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268 /Abstract/ Picasso’s famous Harlequin, once in the Staechelin collection and now in the Kunstmuseum, Basel, was painted in 1918 after the artist’s return from his sojourn in Rome, Naples, and Pompeii. The figure stands alone facing the viewer, holding his black mask in his left hand and showing his “true” face. Behind him a cloth hangs on a rope. As an iconographic theme, the harlequin was very dear to Picasso, who painted him many times in various at- titudes and styles. The unique feature in this version is the cloth, which never appears in Picasso’s other Harlequin paintings. The present study proposes that it could be a subtle reference to the iconographic themes of the Veronica and the Acheiropoietes. The former could well have been familiar to Picasso from examples in Spain. The laer he may have encountered in Italy—possibly in medieval copies in Rome’s Lateran and elsewhere in Latium. /Keywords/ Picasso, Harlequin, Rome, Veronica, Acheropoietes /Parole chiave/ Picasso, Arlecchino, Roma, Veronica, Acheropoietes Serena Romano Université de Lausanne [email protected]

Harlequin - Masaryk University · 2020. 7. 2. · Die Picasso sind da!, catalogo della mostra (Basilea, Kunstmuseum, 17 marzo – 21 luglio 2013), a cura di Anita Haldemann, Nina

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/Abstract / Picasso’s famous Harlequin, once in the Staechelin collection and now in the Kunstmuseum, Basel, was painted in 1918 after the artist’s return from his sojourn in Rome, Naples, and Pompeii. The figure stands alone facing the viewer, holding his black mask in his left hand and showing his

“true” face. Behind him a cloth hangs on a rope. As an iconographic theme, the harlequin was very dear to Picasso, who painted him many times in various at-titudes and styles. The unique feature in this version is the cloth, which never appears in Picasso’s other Harlequin paintings. The present study proposes that it could be a subtle reference to the iconographic themes of the Veronica and the Acheiropoietes. The former could well have been familiar to Picasso from examples in Spain. The latter he may have encountered in Italy—possibly in medieval copies in Rome’s Lateran and elsewhere in Latium. 

/ Keywords / Picasso, Harlequin, Rome, Veronica, Acheropoietes

/ Parole chiave / Picasso, Arlecchino, Roma, Veronica, Acheropoietes

Serena RomanoUniversité de [email protected]

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 Non so se le righe che seguono costituiranno solo una fugace e forse illegittima intrusione di chi è abituato a studiare cose medievali, in un mondo molto più recente e radicato in culture ormai del tutto diverse; se l’abitudine allo sguardo sul passato, per lontano che esso sia, possa davvero aggiunge-re qualcosa alla comprensione del bagaglio visivo che l’irreverentissimo e onnivoro Picasso portava con sè e continuamente nutriva e rinnovava, senza preoccuparsi di andare a ricercare fonti e cronolo-gie delle suggestioni visive che lo coglievano con-tinuamente. Le righe sono offerte a Hans Belting, che più di chiunque altro ha seguito l’afterlife delle immagini medievali a secoli di distanza e in contesti profondamente diversificati; forse non sarà più che una lettura molto personale e molto arbitraria di un’opera – l’Arlecchino oggi a Basilea, Kunstmuseum / Fig. 1/ – che Picasso dipinse immediatamente dopo il suo ritorno da Roma, nel 1918, una delle nume-rosissime apparizioni di questa maschera nel suo universo pittorico 1.

Il quadro, olio su tela, appartenuto a Rudolf Staechelin che lo teneva a casa sua insieme con al-tri dipinti di Picasso, ha impianto estremamente sobrio 2. Un color marrone terra identifica la zona corrispondente al pavimento di uno spazio per altri versi non descritto. Tutta l’altezza è connotata da

pennellate a vari toni di grigio e bianco con qualche tocco di beige, come fosse la parete di un ambiente; appesa non si sa dove, davanti ad essa, ma di colore identico ancorché un po’ più sostenuto dai tocchi beige, pende una stoffa che nella caduta lievemente si ondula con pieghe indicate nell’orlo in basso. In alto, dove è appesa, il bordo si arcua secondo la logi-ca della gravità: un relativo infittirsi dei tocchi grigi suggerisce in modo discretissimo un effetto di ombra, così da ottenere l’impressione di un andamento leg-germente concavo, come una nicchia, nella quale si situa l’unica figura, quella dell’Arlecchino. E’ ritratto fino all’inguine, con il corpo bilanciato in contrappo-sto, il braccio destro proteso all’altezza della cintura con la mano leggermente artigliata e vuota, l’altro più in alto, davanti al petto, con la mano che regge la maschera nera. Il volto regolarmente ovale è quindi

Picasso e il vero volto dell’ArlecchinoSerena Romano

1 L’Arlecchino è stato di recente esposto nella mostra Die Picasso sind da!, tenutasi nel 2013 a Basilea, Kunstmuseum, per riproporre e com-memorare la grande mostra che Basilea organizzò su Picasso nel 1932. Die Picasso sind da!, catalogo della mostra (Basilea, Kunstmuseum, 17 marzo – 21 luglio 2013), a cura di Anita Haldemann, Nina Zimmer, Basilea 2013.

2 Nel catalogo citato a nota precedente è pubblicata una fotografia (p. 26, fig. 6) in cui l’Arlecchino compare appeso alla parete a casa di Staechelin a Basilea, Mühlenberg 7. L’aveva comprato nel 1918, dunque immediatamente dopo la sua realizzazione, da Gustav Bollag a Zurigo, un mercante che l’aveva ottenuto direttamente da Picasso. Nafea: Die Sammlung Rudolf Staechelin, Basel/La collection Rudolf Staechelin, Bâle, a cura di Joachim Müller, Basilea 1990, p. 147; Anita Haldemann, Nina Zimmer, “Picasso und Basel”, in Die Picasso sind da! (n.1), pp. 22 – 40, sp. p. 26. E’ ora in deposito permanente al Kunstmuseum di Basilea.

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scoperto, in leggero tre quarti, con espressione inten-ta e probabilmente melanconica, lo sguardo che evita quello dell’osservatore; la testa, coperta dal classico e simmetrico bicorno nero, è orlata e messa in isolato risalto dal grande collo bianco e un po’ arricciato dell’abito, i cui triangoli cuciti sono in realtà l’unica nota colorata del dipinto, a toni rosso-aranciati, grigi e giallo-verdastri.

Il personaggio di Arlecchino è una delle presenze costanti nell’universo visivo e mentale di Picasso, secondo Jean Clair figura identitaria e simbolo di potenza sessuale 3. Presente già nella produzione dei primissimi anni, torna periodicamente nell’opera del pittore, che se ne dimentica un po’ nel corso dei momenti “eroici” del primo cubismo, ma poi lo re-suscita, lavorandoci a molte riprese, ritraendolo da solo o in gruppo, come isolato saltimbanco o come padre di famiglia, sotto le sembianze di Paulo o accompagnando un bambino saltimbanco; in piedi o spesso seduto, intento a suonare la chitarra, con il bicorno o a testa scoperta, talvolta solo “citato ” per mezzo di un campo pittorico a rombi che allude al suo abito variegato 4. In quanto maschera, assume zelighianamente fattezze diverse: nei primi anni del secolo, con il volto di Picasso stesso, beveva in compagnia di una donna 5; in anni ben successivi a quelli del quadro di Basilea venne usato – in dipinti di grande bellezza e dimensione, iterati in più di una versione – per criptoritratti dell’attore catalano Jacint Salvadò, che appare seduto un po’ in diagonale, col-pito dalla luce proveniente da sinistra, assorto e malinconico / Fig. 2 / 6. Più vicino alla data del quadro Staechelin è l’Arlecchino oggi al Museo Picasso di

3 Jean Clair, “Picasso Trismegisto. Note sull’iconografia di Arlecchino”, in Picasso 1917– 1924. Il viaggio in Italia, a cura di Jean Clair, Odile Michel, Milano 1998, pp. 15 – 30.

4 Qui il risultato di un semplice spoglio, certo incompleto: Christian Zervos, Pablo Picasso, vol. 1, Parigi 1932, nn. 79, 92, 212, 213, 243, 244, 245, 275, 285, 293; vol. 2, 2 , Parigi 1942, n. 518 (si noti che nel periodo cubista gli Arlecchini paiono inesistenti); e nn. 949, 950, 951 per gli studi per Parade; vol. 3, Parigi 1949, nn. 1 (versione della testa dell’Arlecchino Staechelin), 11, 12, 26, 27, 103 (che è il nostro Staechelin), 130 (in realtà un Pierrot au loup), 158; vol. 5, Parigi 1952, nn. 17, 23, 37, 135, 142, 178, 179. Mi fermo qui con lo spoglio, quindi agli anni venti; non ho preso in conto i numerosissimi disegni.

5 Au Lapin agile, 1905, The Walter H. and Leonore Annenberg Col-lection; Henriette Mentha, “Die frühen Werke”, in Die Picasso sind da! (n. 1), p. 56.

6 Henriette Mentha, “Der Neoklassizismus”, in Die Picasso sind da! (n. 1), pp. 102 –122. La tela è anch’essa al Kunstmuseum di Basilea. Le altre due versioni, dello stesso anno 1923, sono una in collezione privata, l’altra, dipinta solo nella zona della testa e della spalla, al Centre Georges Pompidou a Parigi.

1 / Pablo Picasso, Arlecchino au loup, Kunstmuseum, coll. Staechelin, Basilea, 1918

2 / Pablo Picasso, Arlecchino seduto, Kunstmuseum, Basilea, 1923

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Barcellona / Fig. 3 /, dipinto nell’autunno 1917, in cui Arlecchino è in realtà Léonide Massine, ballerino, at-tore e amante di Diaghilev: con lui, con Jean Cocteau e con lo stesso Diaghilev Picasso aveva soggiornato a Roma, tra l’inverno e la primavera 1917, per pre-parare le scene del balletto Parade di Jean Cocteau e Eric Satie 7. La concezione della figura è per certi aspetti non lontana da quella del quadro Staechelin: tagliato all’inguine, il personaggio appare quasi frontale, ma con la testa e lo sguardo rivolti in basso e un braccio appoggiato a una balaustra che poi sva-nisce nello sfondo e un pesante tendaggio purpureo sulla sinistra 8. Rispetto all’Arlecchino Stachelin, la figura torreggia di più, sfiorando il bordo superiore con la testa, mentre l’altro mantiene con l’osserva-tore una distanza precisa; la figura echeggia forse qualche ritratto cinquecentesco – viene in mente Moroni – ma la tenda e la balaustra assomigliano al “mobilio” dei ritratti settecenteschi in cui la fi-gura è affiancata da elementi fittizi – giustamente, alludendo in questo caso a un arredo di scena – con-notati in tal senso anche da una diversa materia e presenza pittorica. Si sente però che i due dipinti condividono un medesimo momento di riflessione: le idee formali che poi saranno espresse nel dipinto di Basilea affiorano specialmente nel disegno delle mani, e se manca la maschera, il cappello tenuto in mano fa pensare che l’attore stia salutando il suo pubblico. La somiglianza fisionomica fa pensare che anche l’Arlecchino Staechelin sia in realtà un criptoritratto di Massine, o quanto meno che con l’altro condivida la puntualizzazione dell’effigie e il suo carattere assorto e malinconico. 

E’ cosa nota che Picasso usasse animare e far muovere le proprie figure-simbolo, quasi do-tate di una vita propria di cui l’artista captasse qua e là un’occorrenza; ma mai, se non nel caso dell’Arlecchino Staechelin, la figura appare così sola e ravvicinata, e mai essa si staglia contro quella sorta di velo appeso, che – essendo Arlecchino una maschera della commedia dell’arte – verrebbe fatto di intendere come un sipario o una quinta teatrale. Quinta teatrale che però secondo una logica realista dovrebbe accompagnare ai due lati l’apparizione della figura, così come accade in effetti quando la scena viene aperta dalle due cortine che scorrono lateralmente. Quella sorta di strofinaccio appeso

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ad asciugare, che invece appare nell’Arlecchino Staechelin, pur se associabile al concetto di sipario, di fatto ne contraddice l’abitudine visiva; non è là per squadernare lo spazio della rappresentazione, ma per fungere ad essa da sfondo evidenziatore, e l’evidenza viene dal fatto che la forma del velo/ ten-da /sipario contiene interamente e inquadra l’appa-rizione del protagonista.

Quel velo evoca ai miei occhi, e potentemente, i veli con l’effigie della Veronica, quali si erano fissati nelle redazioni pittoriche del Volto di Cristo, spe-cialmente in area fiamminga e spagnola, nell’opera di Memling, Schongauer, El Greco, Fetti, Zurbaran, per non citare che i casi più celebri / Fig. 4 / 9. Un bianco tessuto, fissato in alto come sospeso ad una corda, unico protagonista del campo della rappre-sentazione; al centro, il volto di Cristo, reso con tutta la cromia e i dettagli realistici, o solo “schizzato” a sanguigna essendo per l’appunto l’effigie il risulta-to dell’impressione sanguinosa del volto durante l’ascesa al Calvario. La radice funeraria antica che soggiace all’intero sviluppo del ritratto sacro è stata ben identificata, e proprio Belting ne ha scritte pagi-ne fondamentali10. Picasso può benissimo aver visto degli esempi di Veroniche, in Spagna o in Francia, dal vero o in riproduzione; molte ne esistevano nelle chiese iberiche, alcune in luoghi molto vicini alla Malaga picassiana, come la cattedrale di Jáen ; che Picasso abbia potuto avere in mente lo schema

7 John Richardson, A life of Picasso, vol. iii, New York 1991, pp. 3 –19. Di recente Valentina Moncada, Picasso a Roma, Milano 2007.

8 Yves-Alain Bois, “Picasso Trickster”, in Picasso 1917–1937. L’Arlecchino dell’arte, catalogo della mostra (Roma, Vittoriano, 2008 –2009), a cura di Yves-Alain Bois, Milano/Ginevra 2008, pp. 19 – 35, cat. 2. Al 1924 risale il magnifico Arlecchino cubista oggi alla National Gallery di Washington (Ibidem, cat. 24).

9 Si tratta di un caso iconografico talmente diffuso che è davvero impossi-bile produrne qui un elenco esaustivo. Hans Belting, Bild und Kult: eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, Monaco 1990, sp. cap. 11; Il Volto di Cristo, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 9 dicembre 2000 – 16 aprile 2001), a cura di Giovanni Morello, Gerhard Wolf, Milano 2000, in particolare il saggio di Gerhard Wolf, “‘Or fu sì fatta la sembianza vostra?’. Sguardi alla ‘vera icona’ e alle sue copie artistiche”, pp. 103 –114. Gli esempi possibili, che scelgo davvero quasi random, sono ad esempio quelli della Veronica primo quattrocentesca di scuola tedesca (Londra, National Gallery, e Monaco, Alte Pinakothek) dove il velo è retto dalla Veronica stessa (Il Volto di Cristo, figg. 3 e 4); la Vera icon fiamminga integrata dai laterali di Filippino Lippi a Venezia, Seminario Patriarcale (Ibidem, cat. iv, 31); il dittico Bembo di Hans Memling a Washington, National Gallery (Ibidem, cat. iv, 37); gli esempi di El Greco (Harold E. Wethey, El Greco and His School, Princeton 1962, vol. ii, pp. 148 –149) e i molti di Zurbaran (Odile Delenda, Francisco de Zurbaran 1598 –1664, Madrid 2009, catt. 34, 35, 36, 37, 38, 84, 85, 251). Né va dimenticata la diffusione del tema per il tramite delle incisioni, numerosissime e largamente indirizzate alla devozione (Il Volto di Cristo, passim).

10 Belting, Bild und Kult (n. 9), pp. 92 sgg.

3 / Pablo Picasso, Arlecchino, Museo Picasso, Barcellona, 1917

4 / Francisco de Zurbarán, Veronica, chiesa di San Pietro, Sevilla, 1658 –1661

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visuale del drappo bianco appeso da chiodi e legacci poco descritti, e recante l’immagine del Cristo, non è affatto impossibile 11. 

Tuttavia, rispetto a quei modelli, la sua figura prende poi altre strade. In primo luogo, non è certo limitata alla testa – così come invece la Veronica è stata registrata nel vocabolario figurativo di epoca medievale e moderna – ma è un uomo a figura quasi intera, cui il drappo retrostante conferisce autorità, come le nicchie tardo antiche alle figure del potente: come accade, ad esempio, al Cristo del Sinai / Fig. 5 /, abbracciato dal discretissimo accenno di nicchia, o anche al San Pietro, sempre al Sinai, che ne segue il modello 12. Il profilo del bicorno, unito al motivo del collo bianco pieghettato, circoscrive e mette in risal-to il volto dell’Arlecchino come si vede – stavolta nel Lazio – nelle repliche dell’Acheropita lateranense, un tempo grande figura di Cristo a figura quasi in-tera, e via via sempre più assediata e ristretta dalle coperte argentee e dalle ornamentazioni devote, fino a diventare un’immagine, se mi si permette l’auto-citazione, assente, e comunque ripresa e replicata nel corso del Medioevo limitatamente al volto, in un processo di assimilazione alla Veronica radicato in fatti e fasi storiche più volte ormai studiati e in-tesi13. Non abbiamo alcuna traccia che ci possa far immaginare che a Roma, ad esempio, Picasso possa aver visto qualche esempio delle copie dell’Achero-pita lateranense, o che conoscesse le icone sinaitiche e le loro nicchie tardoantiche; l’intera ragion d’essere di questo brevissimo scritto è di lanciare l’ipotesi di una possibile suggestione visiva, senza pretendere di dimostrarla filologicamente.

L’Arlecchino sembra essersi appena levato la maschera: egli sta mostrando il suo volto – il suo vero volto, la sua vera icon – allo spettatore, ma così come il monaco greco di ix secolo impone che lo sguardo del Cristo non possa mai incrociare quello dell’umano osservatore, così anche questa “ masche-ra ” si mostra in modo elusivo, concentrato, riflessivo e malinconico 14. E’ un’ostensione del volto, disvelato, che non provoca né finge alcunché. Il personaggio buffonesco cede totalmente il passo ad un’appari-zione intensa e concentrata, bastevole a sè stessa. Se questo era il volto di Léonide Massine, ci si potrebbe divertire a ricamare ancora molto sugli eventuali significati del quadro: perché Massine era un attore,

11 Sul fatto che Picasso fosse un instancabile raccoglitore di fotografie di opere, fin da giovanissimo a Malaga cfr. Anne Baldassari, “La peinture de la peinture”, in Picasso et les maîtres, catalogo della mostra (Parigi, Grand Palais, 8 ottobre 2008 – 2 febbraio 2009), a cura di Anne Baldas-sari, Marie-Laure Bernadac, Parigi 2008, pp. 21– 36. Nella sua raccolta fotografica messa insieme già nei primi anni Novanta dell’Ottocento, Memling, El Greco, Velasquez, Zurbaran, Murillo. L’apprezzamen-to di Zurbaran da parte di Picasso è sottolineato dalla Baldassari, che ricorda come nel 1947 il maestro, nell’esporre dieci sue opere al Louvre, volle che fossero sistemate accanto alle opere di Zurbaran (Ibidem, p. 32).

12 Manolis Chatzidakis, “An Encaustic Icon of Christ at Sinai”, The Art Bulletin, xlix (1967), pp. 197–207.

13 Belting, Bild und Kult, (n. 9); per il concetto di immagine assente, Serena Romano, “L’icône Acheropoietes du Latran. Fonction d’une image absente”, in Art et liturgie au Moyen-Âge, a cura di Nicolas Bock [et. al.], actes du colloque (Lausanne – Fribourg 2000), Roma 2002, pp. 301– 319; per le repliche dell’Acheropita lateranense, Wolfgang Fritz Volbach, “Il Cristo di Sutri e la venerazione del ss. Salvatore nel Lazio”, Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti, xvii (1940 –1941), pp. 97–126; Walter Angelelli, “La diffusione dell’im-magine lateranense: le repliche del Salvatore nel Lazio”, in Il volto di Cristo (n. 9), pp. 46 – 49.

14 Per il testo bizantino relativo alla descrizione del volto di Cristo cfr. Chatzidakis, “An Encaustic Icon” (n. 12), Sarei tentata di sviluppare le tematiche affrontate da Gerhard Wolf, Schleier und Spiegel: Traditionen des Christusbildes und die Bildkonzepte der Renaissance, Monaco 2002, specie in relazione al Narciso, ma l’ampiezza del problema rende impossibile anche solo sfiorarlo in queste sede.

5 / Il Cristo, Monastero di Santa Caterina, Sinai, vi secolo

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e quindi una maschera; perché era un eterosessuale ma amante di Diaghilev; perché, in definitiva, era un personaggio ad altissimo tasso di ambiguità, che qui sembra però lasciarsi cogliere in un istante di verità e di disvelamento, il cui nocciolo non è che un’intensa e solitaria malinconia. Era il carnevale del 1917, e Picasso girava per Roma con Massine, visitando la marchesa Casati e frequentando i musei. Ricordava forse quello che Apollinaire aveva scritto, qualche anno prima, a proposito di Roma, una Roma fredda, cinica e pericolosa, dai colori violenti che le daranno di lì a poco Scipione o Mafai, in cui il sacro è parte del paesaggio quotidiano ed è apparato abituale e svuotato: “A Roma, in carnevale, ci sono maschere (Arlecchino, Colombina, la cuoca francese) che dopo un’orgia conclusa non di rado con un assassinio la mattina vanno in San Pietro a baciare l’alluce con-sunto del principe degli Apostoli”15. 

15 Riprendo la citazione da Lea Mattarella, La Roma di Picasso. Un grande palcoscenico, Ginevra / Milano 2008, pp. 37– 73.

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Summary / Picasso a pravá tvář Harlekýnova

Protagonistou této krátké eseje je Harlekýn, nyní v Kunstmuseum v Basileji. Pablo Picasso ho nama-loval v roce 1918 po návratu z cesty, během níž mu dělali společnost Sergej Pavlovič Ďagilev a he-rec Léonard Massine. Picasso zůstal několik týdnů v Římě a také v Neapoli a Pompejích.

Harlekýn byl Picassovým oblíbeným námětem, kterým se častokrát zabýval, a to zejména během prv-ních desetiletí své činnosti. Vytvořil mnoho jeho verzí různými technikami, tj. olejomalbou, modelací, kres-bou a rytinou. Podle Jeana Claira byl tento námět pro malíře tématem dotýkajícím se identity a sexuality.

Nicméně v žádné z mnoha známých verzí není postava prezentována jako ta na obrazu v Basileji.

Harlekýn je na něm zobrazen frontálně, s me-lancholickým, upřeným pohledem, obličej má ob-nažený, protože černá maska je sundaná a spočívá v harlekýnově levé ruce.

Prostředí není specifikováno, ale je naznačeno jako interiér s podlahou a šedobéžovými stěna-mi; postava však vystupuje do popředí před kus látky, který visí na provázku, přesně ve středu obrazového pole.

Látka však nemůže být vykládána jako divadel-ní „kulisa”. Tento kus látky připomíná Veroničinu roušku, vyobrazení po staletí velmi rozšířené v celé Evropě, které Picasso mohl poznat, pokud ne v Římě, tak ve svém rodném Španělsku: bílý závoj, často visící na provázku, ve středu s podobiznou zakrva-vené Kristovy tváře.

Skutečnost, že postava je zobrazena téměř celá, ze tří čtvrtin, vyvolává další vizuální asociace, snad s ty-pem Acheropita lateránského typu. Ale není známo, zda měl Picasso možnost vidět jednu z mnoha jeho středověkých kopií v průběhu svého pobytu v Římě.

Chápavý jako málo jiných umělců na světě, Picasso dokázal přebrat cokoliv vizuálně sugestiv-ního a přetvořit to ve své představivosti do vlastních záměrů. Picasso snad v tomto neobvyklém Harle-kýnovi zachytil v jeho ztvárnění pravou tvář a me-lancholii portrétu. Pokud je na portrétu Léonard Massine, úvahy o „pravé tváři” herce jistě doplňují komplexní původ díla.

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