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Giuseppe Celi 2005 Cambiamenti del sistema macroeconomico e della politica macroeconomica Capitolo 16

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Giuseppe Celi 2005

Cambiamenti del sistema macroeconomico e della politica

macroeconomica

Capitolo 16

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Giuseppe Celi 2005

Cambiamenti del sistema macroeconomico

Nel corso del tempo, il sistema macroeconomico cambia e così pure gli schemi analitici con cui viene studiato

La figura che segue mostra l’evoluzione della struttura produttiva delle economie avanzate. Tra il 1100 e il 1860, la quota della forza lavoro occupata in agricoltura calò dall’80% al 50%. Alla fine del XX secolo, tale quota è passata al 2% negli USA. Nel corse del tempo, si è registrato anche un declino rilevante della quota delle forza lavoro impiegata nell’industria manifatturiera, estrattiva e dell’edilizia (dal 40% nel 1900 al 25% nel 2000). Tale declino è stato compensato da un aumento del settore dei servizi (in particolare servizi, ad alta intensità di informazioni)

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Distribuzione occupazionale della forza lavoro

Mille anni fa, quasi tutti i lavoratori erano occupati nell’agricoltura. Ancora nel 1900 quasi 1/3 della forza lavoro era formato da agricoltori. Oggi la distribuzione occupazionale della forza lavoro è molto diversa. I settori tipici della rivoluzione industriale – manifatturiero, estrattivo ed edilizio – impiegano ancora 1/4 della forza lavoro statunitense. La maggior parte dei lavoratori è, però, impiegata nel settore dei servizi, specialmente in quello dei servizi a uso intensivo di informazioni.

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Cambiamenti del sistema macroeconomico

Negli Stati Uniti, 100 anni fa, per la maggioranza delle famiglie era molto difficile contrarre prestiti. Oggi il sistema finanziario statunitense eroga una grande quantità di prestiti ai consumatori

Secondo la teoria economica standard, l’impatto di questa grande disponibilità di prestiti dovrebbe essere quello di ridurre la propensione marginale al consumo e quindi il moltiplicatore. In altri termini, l’allentamento dei vincoli di liquidità permette ai consumatori di non far dipendere strettamente i propri consumi dalle fluttuazioni di breve periodo dei loro redditi.

Anche il consolidarsi degli stabilizzatori automatici fiscali (inesistenti 100 anni fa) ha esercitato gli stessi effetti sul moltiplicatore e quindi sulla stabilizzazione del ciclo economico

Il secolo scorso ha visto anche la nascita di stabilizzatori automatici finanziari, come l’assicurazione sui depositi, che hanno spezzato il circolo vizioso tra panico finanziario, corsa agli sportelli, aumento dei tassi di interesse e depressione

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Cambiamenti del sistema macroeconomico

Un altro importante aspetto del mutamento ha riguardato la rapidità e la direzione del progresso materiale. Nella seconda metà del XIX secolo, gli aumenti di produttività del lavoro sono stati conseguiti con un uso intensivo del capitale fisico. Nel XX secolo, la produttività del lavoro è aumentata grazie alla ricerca scientifica e al progresso tecnologico

Tuttavia, nonostante tutti questi cambiamenti strutturali del sistema economico statunitense, la figura che segue mostra come il ciclo economico persista, pur riducendosi la sua dimensione

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Il ciclo economico degli USA, 1870-1998

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I cambiamenti futuri del sistema macroeconomico

Consumi. La flessibilità finanziaria dovrebbe aumentare e allentare ulteriormente i vincoli di liquidità sui consumi, con le conseguenze già menzionate sul moltiplicatore

Globalizzazione. In futuro, molto probabilmente, il commercio internazionale continuerà ad espandersi con la conseguenza di ridurre il moltiplicatore e quindi la vulnerabilità dell’economia agli shock interni. Tuttavia, la maggiore internazionalizzazione renderà l’economia più vulnerabile agli shock provenienti dall’estero. L’aumento del commercio internazionale si accompagnerà ad una crescita dei flussi finanziari internazionali, una potenziale causa di crisi finanziarie. Ciononostante, l’integrazione finanziaria internazionale va sostenuta se essa comporta effettivi vantaggi sia per i paesi avanzati che per quelli in via di sviluppo: rapida industrializzazione per i paesi della periferia e più alti rendimenti unitamente a maggiore diversificazione del rischio per gli investitori dei paesi sviluppati

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Globalizzazione: importazioni di merci come quota della produzione totale di beni

Negli Stati Uniti, dal 1960 in poi, la quota di importazioni di merci si è quadruplicata rispetto alla produzione totale di beni.

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I cambiamenti futuri del sistema macroeconomico

Politica monetaria. L’aumento della flessibilità finanziaria che riduce il valore del moltiplicatore renderà più difficile interpretare l’andamento dei mercati finanziari e probabilmente condurre la politica monetaria. Con la crescente disponibilità di nuovi strumenti finanziari, in futuro le variazioni dell’offerta di titoli del Tesoro e, in generale, le OPM della BC avranno meno effetto sui tassi di interesse rispetto ad oggi

Scorte. Il quarto e ultimo cambiamento che si può prevedere è che i miglioramenti della tecnologia e dell’informazione ottimizzeranno la gestione delle scorte delle imprese. Nel secolo scorso, il ciclo delle scorte è stata una delle cause principali delle fluttuazioni della produzione e dell’occupazione

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Le fluttuazioni economiche in una prospettiva storica

Se guardiamo alla tabella e al grafico che seguono, ci rendiamo conto che per gli Stati Uniti le differenze nella dimensione delle recessioni tra l’inizio e la fine del secolo scorso non sono rilevanti: la recessione media nel periodo che precede il primo conflitto mondiale era un mese più piccola di quella media relativa al periodo successivo alla seconda guerra mondiale

Nel periodo interbellico 1920-40, la dimensione del ciclo è stata, invece, molto più grande. La Grande Depressione iniziata nel 1929 è stata il ciclo più pronunciato dei tre cicli interbellici

Il grafico mostra che nel secondo dopoguerra il ciclo economico è stato, in effetti, un po’ più piccolo, ma non molto più piccolo. Infatti, molti cambiamenti nella struttura economica dal 1900 in poi hanno avuto effetti sul ciclo che si sono elisi a vicenda: il calo dell’agricoltura (settore non molto sensibile al ciclo) è stato compensato dalla crescita dei servizi (anch’essi non molto sensibili al ciclo). Resta comunque l’effetto dell’allentamento dei vincoli di liquidità per i consumatori che ha contribuito a ridurre il moltiplicatore attenuando le fluttuazioni del ciclo

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Le fluttuazioni economiche negli Stati Uniti, 1887-1990

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La Grande Depressione rispetto ad altri cicli economici: disoccupazione statunitense

Il calcolo delle fluttuazioni della disoccupazione secondo una metodologia compatibile con i dati dopo la Seconda guerra mondiale rivela che le stime della disoccupazione nel passato contenute nelle Historical Statistics of the United States hanno valutato per eccesso la dimensione della depressione degli anni Novanta del XIX secolo

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La politica economica e il ciclo

L’influenza della politica economica sul ciclo è stata duplice.

Da un lato, la diminuzione del moltiplicatore, il consolidarsi degli stabilizzatori automatici fiscali, l’aumento del potere delle banche centrali unitamente all’assicurazione sui depositi hanno permesso alla politica monetaria di neutralizzare i tipi di shock precedenti la Grande Depressione

Dall’altro lato, la politica economica nel secondo dopoguerra ha anche contribuito a generare alcune recessioni (per esempio: 1981-82, 1990-92) e questo spiega perché non si sia registrata una drastica riduzione della dimensione del ciclo. Se, nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale il ciclo economico era generato dagli animal spirits degli investitori (come suggeriva Keynes), nel periodo seguente è stato l’alternarsi di politiche permissive e di successive politiche di rientro dall’inflazione che ha generato il ciclo economico

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La Grande Depressione

Nel secondo dopoguerra, nonostante il ciclo sia stato un fattore persistente dell’andamento del sistema economico, la politica macroeconomica ha reso improbabile il ripetersi di eventi come la Grande Depressione (GD). La GD è un esempio di situazione estrema generata da perturbazioni negative non contrastate adeguatamente dalla politica economica

L’entità della GD è mostrata nei grafici che seguono: nel 1933 il PIL scese al 40% del suo livello potenziale. Gli investimenti crollarono (registrarono un calo di più del 10%) e il tasso di disoccupazione passò al 25%. Il calo degli investimenti e il calo dell’occupazione furono dovuti ad un forte rialzo dei tassi di interesse reali (dal 4% nel 1928 erano balzati al 13% nel 1931).

Dopo il 1932, i tassi di interesse scesero ad un livello normale ma gli investimenti rimasero bassi. Perché? Perché la capacità produttiva inutilizzata eliminava ogni incentivo ad effettuare nuovi investimenti (la GD, in sostanza, aveva abbassato il livello degli investimenti di base I0 nella funzione degli investimenti)

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PIL reale rispetto alla produzione potenziale durante la Grande Depressione

La Grande Depressione vide la più rapida diminuzione del PIL reale rispetto alla produzione potenziale.

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Movimento lungo la curva IS: la grande contrazione, Stati Uniti, 1929-1932

Tra il 1929 e il 1932, rapidi aumenti dei tassi di interesse reali attesi a causa della deflazione e premi per il rischio crescenti spinsero l’economia statunitense in grande misura verso l’alto lungo la curva IS.

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Deflazione ed alti tassi di interesse reali

Durante la GD, una rapida e prolungata diminuzione dei prezzi (deflazione) aveva fatto salire i tassi di interesse reali a livelli molto alti

Ma perché si manifestò la deflazione? Per l’intensità stessa della GD: la forte caduta del PIL, dell’occupazione e della domanda fecero crollare il livello dei prezzi. Questo comportò un ulteriore aggravamento della recessione, per le ripercussioni sui tassi di interesse reali

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Tasso di interesse reale, tasso di interesse nominale e tasso di inflazione nella Grande Depressione

Negli Stati Uniti, tra il 1929 e il 1933, i tassi di interesse sui titoli del Tesoro diminuirono rapidamente. Ma queste riduzioni dei tassi di interesse nominali non impedirono ai tassi di interesse reali di aumentare rapidamente. Anche la deflazione svolse un grande ruolo

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Grande Depressione: quale shock iniziale?

Gli economisti hanno suggerito alcune possibili cause scatenanti. Il crollo del mercato azionario determinò un aumento dell’incertezza e una

diminuzione della ricchezza con effetti negativi sui consumi di base C0

La forte disponibilità di credito al consumo negli anni ’20 aveva determinato un boom dei consumi che alla fine del decennio si era esaurito

Negli anni ’20 vi furono eccessivi investimenti in edilizia residenziale che contrastavano con gli effetti di lungo periodo delle politiche di contenimento dell’immigrazione adottate in quegli anni. Alla fine del decennio, la presa d’atto che lo stock di case era eccessivo innescò una diminuzione degli investimenti di base

L’aumento dei tassi di interesse adottati dalla FR nel 1928 per contrastare la speculazione nel mercato azionario innescarono il crollo iniziale

Comunque, tutti concordano che la reazione fu sproporzionata rispetto allo shock iniziale

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Gli effetti della deflazione

Gli economisti concordano che un modo per contrastare la GD sarebbe stato quello di adottare una politica monetaria espansiva prolungata che, alla fine, avrebbe impedito la caduta dei prezzi e quindi la salita dei tassi di interesse reali.

Comunque, la deflazione riduce il PIL non solo attraverso il canale dei tassi di interesse reali. Provoca una recessione attraverso la redistribuzione di ricchezza dai debitori ai creditori. Le imprese fortemente indebitate falliscono quando la caduta dei prezzi rende l’onere del debito insostenibile in termini reali. Ma il fallimento delle imprese determina anche il fallimento delle istituzioni finanziarie. In sostanza, la deflazione distrugge la rete di credito che convoglia il risparmio verso gli investimenti. L’impatto distruttivo della deflazione sull’intermediazione finanziaria ha un effetto negativo di lunga durata sugli investimenti

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Politica economica: lezioni apprese in USA

Se guardiamo alla tabella che segue, possiamo notare che la volatilità del ciclo economico nel caso degli USA si è attenuata notevolmente dopo il 1984 (l’anno che segnala la fine della politica disinflazionistica di Volcker). Questa attenuazione delle fluttuazioni cicliche è frutto del caso (della “buona sorte”) o di politiche macroeconomiche più adeguate rispetto al passato?

Forse l’esperienza degli anni ’60 e ’70 ha impartito delle lezioni importanti ai policy maker statunitensi. In effetti, gli anni ’80 e ’90 hanno contrassegnato una crescita economica relativamente stabile con bassa inflazione. Le recessioni sono state poche e il controllo dell’inflazione non ha reso necessarie politiche che avrebbero potuto innescare recessioni. Mentre nei primi 30 anni del dopoguerra un eccessivo ottimismo riguardo la crescita dell’economia ha causato errori di politica economica che non hanno portato alla stabilizzazione del ciclo (politiche eccessivamente espansive seguite da politiche recessive), gli ultimi vent’anni hanno segnalato una maggiore consapevolezza nella conduzione della politica economica dovuta, forse, al fatto che i policy maker sono più coscienti dei limiti del loro potere

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Stabilizzazione del ciclo in USA dopo il 1984

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Lezioni non apprese: l’alta disoccupazione in Europa

Sino alla fine degli anni settanta, il tasso di disoccupazione in Europa era più basso rispetto a quello degli USA

Ma successivamente, la disoccupazione europea ha iniziato a crescere rapidamente. Il paradosso è che la disoccupazione europea aumenta durante le recessioni ma non diminuisce durante le espansioni

La recessione dei primi anni ’80 ha investito sia gli USA che l’Europa occidentale e i tassi di disoccupazione sono stati simili nelle due aree. Però, nei successivi anni ’80 e ’90, mentre la disoccupazione USA è diminuita, quella europea è aumentata.

Mentre nel caso degli USA, la curva di Phillips nella sua versione accelerazionista è uno strumento interpretativo valido per capire la storia dei comovimenti di disoccupazione e inflazione del dopoguerra (spostamento verso l’esterno negli anni ’70 per aspettative di inflazione crescente e spostamento verso l’interno nei due decenni successivi per la ragione contraria), nel caso dei paesi europei la CP accelerazionista non si adatta mai all’esperienza storica. Come mai?

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Disoccupazione europea. La crescita della disoccupazione nei quattro più grandi Paesi dell’Europa occidentale, 1975-2000.

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Lezioni non apprese: l’alta disoccupazione in Europa

Nel caso dell’Europa, qualunque sia il segno e la tipologia dello shock (shock da offerta, disinflazione di Volcker, recessione dei primi anni ’90, etc.) la CP si sposta sempre verso l’esterno segnalando un costante aumento del tasso di disoccupazione naturale. Gli economisti hanno definito questo andamento come isteresi: il tasso naturale di disoccupazione dipende dalla storia del tasso di disoccupazione effettivo.

All’inizio degli anni ’90 molti attribuivano le cause della disoccupazione europea alle rigidità del mercato del lavoro (disoccupazione classica). Ma, a ben vedere, tali rigidità erano ancora più forti negli anni ’60 e ’70, quando la disoccupazione era più bassa.

Forse la spiegazione più plausibile è quella basata sulla nozione di isteresi: la persistenza nel tempo di un elevato tasso di disoccupazione effettivo fa aumentare il tasso di disoccupazione naturale stesso.

Se le cose stanno così, allora, bisognerebbe attuare un’inversione di tendenza: un abbassamento persistente del tasso di disoccupazione effettivo (da attuare con politiche di domanda espansive accompagnate da politiche di offerta rivolte a rendere più flessibile il mercato del lavoro) dovrebbe contribuire ad abbassare il tasso di disoccupazione naturale

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Lezioni non apprese: la stagnazione giapponese

Il mercato azionario e il mercato immobiliare furono contrassegnati da una crescita insostenibile negli anni ’80. Alla fine, la bolla speculativa si interruppe drammaticamente e i prezzi dei titoli azionari e delle proprietà immobiliari crollarono. Si scoprì, allora, che molti individui si erano fortemente indebitati offrendo come garanzia le loro proprietà immobiliari e i loro portafogli di titoli. Il fallimento coinvolse anche le istituzioni finanziarie che avevano accettato quelle garanzie: il valore delle garanzie, infatti, non copriva il rimborso dovuto ai creditori

In questa situazione, gli investimenti crollarono perché nessuno era desideroso di prestare fondi a istituzioni che potevano essere coinvolte in fallimenti (perché, forse, queste istituzioni si erano sviluppate durante la bolla speculativa). Questa situazione era aggravata da una certa tolleranza da parte delle autorità di sorveglianza: si cercava di risolvere il problema facendo finta che il problema non esistesse e sperando che l’inversione dl ciclo in senso positivo avrebbe consentito alle istituzioni in difficoltà di ripianare i propri debiti. In un certo senso, gli effetti del crollo borsistico, in termini di riduzione di investimenti e consumi, furono simili a quelli che si ebbero nella GD

Questa situazione ha fatto sprofondare il Giappone in un decennio di stagnazione economica

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L’emergere della stagnazione giapponese

A partire dal crollo del mercato azionario giapponese all’inizio degli anni Novanta, la crescita dell’economia giapponese è stata estremamente lenta. Quella che era stata l’economia a crescita più rapida nel Gruppo dei Sette (G-7) è diventata quella a crescita più lenta.