelle scienze, che rinnegano (non èchiaro: “renient” vuol dire rinnegano, manon fa senso!) con Cicerone, quel consoleRomano, liberatore della sua patria e padredell’eloquenza: “Le Lettere formano lagioventù, e sono il fascino dell’età matura. La

prosperità diventa con esse più brillante,l’avversità ne trae consolazione; e nelle nostrecase, e nelle case altrui, nei viaggi e nellasolitudine, in ogni tempo e in ogni luogo,esse sono la dolcezza della nostra vita.”

Lorenzo de Medici, l’uomo più famosodella sua nazione, era il rappacificatoredell’Italia e il ripristinatore delle scienze. Lasua probità gli guadagnò la fiducia di tutti i

principi; e Marco Aurelio, uno dei più grandiimperatori Romani, fu grande guerriero ealtrettanto saggio filosofo, e unì la pratica piùsevera della morale alla professione che nefaceva. Terminiamo con queste parole: “UnRe che si lasci guidare dalla giustizia avràl’universo come tempio e le persone miglioricome sacerdoti e sacrificatori.”

CAPITOLO XXII

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Dei segretari dei principi.

Vi sono due tipi di principi al mondo:quelli che vedono tutto con i propri occhi e

governano i loro Stati da soli, e quelli che siappoggiano alla buona fede dei loro ministrie che si lasciano governare da quelli chedominano il loro spirito.

I sovrani del primo tipo sono comel’anima dei loro Stati; il peso del loroGoverno riposa unicamente su di loro, comeil mondo sulle spalle di Atlante. Regolanoessi stessi gli affari interni come gli affari

esteri, occupano nello stesso tempo la caricadi primi magistrati di giustizia, di generalid’armata, di grandi tesorieri. Essipossiedono, secondo l’esempio di Dio (che siserve di intelligenze superiori all’uomo permettere in atto la sua volontà), uno spiritopenetrante e laborioso per mettere in atto iloro progetti e per eseguire in dettaglio ciòche hanno progettato in linea di massima. I

loro ministri sono unicamente deglistrumenti nelle mani di un padrone saggio ecapace.

I sovrani del secondo tipo sono comeimmersi, per una mancanza di genio o unanaturale indolenza, in una letargicaindifferenza. Se lo Stato, che sta per cedere acausa della debolezza del sovrano, deveessere sostenuto dalla saggezza e dalla

vivacità di un ministro, il Principe non èallora altro che un fantasma, ma un fantasmanecessario poiché rappresenta lo Stato: tuttociò che possiamo augurarci è che faccia unascelta felice.

Per un sovrano non è così facile comepotrebbe sembrare l’approfondire il caratteredi quelli che vuole assumere negli affari;poiché tanto i privati hanno una grande

facilità nel mascherarsi di fronte ai loropadroni, tanto i principi trovano ostacoli per

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dissimulare il loro intimo di fronte agli occhidel pubblico.

Dopotutto, se Sisto V è riuscito aingannare settanta cardinali che dovevano

conoscerlo, a maggior ragione come nonpotrebbe essere facile per un privatosorprendere il sovrano che non ha mai avutooccasione di conoscerlo a fondo?

Un principe d’ingegno può giudicarefacilmente la genialità e l’abilità di coloro chelo servono, ma gli sarà quasi impossibilegiudicare bene la loro obiettività e la lorofedeltà.

Abbiamo osservato in diverse occasioniche degli uomini che sembravano virtuosiper mancanza di occasioni di smentirsihanno rinunciato alla loro onestà non appenala loro virtù è stata messa alla prova. A Romanon si è mai parlato male dei Tiberi, deiNeroni, dei Caligola, prima che salissero altrono: forse la loro scelleratezza sarebberestata senza effetto se non fosse stata

provocata dall’occasione che ha sviluppato ilgerme della loro cattiveria.

Vi sono uomini che uniscono a unagrande intelligenza, flessibilità e molti talenti,l’anima più nera e più ingrata; ve ne sonoaltri che possiedono tutte le qualità del cuore.

I principi prudenti hanno di solito datola loro preferenza a coloro in cui prevalgonole qualità del cuore, per assumerli all’interno

del loro paese. Hanno però preferito a questicoloro che hanno più flessibilità perservirsene nelle negoziazioni. Infatti, datoche si tratta di mantenere l’ordine e lagiustizia nei loro Stati, basta che vi sial’onestà; e se occorre persuadere i vicini eorganizzare degli intrighi, si vede subito chela probità non è altrettanto necessaria quantol’abilità e l’intelligenza.

Mi sembra che un principe non potrebbemai ricompensare abbastanza la fedeltà dicoloro che lo servono con zelo; vi è in noi un

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certo senso di giustizia che ci spinge allariconoscenza, e che bisogna assecondare.D’altra parte però gli interessi dei Grandirichiedono assolutamente una ricompensa

altrettanto generosa quanto una punizioneclemente; poiché i ministri che si rendonoconto che la virtù sarà lo strumento della lorofortuna, non ricorreranno certo al crimine, epreferiranno naturalmente il bene del loropadrone alle corruzioni degli stranieri.

La via della giustizia e la saggezza delmondo sono dunque perfettamented’accordo su questo argomento, ed è

altrettanto imprudente quanto difficilemettere a prova l’attaccamento dei ministri,per mancanza di ricompensa e di generosità.

Vi sono dei principi che peccano di unaltro difetto altrettanto pericoloso, cioècambiano i ministri con grande leggerezza epuniscono con troppo rigore la minimairregolarità nel loro comportamento.

I Ministri che lavorano nell’immediata

vicinanza del principe, sotto i suoi occhi,quando occupano tale carica da qualchetempo, non possono in alcun modonascondere i loro difetti; infatti, più ilprincipe è perspicace e più facilmente liscopre.

I sovrani che non sono filosofi sispazientiscono rapidamente; si rivoltanocontro le debolezze di coloro che li servono, li

fanno cadere in disgrazia e li perdono.I principi che ragionano più a fondo

conoscono meglio gli uomini; sanno che sonotutti umani, che non vi è nulla di perfetto aquesto Mondo, che le grandi qualità sono inun certo senso contrapposte da grandi difetti,e che una persona intelligente è in grado ditrarre il meglio da entrambe. Ecco perché, ameno di una prevaricazione, mantengono i

loro Ministri con le loro buone e cattivequalità e preferiscono quelli che conoscono dipiù, ai nuovi che potrebbero avere, più o

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meno come degli abili musicisti chepreferiscono suonare con degli strumenti dicui conoscono i pregi e i difetti, piuttosto checon dei nuovi di cui non conoscono i

vantaggi.

CAPITOLO XXIII

Di come si debba sfuggire agli adulatori.

Non esiste un libro di morale o di storiain cui la debolezza dei principi nei riguardi

dell’adulazione non sia rigorosamentecensurata. Si vuole che i principi amino laverità, che le loro orecchie si abituino adascoltarla, e questo è giusto; ma si voglionoanche, secondo gli usi degli uomini, dellecose un pò contradditorie. Si vuole che iprincipi abbiano tanto amor proprio daamare la gloria, per poter fare grandi cose, eche nello stesso tempo siano abbastanza

indifferenti da rinunciare di propriainiziativa ad essere rimunerati per i lavoricompiuti; lo stesso principio dovrebbespingerli a meritare le lodi e a disprezzarle.Ciò vuol dire pretendere troppodall’umanità, visto che ci si sente in dovere disupporre che essi abbiano più potere su di sèche sugli altri.

“Il disprezzo della virtù daldisprezzo della fama”

I princii, insensibili alla lororeputazione, sono stati dei pigri, o degliesseri voluttuosi abbandonati alle mollezze;erano delle masse di sostanza ignobile, senzaalcuna virtù. Dei tiranni molto crudeli hannoamato le lodi, è vero; ma per loro è stata unavanità odiosa, un vizio in più; volevano la

stima mentre meritavano l’obbrobrio. Neiprincipi viziosi, l’adulazione è un veleno

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mortale che moltiplica i semi della lorocorruzione; nei principi meritevoli,l’adulazione è come una ruggine che siattacca alla loro gloria, che ne diminuisce lo

splendore. Un uomo intelligente si rivoltacontro l’adulazione grossolana, respingel’adulatore maldestro.

Esiste un altro tipo di adulazione, è lasofista dei difetti, la sua retorica lidiminuisce; è lei che fornisce degli argomentialle passioni, che dà all’austerità il caratteredella giustizia, che crea una rassomiglianzacosì perfetta della liberalità alla profusione,

che fa quasi confondere, che copre ledepravazioni col velo del divertimento e delpiacere; essa amplifica soprattutto i difettialtrui, per farne un trofeo di quelli del suoeroe. La maggior parte degli uomini amanoquell’adulazione che giustifica i loro gusti,che non è una vera menzogna; essi nonpotrebbero essere severi verso quelli chedicono di loro un bene di cui essi stessi sono

convinti. L’adulazione fondata su una basesolida è la più sottile di tutte; occorre avereuna grande perspicacia per poter apprezzarela sfumatura che essa aggiunge alla verità.Essa non farà accompagnare un Re allatrincea da dei poeti che devono essere glistorici, essa non comporrà dei prologhid’opera riempiti di iperboli, delle prefazioniscialbe e delle epistole strisicanti. Essa non

stordirà un eroe con il racconto enfatico dellesue vittorie, ma prenderà la via delsentimento, si occuperà delicatamente degliinizi, avrà un’apparenza fresca e ingenua.Come potrebbe un grand’uomo, un eroe, unprincipe spirituale adirarsi nel sentirsi direuna verità che la vivacità di un amico sembralasciarsi sfuggire? Come Luigi XIV, che sirendeva conto che solo la sua presenza si

imponeva alla gente, e che si compiaceva diquella sua superiorità, poteva adirarsi con unvecchio ufficiale che, parlandogli, tremava e

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 balbettava, e che, fermandosi in mezzo al suodiscorso, gli disse: “Se non altro, Sire, io nontremo così davanti ai vostri nemici”?

I principi che sono stati uomini prima di

diventare re, possono ricordarsi di quello chesono stati, e quindi non si abituano cosìfacilmente agli alimenti dell’adulazione.Quelli che hanno regnato tutta la loro vita,sono sempre stati nutriti d’incenso come gliDei

E morrebbero di inanizione semancassero di lodi.

Sarebbe quindi più giusto, mi sembra,

commiserare i re invece di condannarli: sonoinfatti gli adulatori, e ancora più di loro icalunniatori, che meritano la condanna el’odio del pubblico; come pure tutti coloroche sono tanto nemici dei principi datravisare loro la verità. Bisogna peròdistinguere l’adulazione dalla lode. Traianofu incoraggiato alla virtù dal panegirico diPlinio, Tiberio fu confermato nel vizio dalle

adulazioni dei Senatori.

CAPITOLO XXIV

Perché i principi d’Italia abbiano perduto i loro Stati.

La favola di Cadmo, che seminò nellaterra i denti del serpente che aveva appena

annientato, e da cui nacque un popolo diGuerrieri che si distrussero, è l’emblema diciò che erano i principi italiani al tempo diMachiavelli Le perfidie e i tradimenti checommettevano gli uni contro gli altrirovinarono i loro affari. Se si legge la storiad’Italia dalla fine del XIV secolo finoall’inizio del XV non vi sono che crudeltà,sedizioni, violenze, leghe per distruggersi a

vicenda, usurpazioni, assassini, in pocheparole un miscuglio enorme di crimini, la cuisola idea ispira orrore.

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Se ad esempio di Machiavelli sidecidesse di rovesciare la giustizia el’umanità, si sconvolgerebbe l’universointero; l’inondazione dei crimini ridurrebbe

in poco tempo questo continente inun’immensa solitudine. Sono state lacativeria e la barbarie dei principi d’Italia chehanno fatto loro perdere gli stati chepossedevano, così come i falsi principi diMachiavelli manderanno sicuramente inrovina coloro che saranno così folli daseguirli. Io non nascondo nulla; lavigliaccheria di alcuni di quei principi

d’Italia può aver contribuito alle loro perditeunitamente alla loro perfidia. La debolezzadei re di Napoli fu sicuramente la causa dellarovina dei loro affari; ma che mi si dica ciòche si vuole della politica; discutete,proponete degli schemi, citate degli esempi,usate tutte le sottigliezze, ma saretecomunque vostro malgrado obbligati atornare alla giustizia.

Io vorrei chiedere a Machiavelli che cosaintenda con queste sue parole “Se si nota inun sovrano appena salito al trono (ciò chesignifica in un usurpatore) prudenza emerito, ci si affezionerà ben più a lui che acoloro che derivano la loro grandezzaunicamente dalla loro nascita. La ragione diciò è che si è molto più influenzati dalpresente che dal passato, e quando vi si trova

di che soddisfarsi, non si va oltre.”Machiavelli suppone forse che fra due

uomini ugualmente valorosi e saggi, unanazione intera preferirà l’usurpatore alprincipe legittimo? Oppure intende parlaredi un sovrano senza virtù e di un validousurpatore pieno di capacità? Non credo chela prima supposizione sia quella dell’Autore,infatti si oppone alle più normali nozioni di

 buon senso; sarebbe un effetto senza causache un popolo prediligesse un uomo che hacommesso un’azione violenta per diventare

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loro capo, e che d’altra parte non avessealcun merito preferibile a quelli del legittimosovrano.

Non potrebbe essere neppure la seconda

supposizione; poiché qualsiasi qualità siattribuisca ad un usurpatore, bisognaammettere che l’azione violenta con la qualeè salito al potere è un’ingiustizia.

Cosa ci si può aspettare da un uomo cheinizia la sua carriera con un crimine, se nonun governo violento e tirannico? Sarebbecome se un uomo si sposasse e subissel’infedeltà di sua moglie il giorno stesso delle

nozze; non penso che questo deporrebbemolto sulla virtù della sua novella sposa peril resto della sua vita.

Machiavelli pronuncia la sua condannain questo capitolo. Dice chiaramente chesenza l’amore dei popoli, senza l’affetto deiGrandi e senza un esercito ben disciplinato,sarebbe impossibile a un principe dimantenersi al Trono. La verità sembra

obbligarlo a renderle questo omaggio; più omeno come i Teologi assicurano l’esistenzadegli Angeli maledetti, che riconoscono unDio ma che lo bestemmiano.

Ecco in cosa consiste la contraddizione.Per guadagnarsi l’affetto dei popoli e deigrandi, bisogna avere una base di virtù; bisogna che il principe sia umano e faccia del bene, che con tali doti si trovi in lui la

capacità di compiere anche le più penosefunzioni insite nella sua carica.

Del resto, la sua carica è come tutte lealtre; gli uomini, qualsiasi compito svolgano,non ottengono mai la fiducia se non sonogiusti e colti. I più corrotti sperano sempre diaver a che fare con una persona per bene,come i più incapaci di governare siaggrappano a quelli che considerano i più

prudenti. Come?! Il più piccolo borgomastro,il minimo scabino di una città avrà bisognodi essere persona onesta e laboriosa, se vuole

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raccogliere dei frutti; e la monarchia sarebbel’unico esempio in cui il vizio sarebbeautorizzato?

Bisogna essere come ho appena detto

per guadagnarsi il cuore delle persone, e noncome Machiavelli insegna nel corso diquest’opera, ingiusti, crudeli, ambiziosi, eimpegnati solo a curarsi di aumentare lapropria grandezza.

È così che si può vedere smentito questopolitico, il cui secolo l’ha fatto passare per ungrand’uomo; che tanti ministri hannoriconosciuto come pericoloso; ma che hanno

comunque seguito; di cui si sono fattestudiare le abominevoli massime ai principi;a cui nessuno aveva ancora risposto per lerime e che molti politici seguono, senza voleressere accusati.

Beato colui che potrà distruggerecompletamente il machiavellismo nel mondo!Io ne ho solo mostrato l’incongruenza;, oratocca a coloro che governano la terra di

convincerla con i loro esempi: sono obbligatia guarire il pubblico da queste idee false sullapolitica nelle quali ci si trova attualmente,poiché la politica non deve essere che ilsistema della saggezza, ma che comunementesi sospetta che sia il breviario dellascaltrezza. Sono loro che dovranno bandire lesottigliezze e la malafede dei trattati, e ridarevigore all’onestà e al candore che, a dire il

vero, non si trovano nei sovrani; sono loroche dovranno mostrare che che sono pocoinvidiosi delle provincie dei loro vicini epoco gelosi della conservazione dei loro Stati.Il principe che vuole possedere tutto è comeuno stomaco che si riempie di carne oltremisura, senza rendersi conto che non potràmai digerirla; il principe che si appresta a bengovernare è come come un uomo che mangia

parcamente e il cui stomaco digerisce senzaproblemi.

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CAPITOLO XXV

Di quanto potere abbia la Fortuna negli affari del mondo

E di come si possa resisterle.

La questione che riguarda la libertàdell’uomo è uno dei problemi che tormenta ifilosofi e che ha spesso fatto uscire deglianatemi dalla bocca dei teologi. I partigianidella libertà sostengono che se gli uomininon sono liberi, è Dio che agisce per contoloro, e che è Dio che per mano loro commetteomicidi, furti e tutti i crimini; il che èpalesemente opposto alla sua santità.

In secondo luogo, se l’essere supremo èil padre dei vizi, e l’autore delle iniquità chevengono commesse, non si potranno piùpunire i colpevoli, e non vi saranno al mondoné crimini né virtù. Ora, dato che non si puòimmaginare un dogma così orrendo senzapensare a tutte le sue contraddizioni,possiamo solo scegliere la migliore delle duetesi, dichiarandoci favorevoli alla teoria dellalibertà dell’uomo.

I partigiani della necessità assolutadicono invece che Dio sarebbe peggio che uncieco artefice che lavora nell’oscurità, se dopoaver creato il Mondo avesse ignorato ciò chedi esso si dovrebbe sapere. Un orologiaio,dicono, sa come funziona il più piccoloingranaggio di un orologio, poiché conosce ilmovimento che esso gli imprime, e a qualescopo egli l’ha creato: e Dio, questo essereinfinitamente saggio, sarebbe lo spettatorecurioso e impotente delle azioni degliuomini? Come avrebbe potuto quello stessoDio, le cui opere hanno tutte un carattere diordine e sono tutte soggette a determinateleggi immutabili e costanti, lasciar goderesoltanto l’uomo dell’indipendenza e dellalibertà? Allora non sarebbe più laProvvidenza che governa il mondo, ma il

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capriccio degli uomini. E se si deve optareper il Creatore o per la creatura, quale deidue è autonomo? Sarebbe più ragionevolepensare che sia l’essere in cui sta la

debolezza, piuttosto che l’essere in cui sta lapotenza. La ragione e le passioni sono comedelle catene invisibili con cui la mano dellaProvvidenza guida il genere umano, perconcorrere agli avvenimenti che la suasaggezza eterna aveva deciso che accadesseronel mondo, affinché ogni individuo potesseadempiere ai compiti assegnatigli daldestino.

È così che per evitare Cariddi ci siavvicina a Scilla, e che i filosofi si spingono avicenda nell’abisso dell’assurdità, mentre iteologi brancolano nell’oscurità, e si dannanodevotamente per carità. Questi partitiguerreggiano fra di loro un pò come iCartaginesi e i Romani, quando, per timoredi vedere le truppe Romane in Africa, siportava la fiaccola della guerra in Italia; e

quando a Roma ci si voleva disfare deltemuto Annibale, si mandava Scipione adassediare Cartagine alla testa delle legioni.

I filosofi, i teologi e la maggior partedegli eroi della dialettica hanno il genio dellanazione francese: attaccano con vigore, masono perduti se sono ridotti alla battagliadifensiva. È ciò che fece dire a un bello spiritoche Dio era il padre di tutte le sette, poiché

aveva concesso a tutte armi pari, oltre ad undiritto e a un rovescio. Tale questione sullalibertà e sulla predestinazione degli uominiviene trasportata da M. dalla metafisica allapolitica: si tratta peraltro di un terreno che gliè del tutto estraneo e che non potrebbegiovargli; poiché in politica, invece didiscutere se siamo liberi o se non lo siamo, sela fortuna e il caso possono fare qualcosa o se

non possono fare nulla, bisogna soltantopensare a perfezionare la propriapenetrazione e la propria prudenza.

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La fortuna e il caso sono delle paroleprive di senso, che, secondo ogni apparenza,devono la loro origine alla profondaignoranza in cui imputridiva il mondo,

quando si assegnarono dei nomi vaghi aglieffetti le cui cause erano ancora ignote.

Ciò che si chiama volgarmente lafortuna di Cesare sono precisamente tutte lecongiunture che hanno favorito i progetti diquell’ambizioso. Ciò che si intende per lasventura di Catone sono le disgrazieimpreviste che gli accaddero, queicontrattempi in cui gli effetti seguirono le

cause così da vicino, che la sua prudenza nonpoté né prevenirli né combatterli.

Ciò che si intende per caso si potrebbemeglio spiegare col gioco dei dadi. Il caso, sidice, ha fatto in modo che i miei dadi abbianomarcato dodici piuttosto che sette. Perdecomporre fisicamente questo fenomeno,occorrerebbe avere la vista così buona davedere il modo in cui si sono fatti entrare i

dadi nel bossolo, i movimenti della mano piùo meno forti, più o meno ripetuti, che li fannogirare, e che imprimono ai dadi unmovimento più rapido o più lento; questesono le cause che, prese tutte insieme,possono chiamarsi il caso.

Finché saremo uomini, cioè degli esserimolto limitati, non potremo mai esseresuperiori a ciò che chiamano i colpi della

sorte. Dobbiamo carpire tutto il possibile allasorte, degli avvenimenti; ma la nostra vita ètroppo corta per accorgersi di tutto, il nostrospirito è troppo ristretto per poter sistemaretutto.

Ecco degli avvenimenti chedimostreranno chiaramente che è impossibileprevedere tutto per la saggezza umana. Ilprimo avvenimento è quello della sorpresa di

Cremona da parte del principe Eugenio,un’impresa organizzata con tutta la prudenzapossibile e immaginabile, messa in atto con

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un grandissimo valore. Ecco come quelprogetto andò in fumo. Il principe siintrodusse nella città la mattina presto,attraverso un canale per le immondizie che

gli aveva aperto un curato con cui si eraaccordato; si sarebbe senz’altro impadronitodella città, se non fossero accadute due coseimprevedibili.

Anzitutto un reggimento svizzero, chedoveva fare delle esercitazioni quel mattinostesso, si trovò in armi mentre non avrebbedovuto esserlo, e gli oppose resistenza, per iltempo necessario al raduno della

guarnigione. In secondo luogo, la guida chedoveva condurre il principe di Vaudemont auna porta della città di cui il principe dovevaimpadronirsi sbagliò strada, il che fecearrivare troppo tardi quel distaccamento.

Il secondo avvenimento di cui volevoparlare è quello della pace che gli Inglesifecero con la Francia verso la fine dellaguerra di successione di Spagna. Né i

ministri dell’imperatore Giuseppe, né i piùgrandi filosofi, né i più abili politiciavrebbero mai potuto sospettare che un paiodi guanti avrebbe potuto cambiare il destinodell’Europa; ciò avvenne inveceletteralmente.

La duchessa di Marlbourough aveval’incarico di dama di fiducia della ReginaAnna a Londra, mentre il suo sposo riceveva

nelle campagne del Brabante una doppiamesse di allori e di ricchezze. Questaduchessa sosteneva con il suo gusto il partitodell’eroe, e l’eroe sosteneva i crediti della suasposa con le sue vittorie. Il partito dei Toryche si opponeva loro e che desiderava la paceera impotente finché tale duchessa avevaogni potere presso la regina. Essa peròperdette quei favori in modo molto semplice.

La regina aveva ordinato dei guanti e laduchessa ne aveva ordinati per sè nelmedesimo tempo. L’impazienza di averli le

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fece spingere la guantaia a servirla primadella regina; però anche Anna aveva fretta diricevere i suoi guanti. Una Dama[1], che eranemica di Milady Marlbourough, informò la

regina di tutto ciò che era accaduto, e lo fececon tanta malignità, che la regina da quelmomento considerò la duchessa come unafavorita di cui non poteva più sopportarel’insolenza. La guantaia contribuì adinasprire quella principessa con la storia deiguanti, che essa le raccontò con tutta lanefandezza possibile. Quel lievito, sia pureleggero, bastò per far fermentare tutti i cattivi

umori, e per condire tutto ciò che puòaccompagnare una caduta in disgrazia. ITory, con il Maresciallo de Tallard in testa, sivalsero di quell’affare, che per loro divenneuna spinta verso l’alto.

La duchessa di Marlbourough cadde indisgrazia poco tempo dopo, e con lei cadde ilPartito dei Whigs e quello degli alleatidell’imperatore. Così è il gioco delle cose più

importanti del mondo, la Provvidenza se laride della saggezza e delle grandezze umane;delle cause frivole e talvolta ridicole mutanospesso la sorte degli Stati e di interemonarchie.

In quest’occasione, delle piccolemeschinerie di donne salvarono Luigi XIX dauna situazione in cui la sua saggezza, le sueforze e la sua potenza non avrebbero forse

potuto trarlo d’impaccio, e costrinsero glialleati a fare la pace, lor malgrado.

Questi tipi di avvenimenti succedono,ma ammetto che sono rari, e che la loroautorità non basta per screditare del tutto laprudenza e la penetrazione. È un pò come lemalattie che talvolta alterano la salute degliuomini, ma che non impediscono loro digodere per la maggior parte del tempo di un

temperamento robusto.È quindi necessario che coloro che

devono governare il Mondo coltivino la loro

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penetrazione e la loro prudenza. Ma non ètutto, poiché se vogliono tenere a bada lasorte, devono imparare ad adattare il lorotemperamento alle congiunture, il che è

molto difficile.Parlo in generale di due tipi di

temperamento, quello di una vivacità audacee quello di una lentezza circospetta; e poichéqueste cause morali hanno una causa fisica, èquasi impossibile che un principe sia cosìpadrone di se stesso che continui a cambiarecolore come un camaleonte. Vi sono deisecoli che favoriscono la gloria dei

conquistatori e di quegli uomini arditi eintraprendenti che sembrano nati pereffettuare dei cambiamenti straordinarinell’universo, delle rivoluzioni, delle guerre;e soprattutto non so quale spirito di ebbrezzae di sfida, che confondono i sovrani,forniscono a un conquistatore delle occasioniper approfittare dei loro litigi. Non vi è soloFernando Cortez, che nella conquista del

Messico sia stato favorito dalle guerre civilidegli Americani.

È un momento in cui il mondo, menoagitato, sembrava voglia essere governatosolo con la dolcezza, sembra che ci vogliasolo prudenza e circospezione; è una speciedi calma felice nella politica, che avviene disolito dopo una tempesta. È così che lenegoziazioni sono più efficaci delle battaglie,

e che bisogna vincere con la penna ciò chenon si potrebbe guadagnare con la spada.

Perché un sovrano possa approfittare ditutte le congiunture, bisognerebbe cheimparasse a conformarsi al tempo come unabile pilota.

Se un generale d’armata fosse audace ecircospetto secondo i momenti, sarebbe quasiindomabile. Fabio minava Annibale con le

sue lungaggini. Quel Romano non ignoravache i Cartaginesi mancassero di soldi e direclute, e che senza combattere sarebbe

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 bastato vedere tranquillamente sciogliersiquell’esercito per farlo perire, per modo didire, di inanizione. La politica di Annibaleinvece era di combattere; la sua potenza non

era che una forza accidentale, da cui bisognava trarre rapidamente tutti i vantaggipossibili, in modo da darle della solidità conil terrore impresso da tutte le azioni brillantie intense, e dalle risorse che si ricavano dalleconquiste.

Nell’anno 1704, se l’elettore dellaBaviera e il maresciallo di Tallard non fosserousciti dalla Baviera per avanzarsi fino a

Bleinheim e Hoechstaet, sarebbero rimastipadroni di tutta la Svevia; poiché l’esercitodegli alleati, non potendo sussistere inBaviera per mancanza di viveri, sarebbe statocostretto a ritirarsi verso il Meno, e asepararsi.

Fu quindi per mancanza dicircospezione al momento opprtuno, chel’elettore affidò alle sorti di una battaglia, per

sempre memorabile e gloriosa per la nazionetedesca, ciò che non dipendeva che da lui dipoter conservare. Quest’imprudenza fupunita con la disfatta totale dei Francesi e deiBavaresi, e con la perdita della Baviera, e ditutta quella terra che c’è fra l’alto Palatinato eil Reno.

Di solito non si parla dei temerari chesono morti, si parla solo di quelli che sono

stati aiutati dalla Fortuna. È come per i sognie le profezie, fra le migliaia che si sonorivelate false e che abbiamo dimenticato, ci siricorda soltanto di quelle poche che si sonoavverate. Il mondo dovrebbe giudicare gliavvenimenti per ciò che li ha causati, e non lecause per gli avvenimenti che ne sonoseguiti.

Concluderò dicendo che un popolo

rischia molto con un principe coraggioso, cheè un pericolo costante che lo minaccia, e cheil sovrano circospetto, se non è adatto alle

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grandi imprese, sembra piuttosto nato pergovernare. Uno osa, ma l’altro mantiene.

Perché sia gli uni che gli altri sianograndi uomini, bisogna che agiscano a

proposito; altrimenti i loro talenti sarannopiù perniciosi che profittevoli. Qualsiasiuomo ragionevole, e principalmente quelliche il Cielo ha destinato a governare gli altri,dovrebbero farsi un programma di condotta,ragionato e ben connesso come unadimostrazione geometrica. Seguendo in tuttoe per tutto un sistema di questo genere, avràmodo di agire di conseguenza, e di non

deviare mai dal suo scopo finale; potrebbecosì riunire tutte le congiunture e tutti gliavvenimenti necessari a raggiungere i suoiscopi, e tutto concorrerebbe per mettere inopera i progetti meditati.

Ma chi sono quei principi da cuipretendiamo tanti rari talenti? Non sono chedegli uomini, e si può dire facilmente chesecondo la loro natura riesce loro impossibile

compiere tanti doveri; sarebbe più faciletrovare la fenice dei poeti e le unità deimetafisici, piuttosto che l’uomo di Platone. Ègiusto che i popoli si contentino degli sforziche fanno i sovrani per arrivare allaperfezione. I più perfetti fra loro sarannoquelli che si allontaneranno più degli altri dalPrincipe di Machiavelli È giusto sopportare iloro difetti quando siano controbilanciati da

grandi qualità di cuore, e dalle miglioriintenzioni. Dobbiamo ricordarcicontinuamente che nessuno è perfetto almondo, e che l’errore e la debolezzaappartengono a tutti gli uomini. Il paese piùfelice è quello in cui un’indulgenza reciprocafra il sovrano e i suoi sudditi riempie lasocietà di quella dolcezza, senza cui la vita èun peso difficile da sopportare, e il mondo

una valle di amarezze e non un teatro dipiaceri.

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CAPITOLO XXVI

Dei diversi tipi di negoziazioni e delle ragioni,

che si possono chiamare giuste, per fare la guerra.

Abbiamo visto in quest’opera la falsitàdei ragionamenti con cui M. ha cercato difarci cambiare idea, presentandoci degliscellerati travestiti da grandi uomini.

Ho fatto molti sforzi per strappare alcrimine il velo di virtù in cui M. l’avevaavvolto, e per chiarire al mondo l’errore dimolti sulla politica dei principi. Ho detto aire che la loro vera politica consiste nell’esserepiù virtuosi dei loro sudditi, in modo chenon si vedano obbligati a condannare in altriciò che autorizzano a se stessi. Ho detto chenon basta commettere atti brillanti peraffermare la loro reputazione, ma che civogliono delle azioni che tendano alla felicitàdel genere umano.

Aggiungerò a ciò due considerazioni:una riguarda le negoziazioni e l’altra i motiviper intraprendere una guerra, che si possanoa ragione chiamare giusti.

I ministri dei principi nelle cortistraniere sono delle spie privilegiate, chevegliano sulla condotta dei sovrani presso iquali vengono inviati; devono investigare suiloro progetti, approfondire le loro pratiche, eprevenire le loro azioni, in modo da poterneinformare a tempo i loro padroni. L’oggettoprincipale della loro missione è di stringere ilegami di amicizia fra i sovrani, ma invece diessere artigiani di pace sono spesso organi diguerra. Usano l’adulazione, l’astuzia e laseduzione per strappare i segreti di Stato aiministri: vincono i deboli con la loro abilità,gli orgogliosi con le loro parole e gliinteressati con i loro doni, in poche paroleessi rappresentano talvolta tutto il male che

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possono fare; poiché pensano di peccare perdovere, e sono sicuri dell’impunità.

Contro gli artifizi di queste spie, iprincipi devono prendere le giuste misure.

Quando il soggetto della negoziazionediventa più importante, è là che i principihanno modo di esaminare con rigore lacondotta dei loro ministri, in modo daapprofondire se qualche pioggia di Danaenon avrebbe per caso rammollito l’austeritàdella loro virtù.

In questi periodi di crisi in cui si trattanole Alleanze, bisogna che la prudenza dei

sovrani sia ancora più vigile del solito. Ènecessario che essi sezionino con grandeattenzione la natura delle cose che devonopromettere, per poter mantenere i loroimpegni.

Un trattato, esaminato in tutte le sueparti, dedotto con tutte le sue conseguenze, èmolto diverso da come sembra quando ci siaccontenta di considerarlo nel suo complesso.

Ciò che poteva apparire come un realevantaggio, può rivelarsi, considerato davicino, come un miserabile palliativo chetende a rovinare uno Stato. Bisognaaggiungere a queste precauzioni la cura dimettere bene in chiaro le clausole di untrattato, il Grammatico pignolo deve sempreprecedere l’abile Politico, in modo che quelladistinzione fraudolenta fra la parola e lo

spirito del Trattato non possa mai aver luogo.In politica si dovrebbe fare una

collezione di tutti gli errori che i principihanno fatto per la precipitazione, ad uso dicoloro che vogliono fare un Trattato oun’Alleanza. Il tempo che impiegherebbero aleggerli darebbe loro modo di fare delleriflessioni, che potrebbero solo essere lorosalutari.

Le negoziazioni non avvengono tutteper opera di ministri accreditati; si mandanospesso delle persone senza carattere in luoghi

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diversi, dove trovano delle proposte fatte conmaggiore libertà, che implicano meno lapersona del loro capo. I preliminaridell’ultima Pace fra l’Imperatore e la Francia

furono concluse in tale maniera, all’insaputadell’Impero e delle Potenze Marittime. Talearrangiamento ebbe luogo presso unConte [2], le cui terre si trovano sulle rive delReno.

Vittorio Amedeo, il principe più abile eil più artificioso del suo tempo, conoscevameglio di chiunque l’arte di dissimulare isuoi progetti. L’Europa fu tratta in inganno

più di una volta dalla finezza delle sueastuzie; una delle tante, quando ilMaresciallo di Catinat, nelle vesti di unmonaco e con il pretesto di lavorare per lasalvezza di quell’anima reale, ritirò quelprincipe dal partito dell’imperatore e ne feceun proselito della Francia. Quellanegoziazione fra il Re e il Generale fucondotta con tale destrezza che l’Alleanza che

ne derivò fra la Francia e la Savoia apparveagli occhi dell’Europa come un fenomeno dipolitica inopinato e straordinario.

Non è certo per giustificare la condottadi Vittorio Amedeo che ho proposto questoesempio, lungi da ciò: ho solo pensato dilodare nella sua condotta l’abilità e ladiscrezione, che, quando se ne fa uso per unfine onesto, sono delle qualità assolutamente

necessarie per un sovrano.È regola generale che si debbano

scegliere gli spiriti più trascendenti perimpiegarli in negoziazioni difficili; cheoccorrono non soltanto dei soggetti scaltriadatti all’intrigo, abbastanza duttili perpotersi insinuare, ma che abbiano ancora uncolpo d’occhio abbastanza fine per leggerenella fisionomia degli altri i segreti custoditi

nei loro cuori, in modo che nulla sfugga allaloro penetrazione, e che tutto si scopra con laforza del loro ragionamento.

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Non bisogna affatto abusare dell’astuziae della finezza; è come per le spezie, il cuiuso troppo frequente nei ragù ne smorza ilgusto, e fa loro perdere alla fine quel piccante

che la consuetudine non riesce più a farrisaltare.

La probità invece va sempre bene,assomiglia a quegli alimenti semplici enaturali che convengono a tutti e cherendono il corpo robusto senza riscaldarlotroppo.

Un principe, il cui candore sarà bennoto, si guadagnerà indubbiamente la

costanza dell’Europa, sarà felice senzaimposture, e potente solo per la sua virtù. Lapace e il benessere dello Stato sono come uncentro in cui si devono riunire tutte le viedella politica, e tale deve essere lo scopo ditutte le sue negoziazioni.

La tranquillità dell’Europa si fondaprincipalmente sul mantenimento di quelsaggio equilibrio, con il quale la forza

superiore di una monarchia ècontrobilanciata dalla potenza riunita diqualche altro sovrano. Se tale equilibriovenisse a mancare, si potrebbe temere unarivoluzione universale, e che una nuovamonarchia si stabilisca sui frantumi deiprincipi che la disunione ha reso troppodeboli.

La politica dei principi d’Europa sembra

dunque esigere da loro che non trascurinomai le alleanze e i trattati per mezzo dei qualipossono uguagliare le forze di una potenzaambiziosa, e devono diffidare di quelli chevogliono seminare fra loro la disunione e lazizzania. Non dimentichiamo quel consoleche, per dimostrare quanto l’unione fossenecessaria, prese un cavallo per la coda, efece sforzi inutili per strappargliela; ma

quando la prese un crine alla volta giunsefacilmente al suo scopo. Questa lezione puòservire anche a certi sovrani del giorno

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d’oggi come ai legionari romani, infatti nonvi è che l’unione che possa renderliformidabili e mantenere in Europa la pace ela tranquillità.

Il mondo sarebbe felice se non vi fosseroaltri sistemi che la negoziazione permantenere la giustizia e per ristabilire la pacee la buona armonia fra le nazioni. Sipotrebbero usare i ragionamenti al postodelle armi, e si litigherebbe soltanto, invece disgozzarsi a vicenda; una spiacevole necessitàobbliga i principi a ricorrere a un camminomolto più crudele. Vi sono occasioni in cui

occorre difendere con le armi la libertà deipopoli che si vogliono opprimereingiustamente, oppure occorre ottenere conla violenza ciò che l’iniquità rifiuta alladolcezza, quando i sovrani devono affidare lacausa della loro nazione alla sorte delle battaglie. È in uno di questi casi che questoparadosso diviene verità, che una buonaguerra dà e conferma una buona pace.

È il motivo della guerra che la rendegiusta o ingiusta. Le passioni e l’ambizionedei principi spesso offuscano loro la vista, efanno loro vedere come desiderabili le azionipiù violente. La guerra è una risorsa estrema;quindi non ci si deve servire della guerra checon grande precauzione e nei casi disperati,ed esaminare con cura se non vi si è portatiper una questione di orgoglio o per una

ragione solida e indispensabile.Vi sono delle guerre difensive, e sono

senza dubbio le più giuste.Vi sono delle guerre d’interesse che i re

sono obbligati a fare per mantenere a se stessii diritti che vengono loro contestati; sidifendono dando mano alle armi, e icombattimenti decidono della validità delleloro ragioni.

Vi sono delle guerre di precauzione, chei principi intraprendono saggiamente. Esseoffendono la verità, ma non ne sono peraltro

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meno giuste. Quando la grandezza eccessivadi una potenza sembra pronta a debordare eminaccia di inghiottire l’universo, è prudentecontrapporle delle dighe, e fermare il corso

tempestoso di un torrente, quando si riesceancora ad aver ragione di esso. Si vedonodelle nuvole che si accumulano, untemporale che si forma, i lampi chel’annunciano; e quel sovrano minacciato datale pericolo, non potendo da soloscongiurare la tempesta, si riunirà, se èsaggio, con tutti coloro che quello stessopericolo riunisce negli stessi interessi. Se i re

d’Egitto, di Siria, di Macedonia si fosserouniti contro la potenza di Roma, questa nonavrebbe mai potuto sconvolgere quegliimperi; un’alleanza saggiamente preparata euna guerra intrapresa arditamente avrebberofatto abortire quei progetti ambiziosi il cuicompimento incatenò l’universo.

È prudente preferire i mali minori aimali maggiori, come pure scegliere il partito

più sicuro, escludendo quello che è incerto. Èquindi meglio che un principe si impegni inuna guerra offensiva, quando è padrone dioptare fra un ramo d’olivo e un ramo dialloro, piuttosto che attendere dei momentidisperati in cui una dichiarazione di guerrapotrebbe solo ritardare di poco la suaschiavitù e la sua rovina. È una massimamolto giusta quella che dice che è meglio

prevenire che essere prevenuti: i grandiuomini si sono sempre trovati bene facendouso della loro forza prima che i loro nemiciavessero fatto degli accordi per legare loro lemani e distruggere i loro poteri.

Molti principi sono stati impegnati nelleguerre dei loro alleati per mezzo di trattati,secondo i quali erano obbligati a fornire loroun certo numero di truppe ausiliarie. Dato

che i sovrani non potrebbero fare a menodelle alleanze, poiché non ve n’è uno inEuropa che possa sostenersi con le sue

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proprie forze, essi si impegnano a prestarsisoccorso reciprocamente in caso di bisogno;ciò che contribuisce alla loro sicurezza, allaloro conservazione. L’avvenimento decide

quale degli Alleati goda dei fruttidell’alleanza; un’occasione felice favorisceuna delle due parti una volta, e un’altra voltauna congiuntura favorevole asseconda l’altraparte in causa. L’onestà e la saggezza delmondo esigono quindi in modo uguale daiprincipi che osservino religiosamente la fededei trattati, e che li portino a terminescrupolosamente; tanto più che con le

alleanze rendono più efficace la protezionedel loro popolo.

Tutte le guerre che avranno unicamentelo scopo di respingere gli usurpatori, dimantenere i propri legittimi diritti, digarantire la libertà dell’universo e di evitarele oppressioni e le violenze degli ambiziosisaranno conformi alla giustizia. I sovrani cheintraprendono simili guerre non devono

rimproverarsi il sangue versato; la necessità lifa agire, e in simili circostanze la guerra è unmale meno grave della pace.

Questo argomento mi portanaturalmente a parlare dei principi, che perun commercio inaudito nell’antichità,trafficano con il sangue dei loro popoli: laloro corte è come una sala d’aste, dove le lorotruppe sono vendute a coloro che offrono più

sussidi.L’istituzione del soldato è fatta per la

difesa della patria; affittarli ad altri, come sivendono delle gallocce o dei tori dacombattimento, è come, mi sembra,pervertire lo scopo delle trattative e dellaguerra. Si dice che non sia permesso venderele cose sacre: ma allora, cosa c’è di più sacrodel sangue degli uomini?

Per le guerre di Religione, se si tratta diguerre civili, sono quasi sempre unaconseguenza dell’imprudenza di un sovrano,

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che a sproposito ha favorito una setta ascapito di un’altra; che ha troppo ristretto otroppo esteso l’esercizio pubblico di certereligioni, che ha dato trppo peso a dei litigi di

partiti, che non sono altro che scintillepasseggere quando il sovrano non vi siimmischia, ma che diventano delle braciquando egli le fomenta.

Mantenere il governo civile con vigore, elasciare a ciascuno la libertà di coscienza;essere sempre re e non fare mai il prete, è ilsistema più sicuro di preservare il propriostato dalle tempeste che lo spirito dogmatico

dei teologi cerca sempre di eccitare.Le guerre straniere di religione sono il

massimo dell’ingiustizia e dell’assurdità.Partire da Aix-la-Chapelle per andare aconvertire i Sassoni con le armi alla mano,come Carlo Magno, o equipaggiare una flottaper andare a proporre al Sultano d’Egitto difarsi cristiano, sono delle imprese moltostrane. Il furore delle Crociate è finito, e

speriamo che non torni mai più!La guerra in generale è così piena di

disgrazie, l’esito è sempre così incerto, e leconseguenze sono così rovinose per unpaese, che i principi dovrebbero riflettere alungo prima di impegnarvisi. Le violenze chele truppe commettono in un paese nemiconon sono nulla in confronto alle disgrazie chesi ripercuotono direttamente sugli stati dei

principi che entrano in guerra; è un atto cosìgrave e di così grande portata, che èsorprendente vedere quanti re abbianodeciso così facilmente di intraprenderlo.

Sono convinto che se i monarchipotessero vedere un quadro vero e fedeledelle miserie che può attirare sui popoli unasola dichiarazione di guerra, nonresterebbero insensibili. La loro

immaginazione non è sufficientemente vivaper rappresentare loro al naturale dei maliche non hanno ancora conosciuto, e al riparo

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dei quali li mette la loro situazione. Comesubiranno quelle tasse che opprimono ipopoli; la privazione della gioventù del paeseche le reclute portano via con sè; quelle

malattie contagiose che distruggono glieserciti; l’orrore delle battaglie, e quegliassedi ancora più micidiali; la desolazionedei feriti che il ferro nemico ha privato dimembra, unici strumenti per il loro lavoro ela loro sussistenza; il dolore degli orfani chehanno perduto con la morte del padre l’unicosostegno alla loro debolezza; la perdita ditanti uomini utili allo stato, che la morte

falcia anzitempo?I principi, che esistono solo per rendere

felici gli uomini, dovrebbero pensarci bene,prima di esporli per cause vane e frivole atutto ciòche l’umanità può temere di più.

I sovrani che considerano i loro sudditicome schiavi, li mettono a rischio senza pietà,e li guardano morire senza dispiacere; ma iprincipi che considerano gli uomini come

loro pari, e che vedono il popolo come uncorpo di cui loro sono l’anima, risparmiano ilsangue dei loro sudditi.

Per terminare quest’opera io vogliopregare i sovrani di non offendersi per lalibertà con cui io parlo loro; il mio scopo è didire la verità, d’incitare alla virtù e di nonadulare nessuno. La buona opinione che hodei principi che regnano attualmente nel

mondo mi fa pensare che siano degni diudire la verità. È ai Neroni, agli AlessandriVI, ai Cesari Borgia, ai Luigi XI che non sioserebbe dirla. Grazie al cielo, noi nonabbiamo uomini simili fra i principid’Europa, e posso far loro il più bell’elogiodicendo che osiamo arditamente biasimaredavanti a loro tutti i vizi che degradano laMonarchia, e che sono contrari ai sentimenti

di umanità e di giustizia.