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collana centenario edizioni risonanze
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MEMORIE STORICHE
INTORNO ALLA VITA
DEL
SAC. GIUSEPPE FRASSINETTI
PRIORE A S. SABINA IN GENOVA
RACCOLTE DAL
SAC. DOMENICO FASSIOLO
GENOVA
TIPOGRAFIA DELLA GIOVENTÚ
1879
EDIZIONE RISONANZE
A VOI
PASTORE
DELLA CHIESA GENOVESE
SALVATORE MAGNASCO
CHE LIBERA ED ERUDITA
BANDITE AI POPOLI
L' EVANGELICA PAROLA CON MAGNANIMA FORTEZZA
1 SACRI DIRITTI PROPUGNATE
DELLA MILITANTE SPOSA DI CRISTO
QUESTE MEMORIE INTORNO ALLA VITA
DEL PRIORE GIUSEPPE FRASSINETTI
CHE FU A VOI AMICO, COMPAGNO CARISSIMO,
ED EMULATORE Dl QUELLO SPIRITO DI VIRTÚ E SAPIENZA
CHE VI ANIMA E AD ALTE IMPRESE VI GUIDA
IN UMILE ATTESTATO
DI SOGGEZIONE E Dl AMORE
2
L' ULTIMO DEI VOSTRI FIGLI SACERDOTI
DOMENICO FASSIOLO
OFFRE E DEDICA.
PREFAZIONE
Ponam te in exemplum!
Na. 3,2.
(Piace a Dio nell‟) Appartiene all‟ordine ammirabile della (sua) divina Provvidenza di
suscitare, (nello svolgersi dei) nel corso dei secoli, uomini, che, animati dalla sua virtú e
(accesi il cuore) ardenti di nobile e forte amore per la Religione, arrivino ad operare nel
mondo un bene (insolito, perché, stante) straordinario, nonostante la tristezza dei tempi(,
forse non si sarebbe aspettato). Ogni secolo ha il suo peculiare carattere in ordine alla virtú e
in ordine al vizio; il nostro ha pure il suo, e tutto suo (veramente) in modo particolare. Infatti,
(chi osserva alquanto) anche un ossrvatore superficiale può facilmente convincersi(, il genio
del) che il bene (trionfare) trionfa al presente e (giganteggiare) giganteggia in mezzo alle
(tante morali rovine che tutt‟ora si moltiplicano) numerose rovine morali. Dall‟altra parte si
può (vedersi) vedere che il genio malefico dell‟incredulità e della dissolutezza non (essere) è
certamente una larva, una melanconica ipotesi, (sí vero) ma una triste realtà; esso domina
(per fermo) decisamente piú che nel passato, e la società riceve ogni giorno da lui (mortali)
ferite mortali.
Ora si può dire che il Priore Giuseppe Frassinetti, di cui intrapprendiamo a narrare la vita,
(può dirsi avesse) abbia avuto dal Cielo una particolare missione di opporsi, per quanto era
(da) in lui, (al decadimento) alla decadenza morale della fede e dei costumi nelle popolazioni
cristiane. Egli lavorò di buona lena per opporre alla fede illanguidita e spenta nei cuori
l‟operosità e il fervore della perfezione (nelle) con molte Pie Unioni ed Associazioni, a cui
diede mano (o instituí); e alla dissoluzione dei costumi il candore celeste della cristiana
verginità, di cui fu il vero apostolo dei tempi nostri. Non v‟è dubbio che i tanti mali presenti
sono aiutati e corroborati dalla diffusione di libri e romanzi empi e dissoluti (libercoli e
romanzi), velenoso cibo (davvero), che cerca di (mettere la tabe nel sangue) di inquinare
l‟animo di tutti, ma specialmente dell‟incauta gioventú. Egli (fremea) fremeva nel suo cuore
(al considerare) considerando la spaventosa grandezza di questa sorgente dell‟incredulità e
del vizio, e (a questa) tentò (far argine) di arginarla ********************** senza darsi
pace un solo giorno della sua vita. Ognuno può associarsi al nostro pensiero, se nelle
molteplici sue operette, pregevoli per semplicità e cristiano sapere, vediamo l‟uomo inviato
da Dio a rimediare a questo altro male delle cattive letture.
Ciò premesso, vogliamo affermare che la sua vita è stata un modello di virtù sacerdotali a
tutto il clero genovese, il quale mostrò sempre di avere per lui ammirazione e riverenza.
Certo è stata la divina Bontà che ha voluto darcelo per esempio e per guida nel nostro
ministero: Ponam te in exemplum. E il ven. Collegio dei Parroci deve certamente andar lieto
d‟aver avuto tra le sue fila un sí degno confratello, che con la sua vita edificò Genova tutta, e
con le sue operette l‟Italia ancora.
lo non voglio né sono da tanto da istituire paragoni, ma se mi è lecito esternare un mio
sentimento, dirò che come la Francia in questi ultimi tempi si gloria del Servo di Dio,
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Giovanni Battista Maria Vianney, Parroco d‟Ars, che toccò il sommo nella perfezione delle
virtù sacerdotali, cosí anche l‟Italia può gloriarsi del compianto Priore di S. Sabina. Ambedue
zelantissimi della gloria di Dio e della salute delle anime, instancabili nell‟esercizio dei loro
uffici pastorali, nulla mai mostrando di terreno nel loro conversare, nulla che non fosse
conveniente al loro sacerdotale carattere. E di vantaggio, se il primo edificò la Francia colle
ammirabili opere dell‟eroismo e dei miracoli, il secondo edificò non meno l'Italia e l‟estero
col portento de‟ suoi scritti e con la grandezza della sua umiltà. Ambedue degni che le loro
geste sieno ricordate ai posteri e da essi benedetta la loro memoria; e per tal modo l‟empietà,
che tutto giorno si arrovella contro del clero e ne beffeggia il sacro ordine e le operazioni,
abbia a confondersi ed ammutolire.
Ora per verità mi pare che alcuno potrebbe dirmi che non compete a me, giovane inesperto,
accingermi alla narrazione della vita del Frassinetti; altre penne si richiedono ed altri uomini.
Confesso il vero, che io mi vergogno di me stesso, pensando alla mia insufficienza ed
insieme al mio ardimento. Mi si voglia però perdonare, che a ciò fui spinto primieramente
dall‟amore e venerazione che io, da che ho avuto la sorte di conoscerlo, ebbi ed ho tuttavia
per lui. In secondo luogo, perché io aspettavo sempre che altri si accingesse a quest‟opera, ed
ora, vedendo delusa la mia aspettazione e il mio desiderio, ho giudicato fra me di poterci
mettere mano, mettendo in luce molte azioni del Priore, delle quali io fui testimonio. Un bel
compendio della sua vita apposto al Compendio della Teologia Morale del Frassinetti, fu
scritto dal Priore del Carmine, Antonio Campanella, allora Canonico a N. S. del Rimedio.
Quello però, quantunque contenga le principali cose della sua vita e sia sufficiente a far
conoscere chi sia l‟Autore del Compendio di Teologia, non è però esteso cosí che faccia
conoscere molte altre cose importanti che riguardano il Priore. Ora il lettore vedrà, e sta a lui
il darne giudizio, se le cose che sto per narrare, erano da consegnarsi all‟oblio o pure da far
palesi ad esempio dei Sacerdoti e dei sacri Pastori e ad edificazione dei fedeli. Certo che mi
si dovrà perdonare un cumulo di difetti, nello stile e nel poco ordine tenuto, ma questa è
legittima conseguenza del poco studio e del pochissimo ingegno di chi scrive. Tuttavia io
credo che queste memorie raccolte in gran parte dai suoi Reverendi Fratelli, e perciò
veridiche e degne di tutta la fede, e da me gittate cosí alla rinfusa, potranno piacere e giovare
ad alcuno, prima a me che scrivo e poi a chi avrà la pazienza di leggerle. Del resto io avrò la
soddisfazione di veder letta la vita di colui che mi fu maestro e guida nella mia giovinezza,
col quale vissi piú di due anni; nel qual tempo ho potuto udire le sue parole, ammirare le sue
opere, le quali non si cancelleranno mai più dalla mia mente.
L‟Autore
CAPO I
NASCITA E GIOVINEZZA DEL FRASSINETTI
In Genova, nel distretto della Parrocchia di. N. S. delle Vigne, il 15 dicembre del 1804
nacque Giuseppe Frassinetti primo frutto di un felice matrimonio di Giambattista e Angela
Viale, coniugi di mediocre fortuna, ma di specchiata virtù. E diciamo felice matrimonio,
perché gli altri tre fratelli Francesco, Giovanni, Raffaele, e la sorella Paola si consacrarono a
Dio nello stato religioso. Sin da fanciullo il nostro Giuseppe diede segni non dubbi della sua
futura bontà. La prima virtú che contraddistingue la buona indole di un giovinetto è
l‟ubbidienza, e in questa, che è veramente la conservatrice di tutte le virtù, egli si mostrò
quasi irreprensibile. Pronto ad ogni cenno dei suoi genitori, non si permise il piú innocente
divertimento senza il loro consenso; era suo piacere starsene in loro compagnia e dimandar
loro molte cose, e ne udiva le risposte con grande attenzione. Non aveva per anco compiuti i
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sei anni, che da essi fu condotto la vigilia dell‟Assunta al santuario detto popolarmente della
Madonnetta a fare l‟offerta del cuore come si costuma tuttavia in detta chiesa con grande
concorso di fanciulli. La qual cosa non dimenticò mai piú, e quando era già parroco di S.
Sabina, in un discorsetto che tenne nello stesso santuario per una simile cerimonia, ricorda
con sua consolazione quel giorno per lui tanto lieto. Un tal discorsetto fu stampato dopo la
sua morte.
L‟anno 1818 lo incolse una sventura, che gli fece versare lagrime amare. II giorno
dell‟Epifania di quell‟anno perdette la cara sua madre, che amava tanto; fu visto addolorato
oltremodo, ma rassegnato sempre al volere di Dio, non cessò mai di pregare per lei. Intanto il
padre, uomo di soda pietà, si prese ancor piú sollecita cura della sua figliuolanza. E vero
imitatore di Tobia, che insegnò al suo Tobiolo a temere Iddio fin da fanciullo, e ad astenersi
da ogni peccato, rivolse tutta la sua cura ad instillare per tempo nel cuore di Giuseppe sani e
religiosi principii. Quindi non gli permise mai nessun compagno, non lo condusse mai a teatri
o ad altri profani divertimenti, lo volle sempre seco a passeggio, alle novene sul far della sera
per lo più anche in compagnia di una sua zia; e sebbene già diacono, tuttavia alle feste, dopo
le funzioni della chiesa, quasi sempre lo conduceva seco a spasso. Questa buona educazione
contribuí assai a sviluppare in lui quello spirito di cristiana disciplina e perfezione, che poi
sarebbe stato la guida della sua vita, il compagno indivisibile delle sue apostoliche fatiche.
Lo spirito di Dio in lui andò sempre crescendo con l‟avanzare sia nell‟età, sia negli studi e
nelle cure pastorali, per cui un suo amico, sacerdote dottissimo, poté dire, applicando a lui
l‟elogio che la Scrittura fa del profeta Daniele, che nel Frassinetti spiccò sempre lo spirito di
Dio: Spiritus Dei amplior erat in illo. (Dan. 6, 3)
Non è da tacere l‟impressione che in lui fece la sua prima comunione. In quel giorno fu
veduto esultare, e santamente commosso raccontare a tutti la sua fortuna. Quindi lui volle
conservare la corona avuta allora in premio come una preziosa memoria, ed ora è conservata
da un suo fratello. Certo possiamo noi credere che Iddio in quel dí avventurato lo abbia a sé
stretto con speciali vincoli della sua grazia e prevenuto con quella dolcezza e celeste unzione,
che spira, si può dire, in tutte le pagine delle varie operette da lui pubblicate. Si racconta che
l‟abate di S. Matteo De Filippi, uomo di santa vita, alcune volte gli metteva una mano sul
capo, dicendo al padre e alla madre: -Questo angioletto sarà un giorno la vostra
consolazione- e non andò fallito nel suo giudizio!
Intanto si diede a coltivare gli studi e primo suo maestro fu il P. Angelico Minore Osservante,
che faceva scuola privata in tempo della soppressione. Andato poi al Seminario
Arcivescovile, quivi incominciò quella carriera letteraria, che gli meritò tanta lode e anche
possiamo dire, tanta ammirazione presso i maestri. Infatti il progresso che fece nelle scuole di
Umanità fu rapido, non mai interrotto; e in tutto riusciva eccellente. II suo ingegno assai
vasto e sottile approfondiva qualunque materia di modo tale che la poesia vuoi latina o
italiana, vuoi la prosa in tutte due queste lingue erano divenute a lui assai famigliari, e nello
applicarvisi trovava ogni suo sollievo. Una prova di quanto diciamo si può dedurre dall‟aver
egli stampato fin d‟allora un‟ode in versi latini alcaici, nella quale celebravaa il prestigio
delle umane lettere, e in un trattenimento accademico piacque assai e fu lodata da tutta la
numerosa adunanza. Si applicò allo studio della lingua greca, e alla fine dell‟anno ne ebbe
lode dai maestri. Terminato il secondo anno di Retorica, scrisse in un quaderno tutti i
migliori componimenti che fece in versi latini ed italiani, e sono assai pregevoli. Fra questi vi
è un bellissimo cantico in terzine da lui composto in occasione della morte di Sua Santità Pio
VII.
Però ciò che maggiormente si vuol far notare, è il progredire che faceva sempre piú nella
virtú e nella pietà. Egli si era prefissa una regola di vita sicché poteva occupare molto tempo
nello studiare in casa come nelle biblioteche della città, dove andava frequentemente, e buon
tempo ancora negli esercizi di pietà al mattino e alla sera. E lo scrivente può attestare che una
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volta in un discorso famigliare con due o tre giovani studenti, disse francamente che egli da
giovane non tralasciò mai un giorno di assistere al santo Sacrificio della Messa.
E‟ noto il suo attaccamento e la sua riverenza alla Sede di Pietro. Or bene in questo egli si
segnalò mentre ancora era laico e studente. Fremeva al solo sentire alcuno a fare osservazioni
alle geste dei Pontefici, e con bel modo e santa ingenuità diceva a chiunque non appartenere
ai figliuoli il censurare il padre. E‟ un fatto che forse ad alcuno potrà parere di poca levatura,
ma che però fa vedere gran virtú in un giovane, quello che nella Orazione funebre racconta il
chiarissimo Canonico Poggi, sacerdote di specchiata virtú e dottrina. Egli dunque dice che
mentre passeggiavano in Seminario nell‟atrio che mette alle scuole e leggevano per diletto i
versi del Petrarca, vide alcune pagine del libro, che aveva in mano Giuseppe, listate di nero.
Meravigliato di ciò ed arrestandosi senza far motto, subito il Frassinetti, rompendogli la
dimanda sul labbro: “Ho cancellato, disse, alcune coserelle, accíò se questo libro pervenisse a
tenere menti inesperte non ne abbiano danno”. Era l‟esemplare una pregevole edizione di
Venezia, e lo scrivente l‟ebbe graziosamente in dono dai fratelli di lui, ed ha potuto accertarsi
del fatto raccontato, rimanendo anche piú maravigliato nel vedere l‟esattezza colla quale egli
cancellò i sonetti e le annotazioni analoghe. Buon presagio fecero di lui í maestri, e non
s‟ingannarono, perché, generalmente parlando, il buon giudizio che si fa di un giovane
qualunque, sempre impegnato nello studio e nella pietà, non può fallire. Dunque ricco di
tante cognizioni letterarie e fornito di uno spirito veramente cristiano diede compimento agli
studi di Umanità; dalle lettere si accinse a passare alle scienze; e anche in queste, come
vedremo, non si diportò con minore impegno e con più lieve applicazione.
CAPO II
SUOI STUDI FILOSOFICI E SACRI
SUA ORDINAZIONE
La filosofia che ha per fine di indagare con il semplice aiuto naturale le ragioni ultime delle
cose, fermando le sue ricerche sopra Dio, l‟uomo e il mondo, è certo necessaria preparazione
per lo studio di quella scienza piú nobile, che è la sacra Teologia. Compreso da questa verità
il giovane Frassinetti entrò di buon animo nel difficile arringo degli studi filosofici. In ciò gli
fu maestro il professore Gerolamo Valentino, sacerdote che assai di frequente ebbe a gloriarsi
di lui, ed ammirare la sua prontezza nel rispondere, l‟ordine delle idee, l‟attività dell'ingegno.
Attesta chi gli fu compagno che non avvenne mai che restasse sopraffatto alle difficoltà
proposte. Non abbandonò mai l‟arena se non vincitore. Approfondiva di tratto il nodo della
questione, e con modestia e buona maniera ne esponeva la soluzione.
Se non che ogni suo desiderio era rivolto alla scienza delle divine cose; a questa parea che
anelasse con tutto il fervore dell‟animo; a questa non poteva fare a meno di non consacrare
qualche ora anche prima di entrare in teologia. Ad un‟anima piena dello spirito di Dio piace
di certo il sentirsi parlare di tutto ciò che la può condurre a Dio; ma allorché gli si parla di
Dio stesso, e gli si rivelano,per quanto è consentito a alla natura umana, le sue adorabili
perfezioni, allora si accende meglio dell‟amore divino, e all‟udire quegli accenti dolcemente
si acquietano le sue brame. Questo dovette avvenire al Frassinetti, il quale, se agli studi della
filosofia attese con ogni alacrità e ne riportò lode e ammirazione dai maestri, tuttavia nello
studio delle discipline teologiche si applicò, quasi direi, anima e corpo. Infatti a proporzione
che egli si inoltrava nell‟imparare la scienza di Dio, si avvicinava al sacerdozio, al quale
aveva rivolte i suoi desideri e da gran tempo lo sospirava. Perciò possiamo ben immaginare
come egli si applicasse a questi studi, e nello stesso tempo il piacere che provava l‟innocente
sua anima in quelle investigazioni dell‟essere e dei misteri di Dio. Basti dire che egli non si
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contentò delle semplici lezioni che giornalmente danno i maestri, e che studiava, riteneva, e
poi manifestava con tutta precisione, ma correva alle biblioteche, e sopra i grandi volumi dei
teologi e dei Padri spendeva lunghe ore, pensando e meditando senza risparmiare fatica
alcuna. La qual cosa egli faceva sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza, nei quali
tutta il suo riposo era una passeggiata insieme con un compagno di studio. Fu cosí che egli
adornò la sua mente di cognizioni profonde, e avrebbe anche sostenute pubbliche tesi, se non
fosse avvenuta la morte del professore di dommatica, il rev.mo Marco Decotto, Canonico
della Metropolitana. Queste tesi riguardavano tutta la teologia, e certo che ne sarebbe uscito
con assai lode, perché nelle dispute teologiche non si lasciava superare da alcuno. I compagni
di quel polemico arringo dovevano essere due, scelti fra i più valenti studiosi della scienza
sacra; uno era Domenico Gualco, che poi divenne molto celebre, per le sue opere in difesa
della Religione, e morì l‟anno 1877 il dí 8 dicembre Canonico Prevosto a N. S. delle Vigne.
L‟altro era il nobile Gio. Batta Cattaneo, di cara memoria, che fu Rettore del Seminario
Arcivescovile, Canonico della Metropolitana ed Elemosiniere di Sua Maestà Carlo Alberto.
Con tal corredo di pietà e di scienza si preparò alle sue ordinazioni, ed egli ne lasciò una
memoria scritta in latino nell‟ultima pagina del suo calendario dell‟anno 1827.
Pertanto, egli vestí l‟abito chiericale l‟anno 1824 il giorno 2 di aprile, mentre faceva il primo
anno di teologia, e nello stesso anno il giorno 7 di giugno da Mons. Lambruschini
Arcivescovo di Genova ricevette la tonsura e i due primi ordini minori. Stette cosí chierico
per lo spazio di tre anni, non si saprebbe bene per quale ragione, ma forse perché allora
avvenne il trasferimento di Mons. Lambruschini a Nunzio Apostolico a Parigi. Quindi gli
altri ordini minori e sacri li ricevette in Savona l‟anno 1827 dal Vescovo di quella Diocesi,
che allora era Mons. Fr. Giuseppe Vincenzo Airenti. I due ordini minori, l‟esorcistato e
l‟accolitato il 25 di marzo, e al sabato Sitientes il 31 dello stesso mese fu promosso al sacro
ordine del suddiaconato. Il giorno 9 di giugno ricevette il diaconato e finalmente il 22
settembre fu ordinato sacerdote.
Cosí furono soddisfatti i suoi desideri, e la Chiesa genovese in quel giorno fece acquisto di
un sacerdote, che alle belle qualità della mente congiungeva un cuore ardente di zelo e di
amore di Dio e del prossimo. Poiché, quantunque, non vi fosse nulla forse in lui che presenti
dello straordinario, nondimeno la sua vita, specialmente dopo fatto sacerdote, fu sempre di
edificazione e di un raro esempio. Dio solo può sapere il bene che egli ha fatto nella oscurità
e nella modestia del suo vivere ritirato.
Quello che avvenne in lui quando fu promosso al presbiterato si può sentire da lui stesso. In
un manoscritto, che pare egli abbia voluto comporre per discolparsi, ammesso che ce ne fosse
stato bisogno, da certe accuse, che forse qualche incauto avrebbe potuto fargli per il suo
adoperarsi con zelo singolare a favore della Congregazione del Beato Leonardo, che venne
fondata da lui e dal rev.do Luigi Sturla di venerata memoria, dice chiaramente cosí:
“Provenisse da buono o da cattivo spirito (lascio che altri giudichi), appena fui ordinato
sacerdote s‟impossessò del mio cuore una brama forte di giovare, per quanto potessi nella
mia nullità, confidando unicamente nel divino aiuto, al giovine clero, e mi pareva che molto
si sarebbe potuto fare a suo pro”.
Dal che si può arguire quanta fiamma di zelo ardesse già fin d‟allora nel suo cuore. Poiché
non passò molto che egli diede mano alla Congregazione suddetta del B. Leonardo, la quale
aveva appunto per iscopo una speciale coltura dei Chierici. Nulla diremo intorno ad essa, né
delle persecuzioni che ha dovuto subire, né del bene incalcolabile che ha prodotto, poiché
queste sono cose a molti assai note, e si possono vedere nelle memorie che il Frassinetti ha
scritto intorno alla vita dello Sturla.
Osserveremo solamente come lo zelo per la gloria di Dio e il desiderio vivissimo della
salvezza delle anime che lo condusse agli ordini, non fu un ardore giovanile passeggiero, ma
fu uno zelo forte, costante, che lo fece tutto soffrire, tutto incontrare senza che mai
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retrocedesse di un passo o lamentare una sola volta per le molte vicende che dovette
incontrare.
CAPO III
PRINCIPII DEL SUO SACERDOZIO
VIEN PROMOSSO ALLA PREVOSTURA DI QUINTO
Appena fu ordinato Sacerdote si considerò come tutto di Dio; quindi lo prese un aborrimento
singolare per tutto ciò che sa di passatempo o di mondana ricreazione, e senza altro si accinse
alla santificazione del prossimo. Dato il suo nome alle benemerite Congregazioni dei
Missionarii Urbani, e dei Fransoniani vi lavorò indefessamente con un impegno
straordinario. Predicare, confessare, istruire nel Catechismo i giovinetti, erano cose che egli
faceva col massimo gusto, sempre pronto a correre dove maggiore scorgea il bisogno
dell‟opera sacerdotale. Basterà accennare che in una Missione che si fece nella Chiesa di N.
S. della Consolazione, allorché il giorno 9 ottobre del 1828 avvenne il terribile terremoto che
spaventò tutta Genova, egli nella domenica alla mattina per tempissimo entrato nel
confessionale degli uomini, tranne l‟ora della celebrazione della S. Messa, non ne uscí che ad
un‟ora dopo il mezzogiorno. Oltre a ciò, per tutti i quindici giorni che durò la Missione, nella
quale attese indefessamente a udire le confessioni degli uomini, si recava quando una e
quando due volte al giorno nelle carceri di sant‟Andrea, ove i detenuti spaventati
domandavano sacerdoti per confessarsi. Ed era appena un anno e dieci giorni da che era stato
ordinato sacerdote! Aiutò lo Sturla nell‟instituzione della sua Opera di S. Raffaele e di S.
Dorotea, con lui si impegnò per istabilirla nelle parrocchie della città; e fu cosí felice il
risultato che i giovinetti accolti per imparare il Catechismo si contarono a migliaia. Non è da
tacere come il rev.mo Canonico De Gregori, Rettore del Seminario e poi Canonico della
Metropolitana, spiegando il Catechismo nella chiesa di N. S. delle Vigne in occasione di una
Missione, volutolo con sé perché disimpegnasse la parte cosí detta da scolaro. Vi riuscí cosí
bene, che il De Gregori se ne fu molto compiaciuto soprattutto per la giustezza delle risposte
e per l‟unzione che traspariva dalle sue parole; onde poi lo invitò a fare in seminario la
spiegazione del Vangelo ai chierici interni ed esterni. In queste spiegazioni unite ad alcune
conferenze che si ritrovarono scritte per esteso, si vede la sua umiltà e quella fede viva che lo
animava in tutte le sue azioni. Sono cosí piene di sante massime e di profondi consigli, che
traggono soavemente l‟anima nel leggerle ed eccitano il cuore allo zelo per la gloria di Dio e
per la salute delle anime.
Ci si potrebbe chiedere, onde mai tanta esuberanza di celeste dottrina in un giovane
sacerdote? Certo dalla santità della sua vita, e da quello spirito di fervorosa orazione che egli
coltivò fin da secolare.
Egli si faceva tutto a tutti, e con bel modo e affabile giovialità ammoniva, correggeva gli
erranti; ed era bello il vederlo in mezzo ai giovinetti spezzar loro il pane della divina parola,
istruirli amorevolmente, sopportarne con una certa noncuranza i difetti. Stavano attenti alle
sue parole e quasi non gli si sapevano dispiccare dal fianco, tratti da quel suo fare lieto e
festivo che mostrava verso di essi. È questa la ragione per cui gli riusciva piú facile tenerli in
chiesa e farli accostare ai sacramenti; e questo gli stava grandemente a cuore. Né già si
riteneva pago di mandarveli, ma ottenne che molti di essi da lui stesso si confessassero; e
perciò non credeva male spese le lunghe ore che anche alla sera ben tarda impiegava in
quest‟opera di carità. Però si vuol notare che se egli soleva mostrarsi tutto affabile coi
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giovinetti, si asteneva tuttavia da ciò che potesse dare alcun sentore di soverchia famigliarità,
anzi si mostrava tutto acceso di santa indignazione e adoperò anche la sferza a castigarli
quando dicevano o facevano qualche atto che potesse in qualche modo offendere la virtú
della santa onestà. A questo modo riusciva a farsi conciliare quel rispetto che è dovuto al
sacro carattere, e li abituava ad usare un contegno modesto e cosí silenzioso, che a mala pena
e raramente si sentiva il cicalio di qualche giovinetto. Da questo si può argomentare quanta
industria fosse la sua, mentre si sa per esperienza come sia difficile tenere in silenzio le turbe
dei giovinetti che si recano alla dottrina. Quanto egli amasse di coltivare la gioventú si può
anche vedere dal libretto “Esercizi Spirituali” che egli stampò molti anni dopo ad uso dei
giovinetti. Ivi con facilità di eloquio, con sante industrie, con esempi tutti adatti allo scopo
non ad altro mira che a cattivarsi l‟attenzione di quelle tenere menti e ad instillare in quei
vergini cuori le massime fondamentali della Religione. E‟ un libretto piccolo di mole, ma
prezioso per ogni ragione, e fu lodato allora dalla Civiltà Cattolica. Non v‟è dubbio che
dettando questo libro fece un‟opera di grandissima utilità, al che egli unicamente mirava.
Prova ne sieno alcune considerazioni che frappone nella prefazione di questi Esercizi. Egli
dice: “Per chi ne ha l‟esperienza basterà un solo riflesso, affinché si persuada che gli esercizi
spirituali dati ai giovinetti hanno una singolare importanza e non possono mancare di una
particolare utilità: questo è, che all‟adolescenza non si parla quasi mai direttamente; le
prediche, le spiegazioni del Vangelo, i catechismi riguardano quasi esclusivamente gli adulti;
di modo che raramente i giovinetti ascoltano parola di Dio che si confaccia ai loro particolari
bisogni. Questa negli esercizi spirituali sarebbe parola di Dio esclusivamente per essi; quindi
sarebbe la più adattata a illuminarne la mente e a commuoverne il cuore”.
Questo zelo che egli mostrò fin dai primordi del suo sacerdozio per il bene della gioventú
non andò mai rallentando, e noi ne vedremo a suo luogo altre prove. Intanto la divina
Provvidenza lo destinava ad opere piú grandi; anime piú fortunate dovevano formare
l‟oggetto del suo zelo apostolico.
Era rimasta vacante la Parrocchia di S. Pietro di Quinto, perché il Prevosto Lertora era stato
eletto Canonico nella Collegiata di N. S. del Rimedio. II Frassinetti, essendo stato consigliato
ad attendervi, ne fece parola al Vicario Generale della Diocesi Mons. Lorenzo Biale,
Canonico della Metropolitana, e poi Vescovo di Ventimiglia, il quale tosto lo mandò colà in
qualità di Economo. Consigliatosi di nuovo, si presentò al concorso e fu eletto parroco a
preferenza di moltissimi concorrenti, sebbene piú attempati di lui. Appena eletto, conoscendo
il grave peso che si era addossato, disse francamente che egli non ebbe mai il desiderio di
essere parroco, ma che le circostanze vollero cosí e che accettò questo formidabile peso,
credendo che tale fosse la volontà del Signore.
Prese il possesso della sua chiesa privatamente, né diede alcun segno di gioia; fu visto invece
in quel giorno piú pensoso e taciturno del solito. Trovò la casa parrocchiale assai in cattivo
stato: un modesto restauro le sarebbe stato necessario, ma egli non ne fece caso; i suoi
pensieri erano rivolti ad altre cose. Procurò dapprima di mettersi in buona armonia col
vecchio cappellano dell‟Oratorio ed altri preti addetti al servizio della chiesa. Morto questo
vecchio cappellano, si impegnò fortemente di avere buoni e zelanti collaboratori, e volle che
convivessero insieme, e da essi non accettava che una ben tenue pensione. Scelse, come
dicemmo, buoni e zelanti collaboratori, e certamente il sacerdote Pietro Boccalandro fu tale.
Egli fu sacerdote di rara virtú, e di non ordinaria dottrina; chi lo conobbe, ce ne può far fede e
deplorare con noi la perdita che ne fece il clero di Genova l‟anno 1868 quattro mesi dopo la
morte del Frassinetti.
II Boccalandro, stimato e onorato generalmente dai parrocchiani di Quinto, ebbe la fortuna di
succedergli al governo della parrocchia; e dopo alquanti anni fu promosso alla rettorìa di S.
Marco in Genova, ove visse da parroco esemplare e morí da santo. L‟altro sacerdote ausiliare
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del Frassinetti fu il rev.do Figari, il quale poi ottenne l‟arcipretura di Nervi. Aiutato da questi
benemeriti sacerdoti, non è a dire il bene che egli promosse nel suo gregge.
La prima cosa che intraprese fu di prestarsi assiduamente a udire le confessioni; e in modo
particolare al sabato sera e alla domenica vi spendea lungo tempo senza mai stancarsi. Pare
alle volte, e propabilmente è cosí, che tra i cristiani piú in una parrocchia che in un‟altra vi
sia una quasi generale freddezza riguardo alla confessione; tuttavia, bene considerando, se il
confessore non si fa rincrescere e all‟esterno mostra un tal quale desiderio di amministrare
questo Sacramento, molti anche dei piú restii ci si recano facilmente, donde avviene che in
breve tempo in una popolazione si susciti una frequenza ai sacramenti, che forse non ci si
sarebbe aspettata. Questo avvenne nella parrocchia di Quinto; in poco tempo si vide il
confessionale del Frassinetti stipato di penitenti, cosicché si diceva comunemente che a
Quinto vi era sempre la Missione. Fin dal suo primo ingresso in questa parrocchia, volle
sapere se vi erano in carnevale feste da ballo; ed essendovene una, cominciò tosto a porre in
opera ogni mezzo per togliere tale usanza e gli scandali che ne conseguivano.
E‟ da sapere che quando egli volea ottenere una grazia, faceva qualche triduo in chiesa,
costume che tenne fino all‟ultimo della vita. Cominciò dunque un triduo a Nostra Signora
Addolorata, di cui era divotissimo, poi un altro alle Anime del Purgatorio, e il suo desiderio
fu soddisfatto.
Per tutto il tempo che stette a Quinto non si videro piú feste da ballo. Aveva con sé l‟unica
sua sorella di nome Paola, tuttora vivente; e questa l‟aiutò moltissimo nel promuovere la
divozione e la pietà nelle figlie della parrocchia col suo buon esempio, colla comunione
quotidiana e col suo zelo. Ogni domenica nelle ore pomeridiane, terminata la funzione in
chiesa, ne conduceva un drappello a spasso su per il monte detto Moro sottoposto a Fasce, ed
ivi cantavano lodi sacre, oppure essa leggeva loro alcuni tratti delle opere ascetiche di
sant‟Alfonso de' Liguori. Queste giovani, molte delle quali erano già sui 18 e sui 20 anni,
affezionatesi a lei, si lasciavano condurre ad ogni opera buona; lei approfittando di ciò,
cercava con bel modo d‟invogliarle al bene, all‟amor di Dio e anche alla coltura della
verginità. Vi riuscí cosí felicemente che molte di queste, datesi alla pietà, alla frequenza dei
sacramenti, stabilirono di abbandonare il mondo, dedicandosi totalmente a Dio nello stato
religioso. Ne fu oltremodo lieta la sorella Paola, essendo che questa era pure la sua
intenzione. Quindi di concerto col fratello Giuseppe pensò di formare un piccolo Istituto
religioso per le zitelle povere. Infatti le giovani suddette erano prive d‟ogni mezzo di fortuna,
e come tali era ben difficile che potessero chiudersi in un monastero. Il Frassinetti pertanto
insieme col rev.do Luigi Sturla e gli altri suoi piú intimi della Congregazione del B.
Leonardo tentarono l‟impresa, sperando che potesse riuscire a gloria a Dio e vantaggiosa alle
anime.
Consultarono allora il rev.do P. Bresciani della Compagnia di Gesú, rettore nella Casa di S.
Ambrogio: egli approvò il disegno e lo incoraggiò, facendosi a tal scopo molte preghiere. Il
prevosto estese una specie di Regolamento per la nuova Comunità, che quel padre,dopo
averlo letto, lo trovò assai adatto per quell‟opera incipiente. Si cominciò quindi a provare in
vari modi lo spirito delle giovani aspiranti, e dalle prove fatte parve che sarebbero riuscite
bene. Erano in numero di sette e crediamo opportuno riportarne i nomi: Paola Frassinetti che
era la superiora, Teresa Albino, Marianna Danero, Maddalena Oliva, Marianna Serra,
Maddalena Pitto, Maria Carbone. Presero una casa a pigione, della cappellania Fravega, per
l‟annuo fitto di lire 120, volendo pagare il primo semestre il suddetto P. Bresciani. Premesse
molte preghiere, fecero il loro ingresso ai 12 di agosto del 1834 giorno di S. Chiara, che si
avevano scelto a loro singolare protettrice.
Nell‟anno seguente 1835, venuto in Quinto il rev.mo Luca de‟ Conti Passi, fondatore della
pia Opera di S. Raffaele e di S. Dorotea, visitò la nascente comunità, e, parendogli di trovare
queste zitelle molto mortificate, credette di poter servirsi di loro come di primi elementi per
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la fondazione dell‟Istituto Regolare di S. Dorotea che stava progettando. Fatta la proposta,
esse vi accondiscesero, come pure i membri della Congregazione del B. Leonardo che
avevano cura della detta opera. Trasferitesi in Genova, presero il nome di Istituto delle Figlie
di S. Dorotea. Ebbero quindi un decreto di approvazione da Sua Eminenza il Cardinale
Arcivescovo Tadini.
La superiora suor Paola Frassinetti fin dall‟anno 1841 passò a fondare le prime case di Roma,
poi di Macerata e Fabriano; ed essa si fermò in Roma, dove sta tuttora, e ove ebbe dal S.
Padre Pio IX l‟approvazione delle Regole del suo Instituto l‟anno 1863. Ora questo Istituto è
fiorente ed è esteso in Italia, in Ispagna, ed in America.
Abbiam voluto dar cenno di questo Istituto perché si veda l‟istancabile zelo del Frassinetti, il
quale, sebbene dell‟età di 28 anni, cercava e studiava ogni mezzo per riuscire alla
santificazione delle anime, adoperando in ciò tutta la energia e la possibile sollecitudine. È
vero che nell‟opera suddetta ebbero parte molti altri, come facilmente si scorge dal fin qui
detto; tuttavia egli non vi ebbe la minore, perché sempre si adoperò per la sua regolare
organizzazione e il suo ampliamento.
Abbiamo detto più sopra che egli si era impegnato grandemente per estirpare dal suo gregge
la pericolosa abitudine dei balli, che sono le più terribili occasioni di peccato per la gioventú.
Ora un altro male gli premeva di togliere, che lo affliggeva assai. Era il costume che i ragazzi
si andassero a bagnare la maggior parte totalmente nudi: in estate se ne vedeva un numero
assai grande tutti i giorni infallibilmente. Era tanto inveterata quell‟abitudine, che parea
difficilissimo il potervi rimediare. Egli cominciò a predicare, ad esortare i genitori che
impedissero quello scandalo, rimproverò, promise, minacciò, nulla lasciò d‟intentato per
correggere quella prava consuetudine. Comandò ad alcuni giovani più giudiziosi che gli
dicessero i nomi di coloro che avessero disubbidito, e per molti giorni in estate si portava
anche sul mezzodí alla riva del mare, e se vedeva qualcuno nudo lo minacciava fin col
bastone. In breve, tanto disse e fece che riuscí a far cessare quello scandalo; e d‟allora in poi
si vedeano gli stessi fanciulletti andare a fare il bagno con il loro fagotto di piccole mutande
per ricoprirsi.
Nel 1835, quando il colera invase le nostre contrade, infierí anche nella parrocchia di Quinto,
e mieté numerose vittime. II Frassinetti senza indugio si recava da tutti gli ammalati, volava
dappertutto, là dove era maggiore era il bisogno; e si valse a questo fine dei padri
Cappuccini, coi quali visse sempre in buona armonia; e diceva che questa buona armonia gli
era necessaria per fare il bene. Gli dispiacevano fortemente i litigi; perciò si adoperò sempre
per farli cessare appena sorti; e tante volte, dove poteva, cedeva pure allegramente. A tal fine
si prese in canonica il cappellano dell‟Oratorio e della chiesa, col quale usava i modi più
cortesi e gentili.
Gli stava a cuore che i suoi parrocchiani ascoltassero alle feste la divina parola; quindi non
tralasciava mai di inculcar loro questo dovere. Vedendo che alla messa ultima, che si
celebrava alle ore 11, accorrevano molte persone specialmente uomini, volle tener loro una
breve spiegazione sul Vangelo corrente, perché non restassero cosí digiuni della parola di
Dio. La qual cosa, per quanto si poté conoscere, non dispiacque ad alcuno, perché il suo dire
breve ed affettuoso fu ad essi un incentivo ad udirla volentieri. Nel tempo del catechismo vi
aveva la mala consuetudine che non pochi uomini restavano seduti sulla piazza fino al
momento della benedizione. Tentò ogni via per correggere un simile abuso, e in poche
domeniche si vide che la parola del pastore era ascoltata e messa in pratica. Nondimeno vi
erano alcuni più restii, ai quali non giovarono le sue paterne ammonizioni. Che fece egli?
Prima del catechismo volle recitare tre Pater ed Ave ad alta voce per tutti coloro che stavano
sulla piazza, e questo fece per alcune domeniche; onde essi, vergognandosi di sentire che il
prevosto pregava per loro, si corressero e cosí fu tolto del tutto quell‟abuso.
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Sapeva bene il frutto che portano nelle parrocchie le Missioni; quindi v‟invitò i Missionari
Suburbani, e l‟esito non fu minore di quello che si aspettava; vi produsse un frutto
maraviglioso; di che egli era contento quant‟altri mai e ne lodava Iddio. Non si saprebbe bene
come spiegarla; ma il fatto è che in poco tempo e con felicissimi risultati riuscí ad impiantare
colà varie Congregazioni. Vi stabilí per la gioventú la Congregazione di S. Luigi, il Culto
perpetuo del SS. Sacramento e il Carnevale Santificato.
II suo zelo però non era ancora pago; quindi dando uno sguardo ai suoi confratelli nel
sacerdozio, consigliatosi prima, come sempre faceva in tutte le cose che desiderava
intraprendere, e invocato il divino aiuto, volle parlare ad essi, come un fratello parlerebbe al
fratello, volle con essi dividere le sue speranze, la sua gioia, il suo zelo, i suoi timori. Perciò
diede la prima volta alle stampe un fascicoletto intitolato: Riflessioni proposte agli
ecclesiastici, le quali, se si vogliano bene considerare, presentano al clero utili
ammaestramenti. Quando le diede alla luce, molti le lodarono, altri, sebben pochi, le
criticarono. Si parlò allora contro di lui, ed egli ebbe forti disgusti; protestò contro le accuse
che gli erano fatte, quantunque forse non ve ne fosse tutto il bisogno; del resto perdonò
generalmente ogni ingiuria. E l‟ingiuria era grave davvero, perché si arrivò da certi illusi a
mandarne copia a Roma per mezzo di un ecclesiastico, che si era portato colà, il quale fu cosí
gonzo, che non vedendo uscire il decreto della condanna, interrogò uno dei membri della
Congregazíone dell‟Indice sull‟esito dell‟esame dell‟operetta, e si sentí rispondere
scherzosamente: Se l’autore delle Riflessioni si porterà a Roma, facilmente sarà fatto
Vescovo.
Per vedere che l‟opuscolo del Frassinetti, dato da lui alle stampe per consiglio di uomini dotti
ed illuminati, non era poi quella cosa perversa, che si sussurrò da quei pochi prevenuti, ci
piace qui riportarne un breve tratto, riservandoci di riferirne altri secondo l‟opportunità: “Noi,
miei fratelli, dobbiamo serbarci cosí integerrimi e irreprensibili, che nemmeno il livore e
l‟invidia trovino che rimproverarci. L‟integrità della Sposa di Cristo, per cui combattiamo,
deve essere la nostra divisa, il suo candore deve essere il nostro; ma osserviamo, o fratelli,
che quantunque elevati da Dio alla sorte altissima del santo ministero, siamo pur sempre
uomini, e perciò proclivi al mal costume, come anche restii alla morigeratezza; non crediamo
che basti integrità di vita per ottenerla. Dobbiamo usar gran cautela nella custodia del nostro
cuore, e non solo chiudere l‟ingresso al delitto, ma anche ad ogni solletico del medesimo.
Certe cose, per quanto sieno innocenti, vi è gran pericolo che ci ammolliscano e ci
dispongano alle più deplorabili debolezze. Uno sguardo ozioso, una inutile conversazione, un
affettuccio spirituale si devono da noi temere, da noi che nel molteplice esercizio del
ministero, non saremo sicuri mai, se a simili cose non facciamo cuor di bronzo. Che male
c‟è? Che male c‟è? Sentesi dire: vedrete che male sarà, quando vi troverete invischiati in
quella pania, da cui difficilmente un uomo esce, e molto piú difficilmente un ecclesiastico. Se
vi è cosa di cui dobbiamo ricordarci di aver rinunziato con più fermezza ella è il piacere: ogni
volta che a noi si presenta dobbiamo rinunziarvi con risoluzione e dispetto; meno ci debbono
atterrire i più atroci tormenti, che il solletico del piacere, anche se in se stesso non è male. Oh
la celeste virtú, di cui l‟eccelso nostro stato vuole che risplendiamo! Vi sono, è vero, delle
virtú piú grandi, ma essa è la piú bella, la piú stupenda, forma la gemma del santo amore.
Sono da Dio prediletti qui in terra i fortunati che la posseggono, e saranno distinti in cielo.
Ah dunque, fratelli miei, procuriamoci un grande amore per sí cara virtú; quest‟amore sia
tenero ed appassionato, che tutto risenta, e tutto noti ciò che la possa in qualche modo ferire;
quest‟amore sia forte, ed ogni giorno nuovamente giurato, affinché non resti superato e vinto
mai piú. In tal modo mentre i nemici della casta Sposa di Cristo vanno furiosamente calcando
nel fango i gigli del campo di lei, noi ne faremo sorgere dei più belli, e sapremo formarci
intorno siepi sí forti, che la loro delicatezza da ogni offesa sarà sicura. Questi gigli
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dilettissimi al cielo faranno scendere piú abbondanti le divine rugiade su tutti gli altri fiori del
campo, e questo addiverrà ognor piú vago e fecondo” (Vedi Riflessioni, pag. 11).
Questo è un parlare da angelo, e che rivela il candore di quell‟anima, che si mostrò sempre
innamorata al sommo della piú bella fra le virtú, che poi inserí con l‟esempio, e con gli scritti
in tanti cuori. Virtú che, se nobilita coloro che gelosamente la custodiscono, molto piú
nobilita e rende stimato anche dai suoi nemici il sacerdote che la possiede.
Poi stampò il “Catechismo dogmatico”, il quale fu subito cercato e letto con piacere. Ivi tratta
delle ardue materie della dommatica con una mirabile precisione e con tale chiarezza, che
anche una persona non avvezza alle disputazioni teologiche lo può leggere senza grave
difficoltà. Il rev.mo Can. Bolasco, già professore di teologia nel nostro seminario
arcivescovile, parlando di questo compendio, soleva dire che, sebbene piccolo, è tuttavia un
gran libro.
Amiamo notificare il motivo che lo indusse a pubblicare detto libro; e lo manifesta egli stesso
nella prefazione, ove dice: “Io pubblico questo compendio specialmente in servizio dei
Chierici, che istruiscono i fanciulli nella dottrina cristiana senza avere ancora percorso tutti i
trattati della teologia dogmatica. Ho tuttavia anche di mira il vantaggio delle persone
secolari, nelle quali mancano alle volte certe cognizioni, perché non si trovano cosí
facilmente nei libri che hanno tra le mani, cognizioni singolarmente importanti oggigiorno
per gli errori che si vanno spargendo nel popolo con tanta temerità...”. Conclude dicendo:
“Mi protesto di sottomettere ogni mia proposizione e parola al giudizio della S. Romana
Chiesa, di cui mi glorio di essere ubbidientissimo figlio, e i cui interessi nella mia tenuità
vorrei promuovere finché io viva”. Inoltre scrisse e stampò le “Osservazioni sopra gli studi
ecclesiastici proposte ai Chierici” che contengono eccellenti avvisi per tutti coloro che sì
avviano alla carriera ecclesiastica.
Si vede da ciò che egli dovea certamente far buon uso del tempo, e davvero che mai non ne
perdé bricciolo, né volle mai prendere parte a divertimento alcuno. Si ricreava col passare da
una cosa all‟altra; stanco di studiare, si mettea a scrivere, quindi a leggere. Questa era la sua
vita ordinaria, che però interrompeva subito se il dovere di parroco lo chiamava ad occuparsi
di altre cose. Impegnato in tante attività, nondimeno trovò tempo per insegnare ad un giovane
la lingua latina e la filosofia, finché non si fece religioso cappuccino; trovò tempo ancora a
istruire una donna attempata, sorda muta, della parrocchia di Nervi. Costei non aveva mai
ricevuto i sacramenti; egli fece tanto, e con un nuovo metodo di istruzione per i sordo-muti
da lui inventato, riuscí a farle conoscere le cose necessarie a sapersi per la confessione e
comunione. E fu coronata la sua pazienza, perché ella poté finalmente essere ammessa ai
sacramenti con grande suo giubilo e consolazione del parroco. E‟ superfluo il dire che si era
attirato la benevolenza e la stima dei suoi parrocchiani, cosicché di lui parlavano con
riverenza, ed ebbero a fare le piú grandi lagnanze, quando seppero che dovea abbandonarli.
CAPO IV
È ELETTO PRIORE DI SANTA SABINA
SUE PRIME CURE
Tanto zelo per la divina gloria e tanta conoscenza dei doveri pastorali che dimostrò negli otto
anni che resse la parrocchia di Quinto gli meritarono la stima e affetto dei suoi parrocchiani.
Ne godea nel profondo dell‟animo, perché in tal modo poteva facilmente operare fra essi un
gran bene; ma Iddio lo aveva destinato a opere e travagli maggiori. L‟anno 1839 era passato
agli eterni riposi il rev.mo Balbi, Priore di S. Sabina, che per otto anni aveva governata con
saggezza e prudenza quella parrocchia. Ora alcuni amici del Frassinetti prevedendo che
avrebbe fatto maggior bene qualora si fosse stabilito in Genova, lo consigliarono, anzi si può
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dire che gli comandarono di presentarsi al concorso. Egli che amava di piú fare la volontà
altrui, che la propria, acconsentí, si presentò al concorso, ed ebbe subito lode dell‟esame. Fu
dunque eletto Priore di detta chiesa, e il 31 maggio di quell‟anno 1839 prese possesso della
nuova Parrocchia. Lo addolorò profondamente che il tempio del Signore fosse privo di un
conveniente restauro. Le pareti parevano affumicate, in molte parti guaste, le cappelle
mancavano dei convenienti cancelli di marmo. Se ne lamentò coi suoi fratelli sacerdoti che
condusse colà al servizio della chiesa, e anche col padre che fu sempre con lui sino all‟anno
1853, quando cessò di vivere. Subito pose mano a un modesto restauro togliendo via
l‟umidità, che non era superficiale; provvide alcuni arredi tra i piú necessari, e tolse via gli
indecenti. Tuttavia non si contentò di questo: quindi nel 1846 deliberò di abbellire la chiesa
in modo piú conveniente e piú bello. Raccomandatosi di cuore a Dio e alla Vergine,
cominciò dal pulpito ad esortare i fedeli a fare la carità, aprí sottoscrizioni, salí per piú giorni
le scale dei ricchi e dei meno agiati. Visto il suo zelo, e conosciuto da tuttí il suo disinteresse,
che nulla mai chiese per sé, ben presto gli mandarono le loro offerte. L‟illustre marchese
Serra, uomo di straordinaria munificenza, gli diede cospicue somme di denaro; e poi vedendo
l‟impegno, la sollecitudine instancabile del Priore per rialzare la chiesa e fornirla della
necessaria suppellettile, la provvide egli stesso di preziosi arredi, e da quel punto fino alla
morte non cessò piú di mandargli offerte sia per la chiesa come per i poveri. Non è a dire
quanto il Frassinetti ne andasse lieto; quindi per dare a tutti i benefattori un segno della sua
gratitudine, diede alle stampe la vita della santa titolare, dedicandola con parole d‟encomio e
di sincero ringraziamento agli stessi benefattori. Intitolò cosí la sua operetta: “Santa Sabina
martire. Narrazione”. È una narrazione completa degli atti di questa santa, ed è scritta anzi
che no colle grazie di uno stile leggiadro e colto e con analoghe riflessioni. Nelle ultime
pagine dà varie notizie assai rilevanti sulla medesima chiesa.
Provvisto cosí al decoro materiale della casa del Signore, egli volse tutto l‟impegno al bene
spirituale dei suoi parrocchiani. Aveva veduto nei primi giorni del suo ingresso poca
frequenza ai sacramenti ed alla predicazione della divina parola. Perciò anche qui, come a
Quinto, si dedicò cosí al confessionale, che vi fu assiduo al mattino per tempo e alla sera.
Quanto alla divina parola egli fece sí che fosse dispensata colla maggiore frequenza. Pochi
erano davvero sul principio gli uditori ma poi si moltiplicarono tanto negli anni appresso, che
tante volte la chiesa non bastava al numeroso concorso.
Nulla fin‟ora abbiamo detto intorno alla sua predicazione; sarà bene dirne qualche cosa e
ricordare ciò che anche adesso da molti si ricorda. Egli amava di essere breve; diceva che
questo è uno dei mezzi piú sicuri per attrarre ad udirla coloro che assai facilmente se ne
annoiano. Quindi nelle spiegazioni del Vangelo non oltrepassava mai la mezz‟ora o i 25
minutí. Eppure vi faceva molte riflessioni, amava parlare alla gente piú divota e solo
indirettamente combattea il vizio e gli errori contro la fede. Per questo rispetto che egli aveva
per l‟uditorio era ascoltato volentieri e si guadagnò molto concorso di popolo. II suo stile era
semplice, non del tutto disadorno e sempre didascalico; quello però che piú attirava
l‟attenzione era il fervore del suo dire, l‟energia del favellare, la profondità della dottrina e
soprattutto quella celeste unzione che trae l‟anima e ne piega al bene la volontà.
Era caso ben raro che egli predicasse senza aver prima scritto una traccia qualunque, e di
queste traccie alcune più copiose ed altre meno se ne ritrovarono un gran numero. Due corsi
di spiegazioni, molti discorsi trattati variamente, quaresimali, esercizi, fervorini, novene,
catechismi, cosicché pare impossibile che un uomo occupatissimo come lui potesse trovar
tempo a scrivere tante cose.
CAPO V
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SUOI DISGUSTI, PAZIENZA E CONSOLAZIONI
La virtú posta al cimento delle tribolazioni piglia forza e robustezza maggiore, e quindi
mirabilmente si perfeziona: Virtus in infirmitate perficitur, (2 Cor. 12,9) disse l‟Apostolo; e
questo apparve sempre vero in tutti coloro che diedero di sé luminosi esempi di cristiana
virtú; oppressi, angustiati, perseguitati stettero fermi nel bene, ed anzi dalla stessa
tribolazione presero lena a camminare con piú coraggio la via della verità e della giustizia.
Un tal fatto si vide nel nostro Priore negli anni tempestosi del 1848 e 49. II popolo ebbro di
stolta allegrezza canterellava per le vie: Giorni piú belli ci giova sperar; ed egli addolorato,
quei giorni li solea chiamare giorni del demonio e ripeteva quelle parole del Salvatore: Haec
est hora vestra et potestas tenebrarum. (Lc 22. 53): Questa è la vostra ora e la potestà delle
tenebre d‟abisso che signoreggia. “Ecco, diceva, il bel regalo della rivoluzione: cade tutto,
rovina tutto”. I nembi che minacciavano già da gran tempo la benemerita Compagnia di
Gesú, allora gli si rovesciarono addosso; quindi i Gesuiti di Genova furono costretti ad
esulare, scacciati a viva forza dal florido collegio del Palazzo Tursi, e dalla casa degli
Esercizi in Carignano, e da Sant‟Ambrogio ove uffiziavano quella chiesa con il massimo
splendore del culto e con incalcolabile frutto delle anime. In quella persecuzione dei figli di
sant‟Ignazio furono compresi ancora tutti quanti avevano il loro stile nell‟esercizio del sacro
ministero, che vuol dire quei sacerdoti che mostravano virtú e zelo singolare per la gloria di
Dio e la salvezza delle anime e un grande attaccamento e riverenza al Romano Pontefice. II
Frassinetti certamente non era degli ultimi in questo particolare. Il suo zelo forte e vivo come
l‟amore di Dio che gli ardeva in petto nulla gli faceva tralasciare che potesse in qualche
modo essere giovevole al bene delle anime: tridui, novene, esercizi spirituali, frequenti
comunioni, di guisa che, fatto bene il calcolo, nella sua non vasta chiesa si ebbero a fare ogni
anno diciassette e alcuna volta fin diciotto mila comunioni. E poi la divozione a S. Filomena,
il mese mariano che già da molti anni si faceva nella sua chiesa erano un frutto del suo zelo
singolare; ma erano anche divozioni gesuitiche, e perciò fu preso di mira e gli fu gridato
l‟allarme.
Del suo attaccamento al Soglio Pontificio già abbiamo detto qualche cosa, ma ci resta da dire
anche di piú quando ci si presenterà l‟occasione. Frattanto gioverà qui riportare alcuni tratti
delle Riflessioni, dove si vedrà quanto tale attaccamento in lui fosse grande, cosicché anche
per questo fosse preso di mira dai agitatori di piazza di quel tempo. Dopo aver mostrato come
i nemici della Chiesa rivolgano le loro ire contro Roma, ben sapendo che essa è il centro, o
come si spiega egli stesso, il cuore della Cattolica Unione, arriva a fare questa
raccomandazione: “O miei fratelli, come è grande l‟odio dei nostri nemici contro Roma,
altrettanto sia grande il nostro amore per lei. Ella è il cuore del cristianesimo; noi suoi
membri non possiamo vivere che del suo Sangue: apprezziamo, difendiamo il nostro cuore.
La nostra credenza sia la Romana, le pratiche Romane sieno le nostre pratiche, il nome di cui
piú andiamo gloriosi sia di Romani”. Cosí alla pagina 27 delle Riflessioni. Quindi alla pagina
31, cosí prosegue: “Noi, miei fratelli, consideriamo che è in Roma il Successor di quel Pietro,
sopra cui Cristo fondò la sua Chiesa; è in Roma l‟immobile colonna della Cattolica Verità; è
Roma che fin‟ora la vinse, e sempre la vincerà sopra tutti gli errori; dican pure i nemici ciò
che vogliono, bisogna volgersi colà per veder vera luce. Ella è la Gerusalemme del nuovo
Israello: le genti debbono camminare al suo splendore, come prediceva Isaia. In lei è
l‟inespugnabile torre di David, da cui pendono mille scudi d‟oro, e tutta l‟armatura dei veri
forti: in lei è la Santa Sionne ove bisogna ascendere per trovare l‟ingresso del Tabernacolo
eterno. Oh Vaticano, a te mi prostro, e bacio, adorandoti, le sante tue falde”.
Queste chiare parole non hanno bisogno di commenti; ognuno può scorgere facilmente
quanto fosse il suo rispetto, la sua riverenza per le Somme Chiavi. Quindi, come si disse, fu
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preso di mira, e le cose andarono tant‟oltre che fu obbligato ad esulare dalla parrocchia.
Dapprima si rifugiò in casa di un suo zio ove stette circa un mese; ma non cessando mai quei
politici rivolgimenti, e continuando gli schiamazzi contro i Gesuiti, abbandonò la città e si
diresse verso la Polcevera in una casa di villeggiatura situata a S. Cipriano presso un suo
confidente amico, che fu il Priore del Carmine Gerolamo Campanella, di cara e venerata
memoria. Ivi accettò di abitare per quattordici mesi, nascosto sempre e conosciuto sotto íl
nome di Prete Viale, cioè con il cognome di sua madre. Cosí rilegato non si diede però a
sfogarsi in vani lamenti né volle consolazione al dolore che lo affliggea per vedersi lontano
dall‟amato gregge. Egli prima di partire aveva ben istruiti i due sacerdoti suoi fratelli sul da
farsi in quelle circostanze, e tuttavia non cessava di spedir loro consigli e schiarímenti
opportuni. Intanto cominciò ad ammaestrare uomini e fanciulli nella dottrina cristiana; li
raccogliea nella cappella annessa a quella abitazione e si studiava di esercitare con loro il suo
zelo, con il predicare, con il farli pregare in comune, nulla tralasciando di ciò che poteva fare
di bene in quelle angustie.
Numerose lettere di partecipazione al suo dolore spedivano colà i suoi amici; ed egli a tutti
rispondeva con parole di allegrezza e con tali sensi di pietà che rivelavano la grandezza della
sua rassegnazione al volere divino. Non lasciò di consolare anche i fratelli, e loro indirizzò
varie lettere di conforto; ne è rimasta una, da cui ricaveremo alcuni sentimenti, che provano
quanto si è detto della sua rassegnazione. Prima di tutto egli dice: “Il mio allontanamento,
sono persuaso, fu per il mio bene; se succederà il vostro, lo sarà egualmente”. Quindi dopo
poche altre parole cosí prosegue: “Ciò che adesso voglio scrivervi è che non vi lasciate
sopraffare dal timore, il quale potrebbe farvi dimenticare il quaerite ergo primum Regnum
Dei. (Mat 6. 33). Troppo chiaro si vede negli odierni avvenimenti il digitus Dei, e che non est
alius qui pugnet pro nobis. (Es 2, 19). Perciò sarà vana tutta l‟umana prudenza, anzi se sarà
eccessiva avrà cattivi effetti... Io vi compatisco perché in tanta parte avete ragione di temere
di tutto; ma d‟altronde non potete avere altro aiuto se non dalla fede in Dio; pregate dunque,
fate pregare, che non c'è altro mezzo. Cosí facendo siamo sicuri che in qualunque modo
vadano le cose andranno sempre per il nostro meglio, e ciò deve bastare per consolarci
compitamente. Quanti migliori di noi sono afflitti piú di quello che finora siamo noi! Per
l‟avvenire sarà ciò che il Signore avrà destinato, e ora è tempo di fare ciò che tante volte
abbiamo predicato agli altri, uniformarci alla volontà di Dio. Fede dunque, che questa basta a
tutto, e non paura che non giova a nulla, e anzi rovina tante cose. Mi rincresce che queste
cose affliggeranno molto nostro padre, ma bisogna che anch‟egli si faccia dei meriti per
questa via. Io spero che tutti poi saremo consolati: ora però non possiamo cercare altra
consolazione se non nell‟uniformarci alla Divina Volontà. Io sto bene... Addio, ma
ricordatevi sempre: Oculi mei semper ad Dominum, quoniam ipse evellet de laqueo pedes
meos”. (Sal 24, 15).
Questo è il linguaggio dei Santi, la virtú dei quali allora appare piú grande, quando è posta
nel crogiuolo della tribolazione.
Fra le molte lettere che di là indirizzò ai suoi fratelli e conoscenti ne riporteremo due scritte
da lui ad una piissima Signora. Ecco la prima:
“Ill.ma Signora,
mi scrive mio fratello: la Signora non ricusa di accettare il gravoso titolo offertole di Priora
della Chiesa sebbene abbia già una simile incombenza per la chiesa di San Sisto la qual cosa
mentre sono in dovere di attestare a V. S. Ill.ma i sentimenti della mia gratitudine, devo
rimproverare la mia pusillanimità che non ardiva offrirle un incarico perché credeva alquanto
gravoso, supponendo tuttavia che non ne avesse già uno consimile.
Io dunque la ringrazio, come è mio dovere, di questa carità che fa a questa chiesa, che si
pregia di averla conservata a parrocchiana; ma intendo bene che Ella si aspetta altro di
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meglio che i miei ringraziamenti; ciò che Ella si aspetta è la retribuzione del Signore, e
questa non le mancherà nella presente, ed in specie nella futura vita.
Io per la grazia di Dio in queste vicende sono sempre stato bene, e il Signore ha usato alla
mia debolezza singolari riguardi, come li usa al presente, concedendomi di essere in luogo
molto tranquillo, con ottima compagnia, dove posso trovarmi forzato a far un po‟ di bene per
l‟anima mia. lo non avrei creduto che questo tempo che si dice di tribolazione dovesse essere
come fin‟ora il fu, il piú felíce della mia vita; ciò che mi rincresce è che non me ne
approfitto, quanto sarebbe conveniente, e questa è verità.
Ella si faccia gran cuore, che il Signore non permette i mali, se non per ricavarne maggior
bene. Iddio è pieno di gloria, diceva S. Francesco d‟Assisi, e da tutto riceve gloria; anche i
nemici suoi, sebbene non volendo, concorrono alla sua gloria: in parte lo vedremo in questa
vita, se Dio ci riserba per la fine di questo gioco, appieno lo vedremo nell‟altra vita, dove si
conosceranno tutti i secreti della Divina Sapienza. Questo è tempo nel quale più del solito si
devono fare dei santi, dei santi occulti che risplendano nel segreto del suo Divin Volto, e
anche dei santi palesi, che ravvivino la fede dei popoli; preghiamo il Signore che ne mandi
molti a sua maggior gloria, e per l‟esaltazione della S. Fede, che poi a Lui non costan nulla. È
vero che si oppongono i nostri peccati, ma consideri le sue infinite misericordie.
Mi raccomando caldamente alle sue orazioni, e con tutta stima e rispetto sono di
V. S. Ill.ma
Umil.mo Dev.mo Serv.re
Giuseppe Frassinetti Priore
S. Cipriano 18 Luglio 1848
L'altra del 19 Dicembre dello stesso anno è del tenore seguente:
“Ill.ma Signora N.,
eccoci a giorni nei quali possiamo sperare speciali consolazioni dal Dio di ogni consolazione;
siamo a tempi nei quali non possiamo desiderarne delle temporali, perché sono tempi di
prova. Speriamo dunque le consolazioni spirituali, che in sostanza sono le vere, e quelle che
possono veramente addolcire tutte le amarezze del mondo. Agli eletti di Dio ogni cosa
ridonda in bene; noi siccome dobbiamo sperare fermamente di essere in quel beato numero,
dobbiamo anche sperare con fermezza che ridonderanno in nostro vantaggio tutte le
contrarietà che soffriamo in questa vita. Preghiamo dunque e confidiamo che Dio ci consoli
spiritualmente, quando poi a Lui piacerà, e sarà per il nostro meglio; anche temporalmente
saprà consolarci, perché tutte le cose sono in sua mano, e non vi è nulla che possa resistere al
suo volere.
Io poi la ringrazio di quanto fa, anche fuori del previsto, mi permetta che mí esprima cosí, per
la mia chiesa, ma non mi diffondo in parole, perché capisco che Ella mira piú in alto che ai
sensi della mia gratitudine. Io farò sempre il mio dovere di pregare per Lei, e confido che
anch‟ella si ricorderà di me.
Per la grazia di Dio godo sempre buona salute e l‟ottima compagnia che Ella sa (il Priore del
Carmine Gerolamo Campanella, nascostosi anch‟egli alle ire del rivoluzionari di quel tempo
ndr); andando cosí a lungo questa strana villeggiatura, il Signore non ha voluto che me la
dovessi godere solo e romito, ma col migliore compagno che potessi desiderare. II Signore
sia benedetto di tutto. Io prego il Signore che voglia rallegrarla con tutte le sue benedizioni
anche singolari in queste prossime feste, e lo stesso fa il mio compagno che m‟impone di
riverirla distintamente.
Con tutta stima e rispetto mi raffermo di
17
V. S. Ill.ma
Umil.mo Obb.mo Serv.re
Giuseppe Frassinetti Priore”.
II lettore ci darà ragione di aver pubblicate queste due lettere, che sono un‟evidente
dimostrazione della sua pietà e di quella fermezza di animo, che gli fece superare le tante
tribolazioni suscitategli contro in quei giorni funesti.
E qui notiamo di passaggio che nel 1847, avendo Pio IX esortato i fedeli a fare speciali
preghiere per la Chiesa, egli tosto dettò un librettino di belle orazioni, cioè una Novena pei
bisogni di S. Chiesa; la propagò nella parrocchia e fuori, cosicché se ne fecero migliaia di
copie.
Egli era uomo di preghiera, e si vide che in tutto quel tempo che stette nascosto a S. Cipriano,
attese con ispeciale fervore all‟orazione. Né si contentava di pregare egli solo, ma invitava
altri pure a fare lo stesso, e sappiamo che di là raccomandava ad alcune persone della sua
parrocchia varie maniere di devote orazioni per la cessazione dei tanti mali che affliggevano
la Chiesa. Il che si pare manifesto da un‟altra lettera che diresse ad una sua parrocchiana:
“Carissima in Gesù Cristo,
si legge nel capitolo 101 della Vita dì S. Maria Maddalena de Pazzi, che il Signore piú volte
le fece intendere quanto gli era cosa grata il trovare anime, che preghino per placare l‟ira sua;
che però anche piú volte si lamentò con questa santa, che queste anime sono molto scarse. Le
insegnò frattanto il modo in cui le anime avrebbero potuto placare il suo sdegno; cioè con
offerirgli il Sangue del Verbo Incarnato. Dunque vuol dire che l‟offerta del Sangue di Gesú
Cristo fatta all‟Eterno Padre è un mezzo efficacissimo per placare il suo sdegno quando è
irritato per i nostri peccati, come è certamente adesso.
Alla pagina 7 del libretto delle orazioni al Sangue Prezioso ricavate in gran parte dalle estasi
di S. Maria Maddalena de Pazzi c‟è quella giaculatoria: “ Eterno Padre, io vi offro il Sangue
di Gesú Cristo in isconto deí miei peccati, e pei bisogni di S. Chiesa”. A cui il Pontefice ha
conceduto cento giorni d‟indulgenza per ogni volta che si dice, applicabile alle anime del
Purgatorio.
Insieme al mio compagno ho pensato che a questi tempi se ne potrebbe formare un rosario di
quindici decine, come quello della Madonna, recitando questa giaculatoria cento cinquanta
volte, mettendo ogni decina, quando nella corona si trova il Pater noster, la giaculatoria: Sia
lodato Gesú Cristo.
Questo rosario intiero si dice in un quarto d‟ora, e si guadagnano quindici mila giorni
d‟indulgenza. Chi non avesse tempo ne potrebbe recitare la terza parte, e ne guadagnerebbe
cinque mila giorni, applicandolo per le anime del Purgatorio: vedete quale bel suffragio: e
quelle sante anime pregherebbero pei presenti bisogni. Se insegnaste questa divozione alle
anime buone che conoscete, dareste gran gusto a Dio, cooperereste a placare il suo sdegno, e
procurereste alle anime del Purgatorio dei milioni di giorni d‟indulgenza.
Vi mando tre dozzine di queste giaculatorie per quelle anime che non la sapessero. Mi pare
che il Signore vi inspirerà che coltiviate questa divozione cosí facile, e di tanto vantaggio per
la Chiesa militante, e per la Chiesa purgante, e che sarà insieme di molta gloria alla Chiesa
trionfante, perché tante offerte del Sangue di Cristo rallegreranno il paradiso, otterranno a noi
le divine misericordie, che consoleranno la Chiesa tanto afflitta, e le anime del Purgatorio
avranno il suffragio di tante indulgenze. Trovandosi adesso tanto oppresso il Sommo
Pontefice e raminghi tutti i Cardinali di S. Chiesa, vedete bene che ogni anima che abbia un
poco di amor di Dio deve fare quanto può perché il Signore provveda.
Questo mio scritto lo potrete far vedere alla Signora..., a sua sorella perché promulghino
questa divozione.
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Vi mando ancora alcune copie dell‟orazione inspirata da Maria SS. a S. Brigida che darete a
qualche anima divota.
Quella grazia tanto importante per cui vi ho fatto pregare, in gran parte certamente è ottenuta.
Adesso per i presenti bisogni potrete anche procurare delle corone di comunioni, e fare che
altre ne procurino. Vorrei che si pregasse anche un po‟ di cuore per me che non mi approfitto
di questo tempo. Addio, il Signore vi benedica.
Giuseppe Frassinetti Priore”.
Questa lettera non è al tutto somigliante a quelle scritte dai santi, da S. Francesco di Sales e
da S. Teresa di Gesù?
Finalmente parve che Iddio volesse coronare la sua lunga pazienza; quelle turbolenze
andavano a poco a poco cessando, gli agitatori di piazza si facevano più rari, tutto
cominciava ad accennare un po‟ di tranquillità. La bonaccia infatti successe ben tosto alla
tempesta; quindi il Priore si preparò a venire di nuovo in mezzo al suo gregge.
Dopo quattordici mesi, nei quali la travagliata sua virtú aveva dato prove di singolare
perfezione, abbandonato il luogo, che possiam dire del suo esiglio, fece ritorno alla sua
chiesa di S. Sabina, dove fu ricevuto con gioia dai suoi parrocchiani e dagli amici.
Convennero molti a vederlo in chiesa, a visitarlo in canonica e ricevette congratulazioni da
vari nobili, parroci e da non pochi altri sacerdoti. Egli intanto procurò innanzitutto di
innalzare i più fervidi ringraziamenti a Dio per la liberazione ottenuta, esortò i fratelli, ed
altre pie persone a fare il somigliante, memore del precetto dell‟Apostolo di rendere grazie a
Dio in tutte le cose, sieno prospere o avverse: In omnibus gratias agite (2 Tes 5, 18).
Or non sapremo noi dire se allora avessero una fine totale i mali di quei giorni; certo che le
cose si composero alquanto, ma il reo seme della rivoluzione che infinite amarezze cagionò
alla Chiesa e al suo magnanimo Capo e difensore l‟immortale Pontefice Pio IX, gíà da Dio
coronato dell‟aureola del martire, non per questo il reo seme è svanito. Forse da quel punto
fino al presente non ha mai cessato di crescere, e tuttavia, cosí meritandolo i nostri peccati,
vigoreggia píú che mai in rovina di tante anime sedotte. Ma vive e sempre veglia per la sua
Chiesa quel Dio, il quale, come dice Sant‟Agostino, è capace di trarre bene dal male; e
speriamo che Egli dai tanti mali presenti, onde geme la diletta sua Sposa, saprà e vorrà
ricavare altrettanti beni, che la ristorino consolandola anche temporalmente. Speriamo che in
tanti cuori trafitti dal dolore infonderà quella costanza e quella calma che è necessaria per
sopportare la sventura e vincerla; costanza e calma che vedemmo, cosí alla meglio adornare
il cuore del compianto Frassinetti nel tempo delle sue afflizioni; costanza e calma, che, ove
sieno perseveranti, coroneranno la Chiesa di santi e magnanimi figliuoli.
CAPO VI
SUO ZELO INDUSTRIOSO PER LA GLORIA DI DIO
E LA SALVEZZA DELLE ANIME
Qui non zelat, non amat, è aforismo del grande dottore Agostino; chi non ha zelo, non ha la
carità di Dio nel cuore. Lo zelo è effetto immediato dell‟amore, l‟uno non può mai andar
disgiunto dall‟altro; quindi quanto píú un cuore cristiano è ripieno di divino amore, tanto
maggiore è lo zelo che lo strugge di procurar piacere e gloria al Bene infinito che ama. Ora
non si può dubitare che il Frassinetti non avesse acceso il cuore di questa bella fiamma; quel
poco che finora abbiamo ricordato di lui ci può persuadere di ciò. Egli, come si disse, andò
alla sacra ordinazione unicamente per procurare a Dio la maggior gloria, e al prossimo il
maggior bene, e questo fine che si prefisse lo accompagnò fino all‟ultimo della sua vita. Amò
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il suo Dio teneramente, né fu possibile che occultasse per umiltà la veemenza del sacro
affetto, che le sue opere e gli scritti lo tradivano.
Con tanta carità nel cuore, la quale trapelava anche nei suoi discorsi famigliari, non è a dire
quanto zelo nutrisse per tutto ciò che è bene. Egli fu veramente quell’Ape ingegnosa, che
descrisse nel piccolo libro che intitolò “Industrie spirituali”, di cui si fecero quattro edizioni.
Ed è proprio il suo zelo industrioso che gli fece dettare questo libretto, preziosissimo per ogni
verso e utilissimo ad ogni sorta di persone, massime ai sacerdoti, i quali vi possono attingere
molti segreti per operare il bene.
Pertanto quello che egli inculcava agli altri, lo praticava lui stesso, studiando, si può dire,
ogni giorno dei nuovi mezzi per sfogare il suo zelo. Parroco a Quinto aveva già dato molte
prove del suo zelo industre, propagando il culto perpetuo del SS. Sacramento, e soprattutto le
pie Congregazioni sia per giovani come per adulti. Egli conosceva benissimo il bene che
possono arrecare queste Unioni se sono informate da buono spirito; quindi pensò di
impiantarne alcune nella sua chiesa di S. Sabina.
E primieramente egli pose tutta la cura nell‟educare al bene la gioventú; quindi piú che coi
modi severi procurava di premiarne le buone azioni con libriccini adatti ad instruire quelle
tenere menti. E questo è veramente un mezzo efficace per ritrarre dal male la gioventú,
metterle in mano dei buoni libri corredati di esempi e fatti che attirino la sua attenzione. A
questo fine stampò i “Ricordi per un giovinetto cristiano”, piccolissimo libretto, ma utile e
facile al tutto ad essere inteso dai fanciulli. E tale è pure un altro libretto di egual mole che
intitolò: “Ricordi per una figlia che vuol essere tutta di Gesú”. Di questi libri e di altri
somiglianti, come gli “Esempi edificanti”, gli “Esempi di virtú” stampati da un suo fratello
regalava ai giovani suoí parrocchiani che vedeva più attenti e più docili alle sue
ammonizioni.
Corrispondendo molti fra i giovinetti e le giovinette alle sue cure, avvenne che alcuni e
alcune s‟invogliavano a poco a poco del bene e della pietà, cosicché sorse in loro il desiderio
dì darsi ad una vita di perfezione. L‟occhio vigile del buon pastore penetrò questo fatto, ne fu
contentissimo, ne ringraziò il Signore, e frattanto consigliatosi con persone dotte e prudenti e
con l‟industrioso suo zelo pensò come poter soddisfare a quei pii desideri. I piú erano zitelle
e giovani poveri, che non avrebbero potuto incontrare spese di alcuna sorte per entrare in
Religione; altri incapaci, e quasi tutti posti in condizioni tali che anche restando al secolo
avrebbero potuto fare del gran bene. Egli considerava ogni cosa, quindi, deliberò di stabilire
in parrocchia la Pia Unione delle Figlie dell‟Immacolata, e poi dopo poco tempo instituí
quella per i giovani sotto lo stesso nome di Pia Unione dei Figli dell‟Immacolata.
Son note a Genova e fuori queste pie unioni e in molte parrocchie fioriscono con gran
vantaggio delle anime. Quella delle figlie, come anche è noto, fu istituita veramente dalla
vergine bresciana, S. Angela Merici, la quale unione, quantunque a noi ignota, fu rinnovata
per opera di una contadina di Mornese nell‟anno 1850. Essa non sapeva nulla di questa bella
istituzione cosicché si potrebbe dire che fosse ispirata da Dio ad accingersi a tale impresa,
che poi riuscí tanto felicemente. II Priore, intesa l‟idea di questa giovane, non rimase inerte,
l‟aiutò in ogni modo con i consigli e con l‟opera, giacché egli vedeva in ciò la mano della
divina Provvidenza, né s‟ingannò. Sarà bene udire lui stesso, riportando qui un tratto di
un‟appendice che stampò insieme colla vita della suddetta santa quando il Sommo Pontefice
Pio IX l‟ luglio 1861 ne aveva esteso a tutta la Chiesa la messa e l‟uffizio. Accennata
dapprima l‟epoca della fondazione, quindi il suo propagarsi quantunque segreto, per
accertarsi meglio dell‟esito, si domanda: “Ora chi vorrebbe porre in dubbio che in questi
avvenimenti si debba riconoscere la mano di Dio? Ecco che in una quasi ignota terricciuola
del Monferrato, per mezzo di alcune povere contadine, inconscie dell‟opera della santa,
l‟opera della santa si rinnova. Qui si vede un tratto di quella provvidenziale economia, per
cui la mano di Dio è solita di scegliere ad instrumento delle sue opere le cose deboli e
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dispregevoli agli occhi del mondo. Ecco poi che quella rinnovata istituzione si estende come
da per sé in poco tempo per moltissimi luoghi d‟Italia, correndo giorni assai sfavorevoli nei
confronti della pietà e della devozione. Ecco che appena riconosciuta l‟identità della novella
istituzione coll‟antica, il Sommo Pontefice fa risplendere di gloria in tutto il mondo la vera
sua Istitutrice, affinché tutto il mondo sia come costretto a ricordare ed ammirare in pari
tempo l‟opera di lei, e quindi, vedutone il bisogno, ardentissimamente a desiderarla. Or se
non è qui la mano di Dio, non sapremmo in quali altri umani avvenimenti abbia ad essere
riconosciuta.
Perciò pare che non debba mettersi in dubbio che è volere del Signore che si rinnovi l‟istituto
di S. Angela Merici, e che coloro i quali si adopereranno a questo fine stiano corrispondendo
alle mire della divina Provvidenza. E pare anche che questo rinnovamento debba essere la
Pia Unione delle Figlie di Maria SS. Immacolata aggiuntovi alcunché della Compagnia di S.
Orsola, affinché la novella istituzione sempre maggiormente s‟identifichi e a cosí dire si
converta e si confonda con l‟antica”.
Egli aveva ricevuto come un abbozzo delle regole di queste figlie dal Direttore di esse perché
lo correggesse, stendendole in quel modo che meglio gli sarebbe piaciuto. Egli quanto alla
sostanza si mantenne fedele all‟abbozzo ricevuto; quindi le stese e stampò con una breve
introduzione, dove ne fa notare l‟anno della fondazione, lo scopo, toccando anche i vantaggi
che ne derivano alle zitelle che abbracciano quel genere di vita religioso secolare e
frapponendovi anche l‟approvazione del Vescovo di Aqui.
Non fu pago tuttavia di questo, perciò parendogli che molte più sarebbero le pie zitelle che
avrebbero abbracciato quello stato di vita perfetta, se meglio ne avessero conosciuto la
facilità e i vantaggi diede alle stampe un opuscoletto intitolato: “La Monaca in casa”. Questo
libretto è pregevolissimo e di per sé solo potrebbe essere piú che sufficiente a dimostrare
quanto estese fossero le sue cognizioni intorno alla perfezione cristiana. Questo libretto fu
diffuso rapidamente e fu cercato con avidità dai propagatori della Pia Unione.
Stabilita che la ebbe in S. Sabina, in pochi mesi si videro pie giovani affluire anche dalle altre
parrocchie, ed egli si impegnò con ogni modo ad avviarle e confermarle nel bene. Quindi
stabilí esercizi spirituali, adunanze, una annuale solennità in onore delle loro protettrici, cioè
di S. Angela Merici e di S. Orsola V. e M.
Andava ognora propagandosi la Pia Unione delle Figlie dell‟Immacolata facendo un gran
bene nelle loro famiglie e fuori, ed il Priore che non mai si riteneva pago delle sue fatiche,
pensò che un altro gran bene si sarebbe arrecato alla Chiesa ed alla società ove si unissero
insieme anche dei giovani più morigerati con lo stesso fine di darsi tutti a Dio senza però
uscire dal secolo. Pregò, si consigliò, considerò bene ogni cosa, quindi fiducioso in Dio e
nella Vergine Immacolata, di cui era teneramente divoto, propose di abbozzarne la regola e
cominciare l‟Unione con pochi. Vedutone il buon risultato, redasse per intiero la regola, che
è simile a quella delle figlie, e allora quella Pia Unione fece rapidi progressi. Ogni mese
finché visse tenne loro una adunanza nella sua camera da studio, alla quale procurava sempre
di presiedere. E qui non si vuol tacere un fatto, che avranno forse constatato moltissimi, che
cioè quando egli parlava in quelle adunanze non si poteva a meno di non sentirsi accendere di
un amore santo e vivere nel cristiano fervore. Né ciò solamente, ma che ogni ardua cosa
pareva facile e dilettevole, cosicché non si sarebbe potuto resistere ad accogliere le sue
parole, i consigli che somministrava. Con ciò si spiega altresí il perché tanto si propagasse da
doverne fare un‟altra nella chiesa gentilizia di S. Luca. Allorché vedeva alcuno che gli parea
disposto ad accettare le sue proposte, gli si faceva d‟intorno con ilarità e con tale buona
grazia, che non solo colui rimaneva convinto a dedicarsi con maggior cura alla vita divota,
ma anche gli nasceva in cuore tal desiderio di avvicinarlo frequentemente, che mai non era
tanto contento come quando poteva sentire la sua voce tutta affetto in quelle private adunanze
della Pia Unione. Egli era l‟anima di tutto; lui presente, quelle divote assemblee pigliavano
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vigoria ed incitamento a qualunque buona impresa, poiché la sua bocca era sempre aperta per
istruire, consigliare, ammonire, confortare.
Vedendo come Iddio benediceva le sue fatiche, e quanto bene si poteva fare con quelle pie
congregazioni, pensò di scrivere come un trattato di perfezione per i buoni secolari che non
potessero entrare in religione. Per le figlie già vi aveva provvisto coll‟aureo libretto “La
Monaca in casa”, che già accennammo, e per i giovani vi provvide con il mandare alla luce
“Il religioso al secolo” dove inserí la “Regola dei Figli di S. Maria Immacolata”.
Quanto sia adatto questo libro per infondere nei cuori ben fatti il desiderio di darsi tutti al
servizio di Dio e a zelare il vantaggio spirituale del prossimo in mezzo a questo secolo
perverso, è inutile che noi lo diciamo. Le molteplici operette del Frassinetti furono e sono
lette da tanti che non abbisognano di essere lodate né tantomeno raccomandate. Però a noi
pare di dover anche qui riportare un tratto della prefazione del suddetto libro, per far vedere
l‟opportunità dell‟operetta come delle pie unioni da lui con tanto zelo promosse: “I costumi,
egli dice, le opinioni, le leggi non furono mai sí d‟accordo in tante parti del mondo, come lo
sono ai dí nostri, in mettere impedimenti perché gli uomini non si raccolgano a condurre vita
religiosa nelle comunità approvate dalla Chiesa. Sono quindi assai rari coloro che possono
avere tal sorte.
Osservando frattanto che lo spirito religioso, quello spirito da cui furono mossi tanti santi
institutori a fondare le varie corporazioni religiose, e da cui furono mossi uomini
innumerevoli a farne parte, è uno spirito che nella Chiesa non può mancare, null‟altro
essendo che lo spirito della perfezione cristiana sembra dover essere or più che mai
conveniente addimostrare come anche in mezzo al secolo si possa coltivare questo spirito, e
seguirne gl‟impulsi da coloro, a cui non è concesso coltivarlo e nutrirlo dentro i chiostri e le
comunità religiose.
Ora tracciare il modo, con cui ciascun uomo, di qualsivoglia condizione, dovendo vivere al
secolo, possa far vita religiosa, almeno nella sua sostanza, si è appunto lo scopo di
quest‟operetta”.
Dopo di che egli viene dimostrando che non intende parlare di una vita religiosa solitaria, ma
di una vita religiosa attiva, che cioè mentre il religioso al secolo attende alla propria
santificazione, deve nello stesso tempo impegnarsi di giovare in ogni modo al suo prossimo.
Da questo si può argomentare la ragionevolezza del suo progetto, e come nulla sfuggisse alla
sua accortezza, che potesse in qualche modo riuscire di utilità alle anime. Questo libretto fu
lodato da molti sacerdoti e persone illuminate, e ci è caro qui ricordare il brano di una lettera
indirizzata al Priore da un sacerdote di Caselle Laudi in data del 27 agosto 1867. Noteremo
alcune cose più rilevantí: “Già da alcuni mesi ho letto con sommo piacere II Religioso al
secolo. È la prima volta che mi è capitato in mano un libro sí prezioso e non posso fare a
meno di congratularmi ex toto corde con chi ne fu l‟inventore; il pensiero non può che essere
ispirazione divina, ed è opportunissimo, anzí necessario ai nostri tempi il realizzarlo
dovunque, è possibile. Per me dico la verità, la Regola dei Figli di S. Maria Immacolata mi
ha rapito e per la facilità dell‟esecuzione e per l‟utilità che apporta, poiché non appena la feci
conoscere ai giovinetti che frequentano l‟oratorio festivo da me diretto, subito vidi alcuni
abbracciarla di vero cuore e praticarla appuntino e ormai posso contare sopra 19 giovinetti,
che a tutta ragione posso chiamare Figli di S. Maria Immacolata”. Quindi passa a
raccomandarsi alle sue preghiere, e nel concludere la lettera cosí dice: “Del resto io non
conosco la S. V. che dal nome impresso sulle svariatissime operette da essa medesima date in
luce e che producono tanto bene nella militante Chiesa di Gesú, tuttavia stia pur sicura che il
sottoscritto, esso pure ignoto a Sua Signoria, lo ama di vero cuore, lo riverisce con tutta la
stima e nel mentre gode tributarle i piú sentiti ossequi e ringraziamenti, si appalesa
di S. S. Molto Reverenda
Umil.mo Servo Confratello
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Negroni D. Lorenzo
Primo Coadiutore”.
Nel mentre stabiliva queste congregazioni non dimenticava però di coltivare con pratiche
devote la sua chiesa. Egli era sempre dappertutto e mentre promoveva un bene in parrocchia
o fuori, cercava promuoverne altri senza mai stancarsi. A lode del vero dobbiamo dire che in
ciò era aiutato dai suoi fratelli sacerdoti deí quali, perché viventi, nulla diciamo. E fu aiutato
per molti anni dal compianto Luigi Sturla, lo zelo del quale è assai noto. Tuttavia egli non era
superato mai da nessuno nell‟impegnarsi a promuovere ogni sorta di opere buone.
Conoscendo quanto siano di facile intelligenza le opere ascetiche del dottore della Chiesa
Sant‟Alfonso de‟ Liguori, volle farne lettura. nella sua chiesa, e fu bene accolta. Tutte le sere
non impedite da qualche funzione, dopo la recita del Rosario, egli ascendeva il pulpito e per
un quarto d‟ora ne faceva una chiara ed affettuosa lettura, al che seguitava sempre la
benedizione del Venerabile. Quanto sia lodevole quest‟uso non vi sarà chi non lo veda.
Nelle solenni funzioni egli non amava affatto la sola pompa e il fasto esteriore; procurava che
fossero bene ordinate e fatte con il debito lustro e decoro dovuto alla Sovrana Maestà di Dio:
però quello che gli stava piú a cuore era che in queste solennità fossero frequentati i
sacramenti. Perché se in tali circostanze í cristiani stanno lontani dalla fonte della grazia, cioè
dai sacramenti, facilmente riescono solennità senza divozione e si introducono in esse molte
profanità, e quelle intemperanze che in tali circostanze e in molti luoghi si devono deplorare.
II Frassinetti che in ciò era accortissimo, tanto a Quinto come a Genova non si tirò mai
indietro dall‟inculcare questo dovere ai suoi parrocchiani, ed aveva la consolazione di vederli
numerosi accorrere in quelle funzioni al tribunale della penitenza e alla santa comunione.
Sarebbe opera assai prolissa il voler accennare tutte le industrie del suo zelo per promuovere
il bene e impedire meglio che gli era possibile il male. Nondimeno ci pare di non dover
tacere di alcune più rilevanti.
Una volta nel vico detto della Croce Bianca sito nella sua parrocchia avvenne che si aprí al
primo piano di quelle case una scuola serale di protestanti e alcuni padri meno avveduti e
prudenti si erano lasciati trarre a mandarvi i loro figli. II Priore appena lo seppe se ne
indignò; il suo dolore fu indescrivibile, né piú si quietò finché non l‟ebbe veduta andare a
vuoto. Prima di tutto, non tenuto da alcun rispetto umano, si presentò al padrone di quella
casa e lo pregò di voler licenziare quei protestanti quanto prima e togliere cosí lo scandalo di
quella scuola. Quel passo gli riuscí inutile perché quei protestanti avevano fatto locazione.
Allora addolorato ma non sfiduciato chiamò alcune buone donne, di cui sapeva poter fidarsi,
e disse: “Avrei bisogno dell‟opera vostra; guardate, si tratta di impedire un gran male,
aíutatemi e non vogliate scoraggiarvi”. Quindi loro contò della nuova scuola, di che quelle
pie donne rimasero anch‟esse addolorate. Bisogna sapere che sul canto di quel vico vi è una
devota immagine di Maria in marmo vicino proprio alle finestre della casa malaugurata.
Quindi egli se ne valse per un suo stratagemma. “Io vorrei, continuò a dire a quelle donne, io
vorrei che tutte le sere, radunando dei fancíulli in buon numero, recitaste ad alta voce
l‟intiero rosario e cantaste le litanie della Madonna; non temete di nulla; Maria è tal buona
Madre che non lascerà senza frutto e ricompensa l‟opera vostra. E voglio inoltre che
accendiate davanti alla sua immagine la lampada e vi darò il prezzo dell‟olio”.
Accondiscesero a tale proposta quelle donne, e fin da quella sera cominciarono la novena. I
fanciulli intervenuti furono in gran numero, si cominciò il rosario, quindi il cantico di alcune
laudi sacre, che fu cosí vivo ed acuto che da tutti i vicoli circonvicini si udivano facilmente e
traevano ogni sorta di persone a vedere quello spettacolo. Si può facilmente comprendere
l‟ira di quei protestanti, i quali non tardarono a capire il fine di quella scena; ma quello
sdegno fu inutile, dovettero rassegnarsi a sentir quelle grida per molte sere, cosicché stanchi
di sentirle, Dio volle che cessassero la loro impresa, chiudendo bravamente la scuola. La
gioia del Priore fu indescrivibile e tosto corse a ringraziare del felice esito Iddio e la Vergine
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Immacolata. In questo fatto è da ammirare non solo il suo zelo ma anche piú il disprezzo
d‟ogni umano rispetto. Un altro piú timoroso avrebbe certo temuto qualche cosa di sinistro da
parte di quei protestanti, e certo lo sdegno ond‟erano accesi era grandissimo; ma per lui fu
nulla. Era dotato di una rara prudenza e finissimo accorgimento, ma allorché si trattava di
impedire un gran male, non badava in faccia ad alcuno e superava con forte animo ogni
difficoltà; fosse anche andata la vita, egli non indietreggiava di un passo.
Intanto nella domenica che occorse fra quella novena di preghiere e di cantici fatti sotto le
finestre della nuova scuola, egli ne diede avviso al popolo, tralasciò a bella posta il
catechismo per fare un‟istruzione sul protestantesimo, leggendo e commentando una
bellissima circolare dell‟Arcivescovo, Mons. Andrea Charvaz. In essa erano vivamente
messe in luce le arti subdole che da questa setta si adoperano, specialmente con i denari e
cattivi libri, per far proseliti, ed era raccomandato ai fedeli di starne lontani e sapersi
guardare dalle loro mene. Al Priore quella circolare fu carissima, ed anzi assai gli giovò per
recare ad effetto il divisamento, del quale si è parlato.
Nella novena del S. Natale, non sappiamo se del cinquanta o del cinquantuno, in una
contrada vicina alla sua parrocchia un venditore di terraglia aveva esposto alla vista di tutti
una statuetta del tutto indecente. Grande era lo scandalo, e si udivano molti lamentarsene e
deplorare tal fatto. Vide e sentí tutto il Priore e se ne addolorò. Senza indugio corse ad un suo
ritrovato che gli parve il piú acconcio al caso. Chiamò una figlia di Maria, abitante nella sua
parrocchia, ed essendo già attempata e assai esperta in simili industrie, le comandò che si
portasse dal padrone di quella bottega e le intimasse senza vergogna che o togliesse
quell‟indecenza o pure si apparecchiasse a sperimentare in se stesso l‟ira di Dio. A quella
figlia parve una cosa un po‟ audace e da doverne temere rimproveri e peggio, quindi esitava
alquanto ad ubbidire. “Non temete di nulla, le rispose il Priore, andate in nome di Dio e fate
ciò per amore del S. Bambino: vedrete che la cosa sortirà buon effetto”. Ubbidí a tali parole,
e subito chiamate quattro sue compagne che la scortassero, e ove fosse necessario, la
difendessero, si presentò a quell‟uomo. Andò in furie appena sentí quella proposta, e “Son
queste, esclamò indignato, son queste le solite mene dei preti, io non toglierò per nulla la mia
statuetta”. Al che rispose con flemma quella figlia: “Se voi non toglierete via lo scandalo,
v‟incoglierà il castigo, perché il vostro negozio non potrà andare che male”. Tuttavia non
volle arrendersi, ed essa se ne andò. Al dimani però quella figura non compariva più al
pubblico, e fu tolto lo scandalo. Ma quelle parole quasi profetiche suggerite dal Priore a
quella buona figlia, si avverarono perché non passarono tre mesi che, colui dovette per
fallimento chiudere la sua bottega.
CAPO VII
ALTRE INDUSTRIE DEL SUO ZELO
I rivolgimenti politici del quarantotto parevano ormai cessati, e veramente era ritornata la
pace e un piú tranquillo vivere nella società, ma i tristi effetti sussistevano ancora. Si vide
crescere l‟indifferenza nella religione, il disordine e la noncuranza specialmente nelle leggi
ecclesiastiche nelle famiglie, le cattive letture ed altri mali signoreggiare nelle popolazioni
cristiane. II Priore ne era contristato e studiava ogni mezzo per far argine al cattivo torrente
almeno nella sua parrocchia. Egli vide però che si sarebbe potuto fare un bene maggiore, ove
i fedeli fossero incitati ad unirsi compatti nell‟allontanare da sé le rie dottrine disseminate e
nell‟accrescere il loro zelo e sacrificio per la santa causa della religione. Quindi pensò dettare
come un “Appello ai fervorosi cristiani”, mostrando loro i nuovi pericoli in cui vivono e il
dovere di lavorare di forza per eliminarli. Volea stamparlo, ma nol fece, perché poi ideò un
altro divisamento del quale fra poco parleremo. II manoscritto fu conservato e chi scrive può
assicurare d‟avervi ritrovato i più belli e santi ammaestramenti. Ne riferiremo qualche brano
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per soddisfazione del lettore: “La vostra nuova posizione, egli dice, e i tempi nuovi vi devono
imporre dei nuovi doveri da soddisfare. Doveri di zelo a pro della vostra S. Religione, cosí
disprezzata e combattuta che si vorrebbe distruggere, che si vorrebbe rapire e a voi e ai vostri
figliuoli. Doveri di zelo per diffonderla, sostenerla e conservarla con tutte le vostre forze”.
Poi ne addita i mezzi che li fa consistere nella preghiera, nel promuovere buoni libri e
giornali dettati da uno spirito cristiano, coll‟intervenire alla parola di Dio e fare che i
dipendenti della famiglia la possano frequentare, particolarmente al dopopranzo per udire il
catechismo. Raccomanda inoltre ai padri di famiglia che non affidino mai i loro figliuoli a
maestri sospetti, e per questo non si facciano rincrescere anche i più gravosi sacrifici.
Suppone che gli si faccia una difficoltà, che riferiamo, perché si veda che cosa egli pensasse
dei sacerdoti che fossero privi di zelo per la Religione: “Ma i secolari, dirà piú d‟uno a questo
punto, perché si devono interessare di queste cose? Perché dovranno considerarsi obbligati a
difendere, a sostenere, a conservare la Religione? Ci pensino gli ecclesiastici, i quali essendo
ministri della Religione, ne devono curare gli interessi: i secolari non hanno altro obbligo che
quello di pensare ciascuno per sé, tutt‟al piú per la propria famiglia...Prima di tutto siamo
d‟accordo, anzi noi stessi insegniamo, che i ministri della Religione, sono obbligati dal loro
ministero a difendere, sostenere e conservare la Religione. Sono consacrati a questo scopo,
vivono per questo fine, devono impegnare tutte le loro forze nell‟eseguimento di questo
dovere. E se non lo fanno del nome che portano, sono traditori del loro ufficio:
massimamente quando la Religione è più malmenata e combattuta. Se vi sono ministri del
Santuario i quali non s‟impegnano a difendere, sostenere e conservare la Religione solo per
questo, hanno un marchio d‟infame tradimento della loro vocazione”.
Tante cure da lui adoperate in pro della Religione, gli parvero non sufficienti al gran bisogno;
perciò dopo serie considerazioni e preghiere e consigli presi ideò la Pia Associazione per
l’incremento e la conservazione della Fede Cattolica che anche al presente, in modo
rinnovato per essere stata fusa in quella Associazione Cattolica di San Francesco di Sales per
la difesa e conservazione della Fede, dà tanti buoni risultati. Mise a parte del suo progetto
zelanti sacerdoti e pii secolari, i quali accolsero ben tosto la sua proposta e assai lo aiutarono
coll‟opera loro. Egli non risparmiò fatica alcuna per promuoverla in città. Dirigeva questa
Associazione che, come al presente, era composta di varie commissioni, ciascuna delle quali
aveva un ufficio diverso da adempiere. Una commissione dovea impegnarsi a promuovere il
culto del SS. Sacramento; cioè un accompagnamento decoroso del SS. Viatico; l‟adorazione
diurna nell‟esposizione delle Quarantore nelle chiese della città; l‟adorazione notturna nella
chiesa gentilizia di S. Torpete. Cercò elimosine perché ogni giorno si celebrasse una Messa
per le anime del Purgatorio, e fossero applicate dal sacerdote che servisse da cappellano
all‟adorazione notturna.
Una seconda commissione aveva per fine di propagare la buona stampa; e tanto si adoperò
per trovare sussidi a quest‟opera che in breve raccolse più di tremila lire annue da spendersi
per la diffusione dei buoni libri; e tutt‟ora alcuni di quei pii e generosi benefattori continuano
le loro offerte a questo scopo.
Una terza commissione era diretta a promuovere l‟insegnamento della dottrina cristiana ai
ragazzi. Doveva cercare maestri idonei e provvedere buon numero di premi per attirare piú
facilmente i fanciulli ad intervenire alla dottrina. Oltre a ciò suo scopo era di prepararli alla
prima comunione e dar loro gli esercizi spirituali, procurando che fosse fatta in varie chiese
un‟analoga conferenza.
Da ultimo instituí un‟altra commissione composta di pie Signore, le quali dovevano
impegnarsi per mantenere in educandati adatti le figlie pericolanti o pericolate nella fede o
nell‟onestà, e procurare con ogni mezzo che fosse loro impartita una educazíone cristiana.
Ora è ben difficile immaginare l‟attività del Priore per l‟incremento di questa Associazione.
Egli era l‟anima di tutto, assisteva a tutte le adunanze che erano assai frequenti, proponeva
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nuovi mezzi per attuare ogni sorta di bene e far cessare gli scandali e i pericoli di
pervertimento del popolo. Ogni mese aveva luogo un‟adunanza generale pubblica
nell‟Oratorio dei PP. Filippini. Oltre il presidente d‟onore march. Antonio Brignole Sale, era
invitato ed interveniva a tali adunanze l‟Arcivescovo di quel tempo, Mons. Andrea Charvaz,
il quale si consolava assai vedendo buon numero di Sacerdoti e tanti buoni secolari impegnati
per promuovere questa santa opera, e con sue dolci parole li animava a proseguire coraggiosi
nel bene incominciato a vantaggio della Religione e a salute delle anime. Inoltre in tutte le
relazioni che si stampavano, era solito frapporvi alcune parole d‟incoraggiamento o di lode; e
noi ci contenteremo di riferire soltanto queste del 15 febbraio 1854: “A tenore dei sentimenti
espressi nel nostro discorso su riferito esortiamo i reverendi parroci a promuovere la Pia
Associazione, annunziandone e spiegandone ai loro parrocchiani il santo scopo ed i mezzi
proposti per conseguirlo, incitandoli a farsi inscrivere ed a procurare offerte per la diffusione
dei buoni libri. Noi intanto assicuriamo loro che faranno per tal modo del gran bene per la
gloria di Dio e per la salute delle anime, cosí sempre grata al paterno nostro cuore.
Andrea Arcivescovo”.
Si è voluto tuttavia notare che a promuovere quest‟opera vi erano buoni collaboratori, che al
Priore prestavano un aiuto assai rilevante. Notiamo che fra costoro si segnalò il ch. Marchese
Gio. Batta Cambiaso, il quale per il suo zelo instancabile ne fu eletto presidente. Nulla
diciamo dei sacerdoti e parroci che promossero e promuovono tuttavia con felice esito
l‟Associazione, infatti ce lo vieta la loro modestia. Però non vogliamo tacere del sac.
Vincenzo Persoglio, rettore della parrocchia gentilizia di S. Torpete e Prelato Domestico di
Sua Santità. Amicissimo del Priore che non si rifiutò mai di unirsi con lui nel promuovere il
bene. Riguardo alla Pia Associazione, detta ora di S. Francesco di Sales, Mons. Persoglio si
mostrò sempre attivissimo suo propagatore, ebbe per suo mezzo un grande incremento, e si
nobilitò per altre opere e pratiche divote e salutari. Questo facilmente si può vedere nel
rendiconto che egli dà annualmente il giorno della festa di S. Francesco di Sales nella chiesa
abbaziale di S. Siro. Bisogna certo dire che il bene che opera attualmente è incalcolabile. Egli
da alcuni anni ne è il presidente. Fu eletto da Mons. Charvaz quando nel 1865 col concorso
del Priore Frassinetti e degli altri membri della direzione della lodata Associazione, onde
darvi nuovo incremento, si credette bene di fonderla nella Associazione di S. Francesco di
Sales. Instituita questa alcuni anni prima a Parigi. da Monsignor de Segur, avente della nostra
genovese lo stesso scopo, ma non limitata a una sola città, ad essa deve presiedere un
ecclesiastico scelto dal Vescovo, mentre quella ideata dal Priore Frassinetti la presiedeva un
secolare. Successo all‟Arcivescovo Charvaz mons. Magnasco, già membro della cessata
Associazione, confermò mons. Persoglio a presidente o direttore diocesano della nuova
Associazione.
Ritornando al nostro Priore, aggiungeremo che con tante industrie e continue occupazioni,
non si fermava però di inventare altri modi onde sfogare il suo zelo. Non diremo
dell‟impegno con cui propagò nella sua parrocchia le Opere della Propagazione della Fede e
della santa Infanzia. Basti dire che gli ascritti per suo mezzo furono moltissimi, e che
dall‟altare, dal pulpito e anche privatamente soleva raccomandarle con tutto lo zelo alla carità
dei fedeli. Egli fra le altre cose vide e notò la cecità di tanti cristiani, se vuoi anche buoni e
fervorosi, che aggravati da malori e in faccia alla morte, si rifiutano di ricevere i sacramenti
colla speranza della guarigione o pure perché il medico non diede alcun ordine in proposito.
Deplorava questo male ai piedi del Crocifisso anche insieme ai suoi amici sacerdoti. Egli
però non era uomo da deplorare e piangere i mali senza far altro, persuaso che dai piagnistei
poco e nulla di bene può emergere; quindi procurava, per quanto era in lui, di ovviarli e porvi
qualche rimedio. Che fece dunque? Innanzitutto pose tutta la sollecitudine e la vigilanza
perché fra i suoi parrocchiani non avvenissero simili disgrazie. Con industrie, con paterne
ammonizioni, e con assidua assistenza dei suoi infermi, tanto si adoperava a vincere
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piegando gli animi anche più restii, che finalmente riusciva nel suo intento ed aveva la
consolazione di vederli morire muniti di tutti i conforti della Religione. A questo fine, non
potendo egli, dava ordini precisi ai suoi sacerdoti subalterni di usare gran zelo e pazienza con
gli infermi e comportarsi in modo da riuscire ad amministrar loro i sacramenti anche nel caso
che il timor della morte fosse remoto o assai dubbio. Tutto questo però gli parve poca cosa;
fu cosí che stese un Regolamento per una Pia Unione sotto l’invocazione di S. Giuseppe
protettore dei moribondi. Diamo un sunto di queste regole affinché ognuno veda il gran
desiderio che egli aveva di giovare a questa porzione il popolo cristiano: Tutti i fedeli
dell‟uno e dell'altro sesso possono far parte di questa Pia Unione.
Gli ascritti si impegnano, senza però aggiungersi alcun nuovo carico di coscienza:
1. A riconoscere per loro particolare protettore S. Giuseppe e a pregarlo in ciascun giorno
della loro vita, perché loro ottenga la grazia di una buona morte.
2. In caso di malattie di una certa gravità a fare subito la loro confessione, almeno non piú
tardi della terza visita del medico.
3. A chiedere ed insistere che loro venga accordato il santo Viatico tosto che si accorgano
essere grave la loro malattia.
4. A chiedere ed insistere che dopo il santo Viatico senza dilazione sia loro amministrata
l‟estrema unzione.
5. A tenersi in capo del loro letto un‟immagine rappresentante il transito di S. Giuseppe, e
contenente queste stesse obbligazioni.
È da riflettere che dopo queste regole, mette una conveniente spiegazione delle medesime,
specialmente quanto alle malattie di una certa gravità e quanto all‟estrema unzione da darsi
subito dopo il Viatico. Da tutto ciò si può argomentare quanto esteso fosse il suo zelo per la
salute delle anime e come egli si appigliasse ad ogni mezzo ove poteva in qualche modo
giovare al suo prossimo. Non si riposò mai, nulla tralasciò d‟intrapprendere per zelare il
bene; anima veramente generosa, amante di Dio e dei propri fratelli, dedita al sacrificio, al
sudore, alla pazienza avvezza di apostoliche operazioni, magnanima operatrice.
E tu, o gran Dio, questo zelo instancabile e fecondo di nobili imprese inspira ai tuoi ministri,
e immadiatamente saranno trasformati in novelli apostoli.
CAPO VIII
SPIRITO DI PREGHIERA E VITA RITIRATA
DEL FRASSINETTI
Se a tutti indistintamente è necessario l‟esercizio della preghiera, molto piú lo è al sacerdote,
il quale non solo per sé, ma anche per gli altri è tenuto ad innalzare continue preci al Dio
delle misericordie. II nostro Priore era ben persuaso di questa verità, e desiderava che ne
fossero persuasi tutti i suoi confratelli nel sacerdozio. Quindi in ogni guisa che poté, si studiò
di inculcare questo santo dovere o con le parole o con gli scritti e di praticarlo prima egli
stesso. Ordinariamente recitava l‟uffizio all‟ora stabilita, ben sapendo che per un sacerdote
un metodo di vita è piú che necessario se non vuole sprecare il tempo e adoperarlo con suo ed
altrui vantaggio. Egli teneva sul suo tavolino una piccola statua di Maria con un crocifisso
d‟argento benedetto dal Sommo Pontefice Pio IX mandatogli in ricordo da Roma dalla sua
sorella Paola, e nella varietà delle sue occupazioni innalzava la mente ed all‟una e all‟altro
con fervorose aspirazioni. Praticava con assiduità l‟orazione mentale, anzi questa era il suo
pascolo di ogni giorno, dove certo ritraeva quel fervore e quella unzione ond‟erano piene le
sue parole. II suo libro prediletto per la meditazione fu sempre l‟aurea opera delle
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meditazioni scritte dal Ven. Ludovico Da Ponte. Era suo costume fare il ringraziamento della
messa presso l‟altare maggiore e bene spesso si udiva trarre dal cuore accesi sospiri, e si
vedea pregare con tale raccoglimento che rapiva al solo guardarlo.
La confidenza che aveva nella preghiera non si potrebbe ben descrivere perché quasi non
ebbe limite alcuno. Pregava e faceva pregare di continuo da persone di sua confidenza. La
conversione dei peccatori fu sempre il suo gran desiderio. A questo fine eresse nella sua
parrocchia la Pia Unione del Santissimo ed Immacolato cuore di Maria per la conversione
dei peccatori formata pei fanciulli. II suo intento era di far pregare le anime innocenti dei
fanciulli per i poveri peccatori, perché ben conosceva quanto possano sul cuore di Dio le
orazioni di costoro. Stampò un apposito librettino ove dà la norma per le iscrizioni e
suggerisce bellissimi ricordi e ammonimenti per la propagazione di questa Pia Uníone. A
migliaia furono iscritti i fanciulli nella sua chiesa, e distribuito a tutti il librettino suddetto
con la medaglia della Madonna. Tutti gli anni faceva una divota processione composta di
fanciulli, i quali poi dovevano fare l‟offerta del loro cuore a Maria. Egli si consolava per
questo e prendeva parte a quella funzione col massimo gusto, e finita la solennità fu udito
alcuna volta esclamare: “Ah le preghiere di questi innocenti muoveranno certo il cuore di
Gesú e di Maria a illuminare tanti poveri ciechi! Si, io lo spero, lo spero”. Raccomandava dal
pulpito ed in privato l‟esercizio della preghiera; la raccomandava alle anime pie e alle
peccatrici. Si può dire con tutta verità che questo sacerdote, non ostante le molte sue
occupazioni, sia vissuto colla preghiera nel cuore e sul labbro, e che questa sia sempre stata
in cima de' suoi pensieri.
Amando cosí la preghiera, amò anche leggere e studiare quei libri che ne trattano; quindi era
sua delizia leggere le Opere di S. Teresa, e promulgare i suoi detti, le sue massime, la sua
dottrina. Lesse e studiò profondamente le Opere di S. Giovanni della Croce, e molto si
impegnò affinché se ne facesse una ristampa, e quindi ne propagò con gran zelo la lettura. Né
pago di questo, compilò un bel trattato della preghiera che intitolò: “Il Pater noster di S.
Teresa di Gesú”, della quale operetta si fecero già varie edizioni. È inutile qui profonderci in
elogi; chi lo ha letto lo può testimoniare e convenire con noi che esso fra le spiegazioni
dell‟orazione domenicale non tenga l‟ultimo luogo. La varietà dei pii sentimenti lo rende
pascolo dilettevole, la semplicità lo fa popolare, e la chiarezza e l‟ordine incitano a leggerlo
piú di una volta.
Egli era persuaso che il sacerdote ha bisogno essenziale dell‟orazione, e tanto piú il parroco.
Nell‟operetta intitolata: “Manuale del Parroco novello”, tanto cercata e già riprodotta in
cinque edizioni, in un capitolo dove parla della pratica dell‟orazione dice espressamente: “Il
parroco deve essere uomo di orazione”. E già che siamo venuti a parlare di quest‟altra
operetta del nostro Priore, possiamo dire insieme con persone intelligenti che la lessero ed
esaminarono, che essa è pregevolissima. Anzi si potrebbe dire che per un parroco novello sia
quasi necessaria. Gli avvertimenti e le istruzioni che somministra sono della piú alta
importanza; non vi è un paragrafo inutile; tutto è appoggiato sulla pratica di un lungo ed
operoso governo che fece di due parrocchie. Egli forse non vi pensò, poiché la sua umiltà
glielo tenne celato, ma compilando quest‟operetta descrisse la sua vita pastorale; nel leggerla
a chi l‟abbia conosciuto non può venire in mente il pensiero che egli non abbia fatto una cosa
che pure comanda o consiglia ad altri. Noi amiamo dire che se ad alcuno la presente biografia
potesse parere meno esatta o troppo breve (come è infatti) per narrare le tante cose da lui
operate e scritte, noi consigliamo costui di leggere il suddetto “Manuale pratico del Parroco
novello”, perché, lo ripetiamo, è l‟esatta descrizione della sua vita pastorale.
Essendo cosí dedito alla preghiera e vivendo una vita di un continuo raccoglimento interiore,
è facile immaginarsi che amasse anche di condurre, per quanto poté, una vita ritirata. Era
solito dire non per vana ostentazione, ma per ammonire gli altri, che egli non usciva mai
dalla canonica per suo diporto e piacere, ma che le sue passeggiate erano sempre dirette allo
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scopo di disimpegnare i suoi doveri. Possono dire i suoi parrocchiani di S. Sabina se una
volta sola lo videro prendersi un onesto svago. L‟unica sua villeggiatura fu quando gli
sconvolgimenti del 48 lo costrinsero a rífugiarsi a S.Cipriano in Polcevera.
Per meglio tener raccolto il suo spirito e procurarsi buoni e santi pensieri fu suo costume
tenere continuamente in tasca il Tommaso da Kempis, e lo leggeva tutti i momenti che aveva
liberi; come per es. se si portava da alcuno per parlargli e avesse dovuto aspettare, egli traeva
fuori il suo librettino e si metteva a leggere. Aborrí con forza i conviti e ogni specie di
giuoco; solo qualche volta all‟anno, invitato da una piissima signora, sua parrocchiana e
benefattrice della sua chiesa, vi si recava, forse dopo calde istanze. In quella circostanza
osservava la massima frugalità. A tali inviti però vi dava cosí poca importanza e ne era cosí
alieno che, dopo fatta la promessa di recarvisi, facilmente se ne dimenticava. Un bel giorno
infatti fu invitato ad un solenne pranzo da costei e accettò l‟invito che era per l‟indomani ma
ben presto gli passò di mente. Venne il giorno dopo, ed egli fece il consueto suo desinare
nella canonica, senza affatto ricordarsi dell‟invito accettato. Quand‟ecco giungere affannato
il servitore di quella signora, e, “Signor Priore, gli dice, la mia padrona e gli invitati lo stanno
aspettando; venga presto, che è una mezz‟ora che il pranzo è pronto”. II Priore si fece rosso
in volto, e messasi una mano al capo, “Oh, esclamò, che me ne sono completamente
dimenticato, ditele che ormai ho pranzato, e che mi scusi tanto”. Piú tardi vi andò a far
meglio le sue scuse, e tutto terminò con una bella risata dei convitati, i quali però ebbero ad
ammirare la sua mortificazione, e ne rimasero edificati.
E non era nemmeno amante delle conversazioni coi secolari. Eppure aveva un buon numero
di amici, godeva la stima dei piú distinti fra il clero e dei nobili fra i secolari; fra questi
furono il march. Vincenzo Serra, il marchese Ignazio Pallavicini, ed il marchese Brignole
Sale, che venne non poche volte a fargli visita nella sua povera canonica specialmente nelle
feste natalizie. Fu intimo amico del conte Solaro della Margarita, che fu ministro di Sua
Maestà il Re Carlo Alberto. Con esso tenne particolare carteggio al solo fine di trattare degli
interessi della Religione; quindi le molte lettere dell‟uno e dell‟altro non furono mai di solo
complimento ma indirizzate al sublime scopo di impedire il male e promuovere il bene delle
anime. Se avesse veduto di non ottenere tal cosa da siffatte amicizie, allora non le curava
affatto, volendo tutto usufruttuare a vantaggio della Religione. Quanto poi alle conversazioni
con i secolari, come si disse, non ne era troppo amante; nondimeno, se il dovere o
l‟educazione esigevano una visita, non si rifiutava di farla; del resto tutte le conversazioni
che faceva avevano sempre qualche fine spirituale, o per domandare consiglio, o per
concertarsi come poter iniziare qualche devota pratica, o per dare con bel modo qualche
salutare avviso.
Vivendo cosí ritirato piú facilmente trovava modo onde poter sfogare l‟ardore del suo zelo
apostolico. Libero da ogni cura mondana, senza amore ad inutili divertimenti possiamo dire
che riflettesse in se stesso la vita apostolica dell‟eterno Sacerdote Gesù Cristo, perché certo la
sua vita fu tutta spesa nell‟esercizio del sacro ministero. Si può anche dire che non esisteva
opera buona, a cui egli non prestasse volenteroso l‟opera sua. Ed ora alquanto s‟intende come
egli potesse fare a scrivere tante cose; certamente perché solitario e mai sfaccendato,
adoperava il tempo e non ne perdeva mai bricciolo. Per tal maniera poteva dar sempre il suo
consiglio ai molti che ne lo richiedeano, poteva disimpegnare tante opere di carità e
occuparsi di tante congregazioni che o aveva instituito o dirigeva. Poteva consacrare buona
parte del giorno alla preghiera e allo studio, poteva, ove la prudenza glielo consentiva, andare
in cerca di persone che conosceva traviate, e con le industrie del suo zelo riportarle nel retto
sentiero, come avvenne di molte.
La qual cosa se può avere del singolare, è tuttavia ciò che incombe al sacerdote e assai piú al
pastore di anime, la vita del quale deve rassomigliare a quella di Gesù Cristo, primo
Sacerdote e primo Pastore. Ritiro dal mondo ed esercizio di un gran bene nel mondo, ecco la
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vita del Salvatore; e a tal vita volle avvicinarsi il Frassinetti, vi mise ogni impegno, tenne
sempre davanti a sé gli esempi del divino Maestro, e vi riuscí, quantunque ogni cosa si
nascondesse sotto il velo della sua rara modestia.
Quanto egli studiasse la vita di Gesú Cristo e operasse dietro i suoi esempi, si può dedurre
ancora da quell‟aureo libretto, da lui stampato, che intitolò: “Gesù Cristo, regola del
Sacerdote”. Sempre col Vangelo alla mano somministra le regole piú salutari per la direzione
dei sacerdoti, ne informa lo spirito con ammirabili avvisi e ne muove il cuore con divina
unzione. Questa operetta (che è uno dei lavori durante il suo esilio in Polcevera) fu accolta
quasi da tutta l‟Italia, e fu stampata nelle principali città come in Firenze, in Napoli, in
Milano, in Torino ed in Roma. L‟Arcivescovo di Orvieto, radunato il sinodo l‟anno 1858, la
dedicava al Clero della sua diocesi con lettera particolare, chiamandolo prezioso e veramente
aureo libro, lavoro di un ecclesiastico altrettanto dotto, quanto zelante. Similmente
nell‟anno 1859 dall‟Arcivescovo e dai Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Urbino
radunati in Concilio Provinciale, prima di sciogliere le conciliari adunanze, era proposta al
loro clero come espressione della vita di Cristo modello di quella del sacerdote.
Queste cose possono bastare perché ognuno veda la pregevolezza di questo piccolo libro e
insieme quanto fosse la dottrina e la bontà di colui che lo dettava. Del resto concluderemo il
capitolo dicendo che la vita del Priore, come si esprime l‟Apostolo, era proprio nascosta con
Gesú Cristo in Dio, nemico acerrimo di tutto ciò che lo poteva in qualche modo distogliere
dal suo raccoglimento e dalla sua elevazione a Dio; niuna cosa ebbe mai in amore se non di
uniformarsi al suo divino esemplare, vivere della sua vita ed invogliare altri a fare altrettanto.
CAPO IX
DEL SUO AMORE ALLA CASTITA’ E ALLA POVERTA’
“Oh quanto è bella nella gloria la generazione dei casti! esclama il Sapientissimo dei Re; la
memoria di lei è immortale, perché ella è conosciuta dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini”.
Certamente quei fortunati che amano la castità e la custodiscono con ogni diligenza, avranno
nome e gloria immortale, perché Iddio conoscendoli, approva e ricompensa la loro virtú, e gli
uomini tratti al celestiale odore che i puri emanano, sono costretti a riverirli ed imitarli. Virtú
angelica è la castità, perché l‟uomo che ne è adorno, innalza sé quasi sovra se stesso, e
diviene simile alla natura angelica: Erunt sicut angeli Dei (Mt 22, 30).
Il Frassinetti vagheggiò la bella virtú sin da fanciullo, ne fu preso da grande amore,
considerandone la sovrumana bellezza, quindi stabilí fin dagli anni primi che essa avesse a
formare sempre l‟ornamento e lo splendore dell‟anima sua. Studiati i mezzi per conservarla,
si diede subito a praticarli con vera risoluzione di non fermarsi mai nel combattimento
spirituale. Già si disse che l‟orazione, da cui viene ogni bene, formò il suo pascolo
quotidiano; da secolare praticò la frequenza ai sacramenti. Fatto sacerdote si confessava
sempre ogni otto giorni, e non ha lasciato alcun giorno senza celebrare la santa Messa; ed
ogni anno si ritirava in una casa religiosa a farvi glí esercizi spirituali, ed era solito dire
essere questi il mezzo più adatto per la santificazione del sacerdote. Perciò si può credere che
la fanciullezza fosse illibata, illibata la gioventú, illibata l‟intiera sua vita. Tale fu il suo
riserbo nel parlare alle persone di altro sesso, tale la sua modestia, che bisognava restarne
edificati; il solo vedere il suo portamento e quelle sue maniere miste a gravità e dolcezza,
traeva gli animi alla moderazione e al bene. Insomma l‟onestà del nostro Priore fu cosí
segnalata, che quantunque per il bene che intendeva fare fosse sempre in mezzo alla gioventú
e a persone di ogni ceto e condizione, nessuno mai poté aprir la bocca alla calunnia e
accusarlo circa la purezza del suo cuore.
Né solo mostrava riserbo e contegno egli stesso nell‟evitare qualsiasi leggerezza, e ciò è già
un grande risultato, ma procurava con bel modo e talvolta con dolci rimproveri che anche gli
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altri, specialmente la gioventú, usasse il medesimo contegno e riserbo con lui e con tutti
coloro che avvicinavano. Un giorno all‟ora del pranzo una buona figlia già attempata gli
condusse in casa un soldato che si voleva confessare. II Priore, interrotto il pranzo, subito lo
confessó; dopo di che uscendo dalla canonica, la figlia nel ricordargli che procurasse di
conservarsi buono gli toccò leggermente colla mano una spalla. Se ne avvide il Priore, e
privatamente la sgridò, raccomandandole di non fare piú per l‟avvenire la stessa cosa.
Un‟altra volta trovandosi egli circondato da molte persone in una adunanza, e una giovane
dovendogli parlare, gli si accostò, e “Signor Priore, gli disse, io dovrei parlarle”, e cosí
dicendo gli mise un dito sopra una spalla, perché si volgesse dalla sua parte e le desse
ascolto. Egli si indignò di quell‟atto, e apertamente la rimproverò, dicendole: “Vi par bella
cosa per una figlia toccar le spalle ad un sacerdote?” E quella rimase confusa e si pentí di
quell' atto.
Non permise mai che alcuna giovane o donna gli baciasse la mano, e tanto insisté in questo
punto che poi conoscendo la sua intenzione, niuna ardiva piú di fargli quell‟atto di riverenza.
Forse potranno sembrare piccole cose, ma egli sapeva che quando si tratta della piú bella fra
le virtú, non è mai troppo il riserbo, e sebbene tanto nemico degli scrupoli dai quali liberò
anime innumerevoli, era solito dire però che in questa materia bisogna assolutamente
confinare con lo scrupolo. E fu certamente l‟amore a quest‟angelica virtú che lo spinse ad
istituire e propagare con gran zelo la Pia Unione delle amanti della santa modestia, che poi
fu eretta canonicamente nella chiesa parrocchiale di N. S. del Carmine e di S. Agnese in
Genova il 20 luglio dell‟anno 1843. Dettò una pagella fornita di sante massime e pregevoli
ammonimenti da darsi a ciascuna figlia che vi avesse dato il nome. Non ostante la tristizia e
corruzione dei tempi, le ascritte alla Pia Unione si contarono a migliaia; parve quello davvero
il trionfo della modestia e del cristiano candore sulla sregolatezza e sozzura del mondo.
Ebbene tutto ciò se si vuole attribuire per una parte alle sue cure e alla sua diuturna costanza
nel soperare gli ostacoli, si vuole ancor più ascrivere alla purità della mente e del cuore, onde
traeva facilmente gli altri a venerarla in lui e quindi a praticarla. Diremo tutto in poche
parole: vi furono giovani dell‟uno e dell‟altro sesso, che si può dire, fossero dominati da ogni
vizio, e tuttavia si videro uscire edificati dai colloqui avuti con lui, prendere tosto
accendimento in amore della morigeratezza e divenire i piú appassionati amanti della bella
virtú.
Vi fu un tempo in cui invalse piú che in altro tempo la scandalosa moda nelle donne di
vestire liberamente. È inutile il dire quanto quell‟anima pura ne fosse accorata. Prima ricorse
alla preghiera, poi si decise a parlarne dal pulpito e ancora esortò altri sacerdoti a fare lo
stesso. Dopo di che non vedendo ancora nessun risultato diede alle stampe un libriccino
alquanto elegante intitolato: “Due parole all’orecchio delle gentili signore”. In esso per
prudenza non appose il suo nome; fu divulgato subito per Genova, e qualche bene deve aver
fatto, perché le ammonizioni qua e là condite, se vuoi, da qualche detto satirico dovevano
mettere nelle interessate un po‟ di vergogna e pentimento.
L‟amor suo all‟angelica virtú fu veramente singolare, e si potrebbe dire, Iddio aver disegnato
lui a esserne l‟apostolo nei difficili tempi che corrono. Quante devono essere quelle anime,
che allettate dalle sue parole o dagli scritti, avranno deciso di conservare in mezzo alle
odierne corruttele il candore verginale! Le Congregazioni delle figlie e dei figli
dell‟Immacolata, le Figlie della Purità, la Congregazione delle vedove cristiane, il cui fine
principale è appunto la conservazione nelle prime della verginità o nelle altre della castità
vedovile, erano allora in fiore, e a tutt‟oggi si allietano di numerosi congregati. E tutte queste
Congregazioni ebbero forti incitamenti ed aiuti dal suo zelo.
Sono assai note le operette che scrisse in lode della verginità. Come per es.: “La forza di un
libretto”, “La gemma delle fanciulle cristiane ossia la S. Verginità”, “II Paradiso in terra nel
celibato cristiano”, “La lettera sul celibato”. Queste sono tutte eccellenti operette, dove egli
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fa mostra di uno zelo accesissimo per difendere, inculcare ed esaltare quella virtú, che diede
tanti santi alla Chiesa e ne forma lo splendore, la grandezza e l‟ornamento piú bello.
II giglio verginale vuole crescere in mezzo alle spine; se queste non lo circondano, corre
pericolo di perdere la sua freschezza e il suo candore. Quindi il Frassinetti pose ogni cura per
attorniarsi di queste spine, che sono la mortificazione, la povertà e la fuga dall‟ozio. Quanto
alla prima, cioè alla mortificazione e all‟ultima cioè alla fuga dell‟ozío, da ciò che fin‟ora si è
detto, si può facilmente dedurre che la sua vita dovette essere una penitenza e continua croce,
perché fu sempre schivo dei piú leciti piaceri; oltre di che la sua operosità ha quasi del
mirabile e ci rivela quanto fosse buon amministratore del tempo. Fu egli mortificato negli
occhi, per cui nessuno sguardo si permise ad oggetti vani, alle creature, e nemmeno alle sacre
immagini se non presentavano la piú severa modestia. Quindi la prima cosa che fece sia a
Quinto sia a S. Sabina fu di procurare che tutte le immagini, le quali potevano in alcun modo
offendere la purità degli occhi venissero in bella guisa ricoperte senza danno dell‟arte. Si fece
dipingere molti quadri della Madonna, e con istanza raccomandava ai pittori che il Bambino
in braccio alla Madonna fosse interamente vestito, dicendo che non si può supporre che la
Madonna Immacolata abbia tenuto mai in braccio il Bambino scoperto, e che il dipingerlo
nudo fu un ritrovato dei pittori poco modesti. .
Giunse fino a togliere da alcuni Messali l‟immagine della Annunciazione, perché l‟Angelo
non gli sembrava del tutto modesto; ed erano Messali di lusso, rilegati elegantemente.
Nella benedizione delle case in Quaresima, che voleva far sempre lui stesso, perché diceva
che il parroco poteva far molto bene, osservava con diligenza se vi fossero immagini
indecenti, e se ne vedeva alcuna con buona grazia voleva che la togliessero.
Ne vide un giorno una proprio indecente, e conoscendo che erano persone che non conveniva
dir loro che la togliessero, chiamò una buona donna e le disse: “Andate un po‟ in quella casa,
e fate in modo di togliere quella figura: io vi darò un bel quadro, e fatevi dar quella e
gettatela nel fuoco”. Andò e fece come le disse il Priore, e in luogo dell‟indecente, vi
sottentrò la divota.
Le stesse industrie usava per togliere dalle case i cattivi libri e sostituirvi i buoni, che
regalava.
Fu mortificato nel vestire; non erano già logori i suoi panni, ma nulla aveano di effemminato:
amava ciò che può convenire al decoro e nulla piú. Nel cibo e nel bere era piú che frugale;
non fu mai veduto mangiare fuori di pasto; dalla sua mensa era sempre esclusa la vanità e il
lusso secolaresco. Nei giorni di solennità non si mostrava scarso coi sacerdoti ed altri
inservienti della chiesa, c‟era cibo per tutti; ma intingoli, leccornie, squisitezza dì cibi e di
vino mai. Egli le disapprovò sempre nei pastori di anime e certo non andò errato: a questo
modo, soleva dire, si evitano le spese superflue che si possono usare per opere di maggiore
vantaggio e si toglie ai malevoli ogni pretesto di dire e di biasimare.
Che dire poi degli arredi di sua casa? Vi aveva proprio i necessarii, e questi dei più comuni e
assai vecchi; non c‟era grande quantità di libri, né lusso con rilegature eleganti, tutto spirava
semplicità e povertà. Forse,avendo buon gusto per le belle arti, si procurava qualche bel
quadro di qualche eccellente autore; però fu ben parco e anche di questi ne ebbe pochi.
Si aveva fatto di propria mano una spatola di canna per tagliare le pagine dei libri e la tenea
sopra il suo scrittoio. Una volta la vide un giovine prete suo penitente, che poi si fece
Gesuita, e rincrescendogli di vedere quella miseria, gliene regalò una d‟avorio con un
crocefisso ugualmente d‟avorio. Egli gentilmente l‟accettò; tuttavia si tenne cara la sua e
volle sempre conservarla. Il suo calamaio era un bottiglino d‟inchiostro che costava quattro
centesimi, e si serví sempre di questo per scrivere tante e sí pregevoli opere.
Osservò scrupolosamente la moderazione nel sonno; per tempissimo si alzava e dopo le
consuete preghiere andava al confessionale, dove erano in continuazione dei penitenti che lo
aspettavano. E veramente del riposo fu ben poco amante; infatti se la cosa fosse altrimenti,
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non avrebbe spese le lunghe ore e non già per alcuni mesi ma quasi ogni giorno, nel
confessionale. Ogni sacerdote che confessi sa per esperienza quanto costi l‟amministrazione
del sacramento della penitenza, e come un po‟ di sollievo sia necessario dopo quella fatica.
Eppure egli al confessionale faceva immediatamente subentrare o lo studio o la recita
dell‟Ufficio o qualche altra occupazione di ministero. Egli confessava ogni volta che ne era
richiesto, cosicché vi erano giorni nei quali entrava nel confessionale tre quattro volte dopo
esservi stato tutta la mattinata. Anime assai date alla perfezione se lo scelsero a direttore;
uomini inveterati nel vizio non si rifiutavano di contentarlo, se li esortava a confessarsi, e ne
uscivano consolati, e alcuna lacrima furtiva faceva conoscere che non si erano confessati per
cerimonia. Egli accoglieva tutti e a tutte le ore e si intratteneva con loro con una pazienza
veramente eroica.
Ora la sua pazienza è prova della sua mortificazione, infatti senza di questa l‟anima si stanca
e rifiuta da ogni sacrificio e travaglio.
Con un tenore di vita cosí povera e mortificata vinse se stesso, custodí il suo candore ed
ebbe, si può credere, la fortuna di portare immacolata nel cielo la stola della innocenza
battesimale.
CAPO X
DELLA SUA DIVOZIONE VERSO IL SS. SACRAMENTO
E MARIA SANTISSIMA
È scritto che il giusto vive di fede: Iustus meus ex fide vivit (Eb 10, 38); perché la fede è
quella che dirige tutte le sue azioni, lo guida in tutti i suoi passi; e gli affetti, i pensieri e le
parole medesime regola e governa. II Priore era uomo di fede, e come uomo giusto anch‟egli
viveva di fede; e fu la sua una fede illuminata, viva ed operosa, quale è necessaria al
Sacerdote per esercitare con frutto e costanza le opere del sacro suo ministero. Questa fede in
lui cosí viva, unita ad uno spirito di grande pietà e divozione, lo portava con fervore a quel
Sacramento che è detto per eccellenza il Mistero di fede. Fu divotissimo del SS. Sacramento,
ne parlava dal pulpito o dall‟altare con veemenza e tale amore che ne innamorava gli altri. Ne
impiantò il culto perpetuo a Quinto, e già lo dicemmo; quando fu in città, valendosi
dell‟opera di altri sacerdoti, lo impiantò e diffuse senza badare a difficoltà o a spese. Fu il
Frassinetti che cooperò allo istituzione in S. Torpete, chiesa gentilizia, dell‟adorazione
notturna al SS. Sacramento, ove due volte alla settimana dalle 9½ della sera fino alle 5 circa
del mattino seguente vi è sempre alternata da un gruppo di iscritti l‟adorazione al SS.
Sacramento; e in questi gruppi, quando era il suo turno, non mancava mai il divoto Priore, e
quando morí era presidente della commissione per questa opera veramente di fede che zelava
con grande impegno perché aumentasse di membri e perché non mancasse di cappellano per
la Messa e la benedizione.
Quando era in chiesa, se si trovava libero dai penitenti, andava subito in coro o all‟altare
maggiore a fare l‟adorazione al SS. Sacramento. Non passava mai davanti ad una chiesa
senza scoprirsi riverentemente il capo, e se aveva tempo vi entrava, e per un certo tempo vi si
fermava a fare una visita a Gesú, a Maria e a S. Giuseppe. L‟amor suo a Gesú Sacramentato
lo mosse anche a raccomandare la comunione frequente e anche quotidiana, e si valse di tutte
le occasioni per diffondere questa pratica. Dall‟altare, dal confessionale, e cogli scritti
s‟impegnò con tutte le forze per rendere persuasi i fedeli e i confessori del gran bene che
deriva alle anime dalla comunione frequente. La Dissertazione che fece sulla comunione
quotidiana, inserita nella sua Teologia Morale, è tal lavoro, che rivela in lui non solo una
vasta dottrina e discernimento acutissimo dei vari bisogni e condizioni delle anime, ma anche
un amore molto ardente verso l‟adorabile Sacramento. L‟ultima operetta che scrisse, e non
ebbe tempo di stampare, è intorno a questo Mistero. Egli la intitolò: “Il Convito del divino
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Amore”. Nel leggerla tu provi un sentimento di gaudio e di amore, e ti pare di udire un‟anima
che sia già sul limitare del Paradiso vicina ad abbandonare la fede e la speranza per vivere
della sola carità. Fu stampato per cura dei suoi fratelli dopo la sua morte.
Tanto amore a Gesú sacramentato e tanto zelo per diffondere la pratica della santa
comunione non restarono inefficaci. Anime innumerevoli presero con il suo consiglio a
procurarsi un tanto bene, cosicché le comunioni generali in S. Sabina erano cosa tanto
comune che non sorprendeva piú chi era avvezzo a frequentarla. Con questo mezzo si allevò
e crebbe nel santo timore di Dio uno stuolo di giovani dell‟uno e dell‟altro sesso; ciò era di
edificazione delle loro famiglie e dei vicini. Di queste giovani e pie zitelle se ne serviva per
diffondere pagelle devote piene di cristiani sentimenti da lui scritte e per attrarre altri
fanciulli e giovinette a confessarsi e ad intervenire alla dottrina cristiana. Già che parliamo di
pagelle, non si deve tacere come una volta in un solo giorno ne fece stampare per diffonderle
sedicimila, che contenevano una bella orazione a N. S. della Guardia. Alla fine del mese
mariano preferiva distribuire queste pagelle o altri librettini che componeva appositamente,
piuttosto che imagini o medaglie, perché, diceva, può darsi che un buon sentimento letto
abbia col tempo a dare il suo frutto.
La sua divozione al SS. Sacramento lo portava inoltre a procurare ogni nettezza in ciò che
riguarda il sacrificio della Messa; voleva sempre pulitissime le tovaglie dell‟altare, i corporali
e i purificatoi; ugualmente le ampolle dell‟acqua e del vino voleva che tutti i giorni fossero
ben lavate, né permetteva che il vino vi fosse lasciato dentro da un giorno all‟altro. Voleva
che tutti i sabati si purificassero i vasi dell‟acqua benedetta e si rinnovasse l‟acqua e non
sopportava che questa fosse torbida. Queste potranno forse parere piccole cose, ma mentre
hanno la loro relativa importanza, rivelano una gran riverenza alla celebrazione del grande e
santo sacrificio; e certo coloro fra i sacerdoti che non osservassero la debita pulitezza nella
biancheria che serve cosí da vicino alla santa Messa, può dirsi francamente che le manchino
del dovuto rispetto e che languida sia in loro la fede e ben poco l‟amore a Gesú Cristo;
perché a mantenere questa nettezza non si richiedono alla fine grandi spese; un poco di buona
volontà, un po‟ piú di fede e meno amore all‟interesse rimediano a tutto. Egli avrà avuto la
tovaglia della sua mensa di tela non fina o rattoppata, nulla gliene importava; ma la sua
chiesa e gli altari brillavano sempre pel massimo decoro e pulizia degli arredi e delle
tovaglie.
Nella settimana santa procurò, finché visse, di fare le funzioni di celebrante per non rimaner
privo nemmeno in quei giorni del bene di ricevere il suo Gesú nell‟adorabile Sacramento. Era
questo un effetto del suo vivissimo desiderio di ricevere Gesú Cristo, il caro oggetto del puro
suo cuore. Tolta qualche occupazione imprevista che ne lo avesse distolto, premetteva
sempre alla santa Messa la dovuta preparazione e un ringraziamento anche lungo. Ci è
venuto alle mani un Regolamento che aveva scritto per sé ed altri suoi amici sacerdoti, dove
fra le altre cose raccomanda che svegliandosi alla notte, si diriga subito il pensiero al santo
sacrificio che si celebrerà nella mattina. Nel celebrare si vedea in lui un singolare
raccoglimento, ed all‟istante della consacrazione e della comunione si vedea fermarsi
alquanto e meditare sulla grandezza delle azioni che eseguiva. In chiesa vi stava col massimo
rispetto e con occhio vigile ed attento guardava se altri parlasse o facesse altre cose, perché
senza umano rispetto lo riprendeva con dolci parole. Nell‟eseguire le sacre funzioni si vedeva
compreso da grande riverenza e mostrava allora tutta la gravità del suo portamento e la
dignità del suo sacro carattere. Oltre al fatto che le faceva volentieri, , mai si rifiutò di servire
in qualche modo all‟altare o di impartire una benedizione anche quando che era semplice
prete; anzi quivi riponeva tutta la sua gioia, e molte volte si offriva egli stesso; e se gli
capitava di poter servire, ne era contentissimo.
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Ecco il Regolamento che egli intitolò:
P r o p o s i t i
fatti per me ed altri miei amici 1. Quando ci alzeremo faremo il proposito di lottare contro la passione predominante,
confidando fermamente che coll‟aiuto di Dio saremo piú forti di essa, ed in tal modo la
supereremo.
2. Purché non abbiamo qualche occupazione dalla quale non sia congruo il dispensarci,
faremo subito l‟ora di meditazione.
3. Per quanta fretta ci sembri di avere anche ragionevole di andar a celebrare la santa Messa,
non tralasceremo mai di concentrarci almeno a considerare la grande azione, che andiamo a
fare.
4. Similmente per quanta fretta ed urgenza vi sia di fare qualche cosa dopo la Messa, non
tralasceremo mai di concentrarci a considerare la grande azione che abbiamo fatto e chi è in
noi in quei momenti.
5. Si intenda però che fuori dei casi di indispensabile urgenza faremo sempre la congrua
preparazione e ringraziamento.
6. L‟ufficio lo diremo alle ore debite. Procureremo di premettere il Matutino al dopopranzo o
alla sera purché non ci interrompa le occupazioni della mattina, o non si debba differire dopo
la Messa. Le altre Ore le diremo a tempo debito, purché non ci troviamo in occupazioni, che
non sia conveniente interrompere. Si potrà anticipare Nona, Vespro e Compieta
particolarmente d‟inverno onde si abbia tempo adanticipare la recita del Mattutino.
7. Agli studi ed occupazioni libere non ci metteremo se non dopo aver adempiuto alle cose
che sono di nostro dovere. Qui bisogna mortificare il nostro genio, che tutto sovverte, anche a
buon fine, come ci lusinga.
8. In tutte le azioni di qualche considerazione facciamo una mortificazione, se però si
presenta presto alla nostra mente.
9. Sarebbe anche bene attendere a fare una mortificazione in ogni nostra azione anche meno
importante, se però l‟attendervi non ci cagionasse inquietudine, come facilmente accadrebbe
prima di esserci fatta l‟abitudine a mortificarci nelle azioni più gravi e meno frequenti nel
giorno.
10. Dopo l‟ora assegnata al pranzo un‟ora di ricreazione/mezz'ora dopo la cena, eccettuata
qualche urgente necessità che richiedesse altrimenti.
11. Sette ore di riposo, e non meno se non per urgenza: non piú di sette e mezzo, se non per
vera necessità.
12. Un quarto d‟ora di lettura spirituale.
13 Un altro di adorazione al SS. Sacramento.
14. La terza parte del Rosario almeno tre volte la settimana.
15. Un buon pensiero ad ogni salmo dell‟ufficio quando si presenti a tempo e facilmente.
16. Un Pater, Ave e Credo ai SS. Apostoli colla giaculatoria: Domine messis, mitte operarios
in messem tuam per Christum Dominum nostrum.
17. Alzare la mente a Dio in ogni azione di qualche importanza, e premettere allo studio
qualche preghiera.
18. Una mortificazione speciale al sabato in onore di Maria SS.
19. La Confessione una volta la settimana.
20. La sera un poco di esame, facendo particolare riflessione alla pace con la quale abbiamo
fatto le nostre cose nel giorno.
21. Pregare nel vestirci e nello spogliarci.
22. Al venerdí l‟ora della meditazione si impiegherà nel fare la Via Crucis.
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23. Svegliandoci la notte rivolgere subito il pensiero al santo sacrificio della Messa che si
deve celebrare la mattina seguente.
24. Ogni anno gli esercizi spirituali in qualche casa religiosa.
La sua fede e l‟amor suo a Gesú in Sacramento incitavano il suo cuore a procurare tutto il
maggior lustro e decoro non tanto per le sacre funzioni, ma anche per tutto quello che si
riferisce piú da vicino ad un cosí grande Mistero. Con tutta ragione poteva dire col salmista:
Io ho amato, o Signore, il decoro della tua casa: Dilexi decorem domus tuae, (Sal 25, 8), e lo
zelo per la gloria della tua casa mi brucía e mi consuma: Zelus domus tuae comedit me (Sal
68, l0). II tabernacolo era l‟oggetto delle sue cure. Procurò che fosse riccamente ornato
nell‟interno con fasciatura di tela in oro, con porticina dorata e bella chiave d‟argento, come
prescrive il sinodo diocesano. Dava ordini molto precisi; quanto alla lampada del SS.
Sacramento voleva che fosse ripulita spesso e mandasse un conveniente splendore. Egli era
tutto dolcezza e compativa sempre; ma se per caso avesse trovata smorta la lampada, pigliava
un aspetto severo e riprendeva fortemente chiunque fosse stato il colpevole. Questo egli fece,
e questo pure raccomandava agli altri. Nell‟operetta già accennata “Manuale del Parroco
novello” consacra un capitolo appunto per questo intitolato: Del Tabernacolo, della lampada
e vasi sacri; dove somministra utili avvisi per recare ad effetto le cose praticate da lui. Le
quali, a dire il vero, sono comuni e di tenue dispendio; tuttavia rivelano il carattere dell‟uomo
e provano a maraviglia che chi è fedele nel poco, è tale anche nel molto.
Che cosa dire poi della sua divozione alla Regina del Cielo? Egli ne fu tenero amante; l‟amor
suo verso di Lei era quello di S. Luigi Gonzaga, di S. Stanislao Kostka e del dottore della
Chiesa Sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori. Già si disse che all‟età di sei anni si era consacrato a
Lei, e col crescere degli anni in lui cresceva la divozione e l‟amore verso la cara sua Madre,
come la chiamava egli stesso. Da fanciullo fu ascritto a Nostra Signora del Carmine e portò
sempre sino alla morte il suo abitino al collo e la corona in tasca. II Rosario era per lui la
preghiera prediletta, e nella sua parrocchia di S. Sabina diede vita alla Congregazione del
Rosario, eretta da molti anni; con ferventi discorsi che faceva nella novena di questa festa ne
inculcava e raccomandava senza stancarsi la pia pratica di recitarlo specialmente nelle
famiglie. Ed egli poteva ben raccomandarlo agli altri, mentre da fanciullo e da studente era
solito recitarlo in famiglia; e dicono che quello era tutto il suo piacere, e con la sua
compostezza e divozione edificava quei di casa, specialmente quando lo recitava davanti al
presepio, che suo padre faceva bello e grande.
Era tuttavia ragazzo e già solea fare le principali novene di Maria, e si recava per tempissimo
a fare quella di N. S. Assunta in Cielo nel santuario detto popolarmente della Madonnetta. In
questo santuario vi si recava volentieri; si può dire che lo faceva con passione; del che può
esserne anche una bella prova quel suo libretto che nel 1853 diede alla luce intitolandolo: “La
divozione al Santuario di Maria SS, Assunta al Cielo, volgarmente la Madonnetta”. In esso
descrive in breve la fondazione di detto santuario ed esorta i fedeli a visitarlo e a pregar ivi in
modo speciale per la conversione dei peccatori e a recarvisi alla mattina a fare la novena in
preparazione dell‟ Assunzione di Maria al S. Paradiso. Ed inoltre esorta caldamente i padri e
le madri a condurvi nella vigilia alla sera i loro figliuoletti in processione per poter quindi,
come si costuma anche oggi, fare l‟offerta dei loro cuori a Maria.
Era solito recarsi di frequente da giovane e secolare nella chiesa di N. S. delle Vigne e
pregare lungamente davanti al suo altare. Certo non si può dubitare che a somiglianza del
ven. Carlo Giacinto fondatore del Santuario, testé nominato, della Madonnetta, le chiedesse
la grazia della vocazione allo stato ecclesiastico.
Da chierico poi cominciò a digiunare ogni Sabato in onor di Maria, e ogni anno nella vigilia
di N. S. Immacolata in pane ed acqua, essendosi fatto ascrivere alla Congregazione della
Madonna detta del Fulmine. È da notare che gli ascritti aveano obbligo, non però di
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coscienza, di fare tale digiuno una volta all‟anno nella vigilia di qualche festività di Maria.
Continuò questi digiuni per alcuni anni essendo parroco a Quinto ma, considerando che gli
potevano recar qualche danno alla salute, dovendo specialmente al sabato confessare molto e
alla domenica predicare piú volte, si contentò di una sola mortificazione al sabato.
Nondimeno, tenero come era dell‟amore alla dolce sua Madre, è da credere che ne facesse
assai o interne od esterne; intanto notiamo che non fu mai solito mangiare fuori di pasto, e ci
si accorse che faceva questo appunto per onorare Colei, che dopo Dio formava l‟oggetto piú
caro del suo cuore.
Ad imitazione di S. Stanislao Kostka prese da fanciullo la bella abitudine di salutare le sue
immagini che avesse incontrato per via, e procurò sempre che lo facessero anche gli altri.
Ed oh quanto godeva che fossero salutate le sue immagini! Quando era parroco a Quinto
aveva nel suo studio una bellissima statua di Maria; a lui parve che se l‟avesse collocata in
apposita nicchia sulla porta della canonica avrebbe riscosso venerazione dai passanti; non vi
volle altro; se ne privò e la sua statuetta fu collocata lí fuori. Alcuni però vedendo la bellezza
di quell‟immagine rimasero sopresi, facendogli osservare che le intemperie del tempo
l‟avrebbero guastata. “Ciò, rispose egli, ciò non avverrà tanto presto; a me basta di vederla
ora salutare dalle persone che passano”. Egli ne godea grandemente di vedere salutata
l‟immagine della celeste sua Madre; in S. Sabina ne collocò una sulla porta esterna che mette
in canonica ed in chiesa; ne collocò una seconda nel piccolo atrio per il quale si va in coro ed
in chiesa; un‟altra poi un po‟ piú grande pose in cima della scala dove è rappresentata la
Vergine che porge a baciare il piede del divino suo Figlio; e il Priore vi stabilí l‟uso di questo
bacio, e anche adesso tutti coloro che già vi erano avvezzi, nell‟ascendere e discendere le
scale si fermano a baciare il santissimo piede. Quante volte con modesto sorriso fu udito
esclamare: “Oh quanto mi è dolce che le mie Madonne sieno salutate da coloro che passano
per la via, o salgono alla mia casa!”
Però il fervente amor suo alla Vergine non si tenne pago ancora; instituí nella sua chiesa tutte
le possibili divozioni con cui onorarla e propagarne il suo culto. Egli fu dei primi parroci a
fare il mese mariano con grande solennità; e poi novene e tridui ad onore di Maria erano cosa
di tutti i mesi. Fu per ordine suo che tutti i giorni si vedea accesa la lampada all‟altare di
Maria. Andò ancora piú oltre: dettò pagelle, novene, libretti pieni di celeste unzione dove ne
raccomanda con i suoi modi industriosi la divozione e l‟amore. II librettino intitolato:
“Un’ora di santa allegrezza”; un altro: “Amiamo Maria”, e l‟altro: “L’ossequio più gradito a
Maria”, sono bella prova dell‟affetto suo tenerissimo verso di Lei. Fece ristampare più volte
a sue spese questi libriccini; ne vendette molti al prezzo che gli costavano, ma per lo più li
distribuiva in chiesa, ne regalava moltissimi, e dalle Figlie della Purità li faceva circolare per
le case. Tutti i giorni prometteva a Maria che si sarebbe impegnato perché altri ancora la
servissero. “Vi eleggo, dicea, per mia Signora e Madre e mia singolare Avvocata e
fermamente propongo di volervi sempre seguire e servire e di fare quanto potrò perché da
altri ancora siate servita”. È questo un brano di preghiera manoscritta che tenea nel suo
genuflessorio insieme ad altre orazioni egualmente manoscritte che recitava ogni giorno.
Era divotissimo dei dolori della cara sua Madre. Questa divozione la praticava egli stesso col
recitare ogni giorno i sette colloqui ad onore dei sette dolori, la inculcò e promosse sempre
nella sua parrocchia. Perciò ad onore di Maria Addolorata praticò nella sua chiesa il
carnevale santificato, l‟esercizio della Via Matris e ne stampò il metodo per farla. Di
quaresima ed in settembre ne solennizzava la festa con una devota funzione; in quella
circostanza le sue parole erano cosí commoventi che riusciva difficile tenere le lagrime.
“Ahi, esclamava con indicibile tenerezza, qual doveva essere il dolore di Maria vedendo da
quel durissimo legno agonizzare il caro suo Figlio! Stava egli confitto in croce straziato dalla
piú tormentosa agonia. Colla testa coronata di spine, coperto, si può dire da sola una piaga,
trafitti i piedi e le mani da chiodi, colavano le ultime gocce del divino suo Sangue vicino e
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forse sopra il capo della benedetta sua Madre. Oh quale martirio per Gesú e per Maria non
compatiti da alcuno, ma ancor bestemmiati dal popolo circostante!” È un semplicissimo
pensiero, ma enunciato da lui tanto penetrato da ciò che predicava e con quel fervore che gli
era abituale, mirabile effetto producea in chi l‟ascoltava. Chi scrive può assicurare un tal
fatto, perché ne fu piú volte testimone.
Fin qui abbiamo veduto alcune cose dello studio indefesso che metteva per propagare la
divozione a Maria; tuttavia l‟amor suo sempre crescente non si contentò di queste sole
industrie. Egli conoscea per esperienza che con la stampa si può fare del gran bene; quindi
mise mano a dettare nuovamente alcune operette, di poca apparenza se vuoi, ma capaci di
produrre dei buoni effetti. In un libriccino finge che Maria parli ai suoi divoti, e loro inculchi
utilissimi ammaestramenti intorno alla vita cristiana; cosí in bel modo instruisce i fedeli sulla
vera divozione che hanno a professare verso della Madonna. Il titolo che gli diede è questo:
“Parole di Maria ai suoi divoti”. Volle additare le sublimi virtú della celeste Regina, e allora
diede alla luce un altro librettino intitolato: “Le dodici stelle, ossia le virtù della B. Vergine
Maria”. Desiderò far conoscere vari mezzi e pie pratiche a lui piú care con cui onorarla e
quindi dettò i seguenti: “Coroncina dell’Immacolata Concezione”, “Divota corona a Maria
SS.”, “Mazzolino di fiori pel mese di Maria”.
Notiamo brevemente che all‟Augusto Sposo di Maria, S. Giuseppe, professò in tutta la vita
singolare divozione. Aveva il suo nome; pensiamo ora quanto quel cuore ardente di tanto
amore per Maria dovesse ardere ancora per S. Giuseppe! II libretto: “Amiamo S. Giuseppe”,
in cui ne dimostra la grandezza e le virtú lo dice assai chiaro, e sopratutto ne è prova
quell‟altra operetta più voluminosa, che ha per titolo: “Vita di S. Giuseppe descritta in sette
lezioni”. Quest‟operetta fu accolta e lodata da tutti; fra gli altri il pio Gio. Batta Canale, dotto
Canonico della Metropolitana, mancato ai vivi il giorno 5 dicembre 1874, non smetteva di
lodarla, e disse piú di una volta: “Oh che bel libro ha fatto il Frassinetti, io lo leggo e rileggo
e sempre piú mi piace!” E volle farne acquisto di moltissime copie per distribuire nelle
famiglie. Questo libro fu anche ristampato nelle Letture Cattoliche di Torino.
La divozione a Maria è l‟anima della cristiana pietà; per essa le stesse pratiche di religione
riescono piú deliziose. II popolo accorre volentieri alle sue feste; e particolarmente il mese
mariano, reso ora universale per lo zelo di tanti parroci e sacerdoti è frequentato forse anche
dai meno divoti e con qualche frutto. Noi sacerdoti vediamo di non istancarci nel propagare
queste ed altre pie pratiche ad onore di Lei; i buoni ne restano infervorati, e la grazia di Dio e
l‟intercessione di Maria riconduce bene spesso a migliori consigli non pochi tiepidi e
malvagi. II buon Priore con questo mezzo operò nella sua parrocchia e fuori di essa un gran
bene; fece cessare molti scandali, condusse pentiti ai piedi di Maria ostinati peccatori,
riformò i costumi, radicò nella pratica del bene molta gioventú assai educata al male o
negletta dai parenti; e poi se egli pervenne a tanta perfezione, è da credere che per
conseguirla gli sarà giovata assai la divozione alla Regina dei Santi.
CAPO XI
DELLA SUA CARITA' VERSO IL PROSSIMO
Sebbene la vita di quest‟uomo di Dio sia stata una catena non interrotta di benefici che
prodigò a favore dei suoi simili, tutta sacrificata per il bene degli altri, tuttavia vi sono certi
fatti particolari dei quali sarà conveniente far menzione.
Bisogna sapere che procurava sopratutto di fare molto risparmio nel vitto come negli abiti per
il solo fine di poter largheggiare nell‟elemosina. Aborrí dalla spilorceria, perché in lui non vi
fu mai desiderio di arricchirsi. Infatti quali beni ha egli lasciato ai suoi fratelli? La ricchezza
maggiore furono i suoi libri, ed erano pochissimi; nacque di mediocre condizione e non
ostante tanti anni di vita attiva e copiose elemosine ricevute da persone doviziose per i suoi
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poveri, onde poteva risparmiare del suo, nondimeno fu veduto morire in mezzo alla
mediocrità. Egli del denaro ebbe sempre quella stima che ne ebbero i santi, lo stimava cioè in
quanto che può servire ad operare del bene e farsi dei meriti per la vita eterna. Non diede mai
alle ricchezze altro valore; fu assolutamente convinto di ciò che scrisse il massimo dei dottori
S. Gerolamo, che è un vero disonore per i sacerdoti la brama del lucro e delle ricchezze:
Ignominia sacerdotum est propriis studere divitiis. Diceva che se le popolazioni s‟accorgono
che un sacerdote, e specialmente un parroco, è avaro, per lui è finita; non isperi piú di poter
operare in mezzo a loro il minimo bene; disgraziate le parrocchie che hanno di questi pastori
detti avari. Può essere buon appoggio di quanto diciamo l‟operetta che dedicò specialmente
alle persone facoltose, la quale ha per titolo: “Dell’impiego del denaro”. Ivi fatto bene
rilevare il fine che hanno i beni pecuniari, passa poi a parlare, con facilità e gaiezza dei modi,
dei mezzi con cui si hanno a trafficare dal cristiano, che ne è fornito. Sono notevoli quelle
parole che rivolge ai ricchi, esortandoli a promuovere il bene coi loro mezzi: “Voi che avete
molto, dovete dar molto, e darlo in vita, e non aspettare a disporre dei vostri averi dopo
morte, quando nulla potrete piú ritenere per voi, ché questo sarebbe un misero sacrificio”.
Egli in tutta la sua vita di parroco non fece altro che spendere a vantaggio degli altri i suoi
proventi. Stampava libri e ne vendeva assai, ma molti gratuitamente dava e faceva pervenire
nelle famiglie. I poveri e i peccatori furono sempre l‟oggetto delle sue sollecitudini; non fu
mai visto fare ai poveri un solo rimprovero, anzi li accoglieva col massimo rispetto, amava
conversare con loro e prendeva parte ai loro affanni e miserie. Per tutti vi era sempre qualche
cosa; e siccome gli importavano grandemente i bisogni delle anime, cosí s‟insinuava
destramente nei loro cuori per conoscerne le piaghe; conosciutele, allora apriva anche piú
largamente la mano, e dal soccorso corporale passava subito con zelo e maravigliosa
prudenza allo spirituale. L‟amore che portava ai suoi parrocchiani non si limitava a giovar
loro mentre viveano, ma dopo morte procurava loro il suffragio col fare annue preghiere e
tridui particolari a pro loro. Avvenendo la morte di qualche suo parrocchiano povero, egli,
fedele ai decreti del sinodo, gli applicava tosto per una volta la santa Messa.
La sua carità si estendeva a tutti i bisogni che affliggono gli uomini. Vi erano madri povere
con numerosa prole e per giunta desolate per la pessima vita del marito, ed egli accorreva
subito in loro aiuto. Procurava qualche mestiere ai figliuoli più grandicelli, con doni li faceva
venire alla chiesa, li istruiva egli stesso o per mezzo dei fratelli, uno dei quali tenea una
Congregazione apposita per i giovinetti, spediva soccorsi, andava qualche volta a visitare le
loro case, cercava con lui modi di lenire il loro dolore, e vi riusciva a maraviglia. Quelle
infelici si acquietavano, tenendosi fortunate di sentirlo parlare con quelle sue maniere dolci e
soavi. Sono moltissime le giovani pericolanti o pericolate che sistemò in luogo sicuro. Anche
quelle meno condiscendenti a ritirarsi dal mondo non sapevano resistere ai suoi inviti. Ve fu
una fra le altre, a cui nulla valsero le esortazioni di molte savie zitelle Figlie dell‟Immacolata,
né le preghiere di una signora che arrivò a prostrarsele ai piedi, ed offrirle ancor dei denari. A
nessuna promessa volle mai arrendersi. La cosa andava troppo per le lunghe, e intanto questa
giovinetta col perverso costume formava lo scandalo della sua contrada. Si raccontò il fatto al
Priore, il quale ordinò subito ad una figlia dell‟Immacolata assai giudiziosa che studiasse
ogni modo per condurla a lui. Dio volle che vi riuscisse, e subito la condusse alla sua
presenza. II Priore le fece lietissima accoglienza, volle che facesse colazione in canonica,
quindi additandole l‟immagine della Madonna. “Or via, le disse, tu devi dirle un‟Ave Maria,
ella è tua Madre, devi perciò onorarla”. La giovane si inginocchiò davanti a quella immagine,
e appena l‟ebbe recitata, “Dunque, ripigliò il Priore, è vero quello che mi hanno detto che
non vuoi andare per un poco di tempo in quel collegio?” A tale dimanda essa ammutolí e
crollò il capo. La figlia che l‟accompagnava: “È vero, disse, non siamo state capaci a
persuaderla”. “Oh ci scommetto, soggiunse il Priore, che a me non lo vorrai dire di no”. A
tali parole la giovane si fece immobile, parve per un momento sopra pensiero e poi,
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guardando il Priore, rispose: “No, signor Priore, a lei non lo dico di no; però vorrei che ella
stessa mi accompagnasse al collegio”. “Ebbene, quando è cosí, io son pronto ad
accompagnarti”. Ciò detto, insieme alla Figlia dell‟Immacolata, la condusse nel luogo di
ritiro, e nel cammino di tratto in tratto essa si voltava indietro per vedere se egli la seguiva.
Rimastavi per qualche tempo, fu ricondotta a migliore consiglio.
Un giorno una giovane tutta addolorata si recò in casa delle Figlie delÍ‟Immacolata e ad una
di esse espose, piangendo, che dovendo cambiar casa, la padrona non avrebbe permesso che
portasse via la roba se non la pagava e le mancavano dieci lire per pagare l‟affitto. E ciò
dicendo piangeva né volea darsi pace; la figlia dell‟Immacolata pose mano a consolarla, e fra
le altre cose le disse: “Ecco, siamo appunto nella novena dell‟arcangelo S. Raffaele, a lui
raccomandatevi di cuore, e poi confidate; il cristiano non deve mai disperare”. “Avete un bel
dire, ripigliava l‟altra, ma intanto mi trovo in questa necessità”. In quel momento, arriva il
Priore, che era solito andarvi per tener loro qualche discorsetto sulla pietà e per vedere come
si diportassero le subalterne. Entrando egli, quella giovane col volto tuttavia addolorato se ne
andò; esso chiese tosto perché fosse cosí afflitta quella giovane che era partita. Gli fu
raccontato il fatto; il che udendo il Priore e sorridendo, soggiunse: “E voi che cosa le avete
detto?” La figlia rispose averla esortata a raccomandarsi all‟arcangelo S. Raffaele. “Va bene,
ripigliò il Priore; ora guardate che combinazione; mentre venivo qui, incontrai un signore il
quale mi consegnò appunto dieci lire, dicendomi di impiegarle in quel modo che credevo
miglio”. “L‟ha proprio esaudita, esclamò la figlia dell‟Immacolata, l‟ha proprio esaudita
l‟arcangelo S. Raffaele!” “Eccovi dunque le dieci lire; datele a quella giovane, ditele che
ringrazi l‟arcangelo S. Raffaele perché si vede che ha ascoltato la sua preghiera”. Si seppe
poi da quella giovane nel consegnarle il denaro che appena partita dalla casa delle Figlie
dell‟Immacolata si era recata direttamente nella chiesa di S. Giorgio, dove si venera il
glorioso arcangelo, e quivi era stata alquanto davanti al suo altare a pregarlo per la grazia
desiderata.
Voleva egli stesso amministrare le elemosine; procurava di ben conoscere i poveri della sua
parrocchia; una volta conosciutili, non cessava mai dal soccorrerli, e insieme ai soccorsi
aggiungeva con bel modo qualche buon sentimento per incitarli al bene; e coloro che
intrapprendevano a cambiar vita e costumi, non erano pochi. In tal modo provvedeva al
duplice bisogno dell‟uomo, spirituale e corporale, nel che consiste la vera carità comandata
da Gesú Gristo.
Vedea specialmente nelle giovanette molta dissipazione, trastullarsi quasi l‟intera giornata
per le vie insieme a giovinetti e fanciulli forse sboccati e maliziosi, e i genitori o per i loro
negozi o per negligenza chiudere gli occhi e non curarsene affatto. Ciò gli dispiaceva
fortemente e pensava al modo onde provvedervi. Dapprima si adoperò colle Figlie
dell‟Immacolata affinché destramente s‟insinuassero nell‟animo di quelle giovanette e con
qualche premio che comperava egli stesso, le attraessero almeno a confessarsi. A lode della
verità è da dire che costoro lo aiutavano grandemente, riuscivano a radunarne un buon
numero per settimana o per mese, le conduceano alla dottrina e a confessarsi. Egli vi si
prestava volentieri e in quest‟opera faticosissima v‟impiegava delle ore continue.
Vedendo che la cosa progrediva bene, ma che però si poteva fare assai piú, se tutte quelle
giovinette piú giudiziose si fossero adoperate esse pure a condurre altre piccole amiche alla
Chiesa, aprí una seconda casa detta delle Figlie dell'Immacolata. Essa consisteva in una
camera nella quale aveva posto un piccolo armadio con invetriata e dentro vi collocava un
gran numero di premi, come statuette, quadretti, immagini, crocifissi, corone ed altre simili
cose. Questi, alla fine dell‟anno erano distribuiti a quelle fanciulle che aveano maggior
merito di fronte a quella piccola società; il qual merito consisteva nell‟avere condotte fra
l‟anno altre ragazzette a confessarsi e alla dottrina. Dava loro un pezzetto di carta a cui aveva
dato il nome di buono, con sopra scritto il valore; per es. un buono, poteva valere due, tre,
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anche cinque premi secondo lo zelo maggiore di quelle giovinette. Nella distribuzione di
questi premi egli volea fare ogni anno un poco di festa, vi assisteva, e poi confortava quelle
piccole apostole a proseguire nel bene che facevano.
Era lietissimo di questi suoi ritrovati e ne ringraziava il Signore; quindi, toccando con mano
il bene grande che potevano fare le fanciulle dirette e spronate da altre più grandi e di
maggiore giudizio, ed essendo avvenuti sotto i suoi occhi alcuni fatti, nei quali si vede come
Iddio ordinariamente si serve degli strumenti piú piccoli e piú deboli per compiere le opere
sue, stampò un librettino di circa 60 pagine, intitolato: “La missione delle fanciulle, racconti
contemporanei”. Di questi racconti vogliamo riferirne due, i quali potranno servire di
piacevole trattenimento al lettore.
Ecco il primo: “N. N. è una fanciulletta tra i dieci e gli undici anni non ancora ammessa alla
santa comunione: è certo bastantemente savia ed istruita per esservi ammessa alla prossima
Pasqua. Ella ha un drappello di piccole ragazzine, minori di sé, tutte sopra i sette anni, che
raccoglie alle feste dai vari vicoli della sua parrocchia per condurle a messa; ogni mese poco
piú o meno, le porta a confessarsi; le quali cose non farebbero le loro madri troppo
affaccendate o trascurate.
Una domenica verso le dieci di mattino le conduce ad una chiesa parrocchiale dove hanno il
loro confessore, ma non lo trova in confessionale. Sale tosto col suo drappelletto le scale
della canonica e bussa alla porta del parroco, il quale le apre in persona; ed ella: Signor
Parroco, v' ha il prete N. N.? No, è uscito, le risponde, né so se ritornerà presto: per qual
motivo lo cerchi ? E quella: Mi deve confessare queste figliuole, ohimè! che cosa faccio se
egli non viene? E il parroco: Certamente potrebbe ritardare ancora assai; è meglio che tu le
porti un’altra volta. Ma quella: Signor Parroco, bisogna che si confessino adesso, perché
hanno tutte dei peccati. E il parroco, sorridendo: Figliuola, come sai tu che abbiano tutte dei
peccati? Ne hai mica anche tu dei peccati? La fanciulletta: Io mi sono confessata or sono
cinque giorni e non ne ho più fatto: esse invece non si sono confessate da alcune settimane, e
so che ne hanno fatto: Perciò bisogna che si confessino. E il parroco, messosi sul serio: Se è
cosí, è pur bene che si confessino; penso che il confessore potrà arrivare anche presto:
quindi potresti alquanto aspettarlo. Ti dico intanto che mi piace assai che tu ti prenda cura
di queste piccoline. Vien qua che per questo bene che fai voglio darti un premio, e darò una
immaginetta anche ad esse. Le dava allora una coroncina e un‟immagine della Madonna. Ed
ella: Signor Parroco, si incomoda troppo, non faccia tanto per me. Tieni, tieni, le rispondeva,
e dava alle altre una divota immaginetta, dicendo loro: Siate brave e fate sempre ciò che ella
vi dice. Signor Parroco, ella ripigliava, appunto le raccomandi questa cosa, mentre che piú
volte non mi vogliono ubbidire. Ed egli: Sta allegra; per l’avvenire ti ubbidiranno. Adesso
andate in chiesa e vedete se viene il confessore. Egli infatti arrivava a tempo per confessare
quelle piccole peccatrici.”
Questo fatto è accaduto a lui stesso. Ora raccontiamo il secondo, che è di una fanciulletta
della medesima età, la quale nella Pasqua di quell‟anno doveva essere ammessa alla
comunione: Anch‟essa, dice il Priore nell‟accennato libretto, anch‟essa raccoglie piccole
fígliuole al medesimo fine. Una mattina si porta infatti da una madre di famiglia e le chiede
una sua figliuolina per condurla a confessarsi. Si trova ivi a caso una donna già attempata, la
quale, ammirata di tanto zelo in sí tenera età, la guarda amorosamente e le dice: O mia
figliuola, non vorresti portare anche me a confessarmi? Cui la fanciulletta : Certo che vi ci
porto: sono pronta quando volete. O cara figliuola, ripiglia la donna, se tu sapessi che sono
sette anni che non vi sono stata più! E quella: Ciò conta poco: datemi l’appuntamento. La
donna allora: E mi ci porti davvero? Certo, risponde, che vi ci porto: datemi l’appuntamento.
La donna sempre più ammirata e commossa: Venerdí mattina a quest’ora. Va bene, le
risponde graziosamente, guardate di non mancare. Al venerdí mattina la donna era là e
all‟ora fissata arrivava la fanciulletta. Si sarebbe ivi veduto, come suol dirsi, il mondo a
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rovescio: la bambina che insegna la strada alla vecchia. L‟accompagnò allora dal suo
confessore, il quale aveva altre penitenti al confessionale. La donna dovette rimanersi
l‟ultima, e la fanciulletta se le fermò a fianco; messasi poi la donna al confessionale, rimase
ella al suo posto. La donna stette quasi un‟ora al confessionale: ritirandosene, il confessore si
alzava e andava tosto a comunicarla. Si era fatto tardi: forse la donna aveva fretta di ritornare
a casa per le sue faccende; quindi, fatta assai breve preghiera, si alzava per uscire di chiesa.
La fanciulletta che era stata sempre lí aspettandola, e si direbbe, facendole la guardia,
vedendo ciò, si levò tosto, e, “Donna, le disse, vi siete comunicata quasi adesso e già uscite
di chiesa? Dopo la Comunione si ha a fare il ringraziamento”. “Hai ragione figliola mia”,
rispondeva la donna meravigliata e confusa; quindi si fermava a ringraziare il Signore pel
tempo conveniente.
Da questi fatti si può argomentare come egli sapesse bene invogliare alla virtú la gioventú. È
vero che queste piccole apostole non erano immediatamente sotto la sua direzione: egli non
voleva altro che confessarle e istruirle nella dottrina; le lasciava poi dirigere ed ammaestrare
dalle Figlie dell‟Immacolata; ma costoro erano dirette da lui e loro insegnava quelle tante
industrie che valevano ad operare un tanto bene. Quindi il frutto principale è dovuto al merito
della sua carità e del suo disinteresse, per cui non gli rincrebbe mai di erogare larghe
elemosine e spendere quasi di continuo non lievi somme per la compra dei premi anche
costosi che quasi ogni anno donava.
La carità corporale è certo una grande virtú, che piglia lustro maggiore specialmente se venga
fatta da persone che poi non godano, come il nostro Priore, di grandi mezzi. Tuttavia il
merito e l‟eccellenza della carità spirituale è incomparabilmente maggiore. Chi avrà, dice
l‟incarnata Sapienza, chi avrà operato il bene e insegnatolo agli altri, costui sarà chiamato
grande nel regno dei cieli: Qui autem fecerit et docuerit, hic magnus vocabitur in regno
coelorum. (Mt 5, 19). Ora il Priore si studiò non solamente di operare un gran bene in mezzo
al suo gregge, ma si impegnò con tutto l‟ardore di insegnarlo agli altri e con la parola e con le
pie istituzioni e con l‟assiduità al confessionale, e coi numerosi scritti destinati ad illuminare,
a correggere e indirizzare nella pietà il popolo cristiano. Queste invero sono opere di sublime
carità spirituale che non scompagnate dalla corporale si nobilitano e risplendono di gran luce
nella vita del Frassinetti, che a buon diritto si poteva chiamare l’uomo della carità; il qual
nome gli venne dato da ragguardevoli persone. E già che accenniamo ai suoi scritti non si
deve tacere l‟operetta intitolata: “Il conforto dell’anima divota”, che certo fra le altre tiene un
luogo distinto. Si può dire che a pubblicarla lo abbia spinto la carità del suo gran cuore,
perché è tutta rivolta a togliere quell‟inganno tanto comune che cioè la perfezione sia la dote
esclusiva dei santi venerati dalla Chiesa. Egli che anelava alla perfezione, non poteva udire
tal massima e vedere tante anime di buonissima indole arrestarsi a metà del cammino
ingannate da un falso timore. Ripetiamo quindi che l‟amor delle anime fu quello che lo
mosse a dettare quelle auree pagine. Sentiamo infatti come egli parli nella prefazione di detta
opera: “Riflettendo meco stesso che molte anime sono in questo dannosissimo errore di
credere la santità, ossia la perfezione cristiana, cosa troppo difficile ad acquistarsi, mi sentii
come spronato a scrivere questo libretto per tentarne il disinganno. E si è un errore
dannosissimo, perché elle quasi spaventate dall‟appresa difficoltà nel procurare la propria
santificazione non fanno le loro parti per conseguirla, e quindi non si fanno sante e restano
invece nei loro difetti e peccati”. Incontrò universale accoglienza e, lui vivente, se ne fecero
dieci edizioni; fu stampato anche fuori di Genova e si diffuse mirabilmente ed è a credere che
la lettura di questo libretto cosparso di una celeste sapienza abbia operato gran bene. Non
poteva udire senza risentirsi altamente quell‟altra sentenza che tanti ignoranti ripetono cosí
spesso: I santi son fatti, non ve ne sono piú al mondo. Predicando insisteva assai nel
combattere queste false opinioni e mostrava ad evidenza che siccome tutti i secoli ebbero i
loro santi, cosí il nostro secolo ha pure i suoi, nascosti certo, ma che si conosceranno e
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saranno venerati dai posteri. E per riuscir meglio all‟intento, stampò una pagella intitolata:
Pia Unione delle anime che desiderano farsi sante. Quindi diede alla luce un librettino di
sedici pagine, dove dimostra con tutta chiarezza che cosa voglia dire farsi santi, quanto
importi che ci adopriamo per riuscir tali, e i mezzi necessari per questo fine. È un librettino
assai bello, che merita di essere letto e diffuso; il titolo che porta è questo: “L’arte di farsi
santi”.
Pia Unione
delle anime che desiderano farsi sante.
Confidando nei meriti infiniti del Sangue preziosissimo di Gesú Cristo e nella intercessione
della Immacolata Vergine Maria, fate questi proponimenti:
1. Di non nutrire piú in questo mondo altro desiderio se non quello di farvi santa. - Se non
desiderate piú altro siate certa che nulla del necessario vi mancherà perché Dio penserà a
tutto quello di cui avrete bisogno.
2. Di non volere mai piú commettere peccati pienamente avvertiti, neanche veniali. -
Persuadetevi che col divino aiuto questa cosa si può fare da ogni anima che vive al mondo.
3. Di fare in tutte le cose ciò che conoscete essere meglio davanti a Dio senza cercare il
vostro gusto. – Solo il gusto di Dio si ha da cercare da chi lo vuole amare perfettamente.
4. Di ringraziare il Signore in tutte le tribolazioni che vi manderà. Le tribolazioni riguardate
col lume della fede sono le grazie piú vantaggiose all‟anima.
5. Di confessarvi, se potete, ogni otto giorni, e di fare tutte le comunioni che vi permetterà il
confessore. La frequenza dei santi sacramenti è l‟alimento della santità .
6. Di fare spesso atti di offerta a Dio di tutta voi stessa e di tutte le cose vostre, perché faccia
di voi e di tutte le cose vostre ciò che egli vuole. Queste offerte spesso replicate servono
molto a distaccare il cuore dalle creature e a unirlo a Dio.
7. Di fare spesso atti di offerta al Divin Padre del Sangue preziosissimo di Gesú Cristo in
isconto dei vostri peccati e pei bisogni della S. Chiesa. II Sangue di Gesú Cristo vale a
cancellare infiniti peccati e ad ottenere infinite grazie. È impossibile avere in questo Sangue
una speranza tanto grande quanto è grande la sua efficacia.
( Si potrà adoperare la giaculatoria: « Eterno Padre vi offro il Sangue preziosissimo di Gesú
Cristo in isconto dei miei peccati e per i bisogni di S. Chiesa, a cui sono accordati da S. S.
Pio VII 100 giorni d‟indulgenza per ogni volta che si recita.)
NB. I suddetti propositi non accrescono nessun obbligo di coscienza.
Anima cristiana, se vi volete far santa, replicate spesso questi proponimenti, e procurate di
metterli in pratica. Se non vi riuscite subito, non vi spaventate. Pregate, ripeteteli sempre, vi
riuscirete dopo.
Dovete sapere che vi sono già moltissime anime che in modo particolare attendono a
praticare questi proponimenti, e pregano vicendevolmente le une per le altre onde ottenere la
grazia di farsi sante.
Anche voi pregate tutti i giorni, specialmente quando fate la santa comunione, per tutte le
persone che sono unite con voi nella pratica di questi proponimenti, perché abbiano, come la
desiderate per voi, la grazia di farsi sante.
In generale poi, pregate spesso fervorosamente il Signore perché mandi molte anime sante
alla sua Chiesa, particolarmente santi pastori di anime, santi predicatori e santi confessori.
È cosa molto consolante per ogni anima che desidera vivamente di salvarsi, il pensare che vi
sono molte anime buone che pregano tutti i giorni per lei in modo particolare; tanto piú che
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nel gran numero si deve supporre ve ne siano alcune singolarmente predilette da Dio, le cui
preghiere hanno una virtú straordinaria. S. Teresa approvava molto queste unioni di spirito, e
se ne era formata una particolare.
In qualunque luogo si può stabilire questa Pia Unione purché vi sia una persona che
distribuisca questa pagella, e tenga nota dei nomi per consolazione di chi ne fa parte.
Ora vogliamo dire ancora di tre opere pregevolissime, che formano, diremmo noi, le ultime
tre gemme onde riluce e si ingioiella la corona delle sue lunghe fatiche e dello studio non mai
interrotto delle divine cose. Il che è frutto della sacerdotale carità da cui era animato l‟ardente
suo cuore. È nota l‟operetta, che ha per titolo: “La divozione illuminata” che è un manuale di
preghiera, in cui vi sono frammiste bellissime istruzioni per ogni sorta di persone, e infine un
“Ristretto delle cose più necessarie a sapersi dal cristiano”. È vero che di simili libri ve ne
sono molti, buoni e utilissimi; nondimeno un libro corredato di tante brevi e facili istruzioni,
con semplicissime preghiere, e alcune note importanti, non è cosa tanto facile a trovarsi. Esso
sarà un delizioso e ricco pascolo per le anime divote. La terza edizione fu approvata e
commendata dalle LL. EE. Rev.me il nostro Arcivescovo, Monsignor Salvatore Magnasco e
da Mons. Gaetano Alimonda Vescovo d'Albenga.
Approvazione di Mons. Arcivescovo di Genova.
Questo libretto intitolato: La Divozione illuminata, Manuale di preghiera, composto dal pio e
dotto sacerdote Giuseppe Frassinetti, lo crediamo utilissimo, segnatamente per le istruzioni
assai semplici e chiare che contiene, affine di ammaestrare le anime a ben ricevere i
Sacramenti, a far bene l‟orazione, e le altre opere di pietà, cosa certamente necessaria per
poterne ritrarre i desiderati frutti. Per questo motivo lo raccomandiamo molto ai nostri amati
fedeli, particolarmente alle persone semplici, che amano praticare come conviene la vera
divozione.
†SALVATORE Arcivescovo.
Genova, 8 Novembre 1877
Approvazione di Mons. Vescovo d’Albenga
Il Trattato della Devozione Illuminata, scritto dall‟aurea penna del Priore di Santa Sabina, D.
G. Frassinetti, di sempre venerata memoria, è un vero tesoro di dottrina e di pietà.
L‟argomento è svolto con modo sí efficace di persuasione, da cogliere i frutti piú belli di
santo amore nelle anime che se ne vorranno far pascolo. Le preghiere proposte in questo
soavissimo libro alla pietà dei fedeli, sono attissime in vero a rinfocolare nei cuori le fiamme
della carità: anche per questa parte l‟egregio Autore ha meritato assai della cristiana pietà e
devozione.
Noi di tutto cuore pertanto lo raccomandiamo ai fedeli, certi di fare opera che deve ridondare
a Dio carissima, e alle anime di sommo bene.
† GAETANO Vescovo.
Albenga il giorno di San Giuseppe 1878.
La seconda Operetta di cui vogliamo parlare è il “Catechismo al popolo sopra il simbolo
apostolico, e Istruzioni sulla sacramentale confessione”. Fu stampato dopo la sua morte per
cura dei suoi fratelli. È un bel compendio di dottrina cattolica, ove il triplice modo
apologetico, polemico e irenico di parlare al popolo delle verità della fede è esposto con
singolare ordine e chiarezza. Tuttavia il terzo modo, cioè l‟irenico è quello che egli amava di
preferenza, e perciò egli piú si ferma a parlare pacificamente delle cristiane verità, che non
nel difenderle dalle calunnie e sofismi degli increduli. La ragione di questo suo procedere è
nella prefazione di detto Catechismo, e noi vogliamo accennarla, e si vedrà che è assai
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convincente: “È da osservare, egli dice, che molte volte l‟errore entra facilmente in testa agli
idioti, e che difficilmente ne apprendono la confutazione, richiedendosi spesso per questa
ragioni sottili e metafisiche, che non sono alla portata dell‟intelligenza del popolo. Io perciò
crederei che nel Catechismo non sieno da toccare se non gli errori piú popolari e grossolani,
per i quali si abbia in pronto una confutazione facile, piana, convincente, anche per gli idioti;
e crederei che sia cosa piú vantaggiosa far ben comprendere al popolo la necessità e l‟obbligo
di credere fermamente e ciecamente tutto ciò che insegna la S. Madre Chiesa, anche le cose
che non si intendono, e quindi la necessità e l‟obbligo di rifiutare e di aborrire tutto ciò che
sentono dire contro le verità loro insegnate. Importa sommamente far comprendere al popolo
la forza delle parole di S. Paolo: Licet nos, aut Angelus de coelo evangelizet vobis,
praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit (Gal. 1, 8). Cosí il popolo si mette in
guardia contro qualunque persona, fosse pure la piú autorevole, a non credere mai nulla che
gli fosse detto contro le verità della santa fede; e non fa bisogno che abbia capacità per
confutare i singoli errori; capacità che ad ogni modo non potrebbe mai acquistare nelle
istruzioni catechistiche. Oltre che è sempre da raccomandare ai fedeli di non mettersi a
quistionare con gli increduli, ma in quella vece di fuggirne la compagnia e la conversazione e
di rispondere loro soltanto parole di fede generiche, come sarebbe: “A me che sono cristiano
cattolico non fate di tali discorsi: di tali cose parlatene coi vostri pari; io credo ciò che
insegna la S. Madre Chiesa, e non ho bisogno dei vostri ammaestramenti”.
Fin qui il Priore, e niuno vi ha che non vegga la giustezza di tali osservazioni; questa
prefazione è tutta piena di utili ammaestramenti, che ameremmo fosse letta peculiarmente da
quei novelli sacerdoti, che devono predicare al popolo il Catechismo; vi ritroverebbero un
facile indirizzo per riuscire con frutto in questo genere di predicazione.
Nello studio della Teologia si è veduto quanta lode abbia conseguito mentre era allievo nel
Seminario; or bene, questo studio non fu più abbandonato da lui. La Morale in peculiar modo
era il primo dei suoi studi, a cui aveva preso grandissimo amore, e non si stancava di leggere
per buon tratto di tempo, di consultare egli stesso gli autori citati nei libri e anche di chiedere
consiglio e lume a persone capaci. Era tenace del proposito fatto di studiarla, quindi superava
facilmente qualunque difficoltà. A tanto studio della morale congiungendo la pratica del
confessare assiduamente, è facile immaginare qual buon corredo di cognizioni si abbia
procurato per la direzione delle anime; perciò avvenne che mentre prima si recava egli a
prendere consiglio da altri, ora invece, cioè negli ultimi anni della sua vita, innumerevoli
sacerdoti a lui correano per questo, e dove non potevano recarvisi in persona, lo facevano per
lettera. Occupatissimo come era, alle volte era costretto ad impiegare molto tempo a rileggere
le molte lettere che a lui pervenivano da lontano e a rispondervi per dare il consiglio
richiesto. Tuttavia non fu mai visto impazientarsi, anzi se alcuno di casa l‟avesse ritrovato
con tali faccende alle mani e mostratogliene compassione, egli sorrideva dicendo: “Bisogna
certo occupare il tempo”.
L'amor suo allo studio della morale l‟aveva spinto a stendere un Compendio di questa
scienza tutta in lingua latina, senza che vi entrasse nulla di suo. Questo compendio però non
volle mai pubblicare. Sennonché, ripensando che avrebbe fatto buon servizio a darlo in
lingua italiana, consultatosi prima, e anche chiesto colla preghiera lume ed aiuto, pose mano
all‟opera, e vi lavorò di buona lena. Questo lavoro, tanto lodato, uscí col titolo: “Compendio
della Teologia Morale di S. Alfonso Maria de' Liguori, con apposite note e dissertazioni”.
Appena fu pubblicato, l‟anno 1865, fu comprato e letto avidamente. Che se da certuni intorno
a qualche passo di questo Compendio fu mosso alcun dubbio, è pur vero che da
ragguardevoli e dotti ecclesiastici fu assai lodato, e un buon numero di copie furono subito
smerciate in Genova e fuori. Molte furono le lettere a lui indirizzate da Vescovi e Teologi
dove è encomiata con amplissime lodi la sua Morale. Sono in sí gran numero che è
impossibile certo riferire i principali tratti di tutte. Alcuni vi trovarono opinioni forse troppo
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benigne; parve loro che fosse un po‟ soverchia la sua clemenza; noi non entriamo a discutere
di tali cose, né colui che scrive potrebbe decidere sul valore di tali ragioni. Diciamo soltanto
e semplicemente quello che avvenne alla pubblicazione di questo Compendio, né si vuol
tacere la verità, che cioè fu lodatissimo e cercato cosí, che in breve tempo, fu esaurita la
prima e la seconda edizione. Dopo questa se ne fecero negli anni successivi quattro edizioni.
E qui noteremo che la quarta edizione fu ritoccata dall‟Autore poco prima della sua morte, e
venne poi accuratamente esaminata da parecchi personaggi per dottrina e prudenza
degnissimi d‟ogni stima.
Senza dubbio che quest‟operetta è un vero Compendio, dove le materie della Teologia
Morale non sono forse tutte trattate in modo molto diffuso; tuttavia nessuno potrà negare che
tutto quello che è necessario da sapersi per l‟amministrazione del sacramento di penitenza vi
si trovi esposto con mirabile ordine, chiarezza, ed anche con ampiezza. Senza che gli è di
gran lode l‟aver trattato delle questioni del giorno, la soluzione delle quali difficilmente si
trova nelle grandi opere anteriori al detto Compendio.
Lo Stendardo Cattolico di Genova, appena vide la luce l‟opera del Priore, ne fece un
accurato esame e un elogio assai lusinghiero. Riportiamo le parole che seguono all‟analisi
fatta del Compendio: “ ... Non possiamo se non esortare i confessori, specialmente novelli, a
procurarsi questo Compendio e attentamente studiarlo; e frutto di tale studio sarà risparmio di
tempo e di fatica per i confessori, e maggior frequenza dei sacramenti pei penitenti”. (Vedi
anno XVIII, n. 92).
Portiamo per intiero la lettera di un tal Felice Gialdini, Canonico e Professore di Dogmatica
nel Seminario di Pescia nella Toscana, e si vedrà la stima che si fa del Compendio e del
Priore insieme dallo stesso. Ecco pertanto la lettera:
“EGREGIO SIGNOR PRIORE,
Sebbene io non abbia l‟onore di conoscerla personalmente, pure mi prendo la libertà di
scriverle per congratularmi con V. S. del segnalato servigio che ha reso alla scienza morale, e
con questo ai sacri ministri del sacramento della penitenza, col dare alla luce il Compendio di
Teologia Morale. Sia benedetto il Signore che le ha ispirato questo consiglio, che certamente
riuscirà a gloria del santo suo Nome e a salute delle anime. Le dico dunque con sincerità che
io non mi sazio di leggere questo suo bel libro e di ammirarne i pregi, che a mio giudizio
sono: sani principi ed ottima pratica. La S. V. non ha fatto come certi teologi che,
diffondendosi in casi ipotetici e cervellotici, trascurano poi quelle cose che tuttodí son
comuni nella pratica e che hanno una grande importanza per il confessore. Non so dirle
quanto mi son piaciute quelle belle, dotte e convincenti dissertazioni e specialmente quella
sull‟assoluzione dei recidivi e abituati, e 1‟altra sulla comunione frequente e quotidiana.
Cosicché il suo Compendio mi sembra indispensabile ad ogni confessore; e dico anzi
indispensabile, perché le questioni del giorno invano le cercheremmo in altri Teologi, ed ella
le ha trattate con quel fino discernimento e con quel sano criterio che si è formato e con
l‟accurato studio di Sant‟Alfonso e con la lunga esperienza e specialmente con l‟esercizio
parrocchiale. Concludo dunque che la S. V. è veramente il Teologo del giorno, e ben
volentieri mi unisco a quel dotto giornale di Germania che chiama il suo Compendio fulcrum
conscientiarum.
Mi è grato poterle dire ancora che quanti confessori han comprato in questa città il suo libro
sono concordi con me nel tributarle le meritate lodi. Anzi non voglio trascurare di dirle che in
tante importanti questioni e materie pratiche ho trovato le sue dottrine conformi a ciò che io
praticava nel tribunale di penitenza.
Torno dunque a congratularmi seco lei del servigio che ha reso alla scienza e ai poveri
confessori, i quali non possono leggere il suo libro senza sentirsi santamente incoraggiati ad
attendere alacremente a salvare le anime coll‟amministrare il sacramento della penitenza.
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Queste mie parole dettatemi da sincera ammirazione pel suo ottimo lavoro, sebbene sieno
dell‟infimo fra i ministri di Dio, servano ad incoraggiarla per continuare a dar alla luce altre
opere, oltre le tante che con grande utilità delle anime, ha ella di già pubblicate.
Con la più sincera stima e dovuto rispetto ho l‟onore di dirmi
della S. V. Molto Reverenda
Dev.mo Servitore
Can. FELICE GIALDINI
Prof. di Dogmatica nel Seminario”
Pescia (Toscana) 24 Settembre 1867
Che dire infine dell‟Appendice sulle elezioni politiche? Non gli si può dare la mala voce,
perché le sue intenzioni erano rettissime, e chiaro aveva parlato la S. Penitenzieria. Egli
rifiutò sempre il nome di liberale, e i liberali non lo ritennero mai per uno di loro.
Il suo attaccamento, la sua riverenza alla Santa Sede fu tale, che certo nessuno poté esservi
che ardisse denominarlo con tal nome. Se vivesse al presente il dotto Priore quando per
autorevoli organi del romano Cattolicismo non facendosi questione della liceità delle elezioni
politiche, si propongono di trattare ed invitano i periodici cattolici a trattare sulla opportunità,
il Priore Frassinetti certamente sarebbe il più competente e attivo trattatista di tale questione.
“lo non sono mai stato, egli dice sulla fine di quell‟Appendice, né sono, né voglio essere
cattolico con qualche aggiunta. Sono sempre stato, sono e spero che sempre sarò cattolico
semplicemente. Io sto colla S. Sede e con tutti i suoi organi, uno dei quali è la S.
Penitenzieria”. Quando l‟uomo parla in questo modo, mostra chiaramente di non avere
intenzioni meno che rette, ma che è animato da buono spirito e si lascia guidare dalla ragione
e dalla fede.
Del resto, a nostro giudizio (che è pure il giudizio di autorevoli ecclesiastici), crediamo
giusto e doveroso dargli gran lode per il detto Compendio ed esortare, specialmente i novelli
confessori, a farne assidua lettura. Quindi, nel conchiudere il presente capitolo, vogliamo
riportare per intero una lettera che gli indirizzò il dottissimo Vescovo di Albenga, Raffaele
Biale, che fu amico e stimatore del Frassinetti; questa servirà come di corollario per tutto ciò
che finora abbiamo accennato.
“STIMATISSIMO SIG. PRIORE,
Premessi i miei distinti ringraziamenti per l‟elegante e prezioso volume che ricevo assieme a
due altre copie dello stesso, nuovo tratto della di lei cortesia a mio riguardo, mi è assai grato
di congratularmi seco lei che abbia condotto a termine il ben inteso ed apprezzato lavoro del
Compendio di Morale. Vari sacerdoti miei diocesani che hanno letto il primo volume mi
hanno esternato di esserne assai soddisfatti. Ho sotto gli occhi una lettera di un degno parroco
della Valle di Oneglia, che cosí si spiega: Rimasi molto contento della Morale del Frassinetti;
mi giovò in questa Pasqua ad essere piú benigno coi penitenti.
Ma l‟edizione che, come mi accenna, se ne voleva fare in Napoli, è una commendazione
bastante di per sé perché ella resti contento della sua fatica.
Prosegua pertanto a lavorare con alacrità per la gloria di Dio e per ll bene della Chiesa, ed io,
compartendole la mia benedizione, ho il bene di raffermarmi con predistinta stima e nuovo
attaccamento
di V. S. M. R. dev.mo ed Aff.mo Servo ed Amico
Albenga, 16 Aprile 1866
+RAFFAELE Vescovo”.
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CAPO XII
ISTITUISCE LA CASA DEI FIGLI DI MARIA IMMACOLATA
PER L’AVVIAMENTO DEI GIOVANI POVERI ALLO STATO ECCLESIASTICO
La carità di Gesú Cristo, allorché entra in cuore ardente e sensibile ai bisogni del prossimo,
non conosce confine; che anzi quanto piú essa tenta di espandere i suoi influssi benefici,
tanto maggiore le sembra il da farsi e non teme le difficoltà che incontra. La storia della
Chiesa ci presenta quasi ad ogni pagina uomini magnanimi e generosi, infaticabili
nell‟esercizio della carità cristiana. Che cosa non tollerò e non fece, ad esempio, un S.
Domenico per estinguere l‟eresia albigese? La vita di un S. Vincenzo de‟ Paoli, di un S.
Girolamo Miani, del venerabile La Salle, e diremo ancora del Canonico Cottolengo e del
parroco d‟Ars Giovanni Battista Maria Vianney, sono il piú grande panegirico della carità
cristiana. Al riandare solo con il pensiero ai patimenti, alle privazioni, ai sacrifizi e alla fatica
incessante di questi eroi, l‟animo resta come compreso di maraviglia ed è forza cheesclami:
„Qui vi è Gesú Cristo e la sua carità!‟
Queste cose noi non diciamo per paragonare il Frassinetti a questi celebri eroi della Chiesa:
sarebbe questa una inconveniente amplificazione. Vogliamo osservare soltanto che anche la
sua carità, nella sua modestia, non aveva limite, e tendeva a sopperire nel silenzio a molti e
gravi bisogni del prossimo. Già si è veduto che fin dagli anni primi del suo sacerdozio si
sentiva incitato a coltivare lo spirito dei chierici perché riuscissero buoni sacerdoti; che quasi
istituí e promosse e sostenne con ammirabile attività la Congregazione del B. Leonardo, la
quale si adoperava appunto ad un tal fine. Per questo, oltre agli innumerevoli sacrifici che
fece, ai disagi che sostenne per intervenire tutti i giovedí a Genova all‟adunanza, mentre era
parroco a Quinto, portò in pace, rassegnato e ilare, i disgusti e l‟insulto, e nemmeno si
lamentò allorché fu estinta. “Vuol dire, diceva egli ai suoi collaboratori, vuol dire che adesso
non potrebbe giovare; e se noi ci lamentassimo, contraddiremmo ai divini voleri”. Inoltre con
tutto l‟impegno si faceva promotore delle vocazioni allo stato ecclesiastico, e aiutava con i
consigli e con l‟opera quei giovani che vi aspiravano. A tal fine volle aver sempre in casa un
giovinetto che dovesse servire la chiesa in qualità di chierico; procurava di scandagliarne
bene le intenzioni, di vigilare sulla sua condotta; e ove poi avesse veduto alcun segno
probabile di vocazione ecclesiastica, faceva in modo che entrasse in seminario. A questo
modo poté ottenere di dare alla Chiesa alcuni sacerdoti; e questi furono in numero di cinque.
Fin d‟allora si deplorava una sensibile deficienza di sacerdoti, che tuttavia continua e forse va
crescendo; quanto danno ne derivi alle anime non c‟è nessuno che non lo veda. II Priore che
di ogni danno per la Religione si impensieriva e si rattristava, e raccomandava sempre nei
suoi discorsi di pregare per i bisogni della Chiesa, apprese in tutta la sua grandezza il male
che minacciava di crescere e pensò di rimediarvi. A tal fine scrisse una bellissima lettera al
professore D. Almerico Guerra di Lucca, dimostrando in questa a vivi colori il danno
incalcolabile che deriverà alle anime dalla mancanza delle vocazioni allo stato ecclesiastico.
Certo che questa lettera è assai nota, ma sarà conveniente riportare le prime riflessioni, e si
vedrà quanto gli stesse a cuore rimediare a questo danno:
Genova, lì 12 del 1867
M. R. CH. SIG. PROFESSORE,
nella sua pregiatissima, e a me carissima del 28 del dicembre V. S. M. R. deplora una
sciagura che ci percuote, e che minaccia farsi ognora più terribile, sciagura alla quale,
sebbene tanto grave, pure non sembra che vi si ponga mente abbastanza; la penuria cioè dei
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sacerdoti, le cui file diradansi ogni dí più senza che i nuovi venuti, scarsi di numero, valgano
a riempirle; e nelle campagne specialmente, osserva assai bene, essere deplorabilissimi i
danni che già ne derivano. Questa sciagura io pur deplorava nelle Brevi parole ai Sacerdoti
fratelli che stampavo nel mio Compendio della morale ecc. Ed è sciagura che mi cruccia
moltissimo; specialmente perché appunto sembra che non vi si ponga mente abbastanza; e
che quindi si fa poco o nulla per mettervi efficace riparo. Spaventa il pensiero che forse verrà
tempo in cui non resterà quasi altro piú che un numero di vecchi, e perciò di impotenti. Ma
come potrà provvedersi allora alla gravezza, anzi estremità del bisogno? Per fare un prete
sono necessari anni ed anni di studio e di cultura; s‟intende per fare un buon prete: tuttavia
quando piú non vi fossero preti, da darne almeno uno ad ogni parrocchia, si renderà pur
troppo necessario il prescindere da ordinamenti anche i piú congrui, e si dovranno ordinare
anche coloro che, presentando appena i necessari requisiti, vorranno sobbarcarsi al
sacerdozio.
Ma intanto qual danno enorme comincia ad averne il popolo cristiano, specialmente appunto
nelle campagne, dove in molte parrocchie, anche assai numerose, non v‟è piú che un
sacerdote, il solo parroco? In queste parrocchie tutti quelli che vogliono confessarsi, devono
di necessità rivolgersi a quell‟unico, e vi abbiano o non vi abbiano confidenza, di necessità
devono rivolgersi a quell‟unico; capiscono quelli che hanno esperienza di queste cose, con
quale pericolo di innumerevoli sacrilegi. E poi raccomandi il prete ai poveri parrocchiani la
frequenza dei santi sacramenti. Per la maggior parte sono gente che non hanno tempo a ciò
nei giorni feriali; or bene il parroco solo la mattina della festa dica Messa, faccia la
spiegazione del Vangelo, e quindi confessi in gran quantità uomini e donne, affinché tutti i
suoi parrocchiani possano frequentare i santi sacramenti. Questa non sarebbe una ridicola
supposizione? Ridicola supposizione; perché quantunque il parroco volesse e potesse
sacrificarsi in confessionale tutta la mattina, non vorrebbero e non potrebbero sacrificarsi in
chiesa per tutta la mattina i parrocchiani.
Questo poi è il più terribile effetto della deficienza dei sacerdoti, che cioè restino in tanta
parte chiusi al popolo cristiano le fonti della grazia: quindi tanti se ne rimangono nello stato
orribile di peccato mortale, tanti privi del mezzo il più efficace per vincere le cattive
abitudini, tanti privi di quell‟aumento di grazia che condurrebbe le loro anime a perfezione.
In questi tempi di pervertimento e di scandalo soverchiante si raccomanda al popolo cristiano
come mezzo di preservazione dal male e di perseveranza nel bene la frequenza ai santi
sacramenti; e senza dubbio, sarebbe il mezzo piú valido, e di effetto il piú sicuro; ma tale
raccomandazione non addiviene irrisoria dove i cristiani non trovino sacerdoti i quali con
facilità possano ascoltarne le confessioni? I sacramenti, le fonti della grazia, nei quali
starebbe la piú salda speranza del ravvedimento dei popoli illusi e sedotti; dai quali ci
dovremmo ripromettere la conservazione e l‟incremento della pietà, anzi la conservazione e
l‟incremento della stessa fede, i sacramenti fin d‟ora non possono essere frequentati da buon
numero di cristiani nei contadi e nelle ville; passi ancora un qualche numero di anni, e non
potranno piú essere frequentati neanche nelle grandi borgate e nelle città; in molti luoghi poi
non sarà piú chi li amministri.
Come saranno allora ammaestrati i popoli, come istruita e indirizzata al bene la gioventú?
Come promosse le pie istituzioni, come impediti gli scandali, come combattuta efficacemente
l‟eresia e l‟incredulità? Come assistiti e confortati moribondi, specialmente nelle epidemie,
nelle periodiche invasioni del colera? Dove si troverà supplemento a tutti i benefici influssi
del sacerdozio cattolico, corrispondente ai bisogni dei popoli nella società? E‟ un avvenire
che spaventa, che non può tardare molto ad caderci addosso: appena appena i piú anziani non
lo vedranno nella sua gravità. Bisogna ben essere sommamente imprevidenti, od insensibili,
direi, insensati a tanto male, che ci minaccia sí da vicino, per non dovercene impensierire.
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V. S. potrà conoscere da ciò che ci troviamo assai d‟accordo nell‟apprezzare la gravezza del
male, e quindi di necessità dobbiamo pure trovarci assai d‟accordo nel riconoscere l‟urgente
bisogno di un qualche riparo o rimedio che vi provveda. A questo senza dubbio pensano i
Vescovi con le loro pastorali sollecitudini; e parrà a taluno che noi potremmo rimanerci
tranquilli, attendendo solo a pregare, com‟è dovere di ciascun buon cristiano, perché Dio
coroni quelle sollecitudini di esito felice. Tuttavia Ella vorrebbe qualche cosa di piú, che cioè
anche altri s‟impegnasse a cercare provvedimenti, e a suggerire mezzi opportuni al caso; ciò
non si può che approvare, come non si disapprova che anche i minori della famiglia si
adoprino, per quel che possono, insieme ai maggiori, per venirle in soccorso ne‟ suoi
pericoli... Quando i tempi sono tristi, chi non dirà che il peggiore ripiego sia quello di non far
nulla? E appunto questo è il ripiego cui si appigliano molti; non far nulla assolutamente, nulla
di ciò che potrebbe minorare il male; e frattanto abbandonarsi ad interminabili lamentele, che
non saranno mai altro che fiato sprecato. E pure queste vane lamentele persuadono qualcuno
che egli abbia zelo per la gloria di Dio, per la salute delle anime. Io di costoro ne ho già
conosciuti tanti in questi tempi, e se ho a dire il vero, mi muovono ad una specie
d‟indignazione. Che cosa state lamentando e deplorando dalla mattina alla sera nei vostri
crocchi e conversazioni, che tenete all‟unico scopo di passare, o, meglio, di perdere il tempo?
Voi avete mezzi intellettuali, alcuni di voi hanno mezzi pecuniari, il vostro ministero vi
presenta tante occasioni per promuovere il bene; e la buona causa non dovrà avere da voi
altro che quello delle lamentazioni? I piagnolosi inerti sono troppi...Ci vuol poco a pensare e
a dire che Dio provvede, che Dio provvederà; la più elementare cognizione della Divina
Provvidenza ci persuade di questo vero...è Dio, che al mondo fa le cose, lo crediamo
fermamente, ma ordinariamente fa le cose per mezzo degli uomini; quindi è necessario, che
gli uomini lavorino, e aiutati dalla sua grazia, facciano le cose che egli vuol fare”.
Ciò diceva nell‟amarezza del suo cuore, ed insieme pregava il Signore che gli inspirasse il
modo di poter riparare in qualche parte a questo male alla deficienza dei sacerdoti; ed oh
quanto spesso ripeteva: Domine messis, mitte operarios in messem tuam (Luc. 10. 2): O
Signore della messe, mandate degli operai a lavorare nella vostra messe, cioè nella vostra
Chiesa. E pare veramente, che Iddio l‟abbia esaudito.
Gli fu presentato un giorno un poverissimo giovinetto, il quale desiderava grandemente di
abbracciare lo stato ecclesiastico; non aveva alcun mezzo, né avrebbe potuto comprarsi un
solo libro. Come fare? II Priore pensò allora di gettare le fondamenta di un‟opera che già da
molto tempo aveva segnato. Alloggiò quel giovinetto presso alcuni pii secolari che abitavano
in un piccolo appartamento attiguo alla sua canonica, e quindi si adoperò efficacemente per
la diffusione dell‟opera iniziata. A questo giovinetto ne seguí un altro, e allora si pensò di
mandarli in qualità di esterni a studiare nel seminario arcivescovile. Cosí ebbe inizio la Casa
dei Figli di Santa Maria Immacolata, nome che le diede il Priore, e la quale al presente
accoglie settanta giovinetti che danno speranza di riuscir buoni sacerdoti. Prima della sua
morte ne accoglieva sei; perciò stese un regolamento, senza però stamparlo, e di frequente vi
si recava a tener loro una breve conferenza. Vi stabilí la pia pratica della comunione
quotidiana, e questa certamente è quella che vi mantiene la divozione, e fa che i giovinetti ivi
raccolti non perdano con il crescere degli anni la vocazione ecclesiastica, ma invece crescano
zelanti sacerdoti e riescano al popolo di edificazione. Non v‟è dubbio che un giovinetto che
dai 12 o dai 14 anni incomincia a fare la comunione tutti i giorni, difficilmente potrà fare
cattiva riuscita. Generalmente avviene dei coloro che, cibandosi giornalmente del Pane degli
angeli, tengano poi costumi e vita da veri angeli in terra.
Nutriva per essi un affetto veramente paterno, si trattenea con loro volentieri, esortandoli alla
pietà ed allo studio; quando parlava sullo stato infelice dei peccatori, sulla gioventú traviata,
sulle massime empie che ora si promulgano, e perciò sulla necessità che i sacerdoti si diano
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da fare per rimediare coll‟opera loro a questi mali, il suo volto prendeva una cotal aria di
dolore, che suscitava tosto in quei giovani cuori il desiderio del sacerdozio. Certo che quei
giovani, ora sacerdoti, che ebbero la fortuna di udirlo, non possono dimenticare l‟amore che
loro dimostrava e le calde parole d‟incoraggiamento e piene di dolce speranza che uscivano
dalla sua bocca. E se qualcuno gli domandava se era contento dei suoi figli dell‟Immacolata,
rispondeva; “Si, sono contento, sono buoni, si regolano bene, ma bisogna vigilare
attentamente, che il diavolo non vi metta la coda!”
Fu una grande sventura per quei giovani la morte del loro amato padre e pastore; Iddio, però,
che aveva benedetto il suo disegno, provvide che l‟Opera non avesse a rimaner priva di un
direttore. Un novello sacerdote (il rev. Antonio Piccardo) ne prese la direzione, né piú la
abbandonò.
Quest‟opera fu approvata e lodata dall‟Arcivescovo Andrea Charvaz, come utile al bene
spirituale della Diocesi, e raccomandata alla carità delle persone pie e facoltose. L‟anno
appresso il 10 marzo con un autografo Rescritto, fu dal Santo Padre Pio IX di s. m. benedetta,
ed arricchiti d‟indulgenze tutti coloro che in qualsiasi modo si adoperano in favore di essa.
Anche l‟attuale nostro venerato Arcivescovo, Monsignor Salvatore Magnasco, si degnò
approvarla, e tante volte non si ricusò di assistere a qualche funzione che si fa in quella casa
specialmente nella ricorrenza delle ferie autunnali, ed incitare gli alunni alla pietà c allo
studio, e i benefattori a proseguire nella loro munificenza a vantaggio di detta Casa. A questo
proposito vogliamo riferire le parole che la menzionata Sua Ecc.Rev.ma pronunziò l‟anno
1877 il 6 agosto, trovandosi alla festa di S. Luigi celebrata dai Figli di Maria. Essendosi
inaugurato un nuovo ritratto del Priore, gli alunni tennero una accademia in cui furono
recitati componimenti poetici in latino, italiano e genovese, e l‟argomento era appunto la vita,
e le opere del Fondatore. L‟Arcivescovo dopo avere esternata la sua allegrezza per la
memoria che fecero del Frassinetti, disse che non credeva ingannarsi se affermava non aver
mai conosciuto sacerdote piú degno di lui. Propose ai giovani allievi l‟esempio della sua rara
umiltà; parlò ancora dei suoi scritti che rendono sempre meglio venerata la sua memoria.
Parlò inoltre del suo zelo dicendo, tale essere stato, che si estendeva a tutto ciò che, di bene,
esercitandolo con tutto l’ardore nella fondazione di questa Casa.
Quest‟opera cosí benemerita che arreca tanta utilità alla Religione non che alla stessa società
e che al presente ha già dato un buon numero di sacerdoti alla Chiesa, fu veramente il
granello di senapa del Vangelo, che poi crebbe e pigliò forma di albero. Nessuno avrebbe
potuto immaginarsi che avesse potuto estendersi tanto e reggersi cosí bene, come finora si è
retta. Sul principio le difficoltà parevano insormontabili, tutto cospirava ad attestare che non
avrebbe durato gran tempo. Scarsezza di mezzi, povertà quasi assoluta dei giovani
richiedenti, e piú di tutto la morte inaspettata del Priore. Tuttavia Iddio si compiacque di
darle incremento e ricompensare la confidenza al tutto illimitata del fedele suo servo, il quale
non ebbe timore di quelle difficoltà e vi volle la sua pazienza a tollerarle e vincerle. Osiamo
anche dire che se dopo la sua morte incontrò invece sorte felice nella scelta del direttore e
nell‟attività e beneficenza di pii secolari che le dan braccio, potrebbe certo ascriversi alle
preghiere di lui, che la amò tanto mentre vivea, e non può dimenticarla e non amarla ora che,
speriamo, sarà nel cospetto di Dio. Dio voglia che si suscitino nella Chiesa uomini, che ben
intendano il male della deficienza dei sacerdoti e quindi la necessità di ripararvi con tutti i
possibili mezzi. Ora pertanto, siccome quest‟opera del Frassinetti può fare grandissimo bene
alla Chiesa, e sarebbe perciò necessario che fosse meglio conosciuta ed aiutata dai fedeli,
stimiamo cosa opportuna l‟inserire qui la pagella che si dà ai benefattori, la quale in parte fu
composta dallo stesso istitutore:
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OPERA DI S. MARIA IMMACOLATA
PER L' AVVIAMEMTO
DI GIOVINETTI POVERI AGLI STUDI ECCLESIASTICl
IN GENOVA Messis quidem multa, operarii autem pauci;
rogate ergo Dominum messis ut mittat
operarios in messem suam.
La messe è molta, e gli operai sono pochi.
Pregate dunque il padrone della messe che
mandi degli operai per la sua messe. (Lc. X, 2)
La rarità delle vocazioni allo stato ecclesiastico, e gli ostacoli che mettono i tempi al
maturare delle poche che si presentano, quindi il tristo avvenire che ci minaccia per la
deficienza dei sacerdoti, già assai sentita fin d‟ora, e che fra alcuni anni non può essere se
non gravissima e funestissima alle nostre popolazioni, incitava fin dall‟anno 1866 in alcuni
secolari, sotto la direzione del R. Priore di S. Sabina Giuseppe Frassinetti, di santa memoria,
un vivo desiderio di concorrere a cercarvi un qualche riparo, per attenuare almeno le
conseguenze del temuto flagello. A questo fine divisarono di aprire una casa, e formarono
una specie di collegio per allogarvi poveri giovinetti che per indole, per costumi, per
isvegliato ingegno e per inclinazione porgessero ben fondata speranza di riuscire buoni
ecclesiastici, ed educarli alla pietà e farli iniziare a quelli studi che son propri del ministro del
Santuario.
II numero dei giovinetti raccolti a quell‟epoca nella casa che presero in affitto fu di dodici, e
ora sono ben cinquanta i raccolti in quella che per la santa opera venne acquistata. Tutti
danno buona speranza di ecclesiastica vocazione, e nella massima parte per l‟istruzione
regolare intervengono alle scuole del Seminario Arcivescovile. Fatta questa prima prova, e
riuscita per grazia di Dio soddisfacente, sono desiderosi di dare maggiore sviluppo all‟opera
quivi iniziata, e per questo fanno ricorso alle persone pie e benefiche, affinché vogliano
concorrere ad un‟opera cosí importante con generose elargizioni.
Nella detta casa, si ripete, vi si accoglieranno soltanto giovinetti poveri, di irreprensibili
costumi, che presentino buoni indizi di vocazione allo stato ecclesiastico, e che non abbiano
mezzi sufficienti per effettuarla; che d‟altra parte siano di buon ingegno, sicché promettano
felice riuscita per i bisogni della Chiesa. Saranno a tempo debito presentati al superiore
ecclesiastico, per ammetterli tra i chierici a suo giudizio e piacimento.
Perché riesca facile la partecipazione ad un‟opera cosí utile e meritoria, si è pensato formare
quattro schede di associazione, una a piacimento, le altre da lire 50; da lire 20; e da lire 5.
Ogni associato scrive nella propria scheda il proprio nome, il luogo ove abita, e l‟offerta che
intende fare, oppure il numero delle Azioni per cui sottoscrive e poi restituisce la scheda.
Si accettano anche con riconoscenza offerte indipendenti da sottoscrizione sia in denaro, sia
in generi, come libri, carta, abiti, biancheria ecc.
Sua Ecc. R.mo Mons. Andrea Charvaz Arcivescovo di Genova, di s. m., raccomandava la
suddetta opera come segue:
Approviamo e lodiamo detta Opera siccome utile al bene spirituale della Diocesi: e la
raccomandiamo alla carità delle persone pie e facoltose.
†ANDREA Arcivescovo.
Genova, 17 maggio 1868.
I promotori di quest‟Opera inviarono una supplica al Sommo Pontefice perché si degnasse
concederle qualche favore spirituale. Il S. Padre benignamente accolse il ricorso, e col suo
cuore veramente paterno si degnò “benedire e concedere un‟indulgenza di 300 giorni da
lucrarsi una volta al giorno, a tutti coloro che in qualunque maniera favoriscono l‟Opera
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incominciata pel bene della Chiesa”. Ecco il Rescritto che il S. Padre di sua propria mano
vergava:
Die 10 martii 1869.
Benedicat Vos Deus et opus inceptum ad bonum Ecclesiae: Indulgentiam vero ter centum
dierum benigne concedimus Xtifidelibus quocumque modo in opere supradicto laboratibus
semel in die lucrandam .
PIUS PP. IX.
V. Indulgentia concessa publicetur,
Genuae, ex Palatio Archiep. die 11 maii 1869.
C. ANDREAS CHIARELLA Pro V. G.
L‟amatissimo nostro attuale Arcivescovo Monsignor Salvatore Magnasco si degnava fare
dell‟Opera la seguente raccomandazione:
Quest’Opera posta sotto la protezione e l’alta direzione dell’Arcivescovo di Genova dal suo
regolamento, concorre a soddisfare uno dei piú urgenti bisogni della città e diocesi, che è
quello di accrescere il numero degli aspiranti allo stato ecclesiastico, e cosí a supplire alla
continua deficienza del Clero. Quindi caldamente si raccomanda alla carità dei benefattori.
+ SALVATORE Arcivescovo.
Genova, li 22 Gennaio 1873.
L‟Opera suddetta si raccomanda abbastanza da per sé, sia per il fine che si prefigge, che è di
accrescere il numero dei buoni sacerdoti, sia per quelli che ha già dato alla Chiesa. Gravi
sciagure ha già dovuto subire quest‟Opera, che pur si ritrova di presente in grandi strettezze.
La prima, come è noto, è stata la perdita irreparabile del suo fondatore, il compianto Priore
di S. Sabina Giuseppe Frassinetti, mentre essa contava pochi giorni di esistenza; fu quella
veramente una tale disgrazia, che la Casa dei Figli di Maria deplorerà sempre, e non mai
abbastanza. Vi erano tre piissime persone, a cui l‟Opera stava molto a cuore; avevano molto
impegno che progredisse e perciò l‟aiutavano con abbondanti elemosine. Ma quelle anime
benedette già furono premiate da Dio, e ricompensata nel cielo la loro carità. E nella Casa se
ne conserva grato ricordo, e se ne celebra ogni anno col divino ufficio la commemorazione a
sollievo delle loro anime. Oh se vivessero, forse sarebbero minori le strettezze in cui ora
versa quest‟Opera benemerita. Per la qual cosa ora più che mai, fiduciosi di ottenere qualche
sussidio, i direttori di essa si rivolgono a coloro ai quali ferve ancora in petto lo zelo per la
gloria di Dio e per gli interessi della sua Religione. Quanto sia afflitta la Chiesa, quanto
combattuta la Religione, quanto sorda e maligna sia la guerra che le si muove contro, non vi
ha chi non lo veda; e se a questo che è già un gran fatto, da far sí che noi ci adoperiamo con
tutte le forze a difenderla e ad operare in suo favore, si aggiunga la scarsità dei suoi ministri,
che già da qualche tempo deplora, ove adremo a finire? La Chiesa, non v‟è dubbio, starà:
sono infallibili le promesse fatte da Dio a suo riguardo; ma come ne staranno le persone, le
famiglie, la società cristiana? E‟ da pensare seriamente a questa cosa. Iddio provvede, è
verissimo e di fede; ma provvede e provvederà a seconda dell‟impegno che i buoni si
prenderanno per mettere un argine ai mali del tempo presente. Le vocazioni allo stato
ecclesiastico sono rare generalmente, e pochi sono coloro che si vogliano addossare il peso
sacerdotale. Tuttavia, se ben si considera, questo avviene nella classe agiata e tanto piú nella
classe nobile, in cui ben pochi si ritrovano che abbiano vocazione ecclesiastica. Non però lo
stesso avviene nell‟altra classe povera o per lo meno alquanto bisognosa; quivi di sovente si
vedono dei giovani di buona volontà, non privi d‟ingegno, che anelano allo stato sacerdotale.
E son questi appunto che si dovrebbero aiutare. Innumerevoli sono coloro che chiedono di
entrare nei Figli di Maria: molti fra questi hanno le piú belle qualità, buona indole, ingegno
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svegliato e pietà, ma con doloroso rincrescimento si è costretti a rimandarli, perché l‟Opera
anzidetta non solo non avrebbe i mezzi da mantenere ed avviare allo stato ecclesiastico i
cotali, ma di piú è quasi già incapace a provvedere del bisognevole quei che già vi si
ritrovano. Uniamoci dunque e concorriamo coll‟opera nostra a provvedere alla Chiesa piú
numerosi i suoi ministri. Fra le opere di carità, giova dirlo chiaramente, questa è una delle
principali. Oh certo l‟obolo che si darà a vantaggio di questi poveri giovinetti, che un giorno
dovranno tutelare gli interessi della Chiesa e il bene supremo dei popoli, che è la Religione,
non sarà senza guiderdone, senza condegna ricompensa.
E poi perché non imparare almeno dai nemici del bene, e far sí che essi abbiano la peggiore?
Che cosa non fanno costoro, che cosa non sacrificano per cagionare alla Chiesa anche un
lieve danno? Quiete, interesse, onore, la stessa vita bene spesso mettono a repentaglio per
strappare anime dal seno di Gesú Cristo. Oh non permettiamo che a noi si abbia a fare quel
duro rimprovero, che i figliuoli delle tenebre sono piú avveduti dei figli della luce. Operiamo,
lavoriamo indefessamente, sacrifichiamo, occorrendo, alcun nostro vantaggio, per
promuovere il bene e la gloria dì Dio. E l‟Opera dei Figli di Maria è molto atta a promuovere
il bene, l‟onore e la gloria di Dio: questo è manifesto, considerato il suo fine; le anime
ritemprate allo spirito di carità e di sacrifizio, le persone facoltose si impegnino ad aiutarla, a
sovvenire alle sue strettezze, a farla anche conoscere, e il loro sacrifizio non sarà vano.
Poiché il numero dei benefattori che sottoscrivono la scheda è omai ristretto a pochi, si stimò
conveniente cercare anche dei collettori, che si prendano tutta la sollecitudine per l‟Opera, e
cerchino elemosine mensili, od annue.
Se qualche benefattore darà in vita, o lascerà dopo morte qualche somma alla detta Opera con
obbligo che gli sia celebrato un numero stabilito di messe subito dopo la morte, od anche
ogni anno, sarà questo obbligo fedelmente adempito.
Chiunque lavora in favore di detta Opera oltre la benedizione del S. Padre guadagna 300
giorni di indulgenza una volta ogni giorno e partecipa del bene, delle preghiere, delle
comunioni che si fanno dai Figli della Casa e particolarmente della Messa che si celebra una
volta al mese nella stessa Casa dei Figli di Maria per tutti i benefattori sia vivi che defunti.
NB. Le elemosine si porteranno nella Casa degli stessi Figli di Maria, Carignano, Via
Ginevrina, no 1; o nella Sacristia di S. Luca, ove si avranno anche pagelle di ascrizione alla
detta Opera. . .
CAPO XIII
DELLA SUA UMILTA'
II sentire bassamente di sé, riferendo a Dio tutto ciò che in noi vi ha di bene, è ufficio di
quella preziosa virtú che insegnò agli uomini il Divin Salvatore, cioè la cristiana umiltà.
L‟uomo che ne è adorno, è ricco assai al divino cospetto, perché vive nella verità, e la sua
bocca diventa come la bocca stessa di Dio, le cui parole sono verità. Infatti che Dio sia
l‟autore di ogni bene in noi, e noi autori e fattori di tutto il male, del peccato, cioè, che è in
noi stessi, è verità di fede; e il riconoscere questo è proprio quel separare il prezioso dal vile,
secondo il linguaggio della Scrittura, che Iddio vuole che noi facciamo, diventando perciò
stesso conformi alla sua bocca, perché allora confessiamo la verità, quando nulla attribuiamo
a noi di bene e di grande: Si separaveris praetiosum a vili, quasi os meum eris (Ger 15, 9). II
Priore fu proprio l‟uomo dell‟umiltà; può dirsi che ne fosse come invaghito, la studiò sempre
e in modo particolare ai piedi del Crocifisso, la praticò in tutti i giorni del viver suo, né mai
tralasciò d‟insegnarla agli altri. Chi lo conobbe, ci può far fede di non aver mai udito dalla
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sua bocca una sola parola in propria lode; stava con ilarità sottomesso a tutti, amava ricevere
consiglio da qualunque; e allorché era egli richiesto di dare il suo parere, lo faceva con tutto
riserbo, rimettendosi sempre al parere di altri. Certo che se alcuno in sua presenza avesse
pronunciato qualche parola meno riverente riguardo al Romano Pontefice o alle leggi della
Chiesa, allora alzava la voce e diceva francamente la verità in faccia di chicchessia, senza
timore od umano rispetto. In ogni altra cosa però, e già lo dicemmo, e per qualunque cosa
volesse intrapprendere, non agiva mai senza consigliarsi con persone prudenti e capaci. La
qual cosa si può chiaramente vedere da un documento che fu da lui dettato e poi stampato per
la Congregazione del B. Leonardo, di cui già si disse qualcosa. Ora lo vogliamo appunto
riferire per intero affinché si veda quanto in lui fosse grande l‟umiltà che lo rendea timido di
operare senza il consiglio e la preghiera.
Ecco il documento XIII che è cosí intitolato:
Triplice fondamento
su cui fu eretta la Congregazione.
“Quando l‟uomo (dice il Priore) ha buona intenzione e prega e si consiglia nelle sue
operazioni, è sicuro; perché nulla piú può esigere Iddio, e dietro le sue benigne promesse è
obbligato a se stesso a non permettere che costui erri. La buona intenzione, la preghiera, il
consiglio fu il triplice fondamento su cui venne eretta la nostra Congregazione, e questo ci dà
una gran sicurezza di averla edificata con Dio.
Possiamo pur dire che unica nostra intenzione fu quella di cooperare alla gloria di Dio e alla
salute delle anime, e un tal fine unico procuriamo di conservarlo non ammettendo fini
secondari. Questo modo di agire conserviamolo anche nelle nostre private azioni concernenti
il ministero ecclesiastico; i fini secondari, quantunque assolutamente non sieno riprovevoli,
possono essere dannosi, passando talora sui primari senza che ce ne avvediamo.
Sapendo però che noi non possiamo avere buone intenzioni, se Dio non ce le inspira e non
ce le conserva con la sua grazia, e che una tal grazia si deve impetrare colla preghiera,
abbiamo cominciato ed abbiamo progredito sempre affidati alla forza dell‟orazione; ed anzi
procurando di bene attuarci in quel principio di fede che senza la grazia non possiamo né il
molto né il poco, il tutto ci aspettiamo dal gran mezzo della preghiera, anche nei nostri lavori
particolari.
Ma perché non sempre Iddio vuole immediatamente inspirarci per se stesso, ed anzi nelle
cose di qualche importanza ad esercizio di umiltà suole illuminarci per altrui mezzo, con la
retta intenzione e con la preghiera non ci siamo mai reputati sicuri, senza consigliarci con
uomini segnalati per prudenza e per pietà. In tutti i divisamenti, in tutte le aggiunte, in tutte le
variazioni che sono necessariamente molte nel formarsi una Congregazione, abbiamo sempre
consultato le persone piú illuminate che noi potessimo conoscere, e nulla abbiamo fatto di
proprio capriccio. Parimente nel nostro particolare agire, se si tratta di cosa di qualche
importanza (perché sarebbe cosa impossibile e troppo intralciante il volere consiglio in ogni
minuzia), nulla intraprendiamo senza consigliarci con persone capaci. Di piú non abbiamo
mai creduto e non speriamo bene da chiunque ha buone intenzioni, ma non consulta se non il
proprio parere.
Quindi il triplice fondamento della Congregazione procuriamo che sia pure il fondamento
della nostra vita ecclesiastica, del nostro agire particolare; e questo ci dà molta confidenza di
riuscire al nostro scopo finale, che in sostanza è quello di vedere in noi e da noi eseguita la
divina volontà”. (Vedi Memorie int. alla Congr. del B. Leonardo da Porto Maurizio,
Documento XIII, pag. 151).
Chi non possiede l‟umiltà, difficilmente si accomuna cogli inferiori, coi rozzi e coi poveri,
cercando invece la compagnia di persone di qualche fama o ricche. Non cosí il Frassinetti.
Quante volte non fu veduto accogliere i poveri e i tapini con grande benevolenza e trattenersi
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con loro come il padre si trattiene co‟ suoi figliuoli? L‟umiltà allora andava di pari passo
colla dolcezza, sapendo compatire i difetti o i modi poco urbani di chi non possiede cultura.
Imitatore del divino Maestro abborrí decisamente le parzialità; per lui non vi erano persone
piú o meno geniali; le considerava tutte eguali, quantunque non lasciasse da parte le dovute
convenienze. Nella cultura delle anime non volle mai far distinzione fra persona e persona;
egli era premuroso di soccorrere con l‟opera del ministero sia il povero che il ricco, sia il
dotto che l‟ignorante. L‟umiltà del suo cuore lo portava a trattenersi con tutti, ove scorgea
necessaria o almeno utile l‟opera sua.
Questo è frutto del sentire bassamente di sé, e questo è ancora il vero modo per riuscire di
edificazione agli altri, far tacere le cattive lingue e operare nel popolo cristiano un gran bene.
Guai a quel sacerdote che nel coltivare le anime usasse parzialità con accezione di persone! Il
bene che opera oltre d‟essere viziato sarebbe causa di gravi dicerie e di pericolo sommo per
l‟anima propria. Nolite, ci raccomanda l‟Apostolo san Giacomo, in personarum acceptione
habere fidem Domini Nostri Iesu Christi gloriae (Gc 2, 1). Gesù Cristo, di cui il sacerdote
deve ricopiare la vita, non guardava in faccia a persona, e ciò era cosí chiaro, che perfino i
suoi nemici, i Farisei, sebbene con frode, gliene davano lode: Non enim respicis personam
hominum: Tu non guardi in faccia a persone (Mt 26, 16).
La lode e la gloria sono due grandi tentazioni per la santa umiltà; chi non le cura e non ne fa
alcun conto, costui può dirsi veramente grande. Abbiamo veduto che il Priore amò condurre
la sua vita nella solitudine, pago solamente di esercitare il suo ministero nel silenzio e con
l‟efficacia del buon esempio. Ma la sua virtú e la profonda dottrina, ond‟era fornito, non
potevano stare nascoste. Le molte operette date alla luce per il solo fine della gloria di Dio e
della salvezza delle anime parlavano assai chiaro, mostrando le doti singolari della sua mente
e del suo cuore. Egli, quindi, oltre alla stima dei suoi parrocchiani che fu generale, godeva la
stima di tutta Genova, che si può dire lo venerasse. In Italia e fuori il suo nome andava per le
bocche di molti, che a lui indirizzavano lettere di congratulazione o di alta stima. Si contano
trenta lettere di Vescovi che con lui tenevano carteggio particolare e lo onoravano del loro
ossequio ed affetto. E piú di ogni altro vale certamente l‟elogio fatto a lui dal Sommo
Pontefice Pio IX di s. m. E‟ noto a tutti che nel Breve che egli mandò alla sorella Paola per
l‟Istituto di S. Dorotea, dovendo essere nominato il Priore come zelatore dello stesso Istituto,
lo chiamò virum spectatae virtutis et doctrinae: uomo per virtú e dottrina ragguardevole.
Egli tuttavia non ne fece mai caso, né mai parlava di tali cose se non costretto dalla necessità,
e anche in questo caso si vedea che ne parlava con modi del tutto indifferenti, cosicché
suscitava l‟ammirazione degli altri verso se stesso. Non agognò mai a dignità né a contrarre
amicizie di persone ragguardevoli; e di quelle delle quali già era amico o che a lui
dimandavano consiglio, non si valse mai che per procurare aiuto ai suoi poveri. Fu riputato
degno dell‟episcopale carattere, ed egli fu visto ridere e scherzare piacevolmente come di
cosa impossibile e per lui non meritoria.
L‟umiltà lo faceva vivere in una santa trepidazione e diffidenza di se stesso, onde si accordò
con alcuni suoi piú intimi amici che volessero notare tutti i suoi difetti e poi a lui li
manifestassero per poterli conoscere ed emendarsene.
Gli era gratissimo che alcuno lo avesse rimproverato di qualche mancanza, gliene faceva i
piú cordiali ringraziamenti, e tosto mettea mano a correggersi. Ove il rimprovero fattogli
fosse ingiusto, non si adirava, ma ringraziando prima il correttore, passava a giustificarsi coi
modi i piú cortesi. Amava di essere disprezzato; le calunnie, i torti, le varie persecuzioni a cui
fu sottoposto, erano per lui un eccitamento a riconoscere il proprio nulla e ad unirsi con
intenzione maggiore di affetti al suo divino Maestro. Ne diede una bella prova nei tempi del
‟48, allorché fu costretto dalla rivoluzione ad esulare da Genova: da quella bocca non si udí
un lamento, una parola meno dolce contro i suoi nemici; si vide invece che occupava il suo
tempo come meglio poteva negli uffici del sacro ministero, e studiare e comporre colla
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maggiore tranquillità e allegrezza del mondo. Pare che anch‟egli dicesse a Gesú Cristo: Pati
et contemni pro te: Datemi, o Signore, la grazia dì patire ed essere disprezzato per amor
vostro.
È proprio dell‟umiltà il diffidare continuo delle proprie forze e temere di venir meno ai buoni
proponimenti; quindi il vero umile, che riconosce la propria infermità e debolezza, sfugge
anche l‟ombra sola del pericolo, persuaso che da per sé non reggerebbe al piú lieve conflitto.
Tale si dimostrò sempre il Priore, come colui che aveva ben radicata nel cuore la santa
umiltà. Egli sapea bene che il sacerdote vive in mezzo a molteplici pericoli, e nondimeno in
mezzo a questi deve mantenersi puro come gli angeli; che esso deve esercitare nel mondo
cosí guasto e perverso il suo spirituale ministero, ma il suo cuore, o meglio, per usare la frase
dell‟Apostolo, la sua conversazione deve rivolgere alle celesti cose. “Ora, solea dire, se noi
circondati da tanti pericoli, che non possiamo evitare senza venir meno alla nostra vocazione,
ci esponiamo a molti altri o pure in vero studio li andiamo cercando, che cosa sarà di noi?
Miseri ed infelici! Sottrattoci il divino aiuto, noi periremo di certo, e laddove i fedeli
avrebbero ricevuto dal nostro esempio edificazione ed incitamento a virtú, riceveranno al
contrario scandalo, vituperando il santo nostro ministero”.
Quindi nell‟opera del fuggire le più lievi occasioni di peccare si mostrò solerte e
vigilantissimo. Non volle mai dare famigliarità ad alcuno, fosse anche la persona piú savia e
guardinga; i suoi modi non erano severi, né mostrò mai soverchia rigorosità, ma
dimestichezza non ebbe con alcuno. Abborriva dalle inutili conversazioni coi secolari; ove
però vedea giovare la sua presenza in mezzo ad essi, allora non aveva si faceva rincrescere di
trattenersi con loro. Tuttavia i suoi discorsi coi secolari non aveano mai nulla di secolaresco;
egli solea raccomandare ai suoi confratelli di ricordarsi in ogni luogo della loro dignità,
perché considerando il sacro carattere di cui siamo insigniti, non sarà mai che ci
abbandoniamo alle esigenze del mondo e alle vili pretese dei nostri nemici. È certo che dal
dimenticare la nostra grandezza viene ogni male; la nostra nobilissima professione non potrà
farci mai insuperbire, perché è un puro dono della divina misericordia, ma se noi sacerdoti
non la riconosciamo, o quello che è peggio, la teniamo dall‟un dei lati, ben presto verremo a
mancare ai nostri alti doveri, e invece di essere onorato in noi il sacro carattere sarà odiato e
fatto bersaglio di lingue mordaci. S. Giovanni Grisostomo con tutta la forza dell‟aurea sua
eloquenza, raccomandava al suo popolo antiocheno di pensare alla sua dignità di cristiano:
Cogita qualis sis insignitus honore; perché considerava il santo dottore che il pensiero della
propria eccellenza sarebbe stato un forte stimolo alla virtú e alla fuga dal male.
Pertanto il Priore con la diffidenza di se stesso che gli apprestava l‟umiltà del suo cuore, e
con la considerazione del carattere sacerdotale riusciva ad evitare i pericoli e a riportare
vittoria di quelli, in cui era posto dal suo ministero. Gli dispiacque sommamente il gioco e
non volle mai prendervi parte; diceva che il piú bel passatempo per i sacerdoti era la lettura
di buoni libri, oppure la conversazione con sacerdoti dotti e pii. I giochi erano da lui
considerati come una vera perdita di tempo e come lacci che il demonio tende agli
ecclesiastici per far loro obliare i propri doveri; ed era solito pronunziare quelle parole di san
Pietro Crisologo: Qui iocari voluerit cum diabolo, non poterit gaudere cum Christo: Chi
vorrà giuocare col diavolo, non potrà godere con Gesú Cristo: e ripeteva l‟ammonimento di
san Francesco d‟Assisi: Guardatevi di dare in mano al demonio un capello, poiché il
maligno si attacca a quel capello, e vi strascina dove vuole.
Opinarono alcuni suoi amici che egli possedesse il terzo grado di umiltà raccomandato da
sant‟Ignazio nei suoi esercizi spirituali. Come molti sapranno, questo grado consiste in ciò
che, se anche per mezzo degli onori e delle ricchezze si potesse colla stessa facilità che per
via della povertà e del disprezzo, salvare e ottenere il fine della nostra creazione, tuttavia si
elegga con Cristo povero, dispregiato e deriso di abbracciare la povertà, il disprezzo e lo
scherno, piuttosto che le ricchezze, gli onori e la stima di saggi. Certamente che questo è il
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più alto e perfetto grado di umiltà che umana creatura possa avere quaggiú; infatti per questo
grado essa non deve piú considerare sé stessa in modo alcuno, spogliarsi d‟ogni desiderio
benché lecito, e darsi pienamente e senza riserva alla fedele imitazione di Gesú crocifisso.
Ora la vita e le azioni del Priore rivelano quanto in lui fosse grande l‟umiltà della mente e del
cuore; e quindi il credere che egli in questa virtú toccasse il perfetto, possedendone il detto
grado, non si andrebbe lungi dal vero. Tanto piú se si considera che egli, incontrando alcun
suo amico che avesse di fresco fatti gli esercizi, era solito dimandargli, se aveva fatto il
proponimento di voler acquistare il terzo grado di umiltà.
Del resto, con lo studio di evitare i piú remoti pericoli e di imitare il divino Maestro, giunse
ad una mirabile perfezione di virtú; di maniera che si vedea in lui, con l‟invecchiare, crescere
di giorno in giorno e ringiovanire lo zelo, la pietà, il distaccamento da tutte le cose esteriori e
tutto il corredo delle cristiane e sacerdotali virtú. A lui erano ignote tante sue belle doti e fino
all‟ultimo della vita amò di non essere mai preferito ad alcuno; umile sinceramente con vera
persuasione della sua pochezza e nullità si mantenne in mezzo alla gloria, che la virtú e la
dottrina andavano tuttora acquistandogli.
L'anno 1866 dovea dare gli esercizi spirituali al Clero genovese il celebre predicatore
torinese, Can. Giovanni Battista Giordano, uomo di apostolico zelo, morto, or son pochi anni,
in odore di santità. Or bene, prima di venire in Genova scrisse al nostro Priore per chiedergli
consiglio e fra le altre cose nella lettera si leggono queste: Ella che è cosí addentro nelle cose
di spirito, mi ottenga dal Signore un po’ di lume e di forza, ché altrimenti io non farò che un
pasticcio.
Ma ahi! che già la falce inesorabile di morte s‟appressava a gran passi per recidere il filo di
una vita tanto preziosa; già il tempo dei suoi travagli e sudori sparsi per l‟amore del suo Dio
correva al termine con inaspettata velocità, ma doveva cominciare per lui l‟eterno riposo dei
giusti. Egli vi anelava con tutta la forza della cristiana speranza che ebbe viva nel cuore, e si
notava che al parlare del paradiso andava fuori di sé per la gioia, dal volto traspariva una
serenità incantevole e rapiva dolcemente chi l‟ascoltava. È vero che non può il cristiano
avere un‟assoluta certezza di essere in grazia e quindi di poter riuscire ad afferrare l‟eterna
corona; tuttavia se di nulla lo riprende la voce della coscienza, la fiducia allora può
impossessarsi liberamente del suo cuore e arrecargli grande consolazione. “Carissimi,
ammonisce S. Giovanni, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, nutriamo fiducia in Dio:
Carissimi, si cor nostrum non reprehenderit nos, fiduciam habemus ad Deum” (1 Gv 3, 21).
Infatti lo Spirito Santo comunica all‟anima giusta quella certezza, che possiamo dire,
fiduciale o congetturale, che, se non scaccia il timore, gli fa però gustare tutta la soavità delle
divine promesse e gli suggerisce all‟orecchio quella cara parola: Tu sei figliuolo di Dio. Sono
chiare le parole di S. Paolo: Ipse enim Spiritus testimonium reddit spiritui nostro, quod sumus
filii Dei (Rm 8, 16). Noi, lo confessiamo candidamente, nel capitolo che segue, entriamo a
parlare della fine dei suoi giorni con quello stesso dolore che sorto in noi il giorno della sua
morte non è per ancora cessato; e favellando di quel funesto momento della sua perdita, la
nostra voce si spegne nel pianto e tutta l‟angoscia che abbiam provato in quel tristissimo
istante si rinnova.
CAPO XIV
PREZIOSA SUA MORTE
CONCLUSIONE
Per un sacerdote e molto piú per un pastore di anime, il quale durante la sua vita abbia atteso
incessantemente alla gloria di Dio e alla salute dei propri fratelli, deve riuscire preziosa la sua
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partenza da questo mondo. Infatti quello è il felice momento di ricevere dalle mani del
l‟Eterno Sacerdote, Cristo Signore, la corona del premio che non dovrà mai mancare; di
vedersi cambiata la stola sacerdotale dei dolori, delle fatiche e delle persecuzioni nella stola
della gioia, del riposo e della vittoria. È chiaro allora che un tale ministro del Signore può
nutrire viva nel suo cuore la fiducia e lasciare pur con un certo diletto quella terra che a lui,
come al suo Capo Divino, fruttò amarezze e spine. D‟altra parte il pensare a quelle tante
anime che in vita furono da lui per ogni modo aiutate nel supremo compito della loro eterna
salute, a quelle tante altre che ha strappate dalle fauci dell‟infernale nemico e ricondotte
nell‟ovile di Gesú Cristo e alle opere buone a cui diede aiuto ed incremento con il solo fine
della divina gloria, deve certo arrecargli non lieve consolazione e dargli buon conforto a
sperare nella clemenza di Colui, per cui solo egli visse ed operò. Ora se la morte dovrà
riuscire cosí preziosa al cospetto di Dio e a chiunque fra gli ecclesiastici, attese senza posa a
glorificare Iddio con il buon esempio, con la dottrina e con la parola, e per conseguenza a
salvare le anime redente da un Sangue di valore infinito, tale dovette essere senza dubbio la
morte del nostro Priore. La sua vita fu una serie non mai interrotta di fatiche e di sudori
sparsi per il bene del suo gregge e della Chiesa; egli non approfittò mai degli onori, della
fama popolare, disprezzò il mondo, i suoi beni, le sue vanità, i suoi piaceri. L‟unico suo
amore era il Crocifisso e la salute delle anime, la sua gloria piú bella servire la Chiesa del suo
Gesú, il suo desiderio di avere meriti davanti a Dio e salvarsi. Il lettore potrà a quest‟ora
darci ragione di ciò che abbiamo detto nella Prefazione, la sua vita essere stata un modello di
sacerdotali e pastorali virtú a tutto il clero genovese, e potrà con noi sperimentare pena e
dolore, accennando alla fine certo immatura dei suoi giorni.
Fu detto di Cesare che egli o non dovea mai nascere o non avrebbe mai dovuto morire. Noi
non diciamo né l‟una cosa né l‟altra, perché bastano anche pochissimi giorni di vita all‟uomo
giusto e benefico perché egli espanda da per tutto l‟odore delle sue virtú, e in questo caso è
da ringraziare Iddio per aver rallegrato la terra con la nascita di costui. Quanto al desiderio
che una persona a noi cara viva per sempre è cosa tutta naturale ed esprime l‟affetto
vivissimo che si ha per essa; nondimeno tutti sappiamo che né il vizio né la virtù, né la
sapienza, né l‟ignoranza possono avere fra noi perenne dimora. Tuttavia alla morte dei buoni,
soprattutto se non abbiano varcato l‟età della decrepitezza, l‟animo nostro che si avvolge in
cupa mestizia ci fa dire spontaneo: “Almeno fosse giunto alla piú tarda vecchiezza; avremmo
goduto ancora dei suoi esempi e del frutto delle sue virtú”. È questa la brama naturale che
indica il sentimento di rispetto e venerazione che noi professiamo per il virtuoso operare;
nondimeno la fede ci fa chinare il capo per adorare gli imperscrutabili giudizi di Dio e i
sapientissimi ordinamenti della sua Provvidenza, facendoci sapere che diversi dai nostri sono
i pensieri di Dio.
II Frassinetti, nonostante che fosse già arrivato ai sessantaquattro anni di vita, era nondimeno
sano e piuttosto di tempera forte e robusta. Nessun incomodo della vecchiaia già cominciata
sentiva, né le molte fatiche e il continuo studio scemarono punto la leggiadria del suo
carattere e la robustezza delle sue membra. Se di questo dobbiamo dar lode a Dio, il quale
solo può avergli dato lena e vigore per reggere al cumulo delle svariate sue occupazioni a
favore della Chiesa, possiamo anche imparare che la vita operosa e mortificata è molto
spesso la salvaguardia da molte infermità. E queste al Priore non diedero grande afflizione, o
se alcun leggero incomodo gli fosse sopravvenuto non si udiva lamentare o preoccupazione a
quei di casa; in tal caso la sua medicina. era una rigorosissima dieta.
Con questo vogliamo dire che assalito dalla breve malattia che lo trasse al sepolcro, fece
allarmare tutti e il solo principio del male mise la costernazione nei cuori di tutti. E quel
timore era fondato, e ragionevole assai quella costernazione! Chi l‟avesse veduto l‟ultima
domenica dell‟anno 1867 e ultima anche della sua vita fare colla solita energia le sacre
funzioni e predicare al numeroso popolo la divina parola, nessuno avrebbe pensato
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all‟imminente sua morte. Eppure lo aveva già assalito un leggiero malore, onde alla sera di
quella stessa domenica poté a stento recitare il Mattutino del giorno seguente. Passò inquieta
assai la notte: tuttavia al mattino del lunedí confessò per lo spazio di un‟ora e celebrò la
Messa, però con grande fatica. Il male intanto andava incalzando, ma poco si credette alla
gravità della sua infermità, vedendolo sempre conservare la sua solita vivacità e attendere
alle solite sue occupazioni. In tutto quel giorno il male non presentò sintomo alcuno da
inquietare e mettere l‟apprensione in quei di casa. Il mattino seguente volle alzarsi per
celebrare la S. Messa, ma allora s‟accorse di essere malato assai, perché fu tale la sua
debolezza che si dovette aiutarlo a riporsi a letto. Cominciò allora il timore e la costernazione
a impossessarsi di chiunque seppe della sua malattia. In tanti anni non si era mai udito che il
Priore avesse per malattia lasciato di celebrare il santo sacrificio; dunque, si diceva da molti,
se ora avviene tal cosa, la faccenda vorrà essere assai grave, ché la prima malattia in un
vecchio è pericolosa: oh che Dio ci liberi dalla disgrazia di perdere un parroco così buono!
Intanto furono in fretta chiamati medici, gli furono prodigate le più amorevoli cure, ma nulla
valse. In breve la notizia della sua malattia si sparse per Genova tutta; fu quindi un accorrere
di persone di ogni condizione per averne notizie, ed era spettacolo ben triste il vedere uscirne
molti con le lagrime agli occhi e sospirare e gettarsi ginocchioni ai piedi degli altari per
implorarne la guarigione. Si cominciarono tridui, e quanti parrocchiani non fecero promesse
e voti e si incitavano a vicenda a pregare per l‟amato pastore! Si correva continuamente alla
chiesa e sui volti di tutti leggevi la mestizia e il dolore come all‟appressarsi di una pubblica
calamità. Fermo era il decreto di Dio; l‟angelo della terra dovea addivenire l‟angelo del cielo,
e piú che agli uomini dovea cara riuscire la sua compagnia ai beati comprensori.
Aggravandosi il male il primo giorno dell‟anno 1868, volle confessarsi dal rev. Rettore di S.
Marco, Pietro Boccalandro che era il suo confessore, e gli fu, a sua richiesta, amministrato il
S. Viatico dal Parroco di S. Fede, come il piú vicino, che era il rev. Carlo Mongiardini,
mancato ai vivi il 10 giugno dell‟anno 1877. E qui vogliamo riferire una particolarità
avvenuta prima del Viatico, per far conoscere sempre meglio che ciò che insegnava e
predicava agli altri, amava praticarlo fedelmente egli stesso. Essendogli io, che allora abitavo
presso di lui in qualità di chierico, andato in stanza e rimastovi solo, egli a me rivolto,
raccomandandomi che volessi pregare sempre per l‟anima sua, frattanto, aggiunse: “Fammi
un piacere; va e che nessuno ti veda, prendi la borsa dell‟Olio Santo e portamela in camera”.
“Ma, signor Priore, ripigliai, non creda poi di star tanto male”. “O bene o male che io stia,
non importa; ho sempre insegnato agli altri che dopo il Viatico si può con sicurtà
amministrare l‟Olio Santo: quindi ora voglio che la stessa cosa sia praticata con me: va e
spicciati”. Il che, avendo eseguito e portatoglielo in camera, egli mi sorrise come di un
beneficio a lui fatto; però non gli fu amministrato subito, come pur volea e chiedeva
replicatamente, perché dopo il Viatico si notò in lui un leggerissimo miglioramento.
Ora ci si potrebbe chiedere quale fosse la sua rassegnazione nella sua malattia. Diremo che fu
tanta che faceva maravigliare chi lo assisteva; lo tribolava fortemente l‟asma e un dolore
acuto dalla parte del cuore, e tuttavia i suoi lamenti erano sospiri di amore verso il divin
Crocifisso, erano atti di piena e totale sottommissione al volere di Dio. Stava raccolto nel suo
dolore con la mente elevata al cielo: il suo atteggiamento era quello di uomo che prega o di
un pellegrino che vede avvicinarsi l‟ora di entrare in patria.
La mattina del due gennaio 1868 presentò un presagio ben triste; le forze cominciavano a
diminuire, e sottentrava il respiro affannoso, foriero di morte. Ahi, che dolorosa malinconia
spirava allora in quella casa, rallegrata per tanti anni dalla presenza del venerato Priore! Non
diremo del nuovo accorrere di sacerdoti e laici intorno al suo letto e del dolore già
impossessatosi dei fratelli per la somma disgrazia che stava per colpirli. A mezzogiorno,
quantunque a mala pena potesse articolar le parole, recitò con gran divozione e singolare
raccoglimento l‟Angelus Domini.Fu quello un istante di dolce e pietosa ammirazione per
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coloro che lo assistevano; i suoi occhi, il suo volto avevano un‟aria tale di rassegnazione
mista a tranquillità che rapiva i cuori. Quindi cominciò a declinare sensibilmente e alle due
pomeridiane entrò in agonia. È impossibile descrivere l‟affollarsi dei parrocchiani allorché si
udí il mesto rintocco della campana che annunziava la vicina sua morte; convennero ancora i
reverendi padri Filippini che, espulsi dalla loro chiesa, abitavano nella Parrocchia del Priore;
tutti si stemperavano in lagrime, e i fratelli parevano la statua del dolore sulla tomba di un
trapassato. Mentre agonizzava cercò colla mano già fredda la medaglia della Madonna che
teneva appesa al collo per mezzo di un ruvido spago. Gliela porse il suo collaboratore D.
Giacinto Bianchi, ed egli fece atto di baciarla, e certo che Maria in quel punto non abbandonò
il divoto suo figlio che tanto in vita l‟ebbe onorata e fatta onorare da altri. Si vide che la baciò
con santo trasporto di amore, e poi, fra il gemito e il singhiozzare dei circostanti poco prima
delle tre ore pomeridiane placidamente si addormentò nel Signore.
Anima giusta, riposa pure nel tuo Signore; da questo momento sono finiti per te i travagli, le
persecuzioni e i dolori, ed incomincia ora il beato godere coi Santi. Servo fedele, ascolta la
parola di Dio che ti invita alla gloria dell‟eterna mercede: Euge, serve bone et fidelis, intra in
gaudium Domini tui. (Mt 25, 26).
Appena spirato fu necessario togliere gli oggetti dalla sua stanza perché tutti piangendo
domandavano una memoria di lui; altri non potendo essere appagati nei loro desideri si
diedero a tagliare a piccoli pezzetti il suo letto di legno e la sottana. Ciò vedendo, si diedero
loro dei quadretti che aveva in camera ed altre simili cose, che adesso alcuni conservano con
grande riverenza. Alcuni tra i Figli di S. Maria Immacolata insieme con un sacerdote
entrarono nel divisamento di vestirne le mortali spoglie essi medesimi, non permettendo che
fossero toccate da persone estranee e profane. Gli tolsero dal collo l‟abitino del Carmine, la
medaglia dell‟Immacolata, il cingolo di S. Tomaso d‟Aquino e quello di S. Francesco
d‟Assisi, dividendosi fra loro queste divozioni e tenendole in conto di preziose reliquie. Ciò
fatto, lo vestirono delle divise da Parroco e lo adagiarono sul letto con faccia scoperta; quindi
gli si accesero intorno vari ceri. Grande, oltre ogni dire, fu il concorso delle persone d‟ogni
condizione alla canonica del defunto; chi sospirava, chi piangendo dicea: “Ah, caro pastore,
perché hai lasciato in tanto dolore le tue pecorelle?” Altri diceano di non voler pregare per lui
perché non ne aveva bisogno; “Caro nostro padre, osavano dire alcuni altri, prega tu per noi
miseri peccatori; tu non desideri certo di essere in questo mondo, perché il paradiso è tuo: se
non ci sei arrivato tu, nessuno potrà mai arrivarci.”
È proprio vero che la memoria del giusto sarà lodata: Memoria iusti cum laudibus; (Pr 10,7),
e che la memoria della vita e delle geste di lui passerà di secolo in secolo acclamata sempre e
benedetta. In memoria aeterna erit iustus. (Pr 3, 7). In quei momenti era necessario ad
ognuno sfogare l‟angoscia del suo dolore; tutti sospiravano e piangevano inconsolabilmente
genuflessi ai piedi delle venerate spoglie dell‟uomo di Dio. Nondimeno i singhiozzi, il
pianto, la desolazione di coloro cui il Priore amò a preferenza degli altri, vogliamo dire i
poveri, formavano una scena ancora piú triste e commovente. Il grande del secolo può essere
temuto allorché il fasto e lo splendore dell‟oro lo circonda; magnifici mausolei, prodigio
dell‟arte e meraviglia dei posteri, varranno a ricordare ai nipoti la gloria di un uomo che fu;
ma chi leggerà nei solenni epitaffi le grandezze di lui rimarrà freddo come quei marmi che gli
stanno davanti. L‟encomio piú bello dell‟uomo, il panegirico piú veritiero delle sue virtú
altro non sono che le lagrime e le preghiere dei poveri. In queste sta nascosto l‟affetto, il vero
amore e la gratitudine che ascende fino al trono di Dio in odore di soavità. II Priore ebbe
questo tributo di lode dai figliuoli della miseria, i quali furono pure i figli suoi prediletti.
Deplorarono inconsolabili la sua perdita e forse anche al presente non cessano di piangerla;
prova manifesta dei sussidi, noti solo ad essi e a Dio, che ricevettero da quelle mani
benefiche.
61
Altri amati tanto da lui furono i Figli di S. Maria Immacolata; egli li riguardava con occhio di
giubilo perché li vedea intenti ad onorare Colei, che egli pure prediligeva dopo Dio con tutto
l‟affetto, cioè la Vergine Madre di Dio. Gli erano carissimi poi, perché sapeva che erano
amanti della piú bella fra le virtú, la verginità, di cui egli fu l‟apostolo. Essi però non vennero
meno all‟amore e alla riconoscenza verso di lui; ché non paghi di avergli dato quella
testimonianza di affetto e venerazione, facendo sí che un sacerdote, come si è detto, insieme
con essi ne vestisse il cadavere, vollero inoltre assistere attorno al letto l‟intera notte,
recitando alternativamente l‟ufficio dei morti. La moltitudine dei divoti non volle però
lasciarli soli in quel mesto uffizio, quindi li accompagnarono nelle preci per tutta la notte.
Fino alle ore dieci e mezzo di sera si lasciò libero l‟adito alla stanza dov‟era il cadavere, ma
vedendo che questa e la sala erano già zeppe di persone si dovette chiudere, non ostante il
lamento di chi era costretto ad andarsene. Il giorno seguente per cura del già nominato
sacerdote, Giacinto Bianchi, si ritrattò in fotografia il busto del Priore; se ne fecero poi molte
copie, che furono in parte regalate e in parte vendute per la città e cercate avidamente.
In quella stessa mattina gli fu cantata una Messa, quindi si preparò la chiesa per un altro
solenne funerale, a cui intervennero i parroci della città. Non si può descrivere a parole il
gemito che si sollevò dalla folla allorché fu alzato il cadavere per recarlo al pubblico
cimitero; fu un pianto universale che avrebbe intenerito i cuori piú duri, e l‟onda del popolo
piú che curiosa di contemplare il solenne accompagnamento si vedeva mesta e addolorata
volgere gli occhi lacrimosi verso il feretro. Eppure il tempo non era molto propizio; era una
giornata freddissima, e la neve caduta il giorno e la notte avanti ingombrava ancora le
contrade della città. Queste difficoltà non scoraggiarono per nulla i figli dell‟amato pastore,
onde un gran numero di essi, fra cui molte zitelle e donne infermicce vollero seguire la mesta
comitiva fino al camposanto per un viaggio di un‟ora intera; e non si partirono di là che a
notte tarda tuttavia piangendo e pregando, e molti ancora raccomandandosi a lui, come ad un
santo.
Le funzioni espiatorie per l‟anima sua durarono quindi per un mese, perché le molte
congregazioni delle quali egli era stato o l‟istitutore o il reggitore andavano a gara nel
tributargli l‟ossequio del loro filiale amore. E si vuol notare che i Figli di S. Maria
Immacolata ogni anno celebrano in S. Sabina l‟anniversario della sua morte intervenendovi
essi e il loro direttore che vi canta la Messa.
Quanta fosse la stima che il clero di Genova nutrí per il compianto Priore si può chiaramente
arguire dal pietoso divisamento che presero alcuni sacerdoti di fargli un solennissimo
funerale, concorrendovi per mezzo di offerte. Gli oblatori furono molti fra i canonici, parroci
e sacerdoti più ragguardevoli ed anche alcuni signori laici. Anche il Vescovo di Novara,
Mons. Gentile di s. m. vi concorse con la sua offerta. II giorno stabilito per le solenni esequie
fu il 14 di febbraio dì quell‟anno, la chiesa era tutta apparata in nero con lampade mortuarie;
nel mezzo sorgea un modesto sarcofago, il quale, se forse non presentava varietà o simmetria
di forme, si fu per cagione del ricchissimo drappo lavorato in oro cosí folto e pesante, che
non poteva piegarsi. Dopo la Messa in canto lesse l‟elogio funebre il dottissimo canonico
Poggi Filippo di s. m. che, come abbiam detto, fu compagno del Priore nel corso degli studi
letterari. Esso pure dettò l‟iscrizione che fu posta sulla porta della chiesa e vogliamo qui
riferirla per coloro che non avessero letto l‟orazione funebre dove è riferita, e perché ci pare
meritevole al tutto di essere tuttavia ricordata:
CIVES • ADVENAE • CONVENAE
FREQVENTES • ADESTE
CVRIANI • CONLEGAE • AMICI • Q.
IVSTA • FVNEBRIA • PERSOLVIMVS
IOSEPHO • FRASSINETTIO
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VIRO • PIETATE • DOCTRINA • SCRIPTIS • INSIGNI
ANNOS • FERME • XXIX
HVIVS • AEDIS • CVRIONI •, PROVIDO • VIGILANTISSIMO
HEV • QVANTVM • NOBIS • VNO • IM • CAPITE
MORS • INVIDA • ERIPVIT
II sullodato Vescovo di Novara, intesa la notizia della morte del Priore, scrisse una lettera di
condoglianza ai fratelli, della quale vogliamo riferire un brano perché si veda la stima in che
esso era tenuto anche presso questo Vescovo. La data è del 16 gennaio 1868; fra le altre cose
egli dice: “La morte dell‟ottimo Priore loro fratello mi cagionò grandissimo dispiacere, ed è
stata certamente una perdita sensibile per tutti, infatti con le sue egregie doti e con i suoi
scritti era di tanto vantaggio alla Chiesa. Questo ci è però di conforto al pensare che ora sarà
a godere nell‟eterna vita la mercede delle sue virtuose azioni e del suo zelo specialmente per
la salute delle anime”.
Lo Stendardo Cattolico, giornale che già abbiamo menzionato, fece un bellissimo elogio del
Frassinetti lodandone lo zelo, la dottrina e le molte sue operette. Ricordiamo che un pio
sacerdote fu invitato dai fratelli a fare la spiegazione nella domenica successiva alle ore 12.
Egli giudicò bene omettere per allora la spiegazione del Vangelo e piangere invece con
amaro cordoglio la perdita del Priore. Fu quello un vero panegirico che fu accolto con piacere
dal numeroso uditorio, e dettato con quell‟affetto che è proprio del suddetto sacerdote, destò
una viva commozione negli animi e molti uditori si videro piangere cosí amaramente e per
tutto quel tempo che durò il sermone, che facevano pietà a riguardarli. Lo stesso avvenne al
dopopranzo, infatti il rev. Grasso Andrea, canonico di N. S. del Rimedio, morto il 10
settembre dell‟anno 1878, dovendo, dietro invito, fare il catechismo, egli non volle far altro
che un amplissimo elogio del defunto Priore, quindi anche allora i sospiri e i singhiozzi si
udivano per tutta la chiesa, ed egli stesso si fermava alcun tratto interrotto dalle lagrime che
versava, specialmente allorché chiamava il Priore anima giusta, replicandolo molto spesso. E
fu veramente, anche noi lo ripetiamo, anima giusta al cospetto di Dio e degli uomini in tutto
il decorso della sua vita mortale. Anima innocente e pura, che dei candidi gigli della verginità
adornò se stessa e gli altri; anima ritemprata ad un cocente amore del suo Dio, onde non
guardò in faccia a travagli, a studi, ad inedie e vigilie per accendere in altre anime il sacro
fuoco di cui divampava, e rise da ultimo in faccia alla morte perché vedea schiudersi davanti
le porte di quella vita in cui eternamente si ama.
Ma frattanto egli non è più tra noi e la Chiesa in lui ha perduto un figlio oltre ogni dire
amoroso ed un ministro fedele, operoso e vigilantissimo. I poveri deplorano il loro
benefattore, i pupilli il loro padre, i vergini la loro guida, le lettere il loro cultore, e piú che
mai l‟amato gregge di S. Sabina non cessa ancora di piangere sulla tomba onorata del caro
pastore. Che fare però mentre pur qui finisce ogni cosa e la vita presente sappiamo non essere
che una brevissima preparazione alla futura? Quello che il cristiano deve fare nelle amare
perdite che va facendo dei buoni che amava e venerava, è di adorare nel silenzio il superno
decreto e poi ripensando a quelli esempi di virtú e di celeste sapienza, dai quali gli amici di
Dio sono nobilitati, lavorare di buona lena per recarli ad effetto. Chiunque tu sii, o lettore,
che avesti la bontà di leggere queste memorie, dimmi, non ti senti stimolato a virtú scorrendo
le geste dei veri servi di Dio? Non si accende di celeste zelo il tuo cuore allorché di un tal
zelo vedi animato un tuo fratello, a cui nulla importa delle derisioni e delle difficoltà che il
mondo gli oppone? Hai veduto il Frassinetti impiegare il suo ingegno, il tempo, le sostanze la
vita per guadagnare anime a Cristo, per conservarle a Lui fedeli e per salvarle dall‟eterno
castigo. Egli in questo forse piú che imitabile riuscì ammirabile, ma aveva ben ponderato con
la scorta della fede il valore di un‟anima, quello che costava al Figliuolo di Dio e quello che è
e sarà di lei se da Lui si allontana. Fa tu, facciamo noi lo stesso; non ci spaventi l‟ammirabile
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nei santi, prendiamo ciò che da noi si può imitare. Anche per noi verrà l‟ultimo momento
della vita, ci opprimerà l‟agonia con i suoi affanni, ci tribolerà il demonio con le sue astuzie,
ci amareggeranno le nostre infedeltà, ma buon per noi se in vita avremo cooperato per quanto
ci era possibile alla salvezza delle anime e a glorificare Iddio; la nostra morte sarà meno
dolorosa e piú tranquilla Pregheranno per noi quelle anime che noi nascondemmo nel Cuore
di Gesú Cristo, e sopra i nostri dolori discenderà da quel Cuore un balsamo celeste che ci
conforterà nelle dure strette di morte. Allora le ultime nostre lagrime, raccolte dalla mano di
Dio, si muteranno in preziosissime perle, onde dovrà ingioiellarsi l‟eterna corona, che
dall‟Amante delle anime sarà posta sul nostro capo.
O Giuseppe Frassinetti, ottieni a chi scrisse e a tutti coloro che leggeranno il racconto delle
tue virtù quello spirito che ti animò nel corso dei tuoi giorni. Deh che questo medesimo
spirito ravvivi sempre il cuore dei sacri ministri di quella divina Religione, che tanto amasti e
per cui promuovere ti adoperasti in ogni guisa! Noi lo speriamo, e questo pensiero lenisce
alcun poco il dolore di averti perduto; la tua sorte sarà beata in eterno e nella visione dì Dio
accogli il frutto dei tuoi travagli; or dunque mira a noi ancor pellegrini ed esuli da quella
patria che già è tua, e ai cari fratelli, ai figli che generasti a Gesú, agli amici tuoi impetra da
Dio la stessa fortuna, che possiamo un giorno vederti colà dove piena e perfetta si ritrova la
gioia e la pace.
L’epitaffio appostogli nel pubblico cimitero di Staglieno fu scritto dal Canonico, ora Priore
del Carmine, Antonio Campanella, ed è il seguente:
H • S • E
IN • PACE
• IOSEPHVS • IOHANN1S • BAPT • F • FRASSINETIVS • SACERD.
QVI
SODALIS • FRANSONIANVS • IDEM • URBANUS • A • S • KAROLO
SACRIS • EXPEDITIONIBVS • OBEVNDIS
IVDEX • KLERO • PROBANDO
CVRIO • ANNOS • FERE • XXXIX
ANTEA • APVD • QV1NTVM
DEIN • GENVAE • IN • VRBE • NATALI • AD • S • SABINAM
EXEMPLO • VERBO • IMPENSA • NOVIS • INSTITVTIS
SCRIPTIS • QUAMPLVRIMIS
PIETATEM • IN • DEUM • IN • QUE • VIRGINEM • MATREM
FOVIT • PROTEXIT
ETHICAM • CHRISTIANAM • LIGVORIANIS • VESTIGIIS • HAERENS
PERTRACTAVIT • UNIVERSAM
CLARVUS • DOMI • FORIS • QVE
DECESSIT • IV • NON • IAN • AN • MDCCCLXVIII • AET • S • LXIV
FRANCISCUS • IOHANNES • RAPHAEL • SACERD.
PAVLLA • VIRGO • DOROTHEANA
FRATRI • CONCORDISS.
M • P.
64
PROTESTA
Obbediente alle decisioni dei Sommi Pontefici e in modo particolare ai decreti del Pontefice
Urbano VIII di s. m. intendo che alla narrazione da me fatta delle geste del Priore Giuseppe
Frassinetti non si presti altra fede che umana, rimanendomi in tutto agli oracoli infallibili
della Chiesa, di cui sono e sarò sempre coll'aiuto di Dio ubbidientissimo figlio.
DISCORSETTO
DEL SACERDOTE
GIUSEPPE FRASSINETTI
PRIORE DI S. SABINA
IN GENOVA
RECITATO NEL SANTUARIO DELLA MADONNETTA
LA VIGILIA DELI.'ASSUNTA
PER L'OFFERTA DEL CUORE DEI FANCIULLI
A MARIA SS.
Mi par di sentire la Madonna SS. da questa sua divota immagine ripetere adesso quelle parole
della divina Sapienza: Qui est parvulus veniat ad me: Chi è fanciullo, chi è fanciulla venga a
me; venga a me, si accosti a me, come i figliuoli si avvicinano e se ne stanno intorno alla
madre”.
Si, cari fanciulli, la Madonna v'invita, la Madonna vi chiama, perché come vostra amorosa
madre vuol farvi molto bene, prendersi grande cura di voi, provvedervi di quanto
abbisognate, e mettervi a parte delle sue preziose carezze, come le madri fanno pei loro amati
figliuoli. Vi piace questo invito? Siete contenti di avvicinarvi a Maria? Oh quanto vi piace!
quanto ne siete contenti! E siete anzi venuti a bella posta per accostarvi a Lei, e mettervi qui
ai suoi piedi, ed averne le grazie.
Ma credete voi che, mentre la vostra Madre Maria vuol farvi tanto bene, non voglia nulla da
voi? Vuole certamente qualche cosa da voi, anzi vuole una gran cosa. Sento che ella vi dice
un‟altra parola, che è similmente della Divina Sapienza: Praebe, fili mi, cor tuum mihi; sento
che dice a ciascuno e a ciascuna di voi: O figliuolo, o figliuola, dammi il tuo cuore. Oh che
gran cosa vuole da voi la vostra Madre Maria volendo il vostro cuore! Questo è certamente il
regalo più grande e più prezioso che voi le possiate fare. Vi piace far questo regalo, questo
dono, questa offerta a Maria? Oh quanto volentieri, voi mi rispondete quanto volentieri
facciamo a Lei questa offerta! E non siamo venuti a bella posta a questo Santuario, e non ci
troviamo per questo davanti al suo altare, a piedi della sua sacra immagine? Per questo
appunto siamo venuti, per questo appunto siamo qui raccolti siccome buoni figliuoli intorno
alla nostra Madre Maria.
Cari fanciulli, oh quanto mi rallegro con voi che, mentre la Madonna vi domanda il cuore,
voi siate tanto pronti anzi desiderosi di contentarla, venuti a bella posta per offrirle il cuore!
Ma perché vi domanda il cuore? Ve lo dimanda, perché Essa di sua mano vuole metterlo
presso il Cuore del suo divino Figliuolo Gesú, affinché ivi sia custodito e sicuro, né ve lo
rapisca il vostro nemico il demonio. Oh se sapeste quanto fa questo vostro nemico per rapirsi
i cuori dei fanciulli! Quanto piú egli vede che i vostri cuori sono cari a Maria e a Gesú, tanto
piú si affatica per rapirli per sé.
La vostra buona Madre Maria che conosce questa maligna volontà del demonio, vi domanda
il cuore per presentarlo al suo Gesú, e pregarlo che lo riceva presso il divino suo Cuore, e che
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quivi lo guardi, se lo conservi, se lo difenda colla forza della sua grazia, sicché riesca vano ed
inutile ogni sforzo del demonio che lo vorrebbe per sé.
Oh beati voi, cari fanciulli, che date in questa sera il vostro cuore alla Madonna! Spero che
sul vostro cuore non metterà mai le nere mani il demonio; il vostro cuore sarà sempre di
Maria, e sarà sempre di Gesú.
Vi raccomando intanto che non vi dimentichiate giammai di questa bella offerta che fate in
questa sera alla Madonna, perché sarà sempre un utile e consolante ricordo per tutti gli anni
di vostra vita; e parlo per esperienza.
Io non avevo ancora sei anni, e in questa medesima sera, in un drappello di fanciulli come
voi siete, quivi davanti a questo altare, ho fatto l‟offerta del mio cuore a Maria, come voi
fate. Lo ricordo tuttavia, e ricordandolo dopo tanti anni mi sento crescere la confidenza nella
Madonna SS., e me ne sento consolato.
Ricordatevi dunque, cari fanciulli, di questa bella offerta che fate in questa sera alla vostra
Madre Maria, e non la dimenticate mai piú; vi sarà memoria ugualmente vantaggiosa che
consolante. Si, ricordatevi, ricordatevi sempre che in questa sera avete dato il vostro cuore a
Maria.
Ma una parola anche a voi, pii genitori, che avete portato i vostri figliuoli a pie' di Maria
perché le offrano il cuore. Voi siete tra il numero di coloro che conoscono i pericoli di questi
tempi, specialmente sovrastanti all‟età giovanile; siete tra il numero di coloro che hanno viva
fede nella protezione e patrocinio di Maria; siete cristiani non degeneri dai nostri antichi
padri genovesi, pieni di religione e di divozione a Maria.
Io mi rallegro con voi, e non temo assicurarvi che voi fate cosa gratissima alla gran Madre di
Dio, e ch‟ella ve ne ricompenserà spargendo abbondanti le sue benedizioni sopra di voi e
sopra le vostre famiglie. Consolatevi, o pii genitori: i cuori dei vostri figliuoli sono troppo
bene raccomandati, affidati a Maria. Deh! perché non fanno altrettanto tutti i genitori
cristiani?
Ma ricordatevi che Maria SS. non sarebbe contenta dell‟offerta che ora le fanno i vostri
figliuoli dei loro cuori, se voi, come è strettissimo dover vostro, non v‟impegnaste di ben
guardare e custodire questi cuori medesimi per quanto da voi si può. Voi non ignorate che
con sommo zelo dovete guardare i loro cuori dalle seduzioni e dai pericoli di questo mondo,
e dovete custodirli da ogni peccato. Fatta l‟offerta, o pii genitori, è cominciata l‟opera; dovete
poi continuarla e perfezionarla con la pia, vigilante, sollecita, cristiana educazione; la quale
adoperando, quei cuori che adesso puri ancora e innocenti sono depositati nelle mani di
Maria, perché ella li metta e li serbi presso al cuore del suo Gesú, puri e innocenti si
conserveranno per l‟avvenire, sempre accesi ed ardenti del santo divino amore. Questi vostri
figliuoli cresceranno divoti di Maria, amanti di Dio, pieni di celesti benedizioni: saranno il
vostro conforto e la vostra consolazione in questa vita, la vostra corona nella beata eternità.
O Maria, da quell‟altissimo trono di gloria cui foste assunta regina del cielo e della terra,
rivolgete i vostri materni sguardi sopra questi cari fanciulli, che vi offrono il loro cuore;
accettate l‟offerta e custoditela; questi cuori siano sempre vostri e di Gesú.
Rivolgete pure i vostri sguardi sopra i loro pii genitori che li condussero ai vostri piedi perché
vi facessero la bella offerta. Deh, cara Madre, in ricompensa di questo atto di ossequio, di
amore e di fede, consolateli nelle loro afflizioni, benediteli nelle loro sostanze, guardateli da
ogni male; conservate nelle loro famiglie la vostra divozione e il santo timor di Dio; di modo
che, e genitori e figliuoli, senza che uno ne manchi, si trovino un giorno raccolti davanti al
vostro trono a lodarvi e ringraziarvi in Paradiso.
_________________________
66
Delle non poche poetiche composizioni, che, come si accennò in principio di questa vita,
scrisse il Frassinetti negli anni che frequentava le scuole, non sarà discaro ai lettori che qui ne
riportiamo una per saggio.
IN MORTE
DI
PIO VII PONT. MASS.
_________
CAPITOLO
Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto;
E voi, lire d‟Arcadia, in triste metro,
Dei dolenti pastor seguite il canto.
O Vatican, d‟oscuro velo e tetro
T‟avvolgi, e l‟onde tue, se pur ti lice,
Doloroso rivolgi, o Tebro, indietro.
Oimè quai stille questa aurora elice
Dai figli di Quirin! sí voi piangete!
N‟avete donde, e ben a voi si addice.
Al pianto, al dolor vostro or voi vedrete
Addolorarsi Italia; e il mondo tutto
Oggi far eco al vostro pianto udrete.
Nell‟orbe regnerà mestizia e lutto,
Perché di morte inesorabil possa
Su noi tal ria sventura ave condutto!
Contro del suo fedele Iddio l‟ha mossa:
Ella lo spirto addusse in seno a Dio,
E diede alla mortal salma la fossa.
Dunque fra noi piú non respiri, o Pio ?
Lasciasti in lutto e in pianto i figli tuoi,
E desti lor l‟amaro ultimo addio.
E già consorte de‟ celesti eroi,
In capo cingi l‟immortal corona
Che virtude prepara a‟ fidi suoi.
Dunque se noi piangiamo, o Pio, perdona:
Non t‟invidiam la fin del duro esiglio;
Ma il nostro danno a lagrimar ci sprona!
Come sarà, che non pianga un tuo figlio ?
Chi poco sol della tua fama intese,
Ah che il pianto non può frenar sul ciglio!
Spiccato ha il volo l‟aquila Francese,
Sulle nubi drizzossi, e di saette
L‟etra all‟intorno rimbombar s‟intese;
D‟orgoglio e di furor le luci infette
Volgeva intorno, e già in suo cuor credea
Tutte veder le genti a sé soggette.
Da lei sterminio ogni città temea,
Ogni popol piú fiero e piú possente,
67
Già paventava la rabbiosa Dea.
Vibrò gli ardenti lumi all‟oriente,
Drizzossi ai sette gelidi trioni,
L‟occaso e l‟austro misurò repente.
Impallidiro i Re, tremaro i troni,
Al batter delle penne, alla tempesta
Di folgori roventi, e di carboni;
A sparger sangue e morte ella fu presta,
Siccome il cenno stabilia di Dio:
E ogni popolo a lei piegò la testa.
E l‟orgogliosa alla gran lotta uscio,
Lotta nefanda contro il Vaticano,
E coll‟artiglio pur te strinse, o Pio;
Ma si armò allor la sempiterna mano,
E i fulmini apprestotti, onde di quella
Il minacciar, l‟imperversar fu vano.
Tu la feristi colle sue quadrella;
Mancò la lena al volo, e a poco, a poco
Ricadde al suolo onde sorgea, la fella.
Fu il minacciar suo crudo, irriso e fioco,
E il rostro d‟uman sangue sitibondo,
Rostro devastator, fu preso a gioco.
Risorto intanto dal terror profondo,
Cercando quella man, che la trafisse,
Stupendo innanzi a te prostrossi il mondo.
Coi più vivi del cor moti ti disse:
O Pio!.... Né lo stupor più dir permise;
E tacito in suo cuor ti benedisse.
E il Ciel pietoso al tuo trionfo arrise
E te chiamando fra gli eterni allori,
D‟un piú puro seren lieto sorrise.
E da quel giorno i tanti tuoi sudori,
Le fatiche, gli affanni altro riposo
Non richiedean che de‟ celesti amori.
Ma verso la tua greggia allor pietoso,
Credo chiedessi rimaner fra noi,
Fra queste ombre terrene ancora ascoso.
Or fra le schiere de‟ celesti eroi,
Gustato il bacio dell‟eterna pace,
Condegno il premio ritrovar tu puoi.
Mentre il tuo cuor d‟eterno amor si sface,
Pur anco a noi ti volgi, e il grande esempio
Nell‟oscuro cammin sia scorta e face.
Per te anco tremi e stupidisca l‟empio,
Per te pace rinnovisi, e risplenda
Di maggior lume adorno il trono, il tempio.
In fino a te la nostra prece ascenda:
Tu la presenta al soglio eterno, e intanto
Un tuo sguardo propizio a noi discenda.
68
Ah! se ciò fia, frenate, o Muse, il pianto!
_________________________
Con Revisione Ecclesiastica.
INDICE DELLE OPERE
DATE IN LUCE DAL PRIORE Dl S. SABINA GIUSEPPE FRA8SINETTI
Riflessioni proposte agli Ecclesiastici.
Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici.
II conforto dell‟anima divota.
Catechismo dogmatico.
La gemma delle fanciulle, ossia la santa verginità.
Esercizi spirituali pei giovanetti d‟ambo i sessi.
La forza di un libretto, dialoghi tra Virginia ed Elisa.
Gesú Cristo, regola del sacerdote.
Avviamento dei giovinetti alla divozione di Maria.
II Modello della povera fanciulla, Rosina Pedemonte.
II Pater noster di S. Teresa di Gesú, trattato della preghiera.
Ricordi per un giovinetto cristiano.
Ricordi per una figlia che vuol essere tutta di Gesú,
Lettera sul celibato, dedicata a chiunque sia in posizione di poterlo promuovere nella
cristiana società.
Vita ed Istituto di Santa Angela Merici.
Manuale del parroco novello.
Amiamo Gesú.
Amiamo Maria.
Amiamo San Giuseppe.
II Religioso al secolo.
Industrie spirituali.
Santa Sabina martire, narrazione.
La Monaca in casa e le amicizie spirituali.
II Convito del Divino Amore.
La rosa senza spine, memoria sulla vita della pia zitella Rosa Cordone.
Dialoghetti su i comandamenti della Chiesa.
Impiego del danaro.
Due gioie nascoste.
L‟arte di farsi santi.
II paradiso in terra.
La missione delle fanciulle, racconti contemporanei.
L‟ossequio piú gradito a Maria SS. Immacolata.
La divozione illuminata, manuale di preghiere.
Tre sacri gioielli della Serafina del Carmelo, S. M. Maddalena de‟ Pazzi.
Coroncina a Gesú Bambino.
Culto perpetuo ad onore del SS. Sacramento.
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Ora di santa allegrezza, ossia divozione di cento allegrezze ad onore della B. Vergine.
Parole di Maria SS. ai suoi divoti.
Le dodici stelle, ossia le virtú della B. Vergine Maria.
Coroncina dell‟lmmacolata Concezione.
Divota corona a Maria SS.
Mazzolino di fiori pel mese di Maria.
Avvisi e pratiche per un‟anima che desidera darsi ad una vita divota.
Discorsetto recitato nel Santuario della Madonnetta, la vigilia dell'Assunta, per l‟offerta del
cuore dei fanciulli a Maria SS.
La Via Matris.
Istruzioni sopra il simbolo degli Apostoli.
Memorie intorno alla vita del Sac. Luigi Sturla.
Vita di S. Giuseppe descritta in sette lezioni.
Novena di Gesú Bambino
Lettera sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico (2' Ediz. con Note).
Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso M. De‟ Liguori.
1 N D 1 C E
Prefazione
CAPO I Nascita e vita laicale del Frassinetti
CAPO II Suoi studi filosofici e sacri. Sua Ordinazione
CAPO III Principii del suo Sacerdozio. Vien promosso alla Prevostura di Quinto
CAPO IV E‟ eletto Priore di S. Sabina. Sue prime cure
CAPO V Suoi disgusti, pazienza e consolazioni
CAPO VI Suo zelo industrioso per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
CAPO VII Altre industrie del suo zelo
CAPO VIII Spirito di preghiera e vita ritirata del Frassinetti
CAPO IX Del suo amore alla castità e alla povertà
CAPO X Della sua divozione verso il SS. Sacramento e Maria Santissima
CAPO XI Della sua carità verso il prossimo
CAPO XII Istituisce la Casa dei Figli di Maria Immacolata per ravviamento dei giovani
poveri allo
stato ecclesiastico
CAPO XIII Della sua umiltà
CAPO XIV Preziosa sua morte. Conclusione
Discorsetto per l‟offerta del cuore a Maria SS.ma
In morte di Pio VII Pont> Mass. –Capitolo
Indice delle opere date in luce dal Frassinetti
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