Fioravanti2011 Aristotele e l’Empireo

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  • 8/19/2019 Fioravanti2011 Aristotele e l’Empireo

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    Aristotele e l’Empireo

    Gianfranco Fioravanti

    Quando Dante nel secondo trattato del Convivio istituisce un parallelo tra cie-li e scienze egli presenta al suo pubblico la versione vulgata di ciò che ancoroggi definiamo il sistema aristotelico tolemaico: questa immagine del mondosi era costruita a partire per un lato dalla conoscenza dell’Almagesto e dallespiegazioni e correzioni apportatevi dagli astronomi arabi, per l’altro dall’as-similazione dei capisaldi cosmologici del De caelo di Aristotele Come tutti san-no, le tensioni tra un modello matematico e uno fisico avevano percorso tuttoquesto processo: ma alla fine, al di là delle discussioni più o meno tecnichesulla sostenibilità ‘fisica’ dell’esistenza di epicicli e di eccentrici e sulla capacitàdelle sfere omocentriche di render conto delle apparenze, si era formata unacomune percezione della struttura dell’universo: quella dei nove cieli (Luna,Mercurio, Venere, Marte, Sole, Giove, Saturno, stelle fisse, Primo Mobile). Stodebitando delle banalità lapalissiane, ma bisogna pure ricordare che nel XIIsecolo, il secolo del Timeo, avevano avuto corso modelli differenti, mutuati daCalcidio e da Macrobio.

    Nel Convivio (così come successivamente nella Commedia) il nono cielo, il

    Primo Mobile, ha anche un altro nome: il Cristallino. Dante registra qui, ope-rata dai teologi del XIII secolo, l’integrazione nel modello dei philosophi e degliastrologi di un elemento di cosmologia biblica che aveva creato problemi findall’Hexaemeron di Ambrogio: le acque che sono sopra il firmamento. La sto-ria è assai lunga e anche abbastanza indagata dagli studiosi moderni1 ed io milimito ad una sommaria esposizione di alcuni momenti di questo processo diassimilazione.

    1.   Vedi ultimamente T. Gregory, Le acque sopra il firmamento. ‘Genesi’ e tradizione esegetica,in L’acqua nei secoli altomedievali, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo,

    Spoleto, 2008, pp. 1- 41.

    Christian Readings of Aristotle form the Middle Ages to the Renaissance,  ed. by Luca Bianchi,Studia Artistarum 29 (Turnhout, 2011), pp. 25-36

    ©F H  G  DOI 10.1484/M.SA-EB.1.100672

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    Il Venerabile Beda nel suo commento al  Genesi aveva fatto di queste acquela materia stessa del firmamentum presentando, come esempio della possibi-lità di una tale formazione, la generazione del cristallo dal consolidamentodell’acqua:

    In medio ergo aquarum firmatum constat sidereum caelum, neque ali-quid prohibet ut etiam de aquis factum esse credatur; qui enim crystallinilapidis quanta firmitas, quae sit perspicuitas ac puritas novimus, quam deaquarum concretione certum est esse procreatum, quid obstat credi quodidem dispositor naturarum in firmamentum caeli substantiam solidaritaquarum2?

    Immediatamente dopo, però, egli, con maggiore aderenza al testo biblico, par-

    la di acque ghiacciate poste ‘sopra’ il firmamento, che quindi danno origine adun cielo ulteriore:

    Et intellegat quia qui infra caelum ligat aquas ad tempus.. . ipse etiampotuit aquas super rotundam caeli sphaeram ne umquam delabantur, nonvaporali tenuitate, sed soliditate suspendere glaciali3.

    Questa sarà la posizione degli autori successivi4. Dal canto suo Pier Lombardoutilizzerà entrambi i testi dimostrando però minor sicurezza relativamente alfine cui questo cielo sarebbe ordinato5.

    Alberto Magno riassumerà in qualche modo il percorso per cui dalle acqueche sono sopra il firmamento si è arrivati al cielo cristallino:

    Quidam Sancti considerantes coeli huiusmodi indissolubilitatem et per-spicuitatem et luminositatem vocaverunt ipsum crystallinum, sicut Raba-nus et quidam alii6.

    2.   Beda, In Genesim, I i 6-8, Corpus Christianorum. Series latina CXVIII A, p. 10. Nel De na-tura rerum (VII.  De caelo superiore) Beda parla di ‘aquae glaciales’ collocate sotto il cielopiù alto perché temperino l’ardore provocato dal suo movimento: “Caelum superioris circuliproprio discretum termino et aequalibus undique spatiis collocatum virtutes continet ange-

    licas, quae ad nos exeuntes, aetherea sibi corpora summunt ut possint hominibus etiam inedendo similari, eademque ibi reversae deponunt. Hoc Deus aquis glacialibus temperavit neinferiora succenderet elementa”, ivi, pp. 197-198.

    3.   Ivi, p. 11.4.   Cfr. Honorius Augustodunensis, De imagine mundi, cap. 138: “Super firmamentum sunt

    aquae instarnebulae suspensae, quae caelumin circuitum ambire dicuntur, unde et aquaeumcaelum dicitur”, PL 172, c. 146.

    5.   Petrus Lombardus, Sententiae in IV libris distinctae, II, d. 14, cc. 3 e 4, I.2, ed. Quaracchi,Grottaferrata, 1971, pp. 395-396.

    6.   Albertus Magnus, Summa de creaturis, Pars prima, De quattuor coaequevis  , tr. III, q. 12,a. 1, A. Borgnet   (ed.), XXIV, p. 425. In realtà più che a Rabano dovremmo rimandareall’elenco dei cieli fornito dalla Glossa ordinaria  : “aereum, ethereum, igneum, sidereum,

    cristallinum, empyreum”, Glossa in Deuteronomium, PL 113, c. 462 B-C.

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    Ma quasi contemporaneamente, nel campo non dei Sancti, ma dei Philosophi,la scoperta del movimento da occidente ad oriente del cielo delle stelle fisse(l’ottavo), la cosiddetta precessione degli equinozi, aveva spinto Tolomeo e poigli astronomi arabi ad aggiungere una sfera ulteriore. Si trattava di un cie-lo privo di corpi celesti e quindi non osservabile direttamente né attraverso isensi, né attraverso gli strumenti, ma solo attraverso il ragionamento: un cie-lo traslucido, quindi, pensarono i teologi, simile al cristallo (che, anche dopoBeda, era ritenuto generarsi dal ghiaccio compresso). Da qui, dopo tante con-troversie sulla possibilità che un corpo pesante potesse trovarsi così in alto,il presentarsi di una concordia tra  Sancti e Philosophi registrato con evidentepiacere da Alberto:

    Sine praeiudicio placet mihi magis illa via quod non sit ibi aqua elemen-tum, sed potius pars materiae primae que aqua dicitur [. . . ] unde aquaeque super caelum sunt est caelum crystallinum, quod non a natura cry-stalli, sed a similitudine sic vocatur, et dicitur vaporabilis aqua, eo quoddicunt Philosophi tantae est subtilitatis quod etiam visui non subicitursed per rationem solam comprehenditur. . . et haec expositio mihi placetpropter hoc quod dicit Augustinus, quod sic est exponendum principiumGeneseos ut a philosophis irrisa non projiciatur7.

    Nella più tarda Summa de mirabili scientia Dei Alberto sarebbe tornato allo

    schema secondo cui i Philosophi avrebbero aderito, ponendo un nono cielo, aidogmata Moysi:

    Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum etPhilosophi vocant uniforme in lumine, cuius lumen tantae simplicitatisest quod visibus hominum non subijcitur, sicut dicit Damascenus in li-bro II De fide orthodoxa, ea quae sunt Moysi sua facientes dogmata, estcaelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sivefirmamentum8.

    Ancora più chiaro nell’identificazione è Tommaso:

    Sunt aquae, non tamen de natura aquae quae apud nos est, sed de natu-ra quintae essentiae, habentes similitudinem cum hac aqua, ratione cuiusnomen aquae Scriptura eis attribuit, occulta per sensibilia nota manife-stans. Haec autem similitudo non potest attendi nisi secundum lucidumet diaphanum in quibus inferiora corpora conveniunt cum caelestibus, ut

    7.   Albertus   Magnus,   In II Sent., d. 14, art. 1,   Utrum aquae sint supra caelum vel  firmamentum? , A. Borgnet (ed.), XXVII, p. 258.

    8.   Id., Summa II, tr. 11, q. 52, membrum 2,  Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile.

    Il riferimento è al cap. 6 del secondo libro del De fide orthodoxa.

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    in 2 de anima dicitur. Et ideo [. . . ] caelum chrystallinum vel aquaeumdicitur in quantum convenit cum aqua in hoc quod est diaphanum. [. . . ]Hoc autem caelum aquaeum est nona sphaera ad quam primum redu-

    cunt astrologi motum orbis signorum communem omnibus stellis qui estde occidente in orientem, et iterum sphaera decima ad quam reducuntmotum diurnum qui est de oriente in occidentem9.

    Ma, per usare ancora il testo dantesco, al disopra del Cristallino-Primo Mobile,non i filosofi, ma esclusivamente i fedeli sanno dell’esistenza di un altro cielo:

    Veramente, fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo empireo, che èa dire cielo di fiamma o vero luminoso e pongono esso essere immobile10.

    La storia dell’Empireo dalla Tarda Antichità al Medioevo è già stata scritta daBruno Nardi11. Io qui mi limiterò a riprendere e a sottolineare la convinzionecondivisa da tutti i teologi del XIII secolo che la sua esistenza non è dimostra-bile né attraverso l’esperienza né attraverso il ragionamento, ma può essereaffermata solo sulla base dalla autorità dei Sancti. Come dice Tommaso:

    Dicendum quod caelum empyreum non invenitur positum nisi per auc-toritates Strabi et Bedae et iterum per auctoritatem Basilii. In cuius po-

    sitione quantum ad aliquid conveniunt, scilicet quantum ad hoc quod sitlocus beatorum12.

    Esso, dunque, è rimasto del tutto sconosciuto ai Philosophi:

    9.   Id., In II Sent., d. 14, q. 1, art. 1, Utrum aquae sint super caelos (come si vede, Tommaso, perdar ragione dei due movimenti delle stelle fisse, accetta qui l’esistenza, oltre lo stellato, nondi uno, ma di due cieli ‘trasparenti’). Meno fiduciosa in questa concordia tra Scrittura (de-bitamente interpretata) e scienza era stata la  Summa Halensis: “Philosophi non ascenderuntusque ad caelum empyreum nec usque ad caelum crystallinum” (II, inq. III, tr. 2, q. 2, art. 3,

    Utrum empyrem dicendum sit caelum, ed. Quaracchi, 1928, II, p. 330.)10.   Dante, Convivio II iii 8.11.   B. Nardi,  La dottrina dell’Empireo nella sua genesi storica e nel pensiero dantesco , in Id.,

    Saggi di filosofia dantesca, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 167-214.12.   Cfr.  Glossa ordinaria in Genesim, PL 113, 68: “In principio Caelum, non visibile firmamen-

    tum, sed Empyreum, id est igneum, vel intellectuale, quod non ab ardore, sed a splendoredicitur, quod statim repletum est angelis”; Beda, In Genesim, I i 2, Corpus Christianorum.Series latina CXXIII A, p. 4: “Ipsum enim est caelum superius quod, ab omnihuius mun-di volubilis statu secretum, divinae gloriae presentiae manet semper quietum. [. . . ] Nonergo superius illud caelum, quod mortalium est omnium inaccessibile conspectibus, inanecreatum est et vacuum ut terra [. . . ] quia nimirum sui incolis mox creatum, hoc est bea-tissimis angelorum agminibus, impletum est”. Trasmigrato nel testo delle  Sentenze di Pier

    Lombardo, il termine ‘Empireo’ era divenuto di uso comune.

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    Philosophi non ponunt ipsum quia ipsi locuti sunt de superioribus secun-dum sensum vel secundum consequentiam rationis, et secundum sensumapparent nobis tantum octo sphaerae, nona vero probatur secundum con-

    sequentiam rationis [. . . ] decima quae ponitur immobilis nec sensu necforti ratione manifestatur, et ideo ipsi non posuerunt eum13.

    Diversamente da Alberto e da Tommaso, Dante rimanda invece per ben duevolte a testi di Aristotele in cui il Filosofo, sia pure incidentalmente e senzadarne una trattazione specifica, affermerebbe l’esistenza di questo decimo cie-lo come dimora di Dio e degli angeli. Il primo rimando si trova in  Convivio, IIiii 10:

    Questo loco (appunto l’Empireo) è di spiriti beati, secondo che la SantaChiesa vuole, che non può dire menzogna; e Aristotile pare ciò sentire, achi bene lo ’ntende, nel primo Di Cielo et Mondo.

    L’allusione sembra essere a De caelo I, 3, 270 b 1-11:

    Che il corpo primo è dunque eterno e non s’accresce e non diminuisce enon è soggetto ad invecchiamento, alterazione o altre affezioni [. . . ] ri-sulta evidente [. . . ] tutti gli uomini che hanno un qualche concetto degliDei e, barbari o greci, quanti ritengono che vi siano degli dei, assegnanoal divino la regione superiore. Questo evidentemente perché pensano chel’immortale debba esser congiunto all’immortale [. . . ] come esiste, anchequanto ora si è detto intorno alla prima sostanza corporea è stato dettonel modo dovuto14.

    Si tratta di uno di quei passi in cui Aristotele, per rafforzare le sue tesi filosofi-che, si serve delle credenze comuni, senza che questo significhi attribuire loroun valore assoluto di verità. Al massimo esse possono essere intuizioni di ve-rità che rimangono ancora imprigionate nell’involucro del mito15. La versione

    araba del De caelo e la corrispondente traduzione latina di Gerardo da Cremo-na avevano in qualche modo ‘forzato’ il testo aristotelico nella direzione dellereligioni del Libro e dunque avrebbero potuto offrire un appiglio al rimandodantesco:

    13.   Albertus Magnus, Summa de creaturis. Pars prima. De quattuor coaequevis, tr. III, q. 11,a. 3, Utrum caelum empyreum sit mobile, A. Borgnet (ed.), XXXIV, p. 423.

    14.   Cito dalla traduzione di O. Longo, in Aristotele, Opere, Laterza, Bari, 1973, II, p. 247.15.   Vedi ad esempio  Metaph.  XII, 8, 1074 b 1-14: “Dagli antichi e dagli antichissimi è stata tra-

    mandata una tradizione in forma di mito secondo la quale sono questi gli dei e il divino cir-conda tutta la natura. [...] Se si prende solo il punto fondamentale, cioè l’affermazione che

    le sostanze prime sono dei, bisogna riconoscere che essa è stata fatta per divina ispirazione”.

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    Omnes homines conveniunt in loco huius  corporis primi nobilis, qui est locus spiritualium, scilicet Greci et alii ex gentibus, qui confitentur Deumet eius potestatem creandi. Et non confitentur illud nisi quoniam res super

    quam non cadit corruptio [...] oportet ut sit, sicut est, in loco qui nonminuitur neque corrumpitur neque mutatur neque alteratur16.

    Ma nella parafrasi di Alberto, queste suggestioni sono state lasciate del tuttocadere: la precisazione [del tutto ovvia] che Dio non è contenuto in un luogocome le altre realtà, mantiene una valenza puramente filosofica mentre la stes-sa “potestas creandi” viene reinterpretata come una più philosophically correct “potestas causandi”. E non basta: questa capacità produttiva viene ricollega-ta al principio, anch’esso squisitamente filosofico e teologicamente assai so-

    spetto, per cui “ab uno non potest esse nisi unum”, con la conseguenza che ilPrimo Principio ha bisogno del movimento dei cieli per produrre la diversitàdegli enti: dunque un concentrato di tesi ‘peripatetiche’ suscettibili di censureteologiche ed eventualmente ecclesiastiche. Colmo dei colmi, gli ‘spiriti beati’abitanti dell’Empireo sono qui gli uomini divinizzati dell’Ermete Trismegistoe di questo cielo come abitazione di esseri divini ci parla non la Santa Chiesama quel fantomatico e piuttosto sospetto De natura deorum, un testo di cuiAlberto mostra in molti altri luoghi maggiore stima che effettiva conoscenza:

    Omnes homines qui cognoverunt deos, primam videlicet causam et aliassubstantias separatas intellectuales   conveniunt  in iudicio hoc, quod di-cunt quod  caelum est locus talium substantiarum quas illi spiritus separa-tos esse dicebant. Hoc enim tam Graeci philosophi dixerunt, sicut Plato etsui sequaces, quam etiam alii ex gentibus Chaldaeorum et Aegyptiorum,quorum primus fuit Hermes Trismegitus qui omnem deum in caelum si-cut in locum sibi convenientem reducit, sive sit sumptus ex hominibussive sit caelestis omnino. Ostenduntur autem omnia haec in Libris de na-tura deorum quos diversi philosophi scripserunt, et ideo etiam a nobistunc veritas de his tradetur quando agemus de deorum natura. Sed ta-

    men sciendum est hic quod aliter Deus est in caelo et aliter locatum inloco, quia Deus non continetur caelo, sed potius est in ipso sicut motorindivisibilis, et per eumdem modum sunt ceterae substantiae intellectua-les in suis orbibus, sicut determinatum est in octavo Physicorum in parte,et sufficienter ostendetur hoc in philosophia prima.

    Rationabiliter autem iudicaverunt omnes gentes Deum esse in cae-lo. Deo autem dederunt  potestatem causandi et creandi ista inferiora, et

    16.   Cito la traduzione di Gerardo da Albertus Magnus, De caelo et mundo, P. Hossfeld (ed.),Aschendorff, Münster, 1971 (Opera Omnia, V, pars prima), p. 21, ll. 77 sgg. Come nel casodei primi tre libri dei   Meteorologica, sembra che Gerardo abbia avuto sotto gli occhi una

    versione araba non particolarmente fedele all’originale greco.

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    ideo, cum ab uno non possit esse nisi unum et ab uno aeterno quod nonincepit non possit esse diversitas secundum naturam, dederunt ei caelumquod in substantia ingenerabile est et secundum motum diversificatum,

    ut movendo illud causet nova inferiora diversa eo modo quo exposuimusin octavo Physicorum17.

    Il commento di Tommaso per parte sua, aiutato dalla versione di Guglielmodel testo greco originale, non fa altro che ristabilire il senso effettivo del branoaristotelico sottolineando semmai come l’affermazione di una abitazione diDio nei cieli possa valere solo come ‘similitudine’:

    Ponit tria signa, quorum primum est ex communi hominum opinione quiponunt multos deos, vel unum Deum cui alias substantias separatas de-servire dicunt, et omnes sic opinantes attribuunt supremum locum, scili-cet caelestem, Deo sive sint barbari, sive graeci, quicumque scilicet putantesse res divinas. Sic autem attribuunt caelum divinis substantiis quasiadaptantes immortalem locum immortalibus et divinis rebus, ut sic habi-tatio Dei in caelo intelligatur esse secundum similitudinis adaptationem,quia scilicet hoc corpus inter cetera corpora magis accedit ad similitu-dinem spiritualium substantiarum et divinarum. Est enim impossibilequod aliter Deo habitatio caeli attribuatur, quasi indigeat loco corporali aquo comprehendatur18.

    Il secondo rimando del Convivio (II iv 3), anche se non nomina direttamen-te l’Empireo, attribuisce ad Aristotele affermazioni che ne postulerebbero co-munque l’esistenza. Dante sta discutendo l’ordine e il numero degli Angeli e,data la sua identificazione tra Angeli e Intelligenze motrici, deve fare i conticon la posizione secondo cui il numero delle sostanze separate va calcolato inbase al numero dei movimenti celesti cui esse presiedono. Si tratta di una tesipresente in Metaph. XII, 8 e quindi correttamente aristotelica; dato però che loStagirita, a differenza di Averroè, non aveva affermato esplicitamente l’esclusi-vità di questa corrispondenza, per Dante era possibile interpretare altri passidi Aristotele come alludenti alla verità cristiana di un numero di Angeli moltomaggiore, Angeli non addetti alle sfere celesti, ma alla contemplazione di Dionel loro luogo ‘naturale’ – l’Empireo:

    17.   Id., De caelo et mundo, I, tr. 1, c. 9, p. 23, ll. 4-33.18.   Thomas de Aquino, De caelo, I, lectio 7, ed. Marietti, n. 75. Questa è la versione di Gugliel-

    mo (ivi): “Omnes enim homines de diis habent existimationem, et omnes eum qui sursumDeo locum attribuunt, et Barbari et Graeci, quicumque quidem putant esse deos, palam utimmortali immortale coaptatum [. . . ] si quidem igitur est aliquid divinum, quemadmodum

    est, et nunc dicta de prima substantia corporea dicta sunt bene”.

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    Furono certi filosofi, de’ quali pare essere Aristotele nella sua Metafisica,avvegna che nel primo di Celo incidentemente paia sentire altrimenti, checredettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossere nelli

    cieli e non più.

    Il rimando è a De caelo I, 9, 279 a 17-22:

    E’ [. . . ] evidente anche che fuori del cielo non c’è né luogo, né vuoto, nétempo [. . . ] Perciò gli enti di lassù non sono fatti per essere nel luogo,né li fa invecchiare il tempo, né si dà alcun mutamento in nessuno deglienti posti al di là dell’orbita più esterna, ma inalterabili e sottratti ad ogniaffezione trascorrono tutta l’eternità in una vita che di tutte è la miglioree la più bastante a se medesima19.

    Questa volta non si tratta di miti o di credenze da interpretare, ma del pen-siero stesso di Aristotele: per lo Stagirita al di là dell’orbita più esterna esisteuna zona fuori dello spazio e del tempo dove un mondo di realtà puramenteintellettuali gode di una interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio.

    Ancora una volta il testo arabo e la traduzione latina di Gerardo da Cremo-na, con l’introduzione addirittura di una formula liturgica, sembrano indiriz-zare il testo verso il campo di una teologia rivelata e dare ragione al tentativodantesco di ‘cristianizzare’ Aristotele:

    Nuper autem ostendimus et diximus quia non extra caelum locus nequevacuum neque tempus. Si ergo hoc est secundum illud, tunc propter illudquod est illic non est in loco, neque tempus potest facere ipsum vetus ne-que aliquid extra ultimum incessus [?] alteratur neque mutatur omnino,sed est fixum: non mutatur neque recipit impressiones. Vita ergo illic estfixa et sempiterna in saecula saeculorum quae non finitur neque deficit,et est melior vita20.

    Ma ancora una volta la parafrasi di Alberto, lungi dall’approfittare di questo

    appiglio, si mantiene su di un piano strettamente fisico: ogni intelligenza ri-mane collegata al movimento del suo cielo, la sua vita non è certamente con-tenuta nel tempo ma è comunque coestensiva al tempo che il movimento dalei impresso produce: quest’ultimo è il suo saeculum, sotto cui sono le diversedurate (diversa spatia) delle realtà prodotte nel tempo, che sono a loro volta iloro saecula. In questo senso si può parlare di saeculorum saecula, e il PrimoMobile, che contiene tutti gli altri cieli, sarà il saeculum di tutti gli altri saecu-la e il saeculorum causa. Come si vede la formula liturgica, ovviamente non

    19.   Trad. cit., p. 269.

    20.   In Albertus Magnus, De caelo et mundo, p. 75, ll. 76-79.

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    presente in Aristotele, riceve una interpretazione in tutto e per tutto filosoficae un testo dello Stagirita decisamente ‘extravagante’ viene ricondotto entro itermini della ‘ortodossia’ peripatetica :

    Cum autem iam declaraverimus extra caelum neque locum esse nequetempus neque vacuum, necessario sequitur quod id quod est in exterioricaeli, hoc est in ultimo caelo ex parte sui convexi, non sit in loco [. . . ] Etcum non sit in loco id quod est illic, tunc etiam non est in tempore [...]sive illud igitur sit causa prima vel sit convexum caeli supremi, tempusnon potest facere ipsum vetus [...] sed est fixum secundum suum esseet non mutatur omnino eo quod nullam recipit impressionem quae sibivaleat imprimi ab aliquo agente.

    Diximus autem in fine octavi Physicorum primum motorem esse in il-

    lo convexo illius spherae exterioris et motum quem dat primo mobili essequasi vitam omnibus existentibus secundum naturam, quamquam etiamdicat Aristoteles, Peripateticorum princeps et insecutor eius Averroes etRabbi Moyses et multi alii Peripateticorum, quod etiam sphaera illa vivitet quod vita eius est actus intelligentiae in ipsam sphaeram et quod vi-ta illa tota est intellectualis. Vita ergo secundum istos quae est illic, nontemporaliter est sibi succedens, sed potius simul fixa et stans, quemad-modum diximus de rebus quae sunt aeviternae; est ergo sempiterna insaecula saeculorum. Suum enim saeculum est duratio sui esse cum tototempore, ita quod tempus non excellit ipsum, licet excellat ipsum aeter-

    nitas. Et quia tempus causatur a motu eius, tunc saeculum sui motus esttotum tempus durans, cui commensuratur motus eius, quem tamen tem-pus non excellit [...] et sub illo saeculo sunt spatia rerum quae sunt intempore, et illa spatia sunt saecula rerum exortarum in tempore, prop-ter quod saeculum primi mobilis est saeculum saecula continens et causasaeculorum21.

    Tommaso, da parte sua, si limita a parafrasare il testo, concentrandosi piut-tosto sulla confutazione della dottrina di Alessandro di Afrodisia secondo cuile proprietà di intemporalità e intransmutabilità qui elencate da Aristotele sa-

    rebbero attribuibili ai corpi celesti (utilizzando il commento di Simplicio dapoco tradotto l’Aquinate sostiene che tali caratteristiche possono esser attri-buite solo a Dio ed alle sostanze separate) e mostrando di non ritenere chele espressioni aristoteliche alludano a niente di diverso dalla sua ‘normale’dottrina:

    Dicit primo quod quia extra caelum non est locus, sequitur quod ea quaeibi sunt nata esse, non sunt in loco. Et hoc quidem Alexander dicit pos-se intelligi de ipso caelo, quod quidem non est in loco secundum totum,

    21.   Ivi., I, tr. 3, c. 10, pp. 75-76.

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    sed secundum partes [. . . ] et iterum, quia tempus non est extra caelum,sequitur quod non sint in tempore, et ita tempus non facit ea senesce-re Quod etiam dicit Alexander posse caelo convenire, quod quidem non

    est in tempore, secundum quod esse in tempore est quadam parte tem-poris mensurari [...] Sed hoc non videtur esse verum, quod corporumcaelestium non sit aliqua transmutatio cum moveantur localiter, nisi forteexponamus de transmutatione quae est in substantia. Sed haec videtur di-storta expositio, cum Philosophus universaliter omnem mutationem ex-cludat. Similiter etiam non potest dici proprie quod caelum sit ibi, id estextra caelum. Et ideo convenientius est quod hoc intelligatur de Deo et desubstantiis separatis quae manifeste neque tempore neque loco continen-tur cum sint separatae ab omni magnitudine et motu. Huiusmodi autemsubstantiae dicuntur esse ibi, id est extra caelum, non sicut in loco, sed si-

    cut non contenta nec inclusa sub continentia corporalium rerum, sed to-tam corporalem naturam excedentia. Et hic convenit quod dicitur, quodeorum nulla sit transmutatio quia superxcedunt supremam lationem, sci-licet ultimae sphaerae quae ordinatur sicut extrinseca et contentiva om-nis mutationis [...] Et dicit quod illa entia quae sunt extra caelum suntinalterabilia et penitus impassibilia, habentia optimam vitam in quantumscilicet eorum vita non est materiae permixta [...] Habent etiam vitamper se sufficientissimam in quantum non indigent aliquo vel ad conserva-tionem suae vitae, vel ad executionem operum vitae. Habent etiam vitamnon temporalem, sed in toto aeterno.

    Horum autem quae hic dicuntur quaedam possunt attribui corpori-bus caelestibus, puta quod sint impassibilia et inalterabilia, sed alia duonon possunt eis convenire, etiam si sint animata. Non enim habent op-timam vitam, cum eorum vita sit ex unione animae ad corpus caeleste;nec etiam habent vitam per se sufficientissimam, cum per motum suumbonum consequantur [...]22.

    Dunque, a differenza che per Dante, per i due più illustri esegeti dello Stagi-rita, il cosmo aristotelico non si apre su nessun Empireo teologico. E’ sempre

    difficile trovare la causa di una mancanza. Nel caso di Alberto potremmo pen-sare che tutto dipenda dalla sua netta distinzione tra dimostrazioni e dottrinefilosofiche da una parte, e dato rivelato e sistemazione teologica dall’altro: nelcaso specifico il rifiuto di identificare angeli e sostanze separate doveva rende-

    22.   Thomas de Aquino, De caelo, I, lectio 21, ed. Marietti, nn. 213-214. Anche in questo caso latraduzione di Guglielmo di Moerbeke, fedele al testo greco, non presentava nessuna forzatura‘teologica’: “Manifestum [. . . ] quia neque locus, neque vacuum neque tempus est exterius.Propter quod quidem neque in loco quae ibi sunt apta nata esse, neque tempus ipsa facitsenescere, neque est ullius neque una transmutatio eorum quae super eam quae maximeextraordinata lationem, sed inalterabilia et impassibilia, optimam habentia vitam et per se

    sufficientissimam perficiunt toto aeterno”.

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    re di per sé improponibile l’ipotesi di un Empireo filosofico. Questa spiegazio-ne non varrebbe però per Tommaso, e dunque provo qui ad avanzare un’altraipotesi. Per l’Aquinate, come per tutti i teologi del XIII secolo l’Empireo è uncorpo: se non contiene in senso stretto gli angeli, in quanto puri spiriti, conter-rà però localmente i corpi dei risorti e già fin da ora ‘contiene’ Cristo in quantouomo23, ed è tanto un corpo che, sia pure dopo alcune esitazioni Tommaso gliattribuirà, a differenza di Alberto, la capacità di agire, come le altre sfere, sullesfere inferiori e sulle realtà sublunari24. Sotto questo rispetto la posizione diDante è abbastanza diversa. É vero, come dice il Nardi, che una concezione pu-ramente immateriale dell’Empireo verrà sostenuta solo nella  Commedia, magià nel Convivio si respira per dir così un’aria di ‘smaterializzazione’: l’Empi-reo, composto di parti come tutti gli altri corpi celesti, è sì “lo soprano edificio

    del mondo nel quale tutto il mondo s’include”, ma a differenza degli altri cieli“formato fu solo nella prima Mente, la quale li greci dicono Protonoè” il che loavvicina molto ad una realtà del tutto intellettuale.

    Ora, prima del commento al De caelo, Tommaso aveva fatto ricorso, esatta-mente come Dante, allo stesso brano del capitolo nono del primo libro del  Decaelo, e questo proprio in una discussione relativa all’Empireo, ma non l’ave-va affatto considerato come una prefigurazione filosofica di ciò che i cattolicitengono per fede, bensì come una obiezione alla sua corporeità (dottrina cui,

    23.   Cfr. Id., In II Sent., d. 2, q. 2, art. 1. L’Empireo è un corpo “quod principaliter ordinatum est utsit habitatio beatorum et hoc magis propter homines quorum etiam corpora glorificabuntur,quibus locus debetur quam propter angelos qui loco non indigent”. Di fronte ad un tentativoun po’ maldestro di ‘spiritualizzazione’ presente nella Glossa ordinaria che parlava di “cae-lum igneum vel intellectuale” Tommaso precisa: “Dicendum quod caelum Empyreum diciturintellectuale quia nostris visibus non subiacet, sed intellectu tantum capitur, non quod in senon sit visibile” (ivi, ad primum).

    24.   Nel commento al secondo libro delle Sentenze (d. 2, q. 2, a. 3) Tommaso aveva negato chel’Empireo esercitasse una influenza sui cieli e mediante i cieli sul mondo sublunare, allinean-dosi in questo alla soluzione del suo maestro Alberto (cfr.   In II Sententiarum, d. 2, a. 5,

    A. Borgnet (ed.), XXVII, p. 54); nella Summa Theologica (I, q. 66, a. 3) egli ritiene probabilequesta risposta, attribuendola a dei quidam tra cui avrebbe dovuto annoverare, oltre Alber-to, anche se stesso, ma ancor più probabile quella opposta. Infine, nel Quodlibet VI , q. 11, art.un., Utrum caelum empyreum habeat influentiam super alia corpora l’Aquinate (questa voltariconoscendo di aver sostenuto in passato una opinione diversa) sottoscrive (ed argomenta)senza più riserve la capacità dell’Empireo di agire sul resto dell’universo proprio attraversola sua quiete: “Dicendum quod quidam ponunt caelum empyreum non habere influentiaminaliqua corpora quia non est institutum ad effectus naturales, sed ad hoc quod sit locus bea-torum. Et hoc quidem mihi aliquando visum est. Sed diligentius considerans, magis videturdicendum quod influat in corpora inferiora quia totum universum est unum unitate ordinisut patet per Philosophum XII Metaphisicae [. . . ] unde si caelum empyreum non influeretin corpora inferiora [. . . ] non contineretur sub unitate universi, quod est inconveniens”

    (ed. Marietti, n. 140).

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    come abbiamo già visto, l’Aquinate sembra tenere). E come argumentum incontrarium viene effettivamente utilizzato:

    Preterea Philosophus probat in I Celi et Mundi quod extra primum mo-bile non est aliquod corpus, extra quod quodammodo ponit vitam bea-tam, quam nos dicimus in caelo empyreo esse. Ergo videtur quod non sitcorpus25.

    Nella risposta Tommaso dà un’interpretazione del testo aristotelico franca-mente inattesa:

    Ad tertium dicendum, quod probationes Philosophi hoc demonstrant,quod extra totum universum non sit aliquod corpus, non quod extrahoc caelum non sit aliud caelum: quia in numero sphaerarum etiamphilosophi dissentire inveniuntur.

    Il Filosofo, dunque, dimostrebbe solo che al di fuori della totalità dell’universonon esiste alcun corpo; che però l’universo abbia termine con il primo mobilenon è filosoficamente dimostrato, dato che i filosofi stessi non concordano sulnumero delle sfere. C’è dunque posto anche per un decimo cielo corporeo:l’Empireo, appunto. L’accenno aristotelico ad una vita beata che sia al di fuoridel cosmo viene lasciato completamente cadere.

    Azzarderei la conclusione per cui ci troviamo qui di fronte ad un capito-lo (o se si vuole, vista la particolarità della materia, ad un paragrafo) di unatendenza generale della teologia del XIII secolo, quella di descrivere l’aldilàin termini strettamente fisici chiudendo definitivamente con ogni residuo dieriugenismo che ancora nel XII secolo (Abelardo e gli abelardiani, Guglielmodi Nogent) considerava Paradiso ed Inferno non come luoghi, ma come statiinteriori26.

    Paradossalmente il Paradiso intravisto da Aristotele poteva risultare troppospirituale per il maggior teologo cristiano del XIII secolo.

    25.   Thomas de Aquino, In II Sent., d. 2, q. 2, art. 1, 3 in contrarium.26.   Un caso tipico di questa ‘fisicizzazione’ dell’aldilà è la discussione sul come il fuoco dell’infer-

    no agisca sulle anime, ovviamente incorporee, dei dannati. Vedi in proposito G. Fioravanti,Le Quaestiones de anima separata di Matteo d’Acquasparta, in Matteo d’Acquasparta fran-cescano, filosofo, politico. Atti del XXIX Convegno storico internazionale, Spoleto, Centro diStudi sull’Alto Medioevo, 1993, pp. 197-215; id., Cielo e terra, Paradiso e Inferno nei teologi del  XII secolo, in Cieli e terre nei secoli XI-XII. Orizzonti, percezioni, rapporti, Vita e Pensiero, Mi-lano, 1998, pp. 196-221; P. Porro, Fisica aristotelica ed escatologia cristiana: il dolore dell’ani-ma nel dibattito del XIII secolo, in    . UNIONE E AMICIZIA. Omaggioa Francesco Romano, a cura di M. Barbanti, G.R. Giardina, P. Manganaro, CUECM,

    Catania, 2002, pp. 617-642.