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1 ANTONIA CHIMENTI R R a a c c c c o o n n t t i i

Fili D'argento

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In questa breve opera, della scrittrice Antonia Chimenti, sono racchiuse conoscenze, incontri e testimonianze che si esplicano in una associazione di altrettanti incontri, avvenimenti, ricordi. Racconti semplici, ma di grande efficacia per chi volesse abbinare la propria fantasia ad eventi reali, raccontati con una notevole dose di spontanea sincerità, che effondono sentimenti di lungo respiro.

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ANTONIA CHIMENTI

RRaaccccoonnttii

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© Antonia Chimenti, Toronto, 12 Marzo 2013

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“Fratelli, è ormai tempo che ci svegliamo dal sonno”

San Paolo, Lettera ai Romani

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AA EErriikk ee VViittoo

AAii ffrraatteellllii ddeell MMoovviimmeennttoo LLaaiiccoo ddii PPrreegghhiieerraa

AAggllii aalllliieevvii ddeellllee ssccuuoollee lloonngghhiiaannee

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NOTA

Il mio rispetto e la mia ammirazione nei confronti del generoso

dinamismo, ricco di frutti, con il quale il Movimento Laico di Preghiera

del Beato Bartolo Longo opera su vari piani, mi suggerisce di associare

al suo impegno il mio, offrendo questo scritto come aiuto per la

diffusione dei suoi ideali morali ed educativi e della devozione al Santo

Rosario.

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PRESENTAZIONE

In questa breve opera, della scrittrice Antonia Chimenti, sono racchiuse conoscenze,

incontri e testimonianze che si esplicano in una associazione di altrettanti incontri,

avvenimenti, ricordi. Racconti semplici, ma di grande efficacia per chi volesse

abbinare la propria fantasia ad eventi reali, raccontati con una notevole dose di

spontanea sincerità, che effondono sentimenti di lungo respiro.

In un mondo labirintico le testimonianze di pensieri, che si materializzano nella

scrittura, possono aiutare altre persone ad imprimere meglio nella mente e nel cuore

la fiducia per le azioni di amore e di pace, da poter compiere anche individualmente.

La stesura della raccolta esprime un senso di comunione perfetta con il Creato, pur

nella consapevolezza dei limiti umani. La scansione in "Atti" implica con evidenza

una strutturazione del percorso, che si chiarisce progressivamente con l'avanzare

dell'età (ultimo atto).

Nella seconda raccolta, dal titolo "Fili d'argento", i ricordi di persone, luoghi,

esperienze di lavoro, di amicizia, o puramente occasionali, hanno trovato la forma e,

dunque, la struttura delle "lettere", con diverso colore, che identificano le persone

stesse, di varia estrazione sociale ed etnia, con un destino singolare che ha permesso

loro di conoscersi.

Le immagini di tali amici e conoscenti, gli episodi dell'infanzia e della vita

professionale, sono evocati in una età in cui appaiono i primi segni della senescenza.

Con gli 'Atti' della raccolta, dal titolo “Romanza”, si vuole rappresentare la visione

di una vita ripresa dall'interno, dal suo inizio alla fine, in forma poetica, pittorica e

musicale, portando alla luce sia i propri ricordi che le memorie di coloro che hanno

lasciato indelebili tracce della loro personalità, in gioventù ed in età matura.

Un eloquente e generoso lavoro di alta qualità compositiva, che, nel suo

insieme, travolge la fantasia, conducendola in spazi quasi immaginari per il mondo

odierno, pur essendo comprensibilmente reali e suggestivi. Le solide radici, colorite

dalla capacità espressiva dell‟Autrice, esaltano la purezza dei sentimenti e le

singolari introspezioni, facendo emergere, dall‟insieme, una non comune sensibilità

artistica. I suoi proficui racconti sono un emissario ricco di valori umani, che

nascono senza dubbio da un animo nobile e che conducono il lettore ad eccelse

elevazioni spirituali. Le intime sensazioni sprigionano visioni sfuggenti, poiché

legate più alla profonda sensibilità dell‟Autrice che ad una comune capacità

interpretativa, quasi legate con una sorta di ermetismo figurativo.

Uno stile davvero originale, il suo, difficile da rintracciare nella moderna

letteratura, ma, proprio per questo, di pregevole attinenza per l‟intento preposto

alla lettura.

A cura dell‘Editore

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INTRODUZIONE

Romanza e Fili d’argento sono frutto di un momento particolarmente fecondo della

fantasia.

Entrambi i racconti scaturiscono dall‟osservazione dell‟inesorabile trascorrere del

tempo, ma riportano alla luce ciò che nella vita permane anche quando ci si avvicina

al traguardo.

Le avvisaglie della vecchiaia solitamente si accompagnano a bilanci e ad amare

considerazioni sul tempo male speso, su occasioni mancate, su errori commessi, su

rimpianti.

Talvolta succede, tuttavia, che la sensibilità si desti al richiamo di scenari leggeri ed

impalpabili, dove la realtà greve della materia si sfoca.

Quanto più il vigore del corpo diminuisce tanto più, proporzionalmente, aumenta la

visione interiore.

La vita, vista dall‟interno, appare in una luce speciale, quando le tempeste

provocate e subìte sono trascorse.

In Romanza si potrà ripercorrere questa intuitiva scoperta.

Nel crepuscolo cinerino l‟anima può anche scorgere fili leggeri, non vistosi, ma

tenacemente resistenti all‟usura del tempo, luccichii argentati di memorie belle,

ricordi di persone che hanno lasciato tracce permanenti.

In Fili d’argento si potrà ripercorrere il prezioso ritrovamento di questi legami mai

recisi, ancora vivi nella calda nicchia del cuore.

L’Autrice

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ROMANZA

Atto I

Sola, solitaria, felice di esistere in quell‟incanto, in quel tacito abbraccio del mare

alla terra, sotto un sole radioso, che non dardeggiava ancora.

Amica e confidente, ascoltava il sussurro delle onde, animate dal soffio leggero di

una brezza leggiadra, che modulava i suoi pensieri.

Tutto era vago, mobile, fluido come le lacrime che si intonavano allo sciabordìo.

Eterno prodigio.

Pura gioia, pure emozioni in una simbiosi colma di abbandono.

La sua vita era così sempre.

Senza contorni netti; indefinita ed indefinibile.

Sussurrata e silenziosa, sempre allusiva ad altro da sè.

Vibrava in un moto circolare, sospeso fra cielo e terra, immemore e smemorata, ma

presente ed attenta.

Eternamente bambina, senza età, perché antica.

Baci, carezze, strattoni, pizzicotti, schiaffi, abbracci, insulti, lodi, onori ed orrori.

Tutto si stemperava in quella fluida, eterna inconsistenza, perennemente viva e

mobile.

Aveva ispirato attese, esigenze, drammi, passioni opposte.

Chissà perché.

Il silenzio non dovrebbe essere degno di nota.

Annuiva per lo più, ascoltava, sapeva ascoltare e registrava nel cuore sonorità,

dissonanze, armonie.

Perchè, comunque, di musica si trattava.

Ad ognuno la sua e ad ognuno il suo moto, dalla marcia pesante al volo.

Lei aveva sempre seguito il ritmo del cuore, la musica in sordina che accompagna le

azioni d‟amore e di pace.

Aveva assistito inebetita, attonita alle tragedie degli eccessi, anche di quelli suoi.

Poche tempeste devianti, ma ammonitrici, senza naufragi.

La materia aveva calamitato le sue forze, ma non aveva spezzato le sue ali, ed il volo

aveva ripreso quota nella luce azzurrina.

Piume soffici e fresche.

Danze e voli da sola e con loro due per un po‟. Appassionatamente e teneramente

con loro, sul ritmo di melodìe sempre più varie, dove costantemente e in alternanza

erano stati loro ad orientare il motivo o a scegliere i passi.

Melodie sempre varie, con qualche stonatura, talvolta, e spesso con toni cupi,

talmente cupi da assordar la mente e da raffreddare il cuore.

Ma la luce azzurrina aveva aperto spiragli ed ispirato nuove sinfonie, per

coreografie sempre inedite, mai banali.

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Atto II

Il sole dardeggiava ora, col vento, un vento di scirocco, in un caldo abbraccio di cui

si limitò a godere passivamente.

Tacque la musica per un po‟; o meglio cambiò il suo ritmo.

Il dolce e mesto fluire delle lacrime si sottrasse all‟impetuoso turbinìo del sangue,

che pulsava, forte, tenace, aggressivo ed esigente.

Esigeva un connubio con l‟onda tiepida e carezzevole e dolce.

Non si tuffò, non nuotò.

Si limitò ad incedere calma e solenne e consapevole.

Ora era un‟altra musica. Quella dei colori, dei riverberi della luce, delle ombre,

delle sfumature e del tatto.

Un ritmo avvolgente, ma senza oppressione corporea, perchè il cielo terso invitava

solo a spaziare altrove e a librarsi.

E vide finalmente.

Si aprì la visione dell‟immateriale, che incessantemente socchiude sipari su scenari

inesplorati, sempre vergini, dove intrecciare nuove armonie.

Non fuga, non evasione devastante.

Armonia gioiosa. Disegno mai compiuto, esito trionfale, ma pronto ad un nuovo

esordio.

Moto perenne sull‟onda del cuore,

L‟acqua detergeva, novello battesimo; spianava le rughe dell‟anima la luce

azzurrina, balsamo portentoso, che lenisce.

Si incamminò di nuovo verso la riva, pronta ad affrontare ciò che la terra riserva,

quando il sipario si chiude.

Vide ombre che incespicavano, dondolavano, incedevano a scatti con agitar di

piume.

Udì suoni stridenti, assordanti, monocordi.

Percepì con evidenza le vite spese ad ingannare la vita.

Toccò le apparenze, che negano il vero.

Inghiottì l‟amaro calice che rinnega la dolcezza.

Non si ribellò.

Vide, udì, toccò, gustò, percepì e si volse ancora alla liquida luce azzurrina, dove

aveva fluttuato libera e leggera.

Solo a questa condizione potè accettare il suo destino.

Un destino speciale, accettato e scelto, subito e costruito, insomma voluto.

Tra le ombre pochi sprazzi, ma intensi.

Era come un riconoscersi un attimo, per poi perdersi, ma quel poco bastava.

Quel poco serviva a confermare che quel cielo era veramente azzurro, anche se

talvolta nascosto sotto coltri di nubi plumbee.

In quegli attimi speciali, che sinfonie d‟organo e d‟arpa, che carezze di violino!

Poi riprendeva il timbro ossessivo del tamburo e della batteria.

C‟era di che perdere l‟udito.

C‟era di che tacitare lo zampillìo melodioso di cascate mirifiche.

Serene e chiare acque dell‟altrove.

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Sole e sabbia e vento prosciugavano l‟anima ora.

Non era più il tempo delle carezze.

In quel deserto senz‟oasi tutto ardeva.

Nessuna pietà per un misero groviglio di nervi ed ossa.

Implacabile condizione, dove la solitudine era tragica certezza e non vano

compiacimento.

Luce accecante, sabbia pungente, aria immota, sale corrosivo e silenzio.

Quel groviglio di muscoli e di nervi si contrasse in un‟impotente resa.

Atto III

Improvvisa si levò la musica lenta del respiro.

E la danza del cuore riprese fioca.

E le braccia si sollevarono.

E le mani si congiunsero come in una preghiera.

E le ginocchia si piegarono.

Sedette, alfine, a gambe incrociate.

Riposò e sorrise.

Strana danza quella del vento, della sabbia e del sale, tutt‟intorno, sotto un sole

nemico.

Cercava il buio, ma non era facile impresa.

Si alzò e si volse.

Vide in lontananza misteriosi baluginii.

Camminò tanto.

Non seppe mai quanto durò il suo ansimante e zoppicante incedere.

Arrivò infine là dove ulivi d‟argento erano ristorati da una pioggerella fine.

Si accucciò al riparo di una siepe di more, e là si dissetò e là trovò quiete la danza

folle del cuore.

E la musica riprese il suo ritmo dolce e cadenzato.

La prova del fuoco l‟aveva marchiata per sempre; ma più forte era quel ritmo

profumato di luce azzurrina, che invitava a nuove ed intrepide coreografie.

Genziane, mirtilli e fiordalisi, gigli di campo si univano a lei nell‟intreccio dei voli,

voli teneri con felci ondeggianti, che abbigliavano i suoi capricci.

Non seppe mai quanto tempo era trascorso.

Un alberello di limone ondeggiava alla brezza.

Le fu offerto un frutto, che accolse.

La silenziosa musica profferì parole grate.

E la danza riprese con piroette birichine. E l‟azzurro si stagliava infinito e

nuovamente fluido dentro e fuori di lei.

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Fonte inesauribile, perchè perenne, scaturita dall‟altrove, non trovò dighe in lei, che

si fece letto, talvolta piano, talvolta scosceso, anfora, talvolta cristallina, talvolta

opaca.

Li dissetò senza inaridirsi.

Continuava a fluttuare vaga ed indefinibile in un assolo che talvolta trovava eco per

un rinato vigore.

Non era solo musica ora, era canto, che rinnovava accenti e variava toni,

accompagnando una danza cadenzata, solenne ed austera sulla scia di arpeggi

delicati.

Raramente percepivano il suo moto circolare, occorreva essere particolarmente

dotati per questo.

Quando il prodigio si compiva, esultava il cuore in un trillo e la musica alimentava

un sorriso e nuove piroette sbarazzine.

Talvolta il duetto era macabro.

Ne usciva con le ossa spezzate, perchè sentiva il peso ingombrante dell‟altro corpo,

cieco alla luce e sordo alla musica.

Si riprendeva sempre e ricominciava.

Sempre più fluida ed assente, ma attenta.

Spazi infiniti senza barriera, pretesto per la sua musica, teatro della sua danza e del

suo canto.

Nulla e nessuno lo interruppero.

Ci provarono ovunque.

Non li sfidava; cercava, trovava senza cercare nuove modulazioni, nuovi passi per la

gioia di chi credeva.

Era migliore nel rispondere.

Non sapeva domandare, perchè non osava.

Musica femminile, dolce ristoro.

Brezza vitale, alimentata dal soffio perenne.

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Atto IV

Si riscosse.

Era sera ormai

Voli, piroette, riverenze, volteggi solleticati dalla sua arpa leggera e accarezzati dal

suo tenero violino si quietarono, sotto lo sguardo della luna e delle stelle.

Aspirò con le narici e con le labbra la dolce manna di quel momento inatteso e la

corolla si chiuse in un reclinare sullo stelo.

Bianca corolla di margherita, sotto lo sguardo indulgente di Monna Luna.

Si assopì, ma il ritmo continuò senza posa, attirando una nube leggera, che si inarcò

per accoglierla.

Vagò la nube, attraversò il pulviscolo luminoso, percorse con brio la Via Lattea,

attraversò con acrobazie magistrali le galassie, depose dolcemente margherita nel

suo mondo.

Si destò e non parve accorgersi di nulla.

Nulla era cambiato.

Danze e melodie nell‟azzurro continuarono il loro vibrante accordo.

Il sole gareggiava con lei nei giochi di luce.

Il vento amplificava il timbro dei suoni.

Il mare rifletteva il moto delle luci.

Rumori, ombre?

Niente di tutto questo.

Si avvide di non essere sola.

Profumate volute, ariosi volteggi di piume leggiadre, petali in circonvoluzioni audaci

dai toni variopinti.

Cielo e mare congiunti in un perenne connubio a ritmare i loro voli.

Eterna sinfonia del vero.

Totum simul nella perfetta gioia.

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FILI D‟ARGENTO

Lucia aveva ormai raggiunto l‟età della ragione.

Lo si poteva capire dalle pause sempre più lunghe con le quali si compiaceva di

indugiare nel bel mezzo della conversazione.

Ponderava le parole, le distillava, e non usava toni perentori nell‟esprimere le sue

opinioni.

Aveva imparato a non chiedere consensi, aveva capito che nell‟atmosfera cinerina

dove sfumano i sogni non c‟era spazio per le conferme.

Aveva perso troppo tempo a cercare conferme ed aveva scoperto che giungevano

inattese e tanto più sorprendenti, se non richieste.

Aveva imparato a fondere lungimiranza e immediatezza, ma con riserbo, e trovava

che doveva controllare la tendenza ad indugiare su elementi insignificanti, spesso

ricorrenti nelle sue esperienze.

Impiegava bene il suo tempo, che era ora un continuum che nulla e nessuno

potevano interrompere.

Gli impegni sociali non ostacolavano la feconda attività dell‟introspezione, che

riceveva rinnovata forza e vigore dai rapporti umani.

Si trovava sempre più nella prodigiosa condizione di condividere con i suoi

interlocutori le incantevoli scoperte che l‟intuito aveva suggerito e l‟operosità aveva

assecondato.

Non si meravigliava più di nulla, ma esprimeva infantile entusiasmo nelle occasioni

speciali in cui più immediata era la forza dell‟immateriale, quell‟energia che

consentiva di affrontare il grigiore del quotidiano con impegno, riproducendo ogni

volta il miracolo della vita che si rinnova anche nei piccoli gesti.

Aveva corso tanto, ma in realtà non aveva percorso molta strada.

Nella sua vita c‟erano solamente variazioni quasi impercettibili dei medesimi temi;

ma le variazioni alimentavano ora una forza interiore imperturbabile.

La calma forza della maturità.

Quella mattina attendeva come sempre alle sue varie mansioni quotidiane, nel corso

delle quali scrittura, lettura, pulizie, preparazione dei cibi si intarsiavano

mirabilmente, dall‟istante in cui aveva capito che si fecondavano a vicenda.

Il telefono, o meglio, la messaggeria del telefono, interruppe il suo silenzio

meditabondo, emettendo proposte di acquisti di servizi e prodotti.

Non obbedì ai dictat, alzò le spalle e continuò le sue operazioni.

Le si affacciarono alla mente immagini del passato, intense, uniche, nella loro

sobria, nitida freschezza, profumata di lavanda, dal sapore agrodolce del miele e del

limone.

Immagini di marmellate a cuocere sulla stufa a legna, di pasta preparata in casa.

La sua collaborazione era consistita allora nel mettere sotto i denti qualche piccolo

frammento di guscio d‟uovo.

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Pochi bambini intorno, ma molti anziani, intenti a consumare colazioni al caffelatte

e pane duro.

Fra di loro c‟era sempre qualcuno ammalato.

Le avevano insegnato ad amarli.

Si recava spesso al loro capezzale.

Si ricordava di Angela, Angela Merici, una donna dal nome e dal profumo di altri

tempi.

Angela le sorrideva grata e le prometteva in dono una campanellina dorata, la cui

presenza garbata adornava il comodino vicino al letto.

Altre mani si impadronirono del ninnolo.

La persona e l‟oggetto scomparvero dalla sua vita, lasciando una traccia soave.

Affioravano anche immagini truculente di testine di agnelli innocenti, di pollami

sacrificati alle tradizioni festive, di piumaggi divelti.

E c‟erano sempre mani operose di donne che lucidavano scarpe e pavimenti,

dipingevano muri, trasportavano legna da ardere dalle cantine fin su per ripide

scale senza ascensore.

Le stesse mani creavano abiti eleganti, cappellini, cuscini, copertine, corredini per

neonati.

Nel paese di Leonardo da Vinci certe donne lo superavano in eclettismo ed energia,

con generosità.

Altri ricordi ricorrevano nella sua mente.

Erano collegati a sensazioni di solitudine senza corazza, la stessa solitudine che

avvertiva, talvolta, ora, quando si sentiva scrutata fino all‟inverosimile.

Allora come ora era sempre assorta in qualcosa: azioni, pensieri, studio.

Non aveva mai provato curiosità epidermiche nei confronti del suo prossimo, ma si

rendeva conto della sofferenza, quella vera, che permea le fibre della psiche e si

volgeva solidale in quei casi.

Le sensazioni di solitudine non intaccavano la fibra di un carattere forte, a suo

modo, ma soprattutto libero, sempre, e sempre a disagio con la malizia femminea,

sempre a disagio con certe forme di bassezza maschili e femminili.

Si riscosse al nuovo trillo del telefono.

Rispose questa volta personalmente; le comunicarono che c‟era un pacco indirizzato

a lei e le chiedevano se era disposta ad accogliere il fattorino.

Si allarmò un poco.

Le comunicazioni telefoniche le trasmettevano una sensazione di aggressione alla

sua quieta solitudine.

Rispose che sì, naturalmente, il fattorino poteva salire e si affrettò a cercare denaro

per la mancia.

Nuovamente sola, aprì il pacco e con sua grande sorpresa trovò lettere spedite al suo

precedente indirizzo.

La colpirono, anzi, la intenerirono le tonalità pastello delle buste, l‟indirizzo blù con

cui era scritto l‟indirizzo e la calligrafia elegante che denotava abitudine consumata

nell‟esercizio della scrittura.

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Le lettere non recavano l‟indicazione del mittente.

Ne aprì una.

Un profumo di mirtilli l‟avvolse nella sua nube azzurrina.

Dolcemente stupita si accinse a leggere:

Roda di Ziano, 8 Luglio 1980

Cara Lucia,

Ci incontrammo durante un‟ascensione in montagna.

Era una bella giornata tiepida. Avevo deciso di portare a passeggio il mio nipotino.

Sostammo un poco per raccogliere mirtilli di cui era ghiotto ed in quel momento

arrivasti tu.

Spingevi un leggero carrozzino rosso, dove dormiva saporitamente tuo figlio,

appagato dalla sua recente colazione.

Una goccia di latte superstite brillava ancora sulla rotondità del piccolo mento.

Ci salutammo, ci presentammo e proseguimmo insieme verso il villaggio, dove mi

offristi un caffè.

Ci demmo appuntamento per altre brevi passeggiate, ci scambiammo gli indirizzi.

Non ti ho più rivista.

Per me è bello ricordare quel momento, ma sarebbe altrettanto bello viverne altri.

Forse?

Ciao

Elena

Si ricordò della persona, si ricordò, soprattutto, della fiducia immediata che questa

persona aveva mostrato di nutrire nei suoi confronti.

Si ricordò della discrezione con la quale aveva tratteggiato la sua vita di lavoratrice,

madre, nonna, moglie.

“ Una carriera volutamente sprecata” pensò.

Deterse una lacrima e si accinse a leggere un‟altra lettera dall‟insolito color fumo:

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Murano, 14 Agosto 1965

Cara Lucia,

Biondo angioletto vestito di turchese, come il mio mare e il mio cielo nei giorni

sereni.

Fui io a prendere la parola per primo. Ricordi?

Ero il più audace della comitiva.

Ti intravidi.

Eri con una ragazzina più giovane. La tua amata sorellina.

A nome della comitiva dei miei compagni espressi un dolce invito a ritornare e,

segretamente, mi auguravo che il battello per Venezia non partisse.

Eravate in compagnia di genitori e parenti e il vostro rammarico nel partire era

sincero quanto il mio, quanto il nostro.

Ci rivedremo.

Ciao

Gaspare

Rievocò l‟episodio, non potè focalizzare la fisionomia di Gaspare, era tuttavia

presente e viva ancora la sensazione di dolcezza che aveva provato nel sentirsi al

centro dell‟attenzione, lei così timida e schiva.

Si intenerì su se stessa e si rivide con gli occhi di quel ragazzo.

Che cosa era cambiato?

Paradossalmente nulla. Tutto come prima; stesse incertezze, stesse piccole ansie,

stesso riserbo e l‟impressione di non vivere il suo tempo, ma di guardarlo scorrere

da lontano.

Aprì un‟altra busta di un luminoso color spiga, che sprigionò un intenso profumo di

fragola:

Modena, 6 Aprile 1972

Cara Lucia,

Era una calda domenica di aprile. C‟era troppa afa per una giornata di primavera

da trascorrere all‟aperto.

Decidemmo di entrare in una gelateria, dove ci fu servito un delizioso dessert di

fragole e panna. Nella penombra del locale mi divertivo ad osservare il tuo

imbarazzo.

Eri impacciata nei movimenti, perchè ti guardavo.

Ammiravo la tua sobria eleganza. Notavo la nostra affinità di gusti.

Ammiravo la tua fresca giovinezza di ragazza pulita.

Ciao

Corrado

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Sì. Questo era un ricordo nitido.

La bellezza di Corrado era indimenticabile, come pure vivo e presente l‟imbarazzo

che aveva provato.

Le incutevano disagio le attenzioni maschili e, a ben pensarci, anche con le altre

donne stentava a stabilire rapporti.

Questo malessere non era circoscritto a quei tempi lontani.

La sua dimensione più vera, più congeniale era quella solitaria.

Lo ammetteva solamente ora e pensava con rammarico al tempo sprecato nel

forzare la sua natura. Una natura che si riconosceva nella riflessione, che si

compiaceva nel silenzio.

Dura impresa quella di vivere in un‟epoca vociante e stentorea, comunitaria e

festaiola, superficiale, ma pretenziosa.

I suoi talenti li aveva sviluppati nella solitudine.

Aprì un‟altra busta blù genziana:

Ruffrè, 14 Luglio 1969

Cara Lucia,

Sono Giuseppina, la direttrice della colonia di vacanze. Ricordi? Dovevamo

sorvegliare delle giovinette vivaci, che mal si adattavano ad una disciplina serena

ma ferma.

Feste, occasioni di svago, scherzi erano per loro più stimolanti dei momenti di

raccoglimento.

Ricordo che leggevi con chiara dizione l‟Epistola.

La tua era una fede senza incrinature, che trovava rispondenza nei tuoi studi.

È ancora così?

Ciao

Giuseppina

Sì. Era ancora così. Più che mai ora che la vita aveva confermato la positività degli

ideali che avevano impresso slancio alla sua giovinezza.

Una giovinezza privilegiata, vissuta nel raccoglimento della preghiera e degli amati

studi.

Le tonalità di azzurro che prediligeva, i profumi freschi che amava ben si

adattavano al suo stile di vita ordinato, sobrio.

Rivide per incanto Bologna, il piccolo centro di studi religiosi dove aveva

approfondito alcune ricerche.

Risentì sulla pelle il fresco sentore pre-primaverile delle mattine nelle quali

percorreva a piedi un tratto di porticato per il quotidiano appuntamento con le

memorie dei secoli.

Due grandi occhi, un cappotto grigio e tanto amore per lo studio.

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Nulla era cambiato.

La vista si era appannata un po‟ di più, ma in compenso aveva guadagnato vigore il

potente laser che le illuminava gli esseri.

E non aveva più paure.

La vita era stata generosa con lei.

Rendeva grazie alla Mente affettuosa che le aveva dispensato doni e le aveva

permesso di assecondare con femminile dinamismo la fecondità di pensieri e

progetti.

Aprì una busta celeste ed avvertì il frizzante sentore di Eau Folle. Capì la

provenienza della missiva ancor prima di aprirla: Parigi.

Non si era sbagliata:

Parigi, 13 Luglio 1974

Cara Lucia,

Le nostre frequentazioni erano saltuarie, perchè eri sempre assorbita nei tuoi studi,

ma è vivo nella mia mente il ricordo delle nostre comuni passioni: i foulards di seta e

le torte alla fragola.

Nella piccola boutique di Pierre Cardin, vicino a Chez Maxime, ci imbattemmo in

un saldo prodigioso e acquistammo questi meravigliosi quadrati di seta dalle

tonalità vibrabranti e nitide come la creatività del loro ideatore.

Trascorremmo un meraviglioso pomeriggio, che concludemmo sedute ad un

tavolino della Coupole a gustare una ghiotta porzione della gigantesca torta alle

fragole, che faceva bella mostra di sè in vetrina.

Rientrammo, infine, nell‟accogliente foyer che ci ospitava.

Mangi ancora le torte?

Ciao

Sofia

Si ricordò di Sofia perfettamente.

Era una giovane messicana, di passaggio a Parigi come lei e in procinto di partire

per Roma, dove vivevano alcuni parenti.

Per Sofia il soggiorno a Parigi era un piacevole svago con intermezzi di ricevimenti e

di viaggi nel Midi. Per Lucia era la scoperta di un‟immensa miniera per placare la

sua avidità di conoscenza.

Il soggiorno a Parigi, a completamento dei suoi studi, le aveva consentito di trovare

conferma ad intuizioni peregrine.

Preziosi volumi reperiti nelle antiche biblioteche della città avrebbero fornito una

documentazione attendibile alle sue analisi critiche.

In un‟epoca di martellante giovanilismo lei scopriva e venerava i valori perenni

negli autori del passato, incurante del suo ostinato procedere controcorrente.

Non mangiava più torte alla fragola, ora, ma progettava di prepararne una come

quella della Coupole, un giorno, magari per i nipoti.

Identico era rimasto invece il suo ostinato procedere controcorrente.

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Un profumo di erba rasata di fresco la indusse ad aprire una busta bianco avorio:

Luzzara, 19 Marzo 1967

Cara Lucia,

Perchè ti ostinavi ad essere così dispettosa?

Trascorremmo quattro anni insieme e non ho notato nessun cambiamento.

Sempre timida e riservata, sempre attenta alle lezioni.

Orazio e Petrarca erano il tuo pane.

Passavi ai compagni le versioni di latino.

Facevi copiare i compiti di francese alle tue amiche.

Non ti ho visto mai ad una festa, neanche alla mia. Disertavi i tè studenteschi.

Creatura misteriosa. Perchè?

Ciao

Amilcare

Ricordò Amilcare. Ricordò il suo sorriso beffardo. Ricordò la loro bella amicizia, le

sue ribellioni. Le aveva confidato che gli piaceva sdraiarsi sopra un prato a

contemplare il cielo piuttosto che sorbirsi lezioni, che disertava sempre più spesso.

A suo modo rivendicava un suo personale metodo di indagine filosofica!

Lucia si meravigliava un poco, ma non poteva dargli completamente torto,

soprattutto da quando una serie imprevista di eventi aveva privato la scuola degli

insegnanti migliori.

Gli studenti avvertivano disagio, ma frammentavano il loro tempo negli

atteggiamenti effimeri e nelle insidie della loro epoca.

Lucia non era speciale. Era diversa. Amava ciò che gli altri trovavano noioso: le

idee, la poesia, le città ricche di storia.

Suo padre le aveva fatto visitare Torino. Le piacque l‟urbanità di quella città, le

tonalità cinerine di un crepuscolo d‟autunno, certi palazzi maestosi, le memorie di

letture ottocentesche, cui l‟associava.

La domenica era spesso pretesto per brevi viaggi, così diversi da quelli scolastici, che

associava a sensazioni torbide.

Non amava la promiscuità del viaggio, l‟atteggiamento poco protettivo degli

insegnanti, la malizia dei compagni nel voler cogliere il frutto proibito.

Era degna di amicizie pure ed amava la sua famiglia.

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Aprì una busta grigio perla e fu attratta da una calligrafia minuta, precisa, nitida:

Milano, 15 Febbraio 1986

Gentile Signora Lucia,

Sono Roberto. Abbiamo trascorso insieme due anni. Ero un timido studente

ginnasiale. Amavo la scuola, ma avvertivo disagio quando ero invitato ad

intervenire personalmente nei dibattiti che lei organizzava.

Si ricorda quando mi ha fatto salire in cattedra per la mia prima presentazione?

Ero emozionato, sudavo freddo, arrossivo quando le mie compagne mi rivolgevano

domande; son riuscito, tuttavia, a portare a termine la mia impresa.

La voglio ringraziare.

Roberto

Si ricordava Roberto. Si ricordava quella presentazione. Si ricordava il

comportamento malandrino delle compagne di classe, si ricordava la dignitosa

fierezza con la quale, nonostante il disagio, aveva portato a termine la sua impresa,

che, prima fra tante, l‟avrebbe progressivamente confermato nella consapevolezza

dei suoi talenti.

Sorrise compiaciuta e, senza falsa modestia, ammise di essere stata una seria

professionista in altre occasioni ed in altri luoghi.

Era fiera di non aver mai frapposto barriere al fecondo esercizio della mente, nel

rispetto delle regole. Questo atteggiamento le aveva impedito di avvertire il grigiore

di una professione che si vuol confinare a mero adempimento di operazioni

programmate e senz‟anima.

Si era persa nei ricordi, dimenticando l‟urgenza del quotidiano, che esigeva da lei

meticolosa attenzione, pazienza infinita, cura delle sfumature.

La sua vita si stemperava ora in delicatissime operazioni psicologiche, a contatto

individuale con persone che, a seconda delle loro aspirazioni e del loro livello

evolutivo, intravedevano in lei le più disparate caratteristiche:costanza,

lungimiranza, serietà, rigore.

Si sentiva fiera di portare il suo contributo di integrità morale in un‟epoca

indecifrabile a dispetto delle sue manifestazioni corpulente.

Si trattava per lei di trovare la vena sotterranea, dove attingere l‟oro dell‟anima,

non per predarlo, ma per eliminare la polvere grigiastra che vi si era depositata.

Si riconosceva nelle imprese psicologiche più difficili, e la luce delle menti, liberate

dai timori che le offuscavano, si rifletteva su di lei, che la rifrangeva.

Pochi capivano l‟intenso, sottile compito cui era preposta.

Non erano loquaci, parlavano con gli occhi, annuivano, sorridevano, quando

manifestava infantili debolezze e si inquietavano quando infantili debolezze

incrinavano la sua matura compostezza.

In una vita ciò che conta è l‟accettazione dignitosa degli affanni e la loro

composizione in un bouquet profumato di pulizia.

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Aveva vinto la lotta interiore contro l‟affiorare di risentimenti ed era in grado di

dominare con ironia lo strascico di delusioni.

Sapeva con certezza ciò che poteva attendere da se stessa e questo le bastava.

Conduceva una vita molto semplice, nella quale prevaleva il gusto per lo studio, la

curiosità nei confronti degli esseri umani.

Amava la musica ed il teatro.

Si beava nell‟incanto sempre rinnovato di paesaggi naturali, che riproduceva con

tenui colori pastello.

Nelle persone ammirava il tatto, la gentilezza non ostentata, la sensibilità, il mistero.

Apprezzava il silenzioso incedere delle anime, che quietamente si purificano,

riconoscendo con onestà limiti ed errori.

Apertamente confessava le sue debolezze e si sentiva sempre più sgravata da

inquietudini, senza per questo venir meno ad un profondo senso di responsabilità.

Aprì un‟altra lettera, che l‟avvolse nel suo delicato profumo di roselline selvatiche.

Notò con piacere la calligrafia elegante, che si stagliava armoniosa con ampie e

generose volute sullo sfondo immacolato del foglio. Riconobbe i caratteri ancor

prima di leggere il testo:

Winsdor, 3 Luglio 1990

Cara Lucia,

Ti ricordi le nostre passeggiate alla scoperta dei giardini più belli della città?

Scoprivamo i giardini, ammiravamo i fiori. Ti indicavo uno per uno quelli della mia

infanzia, quelli che non avevo potuto cogliere durante la mia infanzia.

Mi ero proposta di farti partecipe degli itinerari della mia memoria, e vedevo in te

una discepola attenta alle mie lezioni di „savoir vivre‟.

Mi dicevi che apprezzavi il mio buon gusto, l‟eleganza aggraziata dei miei

movimenti, la sensibilità nei confronti tuoi e della tua famiglia.

Non facevo nessuno sforzo, dal momento che la vita mi ha messo nelle condizioni di

apprezzarne l‟aspetto estetico ed armonioso, che coltiverò sempre per la mia gioia e

per la gioia di chi mi circonda.

Ciao

Inger

Ricordava Inger. Era nel suo cuore:precisa, organizzata, dotata del senso pratico

che a volte a lei mancava, femminile e delicatamente solida, generosa.

Amava invitarla in piccoli locali deliziosi, dove il gusto dei cibi si abbinava

all‟eleganza degli ambienti.

Il suo amore per la vita si armonizzava con l‟attenzione spontanea e misurata nei

confronti delle persone.

Era felice ed orgogliosa di averla conosciuta e frequentata.

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Fu attratta da una busta di un delicato color lavanda, che, per associazione

analogica, le richiamò lo scialle di cashemire che un‟amica le aveva donato; non era

un‟associazione immotivata, dal momento che la lettera contenuta nella busta

apparteneva a questa amica:

Montreal, 12 Dicembre 2004

Cara Lucia,

So con certezza che ti ricordi di me.Ci univa un‟affinità di anime; il gusto per il

bello, l‟amore per il cielo stellato. Guardavi Steve e me con la tenerezza di una

madre e ti amavamo per questo. Non dimenticarmi!

Ciao

Susan

Come poteva dimenticarla, anzi, come poteva dimenticarli? Si avvolgeva ogni sera

nel caldo abbraccio dello scialle da loro donato.

Ricordava la sera di plenilunio che avevano trascorso insieme, pasteggiando con

pizza e champagne. Ricordava il loro infantile entusiasmo nel mostrare i loro

„giocattoli‟:nuove auto, nuovi souvenirs dei loro viaggi.Ricordava soprattutto la loro

profondità nel cogliere l‟essenza della vita. Assaporava nel suo cuore il gusto della

loro dolcezza. Il tepore dell‟abbraccio di Susan e Steve l‟avvolgeva ancora, quando

si accinse a leggere la lettera successiva:

Vancouver, 10 ottobre 2000

Cara Lucia,

Sono sicuro che non ha dimenticato il nostro primo incontro. Era il secondo giorno

di scuola per me. Ero reduce da un bel viaggio negli Stati Uniti con mia moglie e mal

tolleravo l‟opprimente atmosfera di una saletta, dove dovevo sorbirmi lezioni di

francese, che non amavo. Rispondevi pacata alle mie domande; ti parlavo dei miei

figli e di mia madre, filosofeggiavo e tu mi assecondavi. Ho superato l‟esame.

Ciao

Roger

L‟immagine di Roger affiorò dal suo passato. Si stagliava netta la fisionomia di uno

studioso di scienze, che, suo malgrado, era stato chiamato ad alti compiti. Alle soglie

della vecchiaia avrebbe preferito dedicarsi ad elevate riflessioni morali, studiare la

filosofia, i classici della spiritualità. Tendeva domande capziose che lei sapeva

raggirare, per difendere la sua privacy, pur offrendo il suo sostegno nella ricerca

dell‟unico Vero cui quest‟anima aspirava. Aveva raggiunto ormai quel livello di

imparzialità, che le consentiva di controllare pulsioni di tipo reattivo nei confronti di

punzecchiature e attacchi più o meno maliziosi alla sua dignitosa presenza nel

mondo. Roger aveva raggiunto una posizione prestigiosa nella gerarchia sociale, ma

aveva capito che la cosa più importante era la ricerca della Verità. Aprì una busta

azzurro polvere come i cieli di dicembre e si accinse a leggere:

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Milano, 8 Dicembre 2001

Cara Lucia,

In un magico dicembre di tanti anni fa andammo insieme a Roma.

Fummo amiche negli anni più importanti per la vita di una donna: quelli che

seguono gli studi e vedono l‟inserimento attivo nella società, attraverso il lavoro.

Ci capivamo.

Ci confidavamo le difficoltà che incontravamo nei nostri rapporti con i giovani

nostri coetanei.

La nostra rigorosa formazione mal si conciliava con tempi permissivi, nei quali la

caduta di barriere morali pareva permettere paradisi di felicità agli estasiati cultori

della libertà assoluta.

Serbai la mia coerenza.

Rimasi sola.

Ciao

Erika

Ricordava la piccola Erika, la gentile, umile, impacciata e sensibile amica di tutti.

I genitori vedevano con apprensione il via vai di amiche ed amici che, con spontanea

quanto sfacciata disinvoltura, si avvicendavano in casa sua, trovando sempre una

parola affettuosa, mista ad una bonaria ironia.

Rimpiangeva di non averla frequentata più intensamente.

Rimpiangeva di non aver rispettato un sano equilibrio nella suddivisione degli

impegni tale da consentirle di riservare ancora tempo per quella bella amicizia.

La vita non è sempre così gentile o, meglio, l‟essere umano non è sempre così gentile

da capire che l‟armonia non è un‟opzione.

Essa è, al contrario, una necessità vitale da preservare per assicurare il giusto posto

agli affetti tutti e far circolare senza barriere quell‟Amore unico puro e vero che

nobilita.

Era troppo tardi ormai, ma il ricordo di quel sorriso ironico, di quelle graziose

cuffiette invernali con le quali infantilmente e vezzosamente Erika amava ripararsi

dal freddo, le trasmetteva ora la commovente sensazione di uno slancio di tardiva

tenerezza, che avrebbe voluto riversare sull‟amica lontana nel tempo.

Asciugò una lacrima.

Poteva tranquillamente affermare di aver vissuto esperienze dolcissime a contatto

con esseri speciali.

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Una busta più piccola delle altre attirò la sua attenzione.

L‟aprì; conteneva un biglietto d‟auguri tutto lustrini e fiocchi di neve.

Era di Florinda, l‟amica di Mantova, che aveva abitato di fronte a casa sua per un

certo periodo di tempo.

Ricordò le loro passeggiate poco lontano da casa, nel periodo immediatamente

precedente il Natale.

Scuriosavano presso i rivenditori di ninnoli e libri.

Non facevano grandi acquisti, per lo più si limitavano ad assorbire l‟incanto del

Mistero, che si riproduce ogni anno per tutti in un‟atmosfera allora ovattata e mite.

Sorrise intenerita al ricordo di quella ragazzina taciturna, con cui aveva condiviso

per un poco il suo dolce torpore.

La vita non era sempre stata così per lei.

Prima di arrivare ad un‟equilibrata composizione di impegni sociali e raccoglimento

era trascorso molto tempo; e questo equilibrio era continuamente minacciato.

Meditava spesso sulla reazione di Gesù fra i dottori del Tempio.

Rifletteva sulla ferma e assertive difesa del ruolo che il Fanciullo aveva affermato.

Riconosceva che i cedimenti comportano perdite di tempo e di energie in futili

recriminazioni.

Era sempre stato questo il suo problema: riuscire ad asserire un quieto diritto

all‟esercizio della libertà, una libertà che permetteva di trasmettere quanto la fonte

interiore le andava sussurrando con il suo fertile zampillìo.

I momenti di questa riflessione che richiedeva a se stessa e al mondo consentivano

l‟accesso a questa linfa inesauribile, che richiedeva solamente la sua attenzione.

Gli affetti trovavano una ragione. Le azioni e i pensieri si liberavano dal timore e

dalle ansie.

Le parole ritrovavano il ritmo impresso dalla saggezza e si coloravano di

imparzialità.

La semplicità nella profondità si imponeva in tutto.

Le conseguenze si avvertivano nello stile di vita sobrio e nelle necessarie operazioni

di selezione, di eliminazione, compiute senza arroganza, nel rispetto delle priorità

dei valori spirituali.

Aprì una busta color alba d‟estate.

Intuì che la scelta di un colore così delicato poteva essere stata compiuta da una

persona d‟animo gentile e non si sbagliava.

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Piacenza, 8 Marzo 1994

Cara Lucia,

La nostra non è stata un‟amicizia.

Fu un incontro casuale nel parco pubblico della tua città, dove avevi accompagnato

tuo figlio per farlo giocare con altri bambini.

Ti manifestai le mie intenzioni e le mie repulsioni.

Come te detestavo l‟arroganza, i toni di voce alti ed aggressivi, la sicumera degli

sfruttatori del lavoro altrui.

Ti indicai un nome, con dovute riserve e cautele, che non ti celai.

Che avvenne in seguito?

Ciao

Chiara

Ricordava Chiara e ricordava le piccole mani di suo figlio strette alle sue, ricordava

che dietro indicazione di Chiara aveva contattato un editore per pubblicare una

ricerca.

Ricordava gli eventi successivi.

Ricordava soprattutto la fisionomia interiore di Chiara, la sua nobiltà d‟animo, la

gentilezza di una giovane donna sola, colma di ammirazione ed affetto per i suoi

genitori.

L‟elemento sacro della vita è costituito dall‟incantesimo che si produce quando la

semplicità e la purezza si manifestano.

Non amava gli oggetti di color rosso fuoco, ma amava il fuoco, quello naturale dei

caminetti delle favole.

Aprì comunque una busta rossa che conteneva un biglietto di auguri di un Natale

ormai lontano.

Faticò un poco a decifrare la firma del mittente, ma ancor più faticò ad associare

quel nome ad un volto.

Riflettè sulla data: 1972

Subitaneo affiorò il richiamo alla persona che aveva formulato gli auguri: un

giovane indiano.

Aveva frequentato un suo corso, l‟aveva coadiuvata con la sua competenza in campo

tecnologico, ma, soprattutto, con una precoce maturità di giudizio aveva stemperato

atteggiamenti che personaggi più altolocati avevano palesato nei confronti della sua

insegnante.

Aveva letto in un bel libro che gli dei agiscono in silenzio.

Il giovane indiano aveva agito in silenzio per amore di pace e per stima nei suoi

confronti.

Gli era grata per questo.

La busta successiva era di un normale color bianco, ma l‟indirizzo era scritto con

una grafia che, inconfondibilmente, rivelava l‟identità del mittente.

Non si sbagliava.

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L‟autore della missiva era il giovane cileno, che aveva seguito un suo corso ed aveva

ispirato con la sua profondità di interessi un percorso insolito, ma coerente e,

soprattutto, denso di significato.

Questa esperienza pedagogica l‟aveva confermata nell‟idea di poter essere utile in

un‟operazione di divulgazione educativa.

L‟aveva confermata, altresì, nell‟idea che già aveva intravisto durante gli anni di

formazione universitaria: la semplicità e l‟essenzialità di messaggi culturali non

conosce limiti spazio-temporali. È sempre ed ovunque valida.

Questo giovane aveva attraversato terribili prove nel corso della sua esistenza, ma

un senso forte della dignità, congiunto alla determinazione con la quale si cimentava

nell‟adempimento del suo lavoro di studente, gli consentiva di collocarsi in una

stabile posizione nel contesto della società.

Il contenuto della lettera non era molto importante: esprimeva in termini

convenzionali la sua riconoscenza, ma Lucia ebbe la netta impressione di un

messaggio positivo per continuare a percorrere il cammino intrapreso.

Tutto rientrava nell‟ordine, ma non era un ordine statico: perennemente

evolventesi, semplice e complesso, metteva a fuoco sensibilità, intelligenza, emozioni,

senza vane ampollosità, nella chiara ed arieggiata compostezza della mente.

Ordine sempre nuovamente ricomposto, per successive armonie.

Tolse dal mucchio un‟altra busta dal delicato color grigio dei cieli di Turner.

Con slancio si accinse ad aprirla, pregustando il contenuto, visto che del mittente

aveva intuito l‟identità.

Non si sbagliava. Nella situazione straordinaria che la sua vita le aveva serbato in

sorte si erano ripetutamente presentate occasioni belle.

Per la sua carriera di studiosa delle anime la vita non aveva risparmiato una ricca

varietà ed anche, come nel caso di Clivio, una rara esemplarità.

Ci son persone nate per mostrare al mondo la compiutezza di un disegno che si

delinea già dalla nascita e che si affina nel corso del tempo.

L‟intelligenza presiede ad orientare con la sua luce una vita mobile ed ariosa.

La volontà è ferma nell‟esercizio del dovere in un continuo superamento verso

nuove mete.

Il corpo si fa docile strumento dell‟anima e nel suo dinamismo imprime movimento

a sentimenti ed emozioni, che trovano libero corso nello spazio.

La sensibilità imprime vita allo sguardo, che si rivolge intenerito a cose e persone.

L‟eloquio, chiaro e conciso, essenziale, ma non secco, rivela una visione serena,

profonda, equilibrata della vita.

Una vita colma di grazia.

Clivio incarnava l‟ideale antico e perenne dell‟armonia nell‟esercizio dell‟arte della

musica e della danza.

Si era ricordato di inviarle un saluto e gliene fu grata.

Tutti i tasselli del mosaico si ricomponevano ora.

Ogni cosa stava ritornando al suo posto e certe altre mancavano, ma erano vive e

presenti nella memoria: oggetti di cui si era liberata, carte, indumenti.

Non si pentiva degli atti di generosità, di moti ispirati dal desiderio di condividere

con altri gli oggetti che le appartenevano, ma che giudicava per lei inutili.

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Si pentiva invece di averne distrutti altri. che mai più sarebbero tornati in vita.

Emanuele, il suo giovane figlio, il suo giovane guru le aveva sempre rimproverato, a

giusta ragione, quell‟assurda pretesa di far ordine a tutti i costi con l‟eliminazione.

Si trovava spesso, ora, a cercare qualcosa che non aveva più e che aveva eliminato.

Con le persone, perlomeno, era stata meno drastica, per fortuna!

Certe idiosincrasie si ereditano.

Aveva ereditato l‟allergia per i documenti, ma ritenva ora che anche la cosa più

scialba, informe portava in sè un alito di vita.

Non si vive di passato, il presente urge, ma quelle carte, passate di mano in mano,

sono vive e presenti e cantano la musica delle speranze attese e disattese.

Credette ad un miracolo quando, aprendo una busta più grande delle altre trovò il

certificato del distretto militare di Rovigo, che se pur non aveva a suo tempo sortito

l‟effetto di procurare a suo cugino la pensione di guerra, nonostante l‟eloquente

corredo di foto che lo ritraevano su carri armati nel deserto, evocava nel suo animo

trepidante l‟assillo di ricerche e l‟ingenua risposta di tanti giovani all‟appello di

servizio civile volontario.

Ogni casa dovrebbe essere un museo o, per i più riservati, uno scrigno decoroso.

Ricordava di aver distrutto quel documento grigio-verde che, ora, ricomposto,

ritornava a lei con il flusso di memorie sollevate da quel pezzo di carta.

Occorrerebbero tanti custodi del tempo e per garantire costantemente la custodia ci

si dovrebbe condannare ad una vita senza spostamenti e al tempo stesso cadenzata,

come quella delle monache di un convento, oppure esercitarsi sin dall‟infanzia al

rispetto di ogni cosa.

Si ripromise quest‟ultimo obiettivo educativo da inculcare al nipote, cui era

gioiosamente ansiosa di dare le consegne…

Amava ancora troppo la vita per identificarsi col ruolo di archivista a tempo pieno.

E amava il rosa pallido di certe nubi dell‟alba, come la busta che si accingeva ad

aprire:

Pisa, 26 Luglio 1981

Lucia cara,

Ti ricordi di me?

Mi preparavo per le nozze allora.

Si prospettava per me il passaggio da una vita agiata ad un‟altra che lo era ancora

di più.

Ti confidai l‟imbarazzo di dover subire la volontà indiscutibile del mio fidanzato di

celebrare nozze religiose.

Provenivo da un ambiente pragmatico e materialista.

Ti confidavo che le uniche conversazioni udite in casa riguardavano i profitti

dell‟azienda di famiglia. Io preferivo le mie ricerche di letteratura inglese.

Che cosa fai?

Eri incerta e confusa, angosciata e intimorita.

Non potei aiutarti.

Spero che il tempo sia venuto in tuo soccorso.

Giovanna

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Giovanna dalla netta dizione, Giovanna, così sicura al centro di un mondo

perfettamente sferico, in una terra dove l‟arte celebra il suo connubio col sole che

illumina.

Sì. Il tempo aveva sanato dissidi; l‟unità frammentata si era ricomposta al chiarore

e al calore della grande luce che l‟aveva aiutata ad ammettere solo la Verità e a

ritrovare la forza della coerenza.

Coerente e responsabile nel Vero, ora, più fermamente che mai.

Le capitavano cose strane, che osservava con estrema lucidità.

Scorgeva le falle di tante incasellature nei discorsi, nei comportamenti pubblici e

privati.

Sorrideva nel promettere a se stessa di non cedere al ribaltamento di quei sacri

valori cui aveva improntato la sua giovinezza.

Accettava il prezzo di solitudine che implicava.

Osservava attentamente il sepeggiare disperato di melmosa poltiglia che voleva

avvinghiarlesi attorno, frenare la sua audacia, limitare senza successo la sua

portata.

Maestra e scolara da sempre, per sempre ed ovunque, con amore, dolcezza, ironia,

serietà, senza rigidità, ora, ma con rigore, ordine ed integrità.

Discepoli di tutte le razze, di tutte le età, in un consapevole o inconscio sforzo di

tessere domande e di intrecciare risposte sul senso della vita, aldilà delle circostanze

contingenti, che li avevano indirizzati a lei.

I messaggi dei migliori costituivano uno stimolo a proseguire in un‟attività che

aveva senso più che mai ora.

Aprì una busta color ametista:

Lione, 3 Ottobre 2000

Lucia,

Non ti dimentichiamo.

Per ogni nostra domanda c‟era la risposta giusta.

Esprimevi nella tua seconda lingua concetti che noi eravamo incapaci di formulare

nella lingua materna.

Ci siamo sentiti confortati a proseguire, a progredire, a migliorare.

Grazie.

Il Club Cinecittà

Li ricordava uno per uno.

Era una troupe di attori ed attrici, guidati dal regista.

Avevano seguito un corso di lingua italiana per l‟esercizio della loro professione ed i

loro giudizi erano funzionali all‟utilizzazione pratica del suo insegnamento. Era

cosciente di questo, ma col tempo aveva affinato lo stile e spesso poteva contare

sull‟assenso unanime di questi allievi d‟eccezione per sconfinare dall‟aspetto tecnico

della disciplina a quello educativo, con buona pace di tutti.

Invecchiava con serenità, notava contrasti e stridori, eccessi e limiti, squilibri,

timori.

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La tavolozza degli artisti disponeva di un limitato numero di tonalità e ben misera

cosa era lo spartito di un musicista rispetto alle sfaccettature meravigliose ed

imprevedibili dell‟anima.

Viveva per questa quotidiana e progressiva scoperta.

In questa professione non esistevano competitori, ma solamente accidentali affinità.

Occasionali affinità come quella che aveva trovato con il mittente della lettera

successiva, un giovane studente di discipline scientifiche, serio, metodico, ordinato e

rispettoso.

La sua intelligenza lo aveva gradualmente orientato verso un sapiente uso delle

tecnologie informatiche, finalizzato ad approfondimenti culturali, cui dedicava ogni

momento libero.

L‟informatica al servizio dell‟intelligenza, della scoperta, della cultura.

Un nobile modello per i tempi insidiosi nei quali viveva.

Il giovane Peter le scriveva da Monaco, dove dirigeva l‟ufficio tecnico di una ditta di

computers.

La ringraziava, le poneva quesiti interessanti sulla qualità della vita in Australia.

Per qualità di vita il giovane non intendeva certamente i dati statistici relativi al

reddito annuo pro capite o il numero delle auto vendute. Si riferiva invece alla

possibilità di vivere da esseri umani, degni di questo nome.

Con questo tipo di domande il giovane dimostrava di aver corrisposto alle sue

aspettative di maestra e all‟augurio che Lucia aveva formulato al momento del

congedo: quello di non cambiare.

Si destò dal flusso delle memorie e dei pensieri per afferrare una busta a forma di

cuore, insolita e perciò più attraente.

Per associazione e per analogia si trovò a pensare ad una scatolina che sua cugina

Ines le aveva donato nel lontano Natale del 1960.

Aprì la busta e non seppe impedire che calde lacrime scorressero sulle sue gote.

Era proprio lei, Ines, che le scriveva; l‟analitica, precisa, razionale, pragmatica Ines.

Non smentiva il suo stile neppure in quel momento: la busta non conteneva una

lettera, ma un fazzoletto profumato di „violetta‟, accompagnato da un biglietto di

auguri.

-Grazie, cara Ines- si trovò a sussurrare Lucia.

Aprì una busta di un fiammeggiante color arancione, sotto la quale il suo indirizzo

era stampigliato con una nettezza orientale.

Non si sbagliava.

Jennifer le mandava un affettuoso saluto da Tokio.

Jennifer, uno stile di vita unico, un modello di sincretismo culturale e di femminilità.

La riscosse il suono del telefono, al quale non rispose, come al solito.

Preferiva ascoltare i messaggi che non erano mai portatori di significato, o meglio,

sì, veicolavano un solo delirante „dictat‟: “ Compra!”

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Il senso della vita stava altrove: nel centro della coscienza, nella frontiera

invalicabile tra bene e male, individuati con scrupolo di verità.

Nessuno affermava più questi concetti elevati e semplici.

L‟umanità si disperdeva in rivoli, si compiaceva nella fanghiglia, si disperdeva in

frammenti, perdeva la sua integrità originaria.

Nessuno la invitava a recuperarla.

Ovunque slogans, inviti al piacere effimero, al confort.

Pochi, rari inviti al recupero dell‟integrità morale.

Aprì un‟altra busta, rosa pallido.

Emilia, la dolce e paffuta Emilia, le scriveva dall‟infanzia ormai lontana, che per lei

era rimasta l‟unica età della vita.

A dodici anni aveva avuto un bambino.

Nessuno aveva criticato l‟evento.

Tutti avevano sorriso alla notizia, raffigurando l‟immagine tenera di una madre e di

un figlio bambini.

Le scriveva parole d‟affetto, le voleva bene come allora.

Cara, dolce, tenera Emilia!

Per omonimia si trovò a pensare ad un‟altra persona che aveva scelto questo nome

quando aveva pronunciato i voti di ingresso nella vita religiosa.

Un volto infantile, una purezza adamantina, che si associava alla grazia del

portamento e alla dolcezza della voce.

Una soave immagine, una testimonianza aggraziata e femminile del messaggio

evangelico, interpretato da frate Francesco d‟Assisi.

Avevano trascorso bei momenti insieme, a legger poesie, a commentare eventi.

In sua presenza il mondo appariva come gli occhi limpidi del Santo di Assisi li aveva

visti, ma al tempo stesso le turpitudini emergevano nette, in contrapposizione.

Le anime vacillanti uscivano ristorate e più stabili dall‟ambulatorio, dove esercitava

l‟umile e pietosa opera di infermiera.

Infermiera dei corpi, ma soprattutto delle anime. Suor Emilia, luminoso raggio della

Grazia!

Si trovò a pensare che quelle lettere, quei colori, quei profumi avevano evocato un

passato sempre presente e, per di più, gioioso, puro, smagliante.

Quel passato presente alimentava la sua anima, nutriva la fiamma che produceva

effetti mirifici nei cuori nel suo nuovo e antico modo di esser presente nel mondo.

Cadevano le barriere culturali: limiti di tempo e spazio, gli ostacoli che talvolta le

erano sembrati insormontabili e che avevano alimentato futili timori di

inadeguatezza.

La sua vita era servizio; non desiderava altro che essre utile.

Era venuta al mondo per questo.

Chi mai poteva aver scelto una busta color castagna per comunicare con lei?

Personalmente non avrebbe mai scelto questo colore per inoltrare un messaggio!

Tuttavia i gusti non si discutono e si deve apprezzare l‟intenzione di chi decide di

mettersi in contatto con qualcuno.

Di buon animo si accinse ad aprire la busta misteriosa.

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Fu felicemente avvolta da un profumo di caldarroste, che le rievocò gli autunni di

un‟infanzia sana, vissuta nell‟urbanità schietta di una piccola città di provincia,

nella quale la volgarità non aveva ancora mosso i suoi giganteschi passi e la natura

si rivelava nell‟avvicendarsi delle stagioni, non ancora alterate.

I suoi occhi si indirizzarono incuriositi alla firma: Giuseppe.

Ah, Giuseppe!

Solo una persona dotata di sano senso pratico, radicata sulla terra, ma al tempo

stesso gentile e sensibile, avrebbe potuto scegliere una busta di quel colore.

Ricordava le loro conversazioni, ricordava il suo tatto, senza raffinatezze, solido,

positivo, realistico.

Una mente ordinata, dove tutto ritornava al suo posto, senza enfasi.

Una discreta, risevata presenza nel mondo, capace di umile abnegazione.

Aiutava la madre, curava il padre, ovviava con la sua sollecita attenzione alle

disattenzioni di un fratello più ambizioso, che aveva preso il volo.

Una grande, rara maturità.

Giuseppe le inviava solamente un saluto in bella calligrafia, ma la busta conteneva

qualche variopinto fiore del suo giardino. Non si smentiva neanche in

quell‟occasione.

Le parole erano un‟infinitesima parte del suo linguaggio, che trovava espressione

nei gesti, nello sguardo, nell‟attenzione seria e rispettosa che portava alla realtà, agli

esseri.

Giuseppe era stato un giovane di grande dignità ed ora faceva onore alla sua

giovinezza.

Sono rare le persone „centrate‟.

Quando si ha la fortuna di conoscerle non si può fare a meno di constatare che

anche durante la giovinezza non rincorrono ubbìe. Appaiono monotone e troppo

serie ai superficiali. In realtà posseggono il privilegio di saper vedere la vita così

com‟è.

Quest‟incontro col passato giovava al suo cuore e alla sua anima.

Proiettava una luce imparziale sulla sua coscienza, faceva affiorare ferite,

mancanze, gioie, sorrisi e lacrime, rinvigoriva propositi di positiva operatività,

detergeva la sua mente.

Lucia doveva fare i conti col tempo, ora più che mai.

Non poteva permettersi di perderlo.

Si ritrovò a supplicare Dio di concederle il gusto della veloce realizzazione di azioni

positive ed efficaci.

Si proponeva di essere utile nel bene, quello vero.

Saldi propositi e solide azioni vanificano timori, ansie, futili discorsi, querimonie

varie, comportamenti reattivi.

A sessant‟anni non era lecito commettere errori, nelle azioni, nel pensiero, nelle

parole.

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Il suo fine era quello di una vita bene spesa.

Solo un giudizio superficiale poteva sminuire l‟importanza della vecchiaia.

Non l‟aveva mai temuta, non aveva mai seguito i consigli di chi l‟orientava verso i

godimenti effimeri. Amava la vita. L‟aveva sempre amata in una maniera

personalissima nella dignità e nel rispetto per gli altri.

Molti avevano usato toni severi con lei, interpretando male la sua pacifica e

silenziosa affermazione di libertà di pensiero e di azione.

Non era perfetta. Gravi errori avevano minato la salute della coscienza, avevano

depositato polverose concessioni ai compromessi, ma col tempo aveva capito e

confessato le sue mancanze e si era trovata a recuperare, in parte, l‟integrità

infranta.

Si trattava di procedere, di incedere verso la morte con una consapevolezza esente

da timori, che suggeriva le azioni più giuste, ma anche parole misurate.

Sorrideva di fronte alle proposte di tinture per capelli, maquillages degni del miglior

Fellini, elisir di eterna giovinezza.

Voleva assaporare la vecchiaia, immergervisi con serena fiducia, certa di non aver

più alibi per compiere nella maniera più onorevole la sua missione, quella di un uso

responsabile della parola.

Una studentessa un giorno aveva affermato che il tempo con lei era trascorso senza

che se ne fosse resa conto. Era il riscontro più bello che potesse ricevere

nell‟esercizio della sua arte.

E continuava nonostante tutto.

La più grande lotta era quella contro se stessa. L‟integrità non è franta dall‟esterno

se all‟interno c‟è una matura consapevolezza, senza compiacimenti, dei propri pregi

e limiti.

Aveva deciso di adottare misure meno aggressive, meno militaresche e si accorgeva

che la sua indole femminile rispondeva meglio ad un approccio mansueto. Si attenne

a questa acquisizione e i frutti, copiosi, non tardarono a mancare. “Conosci te

stesso”. “Coltiva il tuo giardino”. Gli inviti della saggezza a perseverare si

integravano a meraviglia con l‟ideale etico di Bontà nella Verità, ma, secondo il suo

personalissimo stile. Così l‟equilibrio non era franto.

Aprì un‟altra lettera. Nessun particolare indizio permetteva di anticipare l‟identità

del mittente. Si accinse a leggere, incuriosita:

Amsterdam, 6 Febbraio 1999

Lucia,

Mi permetta di esprimerle tutta l‟ammirazione che io provo nei suoi confronti.

Le sono bastati pochi istanti per capirmi.

Cerco un filo di continuità per i miei pensieri, cerco chiarezza per le mie parole,

cerco un piccolo spiraglio per capire il misterioso prodigio della vita.

Stempero la tristezza con l‟ironia. La mia malinconia senza illusioni nè speranze si

alimenta di libri, musica e cinema, viaggi, famiglia e lavoro.

Osservo gli esseri, li ritraggo in istantanee che non mentono.

Ci accomuna il gusto dell‟osservazione attenta e tollerante.

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Entrambi notiamo l‟indaffarato agitarsi intorno al nulla. Entrambi notiamo

l‟imperversare osceno della volgarità.

Peter

Peter? L‟associazione del nome alla persona fu istantaneo. Peter il gallerista

poliglotta, esperto d‟arte e cultura, fine intenditore di anime.

In che cosa poteva aver aiutato una persona che già aveva trovato il bandolo e lo

dipanava vieppiù celermente nell‟avvicinarsi alla meta?

Era lei ad aver trovato in lui puntuale conferma. Peter era un‟asserzione vivente e

finemente discreta della dignità dell‟essere umano.

La sua presenza nel mondo emergeva per silenzioso contrasto con la vociante

protervia di un‟umanità in via di estinzione.

Raramente parlava di se stesso. Quando lo faceva, con un mesto sorriso, non era

mai per autodefinirsi.

Parlava invece della sua famiglia, di sua madre, soprattutto e, dalla luminosità del

suo sguardo Lucia comprendeva che ne era fiero.

La mestizia di chi aveva già assaporato tutte le amarezze della vita era velata dal

sorriso e dall‟ironia, dall‟autoironia, qualità rara in cui eccelleva.

Quest‟atteggiamento induceva Lucia a sdrammatizzare le situazioni, ad attribuire

loro il giusto peso, senza per questo perdere di vista il sano principio di

responsabilità personale che in lei era molto forte.

Doveva tuttavia fare i conti con una realtà nella quale i numeri, la contabilità del

tempo e delle azioni erano assurti a valori imperanti.

Non lottava contro i mulini a vento, si adattava, ma difendeva con fermezza i suoi

principî.

Era coerente ed onesta.

Trasse dal mucchio un‟altra lettera.

Proveniva da Roma, recava la data dell‟ 1 gennaio 1970 e recava in calce la firma di

un misterioso Carlo.

Si sforzò di ricordare, ma la memoria si ricompose solamente dopo che ebbe letto il

contenuto:

Roma, 1 Gennaio 1970

Cara Lucia,

Ero bambino, eri bambina.

Giocavamo insieme, condividevamo la nostra gioia di essere al mondo.

Mi mostrasti il tuo piccolo nido, dove una madre operosa ti insegnava la via della

pazienza e della pudica e dignitosa accettazione della vita.

Sono felice ora di aver condiviso quella meravigliosa età della vita con te.

Ciao

Carlo

Non aveva bisogno di dettagli, di precisazioni.

Ricordava, ora, la persona.

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Ricordava il suo tranquillo comportamento di bambino educato bene, come lei.

Gli aveva mostrato il suo bambolotto, la sua piccola scopa, i suoi piccoli tegami e

stoviglie giocattolo.

Ricordava soprattutto che Carlo non si compiaceva di farle dispetti, non aveva

tentato di stuzzicare il suo carattere suscettibile.

Gli era grata, a distanza di tempo, per questo.

Indugiò ancora un poco a contemplare le immagini evocate dalla memoria, mentre

apriva l‟ultima lettera del mucchio:

Teheran, 6 Ottobre 2006

Cara Lucia,

sono Dante, il bambino iraniano che frequentava la scuola materna francese dove lei

ci assisteva.

Ero intimidito, non osavo parlare con lei, ma le volevo bene.

Ero spaurito nel lungo corridoio che conduceva alla mensa, dove avrei consumato

una porzione calda e fumante di pasta.

Le stringevo la mano e sentivo il calore protettivo della sua.

Grazie per il suo affetto, anche da parte della mia mamma.

Dante

Come avrebbe mai potuto dimenticare Dante, il piccolo gentiluomo iraniano, attento

e possessivo compagno di giochi di un angioletto biondo con gli occhi azzurri, di

nome Sarah.

Li osservava intenti ai loro tranquilly giochi.

Gli occhi intensi di Dante esprimevano la forza dell‟intelligenza e il calore dei dolci

affetti, che già nutriva nel suo piccolo cuore.

Quella della scuola francese era stata una bellissima esperienza.

Ricordava Hassan, un altro piccolo iraniano, un altro piccolo angelo che con

candore le aveva confessato di volerla per madre.

Piaceva ai bambini Lucia, nell‟età matura.

Era piaciuta ai bambini nella giovinezza, quando con i suoi compagni visitava le

scuole per imparare la difficile arte di maestra.

I bambini intuivano che con lei sarebbero stati bene.

Non c‟era bisogno di parole, la guardavano, le parlavano, non l‟aggredivano con

impossibili richieste.

Chiedevano attenzione e risposte ai loro perchè.

Lei sapeva darle. Era impotente solo nei casi di distorsione mentale, tanto diffusi

negli adulti e, per contagio, nei piccoli.

L‟esperienza nella scuola francese aveva lasciato uno strascico di memorie e di

emozioni nella mente e nel cuore. Aveva toccato con mano la sofferenza causata

dall‟esclusione, la sofferenza di bambini esclusi perchè diversi nello stile di vita, nel

comportamento.

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Li aveva aiutati come poteva, riversando su di loro una carica di amore che portava

dentro di sè.

La lettera di Dante aveva sortito il dolce effetto di rinnovare il tacito proposito di

unire in un unico caldo abbraccio tutti coloro che avrebbero assorbito ancora le sue

energie, che si trasmettevano soprattutto attraverso l‟esercizio, ora ponderato e più

che mai consapevolmente responsabile, della parola.

A questo esercizio avrebbe dedicato gli anni presiosi della vecchiaia, certa di

rispondere all‟appello che già dall‟infanzia, per il tramite di sua madre, l‟invitava a

mettere nero su bianco emozioni, impressioni, sentimenti..

Già dall‟infanzia aveva composto poesie, già dall‟infanzia tutto era pretesto per

descrivere comportamenti, omettendo, tuttavia, di annotare, quasi a volerlo fugare,

il dolore.

Vedeva il dolore degli altri, invece, sempre.

Aveva osservato in famiglia certi rallentamenti di ritmo, certi silenzi e se ne era

sentita responsabile.

Li aveva amati, li aveva voluti rendere felici, perchè con loro si era sentita amata,

protetta, rispettata, venerata come un angelo e li aveva considerati come i suoi

angeli.

Angeli senza ali, troppo delicati per le rozzezze della vita.

Li aveva persi presto.

Non erano pervenuti allo stadio decrepito della perdita dell‟autonomia e della

libertà.

Avevano compiuto il grande, solenne passaggio verso la dimensione nascosta, da

dove, forse, seguivano con trepidante attenzione il suo incedere, più fermo ora, verso

la meta, in una riconquistata dignità, assertiva e senza cedimenti.

Le esperienze condivise con loro nutrivano le pulsioni ad agire con rettitudine, ad

esprimere il suo talento senza riserve, con pazienza e coraggio, determinazione e

tenacia, ovunque e a qualsiasi costo.

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POSTFAZIONE

La prodigiosa scoperta del valore della vita si affina nel corso del tempo e si

arricchisce del tesoro di esperienze, che lasciano tracce nella coscienza e nel cuore.

L‟impresa più bella da compiere consiste nel sottrarre alla polvere dell‟oblio il

miracolo di incontri che parzialmente svelano il significato dell‟esistenza.

Nello scorrere di ciò che è passeggero fermo permane il perno stabile dell‟Eterno,

che talvolta brilla in uno sguardo, in un gesto di puro disinteresse, in una parola

buona, pronunciata nel momento giusto.

Il passato rivissuto con sentimenti di gratitudine non alimenta nostalgie, rimpianti,

malinconie, tristezze, ma produce una visione sempre nuova, che purifica l‟anima

dall‟opacità di impressioni soggettive, epidermiche, superficiali e permette di

acquisire nella naturalezza dell‟amore fraterno la serenità di una quieta

prosecuzione del cammino verso la comune destinazione.

Il prodigio della vita, che è dono gratuitamente offerto, si arricchisce della

consapevolezza che invita a spenderlo bene nell‟esercizio quotidiano di

un‟accettazione gioiosa, che privilegia uno slancio di adorazione al Creatore e non

trascura di amare ed onorare le creature, nella purezza e nel servizio caritatevole.

La fluidità di sentimenti ed emozioni arricchisce nella vasta gamma dei suoi toni e

ritmi e nella loro mutevolezza il solitario e pensoso procedere, ma, giunta al

traguardo, la caratura di una vita sarà valutata sul peso delle opere d‟amore e di

pace.

La dignità ed unicità di ogni essere nella prospettiva di eternità cui è destinato si

affinano nel confronto coi propri simili e nel dono generoso di parole ed azioni

offerte con amore, tatto, rispetto al momento opportuno.

Non è sufficiente una vita per imparare che la delicatezza usata nel porgere aiuto è

difficile conquista, perché implica la rinuncia ad esercitare un ruolo imponente nei

rapporti.

In una società caratterizzata dal protagonismo ad oltranza l‟eroismo invisibile,

silenzioso, attento e partecipe dei buoni può compiere miracoli, salvare la parte

spirituale dell‟uomo – la più preziosa – che può rinascere a vita nuova grazie

all‟energia trasmessa da anime generose.

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La dinamica di rapporti improntati a disinteresse nella purezza cristallina di una

visione spirituale dell‟esistenza è l‟unico antidoto contro l‟usura esercitata dal tedio

e dalle lacerazioni prodotte da rapporti oppressivi, dove la violenza fisica, verbale o

psicologica domina.

Il privilegio di incontri rasserenanti è uno stimolo di valore inestimabile di cui far

tesoro.

La condivisione fraterna, nella testimonianza veritiera di esperienze belle, è atto

d‟amore doveroso per contribuire a creare un baluardo forte, contro il quale nulla

può la tentazione di recidere i fili luminosi che collegano l‟essere umano ai suoi

simili e al Divino.

Raccontare la vita e viverla sono due realtà che fondamentalmente si equivalgono,

se sono entrambe vissute senza ipocrisia e nel rispetto del Mistero, che, comunque,

permane, perchè non tutto si svela.

La scrittura compie il suo umile e paziente dovere di testimonianza e contribuisce a

far risaltare quanto di imperituro esiste in ogni essere umano, ricordandogli che le

sue scelte positive possono assicurargli una condizione di equilibrio anche nelle

situazioni più tumultuose.

© Antonia Chimenti, Toronto, 12 marzo 2013

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INDICE

Romanza

Fili d‟argento

Postfazione

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A cura della Redazione del Movimento Laico di Preghiera Beato Bartolo Longo

www.beatobartololongo.net

Le immagini sono tratte dall’Album di

William Adolphe Bouguereau (1825-1905)

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