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Giovanni Padoan - Abbiamo Lottato Assieme ebook

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    Giovanni Padoan (Vanni)

  • LOnA POLITICA E RESISTENZA NEL FRIULI E VENEZIA GIULIA A cura della Deputazione regionale per la storia del movimento di liberazione

    nel Friuli e Venezia Giulia

    Saggi e documenti:

    N. 1 C. Ventura: LA STAMPA A TRIESTE 194345 (esaurito)

    N. 2 C. Silvestri: DALLA REDENZIONE AL FA SCISMO (esaurito)

    N. 3 E. Apih: DAL REGIME ALLA RESISTENZA V. GIULIA 1922-1943 (esaurito)

    N. 4 G. Fogar: SOTTO L'OCCUPAZIONE NAZI STA NELLE PROVINCIE ORIENTALI (esauri to)

    N. 5 F. Vuga : LA ZONA LIBERA DI CARNIA E L'OCCUPAZIONE COSACCA L. 600

    N. 6 T. Sala: LA CRISI FINALE NEL LITORALE ADRIATICO 194445 L. 600

    N. 7 E. Maserati: L'OCCUPAZIONE JUGOSLAVA DI TRIESTE L. 650

    N. 8 G. Fogar: DALL'IRREDENTISMO ALLA RE SISTENZA NELLE PROVINCIE ADRIATICHE: GABRIELE FOSCHIATTI L. 1000

    N. 9 G. Padoan : ABBIAMO LOTTATO INSIEME PARTIGIANI ITALIANI E SLOVENI AL CONFINE ORIENTALE L. 1000

  • GIOVANNI PADOAN (V anni)

    ABBIAMO LOTTATO INSIEME Partigiani italiani e sloveni

    al confine orientale

    DEL BIANCO EDITORE

  • Tutti i diritti riservati

    Del Bianco - Udine - 1965

  • Ai Caduti nella lotta contfO il nazifa-scismo e per la creazione di un mondo migliore e a tutti i cor#pagni della divisione d'assalto GariJ:!aldi-Natiso-ne che con le loro gesta contribuiro-no a ridar~ libert e indipendenza al-la Patria, dedico queste prJ.gine.

    V ANNI

  • PREFAZIONE

    Il presente lavoro ha un'imposrazione diversa da quella monografica, critica o cronachistica, dei precedenti scritti di questa collana, pubblicata dall'editore Del Bianco a cura del-la Deputazione regionale per la storia del movimento di li-berazione nel Friuli e Venezia Giulia.

    Si tratta di una dettagliata testimonianza personale, scrit-ta

  • la stregua di quello pseudo-concetto che si usa chiamare ca-rit di patria , distorcendo la storia o semplicemente ignoran-done alcuni aspetti, hanno fatto e fanno spesso pi male che be.ne sia ai partiti ,, che le sostengono che al movimento di resistenza, come ormai dovrebbe essere chiaro).

    Quando il Padoan rievoca, in una forma dialogata ef-ficace, i suoi incontri e colloqui con esponenti partigiani e comunisti sloveni sulla questione dei rapporti fra i due movi-menti e fra i due partiti e sulla spinosa questione di Trieste e dei futuri confini orie.ntali, il suo racconto ci da una con-ferma - nel caso specifico storicamente opportuna - della tattica e dei fini della politica rivendicativa di alcuni gruppi dirigenti sloveni, comunisti e non comunisti e della loro ten-denza a trasformare la > in un vero e proprio inquadramento delle brigate partigiane italiane nell'e-sercito jugoslavo di liberazione, con conseguenze politiche, psicologiche e nazionali negative per la Resistenza italiana ed i legittimi interessi del nostro Paese.

    I rapporti con gli slavi furono un problema di importan-za vitale per la divisione garibaldina, specie nella fase finale della lotta. Quando, dopo il durissimo rastrellamento tede-sco dell'aprile 1945 cui seguirono le operazioni della IV Ar-mata jugoslava verso Fiume, l'lstria e Trieste, la divisione venne spostata nel settore di Lubiana, il Padoan non nascon-de l'apprensione e il malumore provocato fra i combattenti e nello stesso Comando, dal provvedimento. In un colloquio con il maggiore esponente del governo sloveno, Boris Krajger, il Padoan gli osserv che voi non ci avete consultati ma ci ave-te mandati il pi lontano possibile da Trieste, anzich farci partecipare alla sua liberazione >> (p. 285). Cose in parte .note, s'intende, ma ribadite stavolta da un comandante comunista che provava sincera ammirazione per la Resistenza jugoslava, per i sacrifici immensi di cui essa era stata capace e che simpa-tizzava per l'orientamento comunista di una parte dei suoi dirigenti. Al generale Dusan Kveder, comandante militare del-la piazza di Trieste nel primo periodo dell'amministrazione ju-goslava, che aveva constatato lo scarso entusiasmo di parte notevole della popolazione italiana, il Padoan replicava soste-nendo che ci era dovuto al malcontento provocato dagli ar-resti di elementi antifascisti italiani (p. 281).

    Da notarsi che la questione slava non l'argomento pre-dominante o invadente della sua testimonianza che rievoca,

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  • talora in forma anedottica ma con ricchezza di dettagli uma-ni e politici, la vita della sua formazione. Non vi nel Padoan il proposito di fare della polemica antislava a meno che non si voglia considerare, dogmaticamente, antislavo (o antitaliano) ogni discorso che esca dai limiti della celebrazione apologe-tica. :

    Anzi, pi volte il Padoan contrappone il carattere popCJ-lare >> e progressivo >> del movimento slavo alle diverse ten-denze dei resistenti italiani di orientamento non comunista, criticandole in modo polemico o giudicandole con una severi-t che a nostro avviso appare discutibile e non sufficientemen-te giustificata.

    Appunto per questo l'opera del Padoan - e non solo sul problema slavo - ci sembra interessante e stimolante per un approfondimento della dialettica politica, nazionale ed ideolo-gica del movimento di resistenza nella nostra regione che fu ricco di fatti gloriosi, ma che fu travagliato da problemi drammaticamente legati alla storia tipica di queste terre, do-ve la violenza e le ingiustizie del fascismo si esercitarono con insistenza e durezza rovinose, riaprendo vecchie ferite e susci-tando avversioni profonde.

    Ma per approfondire e chiarire .necessario un ampio contributo di testimonianze da parte dei dirigenti politici e militari della Resistenza friulana e giuliana, a cominciare da quelli delle Brigate Osoppo >>, s che il discorso diventi ar-ticolato e analitico, comprensivo delle varie tendenze e posi-zioni delle forze impegnate nella lotta.

    Nella sua relazione il Padoan .non sempre si libera dalla tentazione ideologica (ed umana) dell'apologia e dell'inter-pretazione di parte. Ma quando lo fa, riesce ad affondare nel vivo di certe scottanti vicende. Ci consente di gettare uno sguardo all'interno della Resistenza italiana e suggerisce un'ul-teriore verifica della linea dei partiti, a cominciare da quello comunista nei suoi rapporti con i centri direttivi nazionali e nella sua azione politica fra le formazioni garibaldine.

    L'episodio dell'incontro con il delegato del Comitato cen-trale del P.C.I. presso il Comitato centrale del Partito Comu-nista Sloveno Vittorio >>, ha un significato non marginale, tenuto conto che la versione del Padoan integra dati e notizie gi apparsi - sia pur in forma incompleta o allusiva - in pubblicazioni italiane e slave (fra cui il saggio del prof. Mikuz sulle Lotte del Partito Comunista Jugoslavo per i confini oc-

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  • cidentali 1941-1945 ). Le oscillazioni e l'ambivalenza del P.C.I. sul problema dei rapporti con la Resistenza slovena e su quello dei confini in generale, l'accentuazione della sua politi-ca filo-jugoslava sul terreno concreto della lotta partigiana a partire dall'autunno 1944, non solo per rinsaldare il fronte di lotta comune contro un comune nemico ma, probabilmente, per crearsi nel settore orientale una posizione di prestigio e di forza (sostenuta dai comunisti jugoslavi e dalla Russia sovie-tica) sia nei riguardi degli angloamericani che nell'ambito na-zionale; la stessa preoccupazione comunista di non incrinare comunque una solidariet ideologico-politica fra comunisti (se-condo un calcolo non privo di contraddizioni e di rischi), so-no temi che affiorano anche in questo singolare ed ignora-to episodio non ancora completamente chiarito, almeno per quanto attiene il comportamento dello stesso , contrpposto in forma polemica a quello garibaldino. La sua insistenza nell'attribuire solo alla
  • ne e volontari della piccola e media borghesia cittadina e di provincia, uniti dalla comune volont di lotta al nazismo e al fascismo suo alleato, in gran parte nuovi alle esperienze poli-tiche, alcuni ignari delle ideologie democratiche. Ci sono mo-derati e progressisti, ci sono patrioti dalla sensibilit politica pi aperta e duttile ed altri pi chiusi e diffidenti. Possiamo dire che quasi tutto lo schieramento politico italiano di quella prima drammatica esperienza democratica vi era rappresentato e se in certi momenti prevalsero forze cattoliche, se fra i dirigenti delle Osoppo ci furo.no anche uomini e gruppi di tendenza anticomunista o di inclinazioni moderate, bisogna d'altro canto riconoscere che essi, invece di starsene alla finestra , seppero compiere una scelta morale e politica di fondo che li impegnava in una lotta rischiosa e senza quartiere. Senza l'apporto dei cattolici in una regione di forti tradizioni cattoliche, la Resistenza non avrebbe avuto quelle adesioni e simpatie tenaci e diffuse che presto ebbe, s che il fascismo repubblichino rimase quasi dappertutto isolato e disprezzato. Parimenti, sarebbe un erro-re minimizzare o sottovalutare l'apporto dell'antifascismo di parte comunista che impresse, sin dalla fase iniziale, una spin-ta vigorosa alla lotta contro l'occupatore.

    La partecipazione democristiana e di sacerdoti antina-zisti alla guerra partigiana fece s che in molte zone del Friu-li l'occupatore non pot contare su un clero neutrale od ostile al movimento di resistenza. Vi furono cos nelle O-soppo (ma anche nelle Garibaldi ) preti partigiani e uf-ficiali partigiani. Vi furono, accanto ai politici dei vari par-titi, molti volontari accorsi a combattere innanzitutto per l'av-versione ad uno straniero conosciuto e osteggiato dai friulani gi nel triste biennio 1917-18, quando c'era stata l'invasione delle truppe austro-tedesche.

  • za. A Porzs caddero il 7 febbraio '45 e nei giorni successivi 19 partigiani osovani fra cui il comandante della I Brigata Osoppo Francesco De Gregari ( Bolla ) e il commissario politico Gastone Valente ( Enea ) del Partito d'Azione. Il fat-to, per essersi svolto in una zona compresa in quelle rivendica-te dal movimento sloveno, accrebbe l'allarme e la tensione in questo settore.

    La lunga polemica su Porzs e sul trasferimento della Natisone non si spenta del tutto anche se i toni pi aspri si sono parzialmente attenuati. La sentenza di primo grado del-la Corte d'Assise di Lucca del 6 aprile 1952 concluse una mi-nuziosa ricostruzione dei fatti dai quali risult da un lato l'in-consistenza e la pretestuosit giuridica delle accuse mosse per giustificare la feroce repressione, dall'altro l'inesistenza di una deliberata volont di tradimento nazionale da parte di alcuni comandi garibaldini, riconducendo l'episodio alle pro-porzioni di un delitto di parte.

    Spetta ora al giudizio storico di dare una pi completa interpretazione al fatto in oggetto ed al trasferimento della

  • ti fra la Resistenza italiana e quella slovena al confine orienta-le.

    Anche la critica, peraltro benevola, del Padoan sui CLN di Trieste e Gorizia per i loro atteggiamenti sulla questione nazionale e per la loro attivit politico-organizzativa, meri-terebbe una precisazione documentata.

    Quanto all'azione del CLN di Trieste nel quadro generale della guerra partigiana della regione, non bisogna dimentica-re le condizioni disastrose in cui si trov ad operare in una citt che era, probabilmente, la pi sorvegliata d'Italia, dominata dalla sinistra figura di Odilo Globocnick, il massa-cratore degli ebrei polacchi, uno dei maggiori criminali di guerra con Himmler ed Eichman, ed in cui neppure l'agguerri: ta Resistenza slovena che poteva contare sulla vicinanza di un'esercito partigiano valoroso e numeroso, pot fare molto fino al maggio 1945. In compenso il CLN ebbe perdite gravi, incolmabili: anche il suo gruppo dirigente cadde quasi al com-pleto nei lager nazisti o nella Risiera e molti furono i giovani del CLN che caddero durante la lotta e nell'insurrezio ne del 30 aprile.

    Tuttavia il Padoan non si limita alla critica polemica um-lr..terale ed an::he nella ricostruzione det fatti pi dolorosi. come quello di Porzs, ne affronta con coraggio i lati pi spi-tiOSi. Egli affrrmcr. che fu grnve errore per i responsabili del suo stesso partito, coinvolti nella faccenda, non riconoscerl.> subito, il che ci sembra fatto non trascurabile se pensiamo che, fmo ad oggi, non si era andati pi in l delle deplorazioni r,eneriche o delle confidenze private o allusive, sempre m nome di quelle ragioni di partito rivelatesi alla fine, dan-nose per il partito ed i suoi dirigenti. L'autore ha cercato, in-somma, di non essere reticente, assumendosi certe responsa-bi!it politiche "tetla speranza che ci possa condurre ad un chiarimento definitivo in sede storiografica.

    Conclud~ndo bisogna rilevare l'utilit della testimonian-za del Padoa.n specie per quanto attiene alla lotta partigiana, alla nascita e allo sviluppo del movimento garibaldino fra il Torre e il Natisone, piene di notazioni che non si ritrovano nei documenti >> coevi e nei

  • gente o profonda di quanto comunemente si creda, fra la mas-sa dei combattenti per i quali ci che sovente contava era il nemico, la guerra fatta di attacchi e rastrellamenti, lo sforzo di durare e sopravvivere nei momenti pi avversi. Il nemico era cos spietato e totale >> nella sua incivilt da costituire la realt pi assorbente e minacciosa per italiani e per sla-vi, per polacchi e francesi, per tutti i popoli, insomma, minac-ciati di distruzione nazionale e dalle > razziali.

    Ci spiega perch, anche nella guerra partigiana e nella lotta clandestina nella nostra regione, non si arriv alla spac-catura del fronte antinazista fino al maggio 1945, come i fasci-sti e i nazisti speravano, speculando sulla tensione politica creatasi in seguito alle differenze ideologiche e alle controver-sie di frontiera.

    Ancora oggi i nostalgici del nazismo e del fascismo si stupisco.no del fatto che la Resistenza vide schierati da una stessa parte comunisti e cattolici, socialisti e liberali, italiani e slavi, malgrado le divergenze a volte gravi e profonde. Ma la barbarie ideologica del nazifascismo lasciava e lascia pochi spiragli alla coscienza morale ed alla coscienza critica. Essen-zialmente incivili, i nazisti e i fascisti vedevano e vedono collusioni >> e cedimenti antinazionali >> l dove c'era una ri-volta di umanit sofferente e consapevole di difendere il suo diritto ad esistere ed a vivere secondo ragione.

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    La Deputazione regionale per la storia del movimento di liberazione

    nel Friuli e Venezia Giulia

  • IN'DRODUZIONE

    Ogni opera ha i suoi limiti e le sue manchevolezze e quin-di anche questo modesto libro, che vuole portare tm con-tributo ad una maggior conoscenza della Resistenza nella no tra regione, ne ha la sua parte.

    I limiti sono dovuti alla caratteristica del libro steso in forma autobiografica e riferentesi alla nascita, sviluppo e attivit della divisione d'assalto Garibaldi-Natisone " Perci

    ~li accenni al resto del movimento partigiano nella nostra r gione e nel resto d'Italia semtreranno forse scarsi, ma al-largandoli si sarebbe appesantito troppo il lavoro; d'altra parte lo stesso si deve dire per quel che riguarda il movimen-to partigiano jugoslavo, di cui il IX Korpus sloveno era par-te lntegrante.

    A me pare che quanto detto a questo riguardo nel li-bro sia sufficente a chiarire la posizione della .

    Lo spirito battagliero del Risorgimento trova nei gari-baldini della > il miglior legame di continuit con la volont di lotta dell'antifascismo per la cacciata dei nazi-sti invasori e l'abbattimento della tirannide fascista. Tale con-Linuit si espressa nella somma dei sacrifici compiuti dai suoi partigiani, nell'adempimento del loro dovere di patriot-ti. Questa continuit si esprime anche formalmente nei sim-boli come il tricolore, il fazzoletto ed il berretto garibaldini portati da tutti i partigiani della e dai nomi di Garibaldi>>, >, >, Manara>>, Manin >>, e Pisacane >> imposti ai battaglioni.

    Queste tradizioni furono ravvivate ed arricchite legando-le alle pi recenti lotte dell'antifascismo in Italia e sui cam-pi d1 Spagna in difesa della libert dei popoli e per la crea-zione di un mondo migliore. I nomi di Matteotti, Don Min-zoni, Gramsci, i fratelli Rosselli e di tanti altri eroi e martiri che sarebbe troppo lungo elencare, furono idealmente acco-

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  • munati a quelli del Primo Risorgimento. Queste memorie di guerra vogliono essere una testimonianza che metta in ri-saito alcuni aspetti particolari che differenziano completa-mente la divisione Natisone da tutte le altre formazioni italiane che hanno combattuto in terra jugoslava, albanese o greca. Non gi perch la Natisone fosse composta da uo mini speciali ma perch essi si trovarono a dover operare in una situazione particolarmente complicata.

    Nella Venezia Giulia si scontravano gli interessi del po-polo italiano con quelli dei popoli di Jugoslavia. Su questa base, il fascismo aveva acutizzato i contrasti nazionali con la sua politica di sopraffazione ai danni delle minoranze slovena e croata e, dal canto suo, anche l'irredentismo panserbo aveva soffiato sul fuoco contribuendo a mantenere un clima di odio e d1 disprezzo reciproco.

    A questa situazione d per s gi abbastanza arroven-tata, si deve aggiungere che gli sviluppi del conflitto mon-diale ed il rafforzamento del movimento partigiano jugosla-vo m seguito al crollo dell'esercito italiano avvenuto l'otto settembre 1943, fece si che la nostra regione divenisse il pun-to nevralgico sul quale si scontravano gli interessi e si mi-suravano le forze di due mondi: quello capitalista e quello soctalista. Solo tenendo conto di questa situazione cos ag-grovigliata, si potr capire ed apprezzare il contributo reale e comparativamente grande dato dalla Natisone per il ri-scatto e la rinascita della nuova Italia.

    L'altro aspetto che differenzia la Natisone dalle altre formazioni italiane in Balcania questo: la divisione Italia e tutte le altre formazioni non ebbero possibilit di scelta: o prigionieri dei tedeschi o partigiani con l'esercito di libera-zione jugoslavo, albanese o greco. Non c'era una terza alter-nativa. Con questo non si vuole affatto sminuire l'eroismo ed il valore patriottico di questa scelta e tanto meno il con-tributo da esse dato al riscatto della Patria di fronte alle nazioni alleate.

    La Natisone invece si svilupp come formazione par-tigmna in Italia, condusse una serie di gloriose battaglie e ass1eme alla brigata

  • ll passaggio della " Natisone, alla dipendenza operativa del comando del IXo Korpus , ed il suo trasferimento in territorio sloveno avvenne in base a precisi accordi stipula-ti su piede di assoluta parit; fu in una parola il risultato d'una scelta.

    Con la Natisone era la nuova Italia che andava di sua prcpria volont e come alleata, e non pi soltanto come coo-belligerante, a combattere a fianco delle formazioni partigia-ne jugoslave contro il comune nemico, proprio per afferma-re il diritto alla sua libert ed alla sua indipendenza.

    Oggi tutti sappiamo e riconosciamo che il segreto della vittoria delle forze della resistenza sta nella sua unit. Ma non tutti sanno quante lotte, quanta pazienza e perseveran-za, richiese a tutti i responsabili dei vari partiti e tendenze la sua realizzazione. Nella nostra regione l'unit antifascista doveva allargarsi in campo internazionale e diventare italo-ju-go~lava. Questo fatto rendeva pi complessa e difficile la so-luzione della questione, non solo ma rese pi difficile anche la realizzazione dell'unit con gli amici osovani. Durante il pe-riodo della

  • tiva, essi non aspettarono nemmeno la loro conclusione per rompere il comando unificato della Garibaldi-Osoppo .

    Se l'unit non stato un dono caduto dal cielo per nes-suna formazione, per la

  • lia no in armi e deciso a lottare assieme a loro per la m m une libert dei popoli. Ed per questo -pensiamo noi-r h riconobbero parit di diritti alla nuova Italia stipulan-do i patti del dicembre '43 e quelli del maggio '44 che sono i primi rapporti fra l'Italia democratica e la Jugoslavia, ela-borati e conclusi su base di parit assoluta.

    Pu darsi che altri compagni della Natisone o anche di altre formazioni non concordino con alcuni giudizi da me espressi in questo modesto lavoro e ci potr provocare la loro r isposta. Se cos fosse, sarei felice perch ci contribui-rebbe ad allargare ed approfondire la conoscenza del movi-mento partigiano della nostra regione in generale ed in modo particolare il contributo dato dalla "Natisone.

    Anzi voglio concludere questa breve introduzione con un invito formale, sopratutto a coloro che occuparono posti di responsabilit, a scrivere anche loro le proprie memorie di guerra. Sar questo un modo concreto di valorizzare la Re-sis tenza e quindi la nuova Italia nata dalla somma dei sacri fici che essa ha rappresentato per la nostra generazione.

    G. Padoan

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  • PARTE PRIMA

    DALLA LOTTA POLITICA ALLA LOTTA ARMATA

  • CAPITOLO I

    LO SCOPPIO DELLA GUERRA

    Lo scoppio della seconda guerra mondiale non colse di sorpresa i detenuti politici delle carceri fasciste. Da molto tempo essi seguivano lo svolgersi degli avvenimenti con ansia e trepidazione. Avevano fiducia nei popoli e soprattutto nel-la classe operaia che sempre aveva avversato le guerre di conquista, ma vedevano, purtroppo, che le forze della reazio-ne internazionale prendevano ogni giorno di pi piede e che le sue azioni aggressive si facevano sempre pi aperte e mi-nacciose.

    D'altra parte, le grandi nazioni rette a sistema democra-tico borghese come gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Fran-cia, non solo non facevano niente di concreto per fermare la mano agli aggressori, ma, al contrario, con la loro passi-vit li incoraggiavano.

    I fatti dimostrano che non si fece nulla per fermare il militarismo giapponese che stava ingoiando la Cina, una pro-vincia alla volta; non si fece nulla di serio per fermare l'ag-gressione delle truppe fasciste contro l'Etiopia; non si fece niente per impedire l'aggressione itala-tedesca contro la Re-pubblica Spagnola; non si mosse un dito per salvare l'indi-pendenza dell'Austria, prima, e si fece ancor peggio con la Cecoslovacchia poi. Monaco .sanzion tutti questi crimini.

    Bench le notizie fossero scarse e arrivassero con note-vole ritardo, i detenuti politici seguivano gli avvenimenti e discutevano appassionatamente sul loro significato, ponendo-si, sin d'allora, in un duro presente, i problemi del domani.

    Uscii dal carcere verso i primi d'agosto del 1941.

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  • La situazione del Partito Comunista e delle altre forze democratiche era difficilissima. Nella nostra zona di Gorizia-Monfalcone, il morale di molti militanti era abbastanza basso.

    Le rapide vittorie dei tedeschi, il crollo della Francia, la fulminea avanzata nel territorio sovietico, avevano diffuso lo sgomento e la demoralizzazione fra tutte le forze antifa-sciste, comunisti compresi. Il periodo met agosto '41-25 lu-glio '43 fu impiegato da parte mia e d'un gruppo di com-pagni pi coscienti ed animosi, in un duro e tenace lavoro, svolto in forma capillare, teso a rafforzare le file del Partito, a rincuorare i singoli compagni e a dimostrare come le vittorie del nazismo non potevano che essere momentanee.

    Con la grande vittoria di Stalingrado e lo sbarco alleato in Africa Settentrionale, le forze antifasciste ripresero lena. Nella nostra zona ci avvenne in maniera pi precisa perch a poca distanza da noi gli sloveni stavano dimostrando come fosse possibile lottare, pur con pochi mezzi, contro un nemico che sembrava invincibile.

    Cos il 25 luglio i comunisti erano abbastanza preparati ad affrontare la nuova situazione.

    IL 25 LUGLIO

    Mentre arrivavano a Cormons le notizie sulle azioni de-gli operai del cantiere di Monfalcone contro i fascisti, e quel-le pi generali su ci che accadeva in Italia, presi l'iniziativa di convocare una riunione di tutti i comunisti della localit allo scopo di lanciare un manifesto alla popolazione. Poicl:rt!"

    ( .. Badoglio aveva dichiarato che le riunioni politiche erano proibite, ci riunimmo dietro il monte Quirino che sorge poco fuori il paese. La riunione riusc abbastanza bene. Non ci fu una lunga discussione. Venne approvato il te-sto del manifesto che avevo preparato. In seguito lo stam-pammo a ciclostile e lo diffondemmo fra la popolazione. Pur-troppo andato perduto. Ricordo che era un generico appello alla lotta per la libert, contro le restrizioni imposte da Ba-doglio e, naturalmente, una denuncia dei crimini commessi dal fascismo e la richiesta d'immediata liberazione di tutti i detenuti politici. l~

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  • Ricordo con certezza che a quella riunione parteciparo-no: Vincenzo Marini, Mario Zulian, Sergio Visintin (Rino) (l}. Per gli altri partecipanti il ricordo impreciso.

    Verso i primi d'agosto, il comitato di sezione di Cor-mons riusciva a stabilire un contatto con elementi di altri partiti democratici disposti a fare qualcosa e si procedeva ad un primo esame della situazione. Gi in questa prima riu-nione i rappresentanti del nostro partito proponevano di prendere subito in considerazione la possibilit di costitui-re il comitato d'azione; tale direttiva era stata lanciata dal Fronte Nazionale d'Azione costituito dai partiti comunista, socialista e azionista. La riunione fin con un nulla di fatto. Lo stesso esito ebbe un incontro con un gruppo di ufficiali della caserma di artiglieria.

    Il risultato di tanta attivit fu, se non altro, la compren-sione della estrema difficolt e dell'enorme mole di lavoro che ci attendevano.

    Malgrado il controllo militare, furono allargati i fili del-la rete organizzativa. I compagni diventavano di giorno in giorno pi sicuri, tanto che uno di essi, Licinio Cocut, fu ar-restato e liberato dopo un mio energico intervento presso il maresciallo dei carabinieri locale.

    Verso la met d'agosto ebbe luogo a Gorizia la pri-ma riunione di alcuni elementi appartenenti a diversi partiti. Non si costitu ancora il comitato d'azione perch regnava u-na notevole perplessit, pure fu deciso di mandare una dele-gazione al prefetto Carnevale per chiedere la liberazione dei detenuti politici, il riconoscimento dei diritti delle po-polazioni slovene, la possibilit di riorganizzare i partiti anti-fascisti e l'arresto dei fascisti pi compromessi. Fu chiesto al prefetto di ricevere la delegazione e questi acconsent. I

    (l) Vincenzo Marini. Vecchio militante comunista. Arrestato quan-do non aveva ancora 18 anni si fece due anni di prigione uscendone per amnistia. L'otto settembre part subito per la montagna diventan-do commissario di compagnia del Btg. Garibaldi . Quando in dicem-bre il comando del Garibaldi-Friuli si sciolse, venne al Mazzini dove divenne commissario di compagnia, poi del Btg. Mameli e in-fine della brigata

  • partecipanti, escluso il sottoscritto, sono tutti deceduti. Essi, erano: il prof. Cantarutti, repubblicano, morto in campo di concentramento, l'ing. Ribi del Partito d'Azione, morto do-po la liberazione; il dott. Coceanis del PSI o meglio del PSIUP di allora, deceduto verso il 1949, e l'avv. Culot, democristiano, scomparso tre anni fa.

    Quando entrammo nello studio, ci fu una certa esita-zione, per cui, dopo le presentazioni nelle quali venne speci-ficato il partito che ognuno di noi rappresentava, vedendo che nessuno si decideva ad intervenire, presi la parola. Dopo un certo impaccio, mi avviai speditamente e francamente sull'argomento, in maniera, come mi si fece osservare pi tar-di, forse troppo energica.

    In ogni modo 'quella riunione mi fu di estrema utilit: fi-nalmente vedevo in faccia i gerarchi e constatavo come la vecchia boria fosse sparita e come la paura e l'incertezza li avessero intaccati. Cos si dimostrarono il prefetto Carne-vale ed il suo entourage.

    Ci fu una seconda presa di contatto a Cormons con membri di altri partiti: Giovanni Princic, democristiano, dott. De Lorenzi, liberale, e Aldo Sarnettig, socialista. Anche in quel-la occasione niente di positivo fu stabilito.

    Verso la fine di agosto il partito comunista organizz in paese una riunione per costituire i gruppi G.A.P. Parteci-parono: Mario Lizzero (2), Valeria Stella, un certo Muzzulin, ex capitano dell'esercito, morto in un rastrellamento in u-na zona del goriziano sul finire del '44. _ , ~ L'otto settembre, a sera, tentammo di organizzare una

    l manifestazione per la pace e contro i tedeschi, partendo dal-la piazza grande con un tricolore in testa al gruppo. Per la nostra inesperienza ed anche per una mancanza di coraggio, (2) Mario Lizzero

  • diciamolo pure, fummo affrontati dal Ten. Col. Costa che ci tolse la bandiera e ci fece disperdere. L'indomani, assieme al compagno Lizzero, ci recammo alla caserma dell'XI0 artiglie-ria per chiedere al colonnello Giorni di darci le armi per com-battere contro i tedeschi. Fummo ricevuti alla presenza di tutti gli ufficiali e, alla nostra richiesta, il colonnello rispo-se che l'esercito avrebbe fatto fronte ai tedeschi. Gli chie-demmo allora se era possibile parlare con i soldati per spie-gare loro il significato degli avvenimenti e il motivo per cui dovevano battersi contro i loro ex alleati . Ci rispose che la cosa era inutile in quanto a ci avrebbe provveduto lui personalmente.

    Cos accadde che l'indomani tutti scapparono. Lo trovai per la strada, questo ufficiale; mi guard, alJ>-

    bass gli occhi che aveva umidi di lacrime. Era un uomo one-sto, ma non aveva capito niente di ci che accadeva. ,.)

    NASCE IL MOVIMENTO PARTIGIANO

    Prima che arrivassero i tedeschi, nella caserma dell'XI artiglieria si svolse un fatto indegno. Gli ufficiali si stavan..9 accapigliando per impossessarsi della cassa del reggimento. Il ten. col. Francesco Rampolla Del Tindaro, cerc d'inter-venire spiegando agli ufficiali il senso del momento che il paese stava attraversando. Non fu ascoltato. Raccolse allor~a la bandiera del reggimento e se ne and col proposito di riu-nirsi ai gruppi che avessero cercato di ostacolare l'avanzata tedesca. In seguito divenne un valente comandante delle for-mazioni Osoppo .

    L'indomani fui presente ad un altro avvenimento. Un gruppo sparuto d'ufficiali che non aveva avuto nemmeno il coraggio di scappare, fu insultato bassamente da un sergen-te della milizia, giunto insieme al primo gruppo di SS. Me ne andai indignato. Mai avrei pensato che degli ufficiali che erano sempre stati cos boriosi con i soldati, fossero sce-si a tal punto. Cos ebbi la rivelazione dello stato in cui il fascismo aveva lasciato l'Italia.

    Intanto i compagni pi decisi si erano dati alla ricerca di armi, munizioni ed equipaggiamenti di guerra. Fummo per-

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  • tanto in grado di mandare verso i monti, la sera del 10 set-tembre, una ventina d'uomini, discretamente armati e pieni di entusiasmo.

    Sul monte di Cormons, vicino alla casa del contadino Sgubn, ci trovammo in parecchi per discutere dei proble-mi pi importanti sollevati dalla nostra ferma decisione di darci alla lotta armata. Con questo gruppo di compagni di Cormns, tra i quali si trovavano i compagni Marini e Zu-lian, con il gruppo dei compagni monfalconesi, tra i quali c'era Mario Modotti, di Monfalcone e con un gruppo d'italiani che combattevano a fianco degli sloveni sin dal 25 luglio del 1943, tra i quali si trovava il compagno Mario Karis, si form il primo battaglione partigiano italiano che prese il nome di Garibaldi . Il primo comandante fu Modotti con il nome di Tribuna , ed il primo commissario Karis con il nome di Maks.

    Forse non tutti si rendevano pienamente conto del signi-ficato di tale iniziativa; certo che tutti erano d'accordo sulla ineluttabile necessit di tale indirizzo, poich avverti-vano sia pure non chiara-mente la minaccia che gravava sul paese. Fu deciso, fra l'altro, che io dovevo restare ancora nella zona per riorganizzare le file del partito, stringere sem-pre di pi i legami con gli altri partiti, tendere una rete sicura di informazioni e di rifornimenti, reclutare gli ele-menti pi decisi a lottare.

    Stabilite cos le cose, ritornai a Cormns e, prima che i tedeschi potessero prendere piede in maniera stabile, pre-si contatto con alcuni maggiorenti e con un certo Hagenauer, proponendo loro di costituire una guardia civile. Potemmo co-s circolare armati per cinque o sei giorni, badando a rastrel-lare un gran numero di armi prima di essere disarmati dai tedeschi.

    Dall'otto settembre ai primi di ottobre svolsi una at-tivit febbrile nel senso concordato fra i compagni e i mem-bri degli altri partiti. In quel breve periodo ebbi modo di co-noscere e valutare molta gente sia avversari che amici. Mi resi ben presto conto quanto fosse difficile essere coerenti con i propri principi quando questi significano mettere in gioco la vita.

    Passato infatti il primo momento d'entusiasmo, comin-ciarono a manifestarsi le prime perplessit e queste tesero ad aumentare in misura proporzionale all'aumento della mi-

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  • naccia tedesca. Diventava sempre pi difficile convincere la gente ed anche i compagni. Certo non da meravigliarsi. Io stesso che incitavo gli altri, in certi momenti ebbi paura c solo con un duro sforzo riuscii a dominarmi.

    Man mano che la pressione tedesca si faceva pi eviden-te, diventava vieppi pericoloso agire sotto l'egida del comi-tato cittadino costituitosi nei primi giorni del caos generale. Ci appariva evidente anche perch i fascisti locali vedeva-no di mal occhio, e giustamente del resto, la grande attivit che vi svolgevo.

    Un giorno, verso i primi d'ottobre, l'Hagenauer mi man-d a chiamare con una certa urgenza. Mi avviai verso casa mia, ma lo incontrai per la strada: mi veniva cercando, tanto la cosa gli era parsa urgente. Mi salut e, prendendo-mi sotto il braccio, mi disse:

    - Caro signor Padoan, in questi giorni tristi ho avuto la ventura di conoscerla ed apprezzarla come persona retta e coraggiosa. Come ex ufficiale dell'esercito austro-ungarico di certe cose me ne intendo. Non condivido le sue idee, ma l'asl sicuro che avr sempre la mia stima di galantuomo. In o-gni modo lei deve scappare subito. I fascisti l'hanno denunl ciata al comando tedesco come vecchio comunista. Il coman-do aspetta la mia conferma per arrestarla. Fra un'ora do-vr confermare la denuncia.

    Lo ringraziai calorosamente e la sera stessa partii, per la zona del Collio, lasciando direttive per i compagni meno compromessi.

    Per tutto il periodo della lotta di liberazione l'Hagenau-er mantenne una stretta neutralit e ci risulta ancor pi ap-prezzabile se si tien conto che era un ex cittadino austriaco.

    COSTITUZIONE DEL BATTAGLIONE MAZZIN!

    Andai a Medana, sul Collio, dove trovai un giovane stu-dente in medicina di Udine, Vidoni (Filzi), noto e popolare fra la popolazione slovena per la sua attivit sanitaria.

    In base a precedenti accordi fra me e Andrea (Mario Li-zero), ci riunimmo assieme a Sasso (Mario Fantini di Monfalcone). Fu deciso di raccogliere tutti gli elementi italia-

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  • ni sparsi nella zona e formare un battaglione. Gli demmo il nome di Mazzini . Esso venne solennemente costituito il 4:' 17 ottobre 1943 a N ebola, sul Collio. Forza: 45 uomini e due donne, di cui 12 senz'armi. Comandante: Filzi; vice-co-mandante Sasso; commissario politico, io; vice commissario: Vladi (Giovanni Siess).

    Le prime azioni ci permisero di recuperare un discreto numero di moschetti 91, con relative scorte di muniziona-mento. Il battaglione, in tal modo fu armato. Ben presto pass da 47 componenti a 63.

    Di una di queste azioni voglio parlare per esteso per-ch fu una salutare lezione a certa nostra faciloneria. Sa-pevamo che un buon quantitativo d'armi si trovava nel la caserma dei carabinieri di S. Giovanni al Natisone. De-cidemmo, dunque, di muoverei. Quando venne sera ci appo stammo intorno all'edificio e mandammo avanti la partigia-na Volga per non mettere in sOf>petto il piantone. Il guaio fu che lei s'impappin e come temevamo, invece di spalanca-E-e la porta, il piantone la socchiuse soltanto.

    Mentre Volga parlava con il carabiniere che non si de-cideva ad aprire la porta, io ch'ero dietro di lei, la spinsi da parte e con uno spintone spalancai la porta presentandomi in piena luce con la pistola in pugno. E' vero che mi pre sentai dicendo ch'eravamo dei patrioti, ma il tono della vo ce ed il mio viso devono essere stati cos minacciosi che ) il piantone arretr impaurito, mentre il maresciallo, che nel frattempo era sceso assieme ad altri carabinieri, mi spara- ~ va a bruciapelo e riusciva a rinchiudere la porta barrican dola. Quello che successe poi fu veramente tragicomico. Tut-ti sparavano senza sapere dove, mentre tutti si sbandavano. Nessuno capiva pi niente. Io continuavo a sparare mec-canicamente per terra facendo ballare la tarantella al vice comandante Sasso ch'era forse il solo che avesse conservato j il sangue freddo e che mi disse :

    V anni! Smettila di sparare sui miei calli. I carabinieri, anch'essi in preda ad una agitazione ner

    vosa, sparavano, ma, stando distesi sotto le finestre, per ti-more d'essere colpiti, tiravano in aria. Fu una vera fortuna che nessuno fosse ferito. Io e Sasso riuscimmo, finalmente, a raccogliere gli sbandati e a ritirarci. Al mattino ci ritro-

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  • 111 1111 0 tutti a Nebola, mortificati per la miserevole fine del-li l' ' """ nos tra azione di guerra.

    l 1 lez ione fu salutare perch permise di mettere in luce d1 11 11 i dir t ti della nostra azione. Inoltre fu palese a tutti che '" ' l li l' tipo di guerra richiedeva una grande preparazione te-l 11h a cd una certa esperienza.

    Fu manda ta una lettera ai carabinieri. Li minacciavamo, t' 11011 avessero consegnato un certo quantitativo d'armi, di

    '"' at tacco in forze. Un certo Fiorenzo Bandiera allora diretto-li" cl l Consorzio agrario di S. Giovanni al Natisone, fece da 1111crmcdiario e ben presto ottenemmo ci che desideravamo, c 1ll r ad una promessa di futuri contatti, che non manca-c ono d'avverarsi (3).

    RAPPORTI CON GLI SLOVENI

    Appena costituito il Btg. Mazzini , uno dei problemi llasc per il suo comando consisteva nei rapporti con gli slo-Vl'ni. Da una parte, con le popolazioni, dall'altra con le va ' il organizzazioni politiche, economiche e militari. La cosa non era facile . Noi tutti sentivamo fortemente il peso di ci thc il fascismo aveva fatto di male agli sloveni. Per molto tem-po fummo dominati da una sorta di complesso di inferiorit, o forse da un segreto complesso di colpa. Pertanto era-vumo portati ad indulgere facilmente anche su questioni che 1 i venivano poste da quei compagni, in maniera errata. In ogni modo, sin da principio, riuscimmo a stabilire buoni rap-porti con le popolazioni del Collio e questo ci permise di 1 rattare da una posizione pi salda con i comandi partigiani o;loveni e con i dirigenti politici della zona. Gli urti e le in-comprensioni iniziarono immediatamente, con la costitu-zione del Mazzini .

    Comprendevamo chiaramente come occorresse che il battaglione fosse in tutto e per tutto un battaglione italia-IlO. Perci sul berretto venne applicata la coccarda tricolore

    (3) Fiorenzo Bandiera , allora direttore del Consorzio agrario di S . (,iovanni al Natisone. E ' sempre stato un amico dei partigiani con i quali ha collaborato. Risiede a Cormns.

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  • e al collo il fazzoletto rosso garibaldino. Gli sloveni per un po' ci guardarono con diffidenza chiamandoci badogliani.

    Ad una riunione con il comando locale sloveno ci fu, a que-sto proposito, una discussione burrascosa. Pure arrivammo ad un accordo sulla base di un compromesso. Fu deciso che sull'emblema tricolore sarebbe stata applicata una s!ella ros-sa. Cos facemmo e tale accordo dur fino all'aprile '44 quan-do sul berretto venne messa la stella tricolore del C.V.L.

    LA MANIFESTAZIONE DEL 7 NOVEMBRE

    Si avvicinava il 7 novembre e, sia la popolazione che le formazioni partigiane, si apprestavano a festeggiare solenne mente l'anniversario della rivoluzione russa. Per quel giorno venne organizzata una grande manifestazione pubblica alla quale il comando sloveno non ci invit, considerandoci, for-se, dei badogliani. Su mia proposta, il comando del Mazzini, decise di partecipare ugualmente alla manifestazione in for-ma ufficiale, come se fossimo stati invitati. Cos il battaglio ne arriv al completo alla festa e costrinse gli organizzatori ad accoglierlo con il sorriso sulle labbra. Ma il bello dove va ancora venire. Dichiarata solennemente aperta la cele-brazione, da parte di un vecchio militante antifascista, ini-ziarono i discorsi di saluto e di augurio dei rappresentanti del-le varie organizzazioni e delle formazioni partigiane. Visto che i discorsi volgevano al termine e che nessuno ci invitava, co-me se niente fosse (in accordo con il comando del batta-glione), e non appena l'oratore principal~ termin di parlare, salii sulla tribuna senza essere annunciato e, prima che gli organizzatori avessero il tempo di protestare, cominciai a par-lare con voce tonante per attirare l'attenzione dell'assemblea che era molto numerosa, pi di mille persone tra quelle che erano in sala e quelle che si pigiavano fuori. Poich ero l'uni-co ad esprimersi in italiano, si fece un silenzio di tomba. In quel silenzio v'era,senza dubbio, una nota di ostilit. Ma, dopo le prime battute, nelle quali spiegavo il significa to del 7 novembre e il legame che questo aveva con la nostra lotta di liberazione nazionale, l'atmosfera cambi improvvi-samente. L'assemblea che era composta nella stragrande mag-gioranza da gente del Collio che capiva bene l'italiano, scop-

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  • pii in fragorosi applausi che terminarono con una generale ovazione in onore della fratellanza dei popoli, uniti nella lo t t a antifascista e in onore dei partigiani italiani del Maz-~ ini . Da quel momento fummo ben accetti alla festa che dm fino a tarda notte. In tal modo furono costretti a modi l i care la loro posizione anche quei dirigenti settari che non avevano ben compreso la nostra posizione. Bisogna te-II Cr conto, ad onor del vero, che si trattava di dirigenti lo-cali i quali, malgrado la loro buona volont, non erano bene informati su certi problemi.

    La fraternizzazione fra sloveni e garibaldini fu comple-ta e molti dei nostri furono invitati a cena presso famiglie del luogo. Per molti giorni continuarono i commenti favore-voli al mio breve discorso.

    IL CONVEGNO DEL 13 NOVEMBRE

    Subito dopo questi avvenimenti, ricevemmo una comuni-cazione del commissario di zona Andrea, nella quale ci face va sapere che io e Filzi avremmo dovuto partecipare ad un incontro con gli sloveni per discutere tutti i problemi ine-renti al fatto che ora, nella zona, esistevano anche forma-zioni partigiane italiane e che, di conseguenza era necessa-rio coordinare le attivit. Il convegno ebbe luogo il 13 novem-bre a S. Martino di Quisca e precisamente nella frazione di lmnia, localit che ricorda una data importante per tutto il movimento partigiano del Friuli, e dur parecchie ore. hrano presenti per gli sloveni: Lukas (Frane Leskosek), il comandante Kveder (che doveva comandare la piazza di Trie-

    ~te nei 45 giorni di occupazione dell'esercito jugoslavo), Pri-mos (Ales Bebler). Per parte italiana presenziarono: Andrea, commissario politico di zona, nell'ambito della quale agivano 1 Btg. Garibaldi , Friuli , Pisacane ,

  • I punti principali possono essere cos riassunti: l) Problema territoriale di Trieste e della zona in gene-

    rale. La nostra posizione fu che questo era un problema di rapporti fra stati sovrani e che perci non era in nostra fa-colt trattare. In ogni modo il nostro parere era che il problema doveva essere risolto in accordo tra i rappre-sentanti autorizzati dei due governi e che le decisioni non potevano prescindere dalla volont delle popolazioni che a-vrebbero dovuto esprimersi attraverso un referendum. Inol-tre il problema era complicato dal fatto che bisognava tener conto delle posizioni degli alleati al riguardo.

    Gli Jugoslavi ci fecero osservare che le nostre tesi erano contrarie ai principi del marxismo - leninismo in quanto Lenin non aveva mai parlato di referendum. Inoltre la popo-lazione locale aveva gi optato per l'adesione alla Repubbli-ca popolare slovena, impugnando le armi contro i tedeschi.

    Rispondemmo che la situazione locale era quella che e-ra e che di conseguenza scomodare Lenin per giudizi su fat-ti particolari che ovviamente non aveva potuto conoscere, e-ra un sofisma. Era vero che la popolazione slovena aveva de-ciso nel senso detto dai delegati jugoslavi, ma noi non pote-vamo certamente decidere per la stragrande maggioranza della popolazione italiana di Trieste.

    2) I rapporti fra i due partiti, le organizzazioni di mas-sa e le formazioni partigiane e lo scambio di esperienze per meglio condure la lotta contro il comune nemico. Anche su ci la discussione fu lunga, ma potemmo raggiungere un accordo completo.

    3) I rapporti fra le formazioni partigiane italiane e slo-vene nella zona del Collio, il coordinamento delle loro azio-ni e l'eventuale formazione di un comando unico di coordi-namento operativo. Su questo punto, dopo i soliti ed este-nuanti dibattiti, raggiungemmo un accordo di massima. Era evidente nei nostri vicini tm notevole scetticismo sulle ca-pacit combattive dei partigiani italiani. Noi potevamo por-tare allora, solo l'esperienza positiva dell'attacco al presidio di Vedronza. Fatto militare che comunque aveva dimosttato come i garibaldini italiani sapevano onorare le tradizioni garibaldine del Risorgimento e della guerra di Spagna. Fa-cemmo osservare che non era generoso far pesare in tal ma-

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  • nlera la loro superiorit in fatto di azioni di guerra. Fran-camente riconobbero, almeno formalmente, la giustezza del-Il nostre osservazioni.

    Cos si concluse il convegno di Imenia che tanta impor-l :u1Za doveva avere per i futuri sviluppi della lotta di libe-razione nella provincia di Gorizia, in quella di Udine e in lul ta la sinistra Tagliamento.

    IL PRIMO GRANDE RASTRELLAMENTO

    Il 16 novembre, i tedeschi, dopo aver consolidato le pro-prie posizioni, iniziarono una prima offensiva contro le forze partigiane. Con questo rastrellamento inizi la serie delle of-ll'n ive che i nazisti sferrarono contro le forze della Resi--.tcnza.

    Alla vigilia di questo rastrellamento le forze partigiane dd Collio e delle Valli del Natisone, constavano di 500 o 600 uomini organizzati, credo, in due brigate e in un ODRED. l .'Odred era un'organizzazione militare territoriale il cui comando era superiore al battaglione e inferiore alla Brigata. Si trattava per di reparti raccogliticci di recente forma-zione. (Il comando sloveno aveva decretato la leva obbliga-lmia nel Collio e, forse, non ne son certo, anche nelle Val-li del Natisone).

    Al primo urto queste forze perdevano coesione e rivela-vano le deficenze e le debolezze di tutta l'organizzazione. liancheggiava gli Jugoslavi il Mazzini forte di 67 combat-ll'llti (di cui due donne). Insomma si poteva contare su 1 irca 550-650 fra uomini e donne organizzati. L'armamento e-l a leggero: fucili, moschetti 91, pochi mitra Beretta, qual-che mitragliatrice Breda leggera e, s e no, due Breda pesan-1 i. Mancavano l'esperienza e la fermezza necessarie per af-frontare un nemico deciso ed agguerrito come era l'esercito te-cl1sco. Inoltre il collegamento fra i due contingenti era ri-llt:tslo sulla carta. Praticamente gli jugoslavi ci ignorarono. Forse se ci fosse stato il collegamento augurato, le cose si .. 11 ebbero svolte diversamente.

    I tedeschi avevano fra i 5 e i 6 mila uomini. Una buona llll'I composta di ex prigionieri sovietici di razza mongo li a incorporati nella divisione Turkestana ,gran parte del-

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  • la 71 divisione di fanteria e una brigata alpina. Dato il rapporto delle forze, e la natura del terreno, si sarebbe potuto combattere e infliggere serie perdite al nemico prima dello sganciamento. Ci non avvenne.

    BATTAGLIA DEL MATAJUR

    L'attacco si svilupp sull'arco che va da Gorizia a Civi-dale. La pressione maggiore veniva esercitata sul Collio. In tal maniera gli Sloveni venivano spinti lentamente ma ine-sorabilmente verso le Valli del Natisone. Il comando parti-giano, invece di combattere per piccoli reparti mobilissimi che avrebbero impegnato duramente il nemico costringendolo ad un controllo maggiore delle retrovie, con conseguente al-leggerimento numerico della pressione, si attest sul Mata-jur come su una testa di ponte. Troppo tardi si accorse del-l'errore; ma ormai non era possibile pi lo sganciamento, bi-sognava accettare l'impari lotta in urto frontale. La battaglia infuri per diverse ore durante le quali le perdite dell'esercito popolare furono molto alte : 200 e pi partigiani e un gran numero di comandanti, quasi volessero pagare con la vita l'errore tattico commesso. Malgrado la dura resistenza, le formazioni, sotto il pieno urto frontale della macchina bel-lica tedesca, si sfasciarono. Durante la notte ognuno cerc scampo per proprio conto, filtrando attraverso le maglie del-l'accerchiamento. Una esigua parte di combattenti rimase sul posto, combattendo ferocemente e fino all'ultimo respiro, infliggendo serie perdite al nemico. Sul piano militare, la bat-taglia del Matajur a nostro parere, fu un errore. Bisogna per riconoscere che il valore dei partigiani sloveni e lo sprez-zo del pericolo dimostrato dai comandanti fino all'ultimo gregario, fu d'esempio a tutti i partigiani italiani e sloveni. E ancor oggi il Matajur ricordato come un luogo sacro al popolo sloveno.

    IL " MAZZIN! SI RITIRA SENZA COMBATTERE

    Come si comport il Mazzini ,, in quell'occasione? Si ritir senza combattere. Alla vigilia del combattimento il solo

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  • m mbro del comando di battaglione che votasse per il com-haltimento fu Sasso, allora vice comandante. Io e Filzi so-s i nemmo in maniera capziosa la maggior utilit dello sgan-l iamento verso la pianura. Sasso condusse il Mazzini >> in marcia notturna a S. Giovanni al Natisone in zona Casone degli spiriti. Io e Filzi ci recammo a Udine, Filzi per tro-vare la famiglia, io per prendere contatti con dirigenti del par-tito.

    Ebbi un colloquio molto breve nel corso del quale non fu possibile analizzare seriamente la situazione. Stabilimmo di rivederci entro una decina di giorni.

    Partii da Udine piuttosto preoccupato per la piega che prendevano le nostre cose. Ero scontento di me stesso. Mi rendevo conto sempre pi che i ragionamenti fatti alla vigi-lia non erano altro che pretesti per eludere le dure e pesan-ti responsabilit che il comando comporta. Mi sentivo avvilito, quasi mi pareva che la gente mi additasse con disappro-vazione. Pensai molto in quei giorni. Mi venne persino l'idea di uccidermi, ma infine decisi di abbandonare le elucubra-zioni e di darmi all'attivit. Da quel momento non ebbi pi esitazioni.

    Raggiunsi cos il Casone degli spiriti dove la situa-zione era pessima. Durante le marce d'allontanamento si e-rano perduti 19 uomini. Le notizie, inoltre, tendenziose e ca-tastrofiche sulla portata dello sfacelo sloveno contribuivano a rendere l'atmosfera deprimente. Sasso faceva quel che pote va, ma eravamo vicini ad una crisi. In quei giorni, verso i primi di dicembre, ritorn Filzi accompagnato dal padre. Era evidente che questi cercava di allontanare il figlio dal pe-ricolo. D'altra parte ce lo disse francamente e onestamente che non se la sentiva di permettere a suo figlio di parteci-pare ad una lotta che riteneva un suicidio inutile. Credo fosse sincero perch pi tardi il Filzi partecip in qualche mo-do alla lotta partigiana in Emilia, dove si era recato per fini-re i suoi studi. La rinuncia del compagno Filz non port grande danno, date le condizioni in cui ci trovavamo. Del resto, oggi quasi nessuno dei pochi viventi fondatori del Mazzini , se lo ricorda. Per i partigiani il comandante stato senza esitazione di sorta, sempre Sasso, e nessun'al-tro .

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  • Dopo questo fatto fu deciso di riunire gli uomm1 e di far loro un discorso chiaro. Prima per stabilimmo una li-nea di condotta per l'avvenire.

    Negli stessi giorni in cui era partito Filzi altri uomini ci avevano lasciato. Davanti a me, stavano 23 uomini e due donne. Allora mi posi in mezzo a loro e dissi che la lotta si presentava dura e difficile, come sapevano. Anche il co-mandante si era ritirato e se qualcun altro avesse avuto tale intenzione, lo facesse subito, perch dopo sarebbe stato im-possibile. Chi l'avesse fatto sarebbe stato dichiarato disertore e passato per le armi. Continuai dicendo che la lotta sarebbe stata vittoriosa solo se avessimo saputo essere duri con noi stessi e coscienti degli obiettivi da perseguire: l'onore di a-ver contribuito a cacciare i banditi fascisti dalla patria.

    Il discorso non fu privo di retorica, ma fu ben compreso da tutti. Quando finii, una met si dichiar decisa a combatte-re fino in fondo, mentre l'altra met decideva di ritornare indietro. L'H dicembre 1943 il btg.

  • CAPITOLO II

    LO SVILUPPO DEL MOVIMENTO PARTIGIANO NEL COLLIO TRA LA FINE DEL '43 E IL MAGGIO DEL '44

    Ripresa dei contatti con gli sloveni. Un reparto partigiano non pu vivere, combattere e

    svilupparsi se non ha l'appoggio della popolazione del luo-go in cui opera. Questa condizione, cos elementare nella sua enunciazione, abbastanza difficile e complicata da realizzare.

    Per il Mazzini era ancora pi complessa, perch il suo co-mando, acquartierato in zona slovena, doveva stabilire buoni rapporti non solo con la popolazione italiana ma anche con quella slovena e con le formazioni militari.

    In pi doveva cercare di attenuare gli urti inevitabili che si verificavano fra partigiani sloveni e popolazioni italia-ne per le azioni di requisizione che questi erano costretti a fare nella pianura friulana.

    Appena tornati sul Collio, Sasso ed io cercammo di pren-dere contatto con il comando sloveno e le sue organizza-zioni locali. Trovammo un responsabile dell'O.F. (Osvobodil-na Fronta, Fronte di Liberazione), il quale ci diede alcune indicazioni generiche sulla sede del proprio comando. Biso-gna capire le esitazioni di questi dirigenti periferici: ci cono-scevano appena ed il primo rastrellamento era appena termi-nato. C'erano stati casi di fascisti e di tedeschi travestiti da partigiani. Finalmente alle falde del Sabotino, trovammo un comando di battaglione. L'incontro con il comandante Jo-ze fu piuttosto freddo e ad un certo punto ci minacci d'ar-resto. Dopo una discussione lunga e agitata, si arrese alle

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  • nostre argomentazioni, comprovate dai fatti, e l'incontro ter-min in una bicchierata.

    La sera dello stesso giorno il Btg.

  • gio. Egli era uno dei pochi che al momento in cui il comando di brigata decideva di sciogliersi e di riprendere la lotta a primavera, decise di raggiungere il Collio per combattere con i compagni jugoslavi. Egli non sapeva, in quel momento, che l avrebbe trovato il Mazzini .

    IL PROBLEMA DELL'EDUCAZIONE POLITICA E CIVICA

    Convinti come eravamo che la lotta avrebbe assunto pr~ porzioni sempre pi vaste e che la buona stagione avrebbe favorito il rafforzamento della lotta partigiana, incominciam-mo subito un sistematico lavoro di educazione politica degli uomini. Ci avveniva attraverso le ore politiche che in cer-ti casi, avevano luogo anche due volte al giorno. Si otteneva cos il duplice vantaggio di far acquistare ai quadri una pre-ziosa coscienza militare e di tenerli utilmente impegnati. Gli argomenti delle ore politiche erano vari.

    La parte fissa riguardava la storia d'Italia e in modo particolare le figure, e il loro contributo per il nostro paese, di Mazzini, Garibaldi, Pisacane, Mameli, Manin, Manara, i fra-telli Bandiera, Sauro, Battisti e poi Matteotti, Gramsci, don Minzoni, i fratelli Rosselli ed altri; seguiva la storia qel fascismo, l'imperialismo e la sua natura; l'origine e i motivi della seconda guerra mondiale; che cos'era e che cosa vole~a realizzare il C.L.N.; i partiti e la democrazia; elementi di ~-

    ' ( conomia politica. La parte varia riguardava la politica di ogni giorno, fat-

    ti felici o incresciosi che potevano essere successi nell'am-bito del battaglione o nei suoi rapporti con la popolazio-ne. Fu questo un lavoro difficile per la mancanza quasi assoluta dei testi. Ma era una grande soddisfazione vedere l'attenzione e l'entusiasmo con cui tali lezioni venivano se-guite. Pareva a questi giovani che una benda cadesse loro da-gli occhi e iniziassero una vita nuova. Tale era il parere anche di quelli che avevano fatto scuole superiori o universit. Dicevano di riscoprire nella sua essenza l'effettivo valore del Risorgimento e dei suoi artefici. Qualche volta mi sentivo a disagio tanto mi guardavano come un fenomeno raro. Allo-ra mi dicevano: - Compagno commissario, dove hai impara-

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  • to tante cose? Come hai fatto? Non arriveremo mai a tener in testa tante cose ! -

    Io rispondevo che non c'era niente di straordinario per-ch avevo fatto l'universit del carcere per sette anni. II tribunale speciale mi aveva condannato a sedici anni e in tal maniera aveva creduto di schiacciarmi. Ma in prigione, attra-verso lo studio, non avevo fatto che rinforzare la mia fede nel comunismo, fede che si trasform in convinzione solida e sicura. E' vero che il partito come organizzazione non esiste-va fra le formazioni, ma niente vietava che i comunisti di-scutessero fra di loro per stabilire una comune linea di con-dotta.

    Prima di ogni azione riunivo i comunisti e li impe-gnavo ad essere d'esempio a tutti. Questo impegno ha sem-pre dato ottimi risultati e spesso servito a superare si-tuazioni difficilissime e drammatiche, come si vedr in seguito. Fin da principio fu per me un punto d'onore riu-scire a conquistare al comunismo tutti i partigiani e prima di tutto i comandanti e i commissari dei vari gradi. Con un lavoro paziente di persuasione, senza mai forzare la mano, riuscii a conquistare tutti i responsabili. In tal modo tutta la divisione ne fu influenzata. Il prestigio dei comunisti era assai alto e molti chiesero di aderire al PCI e rimasero nel-le sue file dopo la guerra e lo sono ancora. Essere comunisti voleva dire essere primi nel sacrificio e nelle fatiche, ma an-che nella stima e nel rispetto di tutti.

    ISTRUZIONE MILITARE

    --- L'istruzione militare veniva impartita dai comandanti pi preparati tecnicamente. Essa consisteva nello spiegare il maneggio delle armi e la loro utilizzazione pi funzionale, nonch il modo migliore per sfruttare le risorse offerte dal terreno. Occorreva soprattutto spiegare come la guerra par-tigiana fosse un particolare tipo di guerra in cui solo una pic-cola parte delle regole tradizionali del combattimento pote-va venir adottata. Nel restante dei casi era necessario abban-donare ogni schema. Il concetto di accerchiamento, per esem-pio, era, per il partigiano, molto relativo, poich esso com-batteva sempre in territorio nemico ed essere circondato

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  • ' era il dato di fatto fondamentale. Nello stesso tempo non lo era perch quando il nemico lo circondava, secondo le re-gole della strategia, il partigiano, come un pesce filtrava fuori dalle maglie della rete. Ci vale anche per i concetti d'avanza-ta e di ritirata. Per il partigiano quello che conta colpire du-ramente il nemico e non farsi colpire; perci una volta in-ferto '. il colpo nella maniera pi violenta e veloce pos-sibile, egli deve ritirarsi rapidamente lasciando dietro a s il vuoto. La sorpresa l'elemento base di tale strate-gia. Idee di lealt non hanno senso in un tale tipo di guerra combattuta da un nemico vestito da uomo, ma con il cuore di belva. Colpire e colpire e ancora colpire, con ogni mez-zo, da tutte le parti, in tutti i luoghi, in ogni momento, con ogni condizione di tempo. Solo queste erano le condizioni che potevano affrettare la vittoria, portarla pi vicina magari di un passo, con il minor numero possibile di perdite da parte partigiana e il maggior danno per il tedesco. Queste e non altre erano le armi con cui pochi uomini e male armati avrebbero potuto infliggere duri colpi alle orgogliose divisio-ni del terzo Reich hitleriano.

    AZIONI

    La scuola migliore per diventare bravi partigiani era l'a-zione. Cos fu fatto, anche se nel contempo si tenevano in terminabili discussioni per sapere quale fosse il miglior si-stema: se prima organizzarci e andare al combattimento o viceversa. La pratica doveva insegnarci che il combatti-mento rinforza le formazioni e che queste, rese duttili, allargano il raggio delle azioni. Ci vuol dire semplicemente questo: che il concetto d'organizzazione deve essere conce-pito in senso dinamico ed in netta funzione dell'azione prati-ca. La morte del partigiano la staticit.

    La formazione non pu e non deve aspettare il momen-to propizio , per entrare in linea. Se lo fa perduta e de-stinata a disgregarsi e a scomparire come unit da combatti-mento prima di poter dare un serio contributo alla lotta di liberazione. La formazione partigiana tipica deve creare il momento propizio. Per questi motivi, come tutti i comunisti, fui sempre contro ogni forma di attendismo aperto o larva-

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  • to e, salvo eccezioni, ebbi sempre la soddisfazione di avere tutti dalla mia.

    Sin dal suo ritorno sul Collio il comando del

  • prendere il comando di prepotenza. Non protest ma mi as-second con slancio. Il mio piano era molto semplice:

    10 uomini rimanevano di riserva sul posto dove eravamo, al comando di un comandante di compagnia. Consegna: at-tendere sul posto il ritorno di tutti gli uomini: - 15 uomini con mitragliatore dovevano bloccare la strada di Gorizia e con armi leggere la strada secondaria del cimitero. - Altri 10 sulla strada di Udine. Per tutti stessa consegna: sparare a vista su chiunque venisse dal di fuori della zona bloccata; per nessun motivo e qualunque cosa fosse accaduta nessuno dove-va abbandonare il posto. - 25 uomini sotto il mio coman-do, contro la caserma.

    Cos iniziammo immediatamente. Dopo aver disposti i blocchi, ci avviammo verso la caserma. A pochi metri dall'e-dificio, invece di sorprendere, fummo sorpresi. O per caso o per sospetto, un carabiniere che stava sul poggiolo ci intim l'alt. Rispondemmo subito che eravamo patrioti italiani e che volevamo le armi. Per tutta risposta lanci, una dietro l'al-tra, tre bombe a mano. Poich stavo davanti, arrivai appena in tempo a buttarmi dietro un platano. Di l, sganciata una Sipe dalla cintura, la scagliai contro il poggiolo. Allo scoppio, seguirono urla di dolore e per un istante il tiro cess. Poco dopo ripresero a sparare dalle finestre. Lanciai un'altra bom-ba e ci fermammo. Poich la bomba lanciata dal carabiniere era caduta quasi sul platano i compagni cominciarono a chia-marmi allarmati. Forse mi credevano morto. Risposi gioiosa-mente che ero vivo. Purtroppo Battisti e due garibaldini erano stati colpiti dalle schegge e camminavano a stento. Gli slo-veni si erano dileguati. Solo il comandante era rimasto al mio fianco. Ordinai subito la ritirata mentre rimanevo di retro-guardia. Nessuno c'insegu. Sul luogo della postazione non c'era nessuno. Cos avevano fatto quelli delle altre. Raggiun-gemmo il punto di convegno e c'erano tutti. Schiumavo di rabbia e stavo per investire il comandante sloveno. Ma questi che stava accasciato su di una pietra si lev e si mise sull'at-tenti. Vedendo il suo volto, l'ira mi sboll e allora strinsi la mano di quel valoroso dicendogli : - Coraggio ! Ci rifaremo un'altra volta! -.

    Per spiegarsi il comportamento dei partigiani sloveni, il cui coraggio era divenuto ormai leggendario, doveroso preci-sare che in quell'epoca i compagni sloveni avevano decretato la

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  • mobilitazione obbligatoria anche sul Collio. E' chiaro che la quantit andava a scapito delle qualit. C' sempre una gran-de differenza fra il volontario e il mobilitato. Non sar generoso, no, ma in quel momento rividi, come in un lampo, i sorrisi scettici degli sloveni al convegno del 13 novembre. Mi sentii orgoglioso perch nessun garibaldino aveva bat-tuto in ritirata. Il vicecomandante aveva gi radunati gli uo-mini e aspettava solo un ordine del suo superiore. Allora io dissi che non ci saremmo allontanati prima di requisire le be-stie. ,poich non c'erano illusioni da farsi sul morale degli slo-veni per quella notte ed io avevo solo sei garibaldini con me proposi al comandante di seguirmi con tre uomini. Mi rin-grazi con lo sguardo e andammo. Nel giro di un'ora aveva-mo terminata l'azione. Ripartimmo per il Collio con due gros-si manzi di circa 5 quintali l'uno e due pecore. All'indomani protestammo presso il comando dell'ODRED e anche se non seppero darci una esauriente risposta, fummo ugualmente sod-disfatti per il maggior prestigio acquistato. Nell'ora politica raccontai agli uomini gli avvenimenti e questi scoppiarono in applausi verso coloro che avevano partecipato all'azione.

    :EQUISIZIONE NELLA CANONICA DI FAR~ Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 1944 de-

    cidemmo di condurre un'azione in quel di Farra. Notizie di no-stri informatori segnalavano che il parroco di Farra d'Ison-zo aveva nascosto in canonica pi di 10 quintali di zucchero e che lo vendeva al mercato nero. Ordinammo un sopraluogo per accertare lo stato delle cose e prendere buona nota del-l'ambiente. Occorre tener presente che Farra, situata sulla strada Gorizia-Gradisca, era costantemente percorsa dai mez-zi militari tedeschi e che, tutt'intorno, c'era gran numero di presid. Inoltre non si trattava solo di prelevare 10 quintali di zucchero, ma trasportare tale carico su di una strada, per 8 chilometri almeno sotto controllo nemico. La riuscita di tale azione avrebbe dato due risultati: quello di rifornire di zuc-chero gli ospedali partigiani sloveni che da mesi ne en~no pri-

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  • vi, e quello di stroncare una speculazione vergognosa specie da parte di un sacerdote. nopo due giorni, giunta risposta affermativa, fu deciso di iniziare l'operazione. nata l'impor-tanza che veniva assumendo l'impresa, il comando fu assun-to da Sasso stesso. Il piano fu steso con gran cura. Ci fat-to informammo l'OnREn della questione e chiedemmo 20 uo-mini. La proposta venne accettata e ci mandarono 50 parti~ani al comando di Kobaler, uomo di gran valore.

    Una sera di met gennaio, 30 garibaldini e 20 partigiani sloveni, sotto il comando di Sasso, si mettevano in marcia. Senza incontrare intoppo, la colonna arriv a Farra e si port subito davanti alla canonica. novettero bussare a lungo pri-ma che la perpetua si decidesse ad aprire. Mentre questa apriva, il prete se la svignava per una porticina secondaria della casa. Sul momento, conosciuto il motivo della visita, la donna tent di negare, ma dovette cedere di fronte alla sicurezza di Sasso. Kobaler, con un piccone aveva gi incomin-ciato a buttar gi la porta del magazzino, quando le campane cominciarono a suonare a distesa. Il parroco voleva far scappare i partigiani. Aveva fatto i conti senza l'oste. Sul mo-mento, presi alla sprovvista, ci fu un principio di sbanda-mento tra gli uomini, ma prima che si potesse trasformare in panico, intervenne energicamente il comandante Sasso che con poche parole appropriate e con l'esempio ristabil l'or-dine ed infuse coraggio a tutti.

    Compagni! - disse - non lasciatevi intimorire da que-sto prete borsanerista che metteremo subito a tacere. In quanto ai tedeschi, difficilmente verranno fuori a quest'ora, e se verranno li accoglieremo come si deve, cio da partigia-ni . Mentre finiva di parlare alz il mitra e lasci anda-re una raffica verso l'alto del campanile. E poi con voce stentorea disse: Reverendo! Se lei far sentire ancora un rintocco, sfondiamo la porta del campanile e la mandiamo a meditare sui casi suoi all'inferno che il solo posto adatto per i borsaneristi: quello cap l'antifona e se ne stette buono fra le sue campane zitte zitte.

    L'azione fu condotta a termine felicemente. I tedeschi non si mossero. Alle 7 del mattino del giorno dopo i parti-giani arrivavano a Cosana sul Collio con lo zucchero che ven-ne subito inviato nei luoghi gi stabiliti. Questo aiuto disinte-ressato ci fu, ancora una volta, di gran vantaggio.

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  • /2L COMIZIO DI MANZANO

    Ho gi detto che in questo periodo il nostro battaglione svolse un'intensa attivit di propaganda fra le popolazioni del Collio, e specialmente delle zone comprese fra San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo e Manzano.

    Che questa attivit desse risultati notevoli lo dimostra-no i fatti: nella primavera del '44, duecento giovani della zona si arruolarono nei battaglioni della Natisone . In que-sta zona riuscimmo a creare una rete fittissima di C.L.N. e gran parte dei rifornimenti e delle informazioni provenivano da l. La tecnica di questa attivit era assai semplice e si svolgeva cos: visite in casa e discussioni con singole per-sone o con piccoli gruppi; comizi pubblici nelle osterie. I comizi avevano luogo di sabato o di domenica, sempre di se-ra, si capisce. Le strade d'accesso al paese venivano blocca-te e si entrava nell'osteria principale e si cominciava a ra-gionare ad alta voce con i presenti. Di solito, dopo un'oret-ta, lo stanzone era pieno zeppo di gente. La curiosit vin-ceva la paura. Quando si stimava sufficiente il numero dei presenti o si continuava a parlare a crocchi o si informavano gli ascoltatori che il tal compagno avrebbe parlato a tutti.

    Il soggetto era quasi sempre lo stesso: rinforzare la lot-ta partigiana per liberare il paese dai tedeschi e dai loro servi fascisti; lottare per la pace e per migliori condizioni di vita per i lavoratori.

    Tra tante azioni di propaganda fatte in quel periodo, vo-glio ricordare il comizio che si svolse a Manzano, una sera del febbraio del '44. Era, credo, un sabato sera. Come al solito bloccammo le strade d'accesso al paese ed entrammo nell'oste-ria di Luigi Zamparo, nella piazza principale. Quella sera il locale era pieno di gente, specialmente di giovani. Cos dopo a-ver bevuto un bicchiere di vino e inneggiato alla vittoria de-gli alleati e dei partigiani sul nazifascismo, cominciai su-bito a parlare. Si fece un silenzio di tomba. Anche coloro che stavano nelle altre salette accorsero. Quanto io andavo dicen-do trovava un'eco nel cuore di ognuno. Fu un gran successo, nonostante il timore delle spie, tutti mi si fecero intorno per stringermi la mano. Ho citato questo comizio, piuttosto d1 altri perch fra i giovani presenti ce n'erano due che sarebbe-ro in seguito diventati valorosi comandanti partigiani. Uno

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  • era Walter Gregoratti, il futuro Piave comandante di com-pagnia, di battaglione e vice comandante di brigata; l'altro e-ra Michele Seffino, il futuro Marco, comandante della com-pagnia mortaisti, composta esclusivamente da elementi della zona. La maggior parte dei giovani presenti quella sera rag-giunse la montagna in primavera.

    ~ ,, VISITA ALLA POLVERIERA DI MEDEUZ~ A met febbraio ebbi una serie di contatti con i compa-

    gni di Gorizia, Udine e Manzano. Avevo gi portato a termi-ne felicemente la mia missione e mi accingevo a rientrare in sede quando mi venne la malaugurata idea di fermarmi a mangiare un boccone all'osteria Friuli ,, di San Giovanni al Natisone. Il locale era di propriet della famiglia Tonero: marito, moglie e le tre figlie Jolanda Santina e Bianca. Tutti i membri della famiglia mi conoscevano bene perch mi ero fermato anche altre volte presso di loro. Avevano qualche sospetto che io fossi partigiano e me lo avevano fatto capire. Dimostravano la loro simpatia per i banditi facendomi a-vere da mangiare anche se ero privo di tessera. Quel giorno mi diedero due uova al tegame, una grossa fetta di polenta e mezzo litro di vino bianco. Avevo gi finito di mangiare, quando entrarono un maresciallo delle SS, l'interprete e due o tre SS. Si sedettero ad un tavolo distante pochi metri dal mio. Discutevano animatamente ma non capivo bene perch il tedesco lo conoscevo appena. Entrando mi avevano salutato ed io avevo risposto loro con un cenno del capo. Non so bene perch, ma, nel mezzo della discussione il maresciallo mi rivol-se la parola chiedendomi un parere. Scioccamente gli risposi, alla bel meglio, in tedesco. Non l'avessi mai fatto. Si alz, venne al mio tavolo, si present e chiese di potersi sedere al mio tavolo. Accettai e cercai di dimostrare che ne ero lusingato. Mi presentai come professore di economia poli-tica. La cosa era plausibile, esteriormente, dato il vestito e gli occhiali che portavo. Discutemmo a lungo delle cose pi va-rie. Mi raccont la sua storia, mi fece vedere le foto della mo-glie e delle due figlie. Mi era grato per l'attenzione che gli dimostravo. Brindammo, alla fine, all'inevitabile vittoria del terzo Reich. Stavamo per salutarci e !asciarci come i mi-

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  • gliori amici del mondo quando gli venne idea di chiedermi se volevo visitare la polveriera di Medeuzza che lui comanda-va, e a me venne l'idea di dirgli di s. Salii sul camion al suo fianco e dopo una mezz'ora eravamo gi arrivati. Man mano che il camion si avvicinava, mi rendevo sempre pi conto del-la bravata che avevo commesso. Ma non c'era pi niente da fare. Il maresciallo era lietissimo di rompere la monotonia del suo servizio. Mi fece visitare i vari padiglioni dove venivano fabbricate granate di artiglieria di piccolo cali-bro. Dice un vecchio proverbio popolare: - C' un santo anche per i matti. - Quel giorno ne ebbi uno tutto per me. Molti dei presenti, sia uomini cke donne, mi conoscevano, ma nessuno di essi disse niente, anche se esprimevano un grande stupore ed una ancor pi grande paura. Quello stesso che volle avvisare il maresciallo, lo fece mezz'ora dopo che ero partito.

    Dopo aver fatto il giro dell 'edificio e impressomi in men-te, ad ogni buon conto, i particolari della pianta del luogo, chiesi al maresciallo che mi facesse riaccompagnare in quanto avevo un impegno importante. E lo fece, il brav'uomo, dopo avermi ripetutamente invitato per il Carnevale che in-tendeva festeggiare in grande stile.

    Quando arrivai a San Giovanni, licenziai l'autista, tirai un sospiro di sollievo, salutai la padrona dell'osteria e le sue figliole che mi guardavano come se fossi uscito dall'inferno e me ne andai con la massima velocit consentita dalle gam-be. Neanche un'ora dopo la mia partenza, piomb furibon-do il maresciallo, fuori di s dalla rabbia per l'inganno subito. Minacci le donne di morte. Ma queste riuscirono a con-vincerlo di essere completamente all'oscuro della questio-ne.

    A volte anche una bravata pu servire ad accrescere il pre-stigio di un uomo e di una formazione. La gente esaltava il mio nome e diceva che il commissario Vanni non aveva paura neanche del diavolo e che con gente come lui, fascisti e tedeschi avevano poco da stare allegri. Cos va il mondo e cos si formano le leggende.

    Invece il Comando, nella persona di Andrea, mi diede u-na sonora e meritata lavata di capo e mi viet di scendere in pianura in borghese.

    Anche un altro effetto ebbe la faccenda. Impressionato, il maresciallo tedesco cerc di entrare in contatto con noi e

    so

  • tanto fece che riusc ad incontrarsi con il gapista Max e si accord con lui per la consegna di un certo quantitativo d'armi e munizioni.

    IL MAZZIN! CONTRO I FALSI PARTIGIANI

    Come sempre, nel corso di grandi movimenti rivoluziona-ri, c' della gente che cerca egoisticamente di approffittarne. Cos accadde anche nel nostro caso. In ci il > fu spietato e stronc sul nascere tali tentativi. Fin dal febbraio del '44 ci arrivarono notizie intorno ad un certo C ... che an-dava a estorcere soldi e roba ai contadini in nome del >nella zona di Manzano. Tentammo di prenderlo sul fat-to e di ammonirlo. Ma la nostra pattuglia giunse sul luogo dove si supponeva che si trovasse, quando era gi fuggito. L'avvisammo che se avesse ripreso la sua attivit e l'avessi mo preso, sarebbe stato fucilato. Non ci ascolt, continuan-do a fare i suoi affari . A met aprile del '44 una nostra pattuglia lo cattur e dopo un processo sommario nel quale riconobbe i reati contestatagli, venne passato per le armi. Demmo molta pubblicit al fatto e ci serv, in parte, a stroncare gli abusi e mise in allarme spie e persone com-promesse che cercavano di allontanarsi dall'area del Maz-zini >>. Ci incoraggi la brava gente che incominciava a sen-tirsi protetta.

    LA LIBERAZIONE DELLA COMPAGNA TONCKA

    Nella prima decade di maggio i tedeschi avevano arre-stato una compagna slovena di Nebola, nel Collio. Si trat-tava della compagna Toncka, una delle pi brave corrie-re della zona. Altre due giovani erano state catturate con lei. Il comando dell'ODRJED era allarmato perch con Toncka per-deva una delle migliori fra le donne delle formazioni. Il co-mandante e il commissario sloveni vennero da noi per

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  • chiedere un aiuto. Bisognava far evadere le donne prima che da Cormns venissero trasferite a Gorizia. Accettammo a pat-to che ogni cosa fosse stata lasciata a noi. Incaricammo San-dro con una pattuglia di cinque uomini. Tutto si svolse felice-mente. Sandro si present con due partigiani davanti al-le carceri e, dopo aver immobilizzato il guardiano, liber le tre donne. !Senza far cattivi incontri pot rientrare duran-te la notte.

    CATTURA E FUCILAZIONE DEL SEGR!ETARIO DEL FASCIO DI RONCHI

    Sempre nella prima quindicina di maggio, una nostra pat-tuglia bloccava una macchina sulla strada Corno di Rosaz-zo-Cividale con a bordo un capitano della X MAS ed il suo au-tista. Furono condotti al comando dove fu deciso di mandare due partigiani, con le uniformi dei prigionieri, a preleva-re il segretario del Fascio di Ronchi, Perusini. Per l'azione vennero incaricati il comandante Tigre con l'uniforme da uf-ficiale e il commissario Tri.stano vestito da attendente e il co. mandante Freccia, mi pare, da tedesco. All'indomani essi par-tirono e la sera stessa rientravano con il Perusini. Questi si accorse di essere caduto in trappola solo quando in un'o steria di lpplis, un nostro informatore, venne a complimen-tarsi con coloro che avevano catturato il noto fascista . Cerc di reagire ma, visto che non c'era niente da fare, si arrese. Si comport da coraggioso e compliment i nostri compagni per essere riusciti a prenderlo.

    Ero uscito in missione, la sera mi feci condurre da lui. Stava seduto e calmo in volto. Si alz vedendo entrare me e Sasso e chiese chi fossi, ch Sasso gi gli e:r:a noto. Sen-tendo il mio nome esclam :

    - Ah ! Lei il famoso V anni. Ci chiese poi cosa avremmo fatto di lui. Glielo dicemmo.

    E rimase impassibile. Quando Sasso usc si rivolse a me e mi chiese se poteva far arrivare una lettera ai suoi con la fede nuziale dentro.

    Gli concessi tale possibilit a patto di poterla leggere pri-ma della spedizione. Ero rimasto impressionato dal suo com-

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  • portamento virile. E' anche vero che fu una delle poche ecce-zioni. Uscii lasciandolo solo.

    Quando rientrai aveva gi finito di scrivere. Mi porse il foglio senza tremare. La lettera era semplice. Raccomandava alla moglie di accettare con forza l'avversit del destino, di al-levare i figli in maniera retta. Promisi che l'avrei fatta per-venire e cos avvenne. Di fronte al plotone d'esecuzione si com-port molto bene. (1).

    LA REAZIONE DELLA STAMPA FASCISTA

    La ferocia dei senza patria ha voluto un altro olocau~ sto: il dottor Andrea 'Perusini, direttore del Consorzio di Bo-nifica e irrigazione dell'agro Monfalconese. Il 25 maggio egli era in casa a Ronchi dei Legionari insieme alla moglie ed ai figli, allorch due persone indossanti la divisa militare ita-liana chiesero di lui invitandolo a scendere in strada ove un capitano lo attendeva per parlargli. Erano circa le 13. I due gli mostrarono un documento ed egli scese avvicinan-dosi a colui che vestiva l'uniforme di ufficiale italiano e che lo invit a salire sull'automobile su cui si trovava. I suoi cari non dovevano pi rivederlo poich si trattava di un tra-nello dei banditi comunisti che vestivano abusivamente l'u-

    (l) Al giovane lettore che a vent'anni di distanza legge queste pa-gine, potr anche sembrare eccessivo che i partigiani fossero cos dra-stici nei riguardi dei fascisti e gerarchi locali.

    Nel caso specifico, si trattava di un elemento molto influente an-cLe se in quel momento non occupava una carica molto elevata. Ma in generale la lotta era condotta con tale ferocia da parte dei nazisti e dei loro servi fascisti che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia nel suo proclama indirizzato agli italiani affermava tra l'altro:

    Primo ed unico dovere di oggi la lotta. Lotta contro il fascismo e contro il tedesco, contro le forze, le complicit, le acquiescenze, che fan da piedestallo alla duplice oppressione. Lotta senza tregua, di ogni ora, in ogni campo, con ogni arma .

    Solo cos si poteva sperare di riuscire a liberare il nostro paese dalla duplice oppressione.

    Sin dalla fondazione del Mazzini , i partigiani della Natisone si attennero scrupolosamente a questo invito del CLNAI.

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  • niforme. Andrea Perusini figlio del dottor Costantino era as-sai conosciuto anche a Udine e in provincia. Squadrista de-dic alla causa la sua attivit con cuore aperto e slancio fer-vente. Per qualche anno disimpegn le mansioni di Segretario del Fascio di Ronchi. Andrea Perusini: Presente! Cos scri-veva Il Popolo del Friuli del 23 maggio 1944.

    E il necrologio sullo stesso foglio diceva: Affermando da forte la sua fede fascista di fronte ad un

    plotone d'esecuzione di> il15 maggio cade'.:a eroi-camente per la Patria H dott. Andrea Perusini fu Costantino ...

    Il 15 corr. stato assassinato in localit ignota il dott. Andrea Perusini, fascista, squadrista, alpino d'Italia; il fascio repubblicano di Cormons e gli squaddsti ne esaltano la me-moria e girurano vendetta >>.

    ATTACCHI TEDESCHI NEL COLLIO CONTRO I GARIBALDINI

    I primi tre caduti Le azioni dei tedeschi contro la zona del Collio sono cos

    numerose che sarebbe impossibile ricordarle tutte. Citer al-cune particolarmente importanti. Nella prima quindicina di gennaio, una nostra pattuglia di 4 uomini cadde in un'imbo-scata nella zona di Verkolje del Corada. Presi sotto il fuoco incrociato dei mitra tedeschi, tre caddero falciati prima che potessero rendersi conto di ci che stava accadendo, mentre l'altro, reagendo, riusc a sganciarsi. All'indomani ritornammo sul posto con una pattuglia pi numerosa per raccogliere i caduti. I tedeschi si erano gi ritirati senza toccarli. Ritor-nammo a Gradno, sede del Mazzini ,con le loro salme. Essi erano molto giovani, fra i 18 e i 20 anni. Si chiamavano Pan-tera, Mario, Emilio. Il giorno dopo ci furono i funerali. Erano i primi morti e l'impressione che provai, vedendo quelle fi-gure infantili sul volto delle quali la morte improvvisa non aveva nemmeno cancellato il sorriso, fu tale che non seppi trattenere le lacrime. Quando parlai, prima che le bare fossero calate nelle fosse, nel piccolo cimitero in cui ancor oggi riposano, tutti i presen-ti avevano gli occhi umidi.

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  • [9 ZIO GAMBA tDI LEGNO l Nella seconda met di febbraio il Mazzini era di stan-

    za sopra Visnovicco, nella casa di un vecchio contadino privo della gamba destra, che tutti chiamavano zio . Non ricor-do pi il suo nome. Era un uomo gioviale, buono e molto coraggioso. Mentre tutti ci accettavano in casa con la paura delle rappresaglie, egli ci diceva sempre: - Qui siete in casa vostra. - E lo dimostr in modo concreto.

    Una colonna tedesca, forte di duecento uomini, prove-niente da Gorizia, puntava su Visnovicco. Aprimmo il fuoco all'improvviso. Un tenente e due soldati caddero uccisi, di-versi furono i feriti. La reazione del nemico per, fu Ta-pida e violenta. I garibaldini tennero duro, ma, per mancan-za di munizioni e per la scarsa difendibilit del luogo furono costretti a ritirarsi. Non c'era un albero ed il terreno si sten-deva liscio e piatto. I tedeschi fecero le nostre stesse consi-derazioni e ritornarono sui loro passi. La sera, quando ci tro-vammo tutti riuniti intorno ad un bel fuoco, lo zio ci invest cos: -Che partigiani siete se scappate quando vengono quel-li l? Non siete saliti in montagna per combatterli? - Allora gli spiegammo le ragioni dello sganciamento e fra l'altro gli facemmo osservare che cercavamo di evitare, nei limiti del possibile, di far incorrere gli abitanti in rappresaglie. Allora lo zio, guardandoci bene in faccia rispose: - il nemico va combattuto ovunque si trovi. Se avesse bruciato la casa, beh ... ci saremmo scaldati le mani! -

    Rimanemmo molto colpiti da quelle parole e gli dicem-mo che le avremmo tenute in gran conto per l'avvenire.

    ~L TOMBINO PROWIDENZIAL~ Il 15 marzo sera, assieme al comandante di compagnia

    Giusto ed al corriere Faust, ( 4) ci avviammo verso Mariano del Friuli, dove dovevamo incentrarci con alcuni elementi del

    (4) Il nome suo Mario Polo. Vecchio militante comunista, fu uno dei pi bravi e coraggiosi corrieri del nostro comando. Verso gli ultimi giorni d'aprile del '45, alla vigilia della liberazione, venne catturato dai tedeschi i quali lo misero alla tortura per farlo parlare ma Faust mori senza aprire bocca. Era sempre stato un uomo modesto ma come tanti altri mor da eroe. Era nato a Cormns in provincia di Gorizia nel 1909.

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  • CLN di Gorizia per discutere alcune questioni riguardanti i nostri rapporti con gli sloveni. Purtroppo coloro che dove-vano venire all'appuntamento ne furono impediti. Sia io che Giusto avevamo approfittato di questa occasione per incon-trarci con le rispettive mogli. L'incontro avvenne in casa del signor Quinto Basaldella proprietario del mulino che ci offr gentilmente la camera per la notte ad entrambi. Si deve rico-noscere che non era piccolo il rischio cui andava incontro ospi-tando due capi partigiani. Il signor Quinto si comport da vero patriota non solo per questo, ma anche perch durante tutto il periodo della lotta di liberazione egli aiut le forma-zioni con cospiqui contributi in farina e denaro. Dopo aver passato una notte presso il signor Quinto ed aver sistemato un po' le questioni familiari, visto che i rappresentanti del co-mitato di Gorizia non venivano, la sera del 17 marzo decidem-mo di ripartire per la zona partigiana. La sera stessa, assieme al comandante di compagnia Giusto, il corriere Faust e tre nuovi reclutati, Carlo, Giorgio e Fortuna, arrivammo ad un po-sto di tappa in zona Case, nel comune di Manzano. Eravamo stanchi per la lunga marcia ed affamati. Il mezzadro (5) ci serv subito da mangiare e da bere. Mentre mangiavamo ci metteva al corrente degli ultimi avvenimenti. Da quasi tre settimane le nostre pattuglie incrociavano nei dintorni attac-cando sempre pi spesso e in maniera sempre pi violenta le pattuglie nazifasciste, recando loro notevoli danni in materia-li e uomini.

    Il giorno prima del nostro arrivo avevano fatto un colpo grosso, requisendo, presso il deposito del conte Romano, circa un migliaio di bottiglie di liquori riservate alle forze arma-te germaniche. Il comandante tedesco locale era imbestialito. Dopo cena ci apprestammo a partire. Carlo, non abituato al-le lunghe marce e con il piede piagato, mi preg insistente-mente di rimandare il resto del cammino al giorno dopo. Ce-detti perch tutti apparivano stanchi. Andammo a dormire nella stalla. Non sono superstizioso e non credo ai sogni. Quella notte per qualcosa mi turbava, non riuscivo a prender

    (5) Si tratta della famiglia Azzano, composta dai nonni, due figli sposati, con le rispettive mogli, ed un gran numero di nipoti. Tutti ave-vano aderito al movimento partigiano. Il fratello maggiore era il pi de-ciso. Vennero spediti in Germania e, per fortuna, ritornarono tutti. Sono rimasti fedeli amici dei partigiani.

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  • sonno. Mi svegliavo, mi riaddormentavo e tornavo a svegliar-mi. Le prime luci dell'alba mi trovarono con gli occhi aperti. Alle quattro Faust, il corriere, si alz. Gli augurai buona for-tuna. Mi risvegli il suono di una sirena. Non era l'allarme. Il mezzadro infatti gridava: - I tedeschi, i tedeschi! Scap-pate!-.

    Saltai gi dalla paglia. Nella fretta persi tutti i carica-tori del mitra, tranne quello che era innestato sull'arma. Diedi una bomba a Giorgio ed una a Carlo. Dalla stalla mi buttai gi per il pendio. Non c'era un albero, n un sasso, n altro per pi di un chilometro. Saltai allora nel