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GLI OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI IN CASO DI RIDUZIONE DEL CAPITALE AL DI SOTTO DEL MINIMO LEGALE Rassegna della giurisprudenza di Ubalda Macrì Spunti per il dibattito per l'incontro pomeridiano del 24 febbraio 2016 1.Le conseguenze della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Lo scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. – 2. Cosa possono fare gli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale – 3. Cosa devono fare gli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale – 4. La distribuzione degli oneri della prova nelle azioni di responsabilità e la quantificazione del danno in caso di illegittima prosecuzione – 5. Riflessioni conclusive sull'evoluzione della nozione di capitale sociale. 1. Le conseguenze della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Lo scioglimento della società, ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. Le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono... n. 4) per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli art. 2447 e 2482ter...Gli effetti dello scioglimento si determinano...alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa... 1.1. Lo scioglimento della società si produce automaticamente? Sez. 1, Sentenza n. 9619 del 22/04/2009 (Rv. 608228) Presidente: Proto V. Estensore: Panzani L. Relatore: Panzani L. P.M. Destro C. (Diff.) Maresca (Forchitto) contro Fall. Mareblù Srl ed altri (Cassa con rinvio, App. Roma, 27/05/2004) Nell'ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, prevista dall'art. 2448 n. 4 cod. civ. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 cod. civ., in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione risolutiva, viene meno "ex tunc" lo scioglimento della società; ne deriva che la mancata adozione da parte dell'assemblea dei provvedimenti di azzeramento e ripristino del capitale sociale o di trasformazione della società in altro tipo, compatibile con la situazione determinatasi, non esonera gli amministratori dalla responsabilità conseguente al proseguimento dell'attività d'impresa in violazione del divieto di nuove operazioni. Massime precedenti Vedi: N. 4089 del 1980 Rv. 407988, N. 8928 del 1994 Rv. 488316, N. 4923 del 1995 Rv. 492125 Sez. 1, Sentenza n. 4923 del 05/05/1995 (Rv. 492125) Presidente: Cantillo M. Estensore: Di Palma S. P.M. Lupi M. (Conf.) Nardello ed altri (Speranza) contro Industrie Tessili San Marco S.p.a. (Casella) (Rigetta, App. Venezia, 12 luglio 1991). La causa di scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale consiste in una fattispecie complessa risultante dalla perdita del capitale sociale e dalla omessa

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GLI OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI IN CASO DI RIDUZIONE DEL CAPITALE AL DI SOTTO DEL MINIMO LEGALE

Rassegna della giurisprudenza di Ubalda Macrì

Spunti per il dibattito per l'incontro pomeridiano del 24 febbraio 2016

1.Le conseguenze della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Lo scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. – 2. Cosa possono fare gli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale – 3. Cosa devono fare gli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale – 4. La distribuzione degli oneri della prova nelle azioni di responsabilità e la quantificazione del danno in caso di illegittima prosecuzione – 5. Riflessioni conclusive sull'evoluzione della nozione di capitale sociale.

1. Le conseguenze della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Lo scioglimento della società, ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c.

Le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono... n. 4) per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli art. 2447 e 2482ter...Gli effetti dello scioglimento si determinano...alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa...

1.1. Lo scioglimento della società si produce automaticamente?

Sez. 1, Sentenza n. 9619 del 22/04/2009 (Rv. 608228) Presidente: Proto V. Estensore: Panzani L. Relatore: Panzani L. P.M. Destro C. (Diff.) Maresca (Forchitto) contro Fall. Mareblù Srl ed altri (Cassa con rinvio, App. Roma, 27/05/2004)

Nell'ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, prevista dall'art. 2448 n. 4 cod. civ. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 cod. civ., in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione risolutiva, viene meno "ex tunc" lo scioglimento della società; ne deriva che la mancata adozione da parte dell'assemblea dei provvedimenti di azzeramento e ripristino del capitale sociale o di trasformazione della società in altro tipo, compatibile con la situazione determinatasi, non esonera gli amministratori dalla responsabilità conseguente al proseguimento dell'attività d'impresa in violazione del divieto di nuove operazioni.

Massime precedenti Vedi: N. 4089 del 1980 Rv. 407988, N. 8928 del 1994 Rv. 488316, N. 4923 del 1995 Rv. 492125

Sez. 1, Sentenza n. 4923 del 05/05/1995 (Rv. 492125) Presidente: Cantillo M. Estensore: Di Palma S. P.M. Lupi M. (Conf.) Nardello ed altri (Speranza) contro Industrie Tessili San Marco S.p.a. (Casella) (Rigetta, App. Venezia, 12 luglio 1991).

La causa di scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale consiste in una fattispecie complessa risultante dalla perdita del capitale sociale e dalla omessa

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deliberazione di reintegrazione del capitale o di trasformazione della società. Pertanto, nelle ipotesi in cui venga convocata l'assemblea per le deliberazioni conseguenti alla perdita integrale del capitale sociale, una volta constatata siffatta perdita, rientra nella facoltà dell'assemblea medesima determinare l'inefficacia dello scioglimento determinatosi di diritto, ed impedirne, quindi, gli effetti, attraverso l'adozione dei provvedimenti previsti dall'art. 2447 cod. civ., senza che sia necessario, a tal fine, convocare una apposita ulteriore assemblea, postoché le eventuali delibere di reintegrazione del capitale sociale o di trasformazione della società costituiscono l'oggetto legale tipico dell'assemblea convocata ai sensi dell'art. 2447 cod. civ.

Sez. 1, Sentenza n. 8928 del 29/10/1994 (Rv. 488316) Presidente: Salafia V. Estensore: Bibolini GC. P.M. Lugaro M. (Conf.) Azienda Agricola Farnetella S.r.l. (Costi ed altro) contro Ridolfi (Non cost) (Cassa con rinvio, App. Firenze, 21 giugno 1990).

Nell'ipotesi prevista dall'art. 2448 n. 4 cod. civ. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale), lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 cod. civ., da deliberarsi, peraltro, con le maggioranze richieste dagli artt. 2368 e 2369 cod. civ. per le modificazioni dell'atto costitutivo, cui detti provvedimenti danno sostanzialmente luogo e non già all'unanimità, come necessario per la deliberazione di revoca dello scioglimento, in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione, risolutiva, vengono meno "ex tunc" lo scioglimento della società e il diritto del socio alla liquidazione della quota.

1.2. Se lo scioglimento è automatico, è necessario che la sottoscrizione del capitale sia contestuale all'adozione della delibera?

La risposta è no. Secondo la Cass. 17.11.2005, n. 23262, est. Walter Celentano, deve disconoscersi ogni fondamento alla tesi di alcuni giudici di merito (Trib. Roma 16.6.1998) a parere dei quali la necessaria immediata contestualità rispetto alla deliberazione della sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale e la conseguente impossibilità dell'assegnazione ai soci di un termine per la successiva sottoscrizione deriverebbero dall'urgenza di rimuovere la causa di scioglimento della società, prevista dall'art. 2448, n. 4, c.c. La tesi di quei giudici trascura di considerare che tale causa di scioglimento della società, se pur si produce automaticamente, è soggetta alla condizione risolutiva della reintegrazione del capitale o della trasformazione della società, ex art. 2447 (v. Cass. n. 4089 del 1980 e n. 8928 del 1994 - "nell'ipotesi prevista dall'art. 2448 n. 4 c.c. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale) lo scioglimento della società si produce automaticamente ad immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva, costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 c.c.... che fa vanir meno ex tunc lo scioglimento della società e il diritto del socio alla liquidazione alla quota" - pronuncia quest'ultima che, intendendo il collegamento tra gli adempimenti dell'art. 2447 c.c. e la previsione di scioglimento dell'art. 2448 n. 4 c.c. nel senso che gli adempimenti imposti agli amministratori condizionano risolutivamente, con effetto ex tunc lo scioglimento della società, mostrano di riconoscere fondatezza giuridica alla tesi, sostenuta in dottrina, che "non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa di scioglimento della società di cui all'art. 2448 n. 4 c.c. bensì, stante la riserva espressa dalla norma (salvo quanto è disposto dall'art. 2447), la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale o la mancata trasformazione della società".Le norme codicistiche, invero, che pur vietano agli amministratori di intraprendere nuove operazioni quando si è vetrificato un fatto che determina lo scioglimento della società (art. 2449 c.c.) mostrano di non aver imposto tale contestualità della sottoscrizione dell'aumento, limitandosi proprio l'art. 2448 a

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richiedere che, verificatasi la causa di scioglimento della riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, gli amministratori provvedano ai sensi dell'art. 2447 (convocare senza indugio l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo). E' possibile, tuttavia - ed è stato considerato valido - che venga assegnato il termine per l'esercizio del diritto d'opzione all'altro socio in proporzione alla propria partecipazione, ancorché il socio originario abbia sottoscritto l'intero capitale sociale, quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione (integrante una condizione risolutiva) che l'esercizio del diritto rimuova l'acquisto del socio originario sottoscrittore dell'intero capitale. 2. Cosa possono fare gli amministratori nel caso in cui il capitale sociale si riduca al di sotto del minimo legale.

Art. 2486 c.c. Poteri degli amministratori. - 1. Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'art. 2487 bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

Così si esprime Cass. 22.4.2009, 9619, est. Luciano Panzani Com'è noto, ai sensi dell'art. 2449 c.c., nel testo in vigore prima della riforma societaria del 2003, applicabile ratione temporis, agli amministratori è fatto divieto di intraprendere nuove operazioni quando si è verificato un fatto che determina lo scioglimento della società. Precisa la norma che, "...contravvenendo a questo divieto, essi assumono responsabilità illimitata e solidale per gli affari intrapresi". Questa Corte ha precisato che l'art. 2449 cod. civ., esprime sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d'impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (Cass. 12,6.1997, n. 5275). Nel caso delle nuove operazioni poste in essere dagli amministratori dopo che si è verificata la perdita del capitale sociale, la violazione dell'art. 2449 c.c., comporta anche violazione dell'obbligo di diligenza stabilito dall'art. 2392 c.c.

3. Cosa devono fare gli amministratori nel caso in cui il capitale sociale si riduca al di sotto del minimo legale

3.1. Convocare senza indugio dell'assemblea

Cass. 8.6.2007, n. 13503, est. Aldo Ceccherini, Orbene, verificandosi una riduzione del capitale sociale di sotto al minimo legale, l'obbligo degli amministratori di rendere edotti i soci dell'effettivo stato patrimoniale della società deve essere messo in relazione alla prescrizione che a tal fine la convocazione dell'assemblea sia fatta senza indugio. Ciò comporta non solo il divieto di dilazionare senza fondati motivi la convocazione dell'assemblea, ma anche che, in ogni caso, la relazione depositata rappresenti la situazione patrimoniale aggiornata ad una data il più possibile prossima a quella dell'adunanza.

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L'omessa convocazione dell'assemblea per i provvedimenti di cui all'art. 2447 o 2482ter c.c. non è di per sé fonte di responsabilità e di danno e l'attore deve comunque allegare e provare il danno, così Corte d'Appello di Napoli, 7.4.2010, est. Paolo Celentano)

La circostanza che lo statuto attribuisca il potere di convocare l'assemblea solo al presidente del consiglio d'amministrazione non esclude la responsabilità degli altri componenti. Infatti i singoli amministratori debbono ritenersi dotati del potere di pretendere che il Presidente provveda a tale convocazione e con uno specifico ordine del giorno. L'esistenza di un tale potere va desunta : a) dal rilievo per cui ogni singolo amministratore è responsabile del controllo sulla gestione societaria e pertanto egli deve essere ritenuto abilitato a mettere in moto qualunque meccanismo necessario che gli consenta di provvedere a pieno al controllo stesso, e di porre in essere gli adempimenti che questo richieda; b) dall'ulteriore rilievo per cui, risultando essi amministratori solidalmente responsabili fra loro, una tale solidarietà non possa non importare che ciascuno di essi abbia anche il potere di controllare l'operato degli altri amministratori. (Cass. 23.6.1998, n. 6238, est. Rosario De Musis)

3.2. Predisporre una situazione patrimoniale aggiornata

A cosa serva la situazione patrimoniale aggiornata lo spiega bene Cass. 2.4.2007, n. 8221, est. Luigi Salvato, quando afferma che La ratio della previsione risiede nell'esigenza di garantire che l'assemblea, in una materia che attiene alla vita stessa della società, sia dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società medesima (Cass. n. 23269 del 2005; n. 484 del 1969) e, quindi, deve essere il più possibile "aggiornata". In mancanza della fissazione di un termine da parte del legislatore, il grado di aggiornamento va valutato, alla luce di detta ratio, in relazione a ciascun caso concreto, in virtù di un apprezzamento riservato al giudice del merito, censurabile in questa sede soltanto per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 23269 del 2005; n. 4326 del 2004). Pertanto, detta situazione patrimoniale può, eventualmente, essere anche surrogata dall'ultimo bilancio d'esercizio, purché questo sia riferibile ad una data recente nel senso sopra precisato rispetto a quella di convocazione dell'assemblea, sempre che medio tempore non siano sopravvenuti fatti significativi (Cass. n. 543 del 2006; n. 5740 del 2004; Cass. n. 4326 del 1994).Questa prescrizione, come è stato sopra accennato, è strumentale rispetto allo scopo di attestare adeguatamente lo stato patrimoniale della società, per rendere edotti sul punto i soci, assicurando l'esigenza d'informazione interna, ma essa è altresì preordinata a garantire che l'intervento sul capitale e l'impiego delle risorse siano proporzionati al reale fabbisogno della società, ciò che appunto impone il riferimento di detta situazione ad una data prossima all'assemblea. La citata situazione patrimoniale aggiornata, redatta nell'osservanza dei menzionati criteri, ha quindi anche lo scopo di garantire che la riduzione del capitale sociale realizzi la "funzione, per così dire, meramente dichiarativa", di "far coincidere l'entità del capitale nominale con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se ed in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all'ammontare indicato nell'atto costitutivo" (Cass. n. 5740 del 2004;analogamente, Cass. n. 543 del 2006). Una riduzione del capitale sociale eccedente la misura dell'effettivo impoverimento sarebbe priva di giustificazione e costituirebbe una indebita liberazione di una porzione del patrimonio sociale, ancora effettivamente esistente, dal vincolo di destinazione a capitale, in danno della garanzia patrimoniale dei creditori sociali, così come una di misura inferiore non varrebbe ad assicurare lo scopo avuto di mira dalla norma. Pertanto, il deposito della situazione patrimoniale aggiornata è strumentale rispetto allo scopo di assicurare la tutela dell'interesse dei soci e di quello dei terzi.

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Nello stesso senso, già Cass. 13503/07, est. Ceccherini, cit., La norma, s'è detto altra volta, trova la sua ratio nel principio per il quale l'assemblea, ai fini di una regolare formazione della volontà sociale in una materia che attiene alla vita stessa della società, deve essere dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società (Cass. 17 novembre 2005 n. 23269). In base a tali premesse, da un lato il termine stabilito dall'art. 2364 c.c. per l'approvazione del bilancio, ed invocato dai ricorrenti (nella fattispecie in esame: sei mesi), non costituisce criterio adeguato di valutazione del rispetto dell'obbligo di agire senza indugio, a norma dell'art. 2447 c.c.; dall'altro, quale che sia il tempo intercorso tra la rilevazione della perdita e la data dell'assemblea chiamata a provvedere a norma dell'art. 2447 c.c. resta l'esigenza che la relazione degli amministratori sia il più possibile aggiornata; e ciò postula che la relazione tenga conto - come questa corte ha già avuto modo di precisare nella già citata sentenza n. 23269/2005 - dell'esistenza di eventuali fatti sopravvenuti all'ultimo bilancio approvato, idonei a far fondatamente supporre che la situazione patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della relazione degli amministratori, sia nel frattempo mutata in modo significativo

Un caso interessante è affrontato da Cass. 23.3.2004, n. 5740, est. Renato Rordorf sugli utili di periodo. La società A, che è socia al 20% della società B, fallisce. Il curatore fallimentare di A impugna le delibere di B (adottate con il voto contrario di esso curatore) con le quali l'assemblea di B aveva approvato il bilancio ed in relazione alla perdita in esso risultante aveva proceduto all'azzeramento del capitale sociale ed alla sua contestuale ricostituzione, in parte mediante l'utilizzazione di fondi di riserva, in parte mediante la rinuncia della controllante ad un proprio credito risultante dalla contabilità della controllata e, per il resto, mediante l'emissione di nuove azioni offerte in opzione ai soci. L'attore contesta l'effettiva esistenza del credito, lamenta che si sia proceduto all'azzeramento del capitale sociale, sulla base di dati negativi del bilancio, ad onta del fatto che dalla più recente situazione patrimoniale risulta che la perdita precedente appaia già del tutto assorbita ed emerga anzi un risultato di periodo positivo. Contesta quindi le modalità di ripianamento della perdita e chiede il risarcimento dei danni.

In primo grado le domande dell'attore vengono rigettate; in secondo grado viene rigettata la domanda relativa all'impugnativa di bilancio ma viene accolta (ed in tali sensi riformata la sentenza) l'impugnativa relativa alle deliberazioni di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, dichiarate invalide. La Corte d'appello osserva che le deliberazioni in tema di capitale previste dagli artt. 2446 e 2447 c.c. debbono essere adottate in base alle risultanze contabili di una situazione patrimoniale il più possibile aggiornata, per garantire che la riduzione del capitale medesimo sia davvero proporzionale all'ammontare delle perdite accumulate; che, come non potrebbe non tenersi conto delle eventuali maggiori perdite, rispetto a quelle registrate nell'ultimo bilancio, risultanti da una situazione patrimoniale infrannuale redatta proprio al fine di assumere i provvedimenti richiesti dagli articoli dianzi citati, così è necessario prendere in considerazione, ai medesimi fini, le eventuali risultanze di segno positivo che da quella situazione patrimoniale emergano e che in tutto o in parte elidano le perdite enunciate nel più risalente bilancio. Siccome, sulla base della situazione patrimoniale aggiornata non risulta più la perdita del capitale, l'assemblea non può legittimamente procedere all'azzeramento ed alla ricostituzione del capitale medesimo in pregiudizio del socio di minoranza impossibilitato a sottoscriverlo.

La società B impugna in Cassazione sulla base del seguente motivo: il fatto che, nelle operazioni sul capitale, sia necessario tener conto anche delle eventuali maggiori perdite accertate dopo la chiusura

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dell'ultimo esercizio non implica minimamente che sia consentito elidere le perdite facendo ricorso a dati infrannuali di segno positivo, perché questi dati, fin quando non siano a loro volta consolidati in un vero e proprio bilancio, segnalano soltanto un'inversione temporanea e tendenziale dell'andamento economico dell'impresa. Ove, viceversa, si potesse tener conto anche di semplici "utili di periodo", si tradirebbe la finalità di tutela dei creditori cui è preordinata la citata disposizione dell'art. 2447, perché si consentirebbe all'assemblea di disporre di tali utili sulla base di un documento contabile non formalmente approvato, non soggetto al regime di pubblicità proprio del bilancio e relativo ad un arco di tempo non corrispondente a quello prescritto per la durata dell'esercizio sociale.

La Curatela fallimentare di A formula un'impugnazione incidentale nella quale si duole delle modalità con cui si è proceduto al ripianamento della perdita di capitale, mediante la compensazione con un credito vantato dal socio di maggioranza, credito non liquido né esigibile, né valutato da un esperto designato in sede giudiziaria.

Il problema risolto dalla Cassazione attiene alla rilevanza della situazione patrimoniale, se se ne debba tener conto ed in che misura.

Per la corretta soluzione del quesito occorre premettere che il menzionato art. 2447 deve esser letto in combinazione col precedente art. 2446 (che ugualmente considera l'ipotesi di perdite superiori al terzo del capitale sociale, ma senza che questo si sia ridotto al di sotto del minimo legale). Ne consegue che, anche in presenza di perdite di entità tale da integrare la previsione dell'art. 2447, gli amministratori sono tenuti a rispettare la disposizione dell'articolo precedente e, perciò, a convocare senza indugio l'assemblea per gli opportuni provvedimenti ed a sottoporre all'assemblea medesima una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale. È opinione prevalente in dottrina che tale relazione, per la stessa finalità di misurazione del patrimonio sociale che vi è insita, sia da considerare alla stregua di un vero e proprio bilancio straordinario e che debba essere redatta secondo i criteri legali dettati per il bilancio d'esercizio. Anche la giurisprudenza di questa corte, pur non postulando la piena equiparazione al bilancio d'esercizio vero e proprio, conferma che la situazione patrimoniale cui le citate disposizioni del codice si riferiscono deve rispettare le regole legali di valutazione delle poste di bilancio (cfr. Cass. n. 4923 del 1995, e Cass., n. 4326 del 1994). Perciò, con ogni evidenza, quando l'intervallo di tempo tra la data di convocazione dell'assemblea e la chiusura dell'esercizio sia minimo, e non siano sopravvenuti medio tempore fatti significativi, lo stesso bilancio d'esercizio può assolvere la funzione d'informare i soci per consentire loro di adottare i provvedimenti conseguenti alla perdita del capitale. Quando, però, una simile eventualità non ricorra, e gli amministratori abbiano quindi sottoposto all'assemblea - come nel caso in esame - una situazione patrimoniale specificamente preordinata all'adozione dei suddetti provvedimenti sul capitale, riferita ad una data diversa e successiva rispetto a quella di chiusura dell'ultimo esercizio, sorge l'interrogativo circa il rapporto tra i risultati del bilancio già (o contestualmente) approvato e quelli, eventualmente diversi, attestati dalla più recente situazione patrimoniale.Nessun dubbio sussiste che le eventuali maggiori perdite emergenti da detta situazione patrimoniale concorrano a determinare l'entità complessiva della perdita sulla quale l'assemblea è chiamata a provvedere. Sicché, dovendo l'eventuale riduzione del capitale essere proporzionale alle perdite effettivamente accertate, essa deve tener conto del risultato infrannuale negativo, sommandolo a quello dell'ultimo bilancio. Maggiori incertezze sono sorte però in merito alla possibilità di tener conto [, nella determinazione

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della misura perdita], anche degli eventuali risultati positivi di periodo manifestatisi nella frazione di esercizio successiva all'ultimo bilancio. Possibilità che taluno esclude, stimando non trattarsi di risultati economici sufficientemente consolidati, ma altri invece ammette sostenendo e paventando che si finirebbe altrimenti per non tener conto della reale situazione patrimoniale della società al momento della decisione assembleare. Reputa la corte che quest'ultima opinione sia da preferire. Non persuade, in contrario, l'obiezione secondo cui solo dati consacrati in un regolare bilancio approvato al termine dell'esercizio sociale avrebbero quel grado di certezza e di definitività necessaria per poterli prendere in considerazione ai fini delle descritte operazioni sul capitale, vero è, invece, che il legislatore non prevede affatto che dette operazioni debbano essere compiute sulla base dei dati del bilancio d'esercizio, ma - come già ricordato - prescrive che la riduzione del capitale sia proporzionale alle perdite accertate mediante la situazione patrimoniale che gli amministratori debbono predisporre proprio a tale specifico scopo, evidentemente sul presupposto che un siffatto sistema di rappresentazione ed informazione contabile sia a ciò sufficiente. Viene palesemente qui privilegiata un'esigenza di tempestività, in rapporto alla quale l'ordinaria scansione temporale dell'attività economica dell'impresa in periodi annuali predeterminati non gioca un ruolo decisivo, perché quel che davvero conta è che, accertate le eventuali perdite non appena possibile, le conseguenti operazioni sul capitale siano quanto più tempestive e quanto più aderenti a dati massimamente aggiornati. Solo così, del resto, si giustifica la pacifica rilevanza, in tale contesto, delle eventuali ulteriori perdite (rispetto a quelle registrate nell'ultimo bilancio) risultanti dalla situazione patrimoniale ex artt. 2446 a 2447 c.c. Non è dunque il preteso carattere provvisorio dei dati enunciati in detta situazione infrannuale ad impedirne, in termini generali, l'utilizzabilità nell'accertamento e nella misurazione delle eventuali perdite del capitale sociale al fine di adottare i conseguenti provvedimenti richiesti dagli articoli sopra citati. Anche un'ulteriore e più specifica ragione di perplessità però è stata affacciata in ordine alla possibilità di sommare algebricamente alle pregresse perdite di bilancio i risultati di segno positivo enunciati nella situazione patrimoniale infrannuale (c.d. "utili di periodo"). Tale perplessità - particolarmente sottolineata nel ricorso in esame - discende dal rilievo che, nella materia del bilancio di società e delle operazioni sul capitale sociale, il legislatore non pone sullo stesso piano gli utili e la perdita di gestione; ma, al contrario, in ossequio ad un principio di prudenza (funzionale anche e soprattutto alla tutela dei creditori sociali), vieta di disporre degli utili prima che questi siano stati accertati con il formale e definitivo avallo dell'approvazione del bilancio d'esercizio da parte dell'assemblea. Se ne dovrebbe dedurre che, mentre le "perdite di periodo" risultanti dalla situazione patrimoniale infrannuale redatta ex artt. 2446 e 2447 c.c. sono da prendere in considerazione ai fini delle operazioni sul capitale indicate in detti articoli, altrettanto non può farsi con gli "utili di periodo". Nemmeno questo rilievo appare, però, convincente. È vero che, tra i principi di redazione del bilancio enunciati dall'art. 2423-bis c.c., figura anche quello di prudenza e che, in armonia con esso, è prescritto che si possano indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio. È vero anche che nel medesimo articolo compaiono pura altre disposizioni, quale quella che impone di tener conto dei rischi e della perdita (ma non anche dei proventi) di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo; talché si è parlato, a tal proposito, di un principio di dissimetria che, appunto in ossequio al fondamentale criterio della prudenza, impone di tener conto della perdita anche se solo presunte ma non degli utili soltanto sperati.Occorre però non dimenticare che siffatte regole ed i principi che le ispirano sono dettati per evitare il rischio di indebite fuoriuscite di ricchezza dal patrimonio della società, ed in particolare che si distribuisca tale ricchezza tra i soci impoverendo il

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patrimonio dell'ente e ponendo così a repentaglio le ragioni dei creditori, i quali invece hanno diritto ad essere soddisfatti con priorità rispetto ai soci. Ma, se ciò spiega le cautele da cui è circondata la possibilità di distribuire gli utili sotto forma di dividendi o di acconti sui dividendi (art. 2433-bis c.c.), un'analoga giustificazione evidentemente non ricorre quando si tratti non già di ripartire tra i soci i proventi della gestione dell'impresa sociale, bensì di tener conto del ricavato netto di tale gestione e del conseguente incremento del patrimonio della società per ricostruire nel modo più fedele possibile l'effettiva entità di questo medesimo patrimonio in un momento dato. L'applicazione dei criteri legali di redazione del bilancio d'esercizio anche alla situazione patrimoniale ex art. 2446 e 2447 c.c. non può dunque spingersi sino a trascurare che quest'ultima, a differenza del bilancio vero e proprio, non può mai avere funzione distributiva di utili tra i soci ma serve invece unicamente a misurare l'entità attuale del patrimonio dell'ente in rapporto al capitale sociale previsto nell'atto costitutivo. E tale (parzialmente) diversa finalità non può non riflettersi sulla portata dei suaccennati principi di prudenza e di dissimmetria, i quali ovviamente (al pari di quello di competenza) conservano anche in questo caso il loro pregnante valore, ma sul presupposto che la data di chiusura dell'esercizio sociale cui essi si ricollegano sia qui intesa come quella (di regola più prossima) alla quale la situazione patrimoniale fa riferimento. Non va infatti trascurato che la riduzione del capitale sociale per perdite ha una funzione, per così dire, meramente dichiarativa. Serve cioè a far coincidere l'entità del capitale nominale della società con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se ed in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all'ammontare indicato nell'atto costitutivo. Una riduzione del capitale nominale che eccedesse la misura dell'effettivo corrispondente impoverimento subito dal patrimonio sociale sarebbe priva di giustificazione. Coma la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare, ne potrebbe derivare l'indebita liberazione di una porzione del patrimonio sociale (ancora effettivamente esistente) dal vincolo di destinazione a capitale e, di conseguenza, la futura eventuale distribuzione tra i soci della riserva disponibile venutasi così a creare. Il che, in definitiva, si risolverebbe in una diminuzione - non certo in un rafforzamento - della garanzia patrimoniale dei creditori (privi oltre tutto, in tal caso, anche degli strumenti di tutela loro offerti dall'art. 2445 c.c. quando la riduzione del capitale abbia luogo non per ragione di perdite).Inconveniente, questo da ultimo ipotizzato, che non appare essersi verificato nel caso in esame, ma che vale a confermare, sul piano sistematico, come sia indispensabile che le operazioni di riduzione del capitale previste dai citati artt. 2446 e 2447 abbiano luogo avendo riguardo al rapporto tra l'entità del capitale sociale e l'ammontare del patrimonio netto della società, quale risulta dalla situazione patrimoniale riferita alla data più prossima possibile, con la necessità di tener conto anche degli affetti prodotti sul patrimonio dell'ente sino a tale data dei risultati della gestione infrannuale dell'impresa (secondo il criterio di competenza), siano essi di segno positivo o negativo.

Sez. 1, Sentenza n. 4326 del 04/05/1994 (Rv. 486485) Presidente: Beneforti E. Estensore: Sensale A. P.M. Lugaro M. (Conf.) S.p.a. Casa di Cura Ruesch (Bouché e Martorano) contro Annunziata (Non costituito) (Cassa con rinvio, App. Napoli, 29 dicembre 1988).

In caso di riduzione per perdite del capitale di una società per azioni (nella specie, trattavasi di azzeramento del capitale), gli amministratori devono sottoporre all'assemblea di cui agli artt. 2446 e 2447 cod. civ. la sola relazione patrimoniale - sia pure avente i requisiti di dettaglio, chiarezza e precisione necessari per informare i soci sulla reale situazione patrimoniale e porre l'assemblea in

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grado di deliberare i provvedimenti opportuni per evitare lo scioglimento della società (art. 2448 cod. civ.) - e non un bilancio in senso tecnico, ne' il conto dei profitti e delle perdite, richiesto dall'art. 2423 cod. civ. (nel testo precedente al decreto legislativo del 9 aprile 1991 n. 127) in relazione all'intero esercizio annuale. Il giudizio sull'adeguatezza, in concreto, della relazione patrimoniale con riferimento ai suddetti requisiti costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito.

3.3. Formulare delle proposte all'assemblea dei soci. Ricapitalizzare, liquidare o risanare? In particolare, risanare.

Negli ultimi 10 anni - e con maggior forza negli anni della crisi - le misure normative sia a livello nazionale che comunitario si sono concentrate sul risanamento. La liquidazione - negli auspici - diventa l'ipotesi residua, il risanamento l'ipotesi principale. Espressione di tale indirizzo sono, a livello comunitario, la Raccomandazione UE 135/14 su un Nuovo Approccio all'Insolvenza ed il Regolamento UE 848/15 sull'Insolvenza transfrontaliera ed a livello nazionale, tutti gli interventi che si sono succeduti dal 2006 ad oggi sul concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e convenzioni di moratoria.

Gli obblighi degli amministratori sono diventati più complessi e più sottili le tecniche di accertamento della responsabilità e del danno.

Un tema di gran moda negli ultimi tempi è quello relativo alla sospensione delle norme sulla riduzione del capitale sociale. L'art. 182 sexies l. fall. - aggiunto dall'art. 33, comma 1, lett. f), D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con modificazioni nella L. 7.8.2012, n. 134 - così recita:

1. Dalla data di deposito della domanda per l'ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell'art. 161, sesto comma, della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all'omologazione non si applicano gli art. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482 ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli art. 2484, n. 4, e 2545 duodecies del codice civile.

2. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'art. 2486 del codice civile.

Inoltre, all'art. 13 dello Schema di disegno di legge recante "Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza" approvato nel Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016, rubricato "modifiche al codice civile" si prevede che:

1. Nell’esercizio della delega il Governo apporterà al codice civile tutte le modifiche rese necessarie dall’attuazione dei principi e criteri direttivi della presente legge, in particolare prevedendo: a) l’applicabilità dell’articolo 2394 alla società a responsabilità limitata e l’abrogazione

dell’articolo 2394-bis; b) il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati

per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché

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di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale;

c) l’assoggettamento alla procedura di liquidazione giudiziale come causa di scioglimento delle società di capitali ai sensi dell’articolo 2484

d) la possibilità di sospensione dell’operatività della causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, n. 4 ed all’articolo 2545-duodecies, nonché degli obblighi posti a carico degli organi sociali dagli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, 2482-ter e 2486, in forza delle misure protettive previste nell’ambito delle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e di regolazione concordata preventiva della crisi;

e) i criteri di quantificazione del danno risarcibile nell’azione di responsabilità promossa contro l’organo di amministrazione della società fondata sulla violazione di quanto dall’articolo 2486;

f) l’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 2409 alle società a responsabilità limitata, anche prive di organo di controllo.

Il risanamento può spingersi fino all'"esproprio" della società da parte dei creditori, art. 160, comma 1, lett. a, 163, 185 l. fall. Per un'analisi agile, anche in prospettiva comparatistica, del tema del DES nelle società in crisi, si veda F. Bruno - P. Castagna, La conversione dei crediti bancari in capitale di rischio (debt for equity swap) nell'ambito del restructuring in Italia, Germania e UK, Le società, 2015, 3, 272 e ss.; per un'analisi più specifica del dato nazionale, F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto "Contendibilità e soluzioni finanziarie" n. 83/2015: un primo commento, il Fallimentarista, Giuffrè editore.

In giurisprudenza, sull'applicazione dell'art. 182 sexies l. fall, a me constano solo due provvedimenti sul tema, uno del Tribunale di Monza, esteso da Giovanni Battista Nardecchia, e l'altro del Tribunale di Venezia, esteso da Luca Boccuni.

Nel caso del Tribunale di Monza 3.12.2015, www.ilcaso.it, la società, che ha presentato il piano di concordato, è sicuramente in stato di scioglimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c., ma grazie all'art. 182 sexies l. fall. non deve effettuare operazioni sul capitale bensì presentare la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Secondo il Tribunale di Monza, la sospensione dell'applicazione delle norme sul capitale si applica sia nel caso del concordato preventivo liquidatorio che in quello con continuità aziendale. Ed anzi afferma, la norma è sostanzialmente irrilevante nei concordati meramente liquidatori, mentre esplica appieno i suoi effetti nei concordati con continuità aziendale consentendo agli amministratori di avviare il risanamento dell'impresa senza l'obbligo di un previo intervento sul netto patrimoniale. Una società può quindi essere ammessa al concordato anche se ha perso completamente il capitale sociale ed anche se il piano di concordato preveda espressamente la prosecuzione dell'attività imprenditoriale. E' certo che l'art. 182 sexies l. fall. introduce una deroga espressa, ma temporanea, all'operatività della disciplina in materia di riduzione del capitale per perdite, con la conseguenza che, dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato preventivo, trovano nuovamente piena applicazione le norme in tema di riduzione del capitale sociale per perdite, di obblighi degli amministratori e di operatività della causa di scioglimento. Se quindi la società vuole evitare di incorrere nella causa di scioglimento, è necessario provvedere ad attivare tempestivamente i rimedi societari. La sospensione delle procedure per la copertura delle perdite e l'inoperatività dello scioglimento in presenza di capitale

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sociale inferiore al minimo di legge offre alle società in crisi il grande vantaggio di evitare, in caso di continuità di esercizio di impresa, un processo immediato di ricapitalizzazione, che in quel momento potrebbe ostacolare l'opera di risanamento, processo che può e deve divenire fattibile all'omologazione, quando la falcidia concordataria ben può determinare l'effetto del riequilibrio del patrimonio, momento nel quale ritornano operative le disposizioni codicistiche con la conseguente necessità di effettuare gli interventi sul capitale richiesti dalla legge e, in mancanza, di sciogliere la società. La ratio della novella, anche alla luce di quanto innanzi rappresentato, deve essere ricercata nel fatto che con l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti o della proposta concordataria si realizza, frequentemente, uno stralcio di parte delle posizioni debitorie o la loro conversione in equity (azioni o strumenti finanziari partecipativi), a cui consegue un corrispondente rafforzamento patrimoniale del debitore, potenzialmente idoneo a rimuovere la perdita rilevante. La società ha dato atto nel piano che la sopravvenienza attiva di una determinata somma, corrispondente alla riduzione dei debiti per gli effetti del concordato omologato, determinerà al momento dell'omologa la ricostituzione del capitale sociale con conseguente rimozione di ogni situazione rilevante ai sensi degli art. 2446, 2447 e 2482bis c.c. Il Tribunale di Monza conclude che tale risultato va valutato al momento dell'omologa, perché se nel termine prescritto non fosse possibile ricostruire il capitale sopra il minimo legale, esclusa la messa in liquidazione volontaria della società in pendenza di concordato con continuità, il tribunale deve negare l'omologa.

Nel caso del Tribunale di Venezia 19.5.2015, www.ilcaso.it., il curatore fallimentare addebita agli amministratori e sindaci la responsabilità riconnessa all'omissione delle tempestive obbligatorie iniziative da intraprendere a seguito della perdita del capitale sociale, da un lato affermando che già nella situazione contabile allegata all'istanza ex art. 182 bis, comma 6, l. fall. risultava la perdita di oltre un terzo del capitale sociale, rilevante ai sensi dell'art. 2446 c.c., ed anzi, a seguito delle rettifiche del valore dei cespiti, rilevante ai sensi dell'art. 2447 c.c. La società in bonis presenta una prima istanza ex art. 182 bis, comma 6, l. fall., corredata della situazione patrimoniale richiamata e dell'asseverazione dell'attestatore, facendo presente che erano in corso trattative per la formalizzazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. A seguito di tale proposta, il Tribunale di Verona decreta l'inammissibilità di un'istanza di fallimento e dà l'inibitoria ex art. 182 bis l. fall.; quindi pronuncia il decreto di improcedibilità dell'istanza di ristrutturazione del debito per mancata presentazione della documentazione attestante il raggiungimento degli accordi di cui alle trattative. Successivamente, la società deposita un altro ricorso ex art. 182 bis, comma 1, l. fall., sulla scorta del già raggiunto accordo con creditori rappresentanti più del 60% dei creditori sociali, prevedente la liquidazione dei cespiti immobiliari (rimanenze) in modo da fornire alla società nuova liquidità, ricorso accompagnato dall'asseverazione dell'attestatore. Quest'accordo viene omologato dal Tribunale.

E' noto che ai sensi dell'art. 182 sexies l. fall, dalla data del deposito della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all'omologazione non si applicano gli art. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482bis, commi 4, 5 e 6, e 2482 ter c.c., con la precisazione che, per lo stesso periodo, non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli art. 2484, n. 4 e 2545 duodecies c.c., ferma restando l'applicazione dell'art. 2486 c.c. per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta.

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Nella fisiologia della sospensione dell'applicazione delle norme codicistiche, non può considerarsi corretto addebitare agli amministratori e sindaci, nella situazione descritta e sul presupposto che l'organo gestorio avrebbe compiuto attività non meramente conservative e liquidatorie, la differenza tra il patrimonio netto alla data della perdita del capitale sociale, secondo le rettifiche operate dalla curatela, ed il patrimonio netto esistente al momento del fallimento, posto che in tal modo si verrebbero ad addebitare perdite patrimoniali per l'intero periodo in considerazione, senza considerare i periodi in cui gli obblighi di cui agli art. 2446 e 2447 c.c. sono rimasti del tutto inoperativi. Inoltre,a mente dell'art. 2446 c.c. ed al di fuori dell'ipotesi dello stato di scioglimento della società, il danno non può consistere in detta differenza patrimoniale, rappresentante la riduzione del patrimonio della società, posto che gli obblighi scaturenti dalla norma non attengono al divieto di porre in essere attività non conservativa, a mente dell'art. 2486 c.c., ma riguardano esclusivamente l'adozione di iniziative opportune, ben potendosi differire l'intervento doveroso di riduzione del capitale sociale all'esercizio successivo, nel caso in cui la perdita non sia stata riassorbita.

Nell'ipotesi in esame il Tribunale ritiene che l'eventuale pregiudizio di cui il Fallimento può lamentare la sussistenza non può consistere nella differenza dei netti patrimoniali addebitando indistintamente detta differenza per tutto il periodo dall'affermata perdita del capitale sociale fino alla dichiarazione di fallimento, siccome i piani di ristrutturazione proposti hanno contenuto meramente liquidatorio. Quindi il Fallimento deve allegare le attività gestorie che hanno determinato un maggiore indebitamento della società, attività che non sarebbero state svolte ove il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente, così consolidandosi il patrimonio sociale e la relativa esposizione debitoria... In via equitativa il danno può determinarsi più correttamente nei debiti assunti dalla società che non sarebbero stati contratti ove il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente, ovvero nella decorrenza degli interessi maturati per debiti pregressi che con la dichiarazione di fallimento sarebbero stati evitati.

La responsabilità addebitata agli amministratori e sindaci consiste nel fatto che le situazioni di mercato e le condizioni della stessa società avrebbero dovuto indurre gli amministratori a non presentare i piani di ristrutturazione che avrebbero avuto, secondo un giudizio ex ante, scarsa possibilità di attuazione con conseguenze insoddisfacenti e senza verosimile prospettiva di risanamento dell'impresa.

La conclusione cui giunge il tribunale è che gli amministratori hanno negligentemente ed imprudentemente, se non scientemente e volontariamente, sottovalutato la situazione di crisi aziendale, proponendo i piani di ristrutturazione che hanno ritardato indebitamente la dichiarazione di fallimento. Di tale condotta è chiamato a rispondere anche l'attestatore che, in modo superficiale, ha attestato la fattibilità economica dei piani.

3.4. Presentare i libri in tribunale

La decisione di presentare i libri in tribunale presuppone, nella più moderna visione del diritto fallimentare, non solo che ricorra il requisito oggettivo dell'insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., cioè che il debitore non sia in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, ma anche che non vi siano prospettive per accedere a strumenti di regolazione della crisi alternativi alla dichiarazione di insolvenza, che in prospettiva, se si concluderà l'iter legislativo del lavoro della

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Commissione Rordorf, saranno vieppiù rafforzati essendo prevista una specifica procedura di allerta.

Sul tema, è importante richiamare alcuni concetti di base, insolvenza, perdita del capitale sociale, insufficienza patrimoniale

La Cassazione con sent. 22.4.2009, n. 9619, est. Luciano Panzani ha precisato che la nozione di insufficienza patrimoniale - desumibile dalla lettera dell'art. 2394 c.c., comunemente individuata nell'eccedenza delle passività sulle attività, cioè in una situazione in cui l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento - non coincide con la perdita integrale del capitale sociale, dal momento che questa può verificarsi anche quando vi sia un pareggio tra attivo e passivo con la prospettiva per tutti i creditori di trovare soddisfazione sul patrimonio della società. L'insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, di cui all'art. 5 l. fall., come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Infatti, una società si può trovare in condizioni di insolvenza sebbene abbia beni da liquidare ed il suo patrimonio sia integro ed all'opposto presentare un'eccedenza di passività sulle attività pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste per continuare ad operare.

E' importante questa distinzione nell'economia della sentenza, perché si affronta anche il collegato tema della prescrizione, che decorre dal momento in cui diventa oggettivamente percepibile, si manifesti, l'insufficienza del patrimonio alla soddisfazione dei propri diritti di credito. Generalmente (e semplicisticamente) si fa decorrere la prescrizione dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, ma ciò non è un dato assoluto, perché l'accertamento del giudice non ha ad oggetto lo stato di insufficienza patrimoniale ma la diversa situazione dell'insolvenza. L'insufficienza patrimoniale si può quindi manifestare anche in data successiva alla sentenza dichiarativa di fallimento; lo sbilancio patrimoniale negativo potrebbe essere scoperto solo nel corso della procedura fallimentare o, addirittura, potrebbe verificarsi (e manifestarsi) proprio durante le operazioni di realizzo delle poste attive di patrimonio (le quali nel corso della procedura potrebbero perdere di valore in virtù della mutata prospettiva dell'impresa.

Più problematica, secondo la Cassazione l'individuazione del momento di esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale antecedente al fallimento. Questa Corte ha recentemente affermato (Cass. 25.7.2008, n. 20476) che un bilancio di esercizio, che segnali una situazione patrimoniale in negativo, è idoneo a rendere manifesto lo stato di incapienza patrimoniale. È noto, infatti, che il bilancio ha natura pubblica e che, a seguito del deposito, consente ai terzi di conoscere la consistenza patrimoniale della società. Altrettanto indubbia è la sua opponibilità erga omnes e la capacità di operatori, anche non particolarmente qualificati, di leggerlo adeguatamente o comunque di evincerne uno sbilancio del patrimonio netto. A tale proposito questa Corte ha rilevato che l'insufficienza patrimoniale costituisce una situazione oggettivamente conoscibile, che si verifica, oltre che nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori e di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio, anche con riferimento alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e del bilancio di esercizio, quando non vi siano poste suscettibili di sottovalutazione (Cass. 5.7.2002, n. 9815)

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4. La distribuzione degli oneri della prova nelle azioni di responsabilità e la quantificazione del danno in caso di illegittima prosecuzione

4.1. Gli oneri della prova Sez. 1, Sentenza n. 25977 del 29/10/2008 (Rv. 605521) Presidente: Losavio G. Estensore: Salme' G. Relatore: Salme' G. P.M. Russo RG. (Conf.) Sechi (Iannotta) contro Fall. Germani Srl (Non Cost.) (Cassa con rinvio, App. Roma, 18 marzo 2003)

L'azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 146 legge fall., ha natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civ.; ne consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti; pertanto, l'onere della prova della novità delle operazioni intraprese dall'amministratore successivamente al verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale, compete all'attore e non all'amministratore convenuto.

Nello stesso senso Cass. 22911/2010, est. Rordorf, secondo cui La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti)

4.2 Il danno e la sua quantificazione

E' certo che sia vietato continuare la gestione della società, non in funzione alla liquidazione sociale, a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla convenienza delle operazioni poste in essere e dunque anche se in ipotesi manifestamente convenienti. E' altresì certo, però - e questa era l'orientamento della giurisprudenza anche nel sistema previgente - che la violazione di tale divieto non può considerarsi di per sé fonte di una responsabilità risarcitoria dei medesimi amministratori nei confronti della società e/o dell’insieme indifferenziato dei creditori di quest’ultima se non nella misura in cui abbia comportato un depauperamento del patrimonio sociale. Perciò è necessario che l'attore alleghi il danno. Per un'analisi di taglio pratico, si considerino la relazione di Alessandra Dal Moro, per un incontro di studi del 2012, sulla responsabilità degli amministratori, Responsabilità degli amministratori di S.P.A.: questioni processuali e sostanziali connesse all'esercizio dell'azione della società e dei creditori sociali, Roma, 2012 ed il vademecum di Alessandra Dal Moro e Angelo Mambriani, Appunti in tema di responsabilità di amministratori di s.p.a. ed s.r.l., in www.ordineavvocati.it

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Di seguito si esaminano alcuni casi più ricorrenti di danni contestati ed i criteri di calcolo in uso alla giurisprudenza. E' noto che, tradizionalmente, i criteri cui si ricorre per il calcolo del danno da risarcire nell'azione di responsabilità sono la somma dei danni derivanti dai singoli addebiti, il deficit patrimoniale ed il differenziale dei netti patrimoniali.

A) La somma dei danni derivanti dai singoli addebiti

Omessa tenuta delle scritture contabili. E' noto che l’omessa o l’irregolare tenuta delle scritture contabili non può essere di per sé considerata né causa del dissesto patrimoniale che ha determinato il fallimento sociale né fatto sufficiente a far ritenere dimostrato che tale dissesto sia ascrivibile – e per di più per intero – alla responsabilità dell’amministratore societario e comunque non può essere utilizzata per eludere l’onere della parte di specificare gli addebiti (sul punto, si veda anche Cass. SU 9100/15 cit.). In particolare, non ci si può dolere dell'assenza delle scritture contabili con riferimento all'impossibilità di esercitare l'azione revocatoria perché i pagamenti preferenziali non sono in quanto tali idonei a danneggiare il patrimonio sociale, atteso che la fuoriuscita da questo del denaro o degli altri beni utilizzati per eseguirli, è perfettamente bilanciata dall’eliminazione per un corrispondente importo dei debiti pagati (vedi infra). Analogamente la falsa registrazione nelle scritture contabili di voci, ad esempio pagamenti in realtà mai eseguiti, non è di per sé fatto idoneo a far sorgere la responsabilità risarcitoria dell’amministratore societario nei confronti della società o dei creditori sociali, ma è indice dell' occultamento di perdite effettive dipendenti da altri atti di mala gestio, precedenti, coevi o successivi, il compimento dei quali è sempre onere della parte allegare e provare. Un caso tipico è quello dell'esposizione in bilancio di un debito da finanziamento verso soci, in realtà inesistente, perché non vi è mai stato il finanziamento e quindi non è sorto il credito restitutorio. L'inesistenza del debito va considerata come una sopravvenienza attiva e va tassata ai fini IRES, ai sensi dell'art. 88 TUIR, che al comma 1, espressamente prevede che "si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi" Sottrazione di somme. E' certo che l'amministratore (tipicamente anche socio) risponda del danaro sottratto alla società per fini extrasociali (cioè allorquando lo abbia intascato personalmente), ma non nel caso di prelievi indebiti per pagare alcuni creditori anziché altri. Sul tema mi pare pienamente convincente Trib. Milano 18 gennaio 2011, www.ilcaso.it, secondo cui la lesione della par condicio creditorum conseguente al pagamento preferenziale di un creditore al posto di un altro può tutt’al più generare una contesa tra le posizioni soggettive individuali dei singoli creditori ma non anche un pregiudizio per la massa creditoria considerata nel suo complesso, la quale mantiene comunque la medesima consistenza anche in caso di pagamento preferenziale, qualunque sia il creditore beneficiato dal pagamento lesivo della par condicio tra quelli aventi diritto di partecipare al concorso; ne consegue che il curatore non è legittimato ad agire per il ristoro del danno subito direttamente ed individualmente dal singolo creditore; lo stesso è a dirsi nel caso in cui l'amministratore-socio provveda a rimborsarsi somme oggetto di un pregresso finanziamento: invero egli è pur sempre un creditore, ancorché eventualmente postergato, e quindi vale sempre la regola della revocabilità del pagamento e non della responsabilità; in tale ipotesi il curatore non ha proprio la legittimazione ad agire perché non rappresenterebbe la massa dei creditori ma solo una parte di questi e cioè quelli lesi dalla par condicio creditorum, con la conseguenza che dovrebbe ammettersi la legittimazione concorrente del creditore singolo che voglia far valere il danno procurato dall'amministratore per il pagamento preferenziale ad altro creditore, allorquando ad esempio il curatore non possa più esperire l'azione revocatoria o l'eventuale esperimento non sia stato fruttuoso; se però il socio-amministratore si rimborsa somme

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versate alla società a titolo di capitale, allora senz'altro sussiste la legittimazione ad agire del curatore in luogo e nell'interesse di tutti i creditori perché si tratta di un prelievo illecito di danaro definitivamente acquisito alla società. Secondo Trib. Napoli 24.1.2007, est. Paolo Celentano, inedita, Il pagamento di debiti sociali, infatti, anche se preferenziale (eseguito, cioè, in violazione della par condicio creditorum o dell’ordine dei privilegi), è atto di per sé inidoneo a diminuire il valore del patrimonio sociale e, dunque, a far sorgere la responsabilità risarcitoria degli amministratori che l’abbiano effettuato nei confronti della società e/o dei creditori sociali ai sensi degli artt. 2392-2393 e/o 2394 c.c., ferma restando la possibilità per i creditori sociali danneggiati dal pagamento preferenziale (ma non anche del curatore del fallimento sociale) di agire nei confronti degli amministratori sociali in forza dell’art. 2395 c.c. (non richiamato dall’art. 146 l.f.)

Sanzioni ed accessori dei debiti tributari e previdenziali. I debiti tributari e previdenziali sono a carico della società, l'amministratore risponde solo dell'aggravamento, e quindi di sanzioni ed interessi, per non aver adottato le misure imposte dalla legge a tutela del capitale.

B) Il deficit attivo-passivo fallimentare

Originariamente il criterio preferibile, da alcuni anni diventato il criterio residuale, prevalentemente confinato alle ipotesi di impossibilità di ricostruzione delle scritture contabili. La Cassazione con sentenza 9619/09, est. Panzani, cit. ha così precisato: Questa Corte ha affermato che nel caso di esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci (ma il discorso non muta per gli amministratori) di una società di capitali, sottoposta a procedura concorsuale (nella specie a liquidazione coatta amministrativa), il danno loro imputabile non può essere identificato nella differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale, sia in quanto lo sbilancio patrimoniale della società insolvente può avere cause molteplici, non tutte riconducibili alla condotta illegittima dell'organo di controllo, sia in quanto questo criterio si pone in contrasto con il principio civilistico che impone di accertare l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima ed il danno. Tuttavia, il criterio ancorato alla differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento dei sindaci (o degli amministratori), ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta di costoro, nonché, nel caso in cui la condotta illegittima non sia temporalmente vicina alla apertura della procedura concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto (Cass. 8.2.2005, n. 2538). Ancora, con riferimento ad azione di responsabilità fondata sulla violazione da parte degli amministratori del precetto di cui all'art. 2449 c.c. vecchio testo, in presenza della perdita del capitale sociale, si è detto che non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra l'attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare, non essendo configurabile l'intero passivo come frutto delle nuove operazioni intraprese dagli amministratori, ma dovendosi ascrivere lo stesso, almeno in parte, alle perdite pregresse che avevano logorato il capitale (Cass. 23.7.2007, n. 16211; Cass. 23.6.2008, n. 17033). Più in generale questa Corte ha affermato che qualora sia provata, o non contestata, l'esistenza del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa del danno non solo quando è impossibile stimare con precisione l'entità dello stesso, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa, e nell'operare la valutazione equitativa egli non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata (Cass. 14.10.2004, n. 20283; Cass. 29.9.2005, n. 19148). Nel caso in esame la Corte di appello ha osservato che la contabilità aziendale ed i bilanci erano inattendibili,

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come risultava dalla perizia espletata in sede penale confermata dalle risultanze della c.t.u. esperita in primo grado; ha aggiunto che la natura delle violazioni ascritte rendeva difficile la separazione delle responsabilità dei singoli amministratori; ha osservato che il passivo accertato in sede fallimentare era pari a circa L. 9.485 milioni e l'attivo realizzato a 5.466 milioni; che erano ancora pendenti 22 azioni revocatorie proposte dalla curatela che potevano incidere sull'entità dell'attivo; che pertanto con valutazione equitativa il danno poteva essere determinato in L. 4 miliardi, pari ad Euro 2.065.800. Con ciò la Corte di appello è incorsa in un vizio di carattere logico. Dopo aver correttamente ritenuto che l'impossibilità di ricostruzione dell'effettiva situazione patrimoniale della società fallita derivante dall'inattendibilità della contabilità e dei bilanci impediva di procedere alla quantificazione del danno se non facendo ricorso al criterio equitativo, ha liquidato il danno in misura pari alla differenza tra passivo ed attivo accertato in sede fallimentare, senza in alcun modo considerare - ai fini della valutazione del pregiudizio derivante dagli atti di mala gestio - l'incidenza su tale differenza delle azioni revocatorie pendenti, pur avendo dato atto che se ne doveva tener conto.La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.

Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015 (Rv. 635451) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Rordorf R. Relatore: Rordorf R. P.M. Salvato L. (Conf.)

Monticoli (Amato ed altro) contro Fall Utens Srl (Sandulli Michele ed altro)

(Cassa con rinvio, App. Napoli, 13/10/2006)

Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell'art. 146, secondo comma, legge fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l'attore abbia allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore medesimo.

C) La differenza dei netti patrimoniali

E' il criterio che maggiormente ha preso quota negli ultimi anni ed è quello senz'altro più aderente al caso della prosecuzione dell'attività dopo lo scioglimento della società in particolare per gli eventi previsti nell'art. 2447 e 2482 ter c.c. Consiste nella differenza tra il patrimonio netto risultante al momento del verificarsi dell'evento di legge ed il patrimonio netto risultante dal bilancio al momento del fallimento.

Tuttavia, la Cassazione con sentenza 23.6.2008, n. 17033, est. Luciano Panzani, ha ben precisato che: Nel caso in cui l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall'art. 2447 cod. civ., non è giustificata, in mancanza di uno specifico accertamento in proposito, la liquidazione del danno in misura pari alla perdita incrementale derivante dalla prosecuzione dell'attività, poiché non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi della causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell'attività medesima, potendo in parte comunque prodursi anche

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in pendenza della liquidazione o durante il fallimento, per il solo fatto della svalutazione dei cespiti aziendali, in ragione del venir meno dell'efficienza produttiva e dell'operatività dell'impresa Ancora, Sez. 1, Sentenza n. 16211 del 23/07/2007 (Rv. 598440) Presidente: Carnevale C. Estensore: Plenteda D. Relatore: Plenteda D. P.M. Gambardella V. (Diff.) Ancillai (Scuro ed altro) contro Fall. 56338 Eurosefin Europea Servizi ed altri (Tedeschi) (Cassa con rinvio, App. Roma, 29 Maggio 2003)

Nel caso in cui l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall'art. 2447 cod. civ., non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra l'attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare, non essendo configurabile l'intero passivo come frutto delle nuove operazioni intraprese dagli amministratori, ma dovendosi ascrivere lo stesso, almeno in parte, alle perdite pregresse che avevano logorato il capitale.

Più interessanti le pronunce di merito, specie le più recenti, ove è evidente lo sforzo dei giudici di individuare criteri sempre più aderenti. Trib. Roma 22.9.2015, n. 18752, est. Stefano Cardinali, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

Il caso. In una società si succedono in tempi strettissimi numerosi amministratori; da un certo punto in poi è chiaro che debba essere convocata l'assemblea straordinaria per i provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c., ma solo a novembre 2007, dopo circa un anno da quando si era realizzata la perdita del capitale al di sotto del minimo legale, i soci riescono a nominare un amministratore dandogli mandato di provvedere quanto prima alle incombenze di cui all'art. 2447 c.c. In data 22.11.2007 si svolge l'assemblea straordinaria nel corso della quale i soci deliberano di approvare una situazione patrimoniale al 31.7.2007 che non riporta ulteriori perdite di esercizio e deliberano di ripianare le perdite emerse nell'esercizio 2006, pari ad € 5.004.987,00 mediante l'integrale utilizzo delle riserve societarie ammontanti ad € 4.635.539,00, l'azzeramento del capitale sociale di € 157.468,00 ed il versamento da parte dei soci della residua somma di € 211.980,00 nonché di ricostituire il capitale fino ad € 120.000,00 con contestuale sottoscrizione da parte dei soci e versamento del 25% del capitale sottoscritto. In data 20.6.2008 l'assemblea, convocata per l'approvazione del bilancio al 31.12.2007 e per l'adozione degli eventuali provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c., prende atto delle dimissioni del collegio sindacale, nomina il nuovo e rinvia l'approvazione del bilancio, disponendo il rinvio a nuovo della perdita di esercizio di € 2.742.916,00 da esso emergente, con un valore negativo del patrimonio netto pari ad € 2.662.906,00. L'amministratore, preso atto della totale erosione del capitale sociale, convoca una nuova assemblea straordinaria per il 21.11.2008; in questa sede i soci, constatato che dalla situazione patrimoniale redatta al 30.9.2008 risultava un'ulteriore rilevante perdita di € 3.867.407,00 manifestano la volontà di non adottare alcuno dei provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c., provocando lo scioglimento della società e nominando come liquidatore lo stesso amministratore.

Il Tribunale di Roma ritiene che l'illecita prosecuzione dell'attività di impresa, nonostante le perdite che avevano comportato la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, sia imputabile a tutti gli amministratori - che non potevano certamente considerarsi sollevati dall'obbligo di tenere i comportamenti prescritti dalla legge per aver rassegnato le dimissioni senza alcuna apparente giustificazione se non quella di ritardare, appunto, l'adozione dei provvedimenti necessari - nonché al liquidatore, il quale, pur adoperandosi finalmente per consentire all'assemblea di adottare le misure necessarie a ripianare le perdite verificatesi nel 2006, ha omesso di valutare e segnalare ai soci che il successivo andamento negativo della gestione rendeva

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di fatto assolutamente insufficiente l'operazione proposta, la cui attuazione era sostanzialmente inidonea alla ricostituzione del capitale, già completamente eroso dalle nuove perdite

Con riferimento alla quantificazione dei danni, ritiene che l'orientamento dottrinario e giurisprudenziale secondo il quale, nelle ipotesi in cui agli amministratori venga addebitata l'illegittima prosecuzione dell'attività d'impresa, nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento della società comportante l'obbligo di limitare la gestione alla conservazione ed alla liquidazione del patrimonio sociale, il danno causalmente riconducibile alo loro comportamento, deve essere commisurato all'eventuale decremento del patrimonio netto, calcolato, sulla base die valori di bilancio rettificati con criteri rispondenti alla finalità liquidatoria, con riferimento al valore ad esso attribuibile alla data in cui sarebbe dovuta cessare l'attività d'impresa e a quello riscontrato all'epoca del reale inizio della liquidazione. Appare, infatti, evidente che, da un lato, se l'illegittima prosecuzione dell'attività sociale ordinaria non avesse comportato alcuna diminuzione patrimoniale per la società o, al contrario, si fosse risolta in un aumento del suo patrimonio netto, dal comportamento illecito degli amministratori non sarebbe potuto derivare alcun danno risarcibile e che, dall'altro, l'eventuale diminuzione del patrimonio sociale verificatasi durante il periodo in cui si è protratta l'illegittima prosecuzione dell'attività sociale ordinaria costituisce, salvi i casi di eventi del tutto estranei all'attività d'impresa, conseguenza immediata e diretta della condotta illecita degli amministratori che, se avessero improntato la loro attività a finalità meramente conservative e liquidatorie di tale patrimonio, come imposto dalla legge, avrebbero impedito il verificarsi di nuove perdite o di ulteriori eventi dispersivi dello stesso.

Il Tribunale di Roma conclude nel senso che gli amministratori che si sono succeduti e sono responsabili per l'omesso intervento sul capitale sono chiamati a risarcire tutti i danni prodotti dall'illegittima prosecuzione dell'attività successiva alla cessazione della carica, ma non quelli anteriori alla loro nomina. Nel caso di specie, calcolato il danno da differenziale dei netti patrimoniali, con la precauzione di rettificare il bilancio con criteri rispondenti alla finalità liquidatoria, individua il periodo di tempo in cui la diminuzione si è verificata e vi sottrae il periodo durante il quale la diminuzione non è imputabile agli amministratori che non avrebbero potuto impedirla; quindi riduce proporzionalmente l'importo complessivo del danno.

Trib. Roma 4.8.2014, n. 16704, est. Stefano Cardinali, www.giurisprudenzadelleimprese.it

Il Commissario straordinario di una società per azioni in amministrazione straordinaria cita in giudizio due amministratori, uno di fatto, l'altro di diritto sulla base dei seguenti tre addebiti:

- illegittima iscrizione nei bilanci di esercizio succedutisi negli anni di voci dell'attivo patrimoniale e di ricavi straordinari corrispondenti a crediti oggetto di contestazioni giudiziali di cui è stata successivamente accertata l'inesistenza per un totale di oltre 16 milioni di euro, nonché omessa iscrizione degli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali relative alla voce "avviamento" e alla voce "altri costi pluriennali" e l'iscrizione fra le immobilizzazioni immateriali, anziché nel conto economico, di oneri INPS e di oneri ex lege 413/91, il tutto al fine di mascherare le ingenti passività e perdite di esercizio della società che ne avrebbero imposto la ricapitalizzazione o lo scioglimento, fin dal 1993;

- cessione di un brevetto che, all'esito di una complessa vicenda giudiziaria, aveva privato la società di un bene primario senza alcuna utilità e con l'onere invece, del pagamento dei diritti per lo sfruttamento del brevetto ed un danno di 4 milioni di euro

- acquisto di un immobile di proprietà dello stesso amministratore all'esito di un preliminare durato vent'anni e nel corso del quale la società aveva finito con il pagare oltre il doppio del prezzo originariamente pattuito.

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Gli amministratori sono quindi chiamati a rispondere della violazione degli obblighi di legge che ha causato un danno corrispondente all'incremento del deficit patrimoniale della società verificatosi nel periodo in cui la gestione dell'attività era illegittimamente proseguita... e che non si sarebbe verificato ove avessero, come era loro dovere, preso atto del verificarsi della causa di scioglimento e interrotto qualsiasi attività di gestione.

La determinazione del danno consistente nel deficit patrimoniale assorbe gli effetti dannosi causati dalle ulteriori singole condotte di mala gestio.

Trib. Milano 1.4.2011, n. 4480, est. Alessandra Dal Moro, in Le Società, 2012, 3, 268 e ss

- L'alterazione delle scritture contabili e/o la falsificazione del bilancio - per quanto costituiscano condotte contrarie alla legge - non possono essere assunte, in sé, quali condotte fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che esse sono state il presupposto di violazioni che hanno prodotto un danno alla società (Cass. 28.4.1997, n. 3652)

- L'irregolare relazione al bilancio e l'occultamento della perdita che ne sia derivato non può mai venire in considerazione in modo autonomo agli effetti della pretesa risarcitoria, ma solo strumentale: può essere invocata solo come presupposto dell'accertamento di uno stato di scioglimento della società, funzionale a qualificare come illecita l'attività gestionale successiva, in quanto compiuta in violazione dell'art. 2449 c.c. (per i fatti ante 2003) o secondo la nuova formulazione normativa che non ha cambiato la ratio del divieto ma piuttosto l'ha esplicitata, in quanto non in linea con la finalità conservativa dell'integrità del patrimonio che gli amministratori possono/devono perseguire nella prospettiva della liquidazione (art. 2486 c.c.).

- In questa prospettiva, la curatela deve allegare e provare non solo che gli amministratori hanno compiuto irregolarità nella redazione del bilancio per occultare lo stato di scioglimento, ma anche che hanno proseguito illecitamente nella gestione caratteristica della società cagionando danni al patrimonio, deteriorandone il valore o la consistenza al di là delle falcidie fisiologiche allo stato di liquidazione, di svalutazione di poste attive non direttamente imputabili, di costi non eliminabili neppure in fase liquidatoria, essendo imputato proprio un ritardo nell'assunzione di una prospettiva gestionale di liquidazione (Corte d'Appello Milano 11.7.2007, Le Società, 2008, 590)

- L'aggravamento della perdita in un dato intervallo di tempo può costituire un plausibile indice del fatto (da verificare) che vi sia stata da parte degli amministratori, dopo la perdita del capitale, una prosecuzione illecita dell'attività ovvero una prosecuzione in una prospettiva di continuità aziendale; ma il riferire il solo fatto in sé che vi sia stato "aumento della perdita" non può né assorbire semplicisticamente l'onere di allegazione né costituire prova del fatto che una tale condotta illecita sia stata tenuta né del danno ipoteticamente cagionato da questa, poiché, da un lato, non è detto che l'incremento del dissesto evidenziato dalla comparazione tra due situazioni patrimoniali nette sia frutto di una maggior "perdita di gestione", dall'altro, può succedere che una maggior perdita di gestione può essere frutto dell'esito del tutto incolpevole della condotta degli amministratori, che, anche in una situazione di liquidazione, ed anzi proprio al fine di liquidare il patrimonio conservandone il valore, possono essere costretti a mantenere costi fissi ed a volte ad affrontarne di nuovi per evitare pregiudizi maggiori (es. materia prima necessaria ad un appalto, la cui interruzione comporti gravose penali)

- Sulla base di Cass 17033/2008, 3694/2007, 1035/1995 per avanzare fondatamente una pretesa risarcitoria verso gli amministratori occorre allegare che la condotta gestoria successiva ad uno stato di scioglimento di fatto è stata illecita e quindi fonte di danno; e quindi occorre allegare e provare che la continuazione dell'attività non è stata orientata alla conservazione del valore del patrimonio sociale, ma è stato assunto nuovo rischio d'impresa depauperando il patrimonio sociale. In definitiva

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è necessario indicare le nuove operazioni e quali conseguenze negative sono derivate in termini di depauperamento del patrimonio sociale.

- Ai fini della perdita differenziale, è necessario a) confrontare situazioni omogenee di liquidazione, provvedendo ad effettuare le relative rettifiche nel bilancio scorrettamente redatto secondo criteri di continuità aziendale; b) escludere dal saldo differenziale gli effetti di operazioni non imputabili.

D) Criteri emergenti

Trib. Milano 14.7.2015, est. Angelo Mambriani, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, ha riconosciuto come danno ai soci di una società a responsabilità limitata per mala gestio dell'amministratore quello delle plusvalenze latenti, diminuito della somma necessaria all'iniziale ricapitalizzazione

il caso: i soci di una società a responsabilità limitata chiedono il sequestro conservativo dei beni del socio amministratore unico della società, a seguito dell'esercizio nel giudizio di merito delle azioni ai sensi degli art. 2476, commi 1, 3 e 6, 1218 e 2043 c.c.; il Giudice ritiene che il ricorso sia assistito dal fumus boni iuris dell'azione ex art. 2476, comma 6, c.c., perché l'amministratore ha reiteratamente indotto i ricorrenti a finanziare la società con ingenti somme sulla base di una falsa rappresentazione della realtà economica-finanziaria della stessa da lui artatamente creata e non ha assicurato una gestione conservativa della società, dopo che si erano verificate le condizioni di cui agli art. 2482 bis e ter c.c., e quindi verificato anche il periculum in mora, dispone il sequestro fino all'ammontare di somme pari ai versamenti fatti a beneficio della società;

quanto all'azione ex art. 2476, comma 3, c.c. il Giudice non ritiene la sussistenza del fumus; infatti i ricorrenti deducono un danno alla società per omessa convocazione dell'assemblea a seguito della perdita del capitale sociale e prosecuzione illegittima della sua attività economica, ma non identificano il danno subito né il nesso di causalità tra condotta illecita e danno

Secondo il Tribunale di Milano, se il patrimonio netto della società è negativo, per un verso tutta la parte attiva del patrimonio stesso va a costituire garanzia per i creditori ex art. 2740 c.c., per altro verso nulla rimane da distribuire ai soci all'esito di un'eventuale liquidazione e, per altro verso ancora, un eventuale aumento del patrimonio netto negativo a seguito di prosecuzione illecita dell'attività sociale si traduce bensì in una lesione alle ragioni dei terzi creditori, ma non a quelle della società, atteso che, sin dall'iniziale momento rilevante, tutta la parte attiva del patrimonio era appunto vincolata alla soddisfazione delle ragioni di quelli. Va considerato, per altro verso, che il patrimonio netto è un dato essenzialmente contabile (voce A del passivo dello stato patrimoniale: art. 2424 c.c.) Sul piano più propriamente economico, tuttavia, la società ben può esprimere plusvalenze cd latenti (es. valore di mercato dell'immobile sociale superiore al valore contabile; valore dell'avviamento aziendale non evidenziato in bilancio). L'omessa convocazione dell'assemblea e l'omessa manifestazione della perdita del capitale sociale comportano anzitutto che i soci non sono posti in grado di salvaguardare le plusvalenze latenti mediante la tempestiva copertura delle perdite risultanti a quel momento. La successiva prosecuzione dell'attività mediante assunzione di un nuovo rischio imprenditoriale può a sua volte determinare l'erosione del valore delle plusvalenze latenti. In questo caso il danno è pari al valore delle plusvalenze stesse, diminuito della somma necessaria all'iniziale ricapitalizzazione. Va altresì considerata l'alternativa dell'immediata liquidazione della società a seguito del manifestarsi della perdita del capitale sociale e quindi, in questo caso, della verifica della presenza di plusvalenze latenti che sarebbero rimaste anche in caso di liquidazione e che avrebbero consentito la distribuzione di un residuo ai soci. Inoltre, i soci sono privati della possibilità di valutare la situazione della società, di revocare l'amministratore e di dotarla di un nuovo amministratore e di rilanciarla sul mercato con tutte le relative possibilità di guadagno. Si tratta, in questo caso, di un danno da perdita di chance o da lucro cessante, certamente difficile da provare, ma, in astratto, certamente ipotizzabile.

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E) La dottrina commercialistica

In dottrina, vorrei segnalare

- un articolo di Giuseppe Verna, La determinazione del danno causato dagli amministratori che continuano l'impresa dopo la perdita del capitale, Le Società, 2011, 37 e ss. in cui l'Autore - dopo aver premesso che di norma in base ai principi di buona amministrazione nella seconda metà di ogni mese gli amministratori esaminano il bilancio di verifica del mese precedente - rifiuta criteri atomistici di quantificazione del danno perché ritiene erroneo che la contabilità possa individuare il risultato economico, positivo o negativo, di singole operazioni o persino di un gruppo di operazioni che non siano afferenti ad una business unit e propone il criterio del netto tra il bilancio iniziale di liquidazione ed il bilancio finale di liquidazione, redatti secondo il principio OIC n. 5. Sarebbe compito del curatore redigere a posteriori il bilancio iniziale di liquidazione, ad es. calcolando il costo sostenuto per il personale da mantenere in servizio, i canoni di liquidazione da pagare ancorché la società sia in liquidazione, i canoni di leasing a pagarsi, i compensi liquidati ai professionisti per concludere la loro prestazione etc. In questo modo, il curatore può collocare tutti i dati necessari (su cui non vi saranno incertezze perché ricostruiti sulla base delle scritture contabili o dei fatti di gestione) nel Fondo costi ed oneri netti di liquidazione e valutare con maggiore aderenza il danno prodotto dagli amministratori

- un articolo di Michele Rutigliano - Lorenzo Faccincani, La stima del danno nelle azioni di responsabilità per illegittima prosecuzione dell’attività sociale in seguito alla perdita del capitale: una diversa proposta metodologica, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 3/2013, in cui gli Autori respingono il criterio dei netti patrimoniali sia pure rettificati (secondo l'orientamento in giurisprudenza ed in dottrina, in particolare di Danilo Galletti e di Alberto Jorio), ritenendo tale criterio inidoneo ad esprimere la reale perdita di valore che l'azienda ha subito nel periodo intercorrente tra la condotta illecita degli amministratori e dei sindaci e la loro cessazione dalla carica o la sentenza di fallimento. Argomentano che, anziché sul differenziale contabile, la stima del danno dovrebbe essere effettuata ricercando un differenziale di valore della società tra il momento in cui sorge la responsabilità degli organi sociali ed il momento in cui cessino dalla carica o venga dichiarato il fallimento. Tale proposta - dichiarano gli Autori - è basata sulla considerazione che un'impresa in stato di disequilibrio, quale quella con capitale sociale inferiore al minimo legale, ha un valore pari al più elevato tra il capitale economico ed il capitale di liquidazione. Quindi è necessario calcolare questi due valori per verificare se vi sia stato o meno un danno.

F) L'esperienza napoletana

Non di rado abbiamo rigettato la domanda risarcitoria, allorquando abbiamo osservato, in mancanza di contestazione sulla veridicità del bilancio, che la differenza tra i netti era positiva. Abbiamo infatti ritenuto che gli amministratori avessero ben gestito nella fase di scioglimento-liquidazione.

E' frequentissimo il ricorso all'art. 185bis c.p.c., con proposte, modulate secondo le circostanze, sempre distinte per posizioni, che, a partire dagli addebiti ma comunque nei limiti del deficit fallimentare (laddove ad agire sia una curatela), sono orientate in modo decisivo dalla capienza patrimoniale.

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5. Riflessioni conclusive sull'evoluzione della nozione di capitale sociale.

Il dibattito culturale sull'attualità del capitale sociale

Giuseppe B. Portale, La parabola del capitale sociale nella s.r.l. (dall'« importancia cuasi-sacramental » al ruolo di « ferro vecchio »?), Rivista delle Societa', fasc.5, 2015, pag. 815;

Massimo Miola, La tutela dei creditori ed il capitale sociale: realtà e prospettive, Rivista delle Societa', fasc.2-3, 2012, pag. 237

Emanuele Cusa, Le riduzioni di capitale nelle società cooperative, Rivista delle Società, fasc. 2-3, 2010, p. 471