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Direttore Responsabile Luisastella Bergomi Editore Andrea Chiarenza Redazione / Uffici Amministrativi Via Raffaello 7/C, 26900 Lodi, LO. www.aksaicultura.net Registro Stampa n° 362 del 02/02/06 Tribunale di Lodi Chiuso in Redazione il g. 30/06/2018 Il Lato aperto pag. 04 Frine e la bellezza pag. 06 Passione mostre pag. 09 Pane e Pace! pag. 14 Milano. Proposte culturali pag. 13 Kazakhstan pag. 02 Gatto bianco gatto nero pag. 24 Giugno 2018 Da Edimburgo a Bristol pag. 31 Genova: Palazzo Spinola pag. 10 Tempio di S. Biagio pag. 25 Ho osservato la miseria del mio po- polo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele (Libro dell’Esodo) Un esodo di proporzioni immani è ciò che sta avvenendo e nessuno può riuscire a trovare una so- luzione se non attraverso la compas- sione e la carità, incanalando aiuti e rimedi verso un’unica e condivisa stra- tegia di accoglienza. Ciò non significa affidarsi ad un inefficace buonismo op- pure, al contrario, mettendo in atto tat- tiche difensive che si rivelano inutili e disumane, ma tracciando una via da seguire secondo un ben ragionato progetto che deve vedere la collabo- razione di tutti, anche di chi non è an- cora coinvolto, ma che presto non potrà più trincerarsi dietro l’indiffe- renza, o peggio, l’arroganza. Il dialogo continuo ed instancabile è la chiave per poter far vedere un po’ di luce in fondo al tunnel a chi ha abbandonato terre martoriate dalla guerra per tro- vare un angolo di pace.Tre madri hanno affrontato il viaggio vestendo di rosso tre bambini perché fossero rico- noscibili subito e potessero essere sal- vati per primi in caso naufragio, ma non è servito. Le immagini, macchiate del rosso di tre magliette hanno com- mosso, impietosito, suscitando una rabbia che si spera possa scuotere le coscienze perchè non succeda più. Philip Medhurst - Esodo

Gi g 2018 - AKSAINEWS · intestino, fegato, cura la gastrite, l’anemia ed è efficace per normalizzare il dia - bete. Infatti, quando inacidisce e durante la fermentazione produce

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Page 1: Gi g 2018 - AKSAINEWS · intestino, fegato, cura la gastrite, l’anemia ed è efficace per normalizzare il dia - bete. Infatti, quando inacidisce e durante la fermentazione produce

Direttore ResponsabileLuisastella Bergomi

EditoreAndrea Chiarenza

Redazione / Uffici AmministrativiVia Raffaello 7/C, 26900 Lodi, LO.

www.aksaicultura.netRegistro Stampa n° 362 del 02/02/06

Tribunale di LodiChiuso in Redazione

il g. 30/06/2018

Il Lato aperto pag. 04

Frine e la bellezza pag. 06

Passione mostre pag. 09

Pane e Pace! pag. 14

Milano. Proposte culturali pag. 13

Kazakhstan pag. 02

Gatto bianco gatto nero pag. 24

Giugno 2018

Da Edimburgo a Bristol pag. 31Genova: Palazzo Spinola pag. 10

Tempio di S. Biagio pag. 25

Ho osservato la miseria del mio po-

polo in Egitto e ho udito il suo grido a

causa dei suoi sorveglianti; conosco

infatti le sue sofferenze. Sono sceso

per liberarlo dalla mano dell'Egitto e

per farlo uscire da questo paese verso

un paese bello e spazioso, verso un

paese dove scorre latte e miele (Librodell’Esodo) Un esodo di proporzioniimmani è ciò che sta avvenendo enessuno può riuscire a trovare una so-luzione se non attraverso la compas-sione e la carità, incanalando aiuti erimedi verso un’unica e condivisa stra-tegia di accoglienza. Ciò non significaaffidarsi ad un inefficace buonismo op-pure, al contrario, mettendo in atto tat-tiche difensive che si rivelano inutili edisumane, ma tracciando una via daseguire secondo un ben ragionatoprogetto che deve vedere la collabo-razione di tutti, anche di chi non è an-cora coinvolto, ma che presto nonpotrà più trincerarsi dietro l’indiffe-renza, o peggio, l’arroganza. Il dialogocontinuo ed instancabile è la chiaveper poter far vedere un po’ di luce infondo al tunnel a chi ha abbandonatoterre martoriate dalla guerra per tro-vare un angolo di pace.Tre madrihanno affrontato il viaggio vestendo dirosso tre bambini perché fossero rico-noscibili subito e potessero essere sal-vati per primi in caso naufragio, manon è servito. Le immagini, macchiatedel rosso di tre magliette hanno com-mosso, impietosito, suscitando unarabbia che si spera possa scuotere lecoscienze perchè non succeda più.

Philip Medhurst - Esodo

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pag. 2Giugno 2018

LA CUCINA KAZAKA TRADIZIONALE

piatti più importanti della tradizione kazaka, che viene servitonelle ricorrenze famigliari e offerto agli ospiti d’onore. Etimologi-camente Besbarmak è composto da bes (cinque) e barmak (dita)in quanto i nomadi non usavano posate. Si tratta di una combi-nazione di carne, pasta di farina di grano, sorpa (brodo) e tuzdyk

(brodo salso con cipolle). Il tutto viene servito in un unico grandepiatto dove si pone la pasta e sopra la carne in grossi pezzi. Sututto si versa il tuzdyk e si aggiungono le patate in pezzi. Nellamoderna cucina kazaka le erbe aromatiche tritate vengono usatespesso e nel tuzdyk si aggiunge il peperoncino. A completamentoviene servito il sorpa nelle ciotole. Molto importante è il tagliodella carne e come viene servita nei piatti, in quanto le tradizionie la filosofia della vita dei kazaki sono ancora molto vive. Sipreparano molti altri piatti di carne, e non solo. Ad esempio il lag-

man, il plov, i manty, ma il besbarmak e’ indubbiamente il piu’ im-portante e amato. Il record e’ stato realizzato nella capitaleAstana il 6 luglio di 2015 durante la celebrazione del Giorno dellaCapitale, elencato nel Guinness dei primati, una preparazione ddi ben 736 kg. Nel marzo 2018 il record e’ stato battuto a Bishkek(Kirghizstan) con un peso esattamente doppio. Kazy: questo è

segue

KAZAKHSTAN

I kazaki erano una popolazione nomade e questofatto, naturalmente, ha lasciato il segno anche nellacucina nazionale. La carne, il latte e i prodotti a basedi latte fermentato erano i più usati. La preferenzaper il latte fermentato deriva dal fatto che per una po-polazione in movimento ne diviene più semplice la-conservazione. Non mancava il pane, spesso unafocaccia, chiamato “baursak”. Se nella sua lunga sto-ria il popolo kazako ha accumulato una vasta espe-rienza nella preparazione di carne e latte, la vitacontemporanea ha ampliato la gamma di piatti abase di verdura, frutta, pesce, frutti di mare, pastic-ceria e dolci, ma la carne e' rimasto uno dei principaliprodotti consumati. Montone, cavallo, manzo e tal-volta cammello venivano cucinati semplicemente,ma risultavano gustosi grazie ad essicatura, affumi-catura e salatura. Baursak: il nome deriva dalle pa-role kazake baurmasu e baur, che tradotto in linguarussa significa desiderio di unità, fratellanza. Baur-sak e’ una delle varietà di pane del popolo turco, aforma di ciambella quadrata fritto nell’olio, può es-sere preparato con oppure senza lievito ed è incre-dibilmente popolare in Kazakhstan, Kirgizstan eMongolia. Anticamente simboleggiava il sole e la fe-licità. Besbarmak: questo è stato e rimane uno dei

Amo cucinare diversi piatti kazaki e di altre nazionalità, ad esempio italiani, francesi, giorgiani e russi. Non pretendo di

avere l'autenticità dei piatti stranieri che cucino, ma il risultato non e’ male e spesso viene apprezzato dai conoscenti

stranieri. La prima volta che sono stata in Italia nel 2011 volevo provare la lasagna. In quell periodo non avevo ancora

conosciuto l’enorme varietà dei piatti italiani. Certamente, si possono ordinare e provare piatti italiani in tanti ristoranti

del mondo, come anche in Kazakhstan, ma senza dubbio vi sono grandi differenze con ciò che viene cucinato in Italia.

Questo non vuol dire che ad esempio in Kazakhstan non si sappiano cucinare i piatti italiani ed io non mi considero un

esperto culinario, ma provare almeno una volta semplici tagliatelle ai funghi porcini oppure un piatto di bucatini alla ro-

mana in Italia è una cosa completamente diversa. L’autenticità e l’atmosfera svolgono un ruolo enorme.Ogni cucina na-

zionale e’ un riflesso della vita che si è sviluppata nel tempo. Per questo motivo voglio raccontarvi della cucina kazaka.

Baursak. Preparazione a cura di Elvira Aijanova

Preparazione cenominata Bechbarmak

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Giugno 2018 Pag. 3

un piatto tradizionale kazako aamatoanche dal popolo turco, il ciboprediletto dai nomadi. Si tratta di unasalsiccia di carne di cavallo che siprepara solitamente in tardo autunno,perfetta per chi si spostava in quantosi conservava facilmente, ricca di pro-tine, pochi carboidrati ed assorbita ve-locemente, con vitamina A, C, B eparecchio ferro. Inoltre, il grasso dicavallo non congela e produce un ef-fetto di riscaldamento per il corpo,cosa molto utile ai nomadi nel temposevero delle steppe kazake in inverno.Le bevande kazake piu’ famose sono:“Kymyz (Kumys)”, “Shubat”, “Airan”enaturalmente anche il thè. Kymyz:preparazione a base di latte di giu-menta, è molto nutriente ed incarna laricchezza e la generosità della gentekazaka, Le proprietà sorprendenti delkymyzs sono state descritte daErodoto e Marco Pol, ma ne hannobevuto abbondantemente anchegrandi scrittori russi come AntonChekhov e Lev Tolstoj. Questa be-vanda normalizza la microflora intesti-nale e cura molte malattie associate alsistema digestivo, aumenta l’e-moglabina e produce un effettobenefico sul sistema nervoso. Shubat:prodotta con latte di cammello, questadeliziosa bevanda ha proprietà curati-

Kazakhstan

ve, considerata di miglior qualità quando viene conservata qualche giorno dopola preparazione. Tra le proprietà curtive di questa bevanda figura il trattamentodelle ulcere dello stomaco, asma, tubercolosi ed inoltre, normalizza il pancreas,intestino, fegato, cura la gastrite, l’anemia ed è efficace per normalizzare il dia-bete. Infatti, quando inacidisce e durante la fermentazione produce un fermentosimile all'insulina. Airan: si tratta di latte di mucca bollito e raffreddato, al qualesi aggiunge il fermento e si lascia riposare qualche ora. L’airan arricchisce i tes-suti e irrora di ossigeno gli organi aumentando il flusso di sangue ai polmoni,abbassa il colesterolo nel sangue, normalizza la pressione sanguigna, aiuta a

perdere peso. Tra le bevande più con-sumate sicuramente figura il thè, conaggiunta di latte o panna. Latradizione indica che deve essereservito riempiendone soltanto mezzobicchiere altrimenti gli ospiti potreb-bero pensare che il padrone di casevoglia metterli alla porta velocemente.Nonostante la semplicità i piattinazionali kazaki, sia quelli antici chemoderni, sono piuttosto vari. In questoarticolo ne ho nominati solo alcuni,considerati il biglietto da visita dellacucina nazionale, che contiene ancheanche alcuni piatti uzbeki, uigur, russi,tartari, coreani, che derivano dal fattoche il nostro passato è nomade e chein Kazakistan vivono in pace piu’ di120 nazionalità. Ovviamente se vuoiprovare un vero piatto kazako, deviandare in Kazakhstan, tutto da visi-tare e scoprire, un paese splendido.Elvira AijanovaLa preparazione a base di carne denominata Kazy

Bevanda Kymyz.

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pag. 4Giugno 2018

IL LATO APERTO

La nuova personale dell’artista Maddalena Rossetti a Cornegliano Laudense

Dal 26 maggio al 17 giugno a Cornegliano Laudense, presso l’Oratorio dei Santi Simone e Giuda, piccolo gioiello baroccosconsacrato, luogo di eventi pittorici per eccellenza, si è svolta la nuova mostra personale dell’artista Maddalena Rossetti.Attraverso un allestimento assolutamente suggestivo, sono state proposte alcune delle più recenti opere della Rossetti,alcune delle quali a carattere sacro ma sconfinante nell’umano, a rappresentare quanto questi due elemnti si fondanoin un unico pensiero che li racchiude. Di seguito la performance critica in chiave poetica presentata durante il vernissagedalla giornalista Luisastella Bergomi, che con questo testo si è sostituita all’artista parlando in prima persona.

E’ prigione la mia mente

ragnatele di sogni

in pieghe trafitte

Di me vorrei scrivere, raccontare, evo-care i segreti dell’anima che vibra disuoni e di emozioni, quando nonposso arrestare i pensieri, e procedopasso passo sommessamente oppureurlando, per dare voce al sogno.Come le onde del mare abbraccianola terra, immagini giungono alla spiag-gia della memoria, all’inizio sono soloun mistero illuminato, velato di giorni edi tempo, echi di un’attesa che mi tor-menta tra segnali pulsati dalla menteassorta. Scivolo nella grotta di cristallodel mio cuore. Buio. Sterpi mi feri-scono il viso, ma non mi arrendo men-tre continuo a cercare, sicura cheall’improvviso, divamperà la luce.

Nell’ampolla del tempo

raccolgo emozioni

e giorni sopiti

ritorno a cercare

Nell’impazienza della creatività, scom-pongo e ricompongo la verità del vis-suto, voglio provocare, insinuare ildubbio e stimolare percezioni, semprein bilico tra la realtà e l’evocazione,tentare di suggerire, tracciando fili diluce per indicare i percorsi, i significatinascosti da comprendere, nienteviene detto ma tutto deve essere in-tuito. Voglio accendere la fantasia, farrivivere l’intensità della passione ap-parentemente affievolita, cavalcandol’onda dell’immaginazione far emer-gere i tesori dell’anima.

Ho frantumato l’attesa

oltre i sentieri dell’impossibile

spezzando desideri

sulla via della sfida

Intanto, la musica delle idee siespande oltre ordine e ragione e inbalia di quest’onda affondo tra le pie-ghe dei ricordi e pezzi di vita mi dan-zano intorno, mentre afferro le idee ele trasformo, plasmandole. E dopotanto peregrinare, trovare la strada da

seguire. Allora estraggo dalla “miascatola” storie scucite come brandellidi vele scomposte di vento, sommersedi palpiti vibranti di sogni e deliri, pas-sioni e speranze, ma non dimentico dilasciare il “lato aperto” per frantumarela barriera tra interno ed esterno, su-perando orizzonti reali e giungere allabellezza divina che nell’umano trova lasua realizzazione. Gettare lo sguardooltre la concretezza dell’immagine,oltre il tempo, verso universi ebbri diluce per comprendere, forse, la so-stanza dell’essere, il significato dellavita, che ci accoglie tra braccia ma-terne e ci riprende al termine del viag-gio. Attimi come anni di un passatoche abbraccia il futuro, fissati sui corpiin forme nude di disarmante sincerità,crudeli nella sfida umana alla ricercadi una risposta che non sarà. Mi ritroverò in te quando

il mio spirito volerà lontano

e nella polvere del crepuscolo

si annienterà il mio corpo

(Luisastella Bergomi)

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Giugno 2018 Pag. 5

Ancora una volta Mantova sarà la pro-tagonista indiscussa della cultura in-ternazionale con la VentiduesimaEdizione del Festival della Letteraturache si svolgerà dal 5 al 9 settembreprossimo, un impegno ormai collau-dato che nel corso degli anni ha vistogiungere in città gli esponenti più rap-presentativi del mondo della cultura,con un esponenziale aumento di pub-blico.Il denso programma di appunta-menti che andrà a distendersi trapiazze, palazzi e altri luoghi della cittàarriva da un appassionante lavoro ditessitura che ha messo in connes-sione artisti provenienti da mondi di-versi, creato corrispondenze trascrittori, chiamato all'opera nuovi attoridella scena culturale e - in particolarequest'anno - centinaia di adolescenti.È per questa strada che la partecipa-zione di ciascun autore viene a trasfor-marsi in un "incontro", l’elemento dibase della festosa costruzione di Fe-stivaletteratura. Incontrarsi al Festivalsignifica infatti ritrovarsi ad allargare idiscorsi avviati, approfondire gliscambi, dare corso alle idee, verificare– nel confronto con il pubblico - quellodi cui si è discusso per mesi, al di làdei singoli appuntamenti in calendario,

tà come misura del mondo, poeti edrammaturghi che scavano dentro leparole, fisici e studiosi di letteraturache si confrontano sugli statuti dellereciproche discipline, scrittori migrantidi prima e seconda generazione, oanche scrittori legati da lunga amiciziache proprio al Festival decidono di darsfogo a una comune passione lettera-ria, intraprendere un progetto datempo rimandato o ricominciare un di-scorso lasciato in sospeso. Oltretrenta i paesi di provenienza di scrittorie artisti che comporranno la nuovaedizione 2018 con appuntamenti dislo-cati negli edifici più rappresentatividella città, da Palazzo Ducale alla Ro-tonda di San Lorenzo, da Palazzod’Arco a Palazzo San Sebastiano,Casa del Mantegna e la Basilica SantaBarbara: www.festivaletteratura.it

FESTIVAL DELLA LETTERATURA DI MANTOVA

Dal 5 al 9 settembre l’appuntamento nella città dei Gonzaga per la 22a Edizione di un’iniziativa famosa ormai in tutto il mondo

prendendosi il tempo che occorre e trovando la giusta atmosfera. Festivalette-ratura cerca una volta di più di offrire spazi, lanciare sfide, trovare affinità e arditiincroci disciplinari per portare autori anche apparentemente distanti a condivi-dere il palco e disporsi a un confronto aperto, a volte imprevedibile, sulle que-stioni sentite come più urgenti e vicine dalla comunità di lettori che si dàappuntamento a Mantova. Una cura che si traduce ad esempio nel metterefianco a fianco autori che vivono sulle sponde opposte dell'oceano, narratori emusicisti con lo stesso senso del ritmo, architetti e scrittori che prendono la cit-

Mantova, Basilica di Santa Barbara. ┬®Festivaletteratura

Palazzo Castiglioni ┬®Festivaletteratura

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Giugno 2018 pag. 6

LA BELLEZZA NELL’ANTICA GRECIA

Quando Zeusi, pittore tra i più famosidell’antica Grecia del V secolo a.C.volle far rivivere in un quadro il mitodella bellezza di Elena di Troia, fecesapere agli abitanti di Crotone di es-sere alla ricerca di una modella che neincarnasse il fascino. La questione eraabbastanza delicata in quanto l’ipote-tica Elena, per apparire in tutto il suosplendore, sarebbe dovuta essere ri-tratta senza veli. Conoscendo la tradi-zionale riservatezza delle donnegreche e, soprattutto, la gelosia tipica-mente mediterranea dei loro uomini, ilpittore dubitava della buona riuscitadell’iniziativa. Invece, non ebbe chel’imbarazzo della scelta. Infatti, padri emariti delle donne più belle di Crotonegli presentarono figlie e mogli, dichia-randosi lusingati dall’onore. Tra que-

ste Zeusi scelse cinque fanciulle e diognuna ritrasse ciò che aveva di piùbello traendone la figura ideale dellabellezza, come i Greci immaginavanofosse la mitica Elena. Il culto della bel-lezza fisica era decisamente radicatonella cultura ellenistica, tanto da con-siderare una persona particolarmenteattraente “cara agli dei”, un essere pri-vilegiato. Infatti, alla bellezza fisicanon veniva attribuito solo un significatopuramente esteriore, ma rappresen-tava il risultato di una perfetta armoniatra qualità spirituali quali intelligenza,equilibrio e saggezza e qualità mate-riali. Una donna bella ma vuota e pocointelligente non avrebbe mai potutorappresentare l’ideale greco della gra-zia femminile in quanto le sarebbemancato l’equilibrio tra le doti esteriorie quelle interiori. Tutto ciò non significache i Greci disprezzassero chi eraprivo di avvenenza, ma un corpo sgra-ziato era considerato come un’operaincompiuta. Nell’arte questo ideale dibellezza ha trovato la massimaespressione nella scultura, in partico-

Frine, l’etera cara agli dei

Eleuterio Pagliano. Zeusi e le fanciulle di Crotone - GAM Milano

Copia della Afrodite cnidia di Prassi-tele - Palazzo Altemps - Roma

segue

colare nelle statue che ritraggono fi-gure femminili, dove l’avvenenza delleforme si unisce indissolubilmente allaspiritualità. Niente appare troppo sen-suale o grossolano nei corpi nudi ap-pena velati delle famose Venerigreche in cui si fondono armoniosa-mente il fascino enigmatico della dea,il contegno della matrona e la graziadella fanciulla, rappresentando permillenni il simbolo della bellezzaideale. Mnesarete “colei che fa ricor-dare la virtù” meglio conosciuta con ilnome di Frine, è stata la più bella cor-tigiana di Atene e di tutta la Grecia. Pit-tori e scultori la sceglievano comemodella per quadri e statue di Veneree siccome lei amava l’arte, posavasenza esigere alcun compenso. Lasua era una bellezza che si potrebbedefinire “naturale” e che, al contrario dialtre cortigiane, non aveva bisogno diartifici per risplendere. Frine, con ilviso pulito, il peplo castigato e il porta-mento austero risultava molto più affa-scinante, modello vivente dell’ideale dibellezza greco, fusione perfetta di ar-

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Giugno 2018 Pag. 7

La bellezza nell’anticagrecia

statua, in bronzo dorato, raffigurava lastessa Frine ed è accertato che fuposta nel santuario di Delfi, tra duesculture raffiguranti Apollo. Sebbenenon sia certo che sia stato Prassitelea scolpirla, questa statua costituiva si-curamente una grande provocazionein quanto non era in uso porre statuedi etere in luoghi sacri, accanto a re eregine, tanto che il filosofo Diogene diSinope la definì un monumento all’in-

continenza dei Greci. Per tutto questoe per alcuni atteggiamenti che furono

considerati antimacedoni, la donna futrascinata in tribunale con l’accusa diempietà, crimine che comportava lapena capitale. Dietro capi d’accusapoco consistenti dal punto di vista giu-ridico, quali feste oscene nel Liceo,promiscuità di tiasi maschile e femmi-nile, introduzione di nuova divinità diculto ed oltraggio agli dei paragonan-dosi a Venere, si celava il malcontentodegli ateniesi più tradizionalisti per ilsuo comportamento sfrontato, accantoad accumulo enorme di denaro dovutoanche alla sua notorietà. Frine fu di-fesa dall’oratore Iperide, che sfoderòtutta la sua abilità declamatoria, com-ponendo per l’occasione un’orazionedivenuta famosa ma, sebbene lastessa Frine avesse supplicato pian-gendo i giudici, questi non dimostra-vano alcuna pietà e la causasembrava perduta. Allora, non sa-pendo più a quale prova appigliarsi,Iperide prese una decisione inaudita:con un gesto energico e teatralestrappò l’abito dal corpo della donna,che rimase vestita unicamente dellasua bellezza. Poi, rivolto ai giudici alli-biti e a tutti i presenti, chiese se parevaloro possibile che una persona tantobella e per questo cara agli dei, sifosse resa colpevole di sacrilegio.Mettere in mostra tutta la bellezza diFrine accostandola sapientemente adAfrodite risultò un’arma infallibile: i giu-dici assolsero la cortigiana. Per i Grecibellezza ed empietà erano incompati-bili. Luisastella Bergomi

monia e misura. Lo scrittore e biografogreco Ermippo di Smirne ricorda cheFrine si mostrava sempre in pubblicocon un vestito aderente al corpo e nonandava mai ai bagni pubblici, creandocosì una maggiore curiosità collettivaa riguardo del proprio corpo. Si rac-conta che solo in occasione delleEleusinie e delle Posidonie scendevanuda in mare, coi capelli sciolti: se-condo Ateneo, Apelle si ispirò a questascena per dipingere la sua VenereAnadiomene. Frine tra il 364 e il 363a.C. iniziò una relazione con lo scul-tore Prassitele, che la usò come mo-della per la realizzazione della famosaAfrodite cnidia, il primo nudo femminiledell’arte greca, oggi conosciuta soloattraverso copie di epoca romana tracui la migliore è quella colonna con-servata al Museo Pio-Clementino.Quest’opera, considerata particolar-mente scandalosa ad Atene portò si-curamente grande notorietà allamodella. Prassitele scolpì altre duestatue su commissione di Frine, laprima che raffigurava Eros, collocatanel santuario del dio a Tespie, la cittànatale della donna dove, accanto allastatua di Afrodite, venne posto un ri-tratto della stessa Frine. La seconda

Il processo di Frine, olio su tela di Jean-Léon Gérôme (1861)

Statua di Frine presso l’Achilleion a Corfù Grecia

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Giugno 2018 Pag. 8

UOMINI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

Ottima performance della Compagnia Crocogufo di Genova

Performance di tutto rispetto quella of-ferta dalla Compagnia Crocofugo diGenova che in questo inizio d’estateha messo in scena una nuova com-media che sta riscuotendo notevolesuccesso dal titolo “Uomini sull’orlo diuna crisi di nervi”, remake dello spet-tacolo teatrale scritto da AlessandroCapone e Rosario Galli, portato inscena a partire dal 1993 e campioned’incassi in tutta Italia. La compagniagenovese, composta da Franco Bal-dan, Angelo Formato, Ernesto Gari-botto, Alessandro Silvio, YukiAssandri, con la regia di Federica Me-nini, sta dimostrando notevoli capacitàinterpretative, frutto di un attento stu-dio dei testi e di un grande lavoro disquadra, coesione perfetta tra le in-dubbie capacità di ogni componenteed uno stretto legame di amicizia. Inscena gli attori danno prova di sapertenere sapientemente il passo, aggan-ciando l’attenzione del pubblico man-tenendo tempi comici perfetti, conimprovvisazioni degne dei più grandiinterpreti di questo lavoro teatrale. Il si-pario si apre sul salotto dove ogni lu-nedì sera quattro amici si riuniscono

per una partita di poker. Tutti sonosposati ed alle prese con vari problemidi coppia e la commedia gioca propriole sue gag sui luoghi comuni della con-vivenza tra i due sessi. Infatti Pino, ilpadrone di casa, è separato con un fi-glio che riesce a vedere pochissimo.Vincenzo, invece, porta avanti senzapiù convinzione un lungo matrimoniodal quale ha avuto due figli e propriosu di lui convergono le battute più ar-gute, mentre Nicola è ancora per certiversi legato con la memoria ad un pas-sato di più frizzanti convivenze.Quando finalmente si presenta Gianni,sposato da soli sei mesi, tutti pensanodi poter finalmente iniziare a giocare.Ma non è così. Infatti, tra le continuetelefonate di Gianni alla novella sposae quelle di Nicola ad una passatafiamma, il gioco non sembra potercontinuare. Ed ecco allora il colpo digenio di Pino, che propone di telefo-nare ad una “squillo” per ravvivare laserata. Dopo varie resistenze, dettateda paure e falsi pudori, gli amici accet-tano di buon grado e dopo poco si pre-senta quella che tutti credono essereYvonne, ma che si rivelerà inveceun’amica che, dopo aver risposto allatelefonata, pensa di presentarsi per in-gelosire il fidanzato recatosi ad un ad-

dio al celibato. La ragazza, affascinatada Gianni, scoprirà ben presto le suecarte ed alla fine, scapperà con lui.Doveroso citare l’interpretazione diYuki Assandri, che ha dato vita al per-sonaggio femminile con coraggio edun pizzico d’impertinenza. LuisastellaBergomi

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pag. 9Giugno 2018

PASSIONE MOSTREdi Silvia Panza

MACRO(Museo Arte Contemporanea)Via Nizza, 138 - Roma

19 Gennaio – 1 Luglio 2018www.pinkfloydexhibition.com

La città di Palermo, Capitale italianadella cultura 2018, tra gli innumerevolieventi in programma, ospita un’impor-tante esposizione dedicata ad un arti-sta siracusano di nascita, FrancescoTrombadori. Il titolo della mostra, trattoda una citazione del Trombadori:l’arte, moderna come anche antica, è

solo quella che riesce ad esprimere

l’essenziale verità delle cose con pro-

fonda umanità e spiritualità, esprime intutto e per tutto le aspirazioni dell’arti-sta e attraverso sessanta tele, dipintetra il 1915 e il 1961, è possibile se-guirne il percorso pittorico che partedai suoi primi esordi degli anni Venti aRoma, prosegue attraverso le operedegli Anni Trenta e Quaranta semprenella Capitale e si conclude con i di-pinti dal 1950 al 1961. Oltre ai dipinti,anche libri e articoli provenienti dallaCasa Museo dell’Artista, con i quali sivuole mostrare anche l’importanteruolo di critico d’arte che il Trombadorisvolse durante la sua carriera.

L’essenziale verità dellecose. Francesco Trombadori

Galleria Civica d’Arte Moderna Via Sant’Anna, 21 - Palermo

23 Marzo – 2 Settembre 2018www.gampalermo.it

Reggia di Venaria Reale Piazza della Repubblica, Venaria - To

22 Marzo – 16 Settembre 2018www.lavenaria.it

Dopo l’enorme successo riscosso alVictoria and Albert Museum di Londra,è proprio a Roma che è sbarcata,come prima tappa internazionale, laretrospettiva dedicata ai 50 anni di car-riera di uno dei gruppi musicali più co-nosciuti ed influenti della storia dellamusica, i Pink Floyd. “The Pink FloydExhibition: Their Mortal Remains”, at-traverso immagini, video e audio, ri-percorre i momenti salienti della storiadel gruppo britannico ed ogni spetta-tore sarà sempre accompagnato dallamusica e dalle voci dei suoi compo-nenti, anche quelli del passato, tra cuiSyd Barrett e Roger Waters. Il per-corso espositivo propone oltre 300 og-getti e la ricostruzione del furgoneBedford utilizzato dai Pink Floyd per itour a metà degli anni sessanta ed ilgrosso gonfiabile rosa a forma di ma-iale della copertina del disco “Animals”che, con il prisma di “Dark Side of theMoon” sono diventati tra le immaginipiù leggendarie della cultura pop.

Il progetto “Genesi”, che SebastiaoSelgado, il più grande fotografo docu-mentario mondiale, ha iniziato nel2003 e che è durato 10 anni, attra-verso le meravigliose immagini rac-colte dal fotografo brasiliano nel suolungo viaggio, oltre a mostrare le me-raviglie del nostro pianeta, vuole porreparticolare attenzione alla necessità disalvaguardarlo e di preservarlo dalladistruzione.L’itinerario fotografico èsuddiviso in cinque sezioni che rap-presentano le terre che Salgado haraggiunto per realizzare il suo pro-getto: Il Pianeta Sud, I Santuari dellaNatura, l’Africa, Il Grande Nord,l’Amazzonia ed il Pantanal. Graziealle duecento straordinarie immagini inbianco e nero esposte si affronta unviaggio con cui scoprire paesaggi me-ravigliosi, quasi sconosciuti al mondoindustrializzato ma che ospitano spe-cie animali e tribù nonostante il loroclima troppo freddo o arido come iPoli, la savana ed i deserti roventi.

Sebastiao Salgado. Genesi

The Pink Floyd exhibition:Their mortal remains

Sebastião Salgado (WCL)Palermo. GAM (WCL)Pink Floyd - Animals

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UN VIAGGIATOR CURIOSO

Galleria di Palazzo Spinola di Pellicceria, uno dei più bei palazzi di Genova

Facciata di Palazzo Spinola verso Piazza superiore di Pellicceria (Foto F.R)

Tra i tanti tesori che la città di Genovacustodisce gelosamente, Palazzo Spi-nola di Pellicceria è sicuramente unodei più affascinanti e dei meno cono-sciuti. Edificato per volere del nobileFrancesco Grimaldi su edifici medioe-vali preesistenti di sua proprietà, fu su-bito iscritto nel registro dei Rolli.Ricordiamo che i “Rolli” erano allog-giamenti pubblici che la Repubblicametteva a disposizione di illustri viag-giatori in visita ufficiale, specie se dinobile schiatta, ed erano suddivisi se-condo la magnificenza dell’alloggio edil rango dell’ospite. Al proprietariospettava l’onore, e l’onere, di mettersi“a servizio” del visitatore e lo splen-dore dei palazzi nobiliari era tale dasoggiogare l’ospite. Accadde quandoAndrea Doria ospitò l’imperatore CarloV di Spagna, che magnanimamentel’ammiraglio genovese trattò fosse unsuo pari, ed il suo seguito fu suddiviso

nei i “rolli” genovesi. Tutti rimasero storditi dalla sontuosità degliinterni rispetto all’austerità delle facciate. Questi palazzi affa-scinarono anche il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens du-rante il suo soggiorno genovese, tanto che volle riprodurne iprospetti e le piante in una pubblicazione del 1622: Genova di-venne così il modello abitativo per tutto il Nord Europa. Il pa-lazzo rimase in possesso alla famiglia Grimaldi fino al 1641,quando venne ceduto ad Ansaldo Pallavicini a saldo di un de-bito, quindi per eredità passò ai Doria ed infine agli Spinola agliinizi del XVIII secolo: un’unica compravendita in cinque secolidi storia, un caso quasi unico. Maddalena Doria, moglie di Ni-colò Spinola, commissionò importanti lavori di ristrutturazionedell’edificio per adeguarlo ai nuovi gusti rococò dell’epoca, so-stituendo le quadrature dipinte dei salotti del secondo pianocon stucchi dorati tipici del barocchetto genovese e con la rea-lizzazione della galleria degli specchi su una preesistente ter-razza che collegava le due ali del palazzo. Durante unbombardamento della Seconda Guerra Mondiale andò distruttol’intero terzo piano, che ospitava le stanze private della famigliaed il quarto piano, dove si trovavano gli alloggi della servitù, ri-costruiti successivamente.Nel 1958 i marchesi Franco e PaoloSpinola donarono allo Stato l’intero palazzo, completo di colle-zioni ed arredi, con la volontà esplicita che l’aspetto della di-mora storica non venisse alterata. Da allora l’edificio contienela Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, che oltre le raccoltestoriche comprende anche alcuni capolavori assoluti dell’artelegate alla storia ed al collezionismo nobiliare ligure. Nel lugliodel 2006 il palazzo viene inserito nella lista dei quarantadueRolli di Genova e dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO.L’ingresso originale si apre sull’attuale Piazza Inferiore di Pel-IGalleria degli Specchi. Palazzo Spinola (Foto L.B)

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Un viaggiator curioso

licceria con un portale in marmo arric-chito da lesene a testa di leone e me-tope con mascheroni, elmi ed uncartiglio; il timpano spezzato contieneun medaglione raffigurante la Pietà suun letto di fiori. Un secondo portale,voluto da Maddalena Doria Spinola, sitrova in Piazza Superiore di Pellicce-ria, in asse col portale originario mafortemente decentrato rispetto alla fac-ciata. Una visita al Palazzo Spinolaequivale ad un viaggio nel tempo inuna realtà ormai perduta ma ancoracapace di accoglierti e di affascinarti:un invito per il viaggiator curioso

(Fosco Maraini, viaggiator curioso perantonomasia). Le sale, i salotti, gli am-bienti di rappresentanza e quelli più in-timi sono una gioia per gli occhi e peril cuore. Per chiunque visiti il Palazzoe la quadreria, attenzione: la sindromedi Stendhal è dietro l’angolo. E sicura-mente prende nella contemplazionedello straordinario “Ecce Homo” di An-tonello da Messina, un piccolo dipintoad olio su tavola ma immenso nellasua pietas, nel mostrare la sofferenzadella passione di Gesù Cristo, il volto

sfigurato dal dolore e dalla consapevolezza della miseria umana. Un quadro dacui è difficile staccare gli occhi. Di tutt’altro tenore il “Ritratto di Gio Carlo Doria”di Pieter Paul Rubens in cui il nobiluomo genovese viene ritratto impetuoso econtemporaneamente marziale nel perfetto stile barocco del maestro fiam-mingo. Il ritratto è stato commissionato al pittore nel 1606 per celebrare il gio-vane Doria al conseguimento dell’Ordine di San Giacomo da parte del respagnolo Filippo III, dove Gio. Carlo tiene le redini del focoso cavallo con solo

due dita, a simboleggiare la fermezza del carattere ed il cane,rampante come il cavallo, la fedeltà all’alleato spagnolo. Il qua-dro affascina per la bravura di Rubens nell’esporre una poeticabarocca atta a meravigliare lo spettatore come davanti ad unarappresentazione teatrale. Meno spettacolare ma emotivamentecoinvolgente è “Il sacrificio di Isacco” di Orazio Gentileschi (1615circa), la raffigurazione di uno dei momenti più drammatici del-l’intero corpus biblico: il padre che sacrifica il proprio unico figlio.L’indiscussa bravura del pittore stempera con una tecnica im-peccabile, di impronta caravaggesca, la scena biblica, in cui siavverte una tensione psicologica personale, dovuta al processodi pochi anni prima che aveva intentato contro il suo allievo Ago-stino Tassi colpevole di aver violentato la figlia Artemisia, anchelei geniale pittrice. Una curiosità: il modello che impersonaAbramo, Pietro Molli, che compare anche in altri dipinti del pit-tore, è stato il testimone principale contro Tassi. Molti sono i qua-dri che attendono nelle sale di Palazzo Spinola, dalla “Madonnaorante” del fiammingo Joos Van Cleve, all’ “Amor sacro e amorprofano” di Guido Reni, al “Ritratto di Alessandro Pallavicino” diAntoon van Dyck, per non parlare dei grandi affreschi seicente-schi di Lazzaro Tavarone che abbelliscono i soffitti del salonedel primo piano nobile (“Assedio di Lisbona del duca d’Alba”) edi quello del secondo piano nobile (“Imprese militari”, “Trionfodei Grimaldi” e figure di condottieri), e la scenografica Galleriadegli Specchi, trionfo rococò di specchiere e stucchi dorati. Unamenzione particolare alla cucina che si trova nel mezzanino, to-talmente coinvolgente nella sua semplicità e perfetta organiz-zazione, con tegami e contenitori in terracotta, pentole e uten-

Palazzo Spinola. Panorama dalla terrazza sul centro storico (foto F.R)

Ecce Homo di Antonello da Messina (Foto F.R)

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Un viaggiator curioso

sili in rame, gli immancabili in una cu-cina genovese mortai in marmo conpestello in legno e assolutamente toc-cante la stanza della pasta, dove ge-nerazioni di lavoranti hanno impastatoper la mensa dei nobili. Curiosa lagrossa ruota sulla parete di destra,che azionava il montacarichi per fargiungere le vivande ancora calde sullatavola. Attraverso una scala a chioc-ciola si raggiunge un piccolo belve-dere da cui si ha una visione diGenova a 360°: un’occasione unicaper scoprire ed osservare minuscoleterrazze fiorite nascoste tra i tetti in ar-desia della città. Un’ultima considera-zione guardando molti dei ritratti,come del resto in ogni altra quadreriae museo: designati come “ritratto digiovane”, “ritratto di cavaliere”, “ritrattodi dama” e simili intestazioni: la tristeriflessione è che furono commissionatia pittori più o meno famosi, da per-sone che volevano tramandare ai po-

la loro immagine e la potenza del proprio nome nei tempi futuri di modo chefossero ricordati, ma oggigiorno sono solo volti austeri, allegri, coinvolgenti maassolutamente anonimi. Conosciamo i pittori ma la persona è scomparsa inqualche angolo della storia. Sic transit gloria mundi verrebbe da pensare.Franco Rossi

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Palazzo Spinola. La grande cucina (foto F.R)

Veduta di Piazza di Pellic-ceria. Sulla destra si apreVico del pelo (Foto F.R)

IN NOMEN OMEN

Pellicceria. Come una piazza ci racconta la sua storia

L’uso di pelli e pellicce è antichissimo,si perde nell’oscurità della nostra prei-storia e nell’avventura umana haavuto senz’altro un ruolo fondamen-tale andando, per fortuna, declinandonei tempi recenti. L’uso che ne fecel’uomo preistorico era essenzialmentepratico: proteggersi dal freddo e dalleintemperie, specie durante l’ultima eraglaciale; si può ipotizzarne un impiegocome indicatore di stato sociale, condelle pelli più grandi e meglio lavorate,per il capotribù o per lo sciamano. Iprimi animali ad essere cacciati furonoprobabilmente gli orsi ed i lupi, poi fuuno scempio infinito: volpi, donnole,ermellini, lepri, scoiattoli, martore,agnello nero, fino ad arrivare a gatti ecani, meglio se esotici. Per gli antichigreci la pelliccia era considerata un at-tributo delle divinità, basti ricordare laleontè di Eracle, derivata dalla pelle diun leone, la nebride di Dioniso (unapelle di cerbiatto) o l’egida di Zeus o diAtena (una pelle di capra). Nell’anticaRoma la pelle dell’orso era usata negli

eserciti dai porta insegnee dai suonatori di corno,mentre per l’uso quoti-diano era considerato unmodo di vestire “di primi-tiva semplicità”, come ri-corda Properzio (I secoloa.C.) nei suoi scritti: un

abbigliamento da barbari

o da campagnoli. Proba-bilmente l’(ab)uso comeoggetto di lusso e diostentazione di potere siverificò al tempo del’Im-pero Persiano, come ri-ferito da alcuni storicigreci, mentre in Europal’utilizzo delle pellicce di-venne abituale per leclassi egemoni nei regniromano-barbarici. AncheCarlo Magno durante le

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In nomen omen

Ritratto di Francesco Maria Imperiale, doge di Genova (1711-1713)

solennità era uso indossare manti fo-derati di ermellino, volpe o petit-gris, loscoiattolo delle foreste russe, manell’808 fu lui stesso a promulgare leprime leggi suntuarie, cioè che limita-vano gli eccessi della moda. Il MedioEvo ed il Rinascimento furono il pe-riodo di trionfo delle pellicce, si usa-vano in ogni occasione e con volutaostentazione a tal punto che perfino laChiesa ne era affascinata, tanto dadestare la risentita indignazione di SanBernardo, che ne proibì l’uso alle mo-nache. Il massimo si raggiunse per unimperatore del Sacro Romano ImperoGermanico con un robone (sopravve-ste simile alla toga) foderata da pelli divaio, uno scoiattolo siberiano: per rea-lizzarla furono massacrati 1800 ani-mali per trarne la sola parte ventrale,più morbida e pregiata. A Genova esi-stono toponimi che ricordano questiperiodi ed il lavoro dei pellicciai: Vicodi Pellicceria, Piazza di Pellicceria,Piazza inferiore di Pellicceria e Via delpelo. Qui erano concentrate le botte-ghe per la lavorazione delle pelli, i cuilavoratori si costituirono in corpora-zione nel XIV secolo; per un certo pe-riodo la zona fu anche conosciuta colnome di “quartierino di sartoria”. L’usodelle pellicce fu introdotto a Genovadai Goti nel VI secolo, probabilmentedurante la cosiddetta “guerra gotica”;conobbero una straordinaria diffusionein tutte le classi sociali: dalle più ele-vate con zibellino, ermellino, lupo cer-viero (lince), a quelle popolari cheusavano volpi, faine, conigli e gatti.Con l’affermarsi economico della Re-pubblica le spese per pelli rare o pre-giate raggiunsero cifre assurde tantoche il governo cittadino dovette inter-venire più volte con leggi suntuarie, laprima nel 1157. Erano divenute tal-mente costose da essere citate nei te-stamenti e considerate oggetto dirisarcimento in cause penali. Lostesso doge era avvolto in un mantodi ermellino e, dopo l’avvicinamentocon la Francia di Luigi XIV, i suoi abitida cerimonia erano un trionfo di pel-licce pregiate ad imitazione del re fran-cese. La chiesa cattolica non eraesente da una certa fascinazione: nel1490 papa Innocenzo VIII concedette

XIV. L’uso di questo capo di abbiglia-mento ritornò prepotente durante laRestaurazione con un afflusso di pellidalla Russia alla corte Sabauda, cometestimonia un cronista dell’epoca cheosservava le signore impellicciate pat-tinare sul ghiaccio del Lagaccio. Co-struito nel 1537 per fornire acqua alparco del palazzo di Andrea Doria, allafine del secolo fu utilizzato da una fab-brica di polvere da sparo costruitanelle vicinanze. Per il colore e l’odoredelle acque gli abitanti dei dintorni losoprannominarono “il lagaccio”.L’at-tuale Piazza di Pellicceria conserva in-tegra la sua suggestione medioevaleed i “carruggi” che da qui si dipartonosono altrettanti passaggi nella storiadella città. Franco Rossi

ai canonici della cattedrale di San Lo-renzo l’uso di una “cappa magra co-perta di dentro di pelli di ermellino” edai cappellani genovesi l’uso di un “cap-pino foderato di pelli di dossi cinerini”.Gli stessi appartenenti alla corpora-zione si fregiavano di un braccialed’ermellino sulla manica sinistra. Il de-clino avvenne durante il Secolo deiLumi e quasi scomparve sotto la Fran-cia rivoluzionaria e poi napoleonica;nel cosiddetto Stile Impero la modaimponeva di vestire tessuti leggerianche d’inverno, questo portò adun’epidemia di affezioni bronchialichiamata dai medici “malattia dellamussolina”, nonostante lo stesso Na-poleone si facesse ritrarre avvolto dafastosi ermellini ad imitazione di Luigillazione della lavagna

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PANE e PACE! La protesta delle donne salentine

La coscienza femminile di classe contro le ingiustizie della Grande Guerra

Durante il convegno dello scorso febbraio orga-nizzato dal Rotary Club presso la Sala delGrande Albergo Internazionale di Brindisi, con lapartecipazione della Società di Storia Patria perla Puglia, di Assoanna Brindisi e della SocietàStorica di Terra d’Otranto, in prosecuzione degliincontri tenuti per il Centenario della GrandeGuerra, è stato affrontato un tema importantesulla ridefinizione della donna in occasione dellaPrima Guerra Mondiale. Nella discussione sonointervenuti Giovanna Bino dell’Archivio di Statodi Lecce, Salvatore Coppola e Antonio Caputodella Società di Storia Patria per la Puglia in-sieme ad numerosi altri studiosi. Coppola perl’occasione ha rivolto l’attenzione al mondo dellecampagne di Terra d’Otranto e ai movimenti dilotta delle donne per il pane e contro la guerra,tornando sull’argomento lnel mese di novembredurante l’Assemblea dei Soci della Storia Patriaper la Puglia tenutasi nella Sala del Museo diMaglie, sollecitando gli studiosi a soffermarsi econtribuire agli studi sulle cause oggettive diqueste manifestazioni di protesta condotte instrade e piazze di città e paesi salentini al gridodi Pane e pace. Cause che, secondo Coppola,portarono a una progressiva maturazione dellacoscienza femminile di classe contro tutti quelliritenuti responsabili di affamare il popolo, senzatralasciare le cause soggettive delle manifesta-zioni, dovute alla lontananza degli uomini checombattevano e morivano nelle trincee al fronte.La sezione di Storia Patria di Lecce, come perle grandi ricorrenze storiche, promosse un semi-nario sulla Donna salentina nella Grande

Guerra. Con la nuova ricerca Coppola, autore di

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accurati studi sulla storia del movimento sindacale e po-litico del Salento, ha risposto all’appello. Il libro “Pane!

Pace! – Il grido di protesta delle donne salentine negli

anni della Grande Guerra” Ed. Giordani è stato presen-tato presso la Biblioteca Comunale di Tuglie con il sin-daco Massimo Stamerra, l’Assessore alla Cultura SilviaRomano, il Direttore della Biblioteca Antonio Rima, ilPresidente del Collegio dei Geometri di Lecce EugenioRizzo, il Presidente della Provincia di Lecce Antonio Ga-bellone e Giuliana Iurlaro docente dell’Università diLecce. Negli anni dal 1916 al 1918 in Italia, mentre aiconfini si svolgeva una guerra sanguinosa, le donne siscagliarono contro le autorità dello Stato per mancanzadi pane e chiedere il ritorno dei mariti. Nelle campagnedel Salento si svilupparono numerosissimi movimenti dilotta femminile. In molti paesi le donne urlavano controla guerra per la pace ed il ritorno dei mariti a casa. NelleUn soldato della Grande Guerra scrive a casa (WCL)

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Pane e Pace!

Contadine al lavoro

campagne del Salento si svilupparononumerosissimi movimenti di lotta fem-minile che scendevano in piazza nonsoltanto per reclamare il pane quandomancava oppure era di cattiva qualità,ma anche contro gli speculatori e ac-caparratori del mercato nero. In moltipaesi le donne urlavano contro laguerra, volevano subito la pace e il ri-torno dei mariti a casa. Coppola si èinoltre soffermato sulle proteste didonne, bambini e anziani contro la ri-duzione delle razioni, insufficienti asfamare tutti, quella dei generi di primanecessità, contro l’aumento dei prezzi,il ritardato pagamento dei sussidi allemogli dei richiamati, gli abusi nell’as-segnazione delle tessere annonarie, lapropaganda a favore del prestito na-zionale, la mancata concessione dellelicenze agricole. Le donne pensavanodi subire un’ingiustizia in quanto men-tre i figli delle classi povere si trovava-

no al fronte, quelli delle classi più ricche restavano a casa imboscati negli ufficied il pane di peggiore qualità era destinato alle classi povere. Allora feceroesplodere la rabbia per provocare l’abbattimento delle barriere domestiche incui erano rimaste confinate. Coppola a questo punto ha parlato di manifesta-zioni di massa sorte spontanee con donne che scagliavano pietre contro politicie militari. Massicce manifestazioni di protesta interessarono nel 1917 i Comunidi Lecce, Gallipoli, Galatone, Nardò, dove le mogli e madri si rivoltarono controi funzionari governativi che promuovevano la raccolta di fondi per il prestito na-

zionale. Si svolsero proteste anche in Comuni minori comeAlezio, Aradeo, Arnesano, Carmiano, Corigliano d’Otranto,Cutrofiano, Felline, Maglie, Martano, Melissano, Muro Lec-cese, Neviano, Poggiardo, Presicce, Racale, Scorrano, So-gliano, Taviano, Tricase al grido di “Vogliamo pane, siamo adigiuno noi e i nostri figli”. Altre gridavano: “Abbasso la guerra.Vogliamo i nostri mariti a casa e non il denaro”. Ed ancora:Vogliamo la pace, non vogliamo la guerra. Le manifestazionifemminili provocarono nelle classi dirigenti prima sorpresa,poi un forte senso di fastidio in quanto le donne non dovevanoprotestare ma restare a casa, produrre e pensare ai figli. Diquesto grande movimento di protesta che interessò le tre pro-vince di Lecce, Brindisi e Taranto, Coppola ha studiato lecause e le sentenze conseguenti ad arresti, fermi in carcere,processi e giudizi nei Tribunali Militari, accanto alle reazionidelle classi dirigenti e dell’apparato statale che misero in attomisure sempre più repressive, specialmente dopo la disfattadi Caporetto. Di ogni manifestazione sono stati descritti fatti,citati i nomi di donne e d’implicati nelle manifestazioni, di av-vocati e difensori, politici, amministratori e forze dell’ordine.Le proteste più corpose si svolsero nel marzo 1917 a San Do-nato, Ceglie, Grottaglie e Ostuni. L’ultima il 9 luglio 1918 aSogliano Cavour. Le fonti citate sono quelle dell’Archivio Cen-trale dello Stato e degli Archivi di Stato di Lecce e di Taranto,le carte dei Tribunali militari e gli organi di stampa provinciali.La monografia di Salvatore Coppola, sostenuta dal Presi-dente Eugenio Rizzo del Collegio dei Geometri di Lecce, èstata inserita nella collana “Cultura e Storia” della Società diStoria Patria per la Puglia di Lecce diretta da Mario Spedicato;pubblicata da Giorgiani Editore, con i patrocini della Societàdi Storia Patria per la Puglia, Sezione di Maglie, Fondazione“Capece” di Maglie, Società Storica di Terra d’Otranto e Sin-dacato Pensionati Cgil - Spi di Lecce. Lucio CausoIn fabbrica durante la guerra (WCL)

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PROPOSTE CULTURALI A MILANOL’arte in citta’ a cura di Matilde Mantelli

PALAZZO REALE DI Milano

Dürer e il Rinascimento in Germania e Italia

Mi sono reso conto che è meglio insi-

stere su forme genuine della natura,

perché la semplicità è il più grande or-

namento dell’arte. Ad Albrecht Dϋrer,il primo grande artista tedesco di sta-tura europea che visse tra il 1471 ed il1528, il Palazzo Reale di Milano, gra-zie a prestiti da importanti istituzioninazionali ed internazionali, ha dedi-cato questa retrospettiva, la prima inItalia. Questa è una mostra di granderigore filologico incentrata sull’inda-gine degli aspetti tecnici e compositivi,che spazia dalla pittura al disegno, allagrafica, raccontando una delle epochee delle atmosfere più affascinanti e ric-che di spunti della storia artistica delnostro continente. Dϋrer è consideratoil trait d’union tra il mondo italiano equello d’oltralpe, colui che ha portatola cultura rinascimentale nell’Europacentrale e che ha avuto il merito di ele-vare la stampa da un livello artigia-nale, al grado di arte contraddistintada grande raffinatezza ed originalità.La rassegna non è stata pensata se-condo un percorso cronologico, masuddivisa in sezioni tematiche che per-mettono di approfondire i vari aspettidella vasta e versatile produzione arti-stica di Dϋrer, messa a confronto conle opere di altri grandi suoi contempo-ranei, di cui ha subito l’influsso e rac-colto gli stimoli. La prima sezioneaffronta il tema della bellezza, con par-ticolare riferimento al corpo umano,sulle orme degli antichi e del Rinasci-mento italiano, mettendo a confrontol’arte tedesca con quella del nostropaese ed in particolar modo con la pit-tura veneta, soprattutto quella di Gio-vanni Bellini. La seconda sezione èdedicata al tema della misura, ovveroa Dϋrer come teorico dell’arte in sensomoderno. L’artista ha lasciato impor-tanti trattati sulla geometria e sulla pro-spettiva, sull’architettura militare esulle proporzioni umane, alcuni pre-sentati in edizione originale e raffron-

tati con le opere di suoi contemporanei, tra cui Leon Battista Alberti, Luca Paciolie Fra Giovanni Giocondo. Continuando si indaga sull’attenzione dell’artista neiconfronti della natura, testimoniata dai numerosissimi studi di animali, piante,fiori, un interesse su base scientifica, proprio come quello di Leonardo, chenasce dal desiderio di comprendere l’ordine delle cose, non più soltanto tramitela religione, ma soprattutto attraverso l’osservazione dei fenomeni e l’esperienzadiretta. La sezione successiva presenta Dϋrer come il grande ritrattista, capace

Albrecht Dürer. Ritratto di giovane veneziana.Vienna, Kunsthistorisches Museum

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pag. 17Giugno 2018

Albrecht Dürer. Cristo dodicenne tra i dottori. Madrid, Thyssen-Bornemisza Museum

di approfondite analisi psicologiche esperimentatore di materiali e tecnichenuove. E poi il tema dell’incisione,dove si ammirano i grandi cicli graficidell’Apocalisse e della Passione, testi-moni di un approccio iconografico in-novativo e di un nuovo rapporto tratesto sacro ed immagine. L’ultima se-zione è dedicata al classicismo e lesue alternative, da una parte l’inte-resse per le qualità espressive dei mo-delli italiani, tra cui Pollaiolo eMantegna, e dall’altra quello per i temibizzarri, le figure grottesche, il “brutto”espresso nei volti delle classi socialipiù umili, con particolare rilievo aidubbi ed alle angosce suscitati dalletrasformazioni sociali e religiose, chelo videro impegnato anche nella me-diazione tra cattolici e protestanticome uomo del confronto, del dialogo,contrario alla guerra. M. M.

Dürer e il Rinascimento

A Palazzo Reale di Milano nove fotografi interpretano i Musei Vaticani

IN PIENA LUCE

Fino al 1° luglio 2018 Palazzo Reale ospita la mostra dal titolo In piena luce,che propone i lavori di nove fotografi di fama internazionale che hanno volutointerpretare le meraviglie dei Musei Vaticani. L’esposizione è nata dal progettodi costituzione del primo fondo fotografico della Collezione di Arte Contempo-ranea dei Musei Vaticani, un progetto ambizioso con obiettivo di creare unanuova collezione, che diviene occasione di riflessione e sperimentazione pertrasformare un luogo storico, sociale, multiculturale e pienamente simbolico,come i Musei Vaticani, nell’oggetto-soggetto del lavoro creativo attraverso di-verse per prospettive di ricerca, formazione, provenienza e stile. I fotografi sceltiper lavorare all’interno dei Musei Vaticani sono stati: Bill Armstrong, Peter Bia-lobrzeski, Antonio Biasiucci, Alain Fleischer, Francesco Jodice, Mimmo Jodice,Rinko Kawauchi, Martin Parr e Massimo Siragusa. La mostra, a cura di MicolForti eAlessa dra Mauro, è organizzata dal Comune di Milano - Cultura, PalazzoReale e Musei Vaticani. In collaborazione con Contrasto

LA PRIMAVERA DI PRAGA1968 - 1969

Fino al 1° luglio a Palazzo Reale Mi-lano PhotoWeek rende omaggio allacittà di Praga con la mostra fotograficaLa Primavera di Praga 1968 – 1969.La mattina del 21 agosto 1968 i carriarmati dell’esercito del Patto di Varsa-via, Unione Sovietica, Bulgaria, Polo-nia, Ungheria, e la RepubblicaDemocratica Tedesca invasero la Ce-coslovacchia, che all’inizio del ‘68 ave-

va avviato un processo di democratiz-zazione non gradito al Partito comuni-sta di Mosca che temeva la fine dellapiena sovranità politica del Paese econseguente collasso del blocco so-vietico. In mostra una sezione di foto-grafie del funerale di Jan Palach, lostudente che il 16 gennaio 1969 sidiede fuoco davanti al Museo Nazio-nale in Piazza Venceslao.I funerali fu-rono una manifestazione anti-regimee il suo atto passò alla storia come ilsimbolo della protesta. La mostra èstata curata da Dana Kyndrovà e Pa-

mela Campaner, Comune di Milano -Cultura, Palazzo Reale, con il CentroCeco di Milano e Expowall

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Presentazione alla stampa Foto di Gianluca Di Ioia - © La Triennale di Milano

Promossa dal Comune di Milano, lacollaborazione tra Politecnico, Trien-nale e Fondazione Giangiacomo Fel-trinelli ha dato vita alla secondaedizione di Milano Arch Week, con ladirezione artistica di Stefano Boeri,una settimana che ha visto il capo-luogo lombardo capitale mondialedell’architettura con un ricchissimoprogramma di eventi, incontri, dibattiti,workshop e mostre. Le tre prestigioseistituzioni ed una rete di spazi dislocatiin città hanno ospitato eventi con stu-denti della scuola di architettura delpolitecnico di Milano, giovani architettie grandi protagonisti dell’architetturainternazionale come Jacques Herzog,Kazujo Sejima, Whang Shu e Toyo Ito,vincitori del premio Pritzker. Grazie atestimonianze e contributi da tutto ilmondo è stato possibile promuoverestraordinari ponti di dialogo e condivi-sione, di progettazione e creatività. Ur-

bania, uno sguardo sul futuro delle

città: così Politecnico e Triennalehanno voluto intitolare il ricco palinse-sto di questa edizione focalizzata sullacomplessità delle città contemporaneee l’evoluzione delle architetture ur-bane, mentre le implicazioni e gli im-patti di queste trasformazioni sulla po-

LA TRIENNALE MILANO ARCH WEEK

Dal 23 al 27 maggio la città è stata la capitale mondiale dell’architettura

alla Triennale Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’archi-

tettura, retrospettiva sul grande foto¬grafo mode-nese del Museo di Fotografia Contemporanea diCinisello Balsamo e della Triennale di Milano, acura di Michele Nastasi. Sempre alla Triennale,una mostra di Armando Perna e Saba Innab cu-rata da Emilia Giorgi e realizzata in collaborazionecon la Fondazione Merz getta uno sguardo sullospazio urbano libanese. E’ stato allestito anche ilpadiglione e-flux Teatrino, progettato da MatteoGhidoni – Salottobuono per “e-flux Architecture” erealizzato grazie al supporto delle imprese dellaRegione FVG e della Filiera del Legno FVG (conil coor¬dinamento e supporto di Regione FVG eInnova FVG), con interviste ai grandi esponentidella cultura del progetto.inoltre, la serata A Tri-bute to Jimi Hendrix. Qui e ora, 50 anni fa, a curadi Enzo Gentile e Roberto Crema e live perfor-mance di Eugenio Finardi e di Stan Skibby &Friends all’Old Fashion e Le Cannibale nel Giar-dino della Triennale con i dj Spiller e Tamati. M.M.

polazione sono stati oggetto di analisi di About a City. Places, ideas and rights

for 2030 citizens, il programma di talk, dibattiti, spettacoli e proiezioni curato daFondazione Feltrinelli, incentrato soprattutto sui problemi della convivenza, deidiritti delle minoranze e accesso ai servizi. Ha fatto da corollario al folto pro-gramma una serie di iniziative, passeggiate e visite guidate alle architetture mi-lanesi ed alle case museo di grandi designer, mostre, proiezione di film,spettacoli teatrali e concerti. La manifestazione, tra le mostre in programma,ha ospitato la monografica su Car¬rilho da Graça, a cura di Marta Sequeira eSusana Rato con Andrea Gritti, e Remix, a cura di Marco Biraghi. Il 24 maggio

Lecture. Salone d’Onore_Triennale

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pag. 19Giugno 2018

la mostra Luigi Ghirri. Il paesaggio del-

l'architettura, a cura di Michele Na-stasi, aperta fino al prossimo 26 ilagosto presso Mufoco, il Museo di Fo-tografia Cntemporanea della Triennaledi Milano, offre una presentazione ine-dita del celebre fotografo emilianomettendo in luce l'importanza dellasua opera nell'ambito dell'architettura.Nato a Fellegara di Scandiano, in pro-vincia di Reggio Emilia, Ghirri inizia afotografare nel 1969, collaborando econfrontandosi con artisti concettuali.Negli Anni Settanta la sua ricerca fo-tografica verte sull'immagine naturalee quella artificiale, l'ambiguità del pae-saggio contemporaneo, la citazionedella storia, l'immaginario del con-sumo. Nel 1979 CSAC, Centro Studi eArchivio della Comunicazione dell’Uni-versità di Parma, gli dedica un'ampiarassegna che antologizza tutta l'operaprecedente e costituisce un punto disvolta per quella futura, che prosegueorientandosi al paesaggio ed all’archi-tettura. Luigi Ghirri si avvicina all’archi-

LUIGI GHIRRI. Il paesaggio dell’architetturaProseguono le proposte a cura del Museo di Fotografia Contemporanea

alla Triennale di Milano

© La Triennale di Milano - foto di Gianluca di Ioia

un vero e proprio culto per molti archi-tetti e fotografi. La mostra in corsoespone oltre 350 fotografie, tra stampeoriginali e immagini proiettate, molteinedite, provenienti dall'archivio diLotus e dalla Triennale di Milano. Inol-tre, una selezione di pubblicazioni e dialtri materiali ha lo scopo di mettere inrelazione lo straordinario talento diGhirri con l'ambito editoriale e critico,da cui il suo lavoro sull'architettura èscaturito. Ed il tema della committenzadi architettura, contigua e intrecciataalle ricerche autonome dell'autore,mette in luce lo scarto operato dalla vi-sione paesaggistica di Ghirri. Il pro-getto dell'allestimento mostra è statocurato dallo studio milanese CalzoniArchitetti - Sonia Calzoni, la grafica èa cura di Pierluigi Cerri. Il catalogo diElecta è stato pubblicato grazie a Edi-toriale Lotus, che ha permesso la con-sultazione dell’’archivio della rivista edalla Fototeca della Biblioteca Panizzidi Reggio Emilia che conserva l’archi-vio fotografico di Luigi Ghirri.

tettura nel 1983, collaborando con larivista “Lotus International”, con cuiavvia un rapporto continuativo di ri-cerca e di reciproco scambio duratoquasi un decennio.Con le sue fotogra-fie egli ha portato ad un nuovo mododi guardare l’architettura, per com-prenderne la realtà in relazione ai fe-nomeni e agli aspetti contraddittori deipaesaggi contemporanei. Fino al1992, anno della sua prematura scom-parsa, Ghirri sviluppa un corpus foto-grafico sugli interventi di singoliarchitetti, sulle esposizioni della Trien-nale di Milano e cura progetti editorialipiù ampi, all’interno di Quaderni diLotus, come “Paesaggio italiano"(1989) e la sezione fotografica di"Atlante Metropolitano" (1991). Que-sta intensa e originale collaborazioneè testimoniata da numerose pubblica-zioni realizzate, alcune delle qualiconfigurate come esperienze fonda-mentali per una concezione più liberadell'architettura, importanti momenti dimaturazione del linguaggio dell'autore,

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Giugno 2018 Pag. 20

CAPOLAVORI SIBILLINI Le Marche e i luoghi della bellezza

Al Museo Diocesano di Milano si conclude una grande mostra sulle bellezze artistiche della terra marchigiana

A testimonianza dell’interesse del Museo DiocesanoCarlo Maria Martini di Milano nei confronti del patri-monio artistico del nostro paese nasce questa mo-stra, un’iniziativa volta a salvaguardare e valorizzarele collezioni provenienti dalla Rete Museale dei MontiSibillini, una zona profondamente ferita dagli eventisismici che nel 2016 hanno colpito le Marche, unadelle regioni italiane più affascinanti per la bellezzae la varietà del paesaggio, per la ricchezza artisticae culturale. La Rete Museale dei Sibillini rappre-senta il naturale legame che in Italia unisce musei eterritorio e testimonia la vivacità artistica che ha con-traddistinto nel corso dei secoli questa regione. Cin-que sono le sezioni in cui si articola il percorsoespositivo, ognuna delle quali dedicata ad un conte-nitore: la Pinacoteca Civica Fortunato Duranti diMontefortino, intitolata all’artista e mercante d’arte,la Pinacoteca di San Ginesio, che vanta opere di Vin-cenzo Pagani e la grande tavola di Nicola di Ulisseda Siena raffigurante la battaglia tra Ginesini e Fer-mani, passata alla storia come Battaglia della For-

narina, dalla fornaia che diede l’allarme salvandocosì il borgo di San Ginesio dalla distruzione. Nucleocentrale della mostra sono le opere provenienti dallaPinacoteca Civica di Sarnano che vanta capolavori-quali Madonna con Bambino e Angeli di Vittore Cri-velli, Compianto sul Cristo morto di Vincenzo Paganie l’Ultima cena di Simone De Magistris. Segue la se-zione dedicata a Montalto, che nel 1585 venne ele- Ritratto del papa Sisto V di ignoto pittore marchigiano, sec. XVI

La battaglia tra Ginesini e Fermani di Nicola di Ulisse da Siena del 1463 c.a

ata al rango di città grazie all’inter-vento del suo più illustre figlio, FelicePeretti, divenuto papa in quell’annocon il nome di Sisto V. La sezione con-clusiva è quella che ospita due teleprovenienti da chiese nel comune diLoro Piceno, l’Assunzione della Ver-

gine di Ercole Ramazzani ed una sug-gestiva Madonna del Rosario di artistacinquecentesco. La regione Marche, atestimonianza della straordinaria viva-cità culturale che la contraddistingue,per accompagnare la mostra ha orga-nizzato eventi collaterali, tra cui il Con-certo Gala Rossini, svoltosi lo scorsododici giugno, in cui i solisti dell’Orche-stra sinfonica Gioacchino Rossini ecantanti selezionati dal Rossini OperaFestival hanno eseguito il Barbieresmart, riduzione dell’opera che pre-vede l’esecuzione dei pezzi più cele-bri. Numerose le iniziative cheavranno luogo nelle Marche per com-

segue

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Capolavori sibillini

memorare i suoi celebri figli, tra cuiGiacomo Leopardi e Gioacchino Ros-sini, ambasciatori della bellezza ita-liana nel mondo. Del grande poeta sicelebra il bicentenario della composi-zione de L’infinito, quel capolavoro as-soluto di compiutezza che Leopardiscrisse a ventun’anni, mentre del com-positore pesarese ricorre il centocin-quantesimo anniversario della scom-

parsa. L’anno prossimo ricorre il cin-quencentenario della nascita di unaltro illustre figlio della terra marchi-giana, papa Sisto V, considerato il piùgrande papa del Rinascimento ita-liano, uomo di grande cultura e grandeurbanista, basti ricordare alcune operepubbliche di cui a Roma lasciò co-piosa testimonianza, tra cui strade: viaPanisperna, via Sistina, acquedotti,ancora oggi è in funzione l’acquedot-todell’Acqua Felice, così chiamatodaluo nome di battesimo, edifici: ala si

sstina del Palazzo Vaticano, ristruttu-razione del Palazzo lateranense, Bi-blioteca Apostolica, Scala Santa,cupola di San Pietro. La mostra, acura di Daniela Tisi e Vittorio Sgarbi, èstata realizzata da Regione Marche eRete Museale dei Sibillini in collabora-zione con il Ministero per i Beni e le At-tività Culturali e del Turismo, l’ANCIMarche e l’ANCI Lombardia e il MuseoDiocesano di Milanosi e si concluderàil prossimo 30 giugno. Matilde Mantelli

L’ITALIA DI MAGNUM Da Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin

Al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano 150 immagini dei più importanti maestri della fotografia del XX secolo

Fino al 22 luglio il Museo DiocesanoCarlo Maria Martini presenta la mostraL’ITALIA DI MAGNUM. Da Cartier-

Bresson a Paolo Pellegrin, che pro-pone 150 immagini di venti tra i piùimportanti maestri della fotografia delXX secolo, che raccontano la cronaca,la storia e il costume del nostro paesedal dopoguerra ad oggi. L’esposizione,curata da Walter Guadagnini, direttoredi CAMERA, Centro Italiano per la Fo-tografia di Torino, con il patrocinio delComune di Milano e con il sostegno di

Rinascente, celebra i settant’anni dallafondazione di Magnum Photos, avve-nuta nel 1947 a New York, ad opera diHenri Cartier-Bresson, Robert Capa,David Seymour, George Rodger e Wil-liam Vandivert. Il percorso espositivosi apre con un omaggio ad Henri Car-tier-Bresson e al suo viaggio in Italianegli anni trenta, e prosegue con laserie di Robert Capa che restituiscel’immagine di un paese in rovina allafine della seconda guerra mondiale econ quella di David Seymour che, nel

1947 documenta i turisti che tornano avisitare la Cappella Sistina.Organiz-zata per decenni, la mostra continuacon gli anni cinquanta che vede la ri-nascita del paese, attraverso le imma-gini di Elliott Erwitt che racconta conuno sguardo ironico la capitale Roma,le sue bellezze e le sue contraddizioni,di René Burri e e di Herbert List con gliscatti realizzati a Cinecittà, la “Holly-wood sul Tevere”. Gli anni sessantasono rivissuti attraverso le fotografie diThomas Hoepker, Bruno Barbey edErich Lessing che presentano, rispet-tivamente, il trionfo di Cassius Clayalle Olimpiadi di Roma del 1960,l’enorme partecipazione popolare aifunerali di Palmiro Togliatti, e le va-canze sulla riviera romagnola nel pe-riodo del boom economico. La Siciliadi Ferdinando Scianna apre la sezionedegli anni settanta, dove s’incontranole immagini di Leonard Freed e di Ray-mond Depardon con la serie sui mani-comi. Gli anni ottanta vivono nellefotografie di Martin Parr che documen-tano l’affermazione del turismo dimassa e di Patrick Zachmann sulla ca-morra napoletana. Nel racconto diAlex Majoli le discoteche romagnole,di Thomas Dworzak il G8 di Genova,di Peter Marlow la guerra nella ex Ju-goslavia e di Chris Steele Perkins la“Clericus Cup”, il torneo di calcio trareligiosi. Paolo Pellegrin con gli scattirealizzati alla folla assiepata in piazzaSan Pietro a Roma durante la vegliaper la morte di Papa Giovanni Paolo IICatalogo Silvana editoriale.

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Walter Swennen. La pittura farà da sé

Quando lo spiego, ho l’impressione di mentire.Quando

lo spiego, sento che le cose sono accadute in maniera

diversa (Walter Swennen). Fino al prossimo 26 agostola Triennale di Milano presenta la prima mostra per-sonale italiana dell’artista belga Walter Swennen Lamostra, a cura di Edoardo Bonaspetti, ripercorre attra-verso più di quaranta dipinti realizzati dai primi anniOttanta ad oggi una realtà espressiva libera e sfug-gente, in cui lo spettatore è sollecitato da un’infinitaserie di interpretazioni e ipotesi. Prima di concentrarsisulla pittura negli anni Ottanta, Swennen si è dedicatoalla poesia e alla filosofia. Gran parte della sua pro-duzione manifesta un interesse per le qualità associa-tive del linguaggio: sperimentazioni evocative ecollage stratificati popolano le tele e influenzano i titolidelle opere. L’artista si forma studiando il pensiero diSigmund Freud, Søren Kierkegaard e Jacques Lacana cui segue un crescente interesse per il lavoro di ar-tisti legati a ricerche attorno alla parola come BobCobbing o Marcel Broodthaers. Lettere, frasi e fram-menti in inglese, fiammingo e francese iniziano a insi-nuarsi nelle tele, fornendo o eliminando, tracce dinarrazioni a favore dell’incoerente, del nonsenso e delmistero. La sua produzione segna un’insanabile frat-tura con la pittura intesa come linguaggio, mentre leimmagini si liberano da ogni tentativo di rappresenta-zione del reale. La mostra è stata realizzata con il sup-porto di Gladstone Gallery, New York/Bruxelles eXavier Hufkens, Bruxelles.

Il pittore belga espone per la prima volta in Italia alla Triennale di Milano

Walter Swennen. W6070

Triennale, Salone d’Onore. Foto di Gianluca di Ioia

Sabato 19 maggio 2018, in occasione del primo appun-tamento del ciclo di incontri Milano 2030 organizzato dalComune di Milano alla Triennale, Giuseppe Sala, Sin-daco di Milano, Pierfrancesco Maran, Assessore a Ur-banistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano, eStefano Boeri, Presidente della Triennale di Milano,hanno annunciato la decisione di collocare l’Urban Cen-ter negli spazi della Triennale, all’ingresso del Palazzodell’Arte. L’Urban Center, attualmente situato nella Gal-leria Vittorio Emanuele, è un centro multimediale per l’in-formazione e la partecipazione sui progetti di sviluppodel territorio. In questa occasione è stato inoltre annun-ciato che verrà lanciato il concorso per la realizzazionedel nuovo Urban Center alla Triennale. Il bando di con-corso, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti Pia-nificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia diMilano. Il bando di concorso verrà pubblicato nei pros-simi giorni sul sito della Triennale: www.triennale.org

URBAN CENTER

Accordo tra il Comune di Milano e la Triennale per la nuova collocazione

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Rita Ackermann - Micol Biassoni (Triennale)

© La Triennale di Milano - foto Gianluca Di Ioia

Dopo dieci anni il Ministero per i Beni Culturali e il Turismo, Direzione GeneraleArte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane ha avviato un progettodi committenza pubblica per riflettere sul paesaggio contemporaneo, affidandoal Museo di Fototgrafia Contemporanea l’ideazione e la promozione del BandoABITARE. L’esito si riassume nella mostra Abitanti, sette sguardi di oggi, a curadi Matteo Balduzzi, aperta al pubblico fino al prossimo 9 settembre, che proponequanto progettato su tutto il territorio nazionale da nove artisti: Dario Bosio, Sa-verio Cantoni e Viola Castello, Francesca Cirilli, Gloria Guglielmo e Marco Pas-

Dal 22 giugno al 9 settembre 2018 laTriennale di Milano presenta la mostradi Rita Ackermann, artista residente aNew York che fonde astrazione e figu-razione, dando origine a opere cheoscillano senza soluzione di continuitàtra presenza ed evanescenza. AllaTriennale di Milano l’artista esponeuna selezione di lavori della serie deiChalk painting ed alcune installazionisuddivise in più pannelli, come adesempio Aesthetic of Disappearancee Meditation on Violence. L’esposi-zione è curata da Gianni Jetzer, criticonewyorkese indipendente e Curator-at-Large delI’Irshhorn Museum di Wa-shington. Rita Ackermann è nata aBudapest nel 1968, vive e lavora aNew York ed ha esposto in famosegallerie negli Stati Uniti, in Giappone ein Europa.

Rita Ackermann: Movimenti come Monumenti

Alla Triennale di Milano le scelte artistiche dell’artista newyorkese

ABITANTI - Sette sguardi sull’Italia di oggi

Il progetto presentato dal Museo di Fotografia Contemporanea e dalla Triennale di Milano

saro, Rachele Maistrello, TommasoMori e Flavio Moriniello. La mostra ènata dalla volontà di promuovere lacultura fotografica contemporanea at-traverso alcune campagne di commit-tenza pubblica, valorizzare l’opera digiovani fotografi italiani, incrementareil patrimonio fotografico delle collezionipubbliche, sottolineando il ruolo basi-lare della fotografia per testimoniare ecomprendere le trasformazioni cultu-rali, sociali ed economiche. I progettivincitori sono stati scelti tra oltre tre-cento candidature provenienti da tuttala nazione dal Comitato Scientificocomposto da Fabio De Chirico dellaDirezione Generale Arte e ArchitetturaContemporanee e Periferie Urbane,Giovanna Calvenzi Presidente delMuseo di Fotografia Contemporanea,Matteao Balduzzi curatore del Museoe del Progetto, Stefano Mirti fondatoredi LdLab, Luigi Spedicato sociologo al-l’Università del Salento e Milena Fa-rina ricercatrice in progettazionearchitettonica e urbana all’Universitòdegli Studi Roma Tre.

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pag. 24Giugno 2018

La superstizione tra danno e idiozia

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Brutta bestia l’ignoranza, specie se as-sociata all’ipocrisia, da sempre veri fla-gelli dell’umanità. L’uomo ha semprecercato qualcosa da considerare infe-riore per potersi ritenere superiore, uncapro espiatorio cui attribuire tutti ipropri difetti, che siano donne, ebrei,omosessuali. O gatti. Questi felinisono stati addomesticati circa dieci-mila anni fa nella Mezzaluna Fertile,dopo le pecore, i cani e i bovini, dalgatto selvatico africano. Iniziarono adessere venerati come animali divinipoche migliaia di anni dopo nel deltadel Nilo dagli antichi Egizi che vede-vano in loro, oltre a cacciatori di topi eratti e difesa contro i serpenti, ancheun simbolo di grazia e benevolenza: ladea Bast (poi Bastet) era rappresen-tata spesso con la testa di un gatto.Considerata una figura rassicurante eprotettiva, era la divinità che presie-deva alla fecondità, maternità e vitadomestica in generale e anche alladanza. In ossequio alla natura sua di-vina questo veniva mummificato dopola morte, proprio come era uso per gliesseri umani ed offerto in rito propizia-torio alla dea. Il culto felino passò suc-cessivamente in Grecia al tempo dellaconquista dell’Egitto da parte di Ales-sandro Magno, con Bastet assimilataad Artemide; in seguito dalla Greciagiunse a Roma, senza la medesima

intensità di venerazione, quale compa-gno della dea Iside. Il periodo oscuro

iniziò con la presa del potere nel tardoimpero romano del Cristianesimo: glidei furono ridotti a diavoli e gli animalisacri a servitori demoniaci. Questa be-stia che camminava di notte come se-fosse giorno e che, specie se di peloscuro, si confondeva nell’ombra, conocchi che brillavano di luce malignaell’oscurità, era ovviamente demo-niaca e chi ne provava anche un sem-plice interesse risultava sospetto. Nel1233 papa Gregorio IX con la bolla“Vox in Roma” indirizzata prevalente-mente agli ecclesiastici germanici,prese una posizione netta contro glieretici e la stregoneria, indicando ilgatto, citato una sola volta e senzaspecificarne il colore, come loro com-pagno ed incarnazione di Satana; nel1484 papa Innocenzo VIII scomunicò

GATTO BIANCO GATTO NERO

Bastet, dea egizia della gioia, del pia-cere e della guerra, spesso rappre-sentata con la testa di gatto. Bronzoperiodo tardo-greco-romano (Com-mons: Riuso del contenuto al di fuoridi Wikimedia)

Pompei. Mosaico in una villa

le streghe ed i loro sodali, compresiquindi i gatti. Accarezzarne uno era ri-tenuto pericoloso, tenerlo in casa erasospetta stregoneria, la promiscuitàtra donna e gatto era stregoneria con-clamata. Bisogna anche tenere pre-sente che nell’alto Medioevo i gattierano tenuti lontani dalle abitazioni e

Il gatto nero è uno dei felini più ele-ganti al mondo, è molto tenero e di un-dole buona. Affascinanti sono gliocchi, solitamente gialli o di un coloresimile all’ambra, per l’alta concentra-zione di pigmento di melanina.

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che per catturare topi e roditori veni-vano usati i furetti oppure le donnole esolo dopo la Morte Nera, la grande pe-stilenza che imperversò in Europa nelXIV secolo, si ci rese conto che i gattierano molto più efficaci come caccia-tori. Questo non cambiò la considera-zione che la gente aveva di loro:sempre demoniaci erano e sempre ilmalocchio portavano. E la strage con-tinuava. Uccidere i gatti aiutava ascac-ciare gli spiriti cattivi, a debellare leepidemie e proteggere gli uomini, spe-cialmente i bambini, gli armenti e lemessi. Nella notte di San Giovanni ve-nivano accesi molti fuochi bene augu-ranti, come tutt’ora si fa, con ladifferenza che allora si chiudevanotutti i gatti che si riusciva a catturare inceste di vimini che venivano gettatetra le fiamme per augurare la BuonaVentura. A Metz, liberata da San Cle-mente da un demone a forma di gatto,si usava festeggiare il santo gettandogiù dalle torri decine di gatti, usanzache prosegue al giorno d’oggi, con lasola accortezza che si usano gatti dipezza. Dal XVI secolo questi splendidifelini incontrarono grande favorepresso le classi aristocratiche e gli in-tellettuali (Montaigne, La Fontaine,Montesquieu), il re di Francia Luigi XVera un grande amante dei gatti, mapresso il popolino questi erano ancoratemuti e perseguitati. Nel novembredel 1730 a Parigi ci fu una delle piùcruente stragi conosciute: centinaia dianimali furono torturati e sterminaticon una rabbia indescrivibile, per ilpuro piacere di farlo. Tutto iniziò inRue Saint-Severin dove due operai diuna tipografia uccisero la gatta dei lorodatori di lavoro perché era trattatamolto meglio di loro; questo piccologesto fu come la pietruzza che sca-tena una valanga, tutto il rancore re-presso dalle classi più sfruttate esposein un’orgia di violenza indirizzata,come sempre, verso chi è più deboleo indifeso. L’ultima grande mattanzapubblica di questi animali si verificò nel1773, sempre a Metz, sempre durantela festa di San Giovanni, più tardi proi-bita dall’autorità ecclesiastica che laetichettò come superstizione. Destino

Gatto bianco gatto nero

Mary Evelyn Pickering, conosciuta con il cognome da coniugata De Morgan(Londra, 30 agosto 1855 – Londra, 2 maggio 1919), pittrice preraffaellita britan-nica. The Love Potion - The De Morgan Centre for the Study of 19th CenturyArt and Society London Borough of Wandsworth, England

diverso quello incontrato da questi animali nel mondo arabo, dove sono semprestati molto amati essendo stati benedetti da Maometto, salvato da uno di lorodal morso di un serpente velenoso. Per riconoscenza il Profeta, ponendo pertre volte le mani sulla schiena del gatto gli diede la capacità di cadere sempresulle zampe. Inoltre, per la cultura araba questo è l’unico animale a poter os-servare contemporaneamente il mondo terreno e quello ultraterreno ed è anchel’unico al quale è permesso entrare liberamente nelle moschee. Oggigiorno nonsi può dire che il gatto si sia totalmente liberato dalla sua aura negativa e no-nostante la grande quantità di persone che lo amano, esiste sempre un’accanitaminoranza che ancora ne teme il malocchio. Franco Rossi

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Dopo il viaggio travagliato e pieno diincubi attraverso il paese delle ombre,l’anima dell’egizio defunto, varcate lesoglie misteriose dell’al di là, dovevasuperare l’ultima prova,: il giudiziodegli dei. Solo una vita esemplaredava il diritto ad entrare nel paradisodi Osiride, il signore dell’oltretomba.Eccolo il dio dal volto impassibile, ac-canto a Iside la sua sposa ed alle altredivinità nella grande sala del tribunalesupremo. Il suo volto è severo e fissa,come gli altri dei dal corpo umano edal capo di bestia, il mortale appenagiunto. Thot, il dio dalla testa di ibis, èpronto a registrare la confessione el’anima, con voce tremante, inizia lasua discolpa: non ho commesso adul-

terio, non ho ingannato, non ho uc-

ciso, continuando ad elencare tutti iquarantadue peccati che l’avrebberoprivata dell’immortalità. Quando tace,il silenzio si fa ancora più pesante el’atmosfera dell’attesa si riempie dellapaura del defunto, che non osa nep-pure pensare a quale terribile penapotrebbe spettarle se fosse ritenutacolpevole. Il dio Oro si avvicina lenta-mente alla grande bilancia che troneg-gia nella sala. Su un piatto pone il suo

CRONACHE DELL’ANTICO EGITTO

simbolo, la Verità, sull’altro il cuore di colui che sta per essere giudicato. La bi-lancia ondeggia quando Oro ritrae la mano e si ferma perfettamente in equili-brio. L’anima ha detto il vero. Allora Osiride, il cui viso era rimasto fino ad oraimpassibile, sorride e con lei tutti gli dei. L’anima, ora invasa da una grande dol-cezza mai provata prima, comprende di aver guadagnato l’immortalità. I mes-saggeri di Osiride l’accompagnano a prendere posto nella sua tomba, dove nonmanca nulla per la sua nuova vita nell’al di là: provviste, tesori, ornamenti. Que-sta sarà la sua dimora durante il giorno, mentre la notte viaggerà dietro il sole,nel paradiso di Osiride. Il suo sguardo scorre sulle pareti della tomba e ritrovale splendide pitture che aveva commissionato in vita dove rilegge, come in undiario, i momenti più belli del suo soggiorno terreno nella terra degli Egizi. Ri-vede le donne bellissime della sua casa, nelle immagini di caccia rivive momen-

Una vita senza fine nell’arte funeraria dell’Impero

segue

Ra viaggia attraverso gli inferi nel suo brigantino, dalla copia del Libro dellePorte nella tomba di Ramses I (KV16)

Illustrazione del Libro dei morti (Papiro di Ani), raffigurante Anubi che esegue la psicostasia (Pesatura del cuore del defunto). British Museum, Londra

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Cronache dell’Antico Egitto

Stele della tomba di Nemti-ui. Primo periodo intermedio egiziano. Akhmim (?)H 48,5 cm. Calcare, intonaco dipinto. NEL 1875. Museo Roemer und Pelizaeus."Un'offerta che il re da (a) Osiride, un'offerta funeraria per il venerabile con ilGrande Dio, per il Signore della Camera Privata, il Sorvegliante dei Campi dellaGrande Casa, Nemti-ui ..." WCL

LA PITTURA EGIZIA

ti avventurosi, riscopre la gaia atmo-sfera delle feste. Siccome la sua vitaè stata esemplare, tutto ciò che haamato sulla terra si trova simbolica-mente nella sua nuova dimora: l’oltre-tomba è diventata il prolungamentodell’esistenza terrena. Di quell’esi-stenza l’uomo moderno ha ritrovatol’immagine, rimasta intatta attraverso isecoli, nei templi e nelle tombe dellavalle del Nilo.

Il volto leggiadro di questa giovane donna di corte rivela lasua origine nobile nella delicatezza dei lineamenti: il nasodalla line purissima, la bocca perfetta, lo sguardo altero. Danotare l’eleganza dell’acconciatura: un grosso orecchino do-rato s’intravede tra i capelli rompe la pesantezza della raffi-nata pettinatura; la ricca collana a più giri di perle è resaleggiadra dall’accostamento di tinte morbide. La medesimadelicatezza di colori si ritrova nella fascia che cinge la som-mità del capo e nel fiore di loto sospeso sulla fronte (Festaper Nebamun, particolare della metà superiore di una scenadella cappella-tomba di Nebamun. British Museum)

Il primo dei tre grandi cicli di pitturaegizia è quello dell’Antico Regno dal2500 al 2100 a.C. quando era capitalela città di Menfi, periodo in cui si svi-luppa la cosmogonia divina, la scrit-tura, mentre si perfeziona l’arte dellamummificazione dei defunti e inizianoa svilupparsi schemi, iconografie e stilidell’arte su cui baserà tutta la produ-zione artistica della storia egizia. Lamaggior parte delle opere pittoriche in

tempera vengono dipinte direttamente sulla pietra o su intonaco composto dauno strato di gesso, paglia e fango, mentre i colori sono ricavati dal ferro, ocra,carbonio e malachite, mescolati al bianco e alla calce. La tecnca si affina duran-

te durante il Medio Impero, che si sviluppa tra il 2100 e il1800 a.C. con capitale Tebe. In questo periodo la pittura,seppur restando ancora alquanto semplice, prende il so-pravvento sulle arti scultoree con innovazioni quali adesempio il naturalismo delle tombe di Beni Hasan, la ne-cropoli dell'antica città egizia di Menat Khufu e la tendenzaa dipingere sarcofagi e mummie. Ma la grande stagionedella pittura egizia si ha sempre a Tebe durante il NuovoRegno, dal 1500 al 1100 a.C. Le innumerevoli testimo-nianze giunte dai templi e dai ritrovamenti di tombe nellenecropoli testimoniano il grande sviluppo di quest’arte chesperimenta peraltro nuove tecniche, nuovi canoni e temi,con una perfezione ed una tale dovizia di particolari mairaggiunta nei periodi precedenti. I temi si arricchiscono discene di vita quotidiana e le ambientazioni superano i con-fini dell’Egitto rappresentando flora e fauna di luoghi stra-nieri, che riporta all’apertura verso i paesi confinanti el’espansione territoriale dei sovrani. Luisastella Bergomi

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Il tempio di San Biagio a Montepulciano

La storia, i restauri e la mostra per il V Centenario dell’edificazione

Il Tempio di San Biagio a Montepul-ciano è uno dei più celebri capolavoridell'architettura rinascimentale to-scana, realizzato su progetto di Anto-nio da Sangallo il vecchio dal 1518 al1548, sul modello della basilica diSanta Maria delle Carceri a Prato,opera del fratello Giuliano da San-gallo. Edificato sul luogo dove sorgevaun'antica pieve di origine paleocri-stiana dedicata a Santa Maria e suc-cessivamente, dopo il trasferimentodei diritti plebani intorno all'anno 1000,entro le mura castellane, a San Biagio,agli inizi del Cinquecento dell’anticapieve si conservavano solo alcuniresti; in un muro si trovava ancora unaffresco con la Madonna col bambinoe San Francesco, opera del Trecentosenese, a cui nel 1518 vennero attri-buiti eventi miracolosi. L'eco di questadevozione si sviluppò ben oltre l'areadella Valdichiana ed il progetto archi-tettonico fu realizzato grazie alla rac-colta di offerte di cittadini e devoti. Il

complesso architettonico con il Tem-pio a pianta centrale e l'adiacente Ca-nonica, costruiti in blocchi di travertinodelle vicine cave di S. Albino, è statooggetto di numerosi studi, che sottoli-neano l'uso sapiente e armonico degliordini, dei partiti architettonici e delleproporzioni classiche in un rapportodialettico tra uomo, architettura e pae-saggio. Alla morte del Sangallo (1534)i lavori continuarono con la costru-zione della cupola tra il 1543 e il 1545,mentre il primo campanile fu conclusosolo nel 1564 ed il secondo restaancor oggi incompiuto. Le celebrazionidel V centenario dell'edificazione delTempio di San Biagio offrono l'occa-sione per rivisitare e riproporre l'arredointerno originale della chiesa realiz-zato a partire dall'ultimo quarto delCinquecento, con le nuove regoleemanate dal Concilio di Trento in ma-teria di apparato liturgico e di artesacra, che poi sarà in gran parteasportato durante il restauro neorina-

scimentale. L'evento espositivo, a curadi Laura Martini e Riccardo Pizzinelli eche resterà a disposizione del pub-blico fino al prossimo 4 novembre,vuole porre in evidenza la storia di-menticata dell'arredo interno del tem-pio. L’attuale configurazione internarisale, infatti, al recupero “purista” difine Ottocento con gli altari ricostruitiin stile cinquecentesco, sull'esempiodell'unico che è stato ritenuto eseguitosu disegno originale del Sangallo nellaprima metà del Cinquecento. Il pro-getto di rinnovamento interno coin-volse i sei altari laterali con un ornatoesuberante di volute, stemmi e putti instucco dipinto e dorato. A questo in-tervento, che modificava radicalmentegli spazi rinascimentali, contribuironoin maniera determinante alcune cele-bri casate: Cervini, Contucci, Nobili,Ricci e Lupacci, cui fu assegnato il pa-trocinio delle cappelle e degli altari.Nobili famiglie poliziane legate in pre-valenza all'ambiente artistico romano

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Il Tempio di San Biagio

e fiorentino, come dimostrano le teledegli altari e i dipinti murali che cam-peggiano nella zona presbiteriale.Dagli anni settanta dell'Ottocento, sul-l'onda di un rinnovato interesse per lastoria e l'architettura del monumentodopo l'Unità d'Italia, si giunse ad ela-borare un progetto di ripristino neori-nascimentale nel quale ebbe unaparte determinante l'architetto seneseGiuseppe Partini. A seguito di una suaproposta San Biagio divenne monu-mento nazionale nel 1878 e, agli inizidegli anni ottanta, fu oggetto di unaprima fase di pesanti lavori demolitivi.Solo negli anni novanta, infine, sigiunse alla ricostruzione delle mensein travertino e dei dossali, a seguitodella quale le grandi tele eseguite perSan Biagio furono trasferite in chiesecittadine e del territorio, e gli altari ri-masero vuoti fino al “prestito”, nel1904, di dipinti provenienti dai depositidelle Gallerie fiorentine, poi restituitinel 1973. La mostra presenta ancheuna sezione documentaria che ospitaimmagini, dipinti, incisioni, piante eprospetti dell'interno, prima della di-

struzione degli altari rinnovati nel tardo XVI e nella prima metà del secolo XVII.L'esposizione, curata da Laura Martini e Riccardo Pizzinelli, caratterizzerà l'in-tera annata del V centenario, dal 22 aprile fino al 4 novembre 2018. promossae organizzata dall'Ente proprietario, Opere Ecclesiastiche Riunite di Montepul-ciano, dalla Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, dalla Soprintendenza Ar-cheologia Belle Arti e Paesaggio delle Province di Siena, Grosseto e Arezzo,dal Comune di Montepulciano, dalla Biblioteca Archivio Piero Calamandrei, conil contributo del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano e l'intervento diCattolica Assicurazioni, è prodotta da Opera-Civita.

Veduta interna di S. Biagio

Disegno della facciata e del campaniledella Chiesa di San Biagio

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pagno di Giotto, nel 1309 ad Assisi, e con lui dipinse le pareti di due cappelle diSan Francesco, per poi tornare a Gubbio e affrescare la chiesa dei frati Minorie altri edifici della città. La mostra è allestita in tre sedi il Palazzo dei Consoliche sorge sopra una favolosa terrazza che lo fa somigliare a quelle città che isanti portano in cielo nei polittici degli altari; il Museo Diocesano che sorge ac-canto alla chiesa cattedrale e infine il Palazzo Ducale, che nacque come sededel Comune e finì per essere la residenza di Federico da Montefeltro, signoredi Urbino.Curata da Giordana Benazzi, Elvio Lunghi ed Enrica Neri Lusanna,la mostra è promossa dal Comune di Gubbio, dal Polo Museale dell’Umbria,dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria, dallaChiesa Eugubina e dalla Regione Umbria. L’organizzazione è di Civita Mostrecon Gubbio Cultura e Multiservizi e Associazione Culturale La Medusa. Partnerdell’iniziativa è il Festival del Medioevo, con il sostegno della Fondazione Cassadi Risparmio di Perugia e con l’importante contributo della BCC Umbria.

GUBBIO AL TEMPO DI GIOTTO

Un percorso in tre sedi per scoprire i tesori dell’arte nella terra di Oderisi

La città di Gubbio conserva intatto ilsuo splendido aspetto medievale,quello del tempo di Dante e di Oderisida Gubbio, il miniatore che il sommopoeta incontra tra i superbi in Purga-torio e al quale dedica quei versi chedecretano l’inizio di un’età modernache si manifesta proprio con la poesiadi Dante e l'arte di Giotto. La mostraGubbio al tempo di Giotto. Tesori

d'arte nella terra di Oderisi, vuol resti-tuire l’immagine di una città di mediagrandezza ma di rilievo politico e cul-turale nel panorama italiano tra la finedel Duecento e i primi decenni del Tre-cento, esponendone il patrimonio figu-rativo sia civile che religioso. Perl’occasione ha restaurato dipinti na-scosti da molto tempo, riconsegnandoa Gubbio opere disperse nel corsodella storia, riunendo quadri deglistessi pittori eugubini destinati ad altrecittà dell'Umbria, chiamando impor-tanti prestiti dall’estero.Dipinti su ta-vola, sculture, oreficerie e manoscrittiminiati delineano, anche con nuove at-tribuzioni, le fisionomie di grandi artisticome Guido di Oderisi, alias Maestrodelle Croci francescane, Il Maestrodella Croce di Gubbio, il MaestroEspressionista di Santa Chiara ovveroPalmerino di Guido, “Guiduccio Pal-merucci”, Mello da Gubbio e il Maestrodi Figline. Il padre di Oderisi, Guido diPietro da Gubbio, viene oggi identifi-cato in uno dei protagonisti della co-siddetta “Maniera Greca”, da GiuntaPisano a Cimabue. Palmerino fu com-

Palmerino di Guido, Cassa di Sant’Ubaldo. Gubbio

IL RITRATTO DI SIGNORA IN GIARDINO DI SILVESTROLEGA NELLA COLLEZIONE DEI MACCHIAIOLI A FIRENZE

Le Gallerie degli Uffizi ricevono in dono il Ritratto di signora in Giardino del1883,una delle opere più importanti e significative del percorso artistico di Sil-vestro Lega, dipinta in un periodo in cui l’artista aveva trovato una certa serenitàpresso la famiglia Tommasi a Bellariva. Il dipinto è stato donato da Josie, lafiglia di Mario Taragoni, grande collezionista genovese. Per la densità matericadell'impasto pittorico e l’approccio diretto e quasi fotografico al soggetto, l’operaè fondamentale per documentare al meglio le risorse formali della pittura mac-chiaiola, da intendersi come fucina stilistica di sconvolgente modernità e patri-monio di risorse per molte espressioni figurative del Novecento, non soltanto inambito italiano.Ora il ritratto di signora in giardino è esposto nella sala 18 dellaGalleria d’arte moderna

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A Edinburgo si comprende quanto gliscozzesi siano orgogliosi della loroidentità nazionale. Nel Museo dellaScozia viene usato il pronome “noi”per raccontare la storia dei primi abi-tanti della regione e la città è costellatadi monumenti dedicati a personaggiche hanno dato lustro al paese: daAlexander Graham Bell che, grazieagli studi sulla riabilitazione dei sordo-muti pervenne alla realizzazione deltelefono, a David Livingstone, medico,missionario ed esploratore che scoprìle cascate Vittoria in Angola lungo ilcorso del fiume Zambesi, alle qualidiede il nome della regina. Dai fratelliWilliam e Robert Chambers, i compi-latori del primo dizionario etimologiconel 1872 e fondatori dell’omonima efamosa casa editrice, a James YoungSimpson, che nel 1847 scoprì le pro-prietà anestetiche del cloroformio. DaWalter Scott, uno dei padri del ro-manzo storico a Bobby, fedelissimocagnolino di razza Skye terrier chedopo la morte del padrone ne ha sor-vegliato la tomba per quattordici anni,storia che ispirò il romanzo di EleanorAtkinson e un film Disney. Chi, visi-tando nel porto di Leith lo yacht realeBritannia utilizzato dai monarchi dal1953 al 1997, si aspettasse un lusso

DA EDIMBURGO A BRISTOL

Edimburgo. Museo della Scozia

Esplorazioni geografico letterarie sul territorio scozzese

sfrenato rimarrebbe deluso. Tutto è molto semplice in quanto gli architetti hannovoluto riprodurre l'essenzialità di una casa di campagna. Procedendo verso sudci si imbatte nel Vallo di Adriano, frontiera settentrionale dell'impero romano,dove uno straordinario museo racconta con ricchi dettagli tutta la storia di que-sta impresa. Veniamo così a sapere che il vallo è stato costruito da tre legioniromane e non da schiavi, che i “Roman soldiers” non erano originari di Roma,ma dell'Europa settentrionale. Infatti, un nativo di Roma non sarebbe stato ingrado di sopportare inverni tanto rigidi. Scopriamo come vivevano i legionari,cosa mangiavano e bevevano, importavano il vino dalla Francia e producevano

la birra, le loro relazioni con gli abitantidel luogo e sebbene fossero vietati imatrimoni tra legionari e donne indi-gene, ciò non impedì grande promi-scuità. A Grasmere nel Lake District èpossibile visitare il Dove Cottage, peralcuni anni residenza di William Wor-dsworth, uno dei massimi rappresen-tanti del romanticismo inglese. Quisono esposte pagine tratte dal Gra-smere Journal, il diario che teneva Do-rothy, sorella del grande poeta ed èpossibile entrare nell'intimità della fa-miglia e comprendere quanto stretto,spesso ai limiti del morboso, fosse ilrapporto tra i due.Nei secoli passati leleggi vigenti in Scozia e Inghilterra nonerano valide nelle zone di confine chene promulgavano di proprie, poi rico-nosciute da entrambe le parti. Anchea Carlisle, posta sul confine tra Scozia

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Vallo di Adriano

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Da Edinburgo a Bristol

e Inghilterra in un punto strategico dicollegamento tra nord e sud, dove alTullie House Museum è affidato ilcompito di raccontare la travagliatastoria della città. Per la sua posizioneCarlisle subì numerosi assedi, comequello del 1315 con Robert the Bruceal comando dell'esercito scozzeseche, dopo undici giorni di pioggia in-cessante, con le catapulte infossatenel fango, fu costretto alla ritirata equello del 1644, quando Oliver Crom-well insieme agli Scozzesi cercò diconquistare la città fedele alla monar-chia. In quell’occasione il diciottenneIsaac Tullie, membro della famigliaproprietaria dell'edificio che ospita ilmuseo, da testimone oculare tenne undiario che trascrisse i fatti terribili deidieci mesi che videro civili e soldati ri-dotti a mangiare cani e topi. La Pas-seggiata della Signora, “Lady's Walk”,ricorda che nel 1568 Maria Stuarda futenuta prigioniera nel castello di Carli-sle. La regina degli Scozzesi aveva ilpermesso di cavalcare sotto sorve-glianza e partecipare alla caccia alla

monarchi inglesi. La Merchant Adven-turers’ Hall, suggestivo edificio a gra-ticcio risalente alla seconda metà delXIV secolo, ospitava una corporazionetuttora esistente, alla quale la reginaElisabetta I concesse la licenza reale.Qui i mercanti dovevano rischiare(“adventure”) il loro denaro. La corpo-razione metteva in scena ogni anno larappresentazione sacra del “Giudiziouniversale” nota con il nome di “mira-cle plays”, con drammi della tradizioneletteraria inglese ispirati alle storie delVecchio e Nuovo Testamento rappre-sentati da attori laici su carri mobili trai-nati da cavalli da un punto all’altrodelle città. All’ingresso di Bristol nellazona occidentale si può ammirare ilsorprendente ponte sospeso soprauna gola del fiume Avon, il “Clifton Su-spension Bridge” progettato dal visio-nario ingegnere Isambard KingdomBrunel e considerato a ragione uno deiponti più eleganti della Gran Bretagna,un capolavoro di leggerezza e solidità,se consideriamo che era stato conce-pito per il transito delle carrozze ed orasopporta quello di circa dodicimila vei-coli al giorno. In un bacino di carenag-gio lungo il canale è ancora visitabileun altro capolavoro di Brunel, il piro-

Carlisle Castle

lepre sulle rive dell'Eden, guardare le-partite di calcio, assistere alle funzioniin cattedrale e passeggiare sul ripianoerboso intorno alle mura noto comePasseggiata della Signora. Impressio-nanti i sotterranei del castello, con leprigioni dove si trovano le famigerate“pietre leccate”, solchi lasciati dai pri-gionieri che, per lenire la sete, lecca-vano le pareti umide. Nel museo“Jorvik” di York dedicato alla storia deiVichinghi, le moderne tecniche di in-dagine scientifica hanno permesso diconoscere di quali malattie soffrisse lapopolazione, come ad esempio la con-trattura di Dupuytren, il morbo di Pagete la sclerosi multipla. Le saghe islan-desi raccontano che Leif Erikson,detto il Fortunato, è stato il primo eu-ropeo a sbarcare nelle Americhe aTerranova intorno all’anno Mille ma,non essendosi spinto oltre l'area co-stiera, l’insediamento fu di breve du-rata. Nel Museo delle Ferroviescopriamo che la ferrovia è stata in-ventata per il trasporto delle merci esolo successivamente nacque l'idea ditrasportare passeggeri e da quando laregina Vittoria effettuò un viaggio intreno nel 1842, la strada ferrata harappresentato il mezzo di trasporto dei

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Da Edimburgo a Bristol

Bristol. Clifton Suspension Bridge

scafo “Great Britain”, chiamato affet-tuosamente la “grande signora diferro”, una delle più importanti navistoriche al mondo costruita nel can-tiere Great Western, straordinariacombinazione di dimensioni, potenzae tecnologia innovativa. Brunel avevapreso la pionieristica decisione di uti-lizzare il ferro per lo scafo e sostituirele ruote a pale con un’elica azionata

da motori a vapore di mille cavalli. Questa fu la nave destinata a cambiare lastoria della navigazione e diventare l’antenata di tutte le imbarcazioni moderne.L’antica stazione ferroviaria di Temple Meads, sempre a firma di Brunel, ospitaoggi il British Empire and Commonwealth Museum che narra la storia di cin-quecento anni di esplorazioni, commerci e conquiste, senza evitare il confrontocon i capitoli ignominiosi della storia inglese, tra i quali la schiavitù e lo sfrutta-mento degli indigeni. Il racconto inizia nel lontano 1497 quando il navigatoreitaliano Giovanni Caboto ricevette dal re Enrico VII le lettere patenti che lo au-torizzavano a compiere viaggi d’esplorazione ed a prendere possesso di nuoveterre per conto della corona inglese. Caboto salpò dal porto di Bristol sulla pic-cola nave da carico chiamata “Matthew” e raggiunse il Canada. Per gli aborigenicanadesi il suo viaggio rappresentò il primo passo verso la perdita della terra edell’indipendenza e per gli inglesi l’inizio della grande avventura coloniale. Matilde Mantelli

La mostra Liu Bolin. The invisible man al Vittoriano racconta la storia dell’artistacinese, dalla prima perfomance a Pechino fino agli scatti più recenti del 2017alla Reggia di Caserta e al Colosseo, appositamente realizzati per la mostraromana e qui esposti in anteprima mondiale. Con il patrocinio della RegioneLazio e Roma Capitale Assessorato alla Crescita Culturale e quello della Fon-dazione Italia Cina, la mostra è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisiain collaborazione con la Galleria Boxart, ed è curata da Raffaele Gavarro e so-stenuta da Generali Italia con Valore Cultura. Sette cicli tematici ripercorrono lapoetica dell’artista: dalle prime opere della serie Hiding in the City del 2005 finoai giorni nostri, in un viaggio ideale tra la Cina, con i suoi celebri edifici, i miti, leproblematiche sociali e l’Italia. Nelle tappe di questo itinerario, tuttora in corso,Liu Bolin riesce ad affrontare in maniera neutrale, seppur consapevole, temi so-ciali di stretta attualità, come la frenesia del consumismo, il nodo dell’immigra-zionedimostrando come l’arte s’intrecci sempre strettamente alla realtà.

LIU BOLIN - The invisible manAl Vittoriano una grande antologica dell’artista cinese

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L’ISOLA D’ELBA DI NAPOLEONE

L’isola d’Elba, con la morte di Napo-leone chiuse lo strano destino che do-veva rendere famosa in tutti i tempiun’isola oscura del Tirreno, collegan-dola al nome del più grande dei con-dottieri. Fu una parentesi storica, magli abitanti dell’isola pensarono fossel’alba di un lungo regno. L’Elba imma-ginò per un momento di essere unostato duraturo e destinato forse a in-sospettate glorie. Non le restò inveceche il lustro d’un grande ricordo, ma fuabbastanza perché la piccola isola ri-manesse nota in tutto il mondo e adessa si rivolgesse il pellegrinaggiocontinuo di quanti amavano ripercor-rere le tracce dell’uomo le cui impresesembrarono leggenda più che storia.L’uomo, che sorgendo dal popolo, eraassurto ai supremi prestigi dell’imperonon parve, sul momento in cui solleci-tato dai marescialli trepidanti, segnavacon l’abdicazione di Fontainebleau laconfessione della sua sconfitta, ab-bassato al livello di un sovrano spode-stato. Così l’imperatore il 3 maggio1814 arrivava, a bordo di una fregatainglese, a Portoferraio. L’ingresso diNapoleone fu trionfale. Il cannone tuo-nava, le campane suonavano a di-stesa, le bande musicali e i coririempivano l’aria di suoni festosi. Lapopolazione esultante si accalcava in-torno a Napoleone, assetata di annun-ziare il nuovo sovrano, che sotto latunica verde dei cacciatori della Guar-dia e il famoso “petit chapeau” dovevasentire una malinconia infinita. Napo-leone era stanco, desideroso di quietee di raccoglimento, ma i buoni isolaninon se ne rendevano conto. Dopo lacerimonia di ricevimento, il sindacoTraditi consegnò al Re sopra un piattod’argento le chiavi della città dopo lafunzione in chiesa, dove un malsicurobaldacchino aveva riparato il sovranoquasi per una parodia dei fasti impe-riali. Napoleone attraversò la Piazza esi recò al Municipio che aveva sceltocome dimora, ma di questa scelta sipentì presto. Le dimostrazioni dellafolla, le richieste continue di udienze edi visite, le promiscuità familiari a cui

Jean-Baptiste Édouard DetailleIl generale Bonaparte durante la prima campagna d'Italia

si trovava esposto, lo irritavano e stancavano. Se usciva la folla lo attorniava,tutti volevano vederlo e anche toccarlo, i mendicanti lo assillavano, i ragazzi sirotolavano fra le gambe del suo cavallo. Napoleone decise di abbattere un am-masso di casupole e di mulini a vento sopra una collina che dominava Porto-ferraio, conservando due edifici adibiti a caserma e deposito del Genio edell’Artiglieria, collegandoli con un edificio centrale. Così sorse il così detto Pa-

lazzo dei Mulini. Napoleone mandò a prendere i mobili nel palazzo di Piombino,che era già stato di proprietà di sua sorella Elisa Bacciocchi ed ora tornato inpossesso dell’Austria. Inoltre, quando la nave che trasportava i mobili del Prin-

Un sogno che non si avverò

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L’isola d’Elba di Napoleone

sul gran libro del debito pubblico francese. Il Capo della Marina era il tenente divascello Taillade che soffriva orribilmente il mal di mare. Il 26 maggio, alle ore8 del mattino, sbarcavano a Portoferraio, da cinque trasporti inglesi che li ave-vano imbarcati a Savoia, i soldati della Guardia Imperiale, che Napoleone avevaavuto facoltà di condurre all’Elba, comandati da Cambronne. Fu un momentodi grande gioia per Napoleone. Altri ospiti giunsero all’Elba: Paolina Borgheseche era arrivata il 31 maggio malata e che fu compagna soave e sottomessadel fratello nel suo esilio; Letizia, la madre di Napoleone, che prese alloggio inuna casa in affitto presso il Palazzo dei Mulini. Ma chi fu attesa a lungo invanofu colei che più Napoleone avrebbe desiderato avere vicina: Maria Luigia, labella duchessa di Parma, che tra le feste della corte di Vienna non aveva unpensiero per l’uomo ai cui destini era stata avvinta. Non era ancor finita la co-struzione del Palazzo dei Mulini che Napoleone desiderò una residenza ancorapiù tranquilla e più lontana dalla piccola capitale e così fece costruire la “Villa diS. Martino”, a circa sei chilometri da Portoferraio. La scelta del luogo non fuforse felice, perché il sito è raccolto in una conca abbastanza lontano dal mare,

cipe Borghese, marito della sorellaPaolina, che navigava da Genovaverso Civitavecchia per raggiungereRoma ma dovette approdare a Porto-ferraio, egli si impadronì anche deimobili trasportati dalla nave dicendoche tanto non sarebbero usciti dalla

famiglia. La corte era una parodia,tranne per i suoi fedeli Bertrand e Dro-uot e Peynesse, ministro delle finanzeche aveva seguito l’imperatore e lacassa. A Napoleone era stata asse-gnata una lista civile di due milioni

Isola d’Elba - Palazzo dei Mulini

ma Napoleone non ebbe tempo forseneppure di abitarvi e non vi lasciò ri-cordi oltre quello di aver presiedutoalla sua costruzione. Nel Museo Na-poleonico si conservano preziosissimicimeli del Bonaparte, grandi opered’arte, come la statua di Paolina Bor-ghese del Canova, il dipinto di Napo-leone nell’abito dell’incoronazione. Ma

per disgrazia la mente pazza di un di-scendente alcolizzato disperse vanda-licamente tutti quei tesori. Nel febbraio1815 il sogno degli abitanti dell’isolad’Elba si disperdeva. Napoleone, fiac-cato nel corpo, ma fiducioso nel suospirito inflessibile, lasciava l’Elba esbarcava in Francia. Fu un sognoanche quello. Una fase storica si era

chiusa, e la mano indebolita del Bona-parte non poteva più riaprirne le porte:cento giorni, poi Waterloo. Poi San-t’Elena. Poi, liberatrice, la morte.Lucio Causo

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