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IL LUOGO

IL TERRITORIO 01CRONACHE 02

LE PERSONE

VITA DI SPONDA 03P. I. L. 04

LE COSE

IMMAGINI PAROLE SUONI 05

FMPQ

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IL TERRITORIO 01— 19

01 IL TERRITORIO

Qui ora abitano le piante, decine di piante, centinaia. E molte spe-cie di uccelli, stanziali e migratori.“Il nibbio bruno viene dall’Africa. Viene fino qua e nidifica. E’ un rapace. Questi uccelli ritornano. C’è la folaga che è stanziale. Ma d’in-verno arriva anche il moriglione e la moretta. Loro emigrano. Cercano l’acqua che corre. Poi quando diventano vecchi non riescono più a fare 3.000, 4.000 chilometri. E allora stanno qui.”In mezzo al fiume ci sono dei cormorani.

“Loro si bagnano completamente. Si tuffano in acqua e si bagnano fino alla pelle. Poi sono costretti a stare con le ali aperte per asciugarsi.”Antonio continua a camminare. Ci descrive tutto. Conosce tutto e tutti. Gli alberi, le loro foglie. Gli animali e le loro abitudini. Sono come dei suoi amici.Ha 82 anni ma l’entusiasmo e la curiosità di un ragazzino.Arriva dal Sud, ma ormai è da molti anni che è stanziale.

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CRONACHE 02

TORINO FRA ROM E NUOVI POVERIGLI INVISIBILI DI PARCO STURAdi Maurizio Crosetti, giornalista

Sono i confini della realtà: topi e frigoriferi, vecchi copertoni e gabbiani. Baracche e capanni, e sull´altra riva la spianata detta Tossic park.Il sentiero si apre dentro una nuvola di margherite gialle, le im-mondizie ai lati, i fiori nel mezzo. La carcassa di un frigo, un petalo, un topo, un altro petalo, un bambino, un secondo topo, un water rovesciato, un altro bambino. I confini della realtà stanno a dieci minuti d´auto da piazza San Carlo, dove un cavallo di bronzo fa la guardia alle boutique. Invece questo è Lungo Stura Lazio, la Stura sarebbe un torrente di ghisa dove galleggiano copertoni e gabbiani. Il sentiero scende verso la baraccopoli, tra le invisibili favelas sabau-de: per vederle bisogna andare più giù, farsi strada tra i rovi, chinarsi sotto un tetto di fronde e guardare dove si mettono i piedi, perché tutto scivola verso l´acqua, e se piove anche solo per dieci minuti sono sabbie mobili. Qui, vivono persone.Ci sono le “campine” dei rom, fatte con le cassette della frutta e il pvc, le prime più misere, le altre più ricche, se così si può dire: hanno infatti la parabola satellitare e la luce elettrica, e in strada sono parcheggiate grosse auto. Il traffico del rame rubato sulle li-nee ferroviarie rende bene, ma come tutte le mafie si fonda sullo

sfruttamento della bassa manovalanza. Sgusciare un cavo rende 80 centesimi. Sei euro il chilo. «Se riusciamo a sgretolare la base, dando a questa gente una possibilità diversa, un lavoro regolare, pulito, per chi comanda diventa più difficile». Oliviero Alotto è il giovane vicepresidente di Terra del Fuoco, associazione che si occupa di mi-granti, nata da una costola del Gruppo Abele. «L´anno scorso siamo riusciti a mandare a scuola un bel po´ di bambini rom, alla fine la loro frequenza scolastica era del 93 per cento, un successo. È chiaro che li devi accompagnare la mattina, seguire, farci i compiti. Però funziona».È già freddo, in questa mattina d´ottobre. Il cielo ha il colore del fiume, e tutti e due non mettono allegria. Sotto una torre sventrata spuntano i tetti delle baracche e dei “ciabòt”, cioè i capanni de-gli attrezzi usati dai coltivatori abusivi che curano il loro fazzoletto d´orto tra i rifiuti e i campi nomadi. Pensionati, per lo più. Meridio-nali o veneti, ma anche piemontesi. Qui rivivono le loro anime con-tadine, nel quadrato sbilenco di terra ci sono il paese, la gioventù, i campi arati da nonni e bisnonni. C´è la linea del sangue, vicino a un tappeto di siringhe seminate dai tossici. “Tossic Park”: così hanno ribattezzato la spianata sull´altra riva, dove si alza la sagoma del No-

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CRONACHE 02— 55

03 VITA DI SPONDA— 62

ABITARE IL FIUMEdi Pietro Cingolani, antropologo

Gli automobilisti che a Torino devono imboccare l’autostrada per Milano o che si recano a fare acquisti nel grande ipermercato nella periferia nord transitano in una via a scorrimento rapido che fian-cheggia le sponde del fiume Stura. Dalla fitta vegetazione vedono comparire, a tutte le ore del giorno, donne con carretti, uomini in bicicletta, gruppi di bambini. Gli automobilisti proseguono, senza interrogarsi troppo sul mondo che si nasconde dietro quella cortina di alberi e di arbusti e sulle ragioni di quelle presenze umane. Poi, di quando in quando, l’attenzione dei cittadini viene riportata da tele-giornali o giornali locali sul “campo nomadi di Lungo Stura Lazio”, rappresentato come un luogo di miseria e degrado dove proliferano criminalità e sfruttamento. Una tale immagine mi è stata riportata anche da un giornalista di origini romene, da anni residente in Italia. Nello spiegarmi i proble-mi che a suo avviso affliggono la città, mi ha chiaramente indicato la presenza degli accampamenti non autorizzati:

Molti problemi per noi romeni immigrati in Italia derivano dalla pessima immagine che gli zingari diffondono. Vivono in posti sporchi, in baracche ro-vinate e senza acqua; nessuno li obbliga ad andare là, ma in quei posti loro si

adattano facilmente. Pochi di questi zingari hanno conosciuto la civilizzazio-ne, e dove non c’è civilizzazione non c’è neppure rispetto per le regole.

Si tratta di un buco nero nelle mappe mentali degli abitanti torinesi, creato anche dalle istituzioni pubbliche che nei documenti ufficiali lo definiscono “sito spontaneo”, per differenziarlo dalle altre quattro “aree sosta attrezzate per nomadi”, spazi riconosciuti dal punto di vista normativo, con precisi regolamenti per l’accesso, la sosta e la residenza . In questo buco nero si è insediato un gruppo sociale che è visto come un corpo estraneo, irrimediabilmente non integrabile nel tessuto della città, tanto dagli italiani quanto da altri immigra-ti, come emerge bene dalle parole del giornalista romeno. Spinto dalla curiosità, di cittadino prima ancora che di antropologo, ho deciso di entrare in quegli spazi per capire su cosa si fondassero le rappresentazioni pubbliche che circolano in tanta parte della società maggioritaria. Dalle mie esplorazioni ho potuto decostruire molte immagini stereotipate: il campo non è abitato esclusivamente da rom romeni, ma vi si trovano anche diversi gagé, soprattutto immi-grati romeni, e alcuni italiani; chi entra e chi esce da questo spazio lo fa per differenti ragioni e non si può identificare un’unica modalità

VITA DI SPONDA 03— 63

03 VITA DI SPONDA— 70

IO TURATTI MORENOdi Moreno Turatti, pittore e ortolano

Io Turatti Moreno nato a Torino il 21.04.1960 alle ore 7,55 Battezzato alla Capella del S. ANNA. Figlio di una mamma di 9 figli con 2 padri diversi di 9 figli: io sono 8vo. Quando io sono nato la famiglia abitava in una frazione di Caselle chiamata le Mona-che, tra la strada di Caselle e Leinì.Dopo solo 2 anni la famiglia si è trasferita a S. Francesco al Campo in una frazione chiamata S. ANNA, di tutti i figli ne mancavano 4 erano in collegio; Mio papà lavorava come operaio mia mamma come casalinga i miei fratelli e fratellastri si suddividevano in 6 maschi e 3 sorelle, in collegio era il più vecchio dei maschi. Si chiamava 1) Renzo 1946 – 1997 ora morto 2) Rinaldo 1948 – 2001 ora morto 3) Gian Mario 1951 – 1981 ora morto 4) Francesco 1953 VIVO.La sorella più grande 1943 VIVA con due figli una femmina e l’altro maschio, che tra me e lui passano 6 mesi, io più Vecchio. Allora andai a scuola al Capoluogo di S. Francesco al Campo fino alla 4 elementare poi la famiglia si trasferì a circa 3 km, in una Borgata, da lì c’era-no piccole scuole della Borgata Grangia ed eravamo divisi in 2 …. 1-2-3 elementare 4-5 elementare. Noi rimasti in 4 figli: gli altri se ne andarono. Vivevamo in una cascina e pagavamo l’affitto 1971 e 40.000 al

mese. Allora 1971 c’era già un pulmino della scuo-la che ci portava fino al Capoluogo dove c’erano le scuole medie e io andai.

[...]

Qualche tempo prima si andava fin da piccoli ad una irrigazione che faceva una conca di acqua e ci tro-vavamo lì a nuotare, circa quasi sempre…; io imparai lì a nuotare, un bel giorno eravamo in due, lui più alto ed 1 anno in più, aveva appena finito di piovere ed è uscita una bella giornata di sole così andammo tutti e 2 l’acqua era troppo alta e la corrente forse arrivava a 2,50 m. L’altro non esitava a tuffarsi senza accorgersi del pericolo al mulinello così si tuffò quando si tuffò non veniva più su, allora mi tuffai lo presi all’in-dietro per il collo e con le gambe mi sono portato vicino al m uro e con tutta la mia forza diedi un colpo di gambe al muro, feci una traiettoria di m 2,50 così lo tolsi dal mulinello che girava sempre in sé stesso. È riuscito a togliersi l’acqua che aveva bevuto andammo a casa mentre andavamo mi ringraziava diceva se non c’eri tu non ritornavo a casa. [...]

In quel tempo andavo in piscina. Un giorno mi iscrissi ad una gara di tuffi e...

VITA DI SPONDA 03— 71

LUNGO STURA LAZIOALL’ALTEZZA DEL GROSS IPERdi Luca Morino, musicista e scrittore

Torino.Campo nomadi in Lungostura Lazio, all’altezza del Gross Iper.

Sto seguendo delle riprese video per realizzare in seguito la parte musicale e, come spesso accade in queste situazioni dalla comuni-cazione complessa, ho scelto un via solitamente molto efficace per sciogliere la diffidenza: mi sono seduto su una sedia e ho iniziato a suonare la chitarra.

Soma Mau-mau ma pà fòj soma ij sìngher d’la nassion sgamaloma con la Fulvia i l’oma nen fait ël soldà

In pochi secondi si è formato un capannello festoso e colorato, un bambino completamente nudo che sembra appena emerso da una pozzanghera, una ragazza che indossa deliziose ciabattine piumate bianche, immacolate (ma come fa a mantenerle così?), biciclettine scassate, madri, bambole, uomini: questi ultimi sono rimasti due passi indietro, ma si sono avvicinati anche loro.

Soma Mau-mau ma pà fòj soma ij sìngher d’la nassion

Un campo nomadi, visto dall’interno, non rispetta affatto l’immagi-ne stereotipata e sempreverde degli “zingari”.Un ragazzo ha raccontato che lui e sua moglie non abbandonano mai contemporaneamente la loro baracca per timore che possa suc-cedere qualcosa. Il tema della sicurezza, concetto molto relativo, è centrale perché vivere qui implica una serie di rischi anche dalle drammatiche conseguenze: ingiunzioni di sgombero accompagnate dalla minaccia delle ruspe, pressioni della polizia e degli abitanti della zona, conflitti interni. Insomma la mia chitarra riverbera im-mersa in un ecosistema dall’equilibrio molto precario e mutabile, poco definibile e completamente sconosciuto ai più, me compreso. Non lo si conosce perché non lo si frequenta, ma anche perché un campo nomadi è praticamente invisibile agli occhi della comunità.

Questo è il coro della razza predonache sono tutti quelli che si nascondonodietro una faccia distinta e perbene

VITA DI SPONDA 03— 77

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IL LAVORO DEI ROMdi Antonio Castagna, formatore e Federico Botta, fotografo

23 aprile 2011Arriviamo al campo percorrendo il Lungo Stura, dopo il benzinaio Agip. Ci addentriamo in una stradina di sassi e terra ricavata rimuo-vendo gli arbusti che crescono lungo il fiume.Sullo sfondo le baracche del campo già illuminate. È quasi l’una di notte. Un topo grande come un coniglio cresciuto in cattività ci attraversa la strada portando in bocca qualcosa di chiaro, sembra un cubetto di gomma piuma, ma non riesco a essere più preciso. Accelero, mi piacerebbe metterlo sotto, ma la strada è malandata e lui sembra conoscere alla perfezione il ritmo da tenere perché possa passare sotto la macchina senza che le ruote lo schiaccino.Niente panico, passiamo in due, sembra dire, tu con il tuo Doblò, io con il mio pezzo di cibo, ammesso che lo fosse.

Gigel ci accoglie nella sua casa, una baracca di travi, assi di legno, vecchie porte e finestre complete di vetri, teloni pubblicitari usati per riparare il tetto dalla pioggia. Per terra linoleum recuperato chis-sà dove. È asciutta e non fa freddo, l’inverno è stato mite e ormai siamo in primavera inoltrata. Sul fuoco un tegamino colmo di caf-fè, zuccherato all’inverosimile. Tra i fornelli e i mobili della cucina

ha infilato la testa l’agnellone destinato ad allietare la domenica di Pasqua. È spaventato, ma non si lamenta. Gigel è preoccupato, la settimana successiva, subito dopo Pasqua, partirà con la famiglia per tornare in Romania. Stanotte vorrebbe guadagnare abbastanza soldi per il viaggio, ma se piove niente Balon e niente viaggio.Arrivano Cristi e Marius. Le finestre del campo sono tutte illumina-te, sono tutti pronti per andare al mercato, ma la pioggia si intensi-fica. Ce ne stiamo seduti nel magazzino dove Gigel tiene la merce, ad aspettare che spiova. Marius dice “niente soldi, niente Pasqua”, Gigel sorride e dice che mangeranno le suole delle scarpe, e ridono, e anche noi ridiamo, anche se siamo preoccupati per loro.Ogni volta che faccio un passo fuori osservo i topi che passeggiano, a gruppi di tre o quattro. Non resisto e chiedo a Gigel come fanno con i topi e lui in risposta alza soltanto le spalle. Dopo un po’ mi adeguo anche io all’indiffirenza: ogni volta che alzo lo sguardo i topi ci sono e non c’è niente da fare. Sto solo attento a non trovarmeli tra i piedi all’improvviso, temo di fare un balzo di paura e schifo, di fare brutta figura con i padroni di casa e di risultare inadeguato. Nel campo non ci sono acqua corrente né servizi igienici, mentre l’elet-tricità la distribuisce Gigel con il gruppo elettrogeno che produce

VITA DI SPONDA 03— 91

PREFAZIONEdi FMPQ

Il futuro del mondo passa da qui nasce da una fotografia, scattata a Torino dal ponte Amedeo VIII nell’autunno del 2005, a poche centinaia di metri dall’imbocco dell’autostrada Torino-Milano. Di mattina presto la visuale è interamente coperta da una coltre di nebbia, fumo e umidità. Tutto è grigio. Sopra il ponte c’è il traffico, che porta dentro e fuori città. Sotto ci sono le acque dello Stura che dopo pochi metri si mischiano con quelle del Fiume: il Po. Poi una vecchia torre, una sabbiera, che pare un faro in mezzo a un mare di terra e arbusti.

Sembra che non ci sia niente e nessuno, solo una terra abbandonata. E invece c’è vita.

Ci sono i gabbiani, gli aironi, e le invisibili rotte degli uccelli migratori. Ci sono le baracche accatastate una all’altra. Ci sono zingari, genti ve-nute dall’Est, italiani di ogni provenienza che popolano le sponde. Ci sono gli orti - alberi di fico, piantagioni di pomodori, fragole e zucchine. C’era una volta lo spaccio, il mercato di droga più grande d’Italia. E c’era una volta, tanto tempo fa, la civiltà industriale, la città-fabbrica. E questo era il suo retrobottega. Tutto oggi vive e pulsa nascosto fra le sponde. Il terreno porta i segni dei vari passaggi. Le siringhe affiorano in una terra contaminata da diossina, su sedimenti di gomme e cavi bruciati per anni dagli zingari. In questo scenario abbiamo creato l’osservatorio Il futuro del mondo passa da qui. Un occhio permanente. E abbiamo raccolto sguardi, lin-guaggi e forme differenti e lontane fra loro. Che raccontano le anime diverse dello stesso luogo. Abbiamo capito che servivano più strumenti per raccontarlo. Questo libro è soltanto uno. Ci sono anche un film documentario e il sito osservatorio www.fmpq.it.

La vostra lettura diventerà un altro strumento per interpretare e raccontare un luogo che è qui e ovunque.

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Eccoci arrivati in un mondo dentro il mondo. In queste lande straniere, queste foibe e sodaglie interstiziali che i giusti vedono dalle auto e dai treni, un’altra vita sogna. Deformi o neri o folli, fuggiaschi di ogni risma, stranieri in ogni contrada.

Suttree, Cormac McCarthy, Einaudi 2009

Quando la terra diventa musa d’ispirazione: una graphic novel, un racconto, un film documentario, registrazioni sonore e una breve storia a colori.

BIBAXT (di Gaia Rayneri)

RUMENTA (di Massimo Bavastro e Demetrio Spina)

LO STUPORE SOSPESO(SUL FUTURO DEL MONDO) (di Niccolò Bruna e Andrea Parena)

SUONI

DEI CIGNI NERI E DELL’ALTROOVVERO UNA BREVE STORIA A COLORI DEL PARCO STURA (di Michele Lancione)

05.1

05.2

05.3

05.4

05.5

CARTOLINE DAGLI ORTIdi Olga Gambari, critico d’arte e curatore e Elmuz, fotografa

Che cos’è un orto, se non un luogo appartato, fuori dal mondo, un ritaglio di vegetazione coltivata dove il tempo e lo spazio scorrono autonomi? Come un mosaico organico attorno alle rive dello Stura da decenni sono spuntati orti abusivi, angoli urbani abbandonati, in un territorio ai margini della città che non appartiene a nessuno.

Hanno iniziato gli operai dell’Iveco ad appropriarsi dei piccoli appezzamenti incolti, trasformandoli in proprietà private recin-tate e personalizzate a tal punto da divenire autoritratti dei pro-prietari. Un’umanità è cresciuta insieme agli ortaggi e alla frutta, gente che si è rosicchiata il suo spazio con tenacia, in una terra di confine metropolitano, e ora lo difende e lo rivendica contro gli espropri attivati dal Comune di Torino.

Ogni orto è un luogo dell’anima, ma diventa anche passaporto per l’appartenenza a una sorta di condominio orizzontale. Soli-tudine e collettività si intrecciano tra i vari lotti: orti, canali di irrigazione e poi baracche, cancelli, serre e pollai assemblati con materiale di recupero. Architetture surreali per una città nella città, con le proprie leggi non scritte, sospesa e indefinita. Sono avamposti in cui accade un passaggio tra natura e civiltà, indivi-duo e società, legge e anarchia.

04 P. I. L.— 114

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