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FINESTRA SULL’AUTORE Tito Livio Tito Livio: eventi e protagonisti della Repubblica T ito Livio è il piú grande storico dell’età au- gustea. Plinio il Giovane, amico personale dell’imperatore Traiano che lo volle nel suo con- silium principis, scrive a un amico: «Non hai mai letto di quello spagnolo venuto appositamente da Cadice, dall’estremo limite del mondo, fino a Roma solo per vedere Livio, commosso da quel nome glorioso? E dopo che l’ebbe visto ripartí subito». (Epist., 53). Egli nacque nel 59 a.C. a Padova, centro di pro- vincia famoso per i costumi austeri, venne a Ro- ma nel 30 o nel 29 a.C. e, vivendo appartato, sen- za partecipare mai alla vita politica, si dedicò alla composizione della sua opera monumentale Ab urbe condita. Non abbiamo altre notizie della sua vita se non che morí a Padova nel 17 d.C. L’opera di Livio, Ab urbe condita, comprendeva 142 libri: dalle origini leggendarie di Roma al 9 d.C., anno della morte di Druso, fratello di Ti- berio e figliastro di Augusto. Secondo l’opinione di alcuni studiosi l’opera sarebbe terminata al 9 d.C. con la sconfitta delle legioni romane nella selva di Teutoburgo. Di questa opera monumentale a noi sono perve- nuti 45 libri, non tutti per intero, cosí suddivisi: – I-X, che trattano dalle origini al 295 a.C., anno della sconfitta definitiva dei Sanniti; Veduta di Roma, miniatura tratta dall’Ab urbe condita di Tito Livio, XV secolo. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

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132 UNITÀ 2

FINESTRA SULL’AUTORE Tito Livio

recipiunt. Sic in contentione Fortuna utrumque versavit, ut alter alteri inimicus auxilio salu­tique esset neque iudicari posset uter utri virtute anteferretur.

Disprezzo della morte > da CiceroneCicerone, nelle sue rifl essioni sulla morte all’interno dell’opera Tusculanae disputationes, riporta alcuni esempi di disprezzo della morte e di coraggio mostrati da personaggi spartani.

Lacedaemonius quidam, cuius ne nomen quidem prodĭtum est, cum ad mortem duceretur, damnatus ab ephoris, et esset vultu hilări atque laeto et cum dixisset ei quidam inimicus: “Contemnisne leges Lycurgi?” respondit: “Ego vero illi maximam gratiam habeo, qui me multa­vit ea poena quam sine mutuatione possum solvĕre”. Mihi videtur is vir, qui tam magno animo fuĕrit, innocens damnatus esse. Pari animo Lacedaemonii in Th ermopylis occidērunt. Quid il­le eorum dux Leonidas dixit? “Pergĭte animo forti, Lacedaemonii; hodie apud infĕros fortasse cenabimus”. Fuit haec gens fortis, dum Lycurgi leges vigebant. E Lacedaemoniis unus, cum Per­ses hostis in colloquio dixisset glorians: “Solem prae iaculorum multitudine et sagittarum non videbĭtis”. “In umbra igitur, inquit, pugnabĭmus”. Viros commemoro; qualis tandem Lacaena? Quae, cum fi lium in proelium misisset et eum interfectum esse audivisset, “Idcirco – inquit – genuĕram, ut esset, qui pro patria mortem non dubitaret occumbĕre”.

Tito Livio: eventi e protagonisti della Repubblica

Tito Livio è il piú grande storico dell’età au-gustea. Plinio il Giovane, amico personale

dell’imperatore Traiano che lo volle nel suo con­silium principis, scrive a un amico: «Non hai mai letto di quello spagnolo venuto appositamente da Cadice, dall’estremo limite del mondo, fi no a Roma solo per vedere Livio, commosso da quel nome glorioso? E dopo che l’ebbe visto ripartí subito». (Epist., 53).Egli nacque nel 59 a.C. a Padova, centro di pro-vincia famoso per i costumi austeri, venne a Ro-ma nel 30 o nel 29 a.C. e, vivendo appartato, sen-za partecipare mai alla vita politica, si dedicò alla composizione della sua opera monumentale Ab urbe condita. Non abbiamo altre notizie della sua vita se non che morí a Padova nel 17 d.C.

L’opera di Livio, Ab urbe condita, comprendeva 142 libri: dalle origini leggendarie di Roma al 9 d.C., anno della morte di Druso, fratello di Ti-berio e fi gliastro di Augusto. Secondo l’opinione di alcuni studiosi l’opera sarebbe terminata al 9 d.C. con la sconfi tta delle legioni romane nella selva di Teutoburgo.Di questa opera monumentale a noi sono perve-nuti 45 libri, non tutti per intero, cosí suddivisi:

– I-X, che trattano dalle origini al 295 a.C., anno della sconfi tta defi nitiva dei Sanniti;

Veduta di Roma, miniatura tratta dall’Ab urbe condita di Tito Livio, XV secolo. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

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– XXI-XXX, che narrano la seconda guerra punica dall’assedio di Sagunto (219 a.C.) alla battaglia di Za-ma (202 a.C.);

– XXXI-XLV, che raccontano dell’espansione di Roma in Oriente fi no al trionfo di Lucio Emilio Paolo su Perseo (167 a.C.).

L’opera di Livio si rifà al modello annalistico: è un’esposizione continua, anno per anno, di tutti gli even-ti di qualche rilievo a partire dalla fondazione della città o da eventi leggendari che l’avevano preceduta. In particolare, lo storico rielabora con uno stile raffi nato e con intenti celebrativi e moralistici la materia ster-minata già raccolta per secoli da altri.Lo scopo che si propone di raggiungere è quello di mostrare soprattutto i mores e le virtutes che sono sta-te il fondamento della grandezza romana. Infatti nella prefazione dell’opera egli dichiara che il lettore deve rivolgere la propria attenzione al genere di vita e ai costumi attraverso i quali l’impero è stato creato e ac-cresciuto; quindi come a poco a poco i princípi morali abbiano cominciato a vacillare fi no a rovinare preci-pitosamente nei tempi presenti in cui non si è piú in grado di sopportare né i vizi né i loro rimedi. Avendo sotto gli occhi, in un’opera duratura e illustre, esempi di ogni tipo di comportamento, il lettore può ricavare ciò che deve imitare a vantaggio suo e dello Stato e ciò che deve evitare. Livio ammira la grandezza di Ro-ma, la sua virtus, che si manifesta nella parsimonia e nella frugalità degli antichi, nel rigore e nella disciplina dei soldati, nella fedeltà alla parola data, nel rispetto e nell’osservazione della legge divina. Proprio per com-battere la degenerazione del presente, Livio ripercorre tutta la storia di Roma, rintracciando negli eventi drammatici della storia romana e nelle vicende di singoli personaggi, i mores che hanno reso grande l’Urbe.

Ti presentiamo adesso alcuni brani in lingua tratti dall’opera liviana su alcuni eventi signifi cativi della sto-ria repubblicana. Leggendo attentamente il testo, potrai notare che lo stile di Livio è caratterizzato da un periodare ampio e solenne, ricco di metafore e di antitesi chiastiche. Torna spesso il presente storico e nu-merosi sono i discorsi diretti, che già gli antichi ammiravano, poiché adempiono alla duplice funzione di illustrare una situazione e di caratterizzare il personaggio che parla.

Dopo aver letto attentamente il testo latino, completa la comprensione italiana dei termini evidenziati in neretto.

II 32, 8-12: L’apologo di Menenio AgrippaNei primi anni della Repubblica le condizioni di vita dei plebei erano piuttosto disagiate: a causa delle con-tinue guerre essi non potevano dedicarsi alla coltivazione dei loro campi ed erano pertanto costretti a inde-bitarsi con i patrizi; se non riuscivano a pagare il debito diventavano schiavi dei loro creditori. Cosí nel 494 a.C., i plebei, esasperati da tale situazione, abbandonarono Roma e si ritirarono sul Monte Sacro (secondo un’altra versione riportata anche da Livio, sull’Aventino). Solo Menenio Agrippa, uomo eloquente e di ori-gine plebea, riuscí a convincerli a tornare in città.

Placuit igitur oratorem ad plebem mitti Menenium Agrippam, facundum virum et quod inde oriundus erat plebi carum. Is intromissus in castra prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur: “Tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum con­sentiant, sed singulis membris suum cuique consilium, suus sermo fuerit, indignatas relĭquas partes sua cura, suo labore ac ministerio ventri omnia quaeri, ventrem in medio quietum nihil aliud quam datis voluptatibus frui; conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes confi cerent. Hac ira, dum ventrem fame domare vellent, ipsa una membra totumque corpus ad extremam tabem venisse. Inde apparuisse ventris quoque haud segne ministerium esse, nec magis alĭquam alĕre eum, reddentem in omnes corporis par­tes hunc quo vivimus vigemusque, divisum pariter in venas maturum confecto cibo sangui­nem.” Comparando hinc quam intestina corporis seditio similis esset irae plebis in patres, fl exisse mentes hominum.

Fu deciso dunque di mandare a trattare con la plebe Menenio Agrippa, uomo eloquente e .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Questi, introdotto nel campo, .. . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che abbia fatto semplicemente questo racconto, col primitivo e rozzo modo di

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parlare di quell’epoca: «Nel tempo in cui nell’uomo le membra non erano tutte in piena armonia, come

ora, ma ogni membro aveva la sua facoltà di parlare e di pensare, le altre parti del corpo, indignate che

le loro cure, le loro fatiche e i loro servizi fornissero ogni cosa al ventre, che standosene tranquillo nel

mezzo, non faceva altro che godere dei piaceri a lui o� erti; fecero tra loro una congiura ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mentre con questa ven-

detta ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il ventre con la fame, esse stesse ad una a una e il corpo furono

ridotti ad un’estrema consunzione. Di qui risultò evidente che anche l’u� cio del ventre non era inutile,

e che era sí nutrito ma anche nutriva, restituendo per tutte le parti del corpo quel sangue ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., diviso ugualmente per le vene ed

opportunamente trasformato dalla digestione del cibo». Dimostrando quindi con un paragone ... . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., riuscí a piegare gli animi.

V 41: L’invasione e l’incendio di RomaNel 390 a.C. una schiera di guerrieri Celti, che si erano insediati nella Pianura Padana, si impadroní di Ro-ma ad eccezione del Campidoglio. I Galli tuttavia rinunciarono a occupare stabilmente la città chiedendo in cambio un cospicuo riscatto e in parte tornarono in patria, in parte si dispersero nell’Italia meridionale dove entrarono come mercenari nell’esercito dei tiranni greci in lotta contro Cartagine. Nel brano riporta-to Livio descrive la scelta coraggiosa dei senatori romani che rifi utano di abbandonare Roma e aspettano la morte in una città completamente deserta e avvolta nel silenzio.

Romae interim satis iam omnibus, ut in tali re, ad tuendam arcem compositis, tur­ba seniorum domos regressi adventum hostium obstinato ad mortem animo ex­spectabant. Qui eorum curūles gesserant magistratus, ut in fortunae pristĭnae honorumque aut virtutis insignibus morerentur, quae augustissima vestis est tensas ducentibus triumphantibusve, ea vestiti medio aedium eburneis sellis se­

dere. Sunt qui M. Folio pontifi ce maximo praefante carmen devovisse eos se pro patria Quiritibusque Romanis tradant. Galli et quia interposita nocte a contentione pugnae remiserant animos et quod nec in acie ancipiti usquam certaverant proelio nec tum impetu aut vi capiebant urbem, sine ira, sine ardore animorum ingressi postero die urbem patente Collīna porta in forum perveniunt, circumferentes oculos ad templa deum arcemque solam belli speciem tenentem. Inde, modico relicto praesidio ne quis in dissipatos ex arce aut Capitolio impetus fi eret, dilapsi ad praedam va­cuis occursu hominum viis, pars in proxima quaeque tectorum agmine ruunt, pars ultima, velut ea demum intacta et referta praeda, petunt; inde rursus ipsa solitudine absterriti, ne qua fraus hostilis vagos excipĕret, in forum ac propinqua foro loca conglobati redibant; ubi eos, plebis aedifi ciis obserātis, patentibus atriis principum, maior prope cunctatio tenebat aperta quam clausa invadendi; adeo haud secus quam vene­rabundi intuebantur in aedium vestibulis sedentes viros, praeter orna­tum habitumque humano augustiorem, maiestate etiam quam voltus gravitasque oris prae se ferebat simillimos dis. Ad eos velut simulacra versi cum starent, M. Papirius, unus ex iis, dicitur Gallo barbam suam, ut tum omnibus promissa erat, permulcenti scipione ebur-

neo in caput incusso iram movisse, atque ab eo initium caedis ortum, ceteros in sedibus suis trucidatos; post principium caedem nulli deinde

mortalium parci, diripi tecta, exhaustis inici ignes.

Romae interim satis iam omnibus, ut in tali re, ad tuendam arcem compositis, tur­ba seniorum domos regressi adventum hostium obstinato ad mortem animo ex­spectabant. honorumque aut virtutis insignibus tensas ducentibus triumphantibusve, ea vestiti medio aedium eburneis sellis se­

dere. pro patria Quiritibusque Romanis contentione pugnae remiserant animos et quod nec in acie ancipiti usquam certaverant proelio nec tum impetu aut vi capiebant urbem, ardore animorum ingressi postero die urbem patente Collīna porta in forum perveniunt, circumferentes oculos ad templa deum arcemque solam belli speciem tenentem.dissipatos ex arce aut Capitolio impetus fi eretcuis occursu hominum viis, pars in proxima quaeque tectorum agmine ruunt, pars ultima, velut ea demum intacta et referta praeda, petunt; inde rursus ipsa solitudine absterriti,

ceteros in sedibus suis trucidatos; post principium caedem nulli deinde mortalium parci, diripi tecta, exhaustis inici ignes.

Statua di guerriero celtico, I-III secolo d.C. Saint-Germain-en-Laye, Musée des Antiquités Nationales.

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A Roma, nel frattempo, dopo che tutto era già stato predisposto per proteggere la rocca, per quanto

si potesse in una simile situazione, la schiera degli anziani, ritornata a casa, con animo risoluto a mori-

re, aspettavano l’arrivo dei nemici ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 con i distintivi della loro antica dignità, delle cariche ricoperte e dei loro

meriti, vestiti di quella veste che è la piú solenne per chi guida i carri e riporta il trionfo, si sedettero nel

centro delle loro case su sedili eburnei. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che,

mentre il ponte� ce massimo Folio pronunciava per primo la formula del giuramento, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . la loro vita alla patria e ai Quiriti romani2. I Galli, poiché durante l’ultima notte si erano calmati

dopo la tensione del combattimento, né avevano combattuto in alcun luogo con esito incerto e nep-

pure allora prendevano la città con violento assalto, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Lasciato qui un piccolo presidio ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., sparpagliatisi per far preda nelle vie prive della presenza di

uomini, alcuni si precipitano in schiera nelle case piú vicine, altri invece verso le case piú lontane come

se esse fossero ancora intatte e piene di preda. Quindi, atterriti dalla solitudine stessa, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Là, poiché era-

no serrate le case dei plebei e spalancati gli atrii dei patrizi, li prendeva un’esitazione ancora piú grande

a invadere le case aperte piuttosto che quelle chiuse. Tale sentimento di venerazione provavano guar-

dando gli uomini che sedevano nei vestiboli delle case assai simili agli dèi non solo per gli ornamenti e

per l’abito piú augusto dell’umano, ma anche per la maestà che spiravano dallo sguardo e dalla gravità

del volto. Mentre stavano immobili rivolti verso quelli come verso simulacri degli dèi, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e

che da lui ebbe inizio la strage e che tutti gli altri vecchi furono trucidati nelle loro case. Dopo la stra-

ge dei patrizi, nessuno degli uomini fu risparmiato, le case furono saccheggiate, poi, dopo che furono

svuotate, fu loro appiccato il fuoco.

1 Erano dette curuli le magistrature maggiori (il consolato, la censura, la pretura, l’edilità curule). Tale termine deriva dal nome del seggio ornato d’avorio che spettava loro, chiamato «curule».

2 Si tratta della devotio, ovvero della consacrazione agli dèi di un’o� erta, di regola vegetale o animale. Chi aveva l’imperium, portando nel-le mani le insegne del potere, si o� riva agli dèi inferi a� nché in cambio del suo sacri� cio la città fosse salva.

V 47, 1-6; Le oche del CampidoglioDopo aver incendiato la città, i Galli sono sul punto di prendere possesso anche del Campidoglio: con gran-de attenzione e nel piú assoluto silenzio i nemici dei Romani si aiutano l’un l’altro e raggiungono la som-mità del colle. Le oche che gli abitanti dell’Urbs, pur trovandosi in grave carestia, avevano risparmiato per-ché sacre alla dea Giunone, cominciano a starnazzare svegliando i Romani che riescono cosí a ricacciare i nemici con dardi e con sassi.

Dum haec Veiis agebantur, interim arx Romae Capitoliumque in ingenti periculo fuit. Namque Galli, seu vestigio notato humano qua nuntius a Veiis pervenerat seu sua sponte ani­madverso ad Carmentis saxo in adscensum aequo, nocte sublustri cum primo inermem qui temptaret viam praemisissent, tradentes inde arma ubi quid iniqui esset, alterni innixi su-blevantesque in vicem et trahentes alii alios, prout postularet locus, tanto silentio in summum evasere ut non custodes solum fallerent, sed ne canes quidem, sollicitum animal ad noctur­

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nos strepitus, excitarent. Ansĕres non fefellēre qui­bus sacris Iunonis in summa inopia cibi tamen abstinebatur. Quae res saluti fuit; namque clangōre eorum ala­rumque crepitu excĭtus M. Man­lius qui triennio ante consul fue-rat, vir bello egregius, armis arrep-tis simul ad arma ceteros ciens vadit et dum ceteri trepidant, Gallum qui iam in summo constiterat umbōne ictum de­turbat. Cuius casus prolapsi cum proximos sterneret, trepidantes alios armisque omissis saxa quibus adhaerebant manibus amplexos trucidat. Iamque et alii congregati telis missi­libusque saxis proturbare hostes, ruinaque tota prolapsa acies in praeceps deferri. Sedato dein-de tumultu reliquum noctis, quantum in turba­tis mentibus poterat cum praeteritum quoque pe­riculum sollicitaret, quieti datum est.

Mentre a Veio venivano fatte queste cose, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Infatti i Galli, sia che avessero rilevato tracce di passaggio umano là dove

era passato l’ambasciatore venuto da Veio, sia che da sé avessero notato presso il tempio di Carmen-

ta1 una roccia su cui era facile salire, dopo che ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ebbe-

ro mandato avanti un uomo disarmato ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .,

consegnando le armi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .,

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . secondo che lo richiedeva la conformazione del ter-

reno, raggiunsero la sommità in cosí grande silenzio ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..., ma neppure destarono i cani, animale attento ai rumori notturni. Non

sfuggirono alle oche2 che sacre a Giunone3 erano state risparmiate pur in somma carenza di cibo. .. . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .; infatti Manlio, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., uomo valoroso in guerra, svegliato dallo starnazzare e dallo schiamazza-

re delle loro ali, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . accorse risolutamente, chiamando tutti alle

armi e, mentre tutti andavano in fretta, fece precipitare colpito con l’umbone, un Gallo che già era arri-

vato sulla cima. Poiché la caduta di lui che era scivolato travolgeva quelli che gli venivano dietro abbat-

té gli altri impauriti, i quali, abbandonate le armi, si tenevano con le mani alle rocce cui erano aggrap-

pati. E già .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . con dardi e sassi sconvolgevano i nemici e l’intera

schiera travolta dalla caduta ruzzolò a precipizio. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .,

il resto della notte, per quanto era possibile ad animi turbati, poiché il pericolo anche se scongiurato li

teneva in ansia, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 Carmenta è la profetessa madre di Evandro, in onore della quale le matrone romane celebravano le feste cosiddette Carmentalia.2 Le oche soltanto si accorgono dell’arrivo dei Galli e con il loro strepito svegliano Marco Manlio che dà l’allarme.3 Alla dea Giunone fu poi dato il soprannome di Moneta, da moneo, «avviso», poiché proprio le oche a lei sacre, con il loro starnazzare,

avevano avvisato i Romani dell’arrivo dei Galli.

Oche sacre davanti al tempio di Giunone in Campidoglio, II secolo a.C. Ostia, Museo Archeologico.

nos strepitus, excitarent. Ansĕres non fefellēre qui­bus sacris Iunonis in summa inopia cibi

Quae res saluti

simul ad arma ceteros ciens vadit et dum ceteri trepidant, Gallum qui iam in summo constiterat umbōne ictum de­turbat. Cuius casus prolapsi cum proximos sterneret, trepidantes alios armisque omissis saxa quibus adhaerebant manibus amplexos

telis missi­libusque saxis proturbare hostes, ruinaque tota

Sedato dein-

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IX 6: Le forche caudineI Sanniti furono acerrimi nemici dei Romani e loro rivali nell’aspirazione al possesso delle fertili terre della Campania. Nel passo sotto riportato Livio riferisce un momento drammatico della seconda guerra sanni-tica: nel 321 a.C. i Romani cominciarono ad attraversa-re il territorio dei Sanniti occupando le terre compre-se tra l’attuale Caserta, Benevento e Aequum Tuticum, in modo da collegare la Campania e l’Apulia. Essi furo-no però chiusi in una gola presso Caudio, dovettero consegnare ai San-niti seicento cavalieri in ostaggio, deporre le armi e passare sotto il giogo.

Primi consules prope seminudi sub iugum missi; tum ut quisque gradu proximus erat, ita ignominiae obiectus; tum deinceps sin­gulae legiones. Circumstabant armati hostes, exprobrantes eluden-tesque; gladii etiam plerisque intentati, et volnerati quidam necati­que, si voltus eorum indignitate rerum acrior victorem off endisset. Ita traducti sub iugum et quod paene gravius erat per hostium oculos, cum e saltu evasissent, etsi velut ab inferis extracti tum primum lu­cem aspicere visi sunt, tamen ipsa lux ita deforme intuentibus agmen omni morte tristior fuit. Itaque cum ante noctem Capuam perve-nire possent, incerti de fi de sociorum et quod pudor praepedie-bat circa viam haud procul Capua omnium egena corpora humi prostraverunt. Quod ubi est Capuam nuntiatum, evicit misera-tio iusta sociorum superbiam ingenitam Campanis. Confes­tim insignia sua consulibus, [fasces, lictores,] arma, equos, ves­timenta, commeātus militibus benigne mittunt; et venien-tibus Capuam cunctus senatus populusque obviam egressus iustis omnibus hospitalibus privatisque et publicis fungitur offi ciis. Neque illis sociorum co­mitas voltusque benigni et adloquia non modo ser­monem elicere sed ne ut oculos quidem attollerent aut consolantes amicos contra intuerentur effi cere poterant; adeo super maerōrem pudor quidam fu-gere conloquia et coetus hominum cogebat.

Per primi i consoli seminudi furono mandati sotto il giogo, poi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .., cosí fu sottoposto all’onta, in� ne per ordine le singole legioni. At-

torno stavano i nemici armati .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . ..; furono anche minacciosamente volte le spade contro moltissimi e furono feriti e uccisi .. . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., se il volto, divenuto alquanto duro per l’indegnità dell’oltraggio, avesse o� eso il vinci-

tore. Cosí furono condotti sotto il giogo e, cosa che era quasi piú grave, sotto gli occhi dei nemici .. . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e sebbene avessero l’impressione di vedere allora per la

prima volta la luce, quasi tirati fuori dall’oltretomba, tuttavia la stessa luce fu piú amara di ogni morte

guardando la schiera cosí malridotta1. Perciò, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., incerti

sulla fedeltà degli alleati e .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., lungo la via non lontano da

Capua2 prostrarono i loro corpi privi di tutto sulla terra. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 Subito mandavano le lo-

ro insegne ai consoli, i fasci, i littori4, le armi, i cavalli, le vesti, i viveri ai soldati e .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Guerriero campano-sannita, III secolo a.C. Roma, Mostra Augustea.

I Sanniti furono acerrimi nemici dei Romani e loro rivali nell’aspirazione al possesso delle fertili terre della Campania. Nel passo sotto riportato Livio riferisce un momento drammatico della seconda guerra sanni-

no però chiusi in una gola presso Caudio, dovettero consegnare ai San-niti seicento cavalieri in ostaggio, deporre le armi e passare sotto il giogo.

Primi consules prope seminudi sub iugum missi; tum ut quisque , ita ignominiae obiectus; tum deinceps sin­

exprobrantes eluden-; gladii etiam plerisque intentati, et volnerati quidam necati­

que, si voltus eorum indignitate rerum acrior victorem off endisset. Ita traducti sub iugum et quod paene gravius erat per hostium oculos,

, etsi velut ab inferis extracti tum primum lu­cem aspicere visi sunt, tamen ipsa lux ita deforme intuentibus agmen

cum ante noctem Capuam perve-quod pudor praepedie-

circa viam haud procul Capua omnium egena corpora humi Quod ubi est Capuam nuntiatum, evicit misera-

tio iusta sociorum superbiam ingenitam Campanis. Confes­tim insignia sua consulibus, [fasces, lictores,] arma, equos, ves­timenta, commeātus militibus benigne mittunt; et venien-tibus Capuam cunctus senatus populusque obviam egressus iustis omnibus hospitalibus privatisque et

. Neque illis sociorum co­mitas voltusque benigni et adloquia non modo ser­monem elicere sed ne ut oculos quidem attollerent

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Né la benevolenza degli alleati e i volti benevoli e le parole di conforto potevano non so-

lo togliere loro di bocca un discorso, ma non riuscivano neppure a ottenere che sollevassero gli occhi e

ricambiassero gli sguardi agli amici che li consolavano. A tal punto, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

1 Livio interpreta la psicologia dei soldati romani che vissero il dramma dell’umiliazione e della vergogna. Nessuna gioia essi provarono nell’uscire dalla gola quando videro in quali misere condizioni era ridotto l’esercito.

2 Capua corrisponde all’attuale Santa Maria Capua Vetere, cittadina vicina a Caserta.3 La superbia campana era proverbiale e Livio sottolinea spesso la vita dissoluta e la spiccata arroganza dei Campani.

4 I littori erano u� ciali che portavano i fasces di verghe con la scure e precedevano gli altri magistrati: ogni console ne aveva dodici.

XXI 4, 3-10: Ritratto di AnnibaleProtagonista della seconda guerra punica fu il cartaginese Annibale. Egli nel 218 a.C. portò la guerra in Ita-

lia: partendo dalla Spagna raggiunse la penisola italiana attraverso le Alpi e ri-portò diverse vittorie, presso il Ticino (218), il Trebbia (218), il Trasimeno (217) e Canne (216). Solo il console romano Publio Cornelio Scipione riuscí a sconfi ggere Annibale in Africa, a Zama, conquistandosi il soprannome di Africano. Nel brano riportato, Livio lo descrive come un nemico dotato di numerose qualità: la tenacia, il disprezzo del pericolo, il coraggio. Allo stes-

so tempo, però, lo storico romano lo presenta con tratti negativi, come un uomo crudele, infi do, privo di qualsiasi scrupolo di coscienza.

Nunquam ingenium idem ad res diversissimas, parendum atque imperandum, habilius fuit. Itaque haud facile discerneres utrum

imperatori an exercitui carior esset; neque Hasdrŭbal alium quemquam praefi cere malle ubi quid fortiter ac strenue agendum esset, neque milites alio duce plus confi dēre aut audēre. Plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pe­ricula erat. Nullo labore aut corpus fatigari aut animus vinci poterat. Caloris ac frigoris patientia par; cibi potionisque desi­

derio naturali, non voluptate modus fi nitus; vigiliarum somni­que nec die nec nocte discriminata tempora; id quod gerendis rebus superesset quieti datum; ea neque molli strato neque si­

lentio accersīta; multi saepe militari sagulo opertum humi iacentem inter custodias stationesque militum conspexe-runt. Vestitus nihil inter aequales excellens: arma atque equi conspiciebantur. Equitum peditumque idem longe primus erat; princeps in proelium ibat, ultimus conserto proelio excedebat. Has tantas viri virtutes ingentia vitia aequabant,

inhumana crudelitas, perfi dia plus quam Punica, nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nul­

la religio. Cum hac indole virtutum atque vitiorum triennio sub Hasdrubăle imperatore meruit, nulla re quae agenda vi­dendaque magno futuro duci esset praetermissa.

Non ci fu mai un temperamento piú adatto nello stesso tempo a

due qualità tra loro diversissime, l’ubbidire e il comandare. Perciò

non si sarebbe potuto distinguere facilmente ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .; tutte le volte che in un’azione

si richiedevano intrepidezza e coraggio, né Asdrubale preferiva

lia: partendo dalla Spagna raggiunse la penisola italiana attraverso le Alpi e ri-portò diverse vittorie, presso il Ticino (218), il Trebbia (218), il Trasimeno (217) e Canne (216). Solo il console romano Publio Cornelio Scipione riuscí a sconfi ggere Annibale in Africa, a Zama, conquistandosi il soprannome di Africano. Nel brano riportato, Livio lo descrive come un nemico dotato di numerose qualità: la tenacia, il disprezzo del pericolo, il coraggio. Allo stes-

so tempo, però, lo storico romano lo presenta con tratti negativi, come un uomo crudele, infi do, privo di qualsiasi scrupolo di coscienza.

Nunquam ingenium idem ad res diversissimas, parendum atque imperandum, habilius fuit. Itaque haud facile discerneres

imperatori an exercitui carior essetquemquam praefi cere malle ubi quid fortiter ac strenue agendum esset, neque milites alio duce plus confi dēre aut audēre. Plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pe­ricula erat. poterat

derio naturali, non voluptate modus fi nitus; vigiliarum somni­que nec die nec nocte discriminata tempora; id quod gerendis rebus superesset quieti datum; ea neque molli strato neque si­

lentio accersīta; iacentem inter custodias stationesque militum conspexe-runtconspiciebantur. Equitum peditumque idem longe primus erat; excedebat

inhumana crudelitas, perfi dia plus quam Punica, nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nul­

la religio. sub Hasdrubăle imperatore meruitdendaque magno futuro duci esset praetermissa.

Non ci fu mai un temperamento piú adatto nello stesso tempo a

due qualità tra loro diversissime, l’ubbidire e il comandare. Perciò

non si sarebbe potuto distinguere facilmente

Sébastien Slodtz, Annibale, 1704. Parigi, Museo del Louvre.

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scegliere nessun altro come comandante, né i soldati sotto la guida di un altro avevano maggior � ducia

o osavano di piú. Nel cercare il pericolo aveva moltissima audacia, nel mezzo degli stessi pericoli mol-

tissima prudenza. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Sapeva tollerare in ugual misura il caldo e il freddo; nel mangiare e nel

bere si regolava in base al bisogno naturale, non al piacere della gola. Alla veglia e al sonno non dedica-

va momenti ben distinti dalla successione del giorno e della notte; veniva concesso al riposo ciò che ri-

maneva nei momenti liberi dal servizio; e non si procurava il riposo con morbide coltri né con il silenzio:

.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nel modo di vestire non si distingueva per nulla dai colleghi di pari grado; al

contrario le sue armi e i suoi cavalli attiravano gli sguardi. Era di gran lunga il primo dei cavalieri e nello

stesso tempo anche dei fanti; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Enormi vizi pareggiavano queste eccezionali virtú dell’uo-

mo: una crudeltà disumana, una malafede peggio che cartaginese, nessun senso del vero né del sacro,

nessun timore degli dèi, nessun rispetto per i giuramenti, nessuno scrupolo di coscienza. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,

senza trascurare nulla di ciò che uno destinato a diventare un grande generale doveva fare e imparare.

XXII 49, 9-15 La fi ne di Lucio Emilio Paolo a CanneDurante la seconda guerra punica, terminata la dittatura di Fabio Massimo, furono eletti consoli per il 216 a.C. Lucio Emilio Paolo e Marco Terenzio Varrone. Emilio Paolo voleva evitare lo scontro con Annibale in campo aperto, temendo che la forte cavalleria di Annibale avesse il sopravvento, ma Varrone, nel giorno in cui deteneva il comando supremo, attaccò battaglia. L’esercito romano fu distrutto quasi completamente nel villaggio di Canne, in Apulia, e lo stesso Emilio Paolo cadde sul campo. Nel brano riportato Livio rife-risce le ultime parole del console, preoccupato della sorte di Roma. Egli incarna l’amore e la dedizione to-tale verso la patria.

Ad ea consul: “Tu quidem, Cn. Corneli, macte virtute esto; sed cave, frustra miserando exigu­um tempus e manibus hostium evadendi absūmas. Abi, nuntia publice patribus urbem Roma­nam muniant ac priusquam victor hostis adveniat praesidiis fi rment; privatim Q. Fabio L. Aemilium praeceptorum eius memorem et vixisse adhuc et mori. Me in hac strage militum meorum patere exspirare, ne aut reus iterum e consulatu sim aut accusator collegae exsis­tam ut alieno crimine innocentiam meam protegam”. Haec eos agentes prius turba fugien­tium civium, deinde hostes oppressēre; consulem ignorantes quis esset obruĕre telis, Lentulum in tumultu abripuit equus. Tum undique eff ūse fugiunt. Septem milia hominum in minora cas­tra, decem in maiora, duo ferme in vicum ipsum Cannas perfugerunt, qui extemplo a Cartha-lone atque equitibus nullo munimento tegente vicum circumventi sunt. Consul alter, seu forte seu consilio nulli fugientium insertus agmini, cum quinquaginta fere equitibus Venusiam perfūgit.

A queste parole il console rispose: «Quanto a te, Cornelio, onore al tuo valore1, ma guardati dal non per-

dere il poco tempo per sfuggire dalle mani dei nemici, commiserando inutilmente la mia sorte. .. . . . . . . ... . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., annuncia pubblicamente ai senatori, che forti� chino la città di Roma2 e .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .; privatamente a

Quinto Fabio ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . che anch’io muoia in questa strage dei miei soldati .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 o mi ponga come accusatore

del collega ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .». Mentre si scambiavano queste parole, li sorpresero prima la schiera dei con-

cittadini romani in fuga, poi i nemici; ricoprirono di dardi il console non sapendo chi fosse, mentre il ca-

vallo nel tumulto trascinò via Lentulo. Allora da ogni parte fuggirono disordinatamente. Settemila uo-

mini fuggirono nell’accampamento minore, diecimila in quello maggiore4, circa duemila entro lo stesso

villaggio di Canne, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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di fuggitivi, si rifugiò a Venosa5 con circa cinquanta cavalieri.

1 Macte è una forma di vocativo con valore avverbiale e si trova usata nelle espressioni di lode e congratulazioni.2 Emilio Paolo è certo che Annibale, dopo aver distrutto l’esercito romano a Canne, marcerà su Roma, cosa che invece non avvenne.3 Emilio Paolo già nel 219 a.C., al termine del primo consolato, era stato processato per malversazioni ed era stato assolto. Egli teme di es-

sere nuovamente posto sotto accusa come responsabile del disastro di Canne.4 Prima di attaccare battaglia, i Romani avevano costruito due accampamenti presso il � ume Ofanto, uno minore sulla riva sinistra e uno

piú grande sulla riva destra tra Canne e la città di Canosa, loro alleata.5 Venosa era un piccolo centro sulla via Appia tra i con� ni della Lucania e della Puglia.

Per approfondire

Ti presentiamo adesso in lingua italiana un passo trat-to dal De viris illustribus di Cornelio Nepote, erudito e biografo del I secolo a.C. L’opera era costituita da al-meno sedici libri distribuiti per categorie (generali, storici, poeti, � loso� ), ciascuna delle quali compren-deva una sezione dedicata agli stranieri e una ai Ro-mani. Dell’opera ci è rimasto soltanto il libro dedicato ai generali stranieri, di cui fa parte la Vita di Anniba-

le. Scopo dell’accostamento fra Romani e stranieri è quello del confronto che però non viene sviluppato dall’autore, il quale si interessa soprattutto delle qua-lità individuali dei personaggi.Nel presentare la � gura di Annibale, Nepote è molto piú benevolo di Livio: il grande condottiero cartagi-nese appare come un uomo insigne ma sfortunato, vittima degli intrighi dei suoi concittadini.

De viris illustribus, XXIII 1 Annibale, figlio di Amilcare, era Cartaginese. Se è vero ciò di cui nessuno dubita, che il popolo romano sia stato superiore a tutte le genti in valore, è innegabile che Annibale sia stato di tanto superiore agli al-tri comandanti in abilità quanto il popolo romano supera tutte le genti per forza. Infatti tutte le volte che si scontrò con il popolo romano in Italia riuscí sempre vittorioso. Sembra che avrebbe potuto superare i Romani se non fosse stato indebolito in patria dall’invidia dei suoi. Ma la maldicenza di molti ebbe la meglio sulla virtú di uno solo.Questi tuttavia conservò l’odio paterno nei confronti dei Romani, lasciato come eredità, a tal punto che lasciò prima la vita di quello, lui che, essendo stato cacciato dalla patria e avendo bisogno dell’aiuto altrui, non cessò mai nell’animo di combattere contro i Romani.

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Fra i verbi deponenti che ti sono stati presentati in questa Unità, ve n’è uno che ha fornito la ra-dice per la formazione di numerosi termini in diverse lingue moderne, non esclusivamente ro-manze, sui cui sarà interessante soffermarsi.

For, faris, fatus sum, fari, che signifi ca «parlare», è uno dei verbi difettivi che abbiamo preso in esame in questa unità. Esso è riconducibile ad una radice indoeuropea *bha/bha che in greco dà esito phe e in latino fa. Una parola italiana che discende da questo verbo è infante, che come primo signifi cato ha quello di «non parlante», perché composta dal prefi sso in negativo e da fan-tem, «parlante», participio presente del verbo fari. L’infante è chi non sa ancora parlare, quindi il bambino piccolo fi no all’anno di vita, ma il termine infanzia, che deriva dalla stessa radice, vie-ne usato anche per quel periodo della vita umana che va oltre il primo anno d’età, periodo che non è sicuramente caratterizzato dall’afasia, ovvero mancanza di parola (altro termine derivato dalla radice del verbo fari).Il termine infante è stato usato nel tempo per indicare il «ragazzo» o «giovinetto» ed è diventato poi nella società medievale genericamente il «servitore», soprattutto quello che seguiva a piedi il signore a cavallo. Col passare del tempo, questo servo ha avuto in dotazione le armi e ha po-tuto combattere, per cui il termine è venuto a indicare il servitore che combatte a piedi o il sol-dato a piedi, e la milizia di cui faceva parte fu chiamata infanteria. I due termini, poi, sono stati abbreviati nel linguaggio popolare e sono diventati fante e fanteria.I termini derivati dalla radice di fari, tuttavia, sono molti: fantoccio, un «bambino» di pezza che non può parlare; gli aggettivi facondo, detto di chi è abile a parlare, e il suo contrario infacondo; ineffabile, detto di persona o cosa per cui non si trovano parole che possano esprimerla, e ne-fando, riferibile a tutto ciò di cui non si può parlare (in latino nefandus e nefas «empio, illecito»); affabile, invece, è la persona a cui si può par-lare, aperta e disponibile. Altro sostantivo che deriva dalla stessa radice è favola, dal latino fabula, che è ciò che è narrato, detto. Anche i termini fato e profeta provengono dal-la stessa radice: il primo indica la cosa detta, annunziata, che dovrà accadere; il secondo, invece, indica chi dice prima ciò che accadrà. Sempre da un termine latino proveniente dal-la stessa radice, fatuus, che indicava l’indo-vino del futuro che scopriva il fato, è derivato l’aggettivo italiano fatuo, che ha però un signi-fi cato negativo di «sciocco, vano, che parla a caso», forse perché non c’era piú grande fi -ducia nelle capacità degli indovini.Nelle lingue europee troviamo diversi termini derivanti dalla stessa radice: in inglese apha-sie (afasia), euphemism (eufemismo), facun-dity (facondia), fame (fama), fate (fato), infant (infante), prophet (profeta); in francese apha-sie (afasia), euphémisme (eufemismo), facon-die (facondia), fatum (fato); in spagnolo afa-sia (afasia), eufemismo (eufemismo), facundo (facondia), fama (fama), hado (fato), infante (infante), profeta (profeta); in tedesco Apha-sie (afasia), Euphemismus (eufemismo), Pro-phet (profeta).

uno sguardo al lessico

Un fanciullo legge su un foglio di papiro il rituale dei misteri dionisiaci, particolare della megalogra� a della Villa dei Misteri, I secolo a.C.-I secolo d.C. Pompei.