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© 2012 by Marsilio Editori ® s.p.a. in Venezia Prima edizione: ottobre 2012 ISBN 978-88-317-1432 www.marsilioeditori.it Realizzazione editoriale: Valeria Bové Indice 7 Introduzione di Federico Vitella scandali segreti 32 Personaggi 33 Primo tempo 33 Quadro primo 36 Quadro secondo 44 Quadro terzo 51 Quadro quarto 59 Quadro quinto 80 Quadro sesto 87 Quadro settimo 95 Secondo tempo 95 Quadro ottavo 114 Quadro nono 122 Quadro decimo 126 Quadro undicesimo 136 Quadro dodicesimo 173 Nota bibliografica

Federico Vitella (ed.), Antonioni, Bartolini, Scandali segreti

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Between the production of Il grido (1957) and L'avventura (1960), Antonioni founded and directed a theater company composed of, among others, Monica Vitti, Virna Lisi and Giancarlo Sbragia. The repertoire of the Antonioni-Sbragia-Vitti was focused on Scandali segreti: the stage adaptation of a screenplay entitled Il groviglio. The comedy – co-written with novelist and screenwriter Elio Bartolini – ideally links the films of the fifties to those of the sixties, and is therefore an important step in understanding the poetic of the director on the threshold of his maturity of expression.

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© 2012 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia

Prima edizione: ottobre 2012

ISBN 978-88-317-1432

www.marsilioeditori.it

Realizzazione editoriale: Valeria Bové

Indice

7 Introduzione diFedericoVitella

scandali segreti

32 Personaggi

33 Primo tempo 33 Quadro primo 36 Quadro secondo 44 Quadro terzo 51 Quadro quarto 59 Quadro quinto 80 Quadro sesto 87 Quadro settimo

95 Secondo tempo 95 Quadro ottavo 114 Quadro nono 122 Quadro decimo 126 Quadro undicesimo 136 Quadro dodicesimo

173 Nota bibliografica

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IntroduzionediFedericoVitella

1. Sebbene la letteratura critica sulla produzione cinematografica di Michelangelo Antonioni possa es-sere accostata per quantità e qualità a quella di pochi altri maestri del cinema mondiale, i contributi sul-la sua attività extracinematografica restano pressoché inesistenti. E l’imponente Progetto Antonioni – va-rato da Carlo di Carlo nel lontano 1988, ma giunto fino ai giorni nostri, attraverso numerose retrospettive integrali e, soprattutto, un piano editoriale articolato in cinque volumi di scritti, testimonianze e imma-gini1 – non ha cambiato radicalmente la situazione. Non mi riferisco qui ad attività, pur interessanti ma evidentemente minori, quali la tarda produzione pit-torica, quella fotografica o quella critica e letteraria, quanto al misconosciuto interesse del regista ferrarese per il teatro di prosa. Quella passione giovanile che, nei primi anni trenta, lo portò a mettere in scena, con una compagnia studentesca, testi di Ibsen, Čechov e

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Pirandello, oltre ad almeno una sua commedia scritta sulla falsariga del drammaturgo siciliano2, crebbe, infatti, nella seconda metà del 1957, fino a diventare una vera e propria opportunità artistica, deliberata-mente perseguita in affiancamento alla regia cinema-tografica. Ebbene, non esiste che un solo contributo saggistico sul teatro di Antonioni: un breve testo piut-tosto recente che, se ha il merito di aver sollevato la questione, non sembra andare oltre la riproposizione delle perplessità dei contemporanei per l’ennesimo scavalcamento di campo di un uomo di cinema3.

L’oblio storiografico che ha cancellato l’incursio-ne teatrale del regista ferrarese può forse essere spie-gato alla luce della brevità dell’esperienza in oggetto, soprattutto nel contesto dello straordinario rilievo as-sunto internazionalmente dalla sua occupazione prin-cipale: a conti fatti, si trattò di due mesi di attività da direttore artistico, per sessantuno rappresentazioni complessive di tre testi diversamente interessanti4. Eppure, Antonioni fece le cose in grande. In primo luogo, consapevole della propria inesperienza, si pro-curò i servizi di un collaboratore di provata capacità quale Filippo Crivelli, abituale aiuto di Visconti, in procinto di esordire egli stesso nella regia, con una compagnia composta, tra gli altri, da Anna Nogara e Vera Pescarolo. In secondo luogo, intercettò l’interes-se di alcuni giovani quanto promettenti attori della scena romana, tra cui spicca il formidabile terzetto

composto da Monica Vitti, Virna Lisi e Giancarlo Sbragia, con i quali fondò una nuova compagnia di prosa (Antonioni-Sbragia-Vitti). In terzo luogo, insieme al fido braccio destro del periodo, il roman-ziere e sceneggiatore friulano Elio Bartolini, adattò per il teatro il soggetto non realizzato Il groviglio5, sfrondandolo di quanto non essenziale rispetto allo svolgimento dell’intreccio o, comunque, difficilmente realizzabile sul palcoscenico, in modo da esordire an-che come autore drammatico. Infine, oltre a dirigere la compagnia con pugno di ferro, riservandosi l’ulti-ma parola in ogni questione non solo di tipo creativo, si assunse l’onere della regia di due commedie del repertorio, che presentò, in anteprima, al prestigioso teatro romano Eliseo.

È verosimile pensare che a spingere il regista ferrarese verso la scena sia stato il tentativo di uscire dal momento forse più difficile della sua vita. Pesò, cioè, sulla scelta di Antonioni, più che l’emulazione di esperienze altrui6, una compartecipazione di fattori personali e professionali, a partire dalla gelida acco-glienza riservata dalla stampa di settore all’autobio-grafico Ilgrido (1957)7. La critica specializzata, soprat-tutto di sinistra, non gli perdonò di aver trasportato la crisi esistenziale dei suoi personaggi precedenti in un contesto sociale radicalmente differente dalla Milano di Cronacadiunamore (1950) o dalla Torino di Leamiche(1955). Va poi ricordata la reiterata bocciatura

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dei suoi progetti nel contesto della prima importante recessione dell’industria cinematografica italiana del dopoguerra. I produttori gli offrivano solo soggetti disimpegnati, senza neppure prendere in considera-zione le sue controproposte: un film politico sulla crisi di coscienza di un parlamentare corrotto (Unarosaèunarosa)8; l’adattamento di Vittoria (1915), un robusto romanzo di Joseph Conrad; lo spunto iniziale di L’avventura (1960), nato, con ogni probabilità, du-rante una crociera alle isole Pontine, proprio nell’ago-sto del 1957 9. Infine, non bisogna sottovalutare la passione per Monica Vitti seguita alla separazione da Letizia Balboni, a quel tempo ancora più interprete brillante di teatro che di cinema. La fondazione di una compagnia e la scelta di un repertorio consono, a partire da un testo originale da cucirle addosso, po-tevano essere funzionali al lancio della futura partner come interprete drammatica e alla verifica della sua tenuta quale potenziale protagonista del cinema a venire10.

2. La Antonioni-Sbragia-Vitti nacque dall’in-contro di due iniziative indipendenti11. La prima si dovette ad Anna Nogara, Vera Pescarolo e Filippo Crivelli, che stavano cercando di mettere insieme un gruppo di attori giovanissimi, sul modello della Com-pagnia dei Giovani fondata da De Lullo nel 1954. La Nogara e la Pescarolo avrebbero dovuto preoccuparsi

dei finanziamenti, alla luce delle rispettive conoscen-ze: figlia di un noto industriale lombardo la prima, figlia della celebre attrice Vera Vergani la seconda. Crivelli avrebbe invece curato la regia, in quanto già aiuto da anni, proprio all’Eliseo. Il secondo gruppo era ovviamente quello di Antonioni che, in aggiunta alla Vitti, aveva già reclutato tra le sue fila Virna Lisi e Giancarlo Sbragia: la Lisi – ammirata a suo tempo in Ladonnadelgiorno (1956) dell’amico Maselli e fresca del debutto al Piccolo Teatro in Igiacobini (1957) di Federico Zardi – l’avrebbe voluta in verità già per Ilgrido; oltre all’indiscutibile affidabilità propriamente scenica, Sbragia tornava invece utile pure sul piano economico, perché supportato dai capitali della fami-glia della moglie, la principessa Esmeralda Ruspoli. L’opportunità di fondere i due gruppi arrivò quando Sbragia, già in parola con Antonioni, venne contat-tato anche dalla Nogara, con la quale aveva recitato nella stagione precedente: i rapporti personali tra gli attori erano buoni e il regista ferrarese, presosi carico della direzione artistica, non ebbe obiezioni da porre. Al quintetto base – Vitti, Lisi e Sbragia primi attori, Pescarolo e Nogara nei ruoli minori – si aggiunsero all’occorrenza altri rinforzi, ma sempre valutati caso per caso. Lo scenografo Gianni Polidori e lo sceneg-giatore Bartolini, due vecchie conoscenze antonionia-ne, si unirono invece al team stabilmente.

Il progetto comune prevedeva la messa in scena

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nella stagione 1957-1958 di almeno due testi stranieri, di sicura presa popolare, e uno italiano, possibilmente inedito, in modo da intercettare i contributi statali previsti per l’allestimento di una novità. Il primo la-voro su cui puntò la compagnia è Iosonounamacchi-nafotografica (IAmaCamera) di John Van Druten, commedia nota e premiata: vincitrice del New York Drama Critics Circle Award nella stagione 1951-1952, fu replicata a Broadway per oltre un anno, prima di essere adattata per lo schermo nell’omonimo film in-glese del 1955. Riduzione per il teatro dell’autobiogra-fico AddioaBerlino (1939) di Christopher Isherwood, stesso materiale alla base del musical Cabaret (1966), Io sono una macchina fotografica fornisce un vivido ritratto della Germania di Weimar e dei suoi prota-gonisti, a partire dall’aspirante attrice Sally Bowles12. Il secondo lavoro straniero è Ricorda con rabbia di John Osborne, che si rappresentava a Londra dal maggio precedente con inesausto apprezzamento e che avrebbe ispirato, di lì a breve, anche il celebre manifesto del Nuovo cinema inglese Igiovaniarrab-biati (LookBackinAnger, di Tony Richardson, 1958). La commedia dà voce all’insoddisfazione di un’intera generazione, attraverso gli urticanti monologhi del frustrato antiborghese Jimmy Porter13. Infine, il testo italiano, una novità di Antonioni e Bartolini. Ma pri-ma che Scandali segreti si imponesse quale chiave di volta dell’intera operazione, i milanesi spinsero per la

nuova commedia di Guido Rocca – fresco autore del fortunato I coccodrilli (1956) e cugino della Pescaro-lo – Mareewhisky. Si tratta di un ritratto al vetriolo dell’alta borghesia lombarda in vacanza a Forte dei Marmi, che non dispiaceva neppure ad Antonioni, e che fino all’ultimo restò una concreta possibilità di lavoro, se non in sostituzione, almeno in aggiunta, a Scandalisegreti14.

È però Scandali segreti a costituire il cuore del teatro di Antonioni. La commedia interpreta la cul-tura giovanile dell’Italia degli anni cinquanta, presen-tando un ritratto generazionale paragonabile a quelli, squisitamente funzionali al gioco di similarità e dif-ferenze dell’intero repertorio, tratteggiati da Isher-wood e Osborne, sullo sfondo, rispettivamente, della Germania dei primi anni trenta e dell’Inghilterra del secondo dopoguerra. L’intreccio, in particolare, si sviluppa attorno agli amori clandestini di due sorelle per il medesimo uomo, nella sonnacchiosa provincia italiana del centro-nord, appena lambita dalle lusin-ghe del miracolo economico. Ma andiamo con ordi-ne15. Diana e Vittoria, le due protagoniste, vivono in una piccola città settentrionale: la prima è rassegnata a quel ritmo di vita misurato e prevedibile di cui l’altra invece sente tutte le mortificanti restrizioni. Mentre Diana è fidanzata con Gianluigi, un giovane professore universitario, Vittoria è l’amante dello sca-pestrato Marco, cinico a sufficienza da compiacersi di

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un facile erotismo, per il quale non gli mancano né il tempo né i mezzi. La scandalosa relazione di Vittoria è il motore dell’intreccio: non soltanto dà origine a ripetuti scontri tra le sorelle, ma è causa della morte della vecchia madre debole di cuore, preludio, questo, alla loro stessa separazione. Se Vittoria si prepara a lasciare il paese nativo per una grande città, Diana ca-de vittima delle attenzioni dello stesso Marco, che la stringe in una corte sempre più serrata e la induce ad ammettere la meschinità dell’imminente matrimonio con Gianluigi. Un fatto crudele sigilla però qualsiasi accomodamento finale. Dopo essersi visto rinfacciare da Vittoria il vuoto morale di cui è preda, Marco muore attraversando la strada, nel più stupido degli incidenti, forse da lui stesso provocato.

3. In Scandalisegreti, Antonioni proseguì quella impietosa radiografia del rapporto di coppia avviata dal suo primo lungometraggio, intitolato esemplar-mente Cronacadiunamore16. Il copione fa in buona approssimazione la cronaca di tre amori, sullo sfondo dei cambiamenti epocali del paese. Vi troviamo rap-presentate le coppie Diana-Gianluigi, Vittoria-Marco e Diana-Marco. La prima è una coppia ortodossa, in questo caso avviata al matrimonio dopo un fidanza-mento vecchia maniera, ma non diversa struttural-mente dalle altre zoppicanti coppie cinematografiche ortodosse, come Paola-ingegner Fontana (Cronacadi

un amore), Clara-Gianni (La signora senza camelie, 1953), Nene-Lorenzo (Leamiche), Irma-Aldo (Il gri-do). La seconda e la terza sono invece riconducibili al modello coppia clandestina, cioè a una relazione non legittimata dalle convenzioni sociali. In questo caso perché non inquadrate nel matrimonio, ma sullo stesso piano delle coppie adulterine della sua pro-duzione precedente, come Paola-Guido (Cronaca diun amore), Clara-Nardo (La signora senza camelie), Rosetta-Lorenzo (Le amiche), Irma-amante (Il gri-do). La terza coppia ha poi la particolarità di essere formata dagli elementi di altre coppie “scoppiate”: Diana e Marco, della Diana-Marco, provengono, ri-spettivamente, dalla Diana-Gianluigi (prima coppia) e dalla Vittoria-Marco (seconda coppia); qualcosa di simile a quanto visto in Le amiche (Nene-Lorenzo-Rosetta) e, soprattutto, a quanto si vedrà in L’avven-tura (Anna-Sandro-Claudia). Dunque, brevemente, in Scandali segreti, la crisi della coppia clandestina (Vittoria-Marco) innesca la crisi della coppia orto-dossa (Diana-Gianluigi) e prelude al formarsi di una nuova precaria coppia clandestina (Diana-Marco). L’uscita dalla coppia clandestina sembra però avere come fondamentale corollario l’emancipazione della componente femminile, l’emancipazione della donna. Prima sarà la volta di Vittoria, poi di Diana.

I quattro personaggi principali della commedia sono dunque gli elementi che danno vita alle cop-

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pie interagenti, profondamente diversi per genere, in accordo alla caratteristica sperequazione femmini-le antonioniana17. Marco e Gianluigi sono specula-ri nella loro incapacità di amare le proprie partner, quanto Diana e Vittoria sono portatrici di anticorpi sani contro l’adattamento a un’esistenza indifferente e superficiale. Gianluigi (parte per un esterno, che sa-rà Carlo D’Angelo), grigio matematico di provincia, incarna la quintessenza del decoro, della sicurezza e della tranquillità di una vita instradata sui levigati binari del conformismo. È un carattere senza par-ticolare profondità, come la vita che può offrire a Diana. Marco (parte per Giancarlo Sbragia) è altret-tanto negativo, seppur in modo diverso: a prima vista non sembrerebbe che un degno rappresentante della cosiddetta «gioventù perduta», etichetta con la quale i media bollavano quei giovani borghesi rei di atti delinquenziali o anticonformismo. Ma non è un per-sonaggio uscito né dall’antonioniano Ivinti(1953), néda uno dei numerosi drammi italiani a tema genera-zionale del tempo, da Zonagrigia(1958) di Giovanni Calendoli a I disarmati (1957) di Luigi Barzini. La sua caratterizzazione, pur non immune da sugge-stioni letterarie (Hemingway, D’Annunzio, Sartre, Dostoevskij), riflette piuttosto la crisi dei modelli di riferimento tradizionali, in un contesto nazionale e internazionale di grande instabilità morale, sociale e politica18. Le due sorelle sono invece partecipi della

medesima natura illuminata, anche se in due momen-ti diversi di sviluppo. Vittoria (parte per Virna Lisi) ha già voltato le spalle all’asfissiante vita di provincia attraverso la relazione clandestina con Marco, e pro-prio dall’esaurimento del loro rapporto troverà la for-za per lo strappo definitivo. Diana (parte per Monica Vitti) aspetterà la fine della commedia per separarsi da Gianluigi, e da tutto quanto rappresenta, ma sem-pre grazie alla tormentata relazione con Marco, che agisce anche per lei, indirettamente, da catalizzatrice di energie. Più che l’inconsistente Gianluigi, è infatti proprio lui a soffrire quella che, nella celebre confe-renza stampa per L’avventura al Festival di Cannes del 1960, lo stesso Antonioni chiamerà «malattia dei sentimenti»19.

Spogliato delle sue appendici più episodiche, Scandali segreti si mostra dunque come una sorta di Bildungsroman al femminile. La posta in gioco degli scandali del titolo – segreti perché celati da una borghesia corrotta ma gelosa della propria ri-spettabilità – è la conquista dell’indipendenza della donna degli anni del boom, che, sulla scorta delle nuove opportunità lavorative legate ai processi di ur-banizzazione, ha la concreta possibilità di partecipare pienamente al sistema sociale del suo tempo, secondo le sue particolari qualità ma con posizioni equivalenti a quelle dell’uomo20. In questo senso, il meccanismo narrativo funziona come una sorta di binario a dop-

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pio scorrimento. A scorrere, cioè a crescere, sono le due sorelle, che, attraverso le dolorosissime esperienze della morte dei genitori e della crisi delle loro recipro-che relazioni, guadagneranno la consapevolezza della propria forza e l’opportunità dell’autodeterminazione. Poco importa se sarà solo Vittoria a fare le valigie en-tro la fine della commedia. I processi di maturazione di Diana e Vittoria sono infatti diversi perché diverso è il loro punto di partenza: Diana inizia come un convenzionale angelo del focolare, custode della me-moria del padre, che intende perpetrare sposandone l’erede spirituale; Vittoria manifesta invece subito un certo ribellismo, anche se non sa ancora renderlo, da distruttivo, costruttivo. Il doppio scorrimento è dunque a doppia velocità. Vittoria è pronta a lasciarsi indietro la vita precedente fin dalla scenata con Diana che prelude al malore della madre (quadro quarto) e forse anche prima, almeno dall’amara presa di co-scienza dell’inadeguatezza di Marco (quadro terzo). Diana non è pronta ad abbandonarla prima della scena finale (quadro dodicesimo), anche se Marco fa scricchiolare le sue certezze fin dalla fondamentale scena del cimitero (quadro sesto), punto di svolta dell’intera costruzione drammaturgica.

4. La critica non fu tenera e anche le recensio-ni che riconoscevano un certo valore al copione di Scandalisegreti non persero l’occasione di mettere in

discussione le presunte problematicità di una regia av-vertita come troppo cinematografica. Tanto la critica cinematografica quanto quella teatrale condannarono l’operazione in quanto tale, come infelice prova tea-trale di un uomo di cinema: da un lato si rimprove-rava ad Antonioni di avere incautamente allestito per il teatro del materiale specificamente cinematografico; dall’altro lo si accusava di aver disatteso quelle ele-mentari regole specificamente teatrali che stanno alla base di ogni messa in scena drammatica. Al di là del giudizio di valore, al di là della guerra degli specifici21, oggi appare innegabile che il regista ferrarese avesse deliberatamente sperimentato una sorta di rischiosis-simo teatro cinematografico. Prendiamo le scenogra-fie “neorealistiche” di Gianni Polidori22. Antonioni chiese e ottenne dal suo scenografo una riproduzione estremamente dettagliata degli ambienti reali di volta in volta in oggetto, non solo dal punto di vista della resa architettonica, ma anche dell’arredo degli inter-ni. Se la prima esigenza si può mettere in relazione ai movimenti dei personaggi, la seconda non è stret-tamente funzionale alla recitazione, e dunque appare soprattutto dettata da ragioni di verosimiglianza. Il lavoro di Polidori fu certamente encomiabile: le foto dello spettacolo di Paul Ronald23 ben documentano la fedeltà delle scenografie dei quattro ambienti della commedia alle didascalie del copione, ovvero l’appar-tamento di Marco, il cimitero del paese, il caffè del

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centro e, soprattutto, l’intero pian terreno della casa di Diana e Vittoria, con tanto di ingresso e terrazzino praticabile. Resta nondimeno difficile da stabilire fino a che punto lo spettatore teatrale abbia potuto effet-tivamente apprezzare una tale cura del particolare.

Cinematografico fu l’impianto dello spettacolo anche dal punto di vista della scenotecnica. Antonio-ni pretese un sistema in qualche modo equivalente agli artifici ottici della sintassi filmica: un sipario nero che, muovendosi dalla sinistra alla destra dello spet-tatore, scorresse talmente lentamente da consentire la sistemazione dell’arredo, oppure, all’occorrenza, il radicale cambiamento della scenografia24. L’espedien-te cercava di risolvere il problema dell’estrema fram-mentarietà del copione, che, oltre a essere articolato in due atti-tempi, prevede ben dodici scene indipen-denti, per quattro ambienti diversi, e impone quindi non meno di otto sostituzioni radicali di scenografia: il passaggio dal salotto di Diana e Vittoria all’appar-tamento di Marco (fine quadro secondo) e viceversa (fine quadro terzo); quello dal salotto al cimitero (fine quadro quinto) e viceversa (fine quadro sesto); anco-ra, il passaggio dal salotto all’appartamento di Marco (fine quadro ottavo) e viceversa (fine quadro nono); quello dal salotto al caffè (fine quadro decimo) e viceversa (fine quadro undicesimo). Il sipario mobile subentrò alla prima idea degli autori, che, per gestire il cambiamento delle scenografie, come documentano

le didascalie di fine quadro, intendevano ricorrere semplicemente allo spegnimento delle luci di palco-scenico. Tuttavia, la loro estrema accuratezza poco si conciliava con la necessità di montarle e smontarle agilmente. Non è escluso che il sistema abbia alla lunga funzionato egregiamente, ma dalle recensioni della prima romana del 31 ottobre 1957 si evince che gli spettatori rumoreggiassero ai passaggi da un qua-dro all’altro, che duravano almeno un paio di minuti, e non a sipario in movimento, come avrebbe voluto il regista, ma a sipario completamente chiuso.

Cinematografica, infine, fu la direzione degli attori25. Antonioni cercò di ottenere la massima na-turalezza nell’esposizione e nel comportamento, gio-cando tutto sul togliere, sul trattenere, sull’alludere, all’insegna di quella de-drammatizzazione che lo por-tava a riprendere gli interpreti di spalle o addirittura coperti da oggetti e arredi. Attraverso una conduzio-ne minuziosissima, incorporata nel copione in note e didascalie tanto dettagliate quanto sistematiche, il regista ferrarese voleva che i suoi personaggi portas-sero in scena la complessità dell’uomo moderno in negativo, per sottrazione, a costo di lasciare lo spetta-tore teatrale spaesato di fronte a gesti senza interesse apparente26. Emblematico il caso di Monica Vitti, che proprio in Scandali segreti mise a punto quello stile recitativo minimalista e interiorizzato che perseguirà felicemente nella tetralogia cinematografica a venire,

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con particolare menzione per il lunghissimo monolo-go che chiude la commedia: pezzo generalmente de-putato proprio all’esibizione del talento della grande attrice, con largo sfoggio di emozioni, e qui declinato, da Antonioni, attraverso le didascalie, ancora una volta, in tono minore. Così, per un Arnaldo Frateili che parlò addirittura di «senso della vita» infuso alla finzione scenica su «Paese Sera»27, al contrario, la maggioranza della critica teatrale gli concesse ben poco. Le lapidarie parole di Sandro De Feo, che dalle pagine dell’«Espresso» mise il proverbiale dito nella piaga, colsero pienamente il rischio dell’intera opera-zione: «Quei personaggi che sullo schermo, avvicinati e indicati e sottolineati allo spettatore secondo le varie astuzie della tecnica cinematografica, sarebbero ap-parsi nel giusto rilievo a ciascuno assegnato dalla nar-razione, sul palcoscenico nella successione febbrile, talvolta fulminea dei quadri, passavano come ombre o comparse indiscriminate e spesso insignificanti»28.

5. L’avventura teatrale non andò certamente co-me il regista ferrarese avrebbe sperato. La critica non gli perdonò la sua provenienza, al di là degli effettivi risultati ottenuti sulla scena. Io sono una macchinafotografica ebbe recensioni pessime e scarsissimo suc-cesso di pubblico. Scandali segreti andò meglio, ma non abbastanza da ripristinare gli equilibri interni della compagnia. Le attrici sottoutilizzate reclamava-

no più spazio, a partire da Anna Nogara, fondamen-tale per la quadratura del progetto dal punto di vista economico, e quando Monica Vitti venne contestata apertamente i due gruppi fondatori si separarono: la compagnia venne sciolta e riformata senza i milanesi, e senza neppure Antonioni, tanto che Ricorda conrabbia venne portato in scena a Genova, Torino e Milano da Sbragia, nel totale disinteresse del regista ferrarese. Eppure il bilancio che si sentì di tirare al termine dell’esperienza non fu completamente ne-gativo. In una bella lettera a Bartolini, riconosceva i limiti del copione, ma affermava anche di «aver capito molte cose, di aver capito di più perfino il cinema»29. Dell’esperienza teatrale di Antonioni, in una pro-spettiva più ampia, resta infatti, soprattutto, il testo di Scandali segreti, straordinariamente interessante per una migliore comprensione della sua poetica alle soglie della tetralogia dei sentimenti. Diana e Vittoria sono evidentemente molto vicine ai personaggi fem-minili di L’avventura, rispettivamente Claudia (Mo-nica Vitti) e Anna (Lea Massari), e la stessa figura di Marco è chiaramente proiettata nel futuro. Si tratta del primo e forse unico personaggio antonioniano che, pur affetto dalla crisi della modernità, prova a esplicitarne la fenomenologia (le sonde spaziali, il pericolo nucleare, il rapporto Krusciov ecc.), per altro non troppo diversamente da come farà il regista ferra-rese alla conferenza stampa di Cannes 196030.

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Antonioni avrebbe voluto pubblicare la com-media quale ideale conclusione della sua attività sul palcoscenico, ma a causa dell’imprevista mancanza di interesse dell’editore Cappelli il progetto non andò in porto31. A oltre mezzo secolo dalla sua messa in scena, è dunque questa la prima volta che si dà alle stampe Scandalisegreti: ideale anello di congiunzione tra i film antonioniani degli anni cinquanta e quelli degli anni sessanta. Essendo sfumata l’opportunità di pubblicarlo a fine 1957, non esiste però una versione del testo licenziata dai suoi autori, e dunque del tutto priva di interventi correttori. Non esiste cioè una vera e propria redazione finale dell’opera. I copioni del Fondo Antonioni del Comune di Ferrara – ricchi di integrazioni annotate a margine, cancellazioni e spostamenti – sono testimoni sensibilmente diver-si l’uno dall’altro, che documentano il processo di trasformazione di Il groviglio. Il copione conservato presso la divisione Revisione tea trale dell’Archivio centrale di Stato è pulito, ma presenta una redazione decisamente più antica dell’ultima stesura ferrarese. Ho quindi ritenuto di adottare, quale testo di rife-rimento per la presente edizione, il copione di scena di Filippo Crivelli conservato presso il suo archivio privato32, in quanto ideale depositario dell’ultima vo-lontà degli autori, e di procedere all’accoglimento di tutte quelle modifiche manoscritte, siano esse note di regia o varianti, che attestano il lavoro di limatura

effettuato durante le prove dello spettacolo, in vista della prima dell’Eliseo. La trascrizione fedele della commedia è corredata da un ricco apparato, che ne offre una precisa contestualizzazione storica e cultu-rale. Dell’intenso processo correttorio, mi limito a segnalare gli aspetti più significativi.

Durante la stesura del volume ho contratto un importante debito di riconoscenza con molte persone. Ringrazio Enrica Fico Antonioni, Olga Bortolini e Carlo di Carlo per aver creduto in questo progetto. Ringrazio Sandro Bernardi, Siro Ferrone, Giorgio Tinazzi e Pierre Sorlin per le preziose osservazioni che hanno nutrito il mio lavoro. Ringrazio Filippo Crivelli, Virna Lisi, Anna Nogara e Vera Pescarolo per aver voluto condividere un momento della loro vita, non solo professionale. L’attività di ricerca si è svolta presso diversi archivi e biblioteche, e si è avvalsa del contributo fondamentale di Maria Luisa Pacelli e Laura Benini, delle Gallerie d’Arte moderna e con-temporanea di Ferrara (materiali di scrittura di Scan-dalisegreti e Ilgroviglio, nel Fondo Antonioni); Maria Antonietta Grignani, Nicoletta Trotta e Jader Bosi, del Centro Manoscritti dell’Università di Pavia (car-teggio Michelangelo Antonioni-Elio Bartolini, nel Fondo Bartolini); Mariapina Di Simone, dell’Archi-vio centrale dello Stato (copione di Scandali segreti, nella divisione Revisione teatrale del Fondo del Mi-nistero del Turismo e dello Spettacolo); Piero Servo,

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dell’Afe (foto di scena di Paul Ronald, nell’Archivio storico del Cinema); Anna Fiaccarini, della Biblioteca della Cineteca di Bologna (carteggio Michelangelo Antonioni-Renzo Renzi, nel Fondo Renzi); Bene-detta Cappon, del teatro Eliseo (programmi di sala, nell’Archivio storico del teatro).

1 Cfr. Carlo di Carlo (a cura di), L’oeuvredeMichelangeloAnto-nioni, Roma, Cinecittà International, 1988-1992.

2 Si tratta di Ilvento. Cfr., per esempio, Aldo Tassone, IfilmdiMichelangeloAntonioni.Unpoetadellavisione, Roma, Gremese, 2002, p. 8.

3 Si tratta dell’encomiabile, ma scarsamente documentato, Etto-re Zocaro, Lavolta cheAntonioni fece teatro, in «Filmcritica», lii, 523, marzo 2002, pp. 149-152.

4 Un sintetico prospetto dell’attività della compagnia di Anto-nioni si trova nella sezione Bilanciodell’attivitàdellecompagniediprosanellastagioneteatrale1957-1958 di «Il Dramma», xxxiv, 263-264, agosto-settembre 1958, p. 94.

5 Presso il Fondo Antonioni si conservano un trattamento (se-gnatura 36, 122 pagine) e due sceneggiature (segnatura 20, 236 pagine; segnatura 19, 280 pagine). Per un profilo di Elio Bartolini, cfr. Claudio Toscani, Larealtàeleipotesi.GuidaallanarrativadiElioBartolini, Udi-ne, Circolo culturale Menocchio, 2005.

6 Considerazioni interessanti sul rapporto fra teatro e cinema nell’Italia degli anni cinquanta si trovano in Vito Pandolfi, CiòchenonsirappresentainItalia, in «Cinema Nuovo», vi, 110, 1° luglio 1957, pp. 28-29.

7 Per uno studio ampiamente documentato sulla ricezione del-l’opera antonioniana (fino al 1983), cfr. Giorgio De Vincenti, Michelan-geloAntonionie lacritica, in MichelangeloAntonioni.Identificazionediunautore, 1, Parma, Pratiche, 1983, pp. 51-131.

8 Il testo, giunto allo stadio di trattamento, è inedito. Una copia, composta da 85 pagine dattiloscritte, è conservata presso l’archivio pri-vato di Elio Bartolini. Cfr. Carlo Montanaro (a cura di), Potevanoesserefilm.IlcinemadiElioBartolini, Pordenone, Concordia Sette, 1998, pp. 252-253.

9 Così Monica Vitti in Settesottane, Milano, Sperling & Kupfer, 1993, pp. 176-180. Parole non in contraddizione con le dichiarazioni del regista e, soprattutto, in linea con il soggetto del film che, intitolato L’ isola, è prevalentemente ambientato a Ponza e Palmarola. Cfr. Fede-rico Vitella, MichelangeloAntonioni.L’avventura, Torino, Lindau, 2010 pp. 69-92.

10 La Vitti lo aveva convinto per quella fisicità non immediata-

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mente mediterranea, così lontana dai modelli femminili imperanti. Per la rappresentazione della figura femminile nel cinema italiano del secondo dopoguerra, cfr. Stephen Gundle, Figuredeldesiderio.Storiadellabellez-zafemminileitaliana, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 234-235. Su Monica Vitti, cfr. Cristina Borsatti, MonicaVitti, Palermo, L’Epos, 2005.

11 Informazioni circa il processo di costituzione della compagnia teatrale si trovano nell’utilissimo AntonioniportainteatrolaCapanninadelForte, in «l’Espresso», iii, 37, 15 settembre 1957, p. 14. Quanto scrivo mi è stato confermato da Filippo Crivelli.

12 Una parte di grande suggestione, fino ad allora felicemente interpretata da Julie Harris. AddioaBerlino è edito da Garzanti, mentre Iosonounamacchinafotografica non è mai stato pubblicato in italiano.

13 Ricordaconrabbia venne tempestivamente pubblicato in Italia da Einaudi (1959) nella stessa traduzione di Alvise Sapori utilizzata per l’allestimento dalla compagnia di Antonioni. In copertina si trova una foto di scena in cui spiccano Giancarlo Sbragia, Monica Vitti e Virna Lisi.

14 Mareewhisky venne pubblicato per la prima volta sul numero 163 di «Sipario» (xiv, novembre 1959). Gran parte della produzione lette-raria di Guido Rocca è stata riedita recentemente da Biblos.

15 Quanto segue è una mia breve rielaborazione della sinossi della commedia, scritta con ogni probabilità dagli stessi autori per l’Annuariodelteatroitaliano:1957-58, Roma, Siae, 1958, pp. 180-181.

16 Sul cinema di Antonioni, in questa prospettiva di lavoro, cfr. Lino Micciché, LecoppiediMichelangeloAntonioni, in Maria Orsini (a cura di), MichelangeloAntonioni.Ifilmelacritica1943-1995:un’antolo-gia, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 7-14.

17 Per il ruolo della donna nel cinema di Antonioni, cfr. Aldo Carotenuto, La donna come specchio profondo della crisi, in Maschile efemminilenel cinemadiMichelangeloAntonioni, Chiavari, Comune di Chiavari, [1996], pp. 15-21.

18 Cfr. Simonetta Piccone Stella, Laprimagenerazione.Ragazzeeragazzinelmiracoloeconomicoitaliano, Milano, Franco Angeli, 1993. Per il tema della gioventù perduta nel teatro italiano della seconda metà degli anni cinquanta, cfr. Mario Roberto Cimnaghi (a cura di), Prospet-tivedelteatroitalianod’oggi, Torino, Eri, 1958, che antologizza sia Zonagrigia che Idisarmati.

19 Marco è erotico perché ammalato di Eros. La moderna insta-bilità dei sentimenti, in sé non necessariamente un male, almeno secon-do Antonioni, in lui non è apertura, ma semplice coazione a ripetere. L’intervento di Antonioni si può leggere in Carlo di Carlo, Giorgio Tinazzi (a cura di), MichelangeloAntonioni.Fareunfilmèpermevivere, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 32-34.

20 Per un’introduzione alla questione, cfr. Simonetta Ulivieri (a cura di), Educazioneeruolofemminile.LacondizionedelledonneinItaliadal dopoguerra a oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1992 e Perry Wilson, Italiane.BiografiadelNovecento, Roma-Bari, Laterza, 2011.

21 Del tutto evidente, rileggendo i durissimi articoli Scandalisegreti e Scandalievidenti, rispettivamente, di Edoardo Bruno, in «Film-critica» (viii, 72-73, novembre-dicembre 1957, p. 235), e di Vito Pandolfi, in «Il Dramma» (xxxiii, 254, novembre 1957, p. 55).

22 È lo stesso Antonioni a parlare del suo teatro in termini di «modo neorealistico». Più in generale, cfr. Leonardo Quaresima, Da«Cronacadiunamore»a«Amoreincittà»:Antonionieilneorealismo, in MichelangeloAntonioni.Identificazionediunautore, cit., pp. 39-50. Su Polidori, cfr. Maria Ida Biggi, GianniPolidori,scenografoepittore,1923-1992, Torino, Lindau, 2000.

23 Su Paul Ronald si veda Antonio Maraldi, Paul Ronald. Unfotografo francese nel cinema italiano, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2003. Il materiale consultato proviene dall’Archivio storico del Cinema della società romana Afe, di Piero Servo.

24 Devo la spiegazione del meccanismo scenotecnico e delle sue implicazioni profonde a Filippo Crivelli. Dal programma di sala dello spettacolo, conservato nell’Archivio storico del teatro Eliseo, si evinco-no i crediti tecnici della prima romana: Renato Morozzi (direttore di palcoscenico), Roberto Lanzoni (direttore di scena) e Mino Campolmi (tecnico delle luci).

25 Personaggi e interpreti (in ordine di entrata in scena): Vittoria (Virna Lisi), Diana (Monica Vitti), Lucia (Marisa Pizzardi), La madre (Donatella Gemmò), Gianluigi (Carlo D’Angelo), Marco (Giancarlo Sbragia), Piera (Anna Nogara), Un guardiano (Perfetto Baldini), Lo zio (Arturo Dominici), Lionella (Vera Pescarolo), Andrea (Antonio Guidi), Un perito (Giuseppe Franzoni). Cfr., ancora, il citato programma di sala.

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26 Per le modalità di direzione degli attori del regista ferrarese, cfr. David Forgacs, Face, Body, Voice, Movement: Antonioni and Ac-tors, in Laura Rascaroli, John David Rhodes (a cura di), Antonioni:CentenaryEssays, New York, Palgrave Macmillan, 2012, pp. 167-184, da integrare con Id., MichelangeloAntonioni,in Paolo Bertetto (a cura di), Azione!Come i grandi registi dirigono gli attori, Roma, minimum fax, 2007, pp. 201-213.

27 Arnaldo Frateili, Scandali segreti diAntonioni eBartolini, in «Paese Sera», 1° novembre 1957.

28 Sandro De Feo, Antonionieilteatro.Cinematografosulpalco-scenico, in «l’Espresso», iii, 45, 10 novembre 1957, p. 23.

29 Lettera senza data, proveniente dal carteggio Antonioni-Bar-tolini conservato nel Fondo Bartolini. Si tratta complessivamente di una ventina di lettere che documentano la stesura a quattro mani della commedia. Cfr. Federico Vitella, MichelangeloAntonionidrammaturgo:«ScandaliSegreti», in «Bianco e Nero», lxx, 563, gennaio-aprile 2009, pp. 79-93.

30 Per il rapporto stringente tra questo discorso e la rivoluzione copernicana del cinema della tetralogia dei sentimenti, cfr. la parte se-conda (Antonioni:laperditadelcentro) di Sandro Bernardi, Ilpaesaggionelcinemaitaliano, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 114-120.

31 Lo attesta il carteggio Renzi-Antonioni, conservato presso il Fondo Renzi. Cfr., in particolare, la bella lettera scritta da Antonioni il 20 novembre 1957, dalla quale si apprende anche che il regista ferrarese non volle pubblicare il testo su periodici specializzati: «Mi sembrerebbe quasi presuntuoso, non so se puoi capire: come allinearsi nel campo specifico del teatro».

32 Il quaderno di lavoro su cui Antonioni ha impostato lo spet-tacolo è figlio del copione ferrarese a segnatura 64 (che ha 130 pagine e segue i più brevi copioni a segnatura 61 e 65), e conta 120 pagine dattiloscritte solo sul recto (mm 225 x 285). La redazione depositata alla commissione censura teatrale (fascicolo 16084, 127 pagine) è collocabile tra il copione 61 e il copione 65 di Ferrara.

SCANDALI SEGRETI