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io e l’altro. Io ho due braccia, due mani, e l’al- tro lo stesso. Prima di tutto sei preparato fisi- camente e psicologicamente all’evento. Cer- to, poi alla fine ci picchiamo anche sul volto, ma fa parte del gioco. Non c’è nessuno che ti punta la pistola addosso e che ti obbliga ad andare sul quadrato. E non c’è cattiveria. La cattiveria magari esce qualche volta quando incontri qualcuno che fa scorrettezze: le testate, le gomitate, questo mi faceva molto arrabbiare. Dopo si andava a mangiare ugualmente insieme, ma prima lo volevo mettere a terra. Una volta, me lo ricorderò sempre, eravamo all’aperto, a Pesaro. Tra l’altro era una bellissima riu- nione. Con una testata datami volontaria- mente dal mio avversario alla quinta ripre- sa mi sono rotto l’arcata sopracciliare, un ta- glio piccolo. Alla sesta ripresa gli ho dato ko netto. Lì sono dei momenti di rabbia, poi al- la fine siamo andati a cena assieme lo stes- so, come ti dicevo. C’è magari un momento di rabbia ma poi la sfoghi subito. Due parole sui media, su come vedono la boxe. C’è sempre lo stereotipo del pugile cattivo, ignorante. Adesso il pugile è cambiato. Una volta, prima ancora che io combattessi, si poteva anche pensare che avessero ragio- ne. Questo succedeva sopratutto nei pesi massimi: io credo che il cervello lo abbiamo tutti uguale, sia che tu pesi quaranta chili sia che tu ne pesi ottanta. La differenza è nella potenza che ti arriva addosso. Quindi era più facile trovare gente un po’ suonata nei pesi grossi. Ora invece è diverso, ci sono troppe visite mediche di controllo. Già quando com- battevo io facevamo le visite due volte al- l’anno e ti rigiravano come un calzino, an- davano a cercare tutto. È il caso di dire che il pugilato come mortalità nello sport è al de- cimo posto, ci sono molti altri sport prima. D’altronde uno che vede un incontro di pu- gilato vede subito la violenza perché comun- que sono due che si picchiano. Che poi co- munque non sono due che si picchiano. E questo è difficile da capire. Sì, questo è difficile da capire per i media. C’è una differenza riguardo a questo aspetto tra oggi e quando combattevi tu? Vedo che più si va avanti e più mancano i pugili. Questo vuol dire che questo modo di pensare si sta rafforzando, e di conseguenza i ragazzi tendono a non fre- quentare più la palestra come una volta. Come descriveresti il pugilato? Qual è la tua idea personale? Ho sempre ritenuto il pugilato un toccasana e un qualcosa che ti può far evita- re dei guai. Magari uno è un tipo un po’, co- me dire, “particolare”. Facendo una discipli- na che ti costringe ad un metodo, eviti di im- boccare determinate strade. Non so, magari posso essere stato uno di quelli anche io. È una valvola di sfogo... Esattamente, è proprio in que- sto senso che intendevo. Che valore dai alla vittoria? La vittoria è una cosa bellissi- ma. Poi personalmente, su una quarantina di incontri fatti e dopo averne di questi vin- ti trentacinque circa, mi è capitato molto ra- ramente di dire: “sì, questa è stata una vit- toria perfetta”. Tendevo sempre ad essere molto critico, a cercare il pelo nell’uovo. E forse è stato un bene, perché questo atteg- giamento ti porta sempre a cercare di mi- gliorare, ti porta sempre a cercare qualche cosa di negativo nonostante l’incontro sia an- dato bene e sia stato positivo, ti spinge a mi- gliorare continuamente. Questo è un aspetto presente nello sport ma dovrebbe esserlo anche nella vita. Certo è difficile da fare, è facile a dirsi e io adesso sono qui che parlo. Però almeno nello sport sono riuscito a farlo. Quindi anche il ring, l’incontro finale, sono anch’essi pale- stra, sono volontà di migliora- re, sono sempre esercizio per l’incontro successivo. Sì, certo. Quali sono i pregi e i difetti del pugilato, anche rispetto ad altre discipline sportive? Quali sono secondo te le sue caratte- ristiche specifiche? Come pregio c’è quello che può essere il mezzo per farti conoscere, per metterti in mostra, poi dipende da te in che modo e in che senso intendi il metterti in mo- stra. Come difetto, è la stessa cosa. La struttura attorno al pugilato, l’organizzazione, la Federazio- ne: trovi sia all’altezza di quel- lo che un pugile sente o vorreb- be? La struttura ti dà qualcosa quan- do ormai non ne hai più bisogno, quando or- mai sei arrivato, quando hai avuto dei titoli, solo allora iniziano a farsi sentire. Questa è la Federazione Pugilistica Italiana: finché non ti fai sentire e conoscere non sei segui- to, non ti dà un appoggio. Anche per le pale- stre potrebbe essere un grosso aiuto, il fatto di decidere di sovvenzionare una certa pale- stra e un certo numero di pugili. Tra l’altro per lo sport ci sono parecchi miliardi, non so dove finiscano. Se come novizio o dilettante vai in trasferta, ti tocca quasi pagartela. GIACOBBE FRAGOMENI Intervista realizzata il 30 maggio 2002 presso la palestra Doria Boxing Team, Milano Sono appena passato professionista. Ho fatto la mia carriera dilet- tantistica ad Assisi e a Formia con due diver- si allenatori: uno è Falcinelli, che ora è il pre- sidente della Federazione Pugilistica, l’altro è Patrizio Oliva. Con Oliva sono andato a fare le olimpiadi a Sidney nel 2000. I miei record da dilettante: sono campione d’Europa, vice- campione del mondo, ho preso l’argento alla coppa del mondo in Cina e come detto ho fat- to le olimpiadi. Avrei voluto vincerle ma ci sono stati dei problemi. Adesso è da un anno che sono passato al professionismo e al mo- mento ho fatto otto incontri, tutti vinti. Ora sono fermo perché ho fatto una operazione alla mano, aspetto solo di guarire e poi ini- zio di nuovo l’attività. Quali tipi di problemi ci sono stati alle olimpiadi? Diciamo che purtroppo nell’am- biente pugilistico dilettantistico c’è molta mafia, nel senso che i diversi paesi cercano di portare i propri pugili il più vicino possibi- le all’alloro anche attraverso mezzi scorretti. Io ero una persona un po’ fastidiosa, forte, davo problemi. Hanno continuato ad elimi- narmi facendo vincere i miei avversari. Cre- do di essere stato l’unico pugile alle olimpiadi a perdere un match per 15 a 0 (il sistema di conteggio nel pugilato dilettante è diverso da quello professionistico: nel dilettantismo ci sono tre giudici che, per ogni colpo dato da un atleta, assegnano un punto. Il punteggio 15-0 significa quindi non aver portato un singolo colpo all’avversario, n.d.r.). E pensa che dai book makers ero nei primi quattro favoriti per l’oro finale. In finale è andato un atleta della Repubblica Ceca, che il mese prima avevo battuto senza nessun problema. Quali sono state le soddisfazio- ni e le difficoltà che hai incon- trato durante la tua carriera? Le difficoltà maggiori sono state proprio di questo tipo, scorrettezze: vinci, sei superiore, ma ti mandano via. Questo mi ha fatto passare la voglia di rimanere dilettan- te, anche se avrei voluto fare le olimpiadi del 2004. Ho deciso di passare al professionismo proprio perché il sistema di punteggio è diffe- rente. Le difficoltà ora, come professionista, stanno nel fatto che all’inizio ti fanno com- battere con degli avversari che non sono al- l’altezza per cui vinci subito, ma come espe- rienza non serve. Vinci facilmente con il pri- mo, vinci facilmente con il secondo… poi il quarto incontro inizia ad essere più pesante e fai fatica. Dovresti iniziare subito con quelli al tuo livello, che ti mettono anche in diffi- coltà, in modo da poter imparare da subito. Quando poi ne incontri uno veramente forte sei più preparato, non hai difficoltà. Questo credo sia una delle pecche nel pugilato pro- fessionistico in Italia. Mi puoi parlare dell’ambiente della palestra, di questo spazio dove si cerca continuamente di migliorare attraverso un esercizio quotidiano. Come lo vedi, cos’è per te? L’ambiente della palestra di boxe è un ambiente familiare perché tutti soffro- no, e questo unisce. Soffri volutamente, ov- viamente, nessuno ti obbliga, è una cosa tua che vuoi fare. In più hai i tuoi compagni che come te frequentano la stessa palestra. Sof- fri e stai con loro. Non c’è invidia, anzi quel- lo bravo cerca di far capire a quello meno bravo in cosa sbaglia. C’è sempre il rispetto reciproco, il campione e il dilettante sono sul- lo stesso piano. Non c’è invidia: tu sei quello forte, sei rispettato perché sei forte e proprio perché sei forte devi insegnare a quello de- bole quello che sai. Ci si frequenta anche al di fuori della palestra, si esce assieme. A vol- te un ragazzo inizia ad interessarsi di pugi- lato perché nella vita non sa cosa fare e ini- zia a venire in palestra. Poi, proprio perché è un bell’ambiente, familiare, si affeziona e viene tutti i giorni, si allena, frequenta la pa- lestra e le altre persone che come lui si alle- nano. In questo modo non si butta via, come fanno tanti ragazzi. Oggi si sa che c’è tutto e avendo tutto non sai cosa fare. Allora ti fai i cannoni, si beve e ci si ubriaca. La palestra è un ambiente istruttivo. Anche perché il pu- gilato, contrariamente a quello che molti pen- sano, non è uno sport basato sulla violenza: uno viene in palestra per imparare e per co- noscere meglio se stesso. Quando impara a boxare le sue qualità le esprime sul ring, non per strada. Certo ci sono persone che ven- gono in palestra e fanno qualche giorno di al- lenamento solo per dire “io faccio pugilato”; queste sono persone che non valgono nien- te. La persona che rimane soffre, e non va fuori per strada a picchiarsi e a fare il vio- lento. All’opposto, il pugilato ti insegna ad es- sere disciplinato nella palestra come nella vi- ta. Sopratutto nella vita. E io penso di esse- re uno di quelli che quando era giovane era per strada: mi divertivo, facevo il pirla. Poi la palestra mi ha insegnato il rispetto verso gli altri e verso me stesso. È una disciplina importante, che ti entra nel cuore e che ti in- segna molte cose, per questo non voglio solo praticarla ma anche insegnarla ai ragazzi che vengono in palestra. Nella vita sono co- se che ti servono perché come combatti qui, poi combatti anche fuori dal ring, nella vita, che è una lotta ancora più dura. Qui almeno ci sono le regole, fuori no, è una giungla. Quindi non è vero che la boxe è uno sport violento, in realtà è uno sport molto discipli- nato. Se poi fai lo stupido, se non sei capace, te ne vai dalla palestra perché qui si soffre. È facile fare il pugilato fuori per strada, ma prova a salire sul ring. E prova a venire qua ad allenarti tutti i giorni, fare continuamen- te diete, prova a non andare con le ragazze, a non uscire perché devi stare attento a tut- to. Non puoi andare in posti chiusi dove c’è fumo perché poi devi andare sul ring e devi combattere. È un grosso sacrificio, sopratut- to per un giovane. A volte devi andare in ri- tiro ad allenarti, stai via un mese dalla fa- miglia e dalla ragazza, e alla fine magari per- di o ti rubano l’incontro. È dura, bisogna essere disciplinati, altrimenti i problemi te li ritrovi sul ring. In che cosa consiste il tuo allenamento? Quando faccio la preparazio- ne per un combattimento, la mattina corro. Posso fare una corsa lunga, un’ora, un’ora e mezza, oppure parto piano e vado in pro- gressione. Preferibilmente corro in collina, per questo vado a Riccione. È un metodo mi- gliore perché c’è la salita dove forzi e poi ar- riva la discesa e ti riposi; devi spezzare il rit- mo, come nel pugilato. Ci sono in ogni modo varie tecniche di corsa, come ad esempio la pista, dove fai gli scatti: porti il tuo respiro e i tuoi battiti cardiaci alla stessa frequenza di quando combatti sul ring, dove i tuoi bat- titi arrivano ai 180-200 al minuto. Se una ri- presa nella boxe sono tre minuti, uno scatto da 800 metri equivale ad una ripresa di tre minuti. Se mi sto preparando per un incon- tro di sei riprese, faccio sei scatti da 800 me- tri con un minuto di recupero tra l’uno e l’al- tro, come durante un match. Devi stare den- tro i tre minuti, è molto duro. Il pomeriggio vengo in palestra, faccio riscaldamento per attivarmi e per evitare strappi muscolari. Poi faccio pesi, corda, flessioni, il sacco… Esi- stono vari metodi come ad esempio fare tut- ti questi esercizi uno dopo l’altro, solo per po- chi secondi ma dando il massimo, cosa che faccio di solito il primo giorno di palestra. L’allenamento in palestra varia infatti di giorno in giorno: la volta successiva faccio i guanti con lo sparring partner, provando le cose che dovrò poi fare sul ring: è una si- mulazione di combattimento. Poi faccio il sac- co e il “vuoto” (simulare il combattimento da solo, contro un avversario immaginario, por- tando i colpi a vuoto. Generalmente è utiliz- zato per sciogliere la muscolatura, n.d.r.). Il giovedì faccio solo i pesi. Queste sono le tre metodologie di allenamento che combino nel- l’arco della settimana. Solo la mattina è sem- pre uguale con la corsa, che è poi la cosa fon- damentale per un atleta. Quante persone ti seguono nella tua attività? Ho il manager e un allenato- re, che è Tazzi qui alla “Doria”. Poi ho un pre- paratore atletico, ma generalmente mi baso ancora sui metodi di allenamento della Na- zionale. Erano studiati per i due minuti, che è la durata di un round nel dilettantismo, a differenza dei tre minuti adottati nel profes- sionismo. Però ci si allenava talmente tanto che vanno bene anche per il professionismo. Una differenza tecnica tra il dilettantismo e il professionismo è che i dilettanti sono mol- to veloci perché devono fare tutto in quattro riprese da due minuti mentre nel professio- nismo, dove le riprese sono molte di più, si inizia a scaldarsi alla quarta ripresa. Io poi sono molto… sono come un diesel, inizio a “carburare” verso la settima, ottava ripresa e poi esco fuori. Infatti, vinco gli incontri pro- prio per questo motivo: quando gli altri si stancano io esco fuori. Come vedi il pugilato rispetto ad altre discipline sportive, qual è la sua caratteristica saliente? La palestra di pugilato ti forma molto nel carattere perché comunque ci vuo- le carattere per portare avanti questo tipo di esercizi, anche a livello amatoriale. La qua- lità dell’allenamento è buona. Sono ad un buon livello anche il ciclismo e il nuoto: an- che in questi casi muovi tutto il corpo, sono tutti sport singoli e di sacrificio. L’unico sport di squadra che ti dà molta disciplina è il rugby ed è anch’esso uno sport duro, mas- sacrante. In un certo senso simula, nel grup- po, le altre discipline singole di sacrificio. Vi si ritrova lo stesso sforzo estremo, la stessa idea di combattere con te stesso che ritrovi anche nella boxe, nel nuoto, nel ciclismo. Ri- spetto in ogni caso tutte le discipline sporti- ve, anche se è nella boxe che prendi le bot- te. La bicicletta e il nuoto sono estremamen- te faticosi, ma almeno non prendi le botte. Alla fine quando prendi le botte è un’altra cosa. È facile darle, ma prenderle? Tutti sia- mo capaci a picchiare, ma quando le prendi è molto diverso: sei capace a resistere? Esistono programmi televisivi, radiofonici, riviste che trattano e seguono il pugilato? Adesso stanno andando molto di moda alcune discipline da combattimento, la kick boxing, la thai boxe… Nel nostro am- bito c’è “Boxe Ring”, rivista specializzata in pugilato che a volte esce a volte no, è molto discontinua. Poi c’è “Samurai”, una rivista sugli sport da combattimento in generale ma che contiene al suo interno un supplemento dedicato alla boxe. In televisione se danno pugilato lo danno solo la notte tardi e sem- pre solo il titolo italiano, l’europeo o il mon- diale; tutti gli altri incontri vengono ignora- ti. Questo succede mentre per il calcio fanno vedere anche partite disputate dieci anni fa, in mezzo ai ghiacci tra orsi polari e pingui- ni. In altri paesi, come Germania o Inghil- terra, il pugilato è seguito molto di più che dai noi, anche in televisione. Qui non è se- guito, è un fenomeno sopratutto italiano. Poi va detto che lo sport che prevale, e questo succede un po’ dappertutto, è sempre questo cazzo di calcio che negli ultimi dieci anni è diventato una cosa disastrosa, con tutti i sol- di che ci hanno messo. Non c’è comunque più il pugilato di una volta, so che sto parlando male del mio sport buttando benzina sul fuo- co, però purtroppo è la realtà. Anche Rino Tommasi, uno dei giornalisti di pugilato più famosi, parla molto male del pugilato attua- le sopratutto per il fatto che oggi esistono va- rie sigle, più o meno prestigiose. Una volta c’era solo una sigla, la WBC, e il campione del mondo in una categoria era unico. Poi hanno fatto in modo che combattessero tut- ti sotto varie sigle, con vari campioni. Han- no creato un sistema commerciale, non è più una cosa vera, autentica. Come ti ha cambiato il pugilato a livello personale? Mi ha cambiato completa- mente. Mi ha formato fisicamente, caratte- rialmente, mi ha dato molta disciplina e un po’ di popolarità, nel mio piccolo. Cosa dire, mi ha cambiato radicalmente la vita. Non so se un’ altra cosa mi avrebbe fatto cambiare così tan- to quanto il pugilato. Quando ho iniziato ad en- trare in palestra pensavo ti farlo come diver- timento: avere il mio lavoro, la mia famiglia e andare in palestra per svago. All’inizio sono entrato in palestra, e magari questa cosa fa anche ridere, solo per dimagrire. Non avrei mai pensato di diventare campione d’Europa e vice-campione del mondo. Sono avvenuti rapidamente tutti questi cambiamenti? Davo tutto, qualsiasi cosa facessi pensavo solo al pugilato. Avevo cambiato an- che lavoro perché quello che facevo era trop- po pesante e in palestra non rendevo e sono andato a fare l’aiuto cuoco. Poi sono entrato in Nazionale e ho mollato tutto. Ho fatto tut- to solo per il pugilato e non è facile prende- re e mollare tutto. Ho fatto dieci anni di Na- zionale dove stavo via un mese,tornavo a ca- sa una settimana poi di nuovo via per un altro mese. Ho lavorato anche di notte per poter avere il giorno libero per allenarmi. Anche ora che sono professionista, e col pro- fessionismo comunque non ti mantieni, sto cercando un lavoro che mi permetta di an- dare a correre la mattina, di lavorare il po- meriggio e di andare la sera in palestra. Co- munque è bello, mi ha cambiato anche il vi- so, adesso ho questo naso… Nemmeno una donna mi dà la soddisfazione che mi dà una vittoria in un incontro. Quando in Nazionale salivo sul podio e sentivo l’inno italiano mi pisciavo addosso dall’emozione. Non sai cosa significhi andare dall’altra parte del mondo a rappresentare l’Italia alle olimpiadi. Qual è la tua idea personale di pugilato, cos’è per te il pugilato? Te lo dico in una parola: la vita. Non c’è niente che ti dia così tanto come il pugilato. Ci sono molti amatori, di tutte le età, che poi ad un certo punto vogliono pro- vare l’emozione di salire sul ring. E quando provano questa sensazione basta, non si staccano più ed infatti la palestra è piena per questo motivo. Quando uno scopre questa di- sciplina e vede come lo prende, può sembra- re strano ma non si stacca più. E di sport ne ho provati tanti: ho fatto calcio, nuoto, rugby, ho tentato di fare ciclismo ma ci voleva la bi- cicletta in acciaio perché ero troppo pesante. Però l’emozione che mi da questo sport è uni- ca. Il pugilato per me è amore, odio: è tutto perché sto dando tutto. A quanti anni hai iniziato? Ora ho trentatré anni. Ho iniziato a vent’anni e a combattere ho ini- ziato a ventidue. Diciamo che sono stato un talento naturale perché dopo un anno che avevo iniziato ero già in Nazionale. Quando puoi batterti per il titolo italiano? Se tutto va bene a dicembre, a causa dell’operazione alla mano che ho su- bito. Mi hanno operato ad inizio maggio, do- vrò fare la riabilitazione, poi l’allenamento e a settembre potrò tornare a colpire. Ad ot- tobre faccio un incontro di rientro e a di- cembre il titolo italiano e poi mi butto in Eu- ropa. Poi a gennaio ho una possibilità di an- dare negli Stati Uniti. Ho parlato con un manager americano e sembra che le mie ca- ratteristiche di pugile piacciano agli ameri- cani, così mi vuole provare in America. È co- munque una bella esperienza l’America; il pugilato è dappertutto, ma dove veramente ha ancora molto spazio è in America. Poi in America ci sono tantissimi pugili, mentre in Italia siamo cento pugili professionisti, per tutte le categorie insieme. Nella mia catego- ria ad esempio siamo in quattro e dobbiamo incontrarci sempre tra noi o, come spesso succede, devono chiamare degli stranieri. Non so perché oggi il pugilato in Italia non venga preso in considerazione. Se i genitori ti mandano a fare uno sport, ti fanno fare calcio, nuoto, tennis. Hanno questa idea che il pugilato è violenza quando invece è una di- sciplina molto particolare. Se vai in Tailan- dia i ragazzini per le strade fanno la thai bo- xe, che è la loro disciplina da combattimen- to. A Cuba è uguale: i ragazzini giocano al pugilato per le strade al posto di giocare a calcio, è tutta un’altra mentalità. Da noi nel- le scuole non esiste il pugilato, c’è solo il cal- cio e la ginnastica, come non c’è l’inglese, non insegnano la segnaletica stradale… Non insegnano tante altre cose che in tanti altri paesi invece fanno. Io sono molto ignorante, sono il classico pugile ignorante, non so l’in- glese perché non ho voglia di studiarlo, ma se me l’avessero inculcato a scuola da bam- bino a quest’ora magari lo saprei. In altri paesi sanno già l’inglese, il francese e l’ita- liano. Ad un ragazzino devi dare tante pos- sibilità, variate, è importante. Trovo che la società abbia paura della boxe. Alla gente dà fastidio solo il pensiero che ci siano due per- sone che si affrontano a viso aperto sul ring. E questo certo mi spiace molto perchè il pu- gilato è una disciplina bellissima, con un no- me bellissimo: la chiamano la “noble art” ed è proprio così, è un’arte. Uno dice: “guarda quei due deficienti che si stanno menando”, ma poi se conosci questa disciplina capisci anche tutto quello che bisogna fare per me- narsi. Tecnicamente nel pugilato ci sono tre colpi che puoi portare: il diretto, il gancio e il montane. Questi tre colpi vanno combina- ti, un po’ come quando si manovra una ru- spa con le sue leve. Devi essere capace di schivare i colpi, di non farti prendere, di ri- entrare. Bisogna essere capaci di farlo, è una cosa mentale. Per questo è sport e non è vio- lenza. Ed è uno sport di grande sacrificio, non sei falso, non puoi essere falso perché quando sei sul ring la falsità la paghi. Io so- no così, sono me stesso, non ho niente da na- scondere; se mi vuoi sono così, se non mi vuoi gira la faccia e cambia strada. Vengo qua in palestra, faccio il mio sport, ho la mia fidanzata, non faccio del male a nessuno. Pe- rò se tuo figlio si droga va bene purché si ve- sta in giacca e cravatta. Oggi si vive sull’im- magine e purtroppo l’immagine del pugilato è brutta. GABRIELE BAGNOLI Intervista realizzata il 21 giugno 2002 presso la palestra Associazione Boxe Voghera, Voghera Ho ventidue anni. Sono pe- rito meccanico, lavoro come tornitore e, come hobby, cosa che è diventata una grande pas- sione, faccio pugilato. Pratico questo sport da un anno e mezzo circa, prima facevo kick bo- xing e thai boxe. Poi un amico, un giorno, mi consigliò di provare ad allenarmi anche nel- la palestra di boxe per migliorare l’uso delle braccia. L’intenzione era di continuare con la kick boxing, ma quando andai in palestra mi trovai subito meglio. C’era un maestro più tecnico e più capace che si adattava mag- giormente alle esigenze e alle caratteristiche dei ragazzi. Allora mi sono fermato e ho la- sciato definitivamente la kick boxing. Mi so- no trovato meglio anche perché volevo fare agonismo, combattere, e le altre palestre non me lo permettevano spesso. Qua alla “Boxe Voghera” ho trovato subito un ambiente bel- lo, frequentato da un campione del mondo come Giovanni Parisi e da un altro grande professionista come Vincenzo Gigliotti. Mi so- no trovato subito benissimo. Adesso il pugi- lato, dopo un anno e mezzo che lo pratico, è diventato una grande passione e sempre credo lo sarà. Se per qualsiasi motivo dovessi lasciare l’attività agonistica, perché magari più avanti troverò avversari molto più bra- vi di me o magari non migliorerò più, voglio comunque rimanere dentro al settore e di- ventare maestro.Vorrei rimanere in qualche modo legato allo sport in genere, meglio se si tratta del pugilato. Che differenze hai notato tra la kick boxing e il pugilato? Non solo a livello sportivo ma anche riguardo all’atmo- sfera che si respira nei due ambienti, differenze nel tipo di persone che praticano e seguono questi due sport. Un’arte da combattimento come la kick boxing è bella perché è variata: ci sono calci, pugni, calci girati, è molto spettacolare e bella da vedere. Il pugilato invece all’inizio sembra una cosa molto semplice e che non serve a niente, perché l’impressione è che ti picchi e basta. Invece, quando ho iniziato ad allenarmi come pugile, ho capito che esistono un’infinità di movimenti, di modi di tirare il pugno, di muoversi: solo facendo pugilato te ne accorgi veramente. Certo è bella anche la kick boxing, però se vai a guardare quasi tut- ti i campioni italiani e mondiali di questa di- sciplina sono dilettanti o professionisti di pu- gilato. Questo perché una base di pugilato de- vi comunque averla, anche se poi ci sono le gambe, che nella kick boxing lavorano molto differentemente. Però la base devi averla nel pugilato altrimenti non hai né senso della di- stanza, né occhio, né capacità di muoverti sul ring. Inoltre, la kick boxing secondo me è trop- po pericolosa perché prendi dei colpi molto forti alle gambe. Sul momento quando sei gio- vane non li senti, ma poi con il passare degli anni portano a delle conseguenze. Anche nel pugilato si prendono pugni, però almeno sono solo in faccia. Poi, se si impara a far bene pu- gilato, prima ancora di imparare a picchiare si impara a non prenderle: questa è la base. A picchiare sono capaci tutti, la difficoltà sta nel parare, schivare, girare. Per fare degli in- contri di kick boxing, inoltre, devi pagare di tasca tua, e non ti fanno fare visite mediche approfondite, come l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma sotto sforzo e a riposo. Tutte le analisi e i controlli medici non esisto- no. Uno non può affrontare il primo incontro, seppur da dilettante, senza avere delle visite mediche alle spalle: in questo modo non c’è si- curezza. Invece, quando sono andato nella pa- lestra di pugilato ho detto subito che volevo fa- re l’agonista e come prima cosa mi hanno fat- to fare la visita medica. Questa cosa mi ha subito tranquillizzato, era sintomo di serietà. In questo sport si prendono dei pugni e non è come nel calcio che male che vada ti fermi, passi il pallone e riprendi fiato. Qui sei sul ring, dove se ti fermi prendi dei pugni che si- curamente non fanno bene. Un altro aspetto importante è che il pugilato, a differenza del- la kick boxing, è riconosciuto dal CONI, e que- sto assicura tutta una serie di cose. Ti può da- re un certo tipo di sbocchi: è uno sport olim- pionico, c’è la Nazionale Italiana e quindi, seppur con molti sacrifici, ci si può arrivare. Nella kick boxing invece ci sono così tante fe- derazioni che… Tanto fumo e niente arrosto: a volte può bastare fare due, tre incontri, e si può diventare come niente campione italiano perché ci sono pochi sfidanti e tante federa- zioni. Basta iscriversi ad una federazione do- ve ci sono pochi atleti e con pochi incontri si diventa campione italiano. Invece nel pugila- to, dilettantistico o professionistico, per di- ventare campione italiano devi fare come mi- nimo due, tre anni di pratica, avere una buona tecnica e un buon maestro alle spalle. Se guar- di i campioni italiani dei pesi medi, la mia ca- tegoria, vedi persone che sanno fare la boxe. E che differenze hai trovato nell’ambiente delle due discipline? C’è una differenza sostan- ziale. Certo sono tutti e due sport da combat- timento, quindi purtroppo capita di vedere ra- gazzi che vengono in palestra per imparare a picchiare e per poi andare in giro a fare ris- se. Dico ragazzi sui quindici anni ma possono averne anche venti e più. Però nella palestra di pugilato la gente si allena maggiormente, e quando ti alleni come agonista, poi non vai in giro a fare risse. Fai pugilato perché te lo sen- ti dentro. Invece nelle palestre di kick boxing ho visto molti ragazzi che si allenavano solo per andare in giro a dire che fanno i combat- timenti: non era un bell’ambiente. Il pugilato ha anche una tradizione forte, esiste da seco- li e sono ottant’anni che è riconosciuto uffi- cialmente. Da questo deriva una grande co- noscenza della disciplina, sia dal lato tecnico sia nella preparazione: la dieta da seguire, co- me fare ginnastica, i vari esercizi, le differen- ti tecniche. Invece nella kick boxing ti metto- no sul ring e ti fanno fare tutti i giorni un ti- po d’allenamento pesante, perché pensano che per il semplice fatto di allenarsi tre ore al giorno ti venga per forza un fiato da marato- neta. Non c’entra niente, è una giusta meto- dologia dell’allenamento che deve essere se- guita. Uno se si allena tutti i giorni sempre al massimo, poi arriva ad un punto che scoppia: non serve a niente. È meglio fare anche solo un’ora ma fatta bene. Nel pugilato c’è più esperienza. Sì, c’è molta più esperienza, anche perché per diventare maestro di pugila- to la procedura è lunga: per due anni devi es- sere seguito da un maestro, essere iscritto alla Federazione Pugilistica Italiana e avere tutte le carte in regola. Dopo i due anni devi fare dei corsi di aggiornamento e dare l’esame per diventare maestro. Nella kick boxing, invece, dopo un mese di corso diventi maestro. Sì, co- nosci le tecniche, ma non puoi sapere solo le tecniche perché nello sport non esiste solo la tecnica. Io dico che dove c’è più esperienza c’è maggiore sicurezza. Molte palestre di pugila- to di Milano sono brave anche nella kick bo- xing proprio perché hanno dei maestri di pu- gilato dietro. Quali sono le soddisfazioni e le difficoltà che hai incontrato facendo pugilato? Le difficoltà sono sempre le solite: bisogna costantemente trovare la voglia di al- lenarsi perché allenarsi è pesante. Poi i dis- piaceri, quando perdi, sono grandi. Bisogna capire perché si è perso. Oppure, a volte per- di ma in realtà non avevi perso e questo pur- troppo succede. C’è poi il pugno che ti arriva e che fa male, ci sono le sofferenze sul ring… Però è una passione talmente forte che que- ste cose le superi. Dopo, quando vinci, la sod- disfazione è enorme e ogni vittoria ti dà una marcia in più quando torni ad allenarti, ag- giunge un qualcosa in più all’attività nella pa- lestra. Certo che questo può succedere anche quando perdi: l’unica volta in cui ho perso so- no poi tornato in palestra con la voglia di al- lenarmi raddoppiata. Volevo assolutamente vincere nel match di rivincita. Il pugilato è bel- lo perché ti pone in una sfida con te stesso. Alla fine devi vincere le tue paure e se vinci contro un avversario bravo significa che sei riuscito a migliorare ulteriormente. Certo che anche quando si vince non c’è niente di per- fetto in un incontro, si fanno sempre degli sba- gli. Dopo l’incontro ci pensi e cerchi di cor- reggerti, nel match seguente non fai più que- gli sbagli, magari ne fai degli altri e cerchi di correggerli negli allenamenti successivi… È una catena continua, il bello è anche questo. E poi in uno sport individuale questi aspetti – lo sforzo, il miglioramento – li senti di più ri- spetto agli sport di squadra. Nel pugilato si è uno contro uno: o vinci tu o vince lui. Cos’è per te l’ambiente della palestra? Voglio subito dire che in que- sta palestra mi sono trovato e mi trovo tut- tora benissimo. Quando ho iniziato a fare pu- gilato, dopo pochi mesi, sono partito per mi- litare e mi hanno mandato vicino a Piacenza. Sono andato quindi ad allenarmi in una pa- lestra diversa, a Piacenza appunto, ma non ho ritrovato l’ambiente che c’era a Voghera. Anche perché giudico Livio Lucarno, il mio allenatore, uno dei migliori maestri d’Italia. Lucarno capisce molto i ragazzi, gli basta uno sguardo, gli bastano due o tre sedute di allenamento e ha già capito il tipo di ragaz- zo, e sa come comportarsi di conseguenza. Riesce a creare un ottimo rapporto con il pu- gile, un rapporto molto umano. Poi, Livio se ti deve dire una cosa te la dice in faccia e se per molti questo è un difetto, per me è un pregio. Io questo pregio non ce l’ho, non ri- esco a dire le cose in faccia, magari ci metto mesi. In ogni caso credo che nel pugilato il maestro sia la figura più importante: se non c’è il maestro non c’è il pugile. Oltre a Lu- carno qui a Voghera c’è anche Luciano Ber- nini, un bravissimo allenatore con, natural- mente, meno esperienza di Lucarno, che da quarant’anni è dentro l’ambiente del pugila- to e ne conosce tutti gli aspetti. Però anche con Bernini mi sono trovato molto bene, per- ché è molto disponibile, e un maestro dispo- nibile dà sicuramente qualche cosa in più al pugile. Ad esempio, sono poche le persone che a trentadue anni vengono a correre con te la domenica mattina alle otto e mezza. Questo aiuta e incita, dimostra molta pas- sione e lo vedi. Entrambi sono persone che ci mettono il cuore per i ragazzi in palestra, per il pugilato. Questo ambiente non l’ho ri- trovato in altre palestre. Quando poi sali sul ring, Lucarno e Bernini non ti dicono “vai, picchia, spacca tutto”, come altri allenatori fanno. No, ti fanno stare tranquillo, calmo. La prima ripresa è per studiare l’avversario, poi ti danno dei consigli: “usa di più il sini- stro”, ecc… L’approccio al combattimento è differente. Può anche essere giusto incitare il proprio pugile, ma tutto dipende dal ra- gazzo, non puoi farne una regola. Se il ra- gazzo ha bisogno di stimolo va bene, ma se trovi il ragazzo che non ha bisogno di stimolo perché ce l’ha già, se tu lo pompi così poi non capisce più niente e non riesce a concen- trarsi. Che valore dai alla vittoria? Do tanti valori alla vittoria. Quando vinco mi sento la persona più felice del mondo ma poi non sono mai sicuro, devo sempre chiedere ai miei due maestri se ho vinto bene o se mi hanno regalato la vitto- ria. Ho questa necessità di sentirmi sicuro di aver vinto sotto tutti gli aspetti, tecnica- mente, psicologicamente. Quando vinco sono su un altro pianeta, mi sento realizzato per- ché alla fine sono settimane di sacrifici che ho fatto. Ogni sera sei qua in palestra ad al- lenarti, fai i guanti (simulazione di combatti- mento, n.d.r.), magari con Parisi, prendendo dei pugni che non vorresti prendere, poi arri- va la grande soddisfazione di aver vinto. Com’è il rapporto tra voi pugili al di fuori di questa palestra, tra avversari? La bellezza del pugilato sta anche nel fatto che tutte le volte che termini un match abbracci e dai la mano al tuo avversa- rio, lo ringrazi, ci si fanno dei complimenti, sa- luti il suo maestro. Nel calcio, invece, spesso si scannano fuori dalla partita e sul campo, e per vincere si ricorre ai falli. Faccio sempre l’esempio del calcio perché vi ho giocato per otto anni e un rapporto con gli avversari bel- lo come c’è nel pugilato posso dire che non lo ritrovi facilmente in altre discipline. Anche quando facciamo i guanti con i nostri amici, qui in palestra non c’è mai rancore per un colpo pesante che ti capita di ricevere, perché non è un picchiare con cattiveria ma un pic- chiare per imparare qualche cosa di nuovo: ognuno cerca di provare cose nuove, movi- menti nuovi. Poi, dopo i guanti, magari se ne discute: “mi è piaciuto come hai tirato quel montante, mi hai preso bene, mi hai fatto ma- le...”. Sembra strano da dire, però è una cosa bella, molto particolare, e la ritrovo solo nel pugilato. Molte persone che mi hanno cono- sciuto di recente, quando sono venute a sape- re che faccio pugilato, hanno pensato chissà che cosa, che sono un violento, mentre io non ho mai messo le mani addosso a nessuno. Pur- troppo del pugilato si dà un’immagine negati- va perché nel passato molti pugili sono stati in galera, e poi ora con Tyson ci marciano so- pra. Tyson è secondo me l’esempio peggiore nel pugilato. Si può dire che nel passato un terzo dei pugili che sono stati campioni del mondo hanno avuto a che fare con la legge, ma certo non perché facevano pugilato. Anzi, il pugilato in alcune situazioni sociali partico- larmente difficili ha fatto evitare la galera si- cura a molti ragazzi. Oggi, proprio prima di venire a Voghera, ho scambiato due parole con il mio vicino e gli ho parlato di questo lavoro che sto portando avanti sul pugila- to. La sua reazione è stata im- mediata, quasi rabbiosa: del pugilato non ne voglio sentire parlare, è uno sport violento, volgare. Gli ho chiesto se aves- se mai avuto a che fare con il pugilato, se avesse mai par- lato con un pugile, visitato una palestra, visto degli incontri. Mi ha risposto di no. Cosa ne pensi? Purtroppo questa opinione è molto diffusa. Quando ho iniziato il mio la- voro in officina,e hanno saputo che facevo pu- gilato, ci sono stati subito i soliti commenti: chi fa il pugile è un deficiente, chissà cosa pre- tende di fare… Purtroppo il pugilato è visto come uno sport violento. Certo che è uno sport violento, sono il primo a dirlo: alla fine i pu- gni te li tiri. Ma non li tiri con la cattiveria di voler far del male per ragioni personali. Tiri i pugni per vincere, è una cosa diversa. Il pu- gilato è visto come uno sport violento anche perché i media pompano questo aspetto. Lo si è visto con l’ultimo match di Tyson quando al- la conferenza stampa c’è stata una rissa. So- no cose fatte per attirare l’attenzione, per fa- re pubblicità. Certo è una promozione sbaglia- ta, perché fa apparire questo sport ancora più violento di quello che in realtà è. Sempre ri- guardo al recente match Tyson-Lewis, alla fi- ne dell’incontro, durante le interviste, c’era Tyson che accarezzava la faccia di Lewis e gli faceva i complimenti per aver vinto. Tyson non è certo un santo, ma molte cose che suc- cedono prima di un incontro, le risse e gli in- sulti, sono pubblicità, servono per attirare l’at- tenzione. Molta gente, quando vede un incon- tro, non vede il pugilato ma i pugni, il sangue, la rissa, la cattiveria. C’è poca conoscenza di quello che il pugilato in realtà è. Il pugilato è uno degli sport più completi: riguarda la cor- sa, le braccia, la ginnastica, l’agilità e la for- za. Sono stati introdotti guantoni più grossi e il caschetto obbligatorio per i dilettanti. Que- sto significa che comunque si vuole vedere di più il pugilato, la tecnica, e meno la ferita, il taglio. Poi ogni pugile ad alti livelli ha il suo proprio stile, la sua personalità, i suoi colpi preferiti. Questo aiuta a distinguere un pugile dall’altro, crea delle differenze tra i vari atle- ti e lo spettacolo ne guadagna. I colpi, nel pu- gilato, sono solo tre, ma poi ti accorgi che più vai avanti nell’allenamento e più c’è qualcosa da imparare. Sembra di aver imparato tutto ma poi scopri che c’è sempre qualcosa che non sai fare, magari la schivata indietro e rien- trare con il destro, o la schivata indietro e ri- entrare con il destro-sinistro… I colpi sono so- lo tre ma puoi fare delle combinazioni che so- no infinite. Come ti ha cambiato il pugilato? Il pugilato è uno sport che richiede molto impegno. Questo vuol di- re allenarsi tutti i giorni e tirare fuori sem- pre la voglia, anche quando non ce l’hai. L’al- lenarsi sistematicamente tutti i giorni mi ha insegnato ad organizzarmi molto di più, an- che per un fattore pratico: allenandomi tut- ti i giorni non ho molto tempo libero, per cui se voglio fare qualche cosa d’altro devo or- ganizzare bene la mia giornata. Poi bisogna imparare ad affrontare la tensione prima di un incontro, si impara l’autocontrollo in si- tuazioni difficili. Che rapporto c’è secondo te tra boxe e violenza? Certo esiste un minimo di con- tatto tra boxe e violenza, perché alla fine la boxe sono pugni portati al volto e al corpo del- l’avversario. Quindi è una disciplina sportiva violenta. Però troppo spesso si associa la bo- xe esclusivamente alla violenza, quando in realtà non è così. Questo sport, come ho già detto, ha anche ad esempio salvato molti ra- gazzi da situazioni difficili. Entri in una pale- stra e c’è un rapporto diretto e umano con le persone. Il tuo maestro cerca di insegnarti a fare pugilato ma cerca anche di tirarti fuori da eventuali problemi che hai nella vita. Cer- to dipende dai maestri: con il mio ho un buon rapporto proprio perché non è fatto solo di pugilato ma si discute di tante cose e mi dà consigli su tutto, anche su cose esterne alla palestra. Quindi il pugilato non è fatto solo di pugni, e alla fine c’è sempre un contatto con altre persone, c’è sempre amicizia. Alcuni pu- gili sono diventati delinquenti, ma non è di- rettamente la boxe che li ha fatti diventare co- sì. Magari sono stati i soldi, la fama o altro ancora. Come nel caso di Tyson, che è venuto su dal nulla: non era certo un bell’elemento già dall’inizio, e nel momento in cui ha visto dei soldi ha iniziato a fare delle cavolate che prima non faceva. Non associo il termine “bo- xe” al termine “violenza”, anche perché, se pensi, alle partite di calcio c’è gente che va al- lo stadio solo per ammazzarsi, mentre in un incontro di pugilato non ho mai visto gente che si picchia. L’ho vista esclusivamente sul ring. STEFANO CASSI Intervista realizzata l’11 giugno 2002 presso la palestra Bergamo Boxe, Bergamo Sei stato pugile professionista negli anni ’80 e ‘90, poi ti sei ritirato dal pugilato nel 1996. Mi puoi parlare della tua carriera, degli anni in cui hai lavorato? Sono abbastanza breve e conciso nelle mie cose, in un attimo ti arrivo subito alla carriera professionistica. Anche perché non c’è poi molto da raccontare. Abi- tavo vicino alla palestra, a 300 metri. Mal- grado questo non sapevo neanche dove la pa- lestra fosse, finché un giorno il postino della mia via mi indicò dov’era. Da quel momen- to sono passati ventitré anni. Quanti anni hai adesso? Quaranta. Tutto allora è comincia- to per passione, come per tutti del resto. Ab- biamo iniziato a frequentare la palestra con la nostra compagnia, eravamo in quindici, venti, e alla fine sono restato da solo. Così al- l’inizio piano piano ho incominciato a fare de- gli incontri, senza comunque tanto impegno, era solo come svago, come semplice piacere. Ho fatto dei buoni risultati: campione regio- nale e sono arrivato secondo agli italiani. Do- po ho smesso per due anni perché ero arri- vato a quel punto, i diciotto anni, dove ero un po’ stanco di restare dilettante ma per pas- sare professionista si doveva aspettare fino ai ventuno anni, che era la maggiore età, a dif- ferenza di adesso che puoi passare al profes- sionismo a diciotto anni. Dopo due anni sono rientrato, ho fatto cinque mesi di allenamen- to e sono passato a professionista. Da allora ho combattuto per quattro titoli italiani, ne ho vinti due, ho fatto due campionati d’Europa, a Parigi e a Madrid. Ho smesso sei anni fa. Nella mia carriera ho fatto una quarantina di incontri, parecchi vinti per ko. Oggi mi diver- to e mi diletto a insegnare, sopratutto ad ami- ci. In questo modo riesco anche a tenermi in forma fisicamente. Insegni sempre qui, alla “Bergamo Boxe”? Sì, sempre qui. Prima inse- gnavo anche in altre palestre e dovevo spo- starmi sempre da una parte all’altra di Ber- gamo, poi alla fine mi sono stancato. Mi stan- co sempre molto alla svelta delle cose, io. L’unico sport, sport e lavoro, che abbia fatto per parecchi anni è stato proprio il pugilato, mi è piaciuto e mi piace farlo tuttora. Quindi sei stato professionista dai ventuno ai trentaquattro anni, quattordici anni. Quali sono state le soddisfazio- ni nella tua carriera? Soddisfazioni e delusioni, anche. Delusioni nessuna. Maga- ri sì,le prime volte quando perdevo. Poi ti en- tra in testa che si vince ma anche si perde, puoi riprovare la seconda volta a fare me- glio. Certo devi sempre essere obiettivo con te stesso, se l’avversario è più forte devi ri- uscire ad ammettere a te stesso che è più for- te, che non c’è niente da fare. Ma senza ave- re niente da recriminarti, sei sicuro di quel- lo che hai fatto, sei in pace con te stesso. Non dici “ho perso, ma se avessi fatto, se non fos- si andato...”,tutti questi “se” non devono esi- stere. Infatti, se riesci a tirare via i “se” sei anche più sicuro nel momento che vai sul ring: ho fatto tutto bene, mi sono allenato be- ne, non ho fatto il cretino in giro di notte, non ho corso dietro alle ragazze… le solite cose. E allora sei più convinto di te stesso e della preparazione che hai svolto. È difficile che il pugile non abbia niente da recriminarsi, c’è sempre qualche cosa. Quindi ho avuto molte soddisfazioni, più che altro. Poi le soddisfa- zioni, al di là dei titoli che hai vinto, degli in- contri che hai fatto, dei titoli sui giornali, al di là di tutto questo, sono anche un piacere personale. Ho approfittato della mia attività anche per viaggiare; ho disputato pochi in- contri nella mia città, Bergamo. Anche per- ché allora il pugilato a Bergamo non mi dava niente, mi ha sempre dato di più combattere in giro. Ho disputato incontri dappertutto in Italia, ho combattuto anche all’estero. Anzi, mi chiamavano dall’estero perché ero sem- pre pronto. Mi chiamavano magari all’ultimo momento, una settimana prima dell’incontro arrivava la telefonata del mio procuratore che mi chiedeva se avevo voglia di fare un incontro, anche quattro giorni prima. Mi di- ceva: “bisogna andare in Svizzera...”. In Svizzera, ad esempio, ho combattuto molto e ho fatto dei bellissimi incontri, anche con gente che poi ha fatto il mondiale. Ho com- battuto in Danimarca, sono partito da solo, con la mia borsetta, sono partito e via. Cassi era sempre pronto. Dovevano darmi due tre giorni di tempo per prepararmi e io partivo. Logicamente c’era un certo tornaconto eco- nomico, io facevo una cosa, però… Poi com- battere fuori dell’Italia a me piaceva di più. E non era solo per un fatto di fisco. Sì, va be- ne, era esentasse, ma mi piaceva viaggiare. Dunque eri sempre in costante allenamento, sempre pronto per il match. Sì, io mi sono sempre allenato tutti i giorni, sempre. Il giorno che mi riposavo facevo magari solo quindici chi- lometri di corsa. All’epoca ero una macchi- na. Poi alla fine ho smesso proprio perché mi ero stancato; ho perso ai punti gli ultimi due incontri, ma se fossi stato come lo Stefano Cassi di alcuni anni prima li avrei stravinti. E allora mi sono convinto e mi sono deciso a smettere. Anche se dopo ho avuto ancora ot- time offerte finanziarie, non sono servite a farmi cambiare idea. Ero stanco, diciamo che ero saturo di pugilato. Infatti, dal momento che ho smesso l’attività al momento in cui ho ricominciato ad andare in palestra sono passati un anno e mezzo. C’è stato proprio un allontanamento. E dopo un po’ di tempo, come pensavo, ho avuto ancora voglia di tor- nare in palestra. Ora se passano tre, quat- tro, cinque giorni sento il bisogno di andare in palestra, magari anche solo per farmi una corsetta. Qua dentro ho passato parecchi an- ni della mia vita. Diciamo anche questo: la boxe mi ha dato da mangiare per parecchi anni, e si mangiava anche bene, tra l’altro. Ora mi alleno un po’, mi tengo in forma, fac- cio dell’insegnamento, ma logicamente ho il mio lavoro. Perché come per tutti i pugili, la testa è un po’ particolare. Al di là delle tra- sferte per il pugilato, ho fatto anche parec- chi viaggi. Appena potevo con i soldi dell’in- contro che prendevo facevo un viaggio. E il tuo lavoro attuale non centra niente con la boxe. Non centra assolutamente niente; è ovviamente un lavoro pesante, in una offi- cina di carpenteria meccanica. Non hai trovato un lavoro in qualche modo legato alla boxe? Avrei anche potuto farlo, avevo provato: è che magari sono viziato e costo caro. Ho visto che non c’erano gran sol- di in giro, a meno che non ti buttavi a fare il procuratore. Il fatto è che il pugilato in Ita- lia è parecchio in crisi. Cosa devo dire, per me si sta piano piano spegnendo, non c’è più nessuno che ha voglia di sacrificio. C’è gente nelle palestre ma è il ragazzo che paga il suo mensile per tirare i pugni al sacco. Al posto di andare a giocare a calcio o a basket vengo- no in palestra. E non è sbagliato, comunque. Qual è la differenza tra l’ambiente del pugilato di quando lo facevi tu e adesso? Allora era molto diverso. Pri- ma di tutto era anche pagato molto meglio, ma molto molto meglio. Allora se c’erano dei dubbi, questo aspetto certo invogliava a con- tinuare. Naturalmente è sempre la voglia di fare che ti spinge e che ti fa andare avanti, non tanto i soldi. La parte finanziaria ti en- tra in testa dopo otto, dieci anni che stai fa- cendo pugilato: sto facendo una cosa che mi piace però voglio anche un riscontro econo- mico, perché alla fine vivo di quello. Il pro- fessionismo, se fatto come si deve, vuol dire allenarsi dalle quattro alle sei ore al giorno, questo è molto difficile se contemporanea- mente hai anche un lavoro.Poi il pugilato era più pubblicizzato, specialmente più sponso- rizzato. Nell’ambiente c’erano più soldi. E a livello di qualità di gioco, ti puoi sbilanciare con un giudizio? A livello di qualità di gioco non si può neanche dire perché una volta… Se dico “una volta” sembra che abbia ottan- t’anni, però in poco tempo la situazione è cambiata completamente. Infatti, per questo ti viene da dire “una volta”, proprio perché effettivamente da bianco è diventato nero. Una volta c’era più “materiale”, c’era più gente buona. Anche solo in Italia, che è una nazione piccola: bene o male un campione del mondo in quasi tutte le categorie lo abbiamo sempre avuto. In che cosa ti ha cambiato il pugilato? Assolutamente in niente. L’u- nica cosa è che non ho mai litigato al di fuori del ring. Ma neanche sul ring, perché sul ring non si litiga. Non sono mai stato un rissoso e mai lo sarò, perché sono così di natura. Se vuoi mi ha cambiato perché ero sempre in viaggio, avevo sempre la valigia pronta: o per fare un incontro o per andare in vacan- za, la valigia era sempre pronta. Cuba, Mes- sico, Brasile… A Santo Domingo mi sono fer- mato due anni. Cos’è per te la palestra? Ora per me la palestra è un piace- re. Anche allora era un piacere, a parte negli ultimi momenti della preparazione quando praticamente non mangiavo. Possiamo dire che ho fatto quindici anni di fame per dover rientrare nel peso. Però è sempre stato un piacere e sempre lo sarà. Anche adesso, an- che se sono stanco dal lavoro, è difficile che non venga ogni giorno in palestra, magari so- lo a farmi un giro: dico due o tre cose ai ra- gazzi, non faccio niente, mi ricambio, faccio la doccia e vado via. Non so, mi fa star bene. Ancora una domanda sul tuo passato. Senti la mancanza di qualche cosa? La competi- zione, l’incontro... No,perché di incontri ne ho fatti parecchi, come ho detto ho smesso proprio per il fatto che ero saturo. Sono soddisfatto, soddisfattissimo, magari qualche rammari- co, come c’è in tutte le cose, però ho sempre fatto quello che potevo fare e al meglio. Pos- so solo dire che ho cercato di svolgere la mia carriera al meglio delle mie possibilità. Quel- lo che ho dato è quello che potevo dare, di più non so. Che rapporto c’è tra boxe e violenza? Per me non c’è nessun rap- porto. Magari sarò anche un caso particola- re, ma con ogni mio avversario dopo l’in- contro eravamo a tavola a mangiare assie- me, a ridere e a scherzare. Questo anche se magari lui aveva vinto per ko, o io avevo vin- to per ko. Non esiste violenza, si va sul ring,

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io e l’altro. Io ho due braccia, due mani, e l’al-tro lo stesso. Prima di tutto sei preparato fisi-camente e psicologicamente all’evento. Cer-to, poi alla fine ci picchiamo anche sul volto,ma fa parte del gioco. Non c’è nessuno che tipunta la pistola addosso e che ti obbliga adandare sul quadrato.

E non c’è cattiveria.

La cattiveria magariesce qualche volta quando incontri qualcunoche fa scorrettezze: le testate, le gomitate,questo mi faceva molto arrabbiare. Dopo siandava a mangiare ugualmente insieme, maprima lo volevo mettere a terra. Una volta,me lo ricorderò sempre, eravamo all’aperto,a Pesaro. Tra l’altro era una bellissima riu-nione. Con una testata datami volontaria-mente dal mio avversario alla quinta ripre-sa mi sono rotto l’arcata sopracciliare, un ta-glio piccolo. Alla sesta ripresa gli ho dato konetto. Lì sono dei momenti di rabbia, poi al-la fine siamo andati a cena assieme lo stes-so, come ti dicevo. C’è magari un momentodi rabbia ma poi la sfoghi subito.

Due parole sui media, su comevedono la boxe. C’è sempre lostereotipo del pugile cattivo,ignorante.

Adesso il pugile ècambiato.Una volta, prima ancora che io combattessi,si poteva anche pensare che avessero ragio-ne. Questo succedeva sopratutto nei pesimassimi: io credo che il cervello lo abbiamotutti uguale, sia che tu pesi quaranta chili siache tu ne pesi ottanta. La differenza è nellapotenza che ti arriva addosso. Quindi era piùfacile trovare gente un po’ suonata nei pesigrossi. Ora invece è diverso, ci sono troppevisite mediche di controllo. Già quando com-battevo io facevamo le visite due volte al-l’anno e ti rigiravano come un calzino, an-davano a cercare tutto. È il caso di dire cheil pugilato come mortalità nello sport è al de-cimo posto, ci sono molti altri sport prima.D’altronde uno che vede un incontro di pu-gilato vede subito la violenza perché comun-que sono due che si picchiano. Che poi co-munque non sono due che si picchiano.

E questo è difficile da capire.

Sì,questo è difficile da capire per i media.

C’è una differenza riguardo a questo aspetto tra oggi e quando combattevi tu?

Vedo che più si va avantie più mancano i pugili. Questo vuol dire chequesto modo di pensare si sta rafforzando, edi conseguenza i ragazzi tendono a non fre-quentare più la palestra come una volta.

Come descriveresti il pugilato? Qual è la tua idea personale?

Ho sempre ritenuto il pugilato untoccasana e un qualcosa che ti può far evita-re dei guai. Magari uno è un tipo un po’, co-me dire, “particolare”. Facendo una discipli-na che ti costringe ad un metodo, eviti di im-boccare determinate strade. Non so, magariposso essere stato uno di quelli anche io.

È una valvola di sfogo...

Esattamente, è proprio in que-sto senso che intendevo.

Che valore dai alla vittoria?

La vittoria è una cosa bellissi-ma. Poi personalmente, su una quarantinadi incontri fatti e dopo averne di questi vin-ti trentacinque circa, mi è capitato molto ra-ramente di dire: “sì, questa è stata una vit-toria perfetta”. Tendevo sempre ad esseremolto critico, a cercare il pelo nell’uovo. Eforse è stato un bene, perché questo atteg-giamento ti porta sempre a cercare di mi-gliorare, ti porta sempre a cercare qualchecosa di negativo nonostante l’incontro sia an-dato bene e sia stato positivo, ti spinge a mi-gliorare continuamente. Questo è un aspettopresente nello sport ma dovrebbe esserloanche nella vita. Certo è difficile da fare, èfacile a dirsi e io adesso sono qui che parlo.Però almeno nello sport sono riuscito a farlo.

Quindi anche il ring, l’incontrofinale, sono anch’essi pale-stra, sono volontà di migliora-re, sono sempre esercizio perl’incontro successivo.

Sì, certo.

Quali sono i pregi e i difetti delpugilato, anche rispetto adaltre discipline sportive? Qualisono secondo te le sue caratte-ristiche specifiche?

Come pregio c’è quello chepuò essere il mezzo per farti conoscere, permetterti in mostra, poi dipende da te in chemodo e in che senso intendi il metterti in mo-stra. Come difetto, è la stessa cosa.

La struttura attorno al pugilato,l’organizzazione, la Federazio-ne: trovi sia all’altezza di quel-lo che un pugile sente o vorreb-be?

La strutturati dà qualcosa quan-do ormai non ne hai più bisogno, quando or-mai sei arrivato, quando hai avuto dei titoli,solo allora iniziano a farsi sentire. Questa èla Federazione Pugilistica Italiana: finchénon ti fai sentire e conoscere non sei segui-

to, non ti dà un appoggio. Anche per le pale-stre potrebbe essere un grosso aiuto, il fattodi decidere di sovvenzionare una certa pale-stra e un certo numero di pugili. Tra l’altroper lo sport ci sono parecchi miliardi, non sodove finiscano. Se come novizio o dilettantevai in trasferta, ti tocca quasi pagartela.

GIACOBBE FRAGOMENIIntervista realizzata il 30 maggio 2002 presso la palestra Doria Boxing Team, Milano

Sono appena passatoprofessionista. Ho fatto la mia carriera dilet-tantistica ad Assisi e a Formia con due diver-si allenatori: uno è Falcinelli, che ora è il pre-sidente della Federazione Pugilistica, l’altroè Patrizio Oliva. Con Oliva sono andato a farele olimpiadi a Sidney nel 2000. I miei recordda dilettante: sono campione d’Europa, vice-campione del mondo, ho preso l’argento allacoppa del mondo in Cina e come detto ho fat-to le olimpiadi. Avrei voluto vincerle ma cisono stati dei problemi. Adesso è da un annoche sono passato al professionismo e al mo-mento ho fatto otto incontri, tutti vinti. Orasono fermo perché ho fatto una operazionealla mano, aspetto solo di guarire e poi ini-zio di nuovo l’attività.

Quali tipi di problemi ci sonostati alle olimpiadi?

Diciamo che purtroppo nell’am-biente pugilistico dilettantistico c’è moltamafia, nel senso che i diversi paesi cercanodi portare i propri pugili il più vicino possibi-le all’alloro anche attraverso mezzi scorretti.Io ero una persona un po’ fastidiosa, forte,davo problemi. Hanno continuato ad elimi-narmi facendo vincere i miei avversari. Cre-do di essere stato l’unico pugile alle olimpiadia perdere un match per 15 a 0 (il sistema diconteggio nel pugilato dilettante è diverso daquello professionistico: nel dilettantismo cisono tre giudici che, per ogni colpo dato daun atleta, assegnano un punto. Il punteggio15-0 significa quindi non aver portato unsingolo colpo all’avversario, n.d.r.). E pensache dai book makers ero nei primi quattrofavoriti per l’oro finale. In finale è andato unatleta della Repubblica Ceca, che il meseprima avevo battuto senza nessun problema.

Quali sono state le soddisfazio-ni e le difficoltà che hai incon-trato durante la tua carriera?

Le difficoltà maggiori sono stateproprio di questo tipo, scorrettezze: vinci, seisuperiore, ma ti mandano via. Questo mi hafatto passare la voglia di rimanere dilettan-te, anche se avrei voluto fare le olimpiadi del2004.Ho deciso di passare al professionismoproprio perché il sistema di punteggio è diffe-rente. Le difficoltà ora, come professionista,stanno nel fatto che all’inizio ti fanno com-battere con degli avversari che non sono al-l’altezza per cui vinci subito, ma come espe-rienza non serve. Vinci facilmente con il pri-mo, vinci facilmente con il secondo… poi ilquarto incontro inizia ad essere più pesantee fai fatica. Dovresti iniziare subito con quellial tuo livello, che ti mettono anche in diffi-coltà, in modo da poter imparare da subito.Quando poi ne incontri uno veramente fortesei più preparato, non hai difficoltà. Questocredo sia una delle pecche nel pugilato pro-fessionistico in Italia.

Mi puoi parlare dell’ambientedella palestra, di questo spaziodove si cerca continuamentedi migliorare attraverso unesercizio quotidiano. Come lovedi, cos’è per te?

L’ambientedella palestra di boxeè un ambiente familiare perché tutti soffro-no, e questo unisce. Soffri volutamente, ov-viamente, nessuno ti obbliga, è una cosa tuache vuoi fare. In più hai i tuoi compagni checome te frequentano la stessa palestra. Sof-fri e stai con loro. Non c’è invidia, anzi quel-lo bravo cerca di far capire a quello menobravo in cosa sbaglia. C’è sempre il rispettoreciproco, il campione e il dilettante sono sul-lo stesso piano. Non c’è invidia: tu sei quelloforte, sei rispettato perché sei forte e proprioperché sei forte devi insegnare a quello de-bole quello che sai. Ci si frequenta anche aldi fuori della palestra, si esce assieme. A vol-te un ragazzo inizia ad interessarsi di pugi-lato perché nella vita non sa cosa fare e ini-zia a venire in palestra. Poi, proprio perchéè un bell’ambiente, familiare, si affeziona eviene tutti i giorni, si allena, frequenta la pa-lestra e le altre persone che come lui si alle-nano. In questo modo non si butta via, comefanno tanti ragazzi. Oggi si sa che c’è tutto eavendo tutto non sai cosa fare. Allora ti fai icannoni, si beve e ci si ubriaca. La palestraè un ambiente istruttivo. Anche perché il pu-gilato, contrariamente a quello che molti pen-sano, non è uno sport basato sulla violenza:uno viene in palestra per imparare e per co-noscere meglio se stesso. Quando impara aboxare le sue qualità le esprime sul ring, nonper strada. Certo ci sono persone che ven-gono in palestra e fanno qualche giorno di al-lenamento solo per dire “io faccio pugilato”;queste sono persone che non valgono nien-te. La persona che rimane soffre, e non vafuori per strada a picchiarsi e a fare il vio-lento.All’opposto, il pugilato ti insegna ad es-sere disciplinato nella palestra come nella vi-ta. Sopratutto nella vita. E io penso di esse-re uno di quelli che quando era giovane eraper strada: mi divertivo, facevo il pirla. Poila palestra mi ha insegnato il rispetto versogli altri e verso me stesso. È una disciplinaimportante, che ti entra nel cuore e che ti in-segna molte cose, per questo non voglio solopraticarla ma anche insegnarla ai ragazziche vengono in palestra. Nella vita sono co-se che ti servono perché come combatti qui,poi combatti anche fuori dal ring, nella vita,che è una lotta ancora più dura. Qui almenoci sono le regole, fuori no, è una giungla.Quindi non è vero che la boxe è uno sportviolento, in realtà è uno sport molto discipli-nato. Se poi fai lo stupido, se non sei capace,te ne vai dalla palestra perché qui si soffre.È facile fare il pugilato fuori per strada, maprova a salire sul ring. E prova a venire quaad allenarti tutti i giorni, fare continuamen-te diete, prova a non andare con le ragazze,a non uscire perché devi stare attento a tut-to. Non puoi andare in posti chiusi dove c’èfumo perché poi devi andare sul ring e devi

combattere. È un grosso sacrificio, sopratut-to per un giovane. A volte devi andare in ri-tiro ad allenarti, stai via un mese dalla fa-miglia e dalla ragazza, e alla fine magari per-di o ti rubano l’incontro. È dura, bisognaessere disciplinati, altrimenti i problemi te liritrovi sul ring.

In che cosa consiste il tuo allenamento?

Quando faccio lapreparazio-ne per un combattimento, la mattina corro.Posso fare una corsa lunga, un’ora, un’ora emezza, oppure parto piano e vado in pro-gressione. Preferibilmente corro in collina,per questo vado a Riccione. È un metodo mi-gliore perché c’è la salita dove forzi e poi ar-riva la discesa e ti riposi; devi spezzare il rit-mo, come nel pugilato. Ci sono in ogni modovarie tecniche di corsa, come ad esempio lapista, dove fai gli scatti: porti il tuo respiroe i tuoi battiti cardiaci alla stessa frequenzadi quando combatti sul ring, dove i tuoi bat-titi arrivano ai 180-200 al minuto. Se una ri-presa nella boxe sono tre minuti, uno scattoda 800 metri equivale ad una ripresa di treminuti. Se mi sto preparando per un incon-tro di sei riprese, faccio sei scatti da 800 me-tri con un minuto di recupero tra l’uno e l’al-tro, come durante un match. Devi stare den-tro i tre minuti, è molto duro. Il pomeriggiovengo in palestra, faccio riscaldamento perattivarmi e per evitare strappi muscolari.Poi faccio pesi, corda, flessioni, il sacco… Esi-stono vari metodi come ad esempio fare tut-ti questi esercizi uno dopo l’altro, solo per po-chi secondi ma dando il massimo, cosa chefaccio di solito il primo giorno di palestra.L’allenamento in palestra varia infatti digiorno in giorno: la volta successiva faccio iguanti con lo sparring partner, provando lecose che dovrò poi fare sul ring: è una si-mulazione di combattimento. Poi faccio il sac-co e il “vuoto” (simulare il combattimento dasolo, contro un avversario immaginario, por-tando i colpi a vuoto. Generalmente è utiliz-zato per sciogliere la muscolatura, n.d.r.). Ilgiovedì faccio solo i pesi. Queste sono le tremetodologie di allenamento che combino nel-l’arco della settimana. Solo la mattina è sem-pre uguale con la corsa, che è poi la cosa fon-damentale per un atleta.

Quante persone ti seguononella tua attività?

Ho il manager e un allenato-re, che è Tazzi qui alla “Doria”. Poi ho un pre-paratore atletico, ma generalmente mi basoancora sui metodi di allenamento della Na-zionale. Erano studiati per i due minuti, cheè la durata di un round nel dilettantismo, adifferenza dei tre minuti adottati nel profes-sionismo. Però ci si allenava talmente tantoche vanno bene anche per il professionismo.Una differenza tecnica tra il dilettantismo eil professionismo è che i dilettanti sono mol-to veloci perché devono fare tutto in quattroriprese da due minuti mentre nel professio-nismo, dove le riprese sono molte di più, siinizia a scaldarsi alla quarta ripresa. Io poisono molto… sono come un diesel, inizio a“carburare” verso la settima, ottava ripresae poi esco fuori. Infatti, vinco gli incontri pro-prio per questo motivo: quando gli altri sistancano io esco fuori.

Come vedi il pugilato rispettoad altre discipline sportive,qual è la sua caratteristicasaliente?

La palestra dipugilato ti formamolto nel carattere perché comunque ci vuo-le carattere per portare avanti questo tipo diesercizi, anche a livello amatoriale. La qua-lità dell’allenamento è buona. Sono ad unbuon livello anche il ciclismo e il nuoto: an-che in questi casi muovi tutto il corpo, sonotutti sport singoli e di sacrificio. L’unico sportdi squadra che ti dà molta disciplina è ilrugby ed è anch’esso uno sport duro, mas-sacrante. In un certo senso simula, nel grup-po, le altre discipline singole di sacrificio. Visi ritrova lo stesso sforzo estremo, la stessaidea di combattere con te stesso che ritrovianche nella boxe, nel nuoto, nel ciclismo. Ri-spetto in ogni caso tutte le discipline sporti-ve, anche se è nella boxe che prendi le bot-te. La bicicletta e il nuoto sono estremamen-te faticosi, ma almeno non prendi le botte.Alla fine quando prendi le botte è un’altracosa. È facile darle, ma prenderle? Tutti sia-mo capaci a picchiare, ma quando le prendiè molto diverso: sei capace a resistere?

Esistono programmi televisivi,radiofonici, riviste che trattanoe seguono il pugilato?

Adesso stannoandando moltodi moda alcune discipline da combattimento,la kick boxing, la thai boxe… Nel nostro am-bito c’è “Boxe Ring”, rivista specializzata inpugilato che a volte esce a volte no, è moltodiscontinua. Poi c’è “Samurai”, una rivistasugli sport da combattimento in generale mache contiene al suo interno un supplementodedicato alla boxe. In televisione se dannopugilato lo danno solo la notte tardi e sem-pre solo il titolo italiano, l’europeo o il mon-diale; tutti gli altri incontri vengono ignora-ti. Questo succede mentre per il calcio fannovedere anche partite disputate dieci anni fa,in mezzo ai ghiacci tra orsi polari e pingui-ni. In altri paesi, come Germania o Inghil-terra, il pugilato è seguito molto di più chedai noi, anche in televisione. Qui non è se-guito, è un fenomeno sopratutto italiano. Poiva detto che lo sport che prevale, e questosuccede un po’ dappertutto, è sempre questocazzo di calcio che negli ultimi dieci anni èdiventato una cosa disastrosa, con tutti i sol-di che ci hanno messo. Non c’è comunque piùil pugilato di una volta, so che sto parlandomale del mio sport buttando benzina sul fuo-co, però purtroppo è la realtà. Anche RinoTommasi, uno dei giornalisti di pugilato piùfamosi, parla molto male del pugilato attua-le sopratutto per il fatto che oggi esistono va-rie sigle, più o meno prestigiose. Una voltac’era solo una sigla, la WBC, e il campionedel mondo in una categoria era unico. Poi

hanno fatto in modo che combattessero tut-ti sotto varie sigle, con vari campioni. Han-no creato un sistema commerciale, non è piùuna cosa vera, autentica.

Come ti ha cambiato il pugilatoa livello personale?

Mi ha cambiato completa-mente. Mi ha formato fisicamente, caratte-rialmente,mi ha dato molta disciplina e un po’di popolarità, nel mio piccolo. Cosa dire,mi hacambiato radicalmente la vita. Non so se un’altra cosa mi avrebbe fatto cambiare così tan-to quanto il pugilato. Quando ho iniziato ad en-trare in palestra pensavo ti farlo come diver-timento: avere il mio lavoro, la mia famiglia eandare in palestra per svago. All’inizio sonoentrato in palestra, e magari questa cosa faanche ridere, solo per dimagrire. Non avreimai pensato di diventare campione d’Europae vice-campione del mondo.

Sono avvenuti rapidamentetutti questi cambiamenti?

Davo tutto, qualsiasi cosa facessipensavo solo al pugilato. Avevo cambiato an-che lavoro perché quello che facevo era trop-po pesante e in palestra non rendevo e sonoandato a fare l’aiuto cuoco. Poi sono entratoin Nazionale e ho mollato tutto. Ho fatto tut-to solo per il pugilato e non è facile prende-re e mollare tutto. Ho fatto dieci anni di Na-zionale dove stavo via un mese, tornavo a ca-sa una settimana poi di nuovo via per unaltro mese. Ho lavorato anche di notte perpoter avere il giorno libero per allenarmi.Anche ora che sono professionista, e col pro-fessionismo comunque non ti mantieni, stocercando un lavoro che mi permetta di an-dare a correre la mattina, di lavorare il po-meriggio e di andare la sera in palestra. Co-munque è bello, mi ha cambiato anche il vi-so, adesso ho questo naso… Nemmeno unadonna mi dà la soddisfazione che mi dà unavittoria in un incontro. Quando in Nazionalesalivo sul podio e sentivo l’inno italiano mipisciavo addosso dall’emozione. Non sai cosasignifichi andare dall’altra parte del mondoa rappresentare l’Italia alle olimpiadi.

Qual è la tua idea personale di pugilato, cos’è per te il pugilato?

Te lo dico in una parola: lavita. Non c’è niente che ti dia così tanto comeil pugilato. Ci sono molti amatori, di tutte leetà, che poi ad un certo punto vogliono pro-vare l’emozione di salire sul ring. E quandoprovano questa sensazione basta, non sistaccano più ed infatti la palestra è piena perquesto motivo. Quando uno scopre questa di-sciplina e vede come lo prende, può sembra-re strano ma non si stacca più. E di sport neho provati tanti: ho fatto calcio, nuoto, rugby,ho tentato di fare ciclismo ma ci voleva la bi-cicletta in acciaio perché ero troppo pesante.Però l’emozione che mi da questo sport è uni-ca. Il pugilato per me è amore, odio: è tuttoperché sto dando tutto.

A quanti anni hai iniziato?

Ora ho trentatré anni.Ho iniziato a vent’anni e a combattere ho ini-ziato a ventidue. Diciamo che sono stato untalento naturale perché dopo un anno cheavevo iniziato ero già in Nazionale.

Quando puoi batterti per il titolo italiano?

Se tutto va benea dicembre,a causa dell’operazione alla mano che ho su-bito. Mi hanno operato ad inizio maggio, do-vrò fare la riabilitazione, poi l’allenamento ea settembre potrò tornare a colpire. Ad ot-tobre faccio un incontro di rientro e a di-cembre il titolo italiano e poi mi butto in Eu-ropa. Poi a gennaio ho una possibilità di an-dare negli Stati Uniti. Ho parlato con unmanager americano e sembra che le mie ca-ratteristiche di pugile piacciano agli ameri-cani, così mi vuole provare in America. È co-munque una bella esperienza l’America; ilpugilato è dappertutto, ma dove veramenteha ancora molto spazio è in America. Poi inAmerica ci sono tantissimi pugili, mentre inItalia siamo cento pugili professionisti, pertutte le categorie insieme. Nella mia catego-ria ad esempio siamo in quattro e dobbiamoincontrarci sempre tra noi o, come spessosuccede, devono chiamare degli stranieri.Non so perché oggi il pugilato in Italia nonvenga preso in considerazione. Se i genitoriti mandano a fare uno sport, ti fanno farecalcio, nuoto, tennis. Hanno questa idea cheil pugilato è violenza quando invece è una di-sciplina molto particolare. Se vai in Tailan-dia i ragazzini per le strade fanno la thai bo-xe, che è la loro disciplina da combattimen-to. A Cuba è uguale: i ragazzini giocano alpugilato per le strade al posto di giocare acalcio, è tutta un’altra mentalità. Da noi nel-le scuole non esiste il pugilato, c’è solo il cal-cio e la ginnastica, come non c’è l’inglese,non insegnano la segnaletica stradale… Noninsegnano tante altre cose che in tanti altripaesi invece fanno. Io sono molto ignorante,sono il classico pugile ignorante, non so l’in-glese perché non ho voglia di studiarlo, mase me l’avessero inculcato a scuola da bam-bino a quest’ora magari lo saprei. In altripaesi sanno già l’inglese, il francese e l’ita-liano. Ad un ragazzino devi dare tante pos-sibilità, variate, è importante. Trovo che lasocietà abbia paura della boxe. Alla gente dàfastidio solo il pensiero che ci siano due per-sone che si affrontano a viso aperto sul ring.E questo certo mi spiace molto perchè il pu-gilato è una disciplina bellissima, con un no-me bellissimo: la chiamano la “noble art” edè proprio così, è un’arte. Uno dice: “guardaquei due deficienti che si stanno menando”,ma poi se conosci questa disciplina capiscianche tutto quello che bisogna fare per me-narsi. Tecnicamente nel pugilato ci sono trecolpi che puoi portare: il diretto, il gancio eil montane. Questi tre colpi vanno combina-ti, un po’ come quando si manovra una ru-spa con le sue leve. Devi essere capace dischivare i colpi, di non farti prendere, di ri-

entrare. Bisogna essere capaci di farlo, è unacosa mentale. Per questo è sport e non è vio-lenza. Ed è uno sport di grande sacrificio,non sei falso, non puoi essere falso perchéquando sei sul ring la falsità la paghi. Io so-no così, sono me stesso, non ho niente da na-scondere; se mi vuoi sono così, se non mivuoi gira la faccia e cambia strada. Vengoqua in palestra, faccio il mio sport, ho la miafidanzata, non faccio del male a nessuno. Pe-rò se tuo figlio si droga va bene purché si ve-sta in giacca e cravatta. Oggi si vive sull’im-magine e purtroppo l’immagine del pugilatoè brutta.

GABRIELE BAGNOLI Intervista realizzata il 21 giugno 2002 presso la palestra Associazione Boxe Voghera, Voghera

Ho ventidue anni.Sono pe-rito meccanico, lavoro come tornitore e, comehobby, cosa che è diventata una grande pas-sione, faccio pugilato. Pratico questo sport daun anno e mezzo circa, prima facevo kick bo-xing e thai boxe. Poi un amico, un giorno, miconsigliò di provare ad allenarmi anche nel-la palestra di boxe per migliorare l’uso dellebraccia. L’intenzione era di continuare con lakick boxing, ma quando andai in palestra mitrovai subito meglio. C’era un maestro piùtecnico e più capace che si adattava mag-giormente alle esigenze e alle caratteristichedei ragazzi. Allora mi sono fermato e ho la-sciato definitivamente la kick boxing. Mi so-no trovato meglio anche perché volevo fareagonismo, combattere, e le altre palestre nonme lo permettevano spesso. Qua alla “BoxeVoghera” ho trovato subito un ambiente bel-lo, frequentato da un campione del mondocome Giovanni Parisi e da un altro grandeprofessionista come Vincenzo Gigliotti.Mi so-no trovato subito benissimo. Adesso il pugi-lato, dopo un anno e mezzo che lo pratico, èdiventato una grande passione e semprecredo lo sarà. Se per qualsiasi motivo dovessilasciare l’attività agonistica, perché magaripiù avanti troverò avversari molto più bra-vi di me o magari non migliorerò più, vogliocomunque rimanere dentro al settore e di-ventare maestro.Vorrei rimanere in qualchemodo legato allo sport in genere, meglio se sitratta del pugilato.

Che differenze hai notato tra la kick boxing e il pugilato?Non solo a livello sportivo ma anche riguardo all’atmo-sfera che si respira nei dueambienti, differenze nel tipo di persone che praticano e seguono questi due sport.

Un’arte da combattimento come lakick boxing è bella perché è variata: ci sonocalci, pugni, calci girati, è molto spettacolaree bella da vedere. Il pugilato invece all’iniziosembra una cosa molto semplice e che nonserve a niente, perché l’impressione è che tipicchi e basta. Invece, quando ho iniziato adallenarmi come pugile, ho capito che esistonoun’infinità di movimenti, di modi di tirare ilpugno, di muoversi: solo facendo pugilato tene accorgi veramente. Certo è bella anche lakick boxing, però se vai a guardare quasi tut-ti i campioni italiani e mondiali di questa di-sciplina sono dilettanti o professionisti di pu-gilato. Questo perché una base di pugilato de-vi comunque averla, anche se poi ci sono legambe, che nella kick boxing lavorano moltodifferentemente. Però la base devi averla nelpugilato altrimenti non hai né senso della di-stanza, né occhio, né capacità di muoverti sulring. Inoltre, la kick boxing secondo me è trop-po pericolosa perché prendi dei colpi moltoforti alle gambe. Sul momento quando sei gio-vane non li senti, ma poi con il passare deglianni portano a delle conseguenze. Anche nelpugilato si prendono pugni, però almeno sonosolo in faccia. Poi, se si impara a far bene pu-gilato, prima ancora di imparare a picchiaresi impara a non prenderle: questa è la base.A picchiare sono capaci tutti, la difficoltà stanel parare, schivare, girare. Per fare degli in-contri di kick boxing, inoltre, devi pagare ditasca tua, e non ti fanno fare visite medicheapprofondite, come l’elettroencefalogramma,l’elettrocardiogramma sotto sforzo e a riposo.Tutte le analisi e i controlli medici non esisto-no. Uno non può affrontare il primo incontro,seppur da dilettante, senza avere delle visitemediche alle spalle: in questo modo non c’è si-curezza. Invece, quando sono andato nella pa-lestra di pugilato ho detto subito che volevo fa-re l’agonista e come prima cosa mi hanno fat-to fare la visita medica. Questa cosa mi hasubito tranquillizzato, era sintomo di serietà.In questo sport si prendono dei pugni e non ècome nel calcio che male che vada ti fermi,passi il pallone e riprendi fiato. Qui sei sulring, dove se ti fermi prendi dei pugni che si-curamente non fanno bene. Un altro aspettoimportante è che il pugilato, a differenza del-la kick boxing, è riconosciuto dal CONI, e que-sto assicura tutta una serie di cose. Ti può da-re un certo tipo di sbocchi: è uno sport olim-pionico, c’è la Nazionale Italiana e quindi,seppur con molti sacrifici, ci si può arrivare.Nella kick boxing invece ci sono così tante fe-derazioni che… Tanto fumo e niente arrosto:a volte può bastare fare due, tre incontri, e sipuò diventare come niente campione italianoperché ci sono pochi sfidanti e tante federa-zioni. Basta iscriversi ad una federazione do-ve ci sono pochi atleti e con pochi incontri sidiventa campione italiano. Invece nel pugila-to, dilettantistico o professionistico, per di-ventare campione italiano devi fare come mi-nimo due, tre anni di pratica,avere una buonatecnica e un buon maestro alle spalle. Se guar-di i campioni italiani dei pesi medi, la mia ca-tegoria, vedi persone che sanno fare la boxe.

E che differenze hai trovatonell’ambiente delle due discipline?

C’è una differenza sostan-ziale. Certo sono tutti e due sport da combat-timento, quindi purtroppo capita di vedere ra-gazzi che vengono in palestra per imparare apicchiare e per poi andare in giro a fare ris-se. Dico ragazzi sui quindici anni ma possonoaverne anche venti e più. Però nella palestradi pugilato la gente si allena maggiormente, equando ti alleni come agonista, poi non vai ingiro a fare risse. Fai pugilato perché te lo sen-ti dentro. Invece nelle palestre di kick boxingho visto molti ragazzi che si allenavano soloper andare in giro a dire che fanno i combat-timenti: non era un bell’ambiente. Il pugilatoha anche una tradizione forte, esiste da seco-li e sono ottant’anni che è riconosciuto uffi-cialmente. Da questo deriva una grande co-noscenza della disciplina, sia dal lato tecnicosia nella preparazione: la dieta da seguire, co-me fare ginnastica, i vari esercizi, le differen-ti tecniche. Invece nella kick boxing ti metto-

no sul ring e ti fanno fare tutti i giorni un ti-po d’allenamento pesante, perché pensanoche per il semplice fatto di allenarsi tre ore algiorno ti venga per forza un fiato da marato-neta. Non c’entra niente, è una giusta meto-dologia dell’allenamento che deve essere se-guita. Uno se si allena tutti i giorni sempre almassimo, poi arriva ad un punto che scoppia:non serve a niente. È meglio fare anche soloun’ora ma fatta bene.

Nel pugilato c’è più esperienza.

Sì, c’è molta più esperienza,anche perché per diventare maestro di pugila-to la procedura è lunga: per due anni devi es-sere seguito da un maestro,essere iscritto allaFederazione Pugilistica Italiana e avere tuttele carte in regola. Dopo i due anni devi faredei corsi di aggiornamento e dare l’esame perdiventare maestro. Nella kick boxing, invece,dopo un mese di corso diventi maestro. Sì, co-nosci le tecniche, ma non puoi sapere solo letecniche perché nello sport non esiste solo latecnica. Io dico che dove c’è più esperienza c’èmaggiore sicurezza. Molte palestre di pugila-to di Milano sono brave anche nella kick bo-xing proprio perché hanno dei maestri di pu-gilato dietro.

Quali sono le soddisfazioni e le difficoltà che hai incontratofacendo pugilato?

Le difficoltàsono sempre le solite:bisogna costantemente trovare la voglia di al-lenarsi perché allenarsi è pesante. Poi i dis-piaceri, quando perdi, sono grandi. Bisognacapire perché si è perso. Oppure, a volte per-di ma in realtà non avevi perso e questo pur-troppo succede. C’è poi il pugno che ti arrivae che fa male, ci sono le sofferenze sul ring…Però è una passione talmente forte che que-ste cose le superi. Dopo, quando vinci, la sod-disfazione è enorme e ogni vittoria ti dà unamarcia in più quando torni ad allenarti, ag-giunge un qualcosa in più all’attività nella pa-lestra. Certo che questo può succedere anchequando perdi: l’unica volta in cui ho perso so-no poi tornato in palestra con la voglia di al-lenarmi raddoppiata. Volevo assolutamentevincere nel match di rivincita. Il pugilato è bel-lo perché ti pone in una sfida con te stesso.Alla fine devi vincere le tue paure e se vincicontro un avversario bravo significa che seiriuscito a migliorare ulteriormente. Certo cheanche quando si vince non c’è niente di per-fetto in un incontro, si fanno sempre degli sba-gli. Dopo l’incontro ci pensi e cerchi di cor-reggerti, nel match seguente non fai più que-gli sbagli, magari ne fai degli altri e cerchi dicorreggerli negli allenamenti successivi… Èuna catena continua, il bello è anche questo.E poi in uno sport individuale questi aspetti –lo sforzo, il miglioramento – li senti di più ri-spetto agli sport di squadra. Nel pugilato si èuno contro uno: o vinci tu o vince lui.

Cos’è per te l’ambiente della palestra?

Voglio subito direche in que-sta palestra mi sono trovato e mi trovo tut-tora benissimo. Quando ho iniziato a fare pu-gilato, dopo pochi mesi, sono partito per mi-litare e mi hanno mandato vicino a Piacenza.Sono andato quindi ad allenarmi in una pa-lestra diversa, a Piacenza appunto, ma nonho ritrovato l’ambiente che c’era a Voghera.Anche perché giudico Livio Lucarno, il mioallenatore, uno dei migliori maestri d’Italia.Lucarno capisce molto i ragazzi, gli bastauno sguardo, gli bastano due o tre sedute diallenamento e ha già capito il tipo di ragaz-zo, e sa come comportarsi di conseguenza.Riesce a creare un ottimo rapporto con il pu-gile, un rapporto molto umano. Poi, Livio seti deve dire una cosa te la dice in faccia e seper molti questo è un difetto, per me è unpregio. Io questo pregio non ce l’ho, non ri-esco a dire le cose in faccia, magari ci mettomesi. In ogni caso credo che nel pugilato ilmaestro sia la figura più importante: se nonc’è il maestro non c’è il pugile. Oltre a Lu-carno qui a Voghera c’è anche Luciano Ber-nini, un bravissimo allenatore con, natural-mente, meno esperienza di Lucarno, che daquarant’anni è dentro l’ambiente del pugila-to e ne conosce tutti gli aspetti. Però anchecon Bernini mi sono trovato molto bene, per-ché è molto disponibile, e un maestro dispo-nibile dà sicuramente qualche cosa in più alpugile. Ad esempio, sono poche le personeche a trentadue anni vengono a correre conte la domenica mattina alle otto e mezza.Questo aiuta e incita, dimostra molta pas-sione e lo vedi. Entrambi sono persone checi mettono il cuore per i ragazzi in palestra,per il pugilato. Questo ambiente non l’ho ri-trovato in altre palestre. Quando poi sali sulring, Lucarno e Bernini non ti dicono “vai,picchia, spacca tutto”, come altri allenatorifanno. No, ti fanno stare tranquillo, calmo.La prima ripresa è per studiare l’avversario,poi ti danno dei consigli: “usa di più il sini-stro”, ecc… L’approccio al combattimento èdifferente. Può anche essere giusto incitareil proprio pugile, ma tutto dipende dal ra-gazzo, non puoi farne una regola. Se il ra-gazzo ha bisogno di stimolo va bene, ma setrovi il ragazzo che non ha bisogno di stimoloperché ce l’ha già, se tu lo pompi così poi noncapisce più niente e non riesce a concen-trarsi.

Che valore dai alla vittoria?

Do tanti valori alla vittoria.Quando vinco mi sento la persona più felicedel mondo ma poi non sono mai sicuro, devosempre chiedere ai miei due maestri se hovinto bene o se mi hanno regalato la vitto-ria. Ho questa necessità di sentirmi sicuro diaver vinto sotto tutti gli aspetti, tecnica-mente, psicologicamente. Quando vinco sonosu un altro pianeta, mi sento realizzato per-ché alla fine sono settimane di sacrifici cheho fatto. Ogni sera sei qua in palestra ad al-lenarti, fai i guanti (simulazione di combatti-mento, n.d.r.), magari con Parisi, prendendodei pugni che non vorresti prendere, poi arri-va la grande soddisfazione di aver vinto.

Com’è il rapporto tra voi pugilial di fuori di questa palestra,tra avversari?

La bellezzadel pugilato sta anchenel fatto che tutte le volte che termini unmatch abbracci e dai la mano al tuo avversa-rio, lo ringrazi, ci si fanno dei complimenti, sa-luti il suo maestro. Nel calcio, invece, spessosi scannano fuori dalla partita e sul campo, eper vincere si ricorre ai falli. Faccio semprel’esempio del calcio perché vi ho giocato perotto anni e un rapporto con gli avversari bel-lo come c’è nel pugilato posso dire che non loritrovi facilmente in altre discipline. Anchequando facciamo i guanti con i nostri amici,qui in palestra non c’è mai rancore per uncolpo pesante che ti capita di ricevere, perchénon è un picchiare con cattiveria ma un pic-chiare per imparare qualche cosa di nuovo:ognuno cerca di provare cose nuove, movi-menti nuovi. Poi, dopo i guanti, magari se nediscute: “mi è piaciuto come hai tirato quelmontante,mi hai preso bene,mi hai fatto ma-le...”. Sembra strano da dire, però è una cosabella, molto particolare, e la ritrovo solo nelpugilato. Molte persone che mi hanno cono-sciuto di recente, quando sono venute a sape-re che faccio pugilato, hanno pensato chissàche cosa, che sono un violento, mentre io nonho mai messo le mani addosso a nessuno.Pur-troppo del pugilato si dà un’immagine negati-va perché nel passato molti pugili sono statiin galera, e poi ora con Tyson ci marciano so-pra. Tyson è secondo me l’esempio peggiorenel pugilato. Si può dire che nel passato unterzo dei pugili che sono stati campioni delmondo hanno avuto a che fare con la legge,ma certo non perché facevano pugilato. Anzi,il pugilato in alcune situazioni sociali partico-larmente difficili ha fatto evitare la galera si-cura a molti ragazzi.

Oggi, proprio prima di venire a Voghera, ho scambiato dueparole con il mio vicino e gli ho parlato di questo lavoro chesto portando avanti sul pugila-to. La sua reazione è stata im-mediata, quasi rabbiosa: delpugilato non ne voglio sentireparlare, è uno sport violento,volgare. Gli ho chiesto se aves-se mai avuto a che fare con il pugilato, se avesse mai par-lato con un pugile, visitato unapalestra, visto degli incontri.Mi ha risposto di no. Cosa ne pensi?

Purtroppo questa opinioneè molto diffusa. Quando ho iniziato il mio la-voro in officina, e hanno saputo che facevo pu-gilato, ci sono stati subito i soliti commenti: chifa il pugile è un deficiente, chissà cosa pre-tende di fare… Purtroppo il pugilato è vistocome uno sport violento.Certo che è uno sportviolento, sono il primo a dirlo: alla fine i pu-gni te li tiri. Ma non li tiri con la cattiveria divoler far del male per ragioni personali. Tiri ipugni per vincere, è una cosa diversa. Il pu-gilato è visto come uno sport violento ancheperché i media pompano questo aspetto. Lo siè visto con l’ultimo match di Tyson quando al-la conferenza stampa c’è stata una rissa. So-no cose fatte per attirare l’attenzione, per fa-re pubblicità. Certo è una promozione sbaglia-ta, perché fa apparire questo sport ancora piùviolento di quello che in realtà è. Sempre ri-guardo al recente match Tyson-Lewis, alla fi-ne dell’incontro, durante le interviste, c’eraTyson che accarezzava la faccia di Lewis e glifaceva i complimenti per aver vinto. Tysonnon è certo un santo, ma molte cose che suc-cedono prima di un incontro, le risse e gli in-sulti, sono pubblicità, servono per attirare l’at-tenzione. Molta gente, quando vede un incon-tro, non vede il pugilato ma i pugni, il sangue,la rissa, la cattiveria. C’è poca conoscenza diquello che il pugilato in realtà è. Il pugilato èuno degli sport più completi: riguarda la cor-sa, le braccia, la ginnastica, l’agilità e la for-za. Sono stati introdotti guantoni più grossi eil caschetto obbligatorio per i dilettanti. Que-sto significa che comunque si vuole vedere dipiù il pugilato, la tecnica, e meno la ferita, iltaglio. Poi ogni pugile ad alti livelli ha il suoproprio stile, la sua personalità, i suoi colpipreferiti. Questo aiuta a distinguere un pugiledall’altro, crea delle differenze tra i vari atle-ti e lo spettacolo ne guadagna. I colpi, nel pu-gilato, sono solo tre, ma poi ti accorgi che piùvai avanti nell’allenamento e più c’è qualcosada imparare. Sembra di aver imparato tuttoma poi scopri che c’è sempre qualcosa che nonsai fare, magari la schivata indietro e rien-trare con il destro, o la schivata indietro e ri-entrare con il destro-sinistro… I colpi sono so-lo tre ma puoi fare delle combinazioni che so-no infinite.

Come ti ha cambiato il pugilato?

Il pugilato è uno sportche richiede molto impegno. Questo vuol di-re allenarsi tutti i giorni e tirare fuori sem-pre la voglia, anche quando non ce l’hai. L’al-lenarsi sistematicamente tutti i giorni mi hainsegnato ad organizzarmi molto di più, an-che per un fattore pratico: allenandomi tut-ti i giorni non ho molto tempo libero, per cuise voglio fare qualche cosa d’altro devo or-ganizzare bene la mia giornata. Poi bisognaimparare ad affrontare la tensione prima diun incontro, si impara l’autocontrollo in si-tuazioni difficili.

Che rapporto c’è secondo te tra boxe e violenza?

Certo esiste un minimo di con-tatto tra boxe e violenza, perché alla fine laboxe sono pugni portati al volto e al corpo del-l’avversario. Quindi è una disciplina sportivaviolenta. Però troppo spesso si associa la bo-xe esclusivamente alla violenza, quando inrealtà non è così. Questo sport, come ho giàdetto, ha anche ad esempio salvato molti ra-gazzi da situazioni difficili. Entri in una pale-stra e c’è un rapporto diretto e umano con lepersone. Il tuo maestro cerca di insegnarti afare pugilato ma cerca anche di tirarti fuorida eventuali problemi che hai nella vita. Cer-to dipende dai maestri: con il mio ho un buonrapporto proprio perché non è fatto solo di

pugilato ma si discute di tante cose e mi dàconsigli su tutto, anche su cose esterne allapalestra. Quindi il pugilato non è fatto solo dipugni, e alla fine c’è sempre un contatto conaltre persone, c’è sempre amicizia. Alcuni pu-gili sono diventati delinquenti, ma non è di-rettamente la boxe che li ha fatti diventare co-sì. Magari sono stati i soldi, la fama o altroancora. Come nel caso di Tyson, che è venutosu dal nulla: non era certo un bell’elementogià dall’inizio, e nel momento in cui ha vistodei soldi ha iniziato a fare delle cavolate cheprima non faceva. Non associo il termine “bo-xe” al termine “violenza”, anche perché, sepensi, alle partite di calcio c’è gente che va al-lo stadio solo per ammazzarsi, mentre in unincontro di pugilato non ho mai visto genteche si picchia. L’ho vista esclusivamente sulring.

STEFANO CASSIIntervista realizzata l’11 giugno 2002 presso la palestra Bergamo Boxe, Bergamo

Sei stato pugile professionistanegli anni ’80 e ‘90, poi ti seiritirato dal pugilato nel 1996.Mi puoi parlare della tua carriera, degli anni in cui hai lavorato?

Sono abbastanza breve econciso nelle mie cose, in un attimo ti arrivosubito alla carriera professionistica. Ancheperché non c’è poi molto da raccontare. Abi-tavo vicino alla palestra, a 300 metri. Mal-grado questo non sapevo neanche dove la pa-lestra fosse, finché un giorno il postino dellamia via mi indicò dov’era. Da quel momen-to sono passati ventitré anni.

Quanti anni hai adesso?

Quaranta. Tutto allora è comincia-to per passione, come per tutti del resto. Ab-biamo iniziato a frequentare la palestra conla nostra compagnia, eravamo in quindici,venti, e alla fine sono restato da solo. Così al-l’inizio piano piano ho incominciato a fare de-gli incontri, senza comunque tanto impegno,era solo come svago, come semplice piacere.Ho fatto dei buoni risultati: campione regio-nale e sono arrivato secondo agli italiani. Do-po ho smesso per due anni perché ero arri-vato a quel punto, i diciotto anni, dove ero unpo’ stanco di restare dilettante ma per pas-sare professionista si doveva aspettare fino aiventuno anni, che era la maggiore età, a dif-ferenza di adesso che puoi passare al profes-sionismo a diciotto anni. Dopo due anni sonorientrato, ho fatto cinque mesi di allenamen-to e sono passato a professionista. Da alloraho combattuto per quattro titoli italiani, ne hovinti due, ho fatto due campionati d’Europa,a Parigi e a Madrid. Ho smesso sei anni fa.Nella mia carriera ho fatto una quarantina diincontri, parecchi vinti per ko. Oggi mi diver-to e mi diletto a insegnare, sopratutto ad ami-ci. In questo modo riesco anche a tenermi informa fisicamente.

Insegni sempre qui, alla “Bergamo Boxe”?

Sì, sempre qui. Prima inse-gnavo anche in altre palestre e dovevo spo-starmi sempre da una parte all’altra di Ber-gamo, poi alla fine mi sono stancato. Mi stan-co sempre molto alla svelta delle cose, io.L’unico sport, sport e lavoro, che abbia fattoper parecchi anni è stato proprio il pugilato,mi è piaciuto e mi piace farlo tuttora.

Quindi sei stato professionistadai ventuno ai trentaquattroanni, quattordici anni. Quali sono state le soddisfazio-ni nella tua carriera? Soddisfazioni e delusioni, anche.

Delusioni nessuna.Maga-ri sì, le prime volte quando perdevo. Poi ti en-tra in testa che si vince ma anche si perde,puoi riprovare la seconda volta a fare me-glio. Certo devi sempre essere obiettivo conte stesso, se l’avversario è più forte devi ri-uscire ad ammettere a te stesso che è più for-te, che non c’è niente da fare. Ma senza ave-re niente da recriminarti, sei sicuro di quel-lo che hai fatto, sei in pace con te stesso. Nondici “ho perso, ma se avessi fatto, se non fos-si andato...”, tutti questi “se” non devono esi-stere. Infatti, se riesci a tirare via i “se” seianche più sicuro nel momento che vai sulring: ho fatto tutto bene, mi sono allenato be-ne, non ho fatto il cretino in giro di notte, nonho corso dietro alle ragazze… le solite cose.E allora sei più convinto di te stesso e dellapreparazione che hai svolto. È difficile che ilpugile non abbia niente da recriminarsi, c’èsempre qualche cosa. Quindi ho avuto moltesoddisfazioni, più che altro. Poi le soddisfa-zioni, al di là dei titoli che hai vinto, degli in-contri che hai fatto, dei titoli sui giornali, aldi là di tutto questo, sono anche un piacerepersonale. Ho approfittato della mia attivitàanche per viaggiare; ho disputato pochi in-contri nella mia città, Bergamo. Anche per-ché allora il pugilato a Bergamo non mi davaniente, mi ha sempre dato di più combatterein giro. Ho disputato incontri dappertutto inItalia, ho combattuto anche all’estero. Anzi,mi chiamavano dall’estero perché ero sem-pre pronto.Mi chiamavano magari all’ultimomomento, una settimana prima dell’incontroarrivava la telefonata del mio procuratoreche mi chiedeva se avevo voglia di fare unincontro, anche quattro giorni prima. Mi di-ceva: “bisogna andare in Svizzera...”. InSvizzera, ad esempio, ho combattuto molto eho fatto dei bellissimi incontri, anche congente che poi ha fatto il mondiale. Ho com-battuto in Danimarca, sono partito da solo,con la mia borsetta, sono partito e via. Cassiera sempre pronto. Dovevano darmi due tregiorni di tempo per prepararmi e io partivo.Logicamente c’era un certo tornaconto eco-nomico, io facevo una cosa, però… Poi com-battere fuori dell’Italia a me piaceva di più.E non era solo per un fatto di fisco. Sì, va be-ne, era esentasse, ma mi piaceva viaggiare.

Dunque eri sempre in costanteallenamento, sempre prontoper il match.

Sì, io mi sono sempreallenato tutti i giorni, sempre. Il giorno chemi riposavo facevo magari solo quindici chi-lometri di corsa. All’epoca ero una macchi-na. Poi alla fine ho smesso proprio perché miero stancato; ho perso ai punti gli ultimi dueincontri, ma se fossi stato come lo StefanoCassi di alcuni anni prima li avrei stravinti.E allora mi sono convinto e mi sono deciso asmettere. Anche se dopo ho avuto ancora ot-time offerte finanziarie, non sono servite afarmi cambiare idea. Ero stanco, diciamo che

ero saturo di pugilato. Infatti, dal momentoche ho smesso l’attività al momento in cuiho ricominciato ad andare in palestra sonopassati un anno e mezzo. C’è stato proprioun allontanamento. E dopo un po’ di tempo,come pensavo, ho avuto ancora voglia di tor-nare in palestra. Ora se passano tre, quat-tro, cinque giorni sento il bisogno di andarein palestra,magari anche solo per farmi unacorsetta. Qua dentro ho passato parecchi an-ni della mia vita. Diciamo anche questo: laboxe mi ha dato da mangiare per parecchianni, e si mangiava anche bene, tra l’altro.Ora mi alleno un po’, mi tengo in forma, fac-cio dell’insegnamento, ma logicamente ho ilmio lavoro. Perché come per tutti i pugili, latesta è un po’ particolare. Al di là delle tra-sferte per il pugilato, ho fatto anche parec-chi viaggi. Appena potevo con i soldi dell’in-contro che prendevo facevo un viaggio.

E il tuo lavoro attuale non centra niente con la boxe.

Non centraassolutamente niente;è ovviamente un lavoro pesante, in una offi-cina di carpenteria meccanica.

Non hai trovato un lavoro in qualche modo legato alla boxe?

Avrei anche potuto farlo,avevo provato: è che magari sono viziato ecosto caro. Ho visto che non c’erano gran sol-di in giro, a meno che non ti buttavi a fare ilprocuratore. Il fatto è che il pugilato in Ita-lia è parecchio in crisi. Cosa devo dire, perme si sta piano piano spegnendo, non c’è piùnessuno che ha voglia di sacrificio. C’è gentenelle palestre ma è il ragazzo che paga il suomensile per tirare i pugni al sacco. Al postodi andare a giocare a calcio o a basket vengo-no in palestra. E non è sbagliato, comunque.

Qual è la differenza tra l’ambiente del pugilato diquando lo facevi tu e adesso?

Allora era moltodiverso. Pri-ma di tutto era anche pagato molto meglio,ma molto molto meglio. Allora se c’erano deidubbi, questo aspetto certo invogliava a con-tinuare. Naturalmente è sempre la voglia difare che ti spinge e che ti fa andare avanti,non tanto i soldi. La parte finanziaria ti en-tra in testa dopo otto, dieci anni che stai fa-cendo pugilato: sto facendo una cosa che mipiace però voglio anche un riscontro econo-mico, perché alla fine vivo di quello. Il pro-fessionismo, se fatto come si deve, vuol direallenarsi dalle quattro alle sei ore al giorno,questo è molto difficile se contemporanea-mente hai anche un lavoro. Poi il pugilato erapiù pubblicizzato, specialmente più sponso-rizzato. Nell’ambiente c’erano più soldi.

E a livello di qualità di gioco, ti puoi sbilanciare con un giudizio?

A livello di qualitàdi gioconon si può neanche dire perché una volta…Se dico “una volta” sembra che abbia ottan-t’anni, però in poco tempo la situazione ècambiata completamente. Infatti, per questoti viene da dire “una volta”, proprio perchéeffettivamente da bianco è diventato nero.Una volta c’era più “materiale”, c’era piùgente buona. Anche solo in Italia, che è unanazione piccola: bene o male un campione delmondo in quasi tutte le categorie lo abbiamosempre avuto.

In che cosa ti ha cambiato il pugilato?

Assolutamente in niente. L’u-nica cosa è che non ho mai litigato al di fuoridel ring.Ma neanche sul ring,perché sul ringnon si litiga. Non sono mai stato un rissosoe mai lo sarò, perché sono così di natura.Se vuoi mi ha cambiato perché ero semprein viaggio, avevo sempre la valigia pronta: oper fare un incontro o per andare in vacan-za, la valigia era sempre pronta. Cuba, Mes-sico, Brasile… A Santo Domingo mi sono fer-mato due anni.

Cos’è per te la palestra?

Ora per me la palestra è un piace-re. Anche allora era un piacere, a parte negliultimi momenti della preparazione quandopraticamente non mangiavo. Possiamo direche ho fatto quindici anni di fame per doverrientrare nel peso. Però è sempre stato unpiacere e sempre lo sarà. Anche adesso, an-che se sono stanco dal lavoro, è difficile chenon venga ogni giorno in palestra,magari so-lo a farmi un giro: dico due o tre cose ai ra-gazzi, non faccio niente, mi ricambio, facciola doccia e vado via. Non so, mi fa star bene.

Ancora una domanda sul tuopassato. Senti la mancanza di qualche cosa? La competi-zione, l’incontro...

No,perché di incontri ne ho fattiparecchi, come ho detto ho smesso proprioper il fatto che ero saturo. Sono soddisfatto,soddisfattissimo, magari qualche rammari-co, come c’è in tutte le cose, però ho semprefatto quello che potevo fare e al meglio. Pos-so solo dire che ho cercato di svolgere la miacarriera al meglio delle mie possibilità. Quel-lo che ho dato è quello che potevo dare, di piùnon so.

Che rapporto c’è tra boxe e violenza?

Per me non c’è nessun rap-porto. Magari sarò anche un caso particola-re, ma con ogni mio avversario dopo l’in-contro eravamo a tavola a mangiare assie-me, a ridere e a scherzare. Questo anche semagari lui aveva vinto per ko, o io avevo vin-to per ko. Non esiste violenza, si va sul ring,

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VINCENZO GIGLIOTTIIntervista realizzata il 21 giugno 2002 presso la palestra Associazione Boxe Voghera, Voghera

Ho cominciato a fare pugilatoda giovanissimo, avevo dodici anni. Ho fattosubito dei campionati cadetti, i campionatiitaliani, e sono andato abbastanza bene. Poiho fatto il novizio vincendo alcuni tornei a li-vello nazionale e di conseguenza mi ha chia-mato la Nazionale, con la quale ho partecipa-to ad un torneo internazionale ed ai campio-nati internazionali junior in Perù. Ho fattotre volte i campionati italiani prima serie, ar-rivando purtroppo sempre secondo. Poi sonopassato al professionismo. Dopo dodici in-contri da professionista ho disputato il titoloitaliano nel ’97 battendo per ko alla secondaripresa Di Meco e diventando così campioneitaliano dei supergallo. Ho difeso il titolo cin-que volte, vincendo i combattimenti sempreprima del limite. Ho disputato il mondialeWBU dei supergallo perdendo ai punti conContreras. Ho fatto l’intercontinentale WBAvincendolo l’anno scorso, l’ho difeso vitto-riosamente una volta e ho perso l’incontrosuccessivo a dicembre. Adesso sono in pro-cinto di combattere per il titolo europeo.

Quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni nella tuacarriera?

Per quanto riguarda le soddisfa-zioni questo sport è molto selettivo e anchemolto personale, voglio dire: sul ring sali tu.Per cui tutte le volte che vinci è una soddisfa-zione immensa. Quanto alle difficoltà, l’am-biente del pugilato non è facile; hai a che farecon molte persone e ognuno ha il suo puntodi vista e non sempre si riesce ad andared’accordo. Questa è una delle difficoltà. Lamaggiore, per quanto mi riguarda, è il fattoche lavoro. Purtroppo, anzi fortunatamente,ho un’impresa edile che mi rende abbastan-za bene. Oggi il pugilato in Italia non è quel-l’oasi di pace che tutti pensano. La genteguarda i calciatori, vede quello che guada-gnano, ma il pugilato non è così. Oggi si dis-puta un titolo europeo per venti milioni, unmondiale per sessanta, quando nel calcio soloper il titolo italiano prendono diversi miliardi.Di conseguenza per me la cosa più difficile èconciliare il lavoro con gli allenamenti. Non acaso nelle due sconfitte che ho subito, il mon-diale con Contreras e l’intercontinentale,mol-to è dipeso da questo fattore.

Mi puoi parlare dell’ambientedella palestra, di questo spaziodove si cerca continuamentedi migliorare attraverso un esercizio quotidiano. Come lo vedi, cos’è per te?

Parliamo della palestra dovevivo, che frequento. Qui l’atmosfera è buona,trovo sia una delle palestre migliori. Non acaso c’è un maestro, Livio Lucarno, con di-versi successi: ha tirato su Giovanni Parisi,ha tirato su Gigliotti, ha tirato su altri “cam-pioncini” che poi per diversi motivi non so-no andati avanti, ma avevano tutti le poten-zialità per farlo. Da tre anni poi mi allenocon Luciano Bernini, altro allenatore moltobravo. Qui l’atmosfera è buona, anzi finchéc’era Parisi era super-buona. Sai, con il cam-pione che tira avanti tutta la baracca conl’interessamento di televisioni, giornali…Era molto bello. Solo con me, in palestra, co-sa vuoi che ti dica: io vengo qua esclusiva-mente perché è una passione e io non sonoancora quel grande campione che era statoParisi, e non so neanche se mai lo sarò. Pe-rò con lui si respirava una atmosfera diver-sa. Io sono più casalingo, come si dice: tuttacasa, palestra e lavoro. Comunque questa pa-lestra rimane sempre una delle migliori, siaa livello tecnico sia come ambiente. Ci sonoalcune palestre in Italia che definirei squal-lide, sia per il modo di pensare sia per il ti-po di allenamento adottato.

Che valore dai alla vittoria?

La vittoria è strana dadecifrare perché in quel momento, quandovinci, ti senti padrone del mondo. Poi è la ri-compensa dei sacrifici che si fanno. La vitto-ria è tutto, senza la vittoria non si va avanti.

E che valore dai alla sconfitta?

Dipende che sconfitta.Se per esempio l’avversario è superiore a tee ti batte ad armi pari, da sportivo, la scon-fitta la digerisci bene. È stato il più forte, pa-zienza, è giusto così. Invece faccio fatica a di-gerire le mie sconfitte perché sono quasisempre avvenute per fattori secondari e que-sto mi lascia sempre un grande rammarico.

Cos’è quella cosa che spingeun uomo a salire sul ring e aconfrontarsi, uno contro uno,con un altro uomo?

Per quanto mi riguarda sicura-mente non è la voglia di distruggere l’avversa-rio, e non è neanche l’odio. Sono una personamolto tranquilla, lavoro, ho i miei affari. Certonon mi piace che mi si calpestino i piedi, manon per questo vado a menar le mani perstrada. Invece, quello che poi spinge a saliresul ring credo sia la voglia di emergere, la vo-glia di uscire dall’anonimato. Credo che oggiin Italia si faccia pugilato solo per questo, per-ché a livello di soldi abbiamo poco da mangia-re. Invece uno spera sempre di fare il grandematch, di andare in televisione, di farsi cono-scere dal grande pubblico.

Che rapporto hai con gli altripugili? Intendo pugili al di fuori di questa palestra, i tuoi avversari.

Tra noi italiani, bene o maleci conosciamo tutti. C’è rispetto e amicizia. In-fatti, l’ultimo incontro che ho disputato a mar-zo è stato con un mio amico, D’Arcangelo, cheporca miseria… è stata dura a finirlo. Per unattimo avevo pensato di finire l’incontro aipunti,poi è uscito fuori il colpo risolutore e pa-zienza. Mentre invece con gli avversari stra-nieri la carica che hai è più forte; sopratuttofrancesi ed inglesi hanno un comportamentostrano con gli italiani, sembra quasi che ci odi-no. Quando vengono in Italia hanno degli at-teggiamenti che il più delle volte non mi piac-ciono. Allora in questi casi subentra qualchescrezio.

Che rapporto c’è tra pugilato e violenza?

Dire che il pugilato non èviolento non è proprio corretto. In fin deiconti si tirano dei cazzotti. È più che altro lamentalità con la quale si sale sul ring chenon deve essere violenta. Io non vado sulring per mordere l’orecchio al mio avversa-rio; vado sul ring sopratutto per imporre lamia tecnica e la mia forza fisica abbinate al-la mia intelligenza. Quindi per me non è vio-lento salire sul ring e fare a pugni con un al-tro atleta. Probabilmente è più violento quel-lo che si vede nei campi di calcio, quando sispingono, si danno cazzotti. Perché arrivanoa questi punti? Lì giocano a pallone, non èpugilato. O alcuni giocatori di basket o hoc-key che si danno le gomitate, credo che que-sta sia violenza. Nel caso del pugilato è losport stesso che è fatto così.

Quali sono secondo te i pregi e i difetti del pugilato rispettoad altre discipline sportive?

Forse sono troppodi parte,ma di sport come il pugilato e di atleti comeil pugile non ce n’è. L’unico che gli si avvici-nava come sacrificio, come carattere e tem-peramento era il ciclista. Ora vediamo in chebufera si sono trovati con il doping. Anchecon i calciatori tra poco vedremo cosa suc-cederà. I pregi del pugile sono di essere unapersona molto caparbia, di tenere sempreduro e, tranne qualche caso particolare co-me Tyson, sono sempre atleti piuttosto leali:sul ring si prendono dei pugni ma allo stessotempo non si hanno mai delle reazioni chesono al di fuori delle regole dello sport. Quan-to ai difetti, ci hanno sempre accusato di ave-re poca cultura, questo è un preconcetto cheforse si sta sfatando. Il pugile come personamagari è meglio lasciarlo stare, non infasti-dirlo troppo. Però vedo che anche gli altri pu-gili, i miei colleghi, come persone stannocambiando. Ora pensano prima di tutto a dia-logare.

Oggi, proprio prima di venire aVoghera, ho scambiato dueparole con il mio vicino e gli ho

parlato di questo lavoro che stoportando avanti sul pugilato.La sua reazione è stata imme-diata, quasi rabbiosa: del pugi-lato non ne voglio sentire par-lare, è uno sport violento,volgare. Gli ho chiesto se aves-se mai avuto a che fare con ilpugilato, se avesse mai parla-to con un pugile, visitato unapalestra, visto degli incontri.Mi ha risposto di no. Cosa nepensi?

Sul momento non posso direniente perché non conosco la persona. Biso-gna anche vedere cosa fa nella vita: se peresempio fa il prete posso dargli anche ragio-ne che sia contro il pugilato. Io sono sempredell’idea di non giudicare mai perché nonpossiamo mai sapere i retroscena, quello chec’è dietro alle cose. C’è poi tutta una fasciadi persone che sono abituate a risolvere le lo-ro questioni andando dall’avvocato. Secondome invece se uno fa il pugile è anche perchéè un uomo onesto e leale, se ha qualche co-sa da dire te la dice in faccia e prima di an-dare dall’avvocato cerca di risolvere la que-stione in un’altra maniera, col dialogo. Sequalcuno, senza aver mai visto un incontro,critica questo sport e lo etichetta come vio-lento significa che è una persona prevenutae non gli puoi dire niente.

Come ti ha cambiato la boxe?

Un po’ mi hatranquillizzato, daragazzino ero una peste. Credo mi abbia fat-to crescere bene; quando avevo quattordicianni ho incominciato a frequentare la Nazio-nale ad Assisi, ci sono stato per quasi tre an-ni, ho visto altri paesi, ho conosciuto altrerealtà, altre culture. Ho dovuto conviverecon altre persone e quindi avere rispetto an-che di loro, delle loro cose. Secondo me il pu-gilato mi ha fatto crescere bene.

Una domanda sui media, sulmodo in cui vedono e propon-gono il pugilato, spesso secon-do una visione molto stereoti-pata, parziale e semplicisticadella cosa, che in definitivanon corrisponde alla realtà.Perché succede questo secon-do te?

L’approccio dei mediaaquesto sport è molto negativo, ti faccio unesempio a proposito. Ti ricorderai la que-stione di Fabrizio Di Chiara, il pugile decedu-to alcuni anni fa. Fabrizio era tra l’altro unmio carissimo amico, abbiamo convissuto aitempi della Nazionale. Questo evento è statopubblicizzato in una maniera incredibile sul-le prime pagine di tutti i quotidiani, il “Cor-riere”, la “Gazzetta” e così via. Certo era ilcaso di parlarne ma per ricordare l’atleta,non per colpevolizzare il pugilato, come in-vece è stato fatto. Poi una settimana dopo èmorto un portiere di calcio a Palermo: gio-cando a pallone ha avuto un contrasto, ne è conseguita una emorragia cerebrale ed èmorto. Sui giornali la notizia è stata riporta-ta su un trafiletto minuscolo. Questo per dir-ti a che livelli questo sport venga colpevoliz-zato. Poi abbiamo anche la chiesa contro, epoliticamente siamo quasi nulli, nessun gros-so politico ci sostiene. Per cui diventiamo ilcapro espiatorio ogni volta che succede qual-cosa. Basta pensare a quei pugili, pochi perdire la verità, che sono nel giro della droga:vengono subito colpiti dai media mentre inaltri sport questi fatti vengono nascosti dachissà chi. Questo avviene perché politica-mente siamo troppo deboli, nulli, ed è perquesto che il pugilato sta morendo. Oggi tut-to è un business e purtroppo tutto è control-lato dal calcio, le poche briciole che rimango-no vengono spartite tra pallavolo e basket enon rimane più niente per nessuno.

Come descriveresti il pugilato,la tua idea personale di pugila-to, cos’è per te?

Il pugilato è per me forza, intelli-genza ed eleganza. Parisi sul ring aveva tut-te queste qualità: eleganza, potenza, fanta-sia e intelligenza. Chi è pugile a certi livelliha necessariamente una grande personalità,paragonabile ai cavalieri medioevali.

Riguardo alla struttura attornoal pugilato, la Federazione,credi che soddisfi le esigenzedel pugile? Credi che si possa fare qualche cosa di più, e dove?

La FederazionePugilistica Ita-liana non soddisfa per niente le nostre esi-genze. È nulla, non conta niente. Inoltre, so-pratutto i professionisti, non sono per nientetutelati. Nel mio caso ad esempio è dallo scor-so marzo che ho difeso il titolo italiano, mihanno detto che il 21 giugno avrei combattu-to di nuovo, e non è stato così. Hanno sposta-to l’incontro dicendomi che il titolo europeoera ai primi di agosto, ora me lo hanno spo-stato tra settembre e ottobre… Tu capisci chepassano sei, sette mesi dove io dovrei esseresempre al cento per cento della condizione, co-sa impossibile senza nessun incontro. E pur-troppo non c’è niente che io possa fare. Sonolegato ad un contratto, soldi non te ne danno:i pugili vengono pagati ad incontro,e male,mase stai fermo sette mesi non ricevi niente. Inquesto momento non siamo tutelati. Cosa sipotrebbe fare? Ripeto, ci vorrebbe un politicodi peso al governo che ci tutelasse e poi so-pratutto ci vorrebbero dei pugili, degli ex-pu-gili, che lavorassero all’interno della Federa-zione. Ora ci sono degli avvocati a gestire laFederazione: cosa vuoi che sappia un avvoca-to di quello che vuole, di quello di cui ha biso-gno, di quello che prova un pugile?

VINCENZO IMPARATOIntervista realizzata il 2 giugno 2002 presso la palestra Accademia Pugilistica Vigevanese, Vigevano

Ho iniziatoa fare pugilato a quin-dici anni. Ho fatto i miei primi incontri danovizio, dopodiché sono passato a dilettante.Come dilettante ho disputato circa settanta-cinque, ottanta incontri. Ne ho vinti sessan-ta, cinque pari e una quindicina di sconfitte.Poi ho fatto parte della Nazionale, ho fatto lariserva olimpica a Barcellona. Successiva-mente, nel ’93, sono passato a professioni-sta. Ho vinto il campionato italiano di secon-da serie nel ’94. Sono poi passato in primaserie e ho vinto il campionato italiano nel’96, mantenendolo fino ad oggi. Ho vinto uncampionato intercontinentale, ho fatto uncampionato d’Europa in Germania, perso aipunti. Il 5 luglio difendo il titolo italiano, do-podiché vedrò cosa fare. Se riuscirò a man-tenere il titolo spero di poter fare il cam-pionato d’Europa.Vediamo, tutto dipende dal5 luglio.

Quali sono le difficoltà e le sod-disfazioni che hai incontrato inquesto lavoro?

Le difficoltà sono tantissime, chifa pugilato va incontro inevitabilmente amolte difficoltà. Prima di tutto la prepara-zione è molto dura, bisogna sempre soffrire.Se si sa soffrire nella vita poi si riesce a fa-re anche pugilato. Le difficoltà risiedono piùnell’allenamento che nel match finale. Se lapreparazione in allenamento è buona, unopoi il match lo supera senza nessuna diffi-coltà. Bisogna essere sempre molto prepa-rati. Una delle difficoltà è data inoltre dallatelevisione, dove questo sport non viene pro-mosso. Anche adesso per i mondiali: calcio,calcio, calcio… Abbiamo visto poi come è an-data per la Nazionale, come sono andate lepartite, con gli arbitraggi ingiusti. Si vinceperché si è più forti o perché si è politica-mente più raccomandati? Credo che con ilcalcio si stia esagerando. Se i media desserouna mano alla boxe sicuramente ci sarebbe-ro più ragazzi in palestra e ci sarebbero piùpugili. Vedo all’estero com’è migliore la si-tuazione dove ci sono tanti sponsor per il pu-gilato, dove molti incontri vengono trasmes-si in televisione ad orari decenti. Danno lapossibilità a chi non conosce il pugilato di co-noscerlo. Invece in Italia continuano a far ve-dere il calcio che ormai ha stancato, since-ramente ho la nausea del calcio. Preferiscovedere atletica o altri sport. Poi, per quel chemi riguarda, si combatte e si vince per se

stessi: quello che fai nella boxe lo fai tu e iltuo maestro, per cui le soddisfazioni alla fi-ne sono maggiori, e di soddisfazioni ne hoavute molte. Come ti dicevo sono campioned’Italia, mi sono battuto per il campionatod’Europa, ho fatto le olimpiadi da dilettan-te… Le soddisfazioni sono state molte, sia co-me dilettante sia ora come professionista.

Uno dei problemi legati al pugi-lato credo sia il fatto che se neparla poco e quando se ne par-la, spesso se ne parla male. Iltutto senza cognizione di cau-sa, senza conoscerlo minima-mente. Trovo ci sia un divarionotevole tra cosa è in realtà ilpugilato e come poi lo si pre-senta al pubblico tramite i varimedia.

Giusto.Presentano spesso certi tipi dimatch, con Tyson ad esempio, dove il pugileè il pugile cattivo, malfamato, ladro, violen-tatore, che fa casino. Si dà spazio solo a que-sto tipo di match e di conseguenza la gentepensa che il pugilato sia tutto così, ma il pu-gilato non è così. Il pugilato vero è un’arte,è la “nobile arte”. Abbiamo visto Tyson con-tro Lewis: Tyson doveva distruggerlo, così di-ceva, doveva mangiargli il cervello. Poi ab-biamo visto come abbia vinto la tecnica, ab-bia vinto il pugile più intelligente, il pugilepiù serio. Il pugilato è una cosa seria. In te-levisione propongono molto questa immagi-ne cattiva, l’immagine brutta del pugilato. In-vece dovrebbero entrare nelle palestre e farvedere cosa è il pugilato veramente, perchéin Italia non ci conosce nessuno. Dovrebberofar vedere come un pugile si allena, come vi-ve, come lavora. Un pugile professionista, an-che ad alti livelli, non vive di solo pugilato.Io lavoro, ho la mia attività. Faccio pugilatoperché mi piace, mi diverto, gioco, lo prendocome un divertimento. Quando non mi di-vertirò più non lo farò più. Bisogna far co-noscere il pugilato tramite i media, la televi-sione, farlo conoscere nelle scuole.

Cos’è per te l’ambiente della palestra? Come lo descriveresti?

È un ambiente dove ci si ri-trova con persone che non sono solo pugili.Ci sono ragazzi che fanno allenamento pertenersi in forma. L’ambiente della palestra èun ambiente sano, un ambiente pulito. Lagente che non è pulita non entra in palestraperché qui si lavora e si suda.

Che valore dai alla vittoria?

La vittoria èfondamentale: se sivince si ha la possibilità di andare avanti, tidà lo stimolo per affrontare altri incontri, in-contri più importanti, dove posso conoscerepiù in profondità il mio fisico e mettere allaprova la mia preparazione. La vittoria ti por-ta avanti. Nel pugilato è importante vinceree non partecipare, come invece succede in al-tri sport. È importante vincere perché seperdi prendi un sacco di botte e le botte fan-no male. Questa è la realtà.

E che valore dai alla sconfitta?Immagino che anche il suoruolo sia molto importante.

Bisognaaccettare la sconfitta perchéti insegna tante cose: ti insegna a maturare,a crescere. Se poi l’avversario è superiore,tanto di cappello, gli porto molto rispetto. Èimportante la vittoria ma la sconfitta ti in-segna molte cose, ti mette alla prova, ti for-ma il carattere per continuare. Devi trovarela forza di rialzarti, riprendere l’allenamen-to e andare avanti. La sconfitta fa parte delgioco, anche per i grandi campioni. Se vincisempre e alla fine magari perdi un match,poi vai nel pallone: non capisci niente e nonriesci a riprenderti perché non hai mai per-so prima, non sai cosa significhi perdere e diconseguenza non sai come reagire positiva-mente dopo un incontro andato male.

Com’è il rapporto tra voi pugili?

Con gli altri pugili italiani ci co-nosciamo nell’ambito delle varie riunioni. Disolito non usciamo tra di noi, anche perchéle palestre sono molto distanti l’una dall’al-tra. È comunque un rapporto tranquillo, bel-lo. Siamo tutti amici. Nel pugilato non c’è odioo invidia tra palestre. Ognuno fa il suo lavoroe vince il migliore. Può capitare a volte anchedi combattere tra amici.

Com’è battersi sul ring, in un incontro ufficiale, con un amico?

Fuori dal ringsiamo amici, poiquando ci si incontra sul quadrato non sia-mo più amici. Sono due rapporti, due faccediverse. Prima dell’incontro parliamo, ci ab-bracciamo, ma poi sul quadrato non c’è ami-cizia. Si combatte per vincere, per mettere inevidenza la tecnica, la potenza, la superiori-tà, l’allenamento svolto, per un confronto trame e il mio amico, il mio avversario. Quindisul ring assolutamente non c’è amicizia, sulring si va per vincere.

E non hai difficoltà a conciliarele due cose, nel momento chesei sul ring sei sul ring e basta.

No, nessuna difficoltà. Se si sale per unallenamento è un discorso, ma se si sale perun incontro ufficiale non esiste amico, nonesiste neanche mia mamma, o mio padre, omio fratello. Mi è capitato di fare i guanti an-che con mio fratello.

Quante persone ti seguononella tua attività e che ruolohanno?

Ho il mioallenatore, Ciro Converti,che mi ha seguito da sempre, sono diciottoanni che stiamo insieme, e poi basta. Ho soloil mio allenatore e i miei amici come spar-ring partner, Pisapia e altri, che sono pugilidilettanti. Poi c’è Giardini, Taglialatela, Tas-so, Maldini… i vari ragazzi che frequentanoquesta palestra. C’è inoltre il mio manager,Loreni, che si occupa di organizzare i match.Anche durante il match, all’angolo, siamosoltanto io e il mio allenatore. Basta, non vo-gliamo nessun’altro, non abbiamo bisogno dinessuno. Siamo sempre andati avanti da so-li e siamo arrivati a livelli mondiali da soli.

Che rapporto c’è tra pugilato e violenza?

La violenzae il pugilato sono duecose diverse. Credo che tutti si nasca condentro un po’ di cattiveria, di aggressività,un po’ di grinta, un po’ di violenza; l’abbia-mo tutti dentro di noi. Se non hai grinta nonriesci neanche a vivere, per vivere bisognaessere un po’ grintosi. La violenza è un’altracosa e non esiste nel pugilato. Nel pugilatoesiste la grinta, la voglia di emergere. La vio-lenza è quella che fanno in guerra, dove stu-prano e uccidono. Non so che significato ab-bia la violenza nello sport; una persona vio-lenta non è una persona a posto.

Parlando con vari pugili in que-sti mesi, ho visto che un altroimportante aspetto nella boxeè il rispetto.

Certo, il rispettoper l’avver-sario. Chi sale sul ring è da ammirare per-ché non tutte le persone salgono sul qua-drato, non è da tutti, ci vuole coraggio. Chinon rispetta l’avversario trovo non sia unvero pugile.

Come ti ha cambiato il pugilato?

Mi ha insegnato a vivere, afare dei sacrifici, a stringere i denti, anchenella vita di tutti i giorni. Mi ha insegnato adandare avanti, a rialzarmi nei momenti dif-ficili. Nella vita ci possono essere di questimomenti, quando una persona si trova in dif-ficoltà. Il pugilato mi ha aiutato a superarequesti momenti di difficoltà, piano piano, concalma. Mi ha sempre aiutato ad andareavanti.

Cos’è per te il ring? Un palco-scenico, uno spazio dove met-tere alla prova te stesso?

È uno spazio dove provo ad in-contrarmi con altre persone. Certo, potrebbeessere anche un palcoscenico perché poi laboxe è anche spettacolo dove la gente guar-da, ammira, ama il pugilato. Per noi pugili èun luogo dove due persone si incontrano, siaffrontano e provano a misurare le propriequalità, a misurarsi, uomo contro uomo. È ilquadrato, con due persone che ad armi parisi affrontano, si incontrano, all’interno di re-gole, e dove vince sicuramente il più forte, ilpiù allenato, il più veloce, il più potente, il piùfurbo. È il luogo dove, incontrandoci, mettia-mo in evidenza tutte le nostre qualità e do-ve vogliamo dimostrare la nostra superiori-tà rispetto all’avversario. Per noi pugili è unconfronto, poi per gli spettatori può esserevisto come un palcoscenico dove si va ad am-mirare la lotta dell’uomo contro uomo.

Riguardo alla struttura attornoal pugilato, credi che soddisfile esigenze del pugile? Crediche si possa fare qualche cosadi più, e dove?

Certo si potrebbefare qual-che cosa di più. Si potrebbero aumentare leborse, sia a livello di dilettanti che per il pro-fessionismo. Bisognerebbe stabilire delle bor-se adeguate per un campionato d’Italia, adesempio. Una cifra adeguata che dia la pos-sibilità di mettere da parte qualche cosa. An-che per i dilettanti, non so esattamente cosaprendano ora, ma dovrebbero dargli la pos-sibilità, con due o tre incontri al mese, di met-tere da parte qualche cosa.Anche solo un mi-nimo, magari poco più che simbolico. Perquanto riguarda i pugili professionisti, biso-gnerebbe aumentare le borse e essere corret-ti nel mantenerle. Ad esempio, il campiona-to d’Italia lo portiamo a venti, trenta milioni:il 60% va al campione, il 40% allo sfidante,e queste sono le cifre che devono dare. Se unorganizzatore non riesce a trovare venti mi-lioni per un campionato d’Italia, che lascistare. Invece ora cercano sempre di tirar lacinghia, di darci sempre meno. La Federa-zione dovrebbe imporre una cifra precisa, darispettare. In questo modo sicuramente silavorerebbe meglio e si risolverebbero moltiproblemi.

Con che frequenza combatti?

Dipende. Difendo il titolo italianoogni tre, quattro mesi. Dunque disputo tre,quattro match all’anno per il titolo. E ulti-mamente ho fatto solo dei titoli.

E tra un match e l’altro cosa fai?

Mi tengo in forma, fre-quento sempre la palestra, anche se non pro-prio così intensamente come adesso che misto preparando per un incontro. In ogni casomi alleno regolarmente ogni giorno, vado acorrere, non sto mai fermo completamente.Sono stato fermo adesso che ho avuto un in-fortunio e ho dovuto fare venti giorni di ri-poso per guarire, ma normalmente non stoquasi mai fermo, faccio sempre qualcosa.

LUCIANO LOMBARDIIntervista realizzata il 23 maggio 2002, Velate

Ho preparato qualche doman-da, più che altro una lista di punti che vorrei toccare.

Sì, sì, anche perché non so cosa dirti,per cui se mi fai delle domande io rispondo;e poi rispondo alle domande alle quali ho vo-glia di rispondere. È sempre così, come conle ragazze.

Puoi iniziare con un’introduzione, parlami della tua carriera.

Ho 27 anni.Purtroppo, devo dire.Nella vita faccio il pugile professionista e neitempi morti, quando non sono in prepara-zione e in mantenimento, sono impiegato.Questo perché l’Italia ci porta a dover farenecessariamente un secondo lavoro. Nella si-tuazione italiana, con tutto quello che portavia il calcio, i pugili sono costretti a lavora-re, a meno che poi diventino campioni delmondo e allora forse riescono a mantenersi.Ho iniziato a 17 anni, molto tardi quindi.Questo anche perché c’è poca promozioneper quanto riguarda il pugilato e qui al nord,al sud la situazione è ancora peggiore, si tro-

va una palestra ogni venti, venticinque chi-lometri. E allora capisci che siccome di ora-tori e di campi da calcio ce ne sono quanti nevuoi, uno inizia per forza a giocare a calcio,non inizia certo a fare il pugile. Comunqueio ero uno che le prendeva quasi sempre, datutti. Perché poi qui, vivendo in Brianza, so-pratutto in questo punto della Brianza, c’èuna mentalità ancora molto arretrata. Noieravamo immigrati, i miei genitori sono delsud, e noi arrivando in questo paese erava-mo i meridionali, i terroni, e c’era sempre dalitigare con quelli del paese. Dovevi conqui-starti la stima. E io ero uno di quelli che leprendeva quasi sempre. Poi succedeva che leprendevo fuori casa e dentro casa da miamamma, perché se litigavo le prendevo per-ché litigavo, anche se le davo. Se litigavo e leprendevo, poi a casa le prendevo perché liti-gavo e in più anche perché le avevo prese.Allora ho iniziato a fare kick boxing, avevodelle qualità e infatti dopo un breve periodoche frequentavo la palestra mi hanno fattofare subito il primo incontro. Andavo bene,ho vinto qualcosa. C’era poi un torneo perdiventare campione d’Europa. Ero stato scel-to per parteciparvi e, per migliorare le tec-niche di braccia, mi ero iscritto ad un corsodi pugilato. Mi sono informato e ho trovatouna palestra a venti chilometri da casa. Al-lora avevo già il motorino e potevo quindimuovermi indipendentemente. Certo che seavessi avuto una palestra dietro casa avreipotuto iniziare a fare pugilato già dai quat-tordici anni, che è molto diverso dall’inizia-re a diciassette. Ho iniziato così a fare alle-namento di pugilato. Ho poi fatto il torneo dikick boxing che è andato bene e sono diven-tato campione d’Europa.Nella palestra di pu-gilato vedevano che andavo bene, che avevodelle qualità e mi hanno convinto a rimane-re e a fare il pugile. Anche perché a me pia-ceva come allenamento, era un allenamentodove si soffriva molto, dove si sudava. Nellakick boxing e in altri sport da combattimen-to fai la ginnastica, fai certo anche altre cose,ma con il pugilato vedevo che si soffriva dipiù. Il tipo di allenamento era molto più duroe completo. A volte ci rimanevi male perchénelle palestre di pugilato non ti trattano coni guanti, ti trattano da uomo, ti trattano comeuna persona normale. Se ce la fai a stare die-tro quando corrono bene, se non ce la fai tiarrangi e gli altri vanno. Per cui, per forzadi cose, un po’ per orgoglio e un po’ per ver-gogna, piano piano cresci. Poi, poco dopo, hofatto un incidente, ho rotto le gambe e unbraccio e sono stato fermo più di un anno.Continuando dopo la pausa ho visto che i ri-sultati arrivavano, l’allenamento mi piacevae ho iniziato a fare esclusivamente pugilato.C’erano delle cose in vista, mi piaceva, c’eral’obbiettivo della Nazionale. Poi è diventatoun lavoro e adesso sono qui. Per farla breve,altrimenti...

Mi puoi parlare dell’ambientedella palestra, di questo spaziodove si cerca continuamentedi migliorare attraverso unesercizio quotidiano. Come lovedi, cos’è per te?

Se mi devoricordare il primo gior-no, quando sono entrato per la prima voltain una palestra di pugilato, sembrava davve-ro un ambiente strano. Hai in testa tutte lecose che senti sul pugilato, che c’è la mafiadi mezzo, che gli incontri sono truccati, tuttecose di questo genere. Entri e vedi che la pa-lestra è una cantina, senti gli odori dei sac-chi… È sempre l’idea negativa di quello chela società ci presenta come il mondo del pu-gilato che hai in testa. Allora già entri conun’idea preconcetta, perché credi a tutte lecose che si dicono. E puoi avere anche deidubbi: magari ti vogliono dare un normale in-tegratore minerale e pensi che ti vogliano da-re chissà che cosa. Poi quando la conosci unpo’ meglio, ti accorgi che la palestra è un am-biente frequentato da ragazzi che sono comete. Io ora ho frequentato parecchio l’am-biente, ho conosciuto anche pugili amatori,anche chi non sarà mai un campione, o chiviene in palestra solo per tenersi in forma,e sono tutti ragazzi a posto. È come dice ilmio dottore: non esiste un pugile cattivo. Cer-to, con gli anni, durante il lavoro, con la com-petizione, può subentrare l’invidia, la gelo-sia, il dispetto. A volte prendi dei colpi in al-lenamento e ti fai male, allora l’indomanicerchi di dargliele tu, gli rimetti il colpo tec-nicamente, senza mai essere scorretto, e ba-sta.Anche in queste situazioni c’è sempre ri-spetto e amicizia. Sul ring c’è la competizio-ne, che è diverso. Sul ring il tuo amico ti puòfare male e non ti chiede neanche scusa, mapoi fuori dal ring ci si aiuta se ci sono deiproblemi. Una cosa bella del pugilato è que-sta: non c’è un pugile cattivo, non c’è un pu-gile che non aiuta l’altro. Poi, purtroppo, co-me ho detto possono subentrare altre cose:tu vai meglio, magari nasce l’invidia, la gen-te parla… Il pugile è un atleta che è abitua-to a soffrire, capisce la sofferenza, soffre disuo, a volte prende delle fregature. Succedeche ti fregano l’incontro dopo mesi di alle-namento e di sforzi, magari hai anche litiga-to con la ragazza perché la trascuri a causadella tua attività, perché sei teso e non vedidelle cose. Magari ti sei isolato per due me-si, il che vuol dire niente discoteca, nienteamici, vuol dire che anche il venerdì e il sa-bato sera vai a letto alle undici. A sedici an-ni inizi a privarti di determinate cose che ilfuturo e la vita non ti daranno più. Il pugilein un certo senso è anche stupido perché glibasterebbe vincere l’incontro. Gli bastereb-bero la gloria, i titoli sui giornali. Non sononeanche i soldi che lo spingono a fare quelloche fa, ed è questa la stupidità del pugile, checombatterebbe anche gratuitamente. E allo-ra a volte prende delle fregature. Magari tirubano l’incontro o il giorno prima dell’in-contro ti sei fatto male, ma dopo due mesi disacrifici non vuoi dir di no, vuoi combattereugualmente ed è inevitabile che il combatti-mento ti lasci delle delusioni. C’è poi chi, de-luso, manda tutto a quel paese perché non cicrede più, non ha carattere, e invece c’è chiriesce a risollevarsi, come a me è capitatospesso, anche recentemente. Devi riprender-ti, fare mente locale, cercare di non fare al-tre stupidate, non trascurarti, prenderti die-ci giorni di riposo per poi ri-iniziare da capo,convinto. Devi iniziare di nuovo a correre lamattina, trovare lo stimolo, trovare l’obbiet-

tivo. Devi cercare di capire perché questa si-tuazione è stata possibile e capire come de-vi reagire. Tutte queste cose secondo me lagente non le conosce e allora dà un suo giu-dizio parziale sull’attività del pugile. Se lagente venisse informata su queste cose, ilmodo di vedere un pugile o un incontro in te-levisione sarebbero molto diversi. Non comeora che appena un pugile fa qualche cosa, vain galera, solo allora arrivano i titoli sui gior-nali e il giudizio negativo delle persone. Maquanti altri atleti vanno in galera? Però il pu-gile è quello che deve essere sempre sotto ti-ro perché nella sua attività tira i cazzotti.Certo, tira i cazzotti, però ha una tecnica. C’èrispetto e c’è lealtà. Inoltre il pugilato ha ori-gini molto antiche e nobili. La “noble art” èstata inventata in Inghilterra, la facevanosolo i ricchi perché dovevano imparare a bo-xare per difendersi dai malviventi che li vo-levano derubare. E infatti solo i ricchi pote-vano permettersi le lezioni di pugilato. Ades-so il pugilato è degradato, è accusato, anchese poi ad esempio non c’è mai stato un casodi doping. Sì, magari ti rubano l’incontro, maquesto succede dappertutto. Fregano anchele partite di calcio, da sempre. Ma è sopra-tutto il pugilato che mantiene questa fama.

Certo, è sopratutto il pugilatoche ha una reputazione negati-va. È sempre presente il clichédel pugile violento nella vita eignorante, dato il più delle vol-te dall’ignoranza di chi parlasenza conoscere minimamen-te il soggetto, senza mai esse-re entrato in una palestra osenza aver mai visto qualcheincontro.

Io vado a lavorarein giaccae cravatta in ufficio durante le mie otto oredi lavoro, sono educato, ho rispetto delle per-sone che se lo meritano. Mi sono allenato aCuba nella fame, in America dove ci sono isoldi e dove la gente comunque si sacrifica,a Milano dove sono tutti fighettini, dove nes-suno ha un obbiettivo e lo fanno solo per po-ter dire “vado a fare il pugile”. Dappertuttoho avuto rispetto e ho dato rispetto. Certoche sono capace di dire buon giorno e buonasera, però sono anche capace di darti due cal-ci nel culo se mi manchi di rispetto. Invecechi non ha coraggio, di conseguenza è sotto-messo. E allora quella è considerata una bra-va persona, solo perché subisce. Dare dei pu-gni e non prenderne poi non è facile. Devipicchiare ma allo stesso tempo devi farti an-che picchiare, fa parte del gioco. Secondo ilmio punto di vista, già solo per il fatto cheuna persona sale i gradini del ring per af-frontare un altro uomo deve essere rispet-tata. E questo vale sia per un brocco sia perun campione. Non penso che il fatto di sali-re sul ring, cercare di non prendere pugni edarli all’avversario, non penso che per faretutto questo non ci voglia intelligenza e ra-gionamento. Non è poi così semplice tiraredei pugni, ci vogliono delle qualità. Solo chein Italia queste qualità non vengono apprez-zate. Lo vedi dal fatto che in Italia io, che so-no un pugile professionista, sono costretto alavorare. Se un calciatore svolge la sua atti-vità a tempo pieno, a parte tutti i soldi cheprende e a parte il fatto che come atleta se-condo me vale la metà di molti altri, pugili,nuotatori o altro, allora è una brava perso-na, è intelligente, è un fotomodello, deve fa-re la fiction. Mentre se un pugile fa il suo la-voro a tempo pieno, senza alcuna altra atti-vità parallela, allora è un delinquente perchéfa solo il pugilato. Quindi il pugile è costret-to, anche solo per un fatto di immagine, a la-vorare. Allora si dice che “lavora, è comun-que un bravo ragazzo”, oppure “è una testadi cazzo ma almeno lavora”. Se fai il pugilea tempo pieno invece vieni visto per forzacome un attaccabrighe, perché la società e imedia impongono l’immagine stereotipatadel pugile delinquente. Se poi un calciatoreviene a trovarsi in uno scandalo di cocainao altro i giornali ne parlano per dieci giorni,poi basta, tutti se ne dimenticano. Se il pu-gile fa una cosa anche meno grave viene su-bito criticato e attaccato molto duramente. Ildiscorso alla fine è sempre quello, sei inqua-drato subito in un certo modo. Invece i pugiliin America, vedi ad esempio un De La Hoya,sono maggiormente seguiti e rispettati sia co-me persone sia come atleti, e allora anchesul lavoro sono più tranquilli. Questo è im-portante. L’altro giorno ero in palestra e,parlando, mi dicono che in Italia non ci sonofuoriclasse, neanche uno. In America ho fat-to lo sparring partner con pugili importantie mi hanno fatto i complimenti, ma se lo di-ci qui, subito ti criticano: “chi ti credi di esse-re”, fai la figura dello sbruffone. Già fai fati-ca a lavorare, e in più devi lottare tutti i gior-ni con queste cose. Non hai la tranquillitànecessaria perché hai delle tensioni addossoche non ti fanno lavorare come si deve. Que-sto ti può portare a sbagliare e a perdere del-le opportunità. La tranquillità interiore e l’a-spetto psicologico, oltre che l’allenamento,sono fattori molto importanti. Perché ancheil matematico, se deve fare uno più uno e nonha la mente libera, il calcolo non riesce a far-lo: la soluzione per un problema anche sem-plice non la trova. I miei migliori incontri liho fatti quando ho avuto al mio fianco le per-sone giuste, che mi hanno dato la tranquilli-tà mentale e psicologica. Puoi capire e valu-tare cosa il pugile debba riuscire a soppor-tare a livello sia di sofferenza fisica siamentale. C’è chi ce la fa, che ha la fortuna diavere il carattere e la volontà giusti, c’è chiinvece non ce la fa. Avrai sempre delle diffi-coltà, anche perché il pugile oggi sei tu, mapoi domani ti danno un calcio nel culo, ti met-tono da parte e cercano di costruirne un al-tro, e di questo ne sei cosciente. E poi c’è lapaura e la tensione di non dover sbagliare,perché nel pugilato non hai margini di erro-re, se perdi devi ricominciare tutto da capo,e non è semplice. La tensione quindi è sem-pre molto alta. Vinci bene dieci incontri poisi ricordano solo dell’unica sconfitta. Il pugi-lato è così.

Infatti uno degli aspetti che miinteressano in questa discipli-na è che chi la fa, sopratutto in Italia, è perché per forza

di cose è estremamente con-vinto di ciò che fa, crede nel-l’attività che ha scelto. Il pugilato diventa come unsuo credo personale.

Chi fa il pugile in Italiaè perché è un pazzo. Quando arriva a questopunto, se ci pensi bene, è un pazzo e per lagente è uno stupido. A volte ci credi pure tue ti chiedi, “ma a me chi me lo fa fare? So-no giovane, posso avere le donne che voglio,vivere come voglio, chi me lo fa fare di su-dare, soffrire, sacrificarmi così? Per che co-sa?”. Chi fa pugilato in Italia è un pazzo. Chifa pugilato a Cuba non è un pazzo perché hala possibilità di venir fuori e viene rispetta-to e considerato. Il campione a Cuba ha damangiare, ha la sua casa, allora non è unpazzo. In Italia i diritti televisivi se li frega-no i procuratori, la televisione non dà ap-poggio o ti manda in differita, i giornali nonti danno spazio; è un pazzo e un masochistachi fa pugilato in Italia. Abbiamo avuto deigrandi pugili ma poi ci hanno rovinato, nonsi sa chi. E questo succede anche perché a li-vello politico non siamo sostenuti. Prima eradiverso, La Rocca per esempio lo ha fatto unpolitico, non vorrei dire qualche cosa di sba-gliato ora, ma l’ha sostenuto mi sembra Per-tini. Lo hanno portato qui e lo hanno fattodiventare italiano. Abbiamo avuto GiovanniParisi, un grande amico, che ha portato il pu-gilato a dei livelli molto alti. Abbiamo avutoBenvenuti, Calambai, che se li ricordano an-che in America, sanno chi sono, e poi Da-miani… Purtroppo ora la situazione è moltodifferente. Qui in zona mi conoscono, tuttisanno chi sono e dove abito, ma non serve aniente perché fai sempre fatica ad arrivarea fine mese, anche se sei uno dei cinque pu-gili migliori in Italia. Per questi motivi orasto cercando una possibilità in America, masai cosa vuol dire questo e che cosa compor-ta: significa prendere le tue cose e andare là,in un mondo che non ti appartiene, dove laconcorrenza è spietata, dove sei da solo, nonsei a casa tua.

Stai andando a Las Vegas, mi dicevi.

Sì, sto andandoa combatterea Las Vegas, ho bussato più volte e ora va-do. Ma devo andare io lì a prendere quelloche voglio, devo investire e rischiare io inprima persona, non mi dà niente nessuno.Poi torni in Italia e ci sono sempre invidie,gelosie… Come fai ad andare avanti se nonsei orgoglioso dei tuoi atleti, della tua patria?Anche a Cuba sono nazionalisti, conosconotutto, le proprie nazionali, anche quella dipugilato. In Italia siamo troppo disfattisti.Guarda Hollywood: in realtà è un quartieremalfamato ma all’estero viene promosso co-me il paradiso, con le prime dei film, gli at-tori famosi. Qui in Italia ci sono i monumen-ti, c’è storia, abbiamo la cultura ma poi nonsi valorizza quello che abbiamo, si guardanosolo gli aspetti negativi. Non siamo orgoglio-si delle nostre cose, o solo quando ci fa como-do. Ecco perché in Italia alcune cose non van-no avanti. Tra queste il pugilato, come certoaltri sport.

Com’è la situazione a livelloeuropeo?

A livello europeo il pugilatova bene, tranne nei paesi dell’est, paesi po-veri, dove però hanno molte soddisfazioni alivello dilettantistico e se sei un campionevieni trattato bene, la gente ti rispetta, vieniaiutato perché sei un olimpionico. C’è la Ger-mania dove il pugilato sta andando molto be-ne, anche la Francia, l’Inghilterra. Sono si-tuazioni dove il pugilato viene appoggiato daimedia, dalle televisioni, dagli sponsor. In Ita-lia in televisione il pugilato non lo vedi qua-si più. In parlamento un esponente di AN siè lamentato con la RAI chiedendo perché nondesse nessuno spazio al pugilato. QuandoBenvenuti ha combattuto contro Griffith alMadison Square Garden a New York, per laconquista del mondiale dei medi, avevanodato la possibilità di seguire l’incontro perradio anche ai lavoratori perché avevanopaura di uno sciopero nazionale. Il pugilatolo stanno rovinando i media.

Il cliché del pugile ignorante eviolento è duro da abbattere.

Certo. Io soquello che voglio, ma-gari non ho la dialettica giusta per espri-merlo correttamente, ma so quello che vo-glio. Non ho studiato fino a quarant’anni al-l’università mantenuto dai genitori ma soquello che voglio.

Questa forte convinzione nelletue idee, in quello che fai, deri-va anche dal pugilato, dal tipodi allenamento che devi segui-re e dal tipo di mentalità chedevi avere quando sali sulring?

Non so, ho avuto una vita particola-re perciò non so se derivi dal pugilato o daquello che ho vissuto. Ho perso la madrequando ero molto giovane e il pugilato è sta-to per me l’unica cosa che riuscivo a fare eche sono capace di fare al meglio.Avrò anchealtre qualità ma al momento mi sento di farequesto. Credo in questo nonostante le delu-sioni, perché il pugilato non mi ha mai tradi-to e non mi tradirà mai perché tutto dipendeda me. Mi può tradire mia moglie, la mia ra-gazza, ma il pugilato non mi tradirà mai. Piùdi una volta mi hanno tradito alcuni uominiche girano attorno al pugilato, alcune socie-tà, alcuni maestri, alcuni dirigenti, ma il pu-gilato mai.Mi ha dato anche molto,mi ha fat-to capire delle cose,mi ha fatto superare mo-menti brutti.Magari non mi lascerà dei soldi,non mi lascerà una casa al mare o una Por-sche, però mi ha lasciato qualche cosa di piùimportante: la mia maturazione, la mia cre-scita. Mi ha magari anche impedito di faredelle cose, delinquenza o altro. Sono rimastosolo a vent’anni, senza l’appoggio di nessu-

no.Non so come un ragazzino a quell’età pos-sa affrontare le cose. Vedo alcuni miei amicidi allora, che avevano magari i genitori cheli aiutavano, ora vedo che fine hanno fatto.Sicuramente il pugilato mi ha dato qualchecosa anche come educazione. È uno sport ba-sato sulla sofferenza, sofferenza e sofferen-za, e quando soffri tanto poi impari. Se seisul ring che non ce la fai più ma devi reagi-re, devi trovare la forza di volontà. Lì diventaun fatto mentale, è la tua testa che ti fa tro-vare la forza di reagire. Nel pugilato, nellamia attività, rischio la vita. Certo anche inaltre discipline rischi la vita, ma in quei ca-si è ad esempio la moto che ti può tradire,mentre nel pugilato non mi tradisce nessu-no. Nel pugilato devi essere umile, perché senon lo sei prendi di quelle lezioni sul ring chete le ricordi per un pezzo. L’umiltà o la im-pari o te ne vai dalla palestra. Quando faiuno sport, bene o male il tuo carattere si ri-specchia in quello che fai. Questo succede so-pratutto nel pugilato, che è lo sport più belloperché ti forgia il carattere e ti fa crescerecome uomo. Il tuo modo di essere si rispec-chia sul ring e facendo dei sacrifici, soffren-do, hai poi logicamente una visione diversadelle cose, della vita e dei problemi. È perquesto che a volte l’impressione che le per-sone hanno di te al primo impatto è di ir-ruenza: sembra che ti dai delle arie, che tusia un cafone, ma l’essere schietto e sponta-neo deriva anche da quello che fai. Non ve-dono quello che c’è dietro. Guarda i calciato-ri: sono sempre rotti. Anche a me è capitatodi farmi male, ma il giorno dopo sono in pa-lestra con il braccio ingessato e faccio quel-lo che posso. Loro si rompono e fanno mesidi convalescenza nei miliardi. Sono semprerotti, sempre rotti e non fanno i pugili. Ioprendo i pugni e sono qui. Poi il pugilato ticrea problemi anche nella tua vita persona-le. La tua ragazza, tua moglie – e a questoproposito ho parlato anche con vari campio-ni e ho scoperto che hanno gli stessi proble-mi – non riesce a capire come tu possa ave-re un amore per il pugilato, perché di amo-re si può parlare. Ti dice che tieni di più alpugilato che a lei; non è così, è che il pugila-to mi dà delle soddisfazioni di realizzazionepersonale. Se mi vuoi bene mi devi stare vi-cino, mi devi dare tranquillità quando salgosul ring, devi lottare con me. Poi viaggi, seiconcentrato, devi andare a letto presto. Lo soche non è facile stare assieme ad un pugile,però un pugile non fa niente di male: si alle-na, deve andare a letto presto, non può an-dare sempre al ristorante perché deve man-tenere il peso, ma non fa niente di male. Cer-to che è difficile, ma come tua compagnadeve capire certe cose. Sai, sul ring non puoifermarti, non puoi passare la palla al tuocompagno quando sei stanco perché sul ringse ti fermi ti picchiano, non ti puoi nascon-dere. E l’orgoglio mai ti farà abbandonare unincontro, mai.

Anche perché, se fai pugilatoad un certo livello, questo tiporta tutta una serie di conse-guenze che si riflettono nellavita personale, nella vita ditutti i giorni. E tutto viene por-tato all’estremo: il rapportocon il proprio fisico, il rapportocon lo sforzo, con il dolore, conle altre persone.

Sì, giusto. È difficile, ti condizionamolto. Ho avuto anche problemi all’internodella palestra, anche se quando ci vado micambio, mi alleno, sudo, saluto e me ne va-do. Parlo con tutti, cerco di dare consigli atutti, se ne hanno bisogno. In palestra nonvoglio problemi perché devo lavorare. È cheio non ho una mia palestra, sono sempre sta-to ospite, e allora spesso succede che quandoinizi a fare qualche cosa in più la gente par-la e nascono le invidie. Pensano: “cosa vienea fare questo qui nella nostra palestra?”.Alla “Doria” ora mi trovo meglio, mi hannoaccettato bene. I problemi sono anche questi.C’è collaborazione fino a quando non ci sonointeressi, fino a quando non rompi le scato-le. In una palestra di pugilato vai per soffri-re, per sudare e per lavorare, e basta. In al-tre palestre, come quelle di fitness, vai inve-ce anche per socializzare. Non entri in unapalestra di pugilato per parlare con quello ocon quell’altro, entri e sai che devi fare il tuolavoro, cercare di migliorarti, correggerti.Devi avere la volontà di lavorare anche dasolo e di gestirti. Dovresti avere il tuo mae-stro che ti segue, anche se poi io l’ho solo du-rante i ritiri, non durante l’anno. Sono ab-bastanza autosufficiente: quando faccio l’al-lenamento sono molto meticoloso, me loprogrammo. Ho anche un medico che mi se-gue, però alla fine io sono il mio medico, iosono il mio allenatore, io sono il mio dietolo-go, il mio psicologo.

Ma questo è perché mancanole strutture o perché è unaspetto che fa parte di questosport?

Essendouno sport individuale, sei tustesso che sai come stai, se stai bene o no.Devi conoscere il tuo corpo, come reagisce.Devi seguire quello che ti dice il tuo corpo,sai quando frenare un po’ l’allenamento equando invece forzare. Devi autogestirti,perché anche il maestro non può capire quel-lo che ti senti dentro. Può vedere che portimale un colpo, può vedere se sei stanco, madevi saperti gestire.

È un lavoro che dura 24 ore algiorno.

Alla fine sì. So che devo riposaredeterminate ore, so che devo andare a lettoad un’ora precisa, fare attenzione a quelloche mangio e bevo, digerire bene, fare atten-zione a tutta una serie di cose, a tutti gliaspetti della mia giornata.

LUCA MESSIIntervista realizzata il 10 giugno 2002 presso la palestra Bergamo Boxe, Bergamo

Sono campioneitaliano e cam-pione intercontinentale dei pesi welter. Hovinto da due mesi e mezzo il titolo italiano, l’8marzo, in un bellissimo incontro disputato quia Bergamo contro un varesino, Antonio Lau-ri. Che cosa posso dire? Faccio pugilato da die-ci anni, sono professionista da circa quattroanni e mezzo e ho cominciato l’attività quan-do avevo diciassette anni. Da quando ho ini-ziato mi alleno in questa palestra; ormai è co-me la mia seconda famiglia, qui ci passo granparte della mia giornata. Ho cominciato a fa-re pugilato quasi per sfizio. Mi piaceva farequalche cosa di un po’ diverso da tutti gli al-

Page 3: GABRIELE BAGNOLI STEFANO CASSI GIACOBBE FRAGOMENI Crociani_DEf.qxd.pdf · Quali sono i pregi e i difetti del pugilato, ... 15-0 significa quindi non aver portato un ... Non puoi andare

battere bene, di riuscire a fare tutto quelloche potevo fare, di portare avanti un buoncombattimento e alla fine perdere. E quindiva bene così, sei comunque soddisfatta an-che se non hai raggiunto la vittoria vera epropria. Sei soddisfatta di quello che hai fat-to, ed è già una vittoria questa, al di là delvincere o perdere l’incontro. Penso che quel-lo che conta sia riuscire a fare quello che hoimparato, riuscire a fare quello per cui homesso l’anima, per cui ho sudato.

Quindi in alcune situazioni lavittoria e la sconfitta sono rela-tive, l’importante è esprimereal massimo le proprie capaci-tà.

Sì, per me sì, i due valori, vit-toria e sconfitta, sono veramente relativi.Certo che se perdi un campionato italiano tidispiace, però se l’incontro è andato bene haicomunque una soddisfazione. E se poi l’av-versario era più forte e perdi va bene così,più avanti ci saranno altre possibilità di ri-vincita. L’importante è fare il massimo,sempre.

Rispetto ai media come ti po-ni? Come vedi il modo in cui avolte si accaniscono sul pugi-lato, giudicandolo spesso sen-za conoscerlo veramente?

È una cosa che dispiace, ci ho pen-sato parecchie volte. Il pugilato viene semprevisto come uno sport violento e basta. Il mo-tivo di questo accanimento non lo so. Si èsempre legati alla vecchia convinzione che ilpugilato sia solo tirarsi cazzotti e niente dipiù, ma di fatto non è così perché c’è uno sti-le, c’è una tecnica, ci sono tanti fattori in gio-co. Non so, forse gli italiani sono un po’ “bac-chettoni”, non lo digeriscono. Del perché nonne ho un’idea.

Certo che la visione che gene-ralmente si ha del pugilato èmolto superficiale. Quando loconosci anche solo un minimo,da dentro, frequentando lepalestre e andando al di sottodelle apparenze, incontri si-tuazioni e persone estrema-mente interessanti ed estre-mamente intense. Mi puoiparlare delle soddisfazioni edelle difficoltà che hai incon-trato durante la tua carriera?

Unadelledifficoltàiniziali èstata quella di salire sul ring, di avere genteche ti guarda mentre combatti. Questa diffi-coltà è nata per via della mia timidezza, poisostanzialmente non ne ho avute altre. Il re-sto sono soddisfazioni e basta. E anche perquanto riguarda il pugilato, vedo dei miglio-ramenti in tempi molto brevi: miglioramentinella velocità, nel colpo d’occhio, su tante co-se, questo mi dà molta soddisfazione. Poi horaggiunto molti traguardi, il più grande in as-soluto è stato l’aver vinto il mondiale di fullcontact.

Quante persone ti seguononella tua attività, e che ruolohanno?

Per quanto riguarda il pugilato,qui alla palestra “Bergamo Boxe” sono segui-ta dal maestro Egidio Bugada e ogni tantoanche da suo figlio, Fabrizio. Per la kick bo-xing c’è il mio ragazzo, che è anche inse-gnante nella palestra che frequento. Poi ab-biamo un manager a Livorno che si occupadi procurare gli incontri e di mettersi d’ac-cordo sulle borse.

Che rapporto c’è tra pugilato,kick boxing e violenza?

Nessuno.È vero che ci si danno caz-zotti, però non ci trovo proprio niente di vio-lento, non ci trovo violenza. Spero di noncambiare idea in futuro.

Che caratteristiche ha secon-do te il pugilato rispetto ad al-tre discipline sportive?

Mi piace perché alla fine di-venta una sorta di valvola di sfogo, cancellalo stress della giornata. A volte vedo che ar-rivo in palestra, sono stanca, ma poi anchesolo il gesto atletico del sacco mi porta a sca-ricare la tensione. Inoltre mi piace a livellotecnico, mi piace l’elasticità fisica che deviavere sia per le braccia che per le gambe.Questo lo ritrovo un po’ di più nella kick bo-xing, dove si fa più stretching perché si de-vono allungare anche i muscoli delle gambe.

Come ti ha cambiato la tuaattività sportiva?

Sono diventata un po’ più si-cura di me stessa,meno timida e forse riescoa relazionarmi di più con la gente rispetto aprima. Riesco ad avere quella sorta di sicu-rezza che mi permette di stare con la gentee sono diventata anche meno aggressiva,perché comunque la timidezza mi portava adessere più aggressiva. Adesso mi vedo piùtranquilla, più pacata.

In questi mesi di allenamentonell’ambito della boxe ti seifatta una tua idea personale suquesta disciplina, un tuo puntodi vista?

Per me sono tutte piccolesfide con me stessa, nel senso che sono quie mi alleno per il raggiungimento di un miotraguardo personale, interiore.

LUCA MESSIInterview at the “Bergamo Boxe” club, Bergamo, June 10,2002

I am the Italianchampion andthe Intercontinental welterweight champion.I won the Italian title two and a half monthsago on March 8th, a beautiful match here inBergamo against Antonio Lauri from Varese.What can I say? I’ve been boxing for ten years.I’ve been a professional for about four and ahalf years and I began this activity when Iwas seventeen. From the beginning, I’ve beenworking out in this gym, it’s my second fam-ily by now, I spend the best part of my dayhere. I began boxing almost as a hobby. I want-ed to do something a bit different from every-one else. I’ve always been someone whowants to distinguish himself in whatever hedoes. I’ve always done unusual things becauseI like to be different. Later however, I saw howmuch my character and physical traits as wellas my spiritual characteristics of sacrifice andsuffering were suited to this sport. The nec-essary qualities were there and I became con-vinced that I wanted to be a boxer. I began tofight, I won my first successes and from thereI reached the Italian championship. Beforelong, I’ll do the semi-finals for the Europeanchampionship. I’m happy to have chosen thisroute, it gives me a great deal,more than froman economic point of view, it gives me a lot ona human level.

Did you start straight awaywith boxing or did you try othercombat sports first?

No, I began with boxing straightaway. Before that I’d played football and I didmotocross… I did a little of everything but thefirst thing that I did seriously was boxing.Therest I did for fun.

I’m asking you because I’veseen that many boxers in re-cent years begin with othercombat sports like kickboxing, and only later come toboxing.

I started with boxingasa combat sport, thank God, otherwise I mighthave wasted years with a sport that was nicebut one that doesn’t get you anywhere, atleast that goes for Italy where several sportslike kick boxing are not yet at the level of box-ing. With boxing you can earn money andmake a position for yourself in the officialsports world. We shouldn’t forget that boxing,as opposed to other combat sports, is anOlympic sport. Being in the National Teamgives you the possibility to travel all over theworld, and the media pays attention to you,which isn’t true of other sports. Thereforeboxing definitely can do something for you.

Is it difficult to have a goodexchange with the outsideworld and feedback from themedia about what you do?

I am luckybecause I live in Berg-amo, which is pretty different from the restof Italy. Perhaps I behave differently frommany other boxers. I have always received alot of attention here from the local media, tel-evision and papers and I’m well known on apolitical level. I am popular here, and thisbrings me certain advantages, which is obvi-ously nice for me. Certainly on a national orinternational level boxers aren’t consideredanything. Recently there was the match withTyson, only big events make waves in the me-dia, whereas Italian or European championsaren’t even noticed. This is the case in Italy.If we leave Italy and go to France, England orGermany, boxing is still at an excellent level,not to mention in America. Unfortunately inItaly we’re still obscured in the shadows.Herefootball gets all the attention, and cycling,with the Giro d’Italia, although even that dis-appears for the rest of the year. Unfortunate-ly football is overshadowing us and in recentyears the media hasn’t done anything but talkbadly about boxing. I still don’t understandthe reason because in terms of danger, thereare many sports where the death rate is muchhigher than boxing. According to statistics,boxing is in tenth place regarding sports mor-tality.Car racing is first, then mountain climb-ing, scuba diving and parachuting… It’s justthat in these sports when something happensthey say it’s an accident, but when somethinghappens in boxing; it’s a drama. Then theytalk about abolishing this sport, they say it’sviolent.Why isn’t a sport where you kill your-self going 300 kilometres an hour or a rallythat runs over twenty people who are calmlywatching the spectacle considered violent?When I go into the ring, I know the rules. Iknow the risks I run, I don’t know why theyhave to be so ruthless.

The last time we saw eachother we touched on the rela-tionship between religion andboxing. We talked about suffe-ring and sacrifice for example,especially in the Catholic faith.Can you talk some more aboutthis?

I consider myself a Christ-ian failure. I’m one of those who believe inGod but don’t practice, which in reality is ab-surd. My brother is a priest and when I saidthat I’m a non-practicing Christian he askedme if I had a girlfriend. I said: “yes”.He askedif I “practiced” with my girlfriend. Practice…we all understand what that is. I said “sure”.“Then how can you love a person and notpractice her?” he said. You see that it’s ab-surd, you can’t say you believe in God and notpractice your faith. I must say that I do feelclose to God when I have a match and duringthe preparation period. I pray on the day ofthe match and I say thanks for winning or fornot getting hurt after the match. When youput yourself on the line, when you try to do

anything important that could risk your ca-reer or something more than your career,youseek something that gives you the strengththat you can’t find elsewhere, if not in your-self then in God. You hope that God will giveyou the strength, otherwise, alone,you would-n’t know where to look. Of course you alsotake refuge in something, in my sports bag Ialways have a picture of Christ with a prayerthat I read in church, when lighting a candle,before a match. I don’t pray to win. First Ipray that I don’t get hurt, then I pray to winand I pray that my opponent doesn’t get hurt.I think that any boxer going into the ringknows he is going to do something important.It’s almost a mission, because, whatever hap-pens, you put yourself to the test. You putyourself to the test in a way that you can un-derstand only if you’ve actually done it. Youtest yourself, you suffer for your belief, whichalmost becomes an ideology: a belief in your-self. It’s a bit like the Christians who faced suf-fering to defend their belief. When we go intothe ring, it may seem a bit excessive, but wego for our belief,which in that moment is our-selves. You face any risk, any suffering, toshow what you’re worth. It’s important to al-ways stay humble, you are there stripped ofeverything, wearing only shorts with a barechest, you cannot hide.There you are, in frontof everyone and everything, with this senseof risk. There can’t be any subterfuge. Thereisn’t a hiding place where you can recoverfrom a difficult moment: there is you,your op-ponent and that’s it, unless maybe your Godhelps you.

What is the value of victory foryou?

When you fight,victory is thebest thing, it is what you are looking for. It isthe climax of so much training, so much suf-fering and sacrifice. It is not the victory itselfthat brings satisfaction but the fact that whenyou win, you know you can aim towards an-other goal. It’s the continuing search for vic-tory that’s important, not the victory itself.When you win a match, maybe a title, youleave the ring and you’ve barely finishedthinking of that victory and you already haveanother objective in mind. Perhaps this is thenicest thing that sport can give you: you livein a totally different way from everyone else.When you live an athlete’s life, you savour lifein a different way because every morningwhen you get up you know there is a goal tomeet and the following day there is anotherand so on. I’ve had jobs: in a factory, I workedin a bar, I’m qualified as a physiotherapist andhave worked in the hospital. In this situationyou go to work and in the evening you comehome, you have a beer with friends and thestory’s over. Instead, it’s fantastic when youlive for a goal; it allows you to live life fully.Boxing is an ongoing process, you alwayshave stimulus and you always receive stimu-lus. Boredom and depression don’t exist be-cause you know that every day when you getup you have to work towards your goal. Ofcourse it’s not easy to always be going aftersomething, it’s tiring, a continuous physicaland mental suffering. You don’t live quietlybut you live life to the full.

One of the points that interestme in this boxing project is theaffinity between the artisticapproach and the attitudes ofthe boxers I have met. Forexample, this constantattempt to improve, to havenew goals in your mind, fin-ding new limits, reachingthem and finding new onesagain. It seems a kind of gam-bling with more than one set ofrules.

Of course,you’re always looking forsomething. I think that people who are ableto do something important in life are peoplewho are always searching. You always needa bit of madness to arrive at something greatand surely anyone doing a sport like mine isa bit crazy. I think the same thing happens inart, like you said, or in scientific research: acontinuous search for something, before long,leads you to do something great, if not for oth-ers, at least for yourself.

What role does the gym play inthis process?

The gym is the meansto arrive at your goal. When I go to the gymI forget everything else: anger, problems, joy,they are left behind.When I go to the gym I’manother person. I change, put on my trainingclothes, and in that moment I’m a boxer andI should only think about boxing. The gym islike the artists’ canvas, it is the right place foryou to be and you’re totally into it, even if out-side there’s a war going on. The gym is alsoa place to meet friends when a match isn’tcoming up. Also, in Bergamo I run the gymwith Omar Gentile, so I really spend the wholeday here. This is my full time job.

Can you make a living fromboxing and what you do at thegym?

Yes, sort of.Maybe I should learnto save a bit more… but as I said, living inBergamo, a city that loves me, and withOmars’ help, I manage to organize my ownmatches.I decide my fee. I decide my own career. I cando this because I can find sponsors who sup-port me because they know me. I’ve alwaysbehaved well and so people lend me a hand.

Perhaps there is more directcontact with the sponsors inBergamo compared to a biggercity?

Yes, that’s right. PlusBergamo is a wealthy city, they can handle it.

What is the relationship bet-ween boxing and violence?

I don’t think there is one. I re-alize that it isn’t easy to understand, becauseif you don’t know about boxing you see it la-belled as a violent sport. I can’t say it isn’t atough sport, it’s very tough. As in othersports, there’s physical contact, but in com-parison to other sports, boxing is still primi-tive and you see aggression in the full. I thinkthe fouls in football are more violent, you riskbreaking your opponent’s ankle by going be-yond the rules of the sport. That’s real vio-lence. The same is true for people cycling whopush and knock each other to the ground.Boxing has its rules, it started with hu-mankind and if it still exists now that meansit isn’t so violent. Everyone says that boxingis violent but when it’s on television theywatch it. That means either humankind iscrazy and loves violence or proves that box-ing is just a nice sport to watch. I read some-thing written by Mickey Rourke, who was aprofessional boxer by the way, even if he did-n’t achieve great results. It’s a phrase that Ifind describes boxing very well: “In boxingyou live man’s primordial instinct, the sameinstinct that society seeks to repress and de-stroy. Boxing allows me to express myself ful-ly, my rage, and my hate. These sentimentscome from desires which are frustrated by anempty society. I have never been able to freemyself of that fury nor will I ever free my-self, I can only live with it”. I think that’s abeautiful phrase, which explains why I box.By challenging myself, by suffering, boxinghas allowed me to stand out in this society, ithas enabled me to do something out of the or-dinary. Aggression is your personal thing, itisn’t directed at your opponent, it’s your thingthat you want to take control of and use. Ithink there’s violence everywhere but wedon’t talk about it. There is psychological vio-lence and the violence of your boss who ruinsyour life. In some places where I’ve worked, Icould see that they were destroying you men-tally and physically. If you’re weak they’lltake your soul away, they’ll treat you like aslave, sure of the fear you have of your su-perior. No one is ever superior to you, maybedifferent, but not superior.

How has boxing changed you?

Personally,boxingmade meunderstand the importance of sacrifice, whatit means to suffer, to get somewhere.This issomething today’s youth don’t understand.I’m young too but at seventeen it isn’t easynot to go dancing with friends and not to havea beer because you’re preparing for a match.You have to give up a lot if you really wantto do a sport well. Then you understand thevalue of sacrifice and you understand howgreat it is to sacrifice yourself to reach a goal.Victory repays all the sacrifices and gives youthe drive to face all that effort again. Thanksto boxing I have got to know people in differ-ent environments: politicians, businessmen,doctors and television people. At twenty-sev-en I have done things that many people onlydream about.

You spoke of what victory doesfor you. What about defeat?

Up until now, thank heavens, ithas given me the stimulus to demonstratethat I’m still worth something, it has given methe anger to do things again, it hasn’t everdiscouraged me. Certainly after lots of sacri-fice, it’s hard to lose, but then you can’t waitfor them to offer another opportunity to showwhat you’re worth. I think that every lossshould be taken as a stimulus. Every day inlife has losses, it’s important that they don’tget you down.

What can boxing give to a per-son?

Boxing has given meself-confidence, it led me to believe in my po-tential and my own capacity. Lots of peoplecould benefit from this sport.They could learnmore about what sacrifice is, respect for oth-ers and oneself, body culture, the importanceof good health, being careful with smokingand alcohol,knowing yourself fully and know-ing your limits. Many people who come to thegym are maybe a little shy and then bit by bitthey become more sure of themselves, havemore faith. When you’re sure of yourself youcan talk with people and look them in the eye,you’re not afraid or uncomfortable with oth-ers. I don’t understand people who speak toyou without looking you in the eye. If you’resure of yourself and know what you’re worth,even in front of a doctor or lawyer… They arepeople, that’s all. At times I ask myself, if Ihad a son would I want him to do boxing? Inmoments when you suffer a lot or when youenvy other athletes who work much less andhave much more glory, and not only econom-ic, then I say no. But then, I remember thatthis sport has completely changed my life, ithas given me opportunities that anotherwouldn’t have brought me. If I had continuedworking in the factory or as a physiothera-pist, I wouldn’t have had the excitement thatthis sport has given me, and there has beena lot of excitement. When, as an amateur, Iwon my first regional championship, I weptfor joy. These are emotions that you only feelwhen you do something different. Perhapswith art you experience certain emotions,youlive your life in a different way than others.

Yes, for sure. However, I thinkone of the differences in com-parison with boxing lies in thefact that in art the line betweenwinning and losing doesn’texist. For the same piece ofwork you can get very differentreactions, there’s no clear de-marcation. A judgement existsbut it’s always subjective. Thesatisfaction is found in otherthings that are less clear andnot in a final “victory”.

Perhaps in what you doyou have to have even more conviction thanI do, where if you win and have knocked outyour opponent, there’s nothing more to say.There are always disputes, but at the end ofthe day,you’ve won,you won the title. In whatyou do you’re always a bit… how can I say,you really have to believe in what you do.You’ve done a piece of work, you have to beconvinced of yourself and you have to be con-vinced that for you it’s an opera. That’senough. It’s yours, it comes from your heart,it’s your effort, you’ve created it and what theothers say doesn’t count. Even if in reality itcounts because if you want money in the bankyou have to find someone who says to you“this is beautiful, I’ll pay whatever you want”.You also know that you can’t live from satis-faction alone.

Are these aspects of boxingfound in other sports or do youthink it is the main characteri-stic of this discipline?

Well, all sports are a con-tinuous search for goals. I think the satisfac-tion is greater in boxing because there is moresuffering. I think the more you suffer forsomething the more joy you experience whenyou attain it. The satisfaction is proportionalto the suffering.

Describe your training, a typi-cal day.

When I’m preparing fora match I begin the morning with running,I run for an hour then I do a bit of gymnas-tics and a bit of stretching. After work out,I drink fresh juice and that lasts me untilnoon.For lunch I have a light meal:white rice,pasta or salad. Then I rest and at five I workout in the gym. Here, where my coach super-vises me, I work with the punch bags, in thering I do a little sparring, I do some skippingand weights… I do a little bit of everything.By the evening I’m so tired that at nine, ninethirty I’m in bed. When I’m in preparation Ialmost never go out in the evening. That’swhy afterwards I enjoy these things twice asmuch. When I’ve finished a match and I’vewon, I know that restaurants, discos and beerare waiting for me… You enjoy these thingstwice as much as everyone else. For me, ameal with friends is something wonderful,because I have deprived myself for so long.You know what it means to deprive yourselfof certain small pleasures. You reach thepoint where you dream of water at night,you’re thirsty but when you have to make theweight, you have to even be careful of whatyou drink. You learn to savour all the thingsof life.

During your workout in thegym I noticed that you are con-stantly being supervised byyour coach.

Yes, Egidio Bugada, he’sbeen working with me with a devoted passion,supervising me for ten years now. He is myboxing mentor.As far as boxing is concerned,I have him to thank. He made me who I am;he formed me.

When you’re not preparing fora match, what do you do?

I work out in the gym,a bit more relaxed. I do one workout a day, inthe gym and that’s all. I don’t go running inthe morning because at night I go to bed late.I keep in shape.Then fifty days before a matchI get myself going.When I’m not preparing fora match, I do all the things I don’t normallydo: I drink wine, go to restaurants and I loveto eat. I love to eat and travel, those are mytwo favourite things, apart from women obvi-ously, they are a vice.

How many matches do you doin a year?

As a professional, in fourand a half years, I’ve done twenty-two match-es. In the beginning you do a lot and then bitby bit, as you move up a level, the matchesget tougher and more difficult. By necessity,then the preparation is longer so the match-es are fewer.

Is there anything you wouldlike to add, any other pointsyou want to cover?

No,nothing. I would like to comeback to the fact that if I had a son I wouldgladly have him do this sport, hoping that hewould live it as I have, in the best way. I knowI’m lucky because few are able to live fromboxing the way I do. Many of my colleagueshave to work: maybe they work as buildersall day, in the evening they have to go to thegym and they have managers who give thema miserable fee. Most boxers are really treat-ed badly.

I think it’s nice that you canmanage your own matches,that you organize yourself.

Sure, I’m not hookedupwith anyone. I have a contract with my man-ager, but I can say yes or no whenever I want.

Translated by Debra Dolinski Edited by Anna Best

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tri. Sono sempre stato uno a cui piace distin-guersi in qualsiasi cosa: ho sempre fatto cosestrane proprio perché mi piace fare cose di-verse dagli altri. Più tardi, comunque, ho vi-sto che le mie caratteristiche di carattere e fi-siche, ma anche le mie doti spirituali, di sa-crificio e di sofferenza, erano adeguate aquesto sport. Le qualità c’erano e mi sonoconvinto del fatto che nella mia vita avrei vo-luto fare il pugile. Ho cominciato a combatte-re, ho raccolto i primi successi, e da lì sono poiarrivato al campionato italiano. Tra poco dis-puterò le semifinali per un campionato euro-peo. Sono contento di aver imboccato questastrada,mi sta dando tanto. Più che da un pun-to di vista economico mi sta veramente dan-do molto sul piano umano.

Hai iniziato direttamente con ilpugilato o hai affrontato primaaltre discipline da combatti-mento?

No,ho iniziato subito dal pugilato. Primagiocavo a calcio, facevo motocross… Ho fat-to un po’ di tutto, ma la cosa che ho fatto dasubito seriamente è stato il pugilato. Il restol’ho sempre fatto per gioco.

Te lo chiedo perché ho vistoche molti pugili, negli ultimianni, iniziano magari con altrediscipline da combattimento,come la kick boxing, e solo inun secondo tempo arrivano alpugilato.

Come sport da combattimento,grazie al cielo, ho iniziato subito con il pugi-lato, altrimenti avrei magari perso degli an-ni con discipline che possono magari esserebelle ma non ti portano a niente. Questo al-meno in Italia, dove alcune discipline comela kick boxing non sono ancora al livello delpugilato. Col pugilato puoi guadagnare deisoldi, farti una posizione nel mondo ufficia-le dello sport. Non dimentichiamo che il pu-gilato è, a differenza delle altre discipline dacombattimento, anche uno sport olimpionico.C’è la Nazionale che ti permette di girare ilmondo, siamo seguiti dai media, cosa chemanca ancora alle altre discipline. Insomma,il pugilato ti può dare qualcosa.

Trovi difficoltà nel creare unarelazione tra quello che fai e imedia, nel relazionarti con ilmondo esterno a quello speci-fico del pugilato?

Io sono fortunatoperché vi-vo in una realtà, quella di Bergamo, che è ab-bastanza differente da tutto il resto d’Italia.Poi, forse, mi comporto in maniera differen-te rispetto a tanti altri pugili. Io qui ho sem-pre ricevuto una buona attenzione dai medialocali, televisione e giornali, e sono molto co-nosciuto anche a livello politico. Qui sono po-polare e da questo mi derivano vari vantag-gi. E la cosa ovviamente fa piacere. Certo chea livello nazionale o internazionale, come pu-gili non siamo per niente considerati. In que-sti giorni c’è stato l’incontro di Tyson: sola-mente questi grandi eventi hanno un buonrisalto nei media,mentre noi che siamo cam-pioni italiani o europei non siamo per nien-te considerati. Questo in Italia. Se usciamodai confini nazionali e andiamo in Francia,Inghilterra o Germania il pugilato è ancoraa ottimi livelli, senza parlare poi dell’Ameri-ca. Purtroppo in Italia viviamo in una real-tà che viene messa in ombra. C’è lo strapo-tere del calcio, c’è il ciclismo con il giro d’I-talia, ma poi anche quello sparisce per tuttoil resto dell’anno. Purtroppo il calcio ci stacoprendo e, in più, tutti i mezzi di informa-zione in questi ultimi anni non hanno fattoaltro che sparlare del pugilato. Non ne capi-sco ancora il motivo perché come pericolosi-tà ci sono molti altri sport dove i casi di mor-te sono più frequenti rispetto alla boxe. Se-condo le statistiche il pugilato è al decimoposto degli sport a rischio di mortalità. C’èprima l’automobilismo, l’alpinismo, la pescasubacquea, il paracadutismo… Soltanto chein questi sport quando succede qualche cosaè una disgrazia, quando succede qualche co-sa nel pugilato invece è un dramma. Alloraparlano di abolire questo sport, parlano disport violento. Non vedo perché non vieneconsiderato violento uno sport dove uno siammazza a 300 chilometri all’ora con lamacchina o un rally che falcia venti personeche stanno guardando tranquille lo spetta-colo. Io quando salgo sul ring so le regole, soi rischi che corro; non vedo perché ci si deb-ba accanire così tanto.

L’ultima volta in cui ci siamovisti abbiamo toccato l’aspettodel rapporto tra religione epugilato. Abbiamo ad esempioparlato della sofferenza, so-pratutto nella religione cattoli-ca, e del sacrificio. Mi puoiparlare ancora di questo argo-mento?

Io mi ritengo un cristianofallito. Sono uno di quelli che crede in Dio manon pratica, che in realtà è un’assurdità. Houn fratello prete e quando gli ho detto chesono un cristiano non praticante mi ha chie-sto se avevo una ragazza. Io ho risposto disì. Mi ha chiesto se “pratico” la mia ragazza.Pratico… abbiamo capito cosa. Gli ho detto:“certo”. “E allora come fai ad amare una per-sona e non praticarla?”,mi ha detto.Vedi cheè un’assurdità, non puoi dire di credere inDio e poi non praticarlo. Devo dire che mi av-vicino molto a Dio quando ho un incontro edurante i periodi di preparazione. Prego ilgiorno del match e lo ringrazio dopo l’incon-tro per aver vinto o per non essermi fattomale. Quando si arriva a mettersi in gioco,quando si cerca di fare un qualche cosa digrande che può mettere a rischio la carrie-ra, e anche qualche cosa di più della carrie-ra, si va alla ricerca di quel qualcosa che pos-sa dare la forza che non si può trovare danessun’altra parte, se non in se stessi e in

Dio. Speri che Dio ti dia quella forza che al-trimenti, da solo, non sapresti dove andarea prendere. Certo è anche un rifugiarsi inqualche cosa: nella mia borsa di pugilato hosempre un’immaginetta del Cristo con la pre-ghiera che leggo prima dell’incontro, in chie-sa, dopo aver acceso una candela. Non pre-go per vincere. Prima di tutto prego perchéio non mi faccia male, poi prego per vinceree prego anche perché non si faccia male ilmio avversario. Credo che qualunque pugile,quando sale su un ring, sa di andare a com-piere qualche cosa di importante. È quasiuna missione, perché comunque ti metti al-la prova. Metti alla prova te stesso in un mo-do che solo chi l’ha provato può capirlo ve-ramente. Sfidi te stesso, provi dolore per unatua idea, che diventa quasi un’ideologia: cre-dere in te stesso. È un po’ come i cristianiquando andavano incontro a sofferenze perdifendere il loro credo. Noi quando saliamosul ring, è una cosa magari un po’ grossa dadire, ci saliamo per il nostro credo, che inquel momento siamo noi stessi. Vai incontroad ogni rischio, ad ogni sofferenza per di-mostrare che vali. L’importante è rimaneresempre nell’umiltà; sei lì spogliato di tutte letue cose, in pantaloncini, a torso nudo, nonti puoi nascondere. Sei davanti a tutti e a tut-to, con il rischio. Non c’è nessun sotterfugioo nascondiglio per superare magari un mo-mento di difficoltà: sei tu, il tuo avversario ebasta. E il tuo Dio che magari ti aiuta.

Cha valore dai alla vittoria?

Quando combatti, la vitto-ria è la cosa più bella, è la cosa di cui vai al-la ricerca. È il fine di tanto allenamento, ditanta sofferenza, di tanti sacrifici. Non è lavittoria di per sé che dà soddisfazione maquanto piuttosto il fatto che, vincendo, sai dipoter poi andare ad inseguire un altro obiet-tivo. È la continua ricerca della vittoria la co-sa importante, non la vittoria in se stessa.Quando vinci un incontro, magari un titolo,scendi dal ring ed hai già quasi finito di pen-sare a quella vittoria, hai in mente già un al-tro obiettivo. E questa è forse la cosa più bel-la che ti può dare uno sport: vivi in modocompletamente diverso da tutti gli altri.Quando vivi da atleta assapori la vita in mo-do diverso perché tutte le mattine, quando tisvegli, sai che quel giorno hai il tal obiettivoda raggiungere, il giorno dopo un altro an-cora e così via. Ho lavorato anche io, in fab-brica, ho fatto il barista, mi sono diplomatocome fisioterapista, ho lavorato in ospedale.Ma in queste situazioni vai a lavorare, poi lasera torni a casa, ti fai una birra con gli ami-ci ed è finito il discorso. È stupendo invecequando vivi per un obiettivo, perché ti per-mette di vivere pienamente la vita. Il pugi-lato è un processo continuo, hai sempre sti-moli, è un continuo ricevere stimoli. Noia edepressione non esistono perché sai che ognigiorno quando ti svegli ti devi impegnare perraggiungere un obiettivo. Certo non è facilevivere inseguendo sempre qualche cosa. Èuna fatica continua, una continua sofferen-za fisica e mentale. Non vivi tranquillamen-te, però vivi la vita pienamente.

Uno dei punti che mi interessa,in questo progetto sul pugilato,riguarda le affinità tra l’approc-cio artistico e il pugilato. Unesempio è proprio questo ten-tativo di migliorare continua-mente, di avere sempre nuovemete in testa, nuovi limiti dainventare, raggiungere, supe-rare e di nuovo inventare, af-frontando il rischio e mettendopiù di una cosa in gioco.

Certo, sei sempre alla ricerca di qual-che cosa. Credo che le persone che riesconoa fare nella vita qualche cosa di importantesiano persone che cercano continuamente. Civuole sempre un po’ di follia per arrivare afare qualche cosa di grande e sicuramenteuno che fa uno sport come il mio un po’ difollia ce l’ha. Credo succeda lo stesso in ar-te, come dicevi, o nella ricerca scientifica: laricerca continua di qualche cosa ti porta pri-ma o poi a fare qualche cosa di grande, senon per gli altri almeno per te.

Che ruolo gioca la palestra in questo processo?

La palestra è il mezzo che ti faarrivare al tuo obiettivo. Quando entro in pa-lestra mi dimentico di tutto quello che stafuori. La rabbia, i problemi, la gioia restanofuori; quando entro in palestra sono un’al-tra persona. Mi spoglio, metto la tuta e inquel momento sono un pugile e devo pensa-re solo al pugilato. La palestra è come la te-la per un artista, è la sua dimensione, ci seidentro completamente, anche se fuori ci so-no magari i bombardamenti. La palestra èanche un punto di ritrovo tra amici, quandosono lontano dall’incontro. Inoltre qui a Ber-gamo gestisco la palestra assieme ad OmarGentile, per cui ci passo veramente tutta lagiornata. È il mio lavoro a tempo pieno.

Riesci a vivere con quello cheguadagni dal pugilato e dallatua attività in palestra?

Sì,diciamo di sì.Forse dovreiimparare a risparmiare un po’ di più… Ma,come ho già detto, vivendo a Bergamo, in unacittà che mi vuole bene, e aiutato da Omar,riesco ad organizzare io stesso i miei incon-tri. Decido le mie borse, decido la mia car-riera. Questo lo posso fare perché trovo deglisponsor che accettano di sostenermi perchémi conoscono. Mi sono sempre comportatobene e allora la gente mi dà una mano.

C’è forse anche un maggiorecontatto diretto con le personerispetto ad altri centri più gros-si.

Sì,è vero.In più Bergamo è una cit-tà ricca, se lo può permettere

Che rapporto c’è tra pugilato eviolenza?

Nessuno,penso. Mi rendo conto chenon è una cosa facile da capire, perché chinon conosce il pugilato lo etichetta comesport violento. Non dico che non sia unosport duro, anzi durissimo. C’è, come in tan-ti altri sport, il contatto fisico. Però il pugila-to rispetto agli altri sport è rimasto primitivoe l’aggressività la vedi in tutta la sua pie-nezza. Io poi credo sia più violento il fallo cheviene fatto da un calciatore, che rischia dispaccare la caviglia al suo avversario e cheva al di là delle regole dello sport. Quella èviolenza vera. La stessa cosa vale per quel-li che in bicicletta si spingono e buttano interra l’avversario. Il pugilato ha le sue rego-le, è nato con l’uomo e se esiste ancora si-gnifica che non è poi così violento. Tutti di-cono che il pugilato è violento, ma poi quan-do è in televisione tutti lo guardano. O èl’uomo che è matto e ama la violenza o è che,semplicemente, è un bello sport. Leggo unafrase scritta dall’attore Mickey Rourke, chetra l’altro era un pugile professionista, an-che se non è mai arrivato a grossi risultati.È una frase che trovo descriva molto bene ilpugilato: “Nella boxe vive l’istinto primor-diale dell’uomo, lo stesso istinto che questasocietà cerca di reprimere e di distruggere.La boxe mi ha permesso di esprimere tuttome stesso, la mia rabbia, il mio odio. Eranosentimenti che nascevano da desideri fru-strati davanti alla vuotezza della società.Non sono mai riuscito a liberarmi da quellafuria né me ne libererò mai, posso soltantoviverci insieme”. Trovo sia una frase bellis-sima, che può spiegare perché faccio il pugi-lato. Sfidando me stesso, soffrendo, la boxemi permette di distinguermi in questa socie-tà, di riuscire a fare qualche cosa di non co-mune. L’aggressività è una cosa tua, non èdiretta contro l’avversario, è una cosa tuache vuoi sfogare. Trovo che la violenza èdappertutto ma non se ne parla: c’è la vio-lenza psicologica, la violenza del capo sul la-voro che ti rovina la vita. In alcuni posti do-ve ho lavorato ho potuto capire che ti di-struggono, fisicamente e mentalmente. Se seidebole ti portano via l’anima, ti trattano co-me uno schiavo, confidando nella paura ver-so chi è superiore a te. Che poi mai nessunoè superiore a te, magari è diverso, ma nonsuperiore.

Come ti ha cambiato la boxe?

Personalmente mi hafatto capire l’importanza del sacrificio, cosavoglia dire soffrire per raggiungere qualchecosa. Sopratutto per i giovani di oggi è unacosa che non sanno capire. Sono giovane an-ch’io, però a diciassette anni non è facile nonuscire a ballare con gli amici o non bere unabirra perché sei in preparazione per un in-contro. Devi rinunciare a molte cose se vuoifare veramente bene uno sport. Così capisciil valore del sacrificio e capisci quanto siabello sacrificarsi per raggiungere un obietti-vo. La vittoria ti ripaga di tutto il sacrificioche hai fatto e ti dà la carica per rifare an-cora tutta questa fatica. Mi ha cambiato an-che perché grazie al pugilato ho conosciutopersone di tutti gli ambienti: politici, indu-striali, dottori, gente della televisione. A 27anni ho fatto così tante cose che molte per-sone se lo sognano.

Hai parlato di cosa ti dà la vitto-ria. Cosa ti dà invece la sconfit-ta?

Fino ad ora,grazie al cielo, mi hadato lo stimolo per dimostrare che valgo an-cora, mi ha dato la rabbia per rifarmi, nonmi ha mai dato sconforto. Certo, dopo tantisacrifici, è dura perdere, ma poi non vedi l’o-ra che ti si riproponga un’altra possibilità didimostrare quello che vali. Penso che ognisconfitta debba essere presa come uno sti-molo. Nella vita, ogni giorno, ci sono sempredelle sconfitte: l’importante è che questo nonti abbatta.

Che apporto può dare il pugila-to ad una persona?

Il pugilatomi ha dato sicurezza inme stesso, mi ha portato a credere nelle miepossibilità e nei miei mezzi. Molta più gentepotrebbe trarre giovamento da questo sport:imparerebbe maggiormente cosa è il sacrifi-cio, il rispetto dell’altro e di se stessi, la cul-tura del fisico, il significato della salute, il fa-re attenzione al fumo, all’alcol. Conosci testesso, pienamente, conosci quali sono i tuoilimiti. Molte persone che vengono in palestrasono magari molto timide, poi piano pianoprendono più sicurezza in se stesse, più fi-ducia. Quando sei sicuro di te stesso parli conla gente e la guardi negli occhi, non hai pau-ra o soggezione degli altri. Non capisco chi tiparla senza guardarti negli occhi. Se sei si-curo di te stesso sai di valere, anche se seidi fronte ad un medico o ad un avvocato…Sono persone e basta. A volte mi chiedo: seavessi un figlio gli farei fare il pugilato? Neimomenti in cui soffro molto, o quando provoinvidia per altri sportivi che magari fannomolta meno fatica di me e hanno molte piùsoddisfazioni, non solo economiche, mi dicodi no. Ma poi penso che questo sport mi hacompletamente cambiato la vita, mi ha datodelle possibilità che con altre scelte non avreiavuto. Se fossi andato avanti a lavorare infabbrica o a fare il fisioterapista non avreimai provato certe emozioni che mi ha datoquesto sport, e devo dire che sono emozioniveramente forti. Quando da dilettante ho vin-to i primi campionati interregionali mi sonomesso a piangere dalla gioia. Sono emozioniche solamente quando fai qualche cosa di di-verso puoi provare. Forse anche tu con l’ar-te vivi emozioni particolari, vivi la vita inmaniera diversa da qualsiasi altra persona.

Sì, certo. Però una delle diffe-renze rispetto al pugilato credoconsista nel fatto che nell’arteil confine tra l’“hai vinto” ol’“hai perso” non esiste. Peruno stesso lavoro puoi avere

delle reazioni molto differenti,non c’è una demarcazionenetta. Il giudizio ovviamenteesiste ma è sempre arbitrario.La soddisfazione deriva spes-so da altri fattori meno chiari,non da una “vittoria” finale.

Forse nella tua attività deviavere ancora più convinzione che nella mia,dove se hai vinto e hai messo ko l’avversa-rio nessuno ti può dire niente. Le polemicheci sono sempre,ma in fin dei conti se hai vin-to, hai vinto un titolo. Mentre nella tua atti-vità sei sempre un po’… come dire, devi es-sere veramente convinto di quello che fai.Hai fatto un’opera: tu devi essere convintodi te stesso ed essere convinto che per te èun’opera. Basta. È tua, viene dal tuo cuore,è un tuo sforzo, l’hai creata tu e quello chedicono gli altri non conta. Anche se in real-tà conta, perché se vuoi dei soldi in banca de-vi trovare qualcuno che ti dica “questo è bel-lo, te lo pago quanto vuoi”. Sai anche tu chenon si può vivere solo di soddisfazioni.

Questi aspetti del pugilato leritrovi anche in altri sport opensi siano prerogative unichedi questa disciplina?

Tutti gli sport sono in ogni ca-so una continua ricerca di obiettivi. Con laboxe credo sia maggiore la soddisfazione per-ché maggiore è la sofferenza. Io credo chetanto più soffri per una cosa, tanto più gioi-sci quando l’hai raggiunta. La soddisfazioneè proporzionale alla sofferenza.

Descrivimi il tuo allenamento,la tua giornata tipo.

Quando sono in preparazioneper un incontro comincio la mattina con ilfooting, faccio un’oretta di corsa, poi faccioun po’ di ginnastica e un po’ di stretching.Dopo l’allenamento bevo una spremuta e ti-ro mezzogiorno. Per pranzo un piatto magro:riso in bianco, pasta o insalata. Poi mi ripo-so e alle cinque faccio l’allenamento in pale-stra. Qui, seguito dal mio maestro, lavoro aisacchi, sul ring, faccio un po’ di sparring, la-voro con la corda, con i pesi… Faccio un po’di tutto. Alla sera sono talmente stanco cheper le nove, nove e mezza sono a letto. Quan-do sono in preparazione non esco quasi maila sera. Ecco perché poi dopo le cose me legodo il doppio. Quando ho finito l’incontro eho vinto so che mi aspettano i ristoranti, ladiscoteca, la birra… Queste cose te le godidoppiamente rispetto agli altri. Per me unacena con gli amici è qualcosa di stupendo,perché me ne sono privato per lungo tempo.Sai cosa vuol dire la privazione di certe pic-cole soddisfazioni. Arrivi al punto che di not-te ti sogni l’acqua, hai sete, ma quando seitirato con il peso devi stare attento anche aquello che bevi. Impari ad assaporare tuttele cose della vita.

Durante il tuo allenamento inpalestra ho visto che sei co-stantemente seguito dal tuomaestro.

Sì, Egidio Bugada, che or-mai mi segue da dieci anni con una passio-ne quasi maniacale. È il mio padre pugilisti-co, per quanto riguarda il pugilato devo diregrazie a lui. È lui che mi ha creato, mi hatemprato.

E quando non ti prepari per unincontro cosa fai?

Mi alleno in maniera un po’ più ri-lassata. Faccio un allenamento al giorno, inpalestra e basta. Il footing alla mattina nonlo faccio perché di notte vado a letto tardi.Mi tengo in forma. Poi cinquanta giorni pri-ma dell’incontro mi metto sotto. Quando nonsono sotto incontro faccio tutto quello chenon faccio normalmente: bevo vino, vado alristorante, poi io amo mangiare. Io amo man-giare e viaggiare, sono le due cose che pre-ferisco. A parte le donne, ovviamente, chesono un vizio.

Quanti incontri fai in un anno?

Da professionista, in quat-tro anni e mezzo, ho fatto ventidue incontri.All’inizio ne fai tanti, poi a mano a mano chesali di livello gli incontri diventano semprepiù duri e difficili. La preparazione è neces-sariamente più lunga per cui gli incontri di-minuiscono.

C’è qualche cosa che vuoi ag-giungere, altri punti che vuoitoccare?

No, niente. Torno solo a dire chese avessi un figlio gli farei fare volentieriquesto sport, sperando che lo viva come l’hovissuto io, nel modo migliore. So di esserefortunato perché pochi possono vivere il pu-gilato come lo vivo io. Tanti miei colleghi de-vono andare a lavorare, fanno magari tuttoil giorno i muratori, la sera devono andarein palestra, hanno dei manager che gli dan-no delle borse misere. La maggior parte deipugili è trattata veramente male.

Trovo bello il fatto che riesci agestire direttamente i tuoi in-contri, ad organizzarti in modoautonomo.

Certo, non sono legato a nessuno. Houn contratto con il mio manager, ma possodirgli sì o no quando ne ho voglia.

BARBARA PLAZZOLIIntervista realizzata il 12 giugno 2002 presso la palestra Bergamo Boxe, Bergamo

Ho cominciato nel ’94a fare kick boxing. Non so se hai presente levarie specialità: il light, il full, il semi… Hocominciato con il light contact, ovvero il com-battimento continuato a contatto leggero, leg-gero in linea di principio, dove non è co-munque ammesso il ko. Dopo tre, quattro an-ni di attività sono andata in Nazionale dilight contact, adesso sono in Nazionale di fullcontact, disciplina dove invece il ko è am-messo. A livello di titoli ho vinto il mondialedi light nel ’99 e il mondiale di full nel ’01 aBelgrado. Poi alcune coppe del mondo e tito-li italiani.

Adesso sei passata anche al pugilato, portando avanticontemporaneamente le duediscipline. Per quale motivo hai deciso di fare questo passaggio?

Adesso chehanno aperto il setto-re femminile anche nel pugilato, la cosa è in-teressante: ti fanno combattere un po’ di piùrispetto alla kick boxing, dove a livello pro-fessionistico combatti tre, quattro volte al-l’anno. Nella boxe mi è sembrato di vedereche, almeno per le ragazze, combatti parec-chio di più.Hanno una buona attività, per cuial momento voglio provare e vedere come va.

Come mai ti sei interessa allaboxe, ci sono delle caratteristi-che specifiche che ti hannoattratto?

Mi piace la kick boxing e mi piace ilpugilato, ecco tutto.

Noti delle differenze tra le duediscipline? Non solo a livellosportivo ma anche riguardoall’atmosfera che si respira nei

due ambienti, differenze neltipo di persone che praticano eseguono questi due sport.

Diciamo chenel pugilato l’allena-mento mi sembra più serio, più strutturato,e come ambiente è più rigido. Nella kick bo-xing, secondo la mia esperienza, l’andare inpalestra diventa quasi più un divertimento,nonostante lo sforzo e il sacrificio. Nella pa-lestra di kick boxing, forse perchè ho il miogruppo di amici, l’atmosfera mi sembra piùrilassata, nonostante l’elemento del sacrifi-cio sempre presente. Inoltre, nel pugilato cisono altri interessi sotto, nel senso che adesempio c’è un’unica federazione, la Federa-zione Pugilistica Italiana, mentre nella kickboxing ci sono varie federazioni che portanola situazione ad essere più caotica.

Quindi l’organizzazione nelpugilato è più semplice, è piùchiara, ed è di conseguenzapiù chiaro anche che cosa staifacendo e a che livello sei arri-vata.

Sì, esattamente.

Per il fatto di essere donna haiavuto difficoltà nella tua attività sportiva o all’esterno di essa?

No, niente di particolare. C’è sem-pre un po’ di scetticismo, magari vedono untaglio sul viso, ti chiedono come te lo sei fatto.Gli dici che te lo sei procurato combattendoe a volte scatta una sorta di ilarità. Ilaritàcomunque sopportabile, prima o poi cambie-rà anche questa situazione. In questa pale-stra di pugilato non ho mai avuto problemi,anche se per me è nuova e per il momentosono una delle pochissime ragazze che la fre-quenta. Per quanto riguarda invece la kickboxing, con i miei compagni di palestra è datanti anni che ci conosciamo. Siamo cresciu-ti assieme e siamo ormai un gruppo di ami-ci molto unito.

Inoltre la kick boxing femmini-le è anche più diffusa e moltopiù radicata rispetto al pugila-to femminile.

Sì,molto di più.Sono dieci an-ni che nella kick boxing anche le donne van-no sul ring a combattere. Nel pugilato inve-ce è da pochissimo che hanno dato questapossibilità, forse neanche un anno. Certo an-che prima c’erano donne che si allenavano,però dovevano tesserarsi all’estero perché inItalia non venivano riconosciute.

Quindi è solo da un anno che la Federazione ha ufficial-mente riconosciuto la boxefemminile?

Sì, le atletedovevano tesserarsi al-l’estero ed ovviamente andare a combattereanche all’estero. Di conseguenza oggi tutte lenazionali femminili italiane della Federazio-ne Pugilistica sono composte da ragazze cheprima hanno fatto kick boxing. Certo la bo-xe è un’altra cosa, ci sono da perfezionarealcuni colpi, occorre lavorare su piccole im-perfezioni, però almeno si ha già l’esperien-za del ring.

Come si pone oggi la Federa-zione riguardo al pugilato fem-minile? Cerca di promuoverel’attività?

Oggi si tienemolto in considera-zione la disciplina, forse perché abbiamo vin-to l’oro con la Galassi nel mondiale dilettan-ti. Fanno combattere parecchio le donne; misembra che la boxe sia un po’ risorta ancheper merito di questa novità. Mi sembra cheal momento stiano dando piuttosto impor-tanza alla cosa.

Nella tua attività hai giratomolte palestre per allenarti? E cosa pensi dell’ambientedella palestra?

Di palestre ne ho frequentatealcune, non moltissime, e comunque sempreattorno a Bergamo. L’ambiente è buono, mipiace molto. È bello il gruppo che si viene acreare, l’allenarsi insieme, il sacrificio, il gioi-re o no quando c’è un incontro, quando sivince o si perde. Mi piace molto l’ambientedella palestra, particolarmente nel caso del-la kick boxing, dove come detto ci alleniamotutti da anni e siamo proprio amici. Perchépoi alla fine ciò che conta è che si soffre eche si cresce tutti assieme. Poi ci si vede an-che al di fuori della palestra, per andare abere qualche cosa.

Ti alleni regolarmente ognigiorno?

No, non sempre, magari un giorno sì ungiorno no. Sarò una disfattista...

Mi puoi parlare del valore chedai alla vittoria? Cosa significadopo tanti sforzi arrivare avincere?

Vincere significa aver raggiunto untraguardo personale. È la soddisfazione diaver potuto esprimere tutto quello che ho im-parato, quello per cui ho sudato. La mia vit-toria è anche per tutte le persone che mi so-no state attorno, per le persone che mi han-no aiutata sia durante l’allenamento chefuori. Poi ci sono incontri che perdi, ma que-sta cosa, questa soddisfazione, la puoi rag-giungere ugualmente. Mi è capitato di com-