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IL VERBALE DI FONDAZIONE DELL’ARCADIA 5 OTTOBRE 1690

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IL VERBALE DI FONDAZIONE DELL’ARCADIA5 OTTOBRE 1690

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IN NOMINE DOMINI AMENINCOMINCIA FELICEMENTE IL RACCONTO DE’ FATTI

DELLA RAGUNANZA DEGLI ARCADI PASTORI1

RAGUNANZA 1a

GIOVEDÌ IV° DOPO IL XX° DI MEMATTERIONE CADENTE2 L’ANNO II° DELL’OLIMPIADE DCXVIIa

GIORNO LIETO PERPETUAMENTEIo Alfesibeo Cario, Pastore Arcade, Custode d’Arcadia, eletto di commun

consentimento dalla nostra piena Ragunanza, dovendo raccontare i fatti di essa, dico che parecchi gentili e valorosi uomini insieme con me, li quali per lo racquisto del bel Paese d’Arcadia, fattosi dalla Serenissima Repubblica di Vinegia, lasciate le nostre Patrie ci siamo qua portati a condurci tranquilla vita e gl’antichi Arcadi Pastori rappresentare, ragunammoci il dì sudetto nell’amena e sempre verdeggiante pianura posta nel mezzo del Bosco Parrasio, e per lo sito comodo e per l’amenità del luogo sopra ogn’altro alla bisogna adattato, come quello che, occupando quasi il cuor dell’Arcadia, vien quinci e quindi difeso dai monti Cerausio e Liceo, fra’ quali intrapponsi di vaga rusticana struttura facendo pompa l’antico tempio di Pan, e bagnato a settentrione dal favoloso Alfeo. Quivi adunque, come che abbottinati ci fossimo da ogni civil travaglio, le letterarie fatiche ripigliar volemmo, alle quali per più agiatamente e fervorosamente badare stabilimmo ciò che segue.

Noi3 Pastori Arcadi, ragunati nel ‹me›zzo del Bosco Parrasio, che eleggiamo per luogo di nostra Ragunanza immutabile, volendo conservar la pace fra noi, dichiariamo Commune questo nostro dominio d’Arcadia, tuttoché le possessioni a ciaschedun di noi sian per consegnarsi separatamente. Riserbato dunque a noi il dominio, per lo governo e maneggio delle cose del 1 Hoc commentarium, Custodis manu scriptum correctumque, exstat in ms. Atti Arcadici 1

(A); magna Commentarii pars, a scriba quodam exarata in charta magna ut pontifici offerretur, in forma lignea inclusa et parieti affixa nimio tempore fuit; hodie in Arcadiae Archivio reposita est (Q)

2 id est 5 X 1690, dies Iovis 3 hic incipit Q

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nostro Commun Pastorale, alle quali noi continovamente badar non possiamo mercé della4 cura de’ nostri greggi ed armenti e delle5 altre domestiche nostre bisogne, eleggiamo, stabiliamo e dichiariamo nostro e di nostra Arcadia Custode Alfesibeo, Compastore nostro, sì perch’egli è stato il primiero che in Arcadia abbia posto piede, sì anche perché nella spertezza, fedeltà e iconomia di lui6 pienamente confidiamo, vogliendo7 che egli governi e regoli le nostre cose nella guisa e con quegli onori e pesi che ne’8 nostri avvertimenti sarà oggi da noi prescritto9.ElpinoUranioIdalgoOpicoTirsiAlessiMontanoSiringoDametaMirtilloCarinoPalemoneSilvio10

Accetto il sudetto carico AlfesibeoCompiuta la sudetta bisogna, passammo alla divisione delle Campagne

d’Arcadia, acciocché ciascun de’ Pastori, sì presenti come da annoverarsi, non men dall’ambizione si devesse guardare che dalla povertà, le quali ambedue egualmente e de’ begli studj e de’ buoni costumi sono distruggitrici. Fu commessa adunque ad Uranio, a Mirtillo ed a me Alfesibeo la faccenda, e noi, risguardando non meno alle ragioni de’ Ragunati Pastori che 4 mercé della corr. ex mercé la A mercé la Q 5 delle altre corr. ex le altre A le altre Q6 in lui Q7 volendo Q8 ne’ in interl. add. A9 hic desinit Q, die Arcadicae Ephemeridis addita (Dato in piena Ragunanza nel

Bosco Parrasio, al IV dopo il XX di Mematterione cadente, l’anno II dell’Olimpiade DCXVII, giorno lieto perpetuamente)

10 novus quisque Pastor nomen suum sua manu scrip.

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all’aumentamento del numero di essi, raccogliemmo priemieramente il numero de’ Paesi, de’ Monti, de’ Fiumi e d’ogn’altra ragguardevole ragione di nostro dominio e poi stabilimmo che, messi tutti in una Urna che della Sorte si fosse dovuta chiamare, a ciascun Pastore presente si devesse quindi estrarre una di quelle ragioni, dalla quale avesse avuto a denominarsi e le sottoposte Campagne per cinquanta iugeri possedere (dichiarando il territorio di ciascun luogo o ragione non aver ad esser minore), e di più che le possessioni denominate da’ fiumi si intendano incominciare o dalle foci de’ medesimi fiumi, se nascono in Arcadia, o dalla entrata degli istessi nel territorio Arcadico, quando vengano altronde11, e del rimanente, se ve ne fosse stato, pagar il fitto al nostro Commune infintantoché di esso avesse12 disposto la nostra piena Ragunanza, per la quale e per lo Commune d’Arcadia lasciammo tutto il Bosco Parrasio co’13 rimanenti territorij de’ luoghi e delle ragioni posti14 intorno ad esso Bosco per mezzo stadio, e finalmente che la sudetta estrazione e possedimento si fosser’anco praticati con que’ Pastori che di tempo in tempo qua capitando avessero ottenuto l’annoveramento fra gli Arcadi. Tanto noi stabilimmo e tanto fu dalla nostra Piena Ragunanza approvato. Il perché creatasi la sudetta Urna e quella apprestatasi, io Alfesibeo, al quale come al Custode tal bisogna si parteneva, strassi la possessione a ciascuno de’ Ragunati Pastori, i quali furono 1 Elpino 5 Alfesibeo 10 Siringo 2 Alessi 6 Opico 11 Dameta 3 Uranio 7 Tirsi 12 Mirtillo 4 Palemone 8 Idalgo 13 Carino e 9 Montano 14 Silvio15

e la sorte provide loro nella guisa che sta notato nel Catalogo delle Annoverazioni alla giornata sudetta; ci obbligammo poi16 tutti di non far mai17

contratto sopra le possessioni toccateci, né mandarle in retaggio a’ nostri 11 e di più ~ altronde in marg. add. et Alfesibeo Cario Cust. subscrip. stessi corr. ex istessi12 av- corr. ex fa-13 co’ corr. ex con14 posti in interl. add.15 numeri 1-14 iidem sunt quibus haec nomina in Arcadum Catalogo (ms. 15, c. 481r-v, et ms.

Archivio 1, cc. 2r-3r) notantur16 ci obbligammo poi corr. ex obbligandoci17 di non far mai corr. ex dopo tal affare

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Posteri, i quali debban chiederne al nostro Comune18 e ottenerne, né più né meno di qualunque altro che in avvenire si annoveri, l’investitura19, avendo quella campagna o regione che ci tocca20 a ricadere liberamente per nostra morte al Comune21 e a ritornarsi nell’Urna della Sorte a benefizio di quei che in avvenire annovereransi, i quali stabilimmo dover essere al medesimo obbligo sottoposti.

Dopo tal affare, considerando i saggi e prudenti Pastori che non sarebbe per riuscir che impossibile, nonché malagevole e disagiosa cosa il ragunarsi alla giornata nel Bosco Parrasio poi che22 ciascheduno alle Campagne e possessioni toccategli si fosse condotto, stabilimmo di commun sentimento (lasciato libero tutto il corrente anno dal seguente prescritto, imperciocché lo stabilimento e aumentamento delle cose di Arcadia frequenti Ragunanze richieggono) sei giornate, da scersi dal23 Custode dentro i mesi e nella guisa che si esprimano negli avvertimenti, de i quali appresso ragionerassi, ne’ quali mesi ciascun Arcade Pastore avesse avuto libertà di venire anche con le sue greggi, armenti e famiglia e intrattenersi nelle Campagne riserbate per tale effetto al Commune, e di quindi alle Ragunanze nel Bosco Parrasio i sudetti giorni passare et ogn’altra volta che alla medesima Ragunanza fosse paruto24

per quivi in festevoli giuochi, allegri canti e virtuosi intrattenimenti adoperare, purché avesser sopra le bisogne del Commune ragionato e stabilito a bastanza.

Publicaronsi poscia gli avvertimenti e le Costumanze25, sotto le quali26 la Ragunanza e l’Arcadia tutta dovran27 governarsi e mantenersi felicemente, nella guisa che segue.

Noi Pastori Arcadi ragunati nel mezzo del Bosco Parrasio, luogo di nostra Ragunanza eletto immutabile, avendo prescritti e stabiliti gli

18 corr. ex Commune19 d’investitura currenti calamo in interl. add.20 campagna ~ tocca currenti calamo in interl. add.21 Comune corr. ex Commune22 poiché corr. ex dopo che 23 dal corr. ex dal nostro24 Ma non perciò si tolse loro post paruto del.25 le Costumanze corr. ex costumanze26 sotto le quali in interl. add. 27 dovran corr. ex fossero dovute

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avvertimenti e costumanze seguenti per buon governo e mantenimento di nostra Arcadia I° Non28 si cantino da’ Pastori Arcadi versi, né si dican prose empie, satiriche, oscene e in qualsivoglia modo contro a’ buoni costumi. II° Non si possa convocar la Ragunanza, né si intenda mai essere, fuori del Bosco Parrasio e dell’aprico Prato che dentro di esso si chiude. III° Non possa trattarsi in Arcadia di far Principe, e nemmeno altro Ufficiale29, Governatore o Ministro che il Custode, al qual Custode ciascun30 Arcade assista e dia gli aiuti necessarii ogni volta che ne sia richiesto31, nel modo e guisa, per quel tempo, e con quel titolo, che parrà spediente ad esso Custode32. IV° Ogni dispiacere e disparere tra’ Pastori nelle materie partenenti33 all’Arcadia debba rimettersi alla piena Ragunanza e dipenda dalla decisione di essa. V° Non si esca del Costume e Simplicità Pastorale, anche largamente pigliati34, sì nel trattare e conversare, come nel Cantare e ragionare; tuttoché a’ contraventori della seconda parte di questo avvertimento non si stabilisca l’Infrascritta pena, bastando che le Canzoni e prose non siano conservate in nostro Serbatoio.VI° Il Custode si elegga dalla piena Ragunanza con due di tre parti di pareri, qual numero si chiami Commun Consentimento, ed eletto prometta avanti la medesima di fedelmente essercitar l’incarico e promover l’utile e l’avvanzamento della nostra Arcadia. Riceva poi dal più Anziano de’ Pastori che si troveranno presenti le Chiavi del Serbatoio e duri il suo Ufficio35 a beneplacito della medesima piena Ragunanza.VII° Il Custode non faccia36 né determini alcuna cosa senza il consenso della piena Ragunanza, salvo che circa quelle faccende che gli si prescrivono nelle sudette ed infrascritte sue facultà, nelle quali abbia il placito della medesima.28 hinc redit Q29 Officiale Q30 ciaschedun Q31 richiesto corr. ex richieduto A ricchieduto Q32 ad esso Custode in fine versus add. in A 33 pertinenti Q 34 pigliate Q35 Ufficio corr. ex officio A36 facci Q

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VIII° Il Custode governi e regoli a suo modo il nostro Serbatoio, il quale stia sempre appo Lui. Risegga37 nel Bosco Parrasio e nelle Campagne del Commune. Intitoli e sottoscriva col suo nome qualunque scrittura che di nostra Ragunanza, Serbatoio ed Arcadia uscirà. Abbia facultà di contrasegnar le medesime scritture a suo arbitrio, infintantoché sia stabilita la nostra Insegna e l’altra del Serbatoio, le quali parimente conservinsi appo Lui, acciocché di esse ei si vaglia nelle sudette bisogne e in ogni altra che potesse accadere.IX° Il Custode risguardi diligentemente all’osservanza degli avvertimenti e costumanze e al buon mantenimento della nostra Arcadia, e perciò antiponga ciocché gli parrà dicevole per tal faccenda in piena Ragunanza o a ciascun Pastore in privato abboccamento e, uditi i pareri di tutti, fermi, stabilisca e scriva in Serbatoio ciocché dalla maggior parte sarà confermato insieme con Lui, qual numero di pareri si chiami commun consentimento e comando universale. X° Il medesimo ordine si tenga anche nelle annoverazioni de’ Pastori che capiteranno qua per farci dimora, imperciocché devranno38 essi primieramente presentarsi avanti il Custode e domandare a Lui l’annoveramento, sopra di che (conoscendo il suggetto meritevole) faccia poi egli parola e raccolga i pareri, come si è detto nell’antecedente avvertimento IX°.XI° Al Custode si partenga il mantenimento dell’Urna della Sorte39 e l’apprestare i brevi, che in essa devran40 serbarsi. Egli cominci tutte le Ragunanze con la lettura di ciocché in Serbatoio sarà stabilito d’una in altra Ragunanza e, non potendo intravenire a quelle, deputi a tale effetto un Compastore. Commetta il Canto ed il ragionare. Legga i componimenti de’ Pastori che per legitima cagione non si trovassero presenti o ne commetta altrui la lettura. Raccolga tutti i componimenti che si canteranno e diranno in Ragunanza e d’anno in anno41 gli disponga in volume per presentarlo alla medesima piena Ragunanza. Sia in suo arbitrio il raccorre e disporre anche

37 risegga corr. ex rilegga Q 38 dovranno Q39 della Sorte supra lineam Cresc. add. in Q 40 dovran Q 41 anno alterum in interl. Cresc. add. in Q

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ogni altro componimento che per l’Arcadia si canti e ragioni particularmente42 e privatamente. Adoperi in tutto ciò che farà di mestieri e risguarderà la Custodia ed aumentamento del nostro commune Pastorale. Si dia fede a tutto ciò che da Lui sarà scritto in Serbatoio e detto o ridotto in testimonianza. Non sia obbligato render ragione di sue operazioni, fuorché alla piena Ragunanza e quando essa ne lo ricerchi. Dichiari quattro giorni di ciascun anno a suo arbitrio lieti o mesti, non però perpetuamente, e gli scriva e segni come si dispone nell’avvertimento XIII° infrascritto.XII° Il Custode non abbia dominio o signoria alcuna sopra i Pastori, ma la semplice facultà nelle faccende sopra espresse ed in ogni altra43 che in avvenire dalla piena Ragunanza si stabilisse né sia distinto dagli altri Pastori, se non quanto a’ medesimi Pastori sarà in grado.XIII° Il dì che si tien44 Ragunanza o Chiamata Generale sia lieto, siccome anche ogni altro45 che porti alcun notabile avvanzamento di nostro Pastoral Commune o46 di qualche nostro Pastore. Lieto perpetuamente sia il presente giorno, mercé dell’Istituzione47 della nostra Piena Ragunanza nel Bosco Parrasio, ed anche ogni altro48 che dalla Ragunanza tale si dichiarasse. Sieno mesti i giorni che recheran49 novella di morte d’alcun Pastore o altra disavventura e mesti perpetuamente quei che dalla nostra Ragunanza si dichiarassero. De’ lieti e de’ mesti perpetuamente si rinnovi la memoria ogni anno50. Notinsi tutti i sudetti giorni ne’ Codici de’ nostri fatti in Serbatoio e segninsi con ramicello i primi di Lauro, i secondi di Cipresso. I mesti cedano a i lieti quando si affrontino e tramandinsi al dì seguente, se altramente non pare alla piena Ragunanza51.XIV° Ogni costumanza e avvertimento dalla Ragunanza fatto e che in avvenire farassi leghi anche i Pastori che non sono presenti e che in avvenire si annovereranno.

42 particolarmente Q43 ogn’altra Q44 tiene Q45 ogn’altro Q46 e Q47 dell’Istituzione corr. ex l’Istituzione A l’istituzione Q48 ogn’altro Q49 recheranno Q50 ogn’anno Q51 se ~ Ragunanza in interl. add. in A, deest in Q

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XV° Chiunque ammonito contraverrà ad alcuno degli avvertimenti e costumanze dalla piena Ragunanza stabiliti e fatti, e che in avvenire si facessero e stabilissero, dichiarasi nell’istesso52 atto della contravenzione non esser più Arcade, e perciò il Custode sotto la medesima pena lo cancelli in piena Ragunanza dal libbro delle annoverazioni e le campagne a lui toccate rimetta nell’Urna della Sorte. I componimenti di tal Pastore che si troveranno in Serbatoio sia in arbitrio della piena Ragunanza lasciarnegli stare o torneli.XVI° Il Custode legga le nostre costumanze ed avvertimenti almeno una volta l’anno o in piena Ragunanza o in Chiamata Generale.XVII° Le Ragunanze nel Bosco Parrasio, dopo il presente anno II° dell’Olimpiade 617ª, incomincino in giorno di nostra efemeride che risponda al primo di maggio dell’anno Romano e terminino in giorno che risponda al quinto di Ottobre (giorno d’Istituzione di nostra Ragunanza), né se ne faccian più che sei dentro detto tempo ad arbitrio del Custode, riserbando nondimeno l’aumentamento del numero alla piena Ragunanza.XVIII° La Ragunanza intendasi sempre esser piena53.

E volendo i medesimi avvertimenti e costumanze autorevoli rendere non solamente sopra di noi, ma sopra ogni altro Pastore che in avvenire tra Noi si annoveri, diciamo54, stabiliamo e comandiamo che i medesimi da i Pastori d’Arcadia diligentemente si osservino tutto il tempo avvenire nel modo e forma che da Noi sono stati prescritti; spezialmente il primo, il secondo, il terzo, il quarto, l’undecimo, il decimoquarto, il decimoquinto e il decimottavo quali immutabili e invariabili dichiariamo.Alfesibeo Cario Custode d’ArcadiaElpino Menalio Alessi Cillenio Uranio Tegeo Palemone Licurio

52 nello stesso Q53 hic desinit Q, in quo monitorum textui XIII conditores, Alphesiboeo excepto, nomen

quisque suum subscripserunt. In extrema folii Q parte Arcadiae sigillum exstat, a cuius dextera Cresc. scrip. Al Xo dopo il XXo di Targelione cadente, l’anno III dell’Olimp. DCXVIII, ab A. I. Olimp. II an. II, giorno lieto perpetuamente, fu confermato dalla Piena Ragunanza Custode Alfesibeo Cario per tutta l’Olimpiade DCXIX. Alessi Cillenio Sottodecano (Alexis manu sua subscrip.), a sinistra autem Ila scrip. Contrasegnato con l’Insegna Arcadica in piena Ragunanza il dì Xo di Mematterione stante, l’anno IV dell’Olimpiade DCXVIIa, giorno lieto. Ila Orestasio Sottocust.

54 dici- corr. ex dich-

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Alfesibeo Cario Opico Erimanteo Tirsi Leucasio Idalgo Erasinio Montano Falanzio Siringo Reteo Dameta Clitorio Mirtillo Aroanio Carino Dipeo Silvio Pereteo55

Finalmente io feci a notizia della Ragunanza alcuni altri Nobili Pastori capitati già in nostra Arcadia, li quali a’ giorni passati meco ragionarono della presente Istituzione e mostrarono disiderio non diseguale al nostro di ritrovarsi il dì sudetto con esso noi alla stabilita bisogna. Furon coloro56

Menalca, Logisto, Ameto,Sincero, Clonico57 e Coridone,

a’ quali la Ragunanza, ben consapevole di loro merito, volentieri soddisfece, annoverandogli tra noi, et avendo io per Comando Universale subitamente stratte loro le possessioni dell’Urna della Sorte, come apparisce dal Catalogo o scritto d’annoveramenti alla Ragunanza 1ª, carta 2, feci a tergo de’ medesimi brevi stratti testimonianza d’annoveramento e contrasegnaila nella seguente guisa.

Stratto nella piena Ragunanza degli Arcadi nel Bosco Parrasio per Comando Universale, al IV° dopo il XX° di Mematterione cadente, l’anno II° dell’Olimpiade 617ª, Giorno Lieto Perpetuamente.

Alfesibeo Cario Custode

55 omnia nomina autographa sunt, quae iuxta manus longe posterior nomina civilia adnotavit; manus ista eadem fortasse est ac illa quae crucis signa ante Arcadicum quodque nomen, Elpino († c. 1728), Montano († 1734), Dameta († 1751), Mirtillo († 1749) exceptis, exaravit; cum Alexis Cyllenius, qui ob. a. 1730, cruce notatus sit et de Elpino, qui Taurini obierat, nihil Romae compertum fuerit (v. Morei, Adunanza in onore de i Fondatori d’Arcadia, Roma 1753, p. 4 et, de vero anno Montani obitus, p. 3), nomina civilia crucisque signa inter a. 1730 et 1734 exarata esse videntur

56 coloro corr. ex questi, ut vid.57 Clonico corr. ex Titiro

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E poi gl’istessi brevi così autorizzati tramandai loro per comando della medesima Ragunanza dentro lo spaccio che segue.

Alfesibeo Cario, Pastore Arcade, Custode d’Arcadia, a Coridone Pastor fiorentino. Avendo io fatto a notizia di nostra piena Ragunanza, tenutasi il sottoscritto giorno nell’amenissimo nostro Bosco Parrasio, che Voi Coridone, Gentile e Valoroso Pastore della culta e deliziosa Campagna fiorentina, siete capitato in questa nostra felicissima Arcadia e domandate l’annoveramento tra i Gentilissimi e Valorosissimi Pastori di essa, la medesima nostra piena Ragunanza, mercé le singulari Virtù e gli ottimi Costumi che abbondevolmente adornano la Vostra persona, siccome anche la nobiltà e leggiadria del Vostro Canto (delle quali cose avete Voi fatto in nostro Serbatoio pienamente apparire), si è compiaciuta di soddisfare al Vostro giusto disiderio. Io pertanto a nome di tutti Vi paleso con questo scritto esser Voi stato volentieri e di commun consenso annoverato tra noi e dichiarato Pastore Arcade, con tutti gli onori e pesi che da ciascuno di nostra Ragunanza si portano; e acciocché possiate con le vostre mandre e armenti agiatamente intrattenervi in Arcadia, avendovi io stratta dell’Urna della Sorte per Comando Universale la possessione sopra le Campagne dette Marachie di nostro Commune, a nome della medesima nostra Ragunanza vi concedo per vigor del presente scritto il godimento di quelle, giusta lo stabilito ne’ nostri avvertimenti, imponendovi che da esse in avvenire Marachio vi denominiate, nella guisa che nella testimonianza che vi mando di tale estrazzione vi si prescrive. Dato in Piena Ragunanza nel Bosco Parrasio al IV° dopo il XX° di Mematterione cadente, l’anno II° dell’Olimpiade DCXVIIª, Giorno Lieto Perpetuamente.

Alfesibeo Custode

Quali testimonianza e spaccio comandò la medesima Ragunanza che a tutti i Pastori, che in avvenire fossero capitati in Arcadia et annoverati fra gli Arcadi, si tramandassero nella stessa guisa.

A gran pena fornimmo la bisogna sudetta che la notte ne sopraggiunse, perloché, scioltasi la Ragunanza, pigliammo allegramente il cammino verso le Capanne del Commune e quivi festevolmente la notte poco meno che tutta

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passammo che succedette a sì chiaro e felice giorno, il quale, giusta il XIII° avvertimento sudetto, io segnai in Serbatoio con ramicello di Lauro ed ora scrivo Lieto Perpetuamente.

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DICHIARAZIONE DEL 169158

58 Hoc instrumentum exstat in ms. Componimenti Arcadici 15, cc. 171r-172v, sed eius ratio minime liquet (ortus fortasse est e primis Arcadum discordiis, quae a. 1692 [adde diem, seu potius anni partem] ad monita in Libro Aureo redigenda ducturae erant). Scriptum est manu cuiusdam anonymi, quae hic illic levi tremore affecta est quamque inter subscripta nomina, autographa omnia, recognoscere non valui; nominum vero series desinit in extrema parte folii 172v, ita ut incertum sit an tertium folium, et nonnulla cum eo nomina, perierit.

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Noi infrascritti59 detti Pastori Arcadi60, havendo considerato con quanta lode et approvatione la nostra Ragunanza61 venga ricevuta62 et honorata dal Pubblico e dal Privato et serva di stimolo agli studiosi di far maggiori progressi nella cultura delle belle e buone lettere, e quanto importi alla sua conservatione e crescimento una stabile e perpetua concordia degli Arcadi che la compongono, siamo venuti alla presente63 conventione e protesta, nella quale ci obblighiamo e positivamente promettiamo, sotto vincolo di quell’honore che professiamo, di voler stare perpetuamente uniti e stretti in una perpetua e sincera confederatione e contribuire quanto mai potrà dipendere dalle nostre forze, non solo con fare le compositioni che bisogneranno per mantenimento dell’Adunanza, ma colo adoprare64 tutta quell’attenzione e vigilanza che conosceremo necessaria o proficua al Ben pubblico di detta Ragunanza65 et a suoi avanzamenti, né distaccarci mai da quella o dal consortio de’ Colleghi per qualsivoglia dispiacere o disparere66, quando mai succedesse (che non crediamo), e in tal caso di sottomettere ogni nostra controversia e differenza alla decisione e giudicio assoluto de’ Colleghi, e in sostanza di preferire a qualsivoglia particolare rispetto l’honore e la dignità della Ragunanza67, dichiarando che per questa scrittura da noi convenuta e firmata non intendiamo di qualificare le nostre Persone sopra quegli della medesima Adunanza che non l’haveranno approvata, né d’arrogarci alcun dritto o prerogativa maggiore, ma di stare con tutti nell’istessa uguaglianza di prima, come richiede la nostra simplicità Pastorale, e che perciò sarà lecito a qualunque altro di questo numero et Adunanza

59 in marg. Cresc. scrip. Le controscritte cancellature et amende sono state fatte da me Alfesibeo Cario Custode.60 detti Pastori Arcadi supra lin. Cresc. scrip., nonnullis in textu multo atramento deletis, id est de’ T‹…›d‹…›ti et Aggregati dell’Accademia intitolata l’Arcadia aperta in Roma l’anno passato61 la nostra Ragunanza in interl. Cresc. scrip., essa in versu deleto62 accetta ante ricevuta del.63 alla post presente del.64 non solo ~ adoprare in marg. ab eadem quae textum scripsit manu addita et ab Alphesiboeo subscripta65 Ragunanza corr. ex Accademia Cresc.66 o disparere in marg. scrip. Cresc., duobus fere scripturae versibus in textu multo atramento necatis, et ita subscripsit La controscritta cancellatura et amenda è stata fatta da me Alfesibeo Cario Custode67 Ragunanza corr. ex Accademia Cresc.

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sudetta68 entrare a suo piacimento e quando vorrà in questa nostra conventione e firmarla come noi, sì come non lascieremo di pregargli a far ciò ancor essi, sempre a maggiore stabilità e gloria di detta nostra Ragunanza69. In fede della verità habbiamo sottoscritta la presente cedola di nostra propria mano questo dì cinque d’agosto 1691.Io Gio. Ma. Crescimbeni approvo e mi obligo come sopra, AlfesibeoIo Gio. Ba. Zappi approvo e m’obligo come sa mpIo Gio. Batt.a Buonconti m. p.riaIo Benedetto Menzini mo p.a

Io Iacomo Buonaccorsi m.o p.a

Io Gioseppe Paolucci m. pp.Io Paol’Antonio del Negro m. pp.Io Paolo della Stufa mo propa

Io Alessandro GuidiIo Jacomo Vicinelli m.o pp.Io Giovannantonio Magnani mo pp.Io Filippo Leers mo ppa do Sirillo NinfasioIo Melchiorre Maggio mo propriaIo Bened. Paolucci mo ppa

Vincenzo Leonio d.o70 UranioIo Franc. Felini Filippo Buonarroti do Lico M° Vincenzo Gravina d.o Opico ErimanteoGiuseppe M. Cascina d.o Lacrito ScotaneoMatteo Sacchetti d.o Eugenio AleioPaol. Fran. Carli d.o Coridone MarachioG. B. LuciniPompeo Figari detto Montano FalinthioMichelAng. M.a Bianciardi d.o Sincero PartenioAgostino Maria TaiaLeone Strozzi

68 post sudetta ex marg. duo verba scriptor add., quae currentissimo calamo infirmaque fere manu scripta vix leguntur (fort. che componga); Cresc. ea subscrip. Alfes. Custode

69 Ragunanza corr. ex Accademia Cresc.70 d.o scriptum supra mp

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Silvio Stampiglia mano pp.aP. Carlo d’AquinoGio. Leonardo QuiliciPier Andrea Forzoni detto Arpalio AbeatideNicola Lana detto Licinno AnemosioAngel’Antonio Somai detto Ila OrestasioIo. Tomasso Mancini m.o pp.a

Fran. Bambini detto Damone TriteoD. Giacomo Caracciolo detto Daliso EnispeoGiulio Bussi detto TirintoLuciano Bussi d.o EumolpoGio. Batt.a Bussi do Edrasto CafieoAntonio Banchieri detto VitauroStefano Durazzo detto Elcippo GaratideMalatesta Strinati detto Licida Orcomenio

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VERBALE DELLA ROGAZIONE DELLE LEGGI20 MAGGIO 169671

71 Exstat in ms. Atti Arcadici 2, pp. 1-15.

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IN NOMINE DOMINI AMENINCOMINCIA FELICEMENTE IL SECONDO CODICE

DE I FATTI DEGLI ARCADIRAGUNANZA IA NEL BOSCO PARRASIO

IL DÌ XO DOPO IL XXO DI TARGELIONE CADENTE,L’ANNO III DELL’OLIMPIADE DCXVIII,AB ARCADIA INSTAURATA OLIMP. II,

ANN. II,GIORNO LIETO PERPETUAMENTE72

Essendo sempre stato fisso nell'animo di tutti gl'Arcadi dal giorno dell'istaurazione d'Arcadia di fondare e stabilire un governo semplice e schietto, sicome alle pastorali persone, che rappresentano, si conviene, e con riti, costumi ed usi adoperare, e divieti e precetti imporre, li quali per la loro uniformità con la ragion di natura dovessero riuscire non men graditi e abbracciati che stabili e perpetui, perciò nel corso d'un'Olimpiade e anni due dalla detta istaurazione han sempre tutti pensato, e specialmente il Gentilissimo e Valorosissimo Alfesibeo Cario, Custode d'Arcadia, a cui la bisogna più che ad ogn’altro si partiene di promovere, prescrivere et ordinare di tempo in tempo avvertimenti e costumanze secondo che il corso delle cose ha richiesto73, i quali Avvertimenti e Costumanze più volte ampliati, ristretti, variati, rinovati, accresciuti e sminuiti stati sono, come nell'antecedente Codice de’ nostri Fatti apparisce, in fin tanto che l’universale osservanza ha dimostrato quali siano quelli che devono restare per fondamento di nostra vita e governo.

In questo stato di Cose, percioché al detto Custode era palese tale intenzione et avviso di nostra piena Ragunanza, fattosi da Lui di74 tutti gl’Avvertimenti e Costumanze fin qui stabiliti e pratticate una succinta raccolta e ristretto, a dieci tavole o Leggi e due Stanziamenti tutto ciò che per il passato prescritto era si ridusse; le quali cose, perché più autorevoli e di più venerazione degne fossero, in antichissima Latina lingua, ed appunto con 72 In nomine Perpetuamente exaravit Cresc.73 richiesto corr. ex richieduto 74 di in interl. add.

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quella brevità e con quelle formole e con quei modi, che gli antichi Romani Legislatori del Mondo praticavano nelle loro, le fece scrivere dal Gentilissimo Compastore Opico Erimanteo, uomo in ciò erudito, e poscia, chiamato più volte sopra tale scrittura il consiglio non pur de’ Vicecustodi, ma di molti saggi ed eruditi Pastori, da essi venne quella approvata e molto lodata, nella guisa però e con tutte quelle circostanze con le quali le medesime Leggi e Stanziamenti in questo Codice registrati saranno. Dovendosi adunque tal Compilazione, come si richiede, rogare, acciò che la publica approvazione quel vigore ad essa dia che noi dar non le possiamo, chiamatisi dall'istesso Custode per mezzo del solito Messo tutti i Pastori dimoranti in Arcadia a Ragunanza nel Bosco Parrasio, egli espose loro tutto ciò che di sopra si è raccontato. Il che da tutti lietamente udito e lodato, per ultimar la faccenda incominciò egli la compilazione a rogare nella seguente guisa.

Velitis iubeatis, Arcades, ut quae in his legibus ad nostri Communis regimen comprehensa perscriptaque sunt, auctoritate iussuque communi iusta, rata, firma perpetuo sient, ipsisque Pastores posthac omnes perpetuo teneantur, ac quicumque Arcadicum deinceps nomen adsumpserit, obstrictus his legibus veluti sacramento siet75.

Leges Arcadum

1. Penes Commune summa Potestas esto. Ad idem cuilibet provocare Ius esto.

2. Custos rebus gerundis et procurandis singulis Olimpiad. a Communi creator minusque idoneus removetor.

3. Custodi Vicarius et Collegae duodecim adsunto. Eorum singulis annis Custos, consulto universo Coetu, novos sex in orbem eligito, sex veterum retineto. Administros sibi duos assumito. Praeter haec alia munera publica ne sunto. Patronus nullus esto.

75 Velitis siet Cresc. manu sua scrip.

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4. Suffragia secreta sunto. Eaque in Custode creando aut removendo trifariam dividuntor, iustusque numerus duae partes sunto. Caeteris in rebus bifariam dispertiuntor, quique partem dimidiam exuperat, numerus iustus esto. Si paria fuant, iterantor. Deinceps res sorti committitor.

5. Quidquid per Collegium de rebus communibus actum gestumve fuat, quo perpetuo ratum siet, per Custodem ad Commune refertor.

6. Coetus universus relationibus audiundis actisque cognuscundis hyeme saltem bis in Aedibus, carminibus autem aut orationibus pronunciandis presentium quidem Pastorum per annum sexies, absentium semel vernis et aestivis ferijs in Nemus Parrhasium per Custodem sub Dio convocator.

7. Mala carmina et famosa, obscoena, superstitiosa impiave scripta ne pronunciantor.

8. In Coetu et rebus Arcadicis pastoritius mos perpetuo, in carminibus autem et orationibus quantum res fert adhibetor.

9. Arcadico nomine typis iniussu publico ne quid editor.

10. Quot praediorum Arcadicorum tituli, totidem Pastores Pastorumque nomina sunto, inque mortui aut expuncti locum alius sufficitor.

Sanctio

Si quis adversus H. L. facit, faxit, fecerit, quive facit, faxit feceritve quominus quis secundum H. L. faceret fecissetve facturusve siet, confestim exArcas esto eiusque nomen coram Collegio per Custodem inducitor.

Si quid in his Legibus obscurum perplexumve siet, sive comprehensum non siet, Communi Arcadum consultis peritioribus inter Pastores more maiorum interpretandi supplendique ius esto, quodque decretum iudicatumve

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siet, penes Custodem asservator. In Legum tabulas76 ne redigitor. Nulli novas Leges ferre fas esto.

Seguita la rogazione fattasi dal Custode e lettesi ad alta voce le sudette Leggi dal Gentilissimo Compastore Palemone Licurio, a ciò deputato, si esposero alla publica vista le mentovate Leggi e Stanziamenti, fatti incidere in ampie tavole di finissimo marmo dal Gentilissimo e Valorosissimo Pastore Arcade Acclamato Carisio Alantino, e quindi ragionò lungamente sopra di esse il sudetto Opico Erimanteo, persuadendo la Ragunanza ad approvare e confermare le dette Leggi e Stanziamenti. Fornito il ragionamento, distribuironsi le tabelle a i Pastori e, venutosi a segreto squittino, furono le mentovate Leggi e Stanziamenti a pieni suffragij approvati e confermati e si diede ordine al Custode che così rogasse, sì come di suo proprio carattere egli qui roga:

Alphesiboeus Caryus Custos Coetum Universum sic rogavit, Coetusque Universus sic scivit77.

Terminata la rogazione delle Leggi, si considerò che la brevità d’esse non portava il modo d’osservarle; il perché di commun consentimento furono dal medesimo Custode dettate le sottoscritte Istituzioni, cavate in parte dalle Costumanze già tra noi praticate ed in parte oggi dalla stessa piena Ragunanza ordinate.

Institutiones Arcadicae

De Officio Custodis

Caput Primum

Custos creatur ab universo Coetu modo legibus praescripto, cum facultate gerendi expediendique quidquid differri ad convocationem Universi Coetus minimè potest. Ideo deliberandi iudicandique causa sibi Collegas adsciscit, ut convocato Coetu quidquid medio tempore gestum fuerit ratum aut irritum habeatur. Lapsa Olimpiade novus eligitur vel antiquus confirmatur pro arbitrio universi Coetus.

76 tabulas corr. ex tabulis77 Alphesiboeus scivit exaravit Cresc.

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§ II

Creatus vel confirmatus promittat coram Universo Coetu et in manibus Decani, vel Antiquioris inter coactos78 Pastores, Leges et Usus ac Ritus omnes Arcadicos defendere ac promovere, et ab eodem Decano vel Antiquiore Sigillum publicum recipiat.

§ III

Idem Custos iure suo commune armarium administret. Custodis titulum nomini suo adiunctum literis Communis adscribat, tamquam notam publicae auctoritatis, sigillumque commune vel proprium Pastoritium imprimat, praeterquam in diplomatibus79, in quibus sigillum tantummodo Communis est adhibendum. Arbitrio suo, cum usus ferat, singulorum Arcadum opera commune ad commodum utatur. In sententijs exquirendis rebusque ab Universo Coetu iudicandis tabellas Pastoribus diribat. Nomina novis Pastoribus imponenda in urnas conijciat, ut cuilibet sortitò contingant. Si praesens sit, Coetum Universum ipse per Viatorem convocet eique praesit, sin aliter, eiusdem iussu Vicarius.

§ IV

Magis idoneis prosam orationem demandet et duas eclogas, Latinam alteram, alteram Etruscam, in vernas aestivasque ferias diebus convocati doctrinarum causa Coetus per Auctores ipsos recitandas. Si Auctores absint legitimè, recitationem cui visum fuerit committat.

§ V

Scriptis privatim recitandis a Pastoribus locum in Nemore Parrhasio iure suo concedat; quidquid autem, vel in legitimis et publicis, vel indictis privatisque Coetibus, Pastoritio nomine fuerit pronunciatum sibi tradi curet, eaque in volumina singulis annis digerat.

§ VI

Coacto communium negotiorum causa Coetu in Aedes Communis, initio leges publicè perlegat et hasce Institutiones semel saltem in anno.

78 coactos corr. ex creatos79 decretis et ante diplomatibus del.

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§ VII

Dies per annum quatuor faustos, infaustosve ad tempus, si libuerit, iure suo pronunciet. Trium denariorum collectam annuam in singulos Pastores indicet.

De Officio VicarijCaput II

Vicarium (Italicè Procustode) sibi Custos adiungit. Is autem Custodis facultates non excerceat, nisi modo et tempore ab ipso Custode praescripto.

§ IIDeficiente verò Custode, Vicarius statim iure suo Coetum Custodis creandi causa convocet ac usque ad Custodis creationem communes res simul cum duodecim Collegis administret, prout de Custode dictum est. Si Vicarius in mora fuerit, Coetus per Collegium Custodis creandi causa indicatur.

§ IIIAbsente verò Custode iure suo perinde atque Custos administret et interim locum et votum in Collegio habeat80.

De Collegis et CollegioCaput III

Collegium Coetum universum repraesentat81.

§ IICollegae non singuli, sed tantum legitimè convocati communibus rebus sese immisceant; tantum subrogandis publicoque plausu appellandis novis Pastoribus abstineant.

§ III

80 et interim ~ habeat manu sua Cresc. add.81 repraesentat corr. ex repraesentet inter quos primo renunciatus ex Administris referatur post representat del.

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Collegas autem Custos ita sibi assumat ut sex veterum sive superioris anni confirmet, sex novos ex magis idoneis Pastoribus in Orbem deligat, inter quos primo renunciatus ex Administris referatur. Electio fiat ineunte anno, munusque duret ad dies Anarchos, secundum Arcadicam Ephemeridem. Singulis Collegis Custos Volumen Institutionum expleto munere reddendum tradat.

De Administris et ViatoreCaput IV

Administros, qui vernacula lingua Sottocustodi appellantur, sibi duos, qui ad manum sint scriptaque omnia describant, subscribant et in acta referant, Custos pro arbitrio removendos assumat.

§ IIEx ijsdem Administris alter in ordine prior anno quolibet in Collegarum numerum per Custodem referatur.

§ IIIViator diem celebrandi Coetus iussu Custodis singulis Pastoribus denunciet mandataque omnia Custodis exequatur, idemque Arcas ne sit.

De Recipiendis Pastoribus et Suffragijs et ColonijsCaput V

Custos per schedulas creetur vel confirmetur iuxta modum in legibus expressum.

§ IIPublico plausu appellentur tantum Summi Principes et Cardinales ijque vocentur Acclamati ex formularum exemplis.

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§ IIISuffragia per tabellas his inscriptas literis ferantur, nempe A. sive Abrogo, V.R. sive Uti Rogas.

§ IVPetitor si absit, per Procuratorem Arcadem, si praesens sit, per se a Custode scripto petat; Custos ad Collegium referat et tempore suo ad Universum Coetum.

§ V Novorum praediorum tituli Matronis illustribus et doctis Mulieribus, sive acclamandis Pastoribus aut Colonijs aut Academijs reserventur.

§ VISi quae Academiae velint Arcadiae nomen dare, cum admitti universa multitudo nequeat, unus et alter inter Pastores adscribatur, qui eas universas82 repraesentent ex concepta decretorum formula. Electio autem ab ipsis Academicis fiat modo decretis praescripto, et per Collegium confirmetur.

§ VIISi Exteri in suis quique Regionibus ad denarium Pastorum numerum pervenerint, ex his in singulis Regionibus Coloniae per Custodem constituantur publicis literis, quibus stylus Arcadicus, quem tenere debent ex concepta formula praescribatur; si autem ex integro Coloniae sint83 constituendae, votum Collegij adhibeatur.

De More PastoritioCaput VI

Cum Coetus Arcadici, sive doctrinarum sive negotiorum causa celebrantur, omnis tollatur gradus dignitatisque discrimen. Communes sint omnibus sedes, communia subsellia omniumque conditio in Arcadia 82 eas universas corr. ex eam universam83 sint corr. ex sunt

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exaequetur, quique Pastores in Coetum convenerint, perinde habeantur ac si personam omnem exuissent et Pastoritiam tantum conditionem retineant. Tituli quoque sint omnium communes, nempe praestantissimus et humanissimus, Etrusce gentilissimo et valorosissimo; tantum Acclamatis, distinctionis nota, Acclamati titulus adijciatur.

§ IICollegio vel Coetu negociorum causa in aedibus coacto Custos proponat.

Inde qui ad dexteram est proximè Custodem sententiam, si velit, dicat. Coeteri interim taceant. Eodemque ordine etiam suffragia secreta ferantur.

§ IIIIn Nemore autem Parrhasio Orator princeps dicat, deinde qui Eclogas

sunt pronunciaturi, expeditisque brevibus cantiunculis in Orbem recitandis, si per temporis angustias licebit, aliarum eclogarum recitatio non prohibeatur.

De stylo Arcadico et disserendi moreCaput VII

De Doctrinis Scientijsque omnibus disserere idoneis Pastoribus liceat, dum scholasticum morem et contentiosum dicendi genus effugiant ac Pastoritium, quantum res fert, retineant.

De librorum et scripturarum editione Caput VIII

Nemo Pastorum typis aliquid editurus utatur nomine titulove Pastoris Arcadis vel Arcadicis insignibus, nisi consentiente Universo Coetu; Universus autem Coetus consensisse censeatur, si ea editio probata fuerit per Censores ad eam rem per Custodem ad tempus constituendos.

§ IICum autem plurium Pastorum scripta vel etiam singulorum communi

Arcadiae nomine typis edenda sunt, a Custode cum Collegio ad eam rem Censores octo, Etruscae nempe linguae quatuor, totidem Latinae, Grecae vero duo creentur, quorum et Custodis iudicio scripta per eumdem Custodem subijciantur, caveatque Custos ne, cum animadversiones edit, auctores Censoribus aut Censores auctoribus patefiant.

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De ritibus Arcadicis et diebus faustis et infaustisCaput IX

Anniversaria dies Institutionis Arcadicae, item dies singuli, quibus Universus Coetus sive doctrinarum sive negotiorum causa convocatur, natalisque dies Teocriti, Virgilii et Sannazarij84, quique alij a Communi fausti pronuncientur, fausti sive perpetuò sive ad tempus sint, prout pronunciati fuerint; infausti verò ad tempus dies obitus Pastorum quique alij tales ab Universo Coetu pronuncientur. Eorum verò dierum, qui perpetuò fausti vel infausti sunt, singulis annis memoria renovetur, omniaque haec in Actorum volumina referantur formulaeque decretorum perpetuae in libro perscribantur, ut deinceps translatitiae sint. Si dies infaustus in faustum inciderit, infaustus fausto cedat et in consequentem diem transferatur.

De ratione temporumCaput X

Priscum Populorum Arcadum Kalendarium, quod Arcadica Ephemeris vocatur, in Coetu nostro perpetuò servetur. In decretis autem et diplomatibus, praeter diem et annum currentes, Olimpias ab Arcadia Instaurata apponatur.

Seguitarono poscia due nobilissimi componimenti poetici, recitati uno dal gentilissimo Compastore Euganio Libade ed un altro dal gentilissimo Compastore Erilo Cleoneo, né più né meno sopra la bontà delle dette leggi e sopra l’osservanza di esse.

Per cominciar quindi ad osservare le medesime Leggi, si venne all’elezione del Custode nel modo in esse prescritto, per il che, scrittosi da ciaschedun de’ Pastori in una schedola, o breve, il nome di chi elegger voleva, furono tutte le schedole raccolte e presentate avanti il più anziano de’ Pastori che ragunati erano, il quale fu Alessi Cillenio sottodecano; ed egli, apertele e lettele ad una ad una, le ritrovò non pur per due terzi, ma tutte segnate col nome di Alfesibeo Cario, Custode passato, ed all’ora l’istesso sottodecano pronunciò confermato Custode il detto Alfesibeo:

84 z altera in interl. add.

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Ex Coetus Universi Sententia Alphesiboeus iterum Custos esto85

Alexis Cyllenius Arcas et Subdecanus86

e sottoscrisse lo scritto di confermazione all’istesso Alfesibeo da me consegnato, il quale Alfesibeo, giusta il prescritto nelle Instituzioni, promise in mano del detto Vicedecano le Leggi et Usi e Riti d'Arcadia per ogni suo potere difendere e promovere, e dall'istesso Sottodecano ricevette di nuovo il sigillo del Commune, che già havea restituito.

Da poi il Custode novello confermò per suo Vicario il gentilissimo Compastore Uranio Tegeo e per Sottocustodi i gentilissimi Compastori Bandalio Fezzeo e Saliunco Feneio, rinovandosi a tutti lo scritto della deputazione secondo le solite formole, e finalmente elesse, in vigore della Legge seconda, i dodici Colleghi per il futuro anno, all'elezione dei quali la piena Ragunanza consentì, et egli scrisse i nomi di essi in questo Libro di propria mano, da incominciar però il lor governo alla Neomenia del futuro Ecatombeone, secondo il solito.

Alessi Cellenio |Lacone Cromizio |Tirinto Trofeio |Arbenio Paragenite | confermatiLucanio Citureo |Agenore Falanteo | Tirsi Leucasio )Euganio Libade )Nicandro Tueboate ) elettiTirreno Lecheatico )Vatidio Langiano )Antenore Palio87 )

E perché fu dalla piena Ragunanza considerato che, se il Corso dell'Olimpiade prescritta alla durazione del Custodiato incominciasse dal giorno d'oggi, non poco verrebbe alterato e confuso l'ordine de’ tempi per non

85 Ex Coetus esto Cresc. manu sua scripsit86 Alexis Subdecanus Alexis manu sua scripsit87 nomina omnia Cresc. manu sua scripsit

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incominciar oggi la nova Olimpiade, perciò stabilirono che la presente conferma del Custodiato nella persona del detto Alfesibeo incominciasse da questo giorno e durasse per tutta l'Olimpiade secendicianovesima.

Quindi i saggi e providi Pastori ragunati dedicarono e consecrarono le dette loro88 Leggi al Supremo Pastore e Sommo Padre e Signor Nostro Innocenzo Duodecimo col seguente decreto pronunciato dal Custode:

Ex Coetus Universi Consulto89

Innocentio XII Pontifici Optimo Maximo, Moderatori Orbis Terrarum, Divini Humanique Iuris Tutelae, suas Arcadia Leges dicat consecratque.

Finalmente considerandosi le grosse spese fatte e destinate a pro della Ragunanza dal detto Carisio Alantino, fu ordinato che si lasciasse memoria del Beneficio incisa in marmo dentro lo stesso Bosco, del tenore che dal Collegio si stabilirà, e intanto per diploma si ringratij a nome publico l’istesso Carisio.

Il sudetto giorno fu dalla piena Ragunanza dichiarato lieto perpetuamente, il perché tale ora da me si scrive.

88 loro in interl. add. 89 Consulto corr. ex Sententia, ut videtur

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JANI VINCENTII GRAVINAE PRO LEGIBUS ARCADUM ORATIO

LEGES ARCADUM

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SIGLA

A: Roma, Bibl. dell’Arcadia (apud Bibl. Angelica), Componimenti Arcadici 6, ff. 3r-11v. Orationis in Nemore Parrhasio ab Opico habitae exemplar esse videtur, a scriba quodam exaratum, quod manu sua Crescimbenius correxerat; Leges post orationem epigraphicis quae dicuntur litteris exaratae sunt.a: Editionis Opusculorum a. MDCXCVI impressae exemplar, cuius pagellae, a Crescimbenio exsectae et in ms. Componimenti Arcadici 15, ff. 179r-184r, agglutinatae, Gravinae manu, Arcadiae iubente Collegio (seu potius Custode), correctae sunt.Avv: Monitorum textus exstantes in ms. Atti Arcadici I, in quo Coetus acta aa. MDCXC-MDCXCVI collecta sunt.Avvc: Monitorum compendium quod a. MDCXCVI pro Legibus seu potius Institutionibus scribendis, ut videtur, Arcadiae Collegium una cum Crescimbenio paravit et Custos sua ipsius manu exaravit; exstat in ms. Componimenti Arcadici XV, ff. 432r-438v. In hoc compendio concinnando Custos et Collegae non numerorum, sed potius rerum ordinem secuti sunt, monitis in capita quae Institutiones praenuntiant distributis. In f. 441r-v fragmentum exstat monitorum XXVI-XXXVIII, quae antea Crescimbenius numerorum ordinem secutus compendiaverat ac deinde lineis transversis delevit. Monitorum sollemne exemplar, quod in Libro Aureo a Carolo de Aquino donato servabatur, deperditum esse videtur. B: Crescimbenii epistula de Arcadia impressa in La Bellezza della Volgar Poesia, Roma MDCC, in qua Legum editio continetur (pp. 222-224). Ex hac editione et ms. A tota pendet Morei editio in Memorie istoriche dell’Adunanza degli Arcadi, Roma MDCCLXI, pp. 29-31.Op: J. V. Gravinae Opuscula, Romae MDCXCVI, pp. 191-205.Or: J. V. Gravinae Orationes, Neapoli MDCCXII, pp. 298-311.T: J. V. Gravinae Orationes et Opuscula, Trajecti ad Rhenum MDCCXIII pp. 234-246 (editio a J. B. Anciono recognita).V: Roma, Bibl. dell’Arcadia (apud Bibl. Angelica), Atti Arcadici II, pp. 2-5. Exemplar Legum a scriba quodam in actibus Coetus die 20 V 1696 habiti exaratum.

Die rogationis Leges in tabulis marmoreis iam excisae erant et in Hortis Farnesianis in Aventini summitate Pastoribus omnibus exhibitae sunt; de his tabulis, quae deperditae videntur, vide Crescimbeni, Stato della Basilica diaconale, collegiata e parrocchiale di S. Maria in Cosmedin in Roma nel presente anno MDCCXIX, Roma MDCCXIX, pp. 127-128 (ex quo pendet Morei, Memorie istoriche …, pp. 231-232). Quae in Parrhasio Nemore exstant a. MDCCXXVII excisae sunt (vide Dixon, Between the Real and the Ideal …, p. 92), sed, cum haec scribo (d. 22 Maii MMXIX), hederis ubique serpentibus obrutae arboribusque ita contectae sunt ut vix minima earum pars legi possit.

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LEGES ARCADVM

IPENES90 COMMVNE SVMMA POTESTAS ESTO. AD IDEM CVILIBET

PROVOCARE IVS ESTO91.

IICVSTOS REBVS GERVNDIS ET PROCVRANDIS SINGVLIS OLYMPIAD.

A COMMVNI CREATOR MINVSQVE IDONEVS REMOVETOR92.

IIICVSTODI VICARIVS ET COLLEGAE DVODECIM93 ADSVNTO. EORVM

SINGVLIS ANNIS CVSTOS CONSVLTO VNIVERSO COETV NOVOS SEX IN ORBEM ELIGITO SEX VETERVM RETINETO94. ADMINISTROS SIBI DVOS

90 Paenes V91 Avvc 4. Ogni dispiacere e disparere nelle materie partenenti all'Arcadia dipenda

dalla decisione della piena Ragunanza. Avv IV° Ogni dispiacere e disparere tra’ Pastori nelle materie partenenti all’Arcadia debba rimettersi alla piena Ragunanza, e dipenda dalla decisione di essa.

92 Avvc 6. Il Custode si elegga dalla piena Ragunanza con due di tre parti di Voti, prometta di fedelmente esercitar l'Incarico e promover l'utile e l'avvanzamento del Commune d'Arcadia, riceva dal più anziano de' Pastori all'atto presenti le chiavi del Serbatoio e duri il suo Uffizio a beneplacito della piena Ragunanza.93 XII OrT94 in margine superiori chartae 00 manuscripti 15, ceterum vacuae, haec sententia

exstat Gravinae manu scripta et postea atramenti lineis, fortasse a Crescimbenio exaratis, deleta: Eorum singulis annis Custos, universo Coetu consulto, novos sex in orbem, item et Vicarium eligito, sex veterum retineto. De opera quae Legibus scribendis Gravina dedit hoc unum fragmentum in praesens exstare videtur. An fortunae ludibrium vel potius Crescimbenii studium effecerit ut ex totis Legis ea tantum sententia de Collegarum electione … incertum est.

Avv. XLIII Il Custode col voto della maggior parte de' Vicecustodi pro tempore, cioè di quelli che si troveranno in Serbatoio per il tempo intimato, possa risolvere e stabilire qualunque affare contenuto negli Avvertimenti e che la piena Ragunanza potesse risolvere e stabilire, niente eccettuato, fuorché l'acclamare, il surrogare, il far nuovi avvertimenti o mutare i fatti, e l'eleggere l'istesso Custode o deporre il già eletto o mutarlo, il che tutto si riserva alla medesima piena Ragunanza. Sia però tenuto l'istesso Custode ‹a› dar parte nelle chiamate Generali alla piena Ragunanza di tutto ciò che si sarà fatto e eseguito in dette ragunanze de' Vicecustodi, che Segrete nella Capanna del Serbatoio dovran chiamarsi, e oltreacciò debba mutare ogni anno i detti Vicecustodi, in modo però che sempre ne restino sei de' Vecchi almeno.

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ADSVMITO9596. PRAETER HAEC ALIA MVNERA PVBLICA NE SVNTO. PATRONVS NVLLVS ESTO97.

IVSVFFRAGIA SECRETA SVNTO. EAQVE IN CVSTODE CREANDO AVT

REMOVENDO TRIFARIAM DIVIDVNTOR IVSTVSQVE NVMERVS DVAE PARTES SVNTO98. CAETERIS IN REBVS BIFARIAM DISPERTIVNTOR. QVIQVE PARTEM DIMIDIAM EXSVPERAT99 NVMERVS IVSTVS ESTO. SI PARIA FVANT ITERANTOR. DEINCEPS RES SORTI COMMITTITOR100.

VQVICQVID101 PER COLLEGIVM DE REBVS COMMVNIBVS ACTVM

GESTVMVE FVAT QVO PERPETVO RATVM SIET PER CVSTODEM AD COMMVNE REFERTOR102.

95 ass- V 96 Avvc 25. Il Custode deputi uno o più messi, da pigliarsi da lui fuori d'Arcadia e

mutarsi a suo arbitrio, li quali messi debban servire in tuttociocché farà di mestieri, e spezialmente nell'intimar le Ragunanze e le Chiamate Generali, e dal Custode sia data loro adeguata provigione dell'Arca del Serbatoio.

97 Avvc 3. Non si elegga, né possa trattarsi d'eleggere, Principe o altro Capo di maggioranza, ma un Uffiziale solamente, che si chiami Custode, a cui ciascun Arcade dia gli aiuti necessarij nel modo e guisa per quel tempo e con quel titolo che parrà ad esso Custode. Avv III° Non possa trattarsi in Arcadia di far Principe, e nemmeno altro Ufficiale, Governatore o Ministro che il Custode, al qual Custode ciascun Arcade assista e dia gli aiuti necessarii ogni volta che ne sia richiesto nel modo e guisa, per quel tempo, e con quel titolo, che parrà spediente ad esso Custode.

98 Avvc 6. Il Custode si elegga dalla piena Ragunanza con due di tre parti di Voti […].99 exuperat Or100 Avvc 37. […] il medesimo Custode porti la lista de' Concorrenti a’ luoghi vacanti, li

quali concorrenti dovranno esser passati a Voti Segreti, e quello s'intenda avere ottenuto il luogo che avrà avuto più voti sopra la metà di essi. Concorrendo in più d'un suggetto il medesimo numero de' Voti, si torni a votare, e accadendo l'istesso per la 2a volta, rimettasi l'annoveramento alla Sorte. Avv XXXVII° […] Il Custode dunque nelle future Ragunanze e Chiamate Generali pubblichi il ritorno de’ luoghi, li quali si straggan poi nelle Chiamate Generali per quei Pastori a favor de’ quali concorra maggior numero di bianche pallottoline oltre la metà di esse, da raccorsi con la cestella in vece de’ nostri pareri. Concorrendo il medesimo numero in due o più Pastori e non essendoci luogo da soddisfare a tutti, tornisi a mandar la cestella e, accadendo lo stesso, rimettasi l’annoveramento alla Sorte.

101 Quidquid V102 Avvc 7. Abbia il placito della Piena Ragunanza circa tuttociò che gli si dà in facultà

negli Avvertimenti. Avv. VII Il Custode non faccia né determini alcuna cosa senza il consenso della piena Ragunanza, salvo che circa quelle faccende che gli si prescrivono nelle sudette ed infrascritte sue facultà, nelle quali abbia il placito della medesima.

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VICOETVS VNIVERSVS RELATIONIBVS AVDIVNDIS ACTISQUE

COGNOSCVNDIS HYEME SALTEM BIS IN AEDIBVS. CARMINIBVS AVTEM AVT103 ORATIONIBVS PRONVNCIANDIS PRESENTIVM QVIDEM PASTORVM PER ANNVM SEXIES ABSENTIVM SEMEL VERNIS ET AESTIVIS FERIIS IN NEMVS PARRHASIVM PER CVSTODEM SVB DIO CONVOCATOR104.

VIIMALA CARMINA ET FAMOSA OBSCOENA SVPERSTITIOSA IMPIAVE

SCRIPTA NE PRONVNCIANTOR105.

VIIIIN COETV ET REBVS ARCADICIS PASTORITIVS MOS PERPETVO. IN

CARMINIBVS AVTEM ET ORATIONIBVS QVANTVM RES FERT ADHIBETOR106.

Avv. XLIII […] Sia però tenuto l'istesso Custode ‹a› dar parte nelle chiamate Generali alla piena Ragunanza di tutto ciò che si sarà fatto e eseguito in dette ragunanze de' Vicecustodi, che Segrete nella Capanna del Serbatoio dovran chiamarsi […].

103 & B104 Avvc 17. Le Ragunanze nel Bosco Parrasio incomincino in giorno di nostra

Efemeride che risponda al primo di Maggio dell'anno Romano e finiscano in giorno rispondente al 5° d’Ottobre, né se ne faccian più che sei [corr. ex sette] dentro detto tempo, ad arbitrio del Custode.

Avvc 24. Oltre alle sudette sei Ragunanze, se ne faccia una ogni anno dentro il medesimo tempo ad arbitrio del Custode per la lezione de' Componimenti de' Pastori Arcadi abitanti fuori di essa […].

Avvc 28. Dopo terminate le Ragunanze debba farsi dal Custode almeno una Chiamata Generale per ciascun anno e in essa possa risolversi qualunque emergente, e dette chiamate appellinsi anch'esse Piene Ragunanze e facciansi nella Capanna del Serbatoio coll'assistenza del Custode o d'altro Pastore Arcade da lui deputato, come si è detto delle Ragunanze.

105 Avvc 1. Non si recitino versi né prose empie, satiriche, oscene e in qualsivoglia modo contro a' buoni costumi.

106 Avvc 5. e 36. Nel trattare e conversare non si esca del Costume e Semplicità Pastorale; nel Cantare e Ragionare si osservi il velame pastorale, almeno in parte, e possa cantarsi e ragionarsi d'ogni facultà e scienza. Avv V° Non si esca del Costume e Simplicità Pastorale, anche largamente pigliati, sì nel trattare e conversare, come nel Cantare e ragionare; tuttoché a’ contraventori della seconda parte di questo avvertimento non si stabilisca l’Infrascritta pena, bastando che le Canzoni e prose non siano conservate in nostro Serbatoio. Avv XXXVI° Sia in Arbitrio de' Pastori cantare e ragionare d'ogni facoltà, arte, scienza e materia fuorché quanto disposto nell'avvertimento I°, osservato però sempre almeno in parte il Costume Pastorale, dichiarando doversi in tal guisa intendere l'avvertimento 5° sopra di ciò stabilito, che confermiamo.

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IXARCADICO NOMINE TYPIS INIVSSV PVBLICO NE QVID EDITOR107.

XQVOT PRAEDIORVM ARCADICORVM TITVLI, TOTIDEM PASTORES

PASTORVMQUE NOMINA SVNTO. INQVE MORTVI AVT EXPVNCTI LOCVM ALIVS SVFFICITOR108.

SANCTIOSI QVIS ADVERSVS H. L. FACIT FAXIT FECERIT. QVIVE109 FACIT

FAXIT FECERITVE QVOMINVS QVIS SECVNDVM H. L. FACERET FECISSETVE110 FACTVRVSVE SIET. CONFESTIM EXARCAS ESTO. EIVSQUE NOMEN CORAM COLLEGIO PER CVSTODEM INDVCITOR111.

SI QVID IN HIS LEGIBUS OBSCVRVM PERPLEXVMVE SIET SIVE COMPREHENSVM NON SIET COMMVNI ARCADVM CONSVLTIS112 PERITIORIBVS INTER PASTORES MORE MAIORVM INTERPRETANDI SVPPLENDIQUE IVS ESTO. QVODQVE DECRETVM IVDICATVMVE SIET

107 Avvc 31. Non possa stamparsi col nome Pastorale o col titolo di Pastore Arcade, né coll'Insegna Arcadica, se prima il componimento non sarà stato approvato dalla piena Ragunanza per mezzo del Custode e non se ne sarà lasciata copia in Serbatoio.

108 Avvc 37. Il numero degli Arcadi sia eguale alle possessioni o ragioni che sono state divise in Arcadia, di modo che a ciascuno tocchi una possessione, dalla quale dovrà denominarsi. Essendo stratte dell'Urna della Sorte tutte le possessioni, non possa annoverarsi alcuno se non in caso di vacanza d'alcun luogo per morte o cancellamento d'alcun Pastore […]. Avv XXXVII° Essendo ormai stratte dell’Urna della Sorte tutte le possessioni d’Arcadia, restano terminate le annoverazioni, e perciò comandiamo che, fornita l’estrazzione delle denominazioni che presentemente si trovano nell’Urna della Sorte, non si annoveri né inviti alcun Pastore, se non che in ritornando al Commune le possessioni già stratte […].

109 quique Or110 fecissetque V111 Avvc 15. Chiunque ammonito contraverrà ad alcuno degli avvertimenti fatti o da farsi, dichiarasi nell'istesso atto della contravenzione non esser più Arcade e il Custode lo cancelli dal Catalogo in piena Ragunanza. Avv XV° Chiunque ammonito contraverrà ad alcuno degli avvertimenti e costumanze dalla piena Ragunanza stabiliti e fatti, e che in avvenire si facessero e stabilissero, dichiarasi nell’istesso atto della contravenzione non esser più Arcade, e perciò il Custode sotto la medesima pena lo cancelli in piena Ragunanza dal libbro delle annoverazioni e le campagne a lui toccate rimetta nell’Urna della Sorte. I componimenti di tal Pastore che si troveranno in Serbatoio sia in arbitrio della piena Ragunanza lasciarnegli stare o torneli.112 consulti- B

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PENES CVSTODEM ADSERVATOR113. IN LEGVM TABVLAS NE REDIGITOR. NVLLI NOVAS LEGES FERRE FAS ESTO114.

ALPHESIBOEVS115 CARYVS CVSTOS COETVM VNIVERSVM ITA ROGAVIT. VELITIS IVBEATIS ARCADES VT QUAE IN H. L. AD NOSTRI COMMVNIS REGIMEN COMPREHENSA PERSCRIPTAQUE SVNT AVCTORITATE IVSSVQUE COMMVNI IVSTA RATA FIRMA PERPETVO SIENT IISDEMQVE PASTORES POSTHAC OMNES PERPETVO TENEANTVR, VT QUICVMQVE ARCADICVM DEINCEPS NOMEN ADSVMPSERIT, OBSTRICTVS H. L. VELVTI SACRAMENTO SIET116. ALPHESIBOEVS CVSTOS ROGAVIT117.COETVS VNIVERSVS SCIVIT. OLYMPIAD. DCXVIII AN. III. AB ARCADIA INSTAVRATA OLYMPIAD. II AN. II.

ORATIO OPICI ERYMANTHAEI118

Vererer profecto, ARCADES, ne vestram omnium offensionem incurrerem119, si legum suadendarum caussa me apud vos orationem hanc

113 ass- V114 Haec sequuntur in Or: Explicatio Legis III edita IV Non. Jul. MDCCXI. Cum

quaereretur an ex clausula in Orbem eligito liceat semel vicem suam functum collegam praeteritis idoneis aliis nondum electis iterum eligere, auctor ab universo Coetu consultus respondit: Non licere. Extat eadem species in auth. praesides C. de Episcop. Audien.

115 Haec rogationis formula ante Leges ipsius Crescimbenii manu conscripta est in V, impressa est in B, deest in OpOrT. Forte accidit ut maxima huius tabulae pars in tabulis Parrhasii Nemoris (de quibus vide in siglorum fine) legi inter magni arboris frondes possit; textus idem est ac in V, praeter duo minima: H. L.] his legibus; auctoritate] authoritate

116 Avvc 14. Ogni avvertimento fatto e da farsi leghi anche gli assenti e quei che si annovereranno. Avv XIV° Ogni costumanza e avvertimento dalla Ragunanza fatto e che in avvenire farassi leghi anche i Pastori che non sono presenti e che in avvenire si annovereranno.

117 Alphesiboeus Custos rogavit deest in B (et in Nemoris Parrhasii tabula)118 J. Vincentii Gravinae, inter Arcades Opici Erymanthaei, Pro Legibus Arcadum Oratio Op J. Vincentii Gravinae Pro Legibus Arcadum. Oratio IX. Habita in Colle Palatino. Anno MDCXCVI Or Oratio VIII Pro Legibus Arcadum T Copia impressa corretta di propria mano dall’Autore d’ordine del Collegio d’Arcadia, il quale riprova e dichiara apocrifo ogn’altro testo, come notivole di mendacio Cresc. adnotavit in a119 Cic. Verr. 2, 3, 126 Si ego accusator totiens de re eadem dicerem, vererer ne animos vestros offenderem, iudices.

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habere profiterer. Quid enim his legibus continetur120, quod vos non antea imbiberitis animo et arripueritis usu ac morum candore atque simplicitate praestiteritis? Sane leges nos laturi non sumus imperitae ac121 incertae multitudini122, cujus ad mores emendandos oportuerit rogationes nostras imbuere acerbitate atque tristitia123, quam corrupti vitijs homines perhorrescerent, nec legem aliquam iussuri124 in qua privati commodi ac alienae dominationis ulla suspicio lateat.

Vexet haec animi solicitudo125 eos qui media in urbe aut imperiosae ambitionis aura tolluntur aut homines avaritia flagrantes mutuisque odijs dissidentes legum severitate compescere conantur. Quod cum impetratu difficillimum sit, blanditijs verborum et orationis calliditate ac126 artificio dicendi reluctantes animos ad leges leniter flectunt. Nos vero, ARCADES, a conditione illorum longe me hercule absumus, quippe qui sex ab hinc annis, antequam conveniremus in agros et pastoritium vitae genus amplecteremur, excessuri urbe, superbos et factiosos mores avarumque ingenium simul cum urbanis pompis exuimus, neque huc aliud adduximus praeter cultum literarum et innocuum laudis amorem, cui alia coniunximus animi bona, quae mersa jam civilis vitae fluctibus127 pleno atque optimo jure hisce in agris recuperavimus. Unde postquam ad simplicitatem naturae, à qua penè desciveramus, tanquam ab exsilio redivimus, cupiditates, quae faces animorum sunt, tandem subsiderunt128, indeque in unum eundemque sensum coaluimus, ut cum plures

120 continetur corr. ex complexi sumus Aa complexi sumus OpOrT121 atque OrT122 Cic. Mur. 61, 2 Et quoniam non est nobis haec oratio habenda aut in imperita multitudine aut in aliquo conventu agrestium, audacius paulo de studiis humanitatis quae et mihi et vobis nota et iucunda sunt disputabo.123 Cic. or. 2, 340 Nihil enim tam facile quam multitudo a tristitia et saepe ab acerbitate commode et breviter et acute et hilare dicto deducitur.124 legem aliquam iussuri corr. ex vos legem aliquam iussuri estis Aa(inspicendum) vos legem aliquam jussuri estis OpOrT125 Cic. leg. 1, 40, 10 Quodsi homines ab iniuria poena, non natura arcere deberet, quaenam sollicitudo vexaret impios sublato suppliciorum metu?126 atque Or artificioque T127 Nep. Att. 6, 1, 2 In re publica ita est versatus, ut semper optimarum partium et esset et existimaretur, neque tamen se civilibus fluctibus committeret, quod non magis eos in sua potestate existimabat esse, qui se his dedissent, quam qui maritimis iactarentur; Hor., epist. 1, 1, 16-17 Nunc agilis fio et mersor civilibus undis / virtutis verae custos rigidusque satelles.128 subsederunt Or

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simus, una tamen mente universi ducamur et innocentiam atque simplicitatem singuli meditemur. Hinc in animis cunctorum concordia viget et studium aequalitatis, quod in singulorum pectoribus diu inclusum hisce prodendis legibus aperitur, siquidem jus omnes nostrum et voluntates in commune contulimus129 ac universi coetûs arbitrio rei nostrae communis administrationem et regimen permisimus, ut in publico jussu vim quisque propriam jurisque sui portionem recognoscat. Et quoniam voluntas communis per singulos explicari minime potest neque singulis negotijs omni tempore interesse universi queunt, ideo ijs expediendis Custodem singulis Olympiad. creamus eique deliberandi consultandique caussa XII Collegas adjungimus, quorum consilium130, quia ex Custode atque Collegis constituitur, Collegium appellamus, ut per Custodem et Duodecim-viros a Custode legitime coactos res communis administretur. Verum ne singulorum auctoritas et jura cunctorum diu in certis hominibus haereant, inita ratio est, qua facultas paucis tributa redeat ad singulos gestaque ac decreta Collegij ad universi Coetus iudicium revocentur. Ideo quae a Custode atque Duodecim-viris acta fuerint, non aliter rata perpetuaque habentur quam postquam iussa scitaque sunt ab universo Coetu, qui relationum audiendarum caussa bis saltem hyeme convocatur. Ita quod quisque tribuit alteri juris sui certo tempore repetit ac paucorum administratio ad iudicium revolvitur universorum, ut nihil ARCADICO nomine prodeat, quod non jus et voluntatem omnium praeseferat. Ac ne oppressa jam ambitio in animis nostris aliquando revirescat, omnia sunt e Coetu nostro gradus ac dignitatis sublata discrimina, proinde ac decet homines, qui deposita civili persona, pastoritiam induerunt. Et quoniam eos qui vitam innocenter instituunt ipsa tuetur per se probitas, et satis muniti sunt adversus iniuriam quibus res angusta sufficit et proprio labore parabilis131

neque adpetunt aliena, ideo hisce legibus interdictum nobis est potentiorum patrocinio, quod in imperium saepe convertitur. Ut autem animorum concordia perpetuò maneat, omnis a Coetu nostro verborum contentio et

129 Cic. inv. 2, 9 Quos ipsos simul atque illos superiores nos nobis omnes, quoad facultas tulit, proposuimus et ex nostro quoque nonnihil in commune contulimus.130 concilium T131 Cic. fin. 1, 45 Ne naturales [scil. cupiditates] quidem multa desiderant, propterea quod ipsa natura divitias, quibus contenta sit, et parabilis et terminatas habet (cf. etiam fin. 2, 90 et 91, et Tusc. 5, 93).

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dictorum asperitas procul arcetur, ac ne iurgia ex angustia finium oriantur, numerus pastorum ad praediorum rationem et numerum describitur, ut sua singulis pastoribus praedia suppetant. Illud vero prae coeteris in vestris institutis laudandum, ARCADES, quod post has leges latas omnis praecluditur aditus novis, ne legum tandem infinitas132 absurdam illam juris ambiguitatem inducat133, qua in urbibus miserrime conflictatur. Crebrae autem leges indicia sunt increbrescentium vitiorum, quibus opprimendis prudentes novam novis legibus rationem pro tempore ac moribus comminiscuntur. Vestrum vero jus, ARCADES, patens est et simplex, quale decet eos quorum faciles et aperti sunt mores, qui abstersa urbanae ambitionis labe, sponte sua feruntur ad naturae normam134, cui redditi iam sumus, undèque haustae sunt atque susceptae leges, quae in Coetu nostro135 diuturna innocentiae consuetudine inhaeserunt136. Nihil enim hic alienum, nihil extrinsecus arcessitum, sed quicquid137 est, totum introrsum latebat ac ex nobis ipsis petitum est, eiusque sensus e veteribus vestris commentariis fuit evocatus. Atque hoc forsan ex hodiernis comitijs138 adsequemur, quod expositis publice nostris legibus facies quodammodo ac adspectus patebit ipse virtutis occurretque oculis adumbrata hisce in tabulis vitae tranquillitas, ut, qui opibus et honoribus intumescunt, sensuri posthac sint quanto praestet opulentiae contemtus ipsius quamque sibi rectius consulant139 qui literarum laudem, cujus caussa hoc vitae genus instituimus, imbecillis et caducis140 fortunae bonis anteponunt. Qui enim opibus et ambitione certant, saepe merguntur fluctibus antequam longè portum adspexerint ac, si post diuturnam jactationem emerserint, aucti 132 Tac. ann. 3, 25 Ea res admonet ut de principiis iuris et quibus modis ad hanc multitudinem infinitam ac varietatem legum perventum sit altius disseram.133 adducat T134 Cic. leg. 1, 44 Atqui nos legem bonam a mala nulla alia nisi natura‹e› norma dividere possumus. Nec solum ius et ‹in›iuria natura diiudicatur, sed omnino omnia honesta et turpia.135 haustae ~ nostro corr. ex hausimus atque suscepimus quas vobis leges Latine conscripsimus quaeque vestris in animis A hausimus atque suscepimus quas vobis leges Latine conscripsimus quaeque vestris in animis OpOrT 136 hausimus ~ inhaeserunt atramenti linea deleta sunt in a, crucis signo ante

hausimus exarato, sed nihil in margine scriptum est137 quidquid OrT138 Cic. Verr. 1, 1, 19 ‘Renuntio - inquit - tibi te hodiernis comitiis esse absolutum’.139 consulat AaOpOr consulant T140 Cic. Phil. 1, 33 Metui vero et in odio esse invidiosum, detestabile, imbecillum, caducum.

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dignitatibus cupiditate simul augentur et spe majori attolluntur metuque insidiarum et aemulorum excruciantur, ita ut simul cum impetrata dignitate perpetuam sibi solicitudinem comparent, homines praeposteri!141 Qui ut splendorem et commodum vitae consequantur, vitam ipsam indigne proijciunt, quique non minori pretio emunt honores quam iactura sui ipsius. At fuerit tandem in adipiscendis honoribus magna illa quidem, sed maiori certè molestia comparata voluptas: an non ea sensim, ut humana omnia, vel ipsa dignitatis consuetudine atque usu diluitur vel prorsus extinguitur, aequato, immo saepe praelato, qui dudum erat inferior, ut pristinam laetitiam novi livoris morsus et exorta recens indignatio repente conturbet? Quanto vos igitur, ARCADES, sapientius142, qui ne injurijs et insidijs pateretis, nullum vobis in urbibus a fortuna praemium exoptastis, sed ruri degentes ex innocentia morum et Musarum cultu ac143 ex aeternitate literarum per vosmetipsos capiundam voluptatem existimastis144 eumque honorem ex vobis nomini vestro petijstis, quem nec145 addicere ulli nec146 abjudicare fortunae vel hominum possit auctoritas? Dignitatem enim a fortuna vel potentiorum voluntate delapsam docti et probi saepe communem habent cum imperitis et flagitiosis, ingenio vero partam nonnisi cum Deo optimo maximo. Hoc vestrum consilium, ARCADES, quicumque his ex legibus intellexerint, desinent tandem illi contemnere prae urbanis studijs pastoritiam vitam, quique dudum ob divitias et magnificentiam se beatos putabant, invidebunt posthac vobis animos urbana regum opulentia longe maiores. Haud etenim vestram perstringit aciem fastus et tumor, quibus vita civilis inflatur, neque vos capit in speciem adornata virtus, quâ secretis animi malis caligo praetenditur. Tenent enim ista quoad ambitiosis res feliciter cedunt; at cum illi tantisper offenderint et ambigua sorte leviter inclinaverint, replicatis splendidis illis miseriarum involucris, retrusae diu aegritudines continuo patefiunt, veluti morborum semina, quae in integris adhuc et sanis corporibus haud dubie latent; his

141 Sall. Iug. 85, 12 Atque ego scio, Quirites, qui, postquam consules facti sunt et acta maiorum et Graecorum militaria praecepta legere coeperint: praeposteri homines, nam gerere quam fieri tempore posterius, re atque usu prius est.142 Cic. Rosc. 70 Quanto nostri maiores sapientius! 143 atque Or144 estimastis A existimastis aOpOrT145 neque Or146 neque OrT

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autem incommoda valetudine leviter tentatis, commoventur cuncta et obscura viscerum vitia repente panduntur. Ad nos vero, ARCADES, si quod vitium penetraverit, statim eminebit, quoniam animus noster undique pellucet; urbano enim artificio et fuco minime se obnubit147. Non igitur vereor ne suffragium inituri sententiam mutetis aut in jubendis legibus paullulum haereatis. Sunt enim istae ab aequalitatis148 et innocentiae studio profectae, ut vix in lucem editi eas ipsa ferente natura sciveritis. Gravitas autem vestra spem mihi affirmat fore ut eis libenter ac ex animo pareatis. Non enim alio spectant quam ad cultum literarum et vitae probitatem. Quae nisi perpetuò inter vos versetur, eo deteriores eritis coeteris mortalibus, quod cum ad munienda vitia urbanis praesidijs careatis, maxime tamen ob literarum gloriam ex invidia laboretis. Quamobrem hasce ego leges, quod bonum, faustum felixque sit, Vobis et vestro Communi jubendas censeo149. His itaque recitatis atque rogatis, ite in suffragium, ARCADES, Deo bene juvante150.

FINIS151

147 Cic. Planc. 22 Laudanda est vel etiam amanda vicinitas retinens veterem illum offici morem, non infuscata malivolentia, non adsueta mendaciis, non fucosa, non fallax, non erudita artificio simulationis vel suburbano vel etiam urbano.

148 aequalitate T149 Liv. 10, 8 12 Ego hanc legem, quod bonum faustum felixque sit vobis ac rei

publicae, uti rogas, iubendam censeo.150 Liv. 31, 7, 14 Ite in suffragium bene iuvantibus divis et quae patres censuerunt,

vos iubete.151 infra FINIS in a Cresc. adnotavit Rag. 3a per la rogaz.e delle leggi. Alfes. Custode,

et deinde Deve notarsi che, sebbene l’Autore corresse d’ordine del Collegio la presente Orazione, nondimeno, havendo lui [lui in interl. add.] voluto leggerla al Bosco nella guisa che in prima fatta havevala, d’ordine dell’istesso Collegio per tal [sententia imperfecta relicta est] Alfesibeo Custode d’Arcadia

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LO SPECIMEN PRISCI JURIS NEGLI OPUSCULA (1696)

DI GIANVINCENZO GRAVINA

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Una lettura non cursoria dell’Oratio solleva alcune questioni. La prima è la relazione del testo con il pensiero giuridico e filosofico dell’autore. La Pro legibus Arcadum oratio è l’ultimo testo nell’edizione degli Opuscula che Gravina pubblicò a Roma nel 1696 (l’approvazione del libro è datata al 14 marzo). Gli Opuscula si aprono con lo Specimen prisci juris, il primo nucleo delle Origines juris civilis, il capolavoro di Gravina, pubblicate per la prima volta nel 1708, ma precedute dal De ortu et progressu iuris civilis liber, qui est Originum primus (1701, 17042). Lo Specimen è dedicato al cardinal Gaspare Carpegna, che era stato acclamato Arcade nel 1695. Il problema che Gravina affronta nelle prime pagine dello Specimen è quello della nascita della legge. L’uomo non può attribuirsi da solo alcuna facoltà, ma soltanto esplicitare o mettere a frutto quello che Dio ha riposto nelle facoltà che ha attribuito all’uomo. Gli jura cupiditatis si estendono fin dove arriva la facultas dell’individuo, dal momento che nessuno può essere per natura superiore ad un altro nel diritto di esercitare la propria facultas. Ma poiché le facultates degli individui sono diverse e finite, mentre la cupiditas è infinita, il concorrere delle cupiditates di tutti eccita al tempo stesso le facultates, in modo tale che o i minori vengano oppressi dai maggiori o i pari si scontrino l’uno con l’altro. Questa animorum conflictatio (quindi non solo situazione di scontro reale, ma anche, hobbesianamente, costante disposizione allo scontro, che già configura il bellum) produce rapinae, jurgia et mutuae caedes et tumultus et rerum omnium perturbatio. Ma la ratio interviene a reprimere l’impeto delle cupiditates tramite il rectus usus libertatis. La libertas è piuttosto espressione della ratio che non della cupiditas; la ratio emerge infatti dalla potestas cujusque naturae, mentre la cupiditas è irrimediabilmente soggetta all’arbitrio di res externae, al punto che quanto più essa ampiamente si estende, tanto più la libertà è pesantemente conculcata. Sollevando la cupiditas al di sopra di quel che consente la naturae facultas, l’uomo si separa da quella stessa natura che desidera in sommo grado potenziare, poiché si fissa nell’animo cose che sono governate piuttosto da res externae che dalle naturae facultates e viene quindi espropriato di se stesso, consegnando il proprio benessere alla potentia externarum caussarum e finendo così per incorrere in una miserior servitus proprio per il fatto di ambire ad una major potestas. Perché ognuno dunque riscatti se stesso, la

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cupiditas va equiparata alla naturae potestas e regolata dalla ratio, che altro non è che una voluntas circoscritta dalla propriae naturae potestas. Questa voluntas può essere definita un honestatis initium, vel ipsam potiùs honestatem152.

Non è difficile riconoscere in tutto questo brano l’influenza di Hobbes, di cui potrebbero trovarsi echi puntuali (nonostante l’abisso stilistico tra il latino di

Hobbes e quello di Gravina): la condizione in cui l’individuo è dominato dalla cupiditas, ovvero dal desiderio di estendere i suoi jura all’infinito, esponendosi a rischi di ogni sorta, corrisponde perfettamente al bellum omnium contra omnes di Hobbes (il De cive fu pubblicato nel 1642; nel 1668 il testo latino del Leviathan fu stampato ad Amsterdam)153. Ma a Hobbes si affianca il neostoicismo di matrice umanistico-rinascimentale, come mostra chiaramente la pars construens dell’argomentazione di Gravina. La virtù, che non soggiace ad alcuna res extra se posita, ma si esplica attraverso le propriae naturae vires, è la suprema realizzazione della libertas, e perciò il sapiens, che pone ogni bene nella virtù, raggiunge il massimo grado di libertà concessa agli uomini. Gli altri individui, che non hanno il dominio sui loro animi, che sono mossi più dal desiderio delle ricchezze altrui che da quello della loro tranquillità, e che mettono se stessi e gli altri in enormi pericoli a causa delle cupiditates e delle voluptates, da cui sono dominati, decisero perciò di affidare ai sapientes il loro governo. Poiché l’esperienza insegna e la ragione conferma che gli uomini, se ciascuno valutasse il proprio jus in base alla propria utilitas e alla propria facultas, finirebbero in balia delle loro cupiditates creando una situazione di perenne conflitto (perpetuo conflictatum iri), la sapientia, sive adulta ratio, dopo aver attribuito a ciascuno la spettante portio rerum, mise insieme la societas e, per garantirne la durata nel tempo, definì il civile bonum sulla base dell’utilitas dei singoli e della collettività. Affinché questa

152 GRAVINAE Opuscula, pp. 11-13.153 Sulle differenze tra la filosofia politica di Hobbes e Gravina si vedano

GUALTIERI, Preoccupazioni culturali, pp. 12-13; FABRIZIO LOMONACO, Diritto naturale e storia. Note su Gravina e Vico, «Archivio di storia della cultura», XIII, 2000, pp. 27-51, in part. p. 29; INCORVATI, Diritti politici e tragedia, pp. 84-85. Gravina nelle Origines cita Grotius ma, per quel che ho potuto vedere, non menziona Hobbes; naturalmente questo non sorprende, considerati gli ambienti intellettuali e politici nei quali si muoveva Gravina, ma mi pare fuor di dubbio che Gravina conoscesse almeno il De cive.

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sinergia di singulorum et commune bonum fosse stretta da vincoli perpetui, ciascuno fece confluire la propria voluntas nello stabilimento di solidi patti e tutti posero in medium le loro facultates, in maniera tale che dalla confluenza delle volontà e delle facoltà di tutti scaturissero la publica voluntas e la summa potestas, di cui una fu chiamata lex sive communis ratio vel civilis sapientia et publica philosophia, l’altra fu detta imperium sive virtus et facultas universorum. Tutto ciò non è stabilito per i sapientes, i quali hanno nella ratio la loro lex e il loro imperium, ma per tenere a freno coloro i cui animi non si lasciano guidare dalla ratio, in maniera tale che quella perturbatio, che la ratio dei singoli non vale a reprimere, venga repressa dalla ratio ac potestas publica e da un’alia major perturbatio, ovvero dal timore delle pene e della morte. Gravina propone a questo punto lo stesso paragone con la medicina che usa nell’orazione per le leggi degli Arcadi. La legge raccoglie dunque le universorum voluntates e conserva perennemente in se stessa la ratio e la potestas dei singoli, al punto che chi è vincolato dalla legge, non è stretto da una forza esterna ma piuttosto dalla sua imperii portio, e perciò è interesse di tutti tutelare le leggi, come un vinculum publicae salutis, in cui ognuno riconosce la propria salus. Stabilite dunque le leggi e costituito l’imperium, si dové escogitare una ratio per il governo della cosa pubblica. La publica potestas fu perciò articolata secondo le tre forme classiche di governo, democrazia, oligarchia, principato, a cui se ne può affiancare una quarta, in cui il potere sia di comune accordo diviso tra i singoli ordini. Ma la potestas stabilita dalla publica voluntas per la communis utilitas torna alla fonte, ovvero ai singoli, qualora venga usata contro la publica salus, per opprimere i singoli o per vantaggio di pochi o di uno solo. La libertà – conclude Gravina – è una res sacrosancta et divini juris, perché è stata insita da Dio nella natura umana, al punto che eam tentare scelus sit, impium circumvenire, occupare nefarium154.

Questa parte dello Specimen prisci juris passerà con poche varianti formali nel De jure naturali gentium et XII tabularum, che è il libro secondo delle Origines juris civilis155. Gravina si era già tacitamente servito di Hobbes

154 GRAVINAE Opuscula, pp. 13-17.155 J. VINCENTII GRAVINAE JC et Antecessoris Romani Origines Juris Civilis,

quibus ortus et progressus Juris Civilis, Jus Naturale, Gentium et XII Tabb. Legesque ac SCta explicantur, Lipsiae, Jo. F. Gleditsch, MDCCVIII, pp. 256-258.

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nel libro I, il De ortu et progressu juris civilis, quando aveva affermato che nello stato di natura, nel quale tutti i singoli erano uguali e potenzialmente godevano degli stessi diritti, la guerra di tutti contro tutti era inevitabile. Gli uomini richiamarono allora, come da un esilio, la ratio, che insegnò loro a valutare i diritti in base alla securitas piuttosto che alla grandezza delle loro forze. Così i singoli, per il sereno vivere di tutti, sottomisero le loro cupidigie e le loro forze alla volontà comune e al potere pubblico, stabilirono alleanze e strinsero patti su cui basarono una societas vitae, alla quale affidarono se stessi e tutte le loro cose, e per il governo di questa società crearono l’imperium sive vim summam undique contractam, animis omnium atque corporibus dominantem. La condizione umana è retta da due facoltà, la naturale e la civile; la prima coincide con uno status corruptus hominum, libero e solitario, la seconda corrisponde invece a quella società e comunione di vita che prende il nome di civitas156. Sulla posizione dei sapientes Gravina torna nel libro III delle Origines, il De legibus et senatusconsultis, in cui si distinguono tre tipi di civitas: la simplex, la mixta e la perturbata. Se gli uomini, proteggendosi reciprocamente, si servissero delle loro risorse per respingere gli attacchi esterni e non dovessero reprimere con la forza, dei singoli o della collettività, i dissidi interni, ma spegnessero ogni favilla di discordia col solo consilium e col publicus privatusque usus perfectae virtutis, mantenendo, col contributo di tutti, la pace generale, si avrebbe la civitas beatissima atque omnium praestantissima, presidiata dalla sola ratio e fondata sulle virtù dei privati anziché su pubbliche leggi. Si apre a questo punto un breve elogio della ratio, che suona così: Ratio vero, si omnibus affectionum nubeculis explicetur, una eademque in singulis emicabit unicamque in mentibus hominum boni notionem excitabit, in quam omnes uno eodemque animi sensu conveniunt. La ratio dà vita alla scientia, che è semplice e unica perché non proviene dal mondo creato, ma scende negli animi umani dalle nozioni eterne ed incorrotte della natura divina e immortale, e induce alla mentium simplicitas e alla concordia coloro che ne partecipano, i quali, se si unissero in una civilis societas, si farebbero guidare dalla sola mente, quia unus idemque sensus atque consilium in omnes effunderetur. Gravina dubita

156 GRAVINAE Origines, pp. 129-130; già in J. VINCENTII GRAVINAE De ortu et progressu Juris Civilis liber, qui est Originum primus, Neapoli, ex officina Bulifoniana, MDCCI, pp. 156-157.

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che sia mai esistita tra gli uomini una tale civitas, ma, se esistesse, a buon diritto sarebbe chiamata civitas simplex, vale a dire la civitas dei sapientes, i soli che potrebbero dar vita ad essa157. Dunque, nella filosofia graviniana, i sapientes sono i soli che potrebbero tornare allo stato di natura senza regredire allo stato ferino dello scontro e della sopraffazione, perché non hanno bisogno della legge, dal momento che le loro azioni sono dettate dalla ratio, che produce virtus, il solo bene al quale essi aspirano. Adottando la prospettiva delle Origines, gli Arcadi nel 1690 avrebbero fondato una civitas simplex, che nel 1696 dotarono di un corpus di Leges e Institutiones: solo in una civitas simplex le leggi potevano essere innate e non avere scopi coercitivi, ma servire unicamente come un manifesto ideologico della nuova civitas o societas.

157 GRAVINAE Origines, pp. 481-482.

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DE JURE HOMINUM NATURALI

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Johannes AlthusiusTalis vero potestas regni seu consociatorum corporum una semper est,

non plures potestates, sicuti una anima, non plures in corpore physico imperant. Administratores potestatis hujus plures esse possunt, ita ut singuli in partem solicitudinis, non in plenitudinem potestatis adsumantur. Natta Consil. 636, n. 169. Et singuli hi non habent penes se supremam potestatem, sed omnes simul unam agnoscunt in consociatorum corporum consensu et concordia.

[…] Sed hanc summam potestatem nequaquam possum tribuere regi aut optimatibus, quam sententiam tamen Bodinus acerrime propugnare conatur, sed jure illa tantum corpori universalis consociationis, nimirum Reipublicae vel regno, tanquam propria est adscribenda158.

Thomas HobbesChapter XIII. Of the Naturall Condition of Mankind, as concerning their Felicity, and Misery

NATURE hath made men so equall, in the faculties of body, and mind; as that though there bee found one man sometimes manifestly stronger in body, or of quicker mind than another; yet when all is reckoned together, the difference between man, and man, is not so considerable, as that one man can thereupon claim to himself any benefit, to which another may not pretend as well as he.

[…]From this equality of ability, ariseth equality of hope in the attaining of

our Ends. And therefore if any two men desire the same thing, which neverthelesse they cannot both enjoy, they become enemies; and in the way to 158 Johan. Althusii Politica methodice digesta atque exemplis sacris et profanis illustrata, Herbornae Nassoviorum

1614, cap. IX, 19 and 22, pp. 176 and 178. “This power of the realm, or of the associated bodies is always one power and never many, just as one soul and not many rules in the physical body. The administrators of this power can be many, so that individuals can each take on a share of the function of governing, but not the plenitude of power. And these individuals are not themselves in control of the supreme power. Instead they all jointly acknowledge such a power in the consent and concord of the associated bodies”. “But by no means can this supreme power be attributed to a king or optimates, as Bodin most ardently endeavors to defend. Rather it is to be attributed rightfully only to the body of a universal association, namely, to a commonwealth or realm, and as belonging to it” (Johannes Althusius, Politica. An Abridged Translation of Politics Methodically Set Forth and Illustrated with Sacred and Profane Examples, ed. and transl. with an intr. by Frederick S. Carney, Indianapolis, Liberty Fund, 1995, pp. 71-72; first ed. 1964).

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their End (which is principally their own conservation, and sometimes their delectation only) endeavour to destroy, or subdue one an other. And from hence it comes to passe, that where an Invader hath no more to feare, than an other man's single power; if one plant, sow, build, or possesse a convenient Seat, others may probably be expected to come prepared with forces united, to dispossesse, and deprive him, not only of the fruit of his labour, but also of his life, or liberty. And the Invader again is in the like danger of another.

[…]Hereby it is manifest, that during the time men live without a common

Power to keep them all in awe, they are in that condition which is called Warre; and such a warre, as is of every man, against every man. For WARRE consisteth not in Battell onely, or the act of fighting; but in a tract of time, wherein the Will to contend by Battell is sufficiently known: and therefore the notion of Time is to be considered in the nature of Warrre, as it is in the nature of Weather. For as the nature of Foule weather, lyeth not in a showre or two of rain; but in an inclination thereto of many dayes together: so the nature of War, consisteth not in actuall fighting; but in the known disposition thereto, during all the time there is no assurance to the contrary. All other time is PEACE.

Chapter XIV. Of the first and second Naturall Lawes, and of Contracts THE RIGHT OF NATURE, which Writers commonly call Jus Naturale, is the

Liberty each man hath, to use his own power, as he will himselfe, for the preservation of his own Nature; that is to say, of his own Life; and consequently, of doing any thing, which, in his own Judgement, and Reason, hee shall conceive to be the aptest means thereunto.

[…]And because the condition of Man […] is a condition of Warre of every

one against every one; in which case every one is governed by his own Reason; and there is nothing he can make use of, that may not be a help unto him, in preserving his life against his enemyes; it followeth, that in such a condition, every man has a Right to every thing, even to one another's body. And therefore, as long as this naturall Right of every man to every thing endureth, there can be no security to any man (how strong or wise soever he

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be,) of living out the time, which Nature ordinarily alloweth men to live. And consequently it is a precept, or generall rule of Reason, That every man ought to endeavour Peace, as farre as he has hope of obtaining it; and when he cannot obtain it, that he may seek, and use, all helps, and advantages of Warre. The first branch of which Rule containeth the first, and Fundamentall Law of Nature, which is, to seek Peace and follow it. The Second, the summe of the Right of Nature; which is, By all means we can, to defend ourselves.

From this Fundamentall Law of Nature, by which men are commanded to endeavour Peace, is derived this second Law; That a man be willing, when others are so too, as farre-forth, as for Peace, and defence of himselfe he shall think it necessary, to lay down this right to all things; and be contented with so much liberty against other men, as he would allow other men against himselfe. For as long as every man holdeth this Right, of doing any thing he liketh; so long are all men in the condition of Warre159.

John LockeBut because no political society can be, nor subsist, without having in

itself the power to preserve the property, and in order thereunto, punish the offences of all those of that society; there, and there only is political society, where every one of the members hath quitted this natural power, resigned it up into the hands of the community in all cases that exclude him not from appealing for protection to the law established by it. And thus all private judgment of every particular member being excluded, the community comes to be umpire, by settled standing rules, indifferent, and the same to all parties; and by men having authority from the community, for the execution of those rules, decides all the differences that may happen between any members of that society concerning any matter of right; and punishes those offences which any member hath committed against the society, with such penalties as the law has established160.

159 Leviathan or The Matter, Forme, & Power of a Common-Wealth Ecclesiasticall and Civill, by Thomas Hobbes of Malmesbury, London, Andrew Crooke, 1651, pp. 60-65.

160 John Locke, Two Treatises of Government, ed. Peter Laslett, Cambridge, Cambridge University Press, 1960, 19672, 19883, Second Treatise VII 87.

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Therefore in well ordered commonwealths, where the good of the whole is so considered, as it ought, the legislative power is put into the hands of divers persons, who duly assembled, have by themselves, or jointly with others, a power to make laws, which when they have done, being separated again, they are themselves subject to the laws they have made; which is a new and near tie upon them, to take care, that they make them for the public good. But because the laws, that are at once, and in a short time made, have a constant and lasting force, and need a perpetual execution, or an attendance thereunto; therefore it is necessary there should be a power always in being, which should see to the execution of the laws that are made, and remain in force. And thus the legislative and executive power come often to be separated161.

161 Locke, Two Treatises …, Second Treatise XII 143-144.

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STORIA DELL’ARCADIA DI VINCENZO LEONIO E GIOVANMARIO CRESCIMBENI

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I162

Vedendo163 alcuni letterati molto scemato in Roma il pregio delle belle lettere e per ciò

chiuse o poco frequentate le publiche Accademie164, per prendere qualche onesto divertimento dalle

loro occupazioni più gravi deliberarono d’essercitarsi nascostamente tra le selve, ragunandosi in

tempi da loro determinati nel Gianicolo, dentro la selva di S. Pietro in Montorio. Essendosi quivi

più volte ridotti165, l’amenità della campagna e la libertà della solitudine subito rappresentò loro la

felicità degli antichi Pastori e massimamente di quei d’Arcadia, onde, per maggiormente lusingare il

lor genio, figurandosi già d’esser166 Pastori dell’antica Arcadia167, risolvettero di prender ciascuno

un nome Pastorale, con la denominazione da un luogo rinomato168 di detta Provincia, nelle di cui

Campagne gli fosse stata data169 dalla sorte l’abitazione.

Ragunatisi dunque alli 5 di ottobre dell’anno 1690, posero in un’Urna i proprij lor nomi ed

in un’altra i nomi e le170 denominazioni Pastorali, donde furono stratti secondo l’ordine che segue.

Il Cavalier Paolo Coardi Torinese, sotto nome d’Elpino Menalio, così denominato dalle

Campagne presso la Città di Menalo.

Giuseppe Paulucci di Spello, co’l nome d’Alessi Cillenio dal Monte Cillene.

Vincenzo Leonio Spoletino, co’l nome d’Uranio Tegeo, dalle Campagne presso la Città di

Tegea.

Silvio Stampiglia da Civita Lavinia, co’l nome di Palemone Licurio, dalle Campagne presso

il Borgo di Licuria.

Gio. Maria Crescimbeni Maceratese, co’l nome d’Alfesibeo Cario, dalle Campagne presso il

Borgo di Caria.

Gio. Vincenzo G[a]ravina Napolitano, co’l nome d’Opico Erimanteo, dal Monte Erimanto.

Gio. Battista Felice Zappi Imolese, co’l nome di Tirsi Leucasio, dalle Campagne presso il

Borgo Leucasio.

Abbate Carlo di Turnon Torinese, co’l nome d’Idalgo Erasinio, dal Fiume Erasino.162 Exstat in ms. 15, cc. 453r-455v (antiquitus 495r-497r). Uranius exaravit in

columnis dex. Custos adnotationis in apparatu altero referuntur.163 Vedendo corr. ex Considerando 164 deliberarono post Accademie del. 165 ridotti corr. ex ridotte 166 già alterum post esser expunxi167 già d’esser già Pastori dell’antica Arcadia del. et in marg. scrip. d’esser passati in Arcadia e di [per ante di del.]

vivere in essa 168 rinomato corr. ex famoso 169 stata data corr. ex toccata 170 de ante le del.

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Abbate Pompeo Figari Genovese, co’l nome di Montano Falanzio, dal Monte Falanto.

Paolo171 del Negro Genovese, co’l nome di Siringo Reteo, dalle Campagne presso la Terra di

Rete.

Cavalier Melchiorre Maggio Fiorentino, co’l nome di Dameta Clitorio, dal Fiume Clitore.

Giacomo Vicinelli romano, co’l nome di Mirtillo Aroamio, da’ Monti Aroamij.

Paolo Antonio Viti Orvietano, co’l nome di Carino Dipeo, dalle Campagne presso la Terra

di Dipe.

Abbate Agostin Maria Taia Sanese, co’l nome di Silvio Pereteo, dalle Campagne presso la

Città di Perete.

Per mantenimento di questa conversazione si stabilirono alcune regole, e le più particolari

furono172:

che tanto ne’ componimenti quanto nel conversare s’imiti la Pastoral semplicità; che le Ragunanze

si faccian sempre in un bosco, al quale fu stabilito il nome di Parrasio, rinovellando la memoria del

famoso Bosco Parrasio d'Arcadia consegrato ad Apolline; che non si elegga mai173 Principe o altri

con titolo di maggioranza, ma uno solo con nome di Custode174, alla qual carica fu eletto Alfesibeo,

ed in sua assenza, eletto poi deputato, un vicario con nome di Procustode175; che in ciascun anno si

facciano sette Ragunanze, cominciando dal primo giorno di maggio a tutto il dì 5 di Ottobre, ad

arbitrio del Custode176; che l'Insegna del Comune sia la Siringa di Pan, dio d'Arcadia, coronata di

pino e d'alloro, senza alcun motto, non volendosi fare né Accademia né impresa177, ma una semplice

Conversazione rappresentante178 il comune degli antichi Arcadi179.

Concorsero180 a questa pastoral unione181 sì gran numero di letterati che, riuscendo angusta la

selva del sudetto Convento, fu d’uopo trasportar la conversazione182 al Bosco de’ Signori Mattei in

171 Antonio in interl. add.172 In fine iuxta Per mantenimento ~ furono scrip. 173 si elegga mai corr. ex possa mai eleggersi 174 alla qual carica fu eletto Alfesibeo, a cui poi furono aggiunti due Sottocustodi e dodici Vicecustodi post Custode

del. a cui [al qual Custode supra a cui] dovessero assistere due Sottocustodi, e dodici colleghi et un Vicario in marg. add.

175 un vicario ~ Procustode del., eletto poi deputato in marg. add. et del.176 post ad arbitrio del Custode in marg. add. che nelle scritture si dovesse osservare il computo olimpidiaco alla stessa

misura che computavano i Greci, essendosi fabricata un’Effemeride perpetua per aggiustare e contrapporre i giorni Lunari con i Solari

177 né Accademia né impresa corr. ex impresa all’uso dell’Accademie 178 rappresentante corr. ex rappresentate 179 post Arcadi in marg. add. Regole o avvertimenti, le quali per corso di anni cinque sono state più volte ampliate e

accresciute ed anche moderate secondo il bisogno, in fintanto che per ordine della Piena Ragunanza compilatesi tutte si ridussero e restrinsero alla forma e numero in che ora si veggono [si veggono corr. ex si vede] incise nel Bosco Parrasio e si danno impresse in questi fogli [le quali sono immutabili post fogli del.]; oltre alle quali, per osservanza et interpretazione delle medesime, vi sono alcune Istituzioni, nelle quali si dà il modo da praticarsi le stesse leggi e da governar la Conversazione ne’ particolari casi

180 poi post Concorsero del. 181 pastoral unione corr. ex conversazione182 trasportar la conversazione corr. ex trasportarla

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San Pietro in Vincoli183, indi al Bosco de’ Signori Riarii alla Lungara184, e finalmente a gli Orti

Farnesiani nel Colle Palatino, ove gli Arcadi con molto lor piacere si son fermati, sì per la speranza

di godere protezione185 della Serenissima Casa Farnese186, come anche per la memoria di Evandro187,

il quale venuto d'Arcadia in questo luogo pose la sua sede188 e da Palante suo bisavolo, o da

Pallanzia189 sua figliuola o da Pallante Terra d’Arcadia, gli die’ il nome di Pallanteo190.

Questa191 conversazione in lettere è un concorso di Principi e Prelati192 più dotti e de’ più

scelti letterati193 tanto secolari quanto ecclesiastici e religiosi, non solo abitanti in Roma, ma ancora

forestieri, per li quali si fa ogn’anno una delle sette Ragunanze194, leggendosi195 i componimenti che

da loro196 a tal’effetto si trasmettono al Custode197; et inoltre quando gli Arcadi198 d’una città sieno in

numero sufficiente, si può in essa stabilire a loro piacere una199 conversazione particolare200 sotto la

direzione d’un Vicecustode e da deputarsi dalla piena Ragunanza, come si è fatto in alcune città, nel

qual caso i luoghi vacanti per morte d’alcuni di essi si danno a chi vien proposto da essa particolar

Conversazione201.

183 ma divenuta ancor questa incapace post Vincoli del. 184 post Lungara in marg. add. ove si fece per più anni memoria del gloriosissimo nome della Gran Cristina

Alessandra, Regina di Svezia, che quivi nel congiunto Palazzo abitò proteggendo sempre i letterati185 la speranza di godere protezione del. et esser stata in interl. scrip. 186 sempre a cuore la letteratura post Farnese in interl. add. 187 dell’Arcade ante Evandro del. 188 pose la sua sede corr. ex fermossi (signo post fermossi addito et in marg. iterato, add. et del. e gli die’ il nome di [e

die’ del.] Pallanteo o gli diede il nome o da Pallantia sua figliuola post sede del. 189 Pallante città d’Arcadia ante Pallanzia del. 190 che poi è stato detto Palazzo post Pallanteo del. iuxta haec in marg. scrip. et postea del. e perché sono già state

date [corr. ex poste] le denominazioni di tutti i luoghi famosi d'Arcadia, onde non posson più annoverarsi nuovi soggetti, se non seguendo [non solamente in interl. del.] la morte d’alcuno [degli annoverati del.] o trovandosi [corr. ex scoprendosi] nuovi luoghi

191 Questa Conversazione è composta de’ letterati più scelti [di Roma del.] abitanti in Roma, ma ancora / Sono aggregati in questa Conversazione supra Questa del.

192 e Prelati ante e Prelati del.193 di Principi ~ letterati in marg. add. (sceltissime ante Principi del., Prelati ante Prelati del. et e in interl. add. Cresc.)

pro de’ letterati più scelti, quae in textu deleverat e dame erudite post letterati add. et del., deinde di Cardinali e Dame e supra di sceltissime (quod Leonius deleverat)

Principi add. et continuo e Dame del. et tandem post dotti add. e di dame più erudite e194 delle sette ragunanze corr. ex ragunanza 195 da i Pastori presenti post leggendosi in interl. add. et del.196 si trasmettono post da loro del. 197 quando gli Arcadi [gli Arcadi in interl. add.] in una città vi si sono aggregati / molti Principi e Prelati letterati /

sieno già in numero [in numero in interl. add.] dieci letterati aggregati a tal Conversazione, si può in esso stabilire a loro arbitrio un congresso particolare post Custode scripserat et postea del.

198 Aggr- ante Arcadi del.199 una ante una del. ragunanza particolare sen- post una del. 200 somigli all’uso di questa di Roma post particolare del.con titolo di Colonia degli Arcadi post particolare ex marg. add.201 infra textus finem scrip. Per mantenimento di questa conversazione si stabilirono fin dalla prima fondazione ,

compendii signum exaravit lineamque rectam duxit, infra quam scrip. ne’ quali si contiene il modo e l'apparato col quale fu rogata [corr. ex furono rogate] publicamente la detta compilazione di leggi nell’istesso Bosco Parrasio il dì … di maggio 1696.

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II202

Vedendo alcuni letterati molto scemato a Roma il pregio delle belle lettere e perciò chiuse e

poco frequentate le publiche Accademie, per prendere qualche onesto divertimento dalle loro

occupazioni più gravi deliberarono d’essercitarsi nascostamente tra le selve, ragunandosi in tempi

da loro determinati nel Gianicolo, dentro la selva di S. Pietro in Montorio. Essendosi quivi più volte

ridotti, l’amenità della Campagna e la libertà della solitudine subito appresentò203 loro la felicità de

gli Antichi Pastori e massimamente di quei d’Arcadia, onde, per maggiormente lusingare il lor

genio, immaginandosi204 d’esser passati in Arcadia e di vivere in essa, risolvettero di prender

ciascuno un nome Pastorale, con la denominazione da un luogo rinomato di detta Provincia nelle di

cui Campagne gli fosse stata data dalla sorte l’abitazione.

Ragunatisi dunque alli 5 d’ottobre dell’anno 1690 nel sudetto Bosco (il quale, siccome

anche ogn’altro dove poi son passati, fu stabilito che si chiamasse il Bosco Parrasio, rinovellando la

memoria del famoso Bosco Parrasio d’Arcadia205 consegnato ad Apolline)206, posero in un’Urna i

proprij lor nomi ed in un’altra i nomi delle denominazioni Pastorali, donde furono stratti secondo

l’ordine che segue.

Il Cavalier Paolo Coardi Torinese, sotto nome di Elpino Menalio, così denominato dalle

Campagne presso la Città di Menalo

Giuseppe Paulucci di Spello, co’l nome d’ Alessi Cillenio, dal Monte Cillene.

Vincenzo Leonio Spoletino, co’l nome d’Uranio Tegeo, dalle Campagne presso la Città di

Tegea.

Silvio Stampiglia da Civita Lavinia, co’l nome di Palemone Licurio, dalle Campagne presso

il Borgo di Licuria.

Gio. Maria Crescimbeni Maceratese, co’l nome d’Alfesibeo Cario, dalle Campagne presso il

Borgo di Caria.

Gio. Vincenzo Gravina Napolitano, co’l nome d’Opico Erimanteo, dal Monte Erimanto.

Gio. Battista Felice Zappi Imolese, co’l nome di Tirsi Leucasio, dalle Campagne presso il

Borgo Leucasio.

Abbate Carlo di Turnon Torinese, co’l nome d’Idalgo Erasinio, dal Fiume Erasino.

Abbate Pompeo Figari Genovese, co’l nome di Montano Falanzio, dal Monte Falanto.

202 Haec Arcadiae historia exstat in ms. 15, cc. 449r-451v (antiquitus 491r-493v); Custos textum in sin. cuiusque paginae columnis scripsit manu Custodi exaratum in columnis dex. In columnis vero sin. multa correxit addiditque.

203 appresentò corr. ex s’appresentò204 immaginandosi corr. ex figurandosi 205 d’Arcadia in interl. add.206 nel sudetto ~ Apolline in marg. add.

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Paolo Antonio del Negro Genovese, co’l nome di Siringo Reteo, dalle Campagne presso la

Terra di Rete.

Cavalier Melchiorre Maggio Fiorentino, co’l nome di Dameta Clitorio, dal Fiume Clitore.

Giacomo Vicinelli Romano, co’l nome di Mirtillo Aroamio, da’ Monti Aroamij.

Paolo Antonio Viti Orvietano, co’l nome di Carino Dipeo, dalle Campagne presso la Terra

di Dipe.

Abbate Agostin Maria Taia Senese, co’l nome di Silvio Pereteo, dalle Campagne presso la

Città di Perete.

Quindi stabilirono il governo della Conversazione libero e non soggetto ad alcun Ministro

con titolo di Maggioranza, ma n’elessero207 uno solo col nome di Custode208, il quale la piena

Ragunanza (a cui fu riservato l’alto dominio) dovesse rappresentare con certe e determinate facoltà.

Stabilirono in oltre per Insegna del Commune la Siringa di Pan, Dio d'Arcadia, coronata di

Pino e di Lauro senza alcun motto, non volendo209 fare né Accademia né Impresa, ma una semplice

Conversazione rappresentante il Commune degli antichi Arcadi; al che per uniformarsi

maggiormente ordinarono al Custode che in tutte le scritture dovesse osservare il computo

Olimpidiaco alla stessa misura che computavano gli antichi Elei210, e però fabricasse211

un’Efemeride perpetua per aggiustare e contraporre i giorni lunari con i solari212.

Concorsero a questa Pastorale unione sì gran numero di213 Letterati, che, riuscendo angusta

la Selva del sudetto convento, fu d’uopo trasportare la Conversazione al Bosco de’ Signori Mattei in

S. Pietro in Vincoli, indi al Bosco de’ Signori Riarij alla Lungara, ove si fece per più anni memoria

del gloriosissimo nome di Christina Alessandra Regina di Svezia, da loro appellata Basilissa214, che

quivi nel congionto Palazzo abitò proteggendo sempre i letterati, finché passarono215 a gl’Orti

Farnesiani nel Colle Palatino216, e finalmente al giardino del Serenissimo Duca Salviati, ove ora

dimorano217.

207 n’elessero in interl., ne elessero [corr. ex nell-, ut vid.] infra deleto208 al quale poi diedero facoltà post Custode del. 209 volendo corr. ex volendosi210 gli antichi Elei corr. ex i Greci211 e però fabricasse corr. ex fabricando212 Quindi stabilirono ~ solari in marg. add.213 di corr. ex de 214 da loro appellata Basilissa in interl. add.215 finché passarono [passarono corr. ex furono chiamati] in interl. scrip. et e finalmente in lin. del.216 quod accidit post m. Maium a. 1699217 e finalmente ~ dimorano itidem post a. 1699 in superiori paginae marg. add. et haec in textu lineis ad

perpendiculum ductis del.: ove gli Arcadi con molto lor piacere si son fermati [in interl. alio atramento scrip. per più anni con molto lor piacere àn dimorato], sì per essere stata alla Serenissima Casa Farnese sempre a cuore la letteratura, come anche [ove ~ anche atramento iam antea deleverat] per la memoria d’Evandro, il quale venuto d'Arcadia in questo luogo pose la sua sede e da Palante suo bisavolo, o da Palantia sua figliola o da Palante terra d'Arcadia, gli diede il nome di Palanteo.

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Questa Conversazione in sostanza è un Concorso o unione di Cardinali e Principi e Prelati

più dotti e di Dame più erudite e di più scelti Letterati, tanto Secolari quanto Ecclesiastici, non solo

abitanti in Roma, ma ancor forastieri, per li quali si fa ogn’anno una delle sette Ragunanze,

leggendosi i Componimenti che da loro a tal effetto si trasmettono al Custode; ed in oltre, quando

gli Arcadi d’una Città siano in numero sufficiente, si può in essa stabilire a lor piacere una

Conversazione218 particolare con titolo di Colonia degli Arcadi, sotto la direzione d’un Vicecustode

da deputarsi dalla piena Ragunanza, come già si è fatto in alcune Città, nel qual caso i luoghi

vacanti per morte d'alcuno d’essi si danno a chi vien proposto da essa particolar Conversazione, e

l'istesso219 procede anche rispetto all’Accademie220 famose, nelle quali possono costituirsi simili

Colonie, come di Colonie in Città ve ne sono in Bologna221, in Ferrara e in Macerata e nella

religione Camaldolese222, e di quelle223 in Accademie ve ne sono in Venezia, in Arezzo ed224 in

Siena225.

Per mantenimento di questa Conversazione si stabilirono fin dalla sua prima fondazione

diciotto Avvertimenti, li quali per il corso di cinque anni sono stati accresciuti oltre al numero di

quaranta, in fintanto che nel presente anno per ordine della piena Ragunanza compilatisi tutti si

ridussero e restrinsero al numero di dieci Leggi e due Stanziamenti o Sanzioni, nella forma in che

ora si veggono incise in marmo226 nel Bosco Parrasio e si danno impresse in questi fogli; oltre alle

quali, e per interpretazione e per osservanza delle medesime Leggi, de’ rimanenti Avvertimenti

sono stati formati dieci Capitoli appellati Istituzioni227, ne’ quali si dà il modo da pratticarsi l’istesse

Leggi e governare la Conversazione in qualunque caso che possa avenire.

Essendosi dunque il dì sottoscritto rogata publicamente la detta compilazione di leggi nel

istesso Bosco Parrasio228, e imprimendosi ora229 per commandamento della piena Ragunanza non

pur l’istesse leggi, ma tutto ciò che circa la detta rogazione230 fu pratticato, Io Custode d'ordine della

stessa Ragunanza paleso a li Lettori tutte le sudette cose, accioché dello stato della nostra Arcadia

siano bastevolmente informati. Dato in piena Ragunanza nel Bosco Parrasio, al X doppo il XX di

218 in essa Città ante una conversazione del.219 istesso corr. ex questo220 all ex correctione221 in Venezia ante in Bologna del. 222 e nella Religione Camaldolese in interl. add.223 Colonie ante quelle del.224 ed in interl. add., ed post Siena deleto225 ed in oltre ~ particolar Conversazione in marg., eodem fere tempore quo textum scripsit, addiderat, quibus postea

alio atramento currentique calami ductu add. e l’istesso ~ Siena (Physiocriticorum Academia die 19 I 1700 in Arcadum Colonia constituta est)

226 in marmo in marg. add. 227 appellati Istituzioni corr. ex Istituzioni appellati228 io Custode col Commandamento post Parrasio del.229 imprimendosi ora corr. ex dovendosi230 rogazione corr. ex publicazione

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Targelione cadente, l'anno III dell’Olimpiade DCXVIII, ab A. I. Olimp. II, anno II, giorno lieto

perpetuamente231.

SINCERUS PARTHENIUS, ARCADIAE PASTOR,IN PATRIAM REDUX LOCI GENIUS AC DEOS SALUTAT

(Al V° di Pianessione stante, l’anno II° dell’Olimpiade DCXVIIª)232

231 Paragraphus hic linea ad perpendiculum in marg. ducta notabilior factus est232 id est 15 X 1690, dies Dominica

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Di Michelangelo Maria Bianciardi si sa soltanto quello che è registrato nel catalogo degli Arcadi, ovvero che era nativo di Siena e canonico di Santa Maria Rotonda. Non figurano suoi componimenti né nelle Rime degli Arcadi né negli Arcadum carmina. Tuttavia fu un Arcade della prima ora, che con ogni probabilità aveva frequentato la conversazione di Vincenzo Leonio. Nel verbale di fondazione infatti il suo nome è inserito t233ra i sei che, pur essendo al corrente del proposito dei 14 fondatori e condividendolo pienamente, quel 5 ottobre del 1690 non poterono partecipare all’atto fondativo e furono quindi i primi annoverati in Arcadia, come recita il verbale: “Finalmente io feci a notizia della Ragunanza alcuni altri Nobili Pastori capitati già in nostra Arcadia, li quali a’ giorni passati meco ragionarono della presente Istituzione e mostrarono disiderio non diseguale al nostro di ritrovarsi il dì sudetto con esso noi alla stabilita bisogna. Furon coloro

Menalca, Logisto, Ameto,Sincero, Clonico234 e Coridone,

a’ quali la Ragunanza ben consapevole di loro merito volentieri soddisfece, annoverandogli tra noi, et avendo io per Comando Universale subitamente stratte loro le possessioni dell’Urna della Sorte, come apparisce dal Catalogo o scritto d’annoveramenti alla Ragunanza 1ª, carta 2, feci a tergo de’ medesimi brevi stratti testimonianza d’annoveramento e contrasegnaila nella seguente guisa” (Atti Arcadici I, pp. 13-4). Al Bianciardi si deve il primo componimento latino che si stato recitato in Arcadia, conservato a c. 5v del ms. Componimenti Arcadici 1 (p. 6 della numerazione antica). Si tratta di una breve elegia copiata su un piccolo foglio autografo (sul quale Crescimbeni ha segnato di sua mano, a quel che sembra, il numero 5), che fu recitata nella seconda ragunanza, come annota lo stesso Crescimbeni in fondo al testo (nell’angolo superiore sinistro aveva segnato «originali»). Dopo la registrazione di quattro annoveramenti, il verbale della seconda ragunanza recita: «Incominciossi poi il 233 Il nome di Sincero figura infatti nella seconda carta del primo catalogo degli Arcadi,

attualmente rilegato nel ms. Componimenti Arcadici 15, c. 481v: «Sincero Partenio: dal Monte Partenio, abbate Michel Angelo Maria Bianciardi senese». Nel catalogo successivo, databile al 1692, attualmente ms. Atti Arcadici 1, c. 3v, l’item di Sincero Partenio presenta una variante nel nome, Angiol per Angelo, e soprattutto l’aggiunta posteriore, di mano di Crescimbeni, «poi Canonico di Santa Maria della Rotonda».

234 corr. ex Titiro

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Canto, come apparisce al Volume de’ Componimenti Arcadici, Ragunanza II, cart. I, di cui a gran pena picciol saggio potette aversene mercé del mal tempo, che a lasciare il bosco costrinsene, avendo io né più né meno segnato il giorno in Serbatoio con ramicello di Lauro, ed ora lieto lo scrivo secondo lo stabilito ne’ nostri Avvertimenti» (Atti Arcadici, p. 18). Effettivamente il fascicolo della seconda ragunanza nel ms. Componimenti Arcadici I consta soltanto dell’elegia di Bianciardi, preceduta e seguita da un sonetto di Vincenzo Leonio e da uno di Paolo Antonio Del Nero, che recano, all’interno del foglietto originario, rispettivamente i numeri 7 (depennato) e 2 (pubblicati in http://www.accademiadellarcadia.it/laboratorio.cfm, consultato il 20 III 2019). L’elegia ha per tema il ritorno: in Arcadia non si arriva, ma si torna, per ritrovare uno stato di natura che si era perduto; a quello stato di natura corrisponde una comunità che ha per parole chiave quies, pietas, voluptas sine labe, simplicitas, fides, e che viene quindi raffigurata in una fantasia di Fauni, Driadi e Pastori configuranti un paradiso laico, ma soprattutto adombranti una società di pari in cui solo è possibile l’esercizio degli otia letterari, che un amore infelice aveva per lungo tempo negato all’autore.

Sincerus Parthenius, Arcadiae Pastor, in Patriam redux Loci Genius ac Deos salutatArcadici Indigetes et amica mapalia Musis235

    tuque oculis tandem reddita terra meis236,salvete. Ille suos remeat Sincerus in agros    accola Parthenij qui fuit ante iugi.Hinc me spretus amor duraeque superbia Nymphae237 5

235 Il primo verso combina diverse fonti. Per il primo emistichio si vedano Verg. georg. 1, 498 - 501 Di patrii, Indigetes et Romule Vestaque mater, / quae Tuscum Tiberim et Romana Palatia seruas, / hunc saltem euerso iuuenem succurrere saeclo / ne prohibete, e Ov. met. 14, 608 Nuncupat Indigetem temploque arisque recepit. Il secondo emistichio sembra debitore di Verg. Aen. 774 et Clytium Aeoliden et amicum Crethea Musis, ma ancor più vicino è Col. rust. 10, 222 per sua Parnasi, per amica silentia Musis.236 Per la giacitura di oculis meis si vedano Prop. 3, 24, 2 Olim oculis nimium facta superba meis; Ov. am. 3, 3, 48 aut oculis certe parce, puella, meis; Ov. epist. 16, 250 atque oculis aditum nuda dedere meis; Ov. trist. 1, 3, 32 iamque oculis numquam templa uidenda meis.237 Rivisitazione di Ov. met. 3, 354 sed (fuit in tenera tam dura superbia forma).

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    expulit et longas suasit inire vias238.At modo iam flammae resides meliorque cupido    in patrios reditum consuluere Lares239.Ergo quae superant miserae mihi tempora vitae240

    ah sinite hìc placidè claudat amica quies241. 10Hìc ubi tuta habitat pietas, sine labe voluptas242

    iunctaque cum facili simplicitate fides;hìc ubi sylvicolae Fauni Driadesque puellae243

    innocuos gaudent ducere saepe choros244,Pastoresque suos calamo modulantur amores 15    et referunt dulces concava saxa sonos245,sylva pruinosos246 ubi mitigat alta decembres,    temperat aestivas umbra vel unda faces,mollia iucundos per gramina carpere somnos    aut aurae invitant aut leve murmur aquae247, 20hìc me tarda, precor, fatali Parca sagittà occupet atque meos hìc habeam Elysios.

2a ragunanza238 Un’altra rivisitazione di testi elegiaci: Prop. eleg. 2, 33, 8 Sensisti multas quid sit inire uias, / cum te iussit habere puellam cornua Iuno; Ov. rem. 578 Deserit: ignotas cogor inire vias, a cui si aggiunga Ov. am. 2, 16, 18 Si fuit in longas terra secanda vias.239 Per la giacitura di patrios Lares si vedano Prop. eleg. 2, 30, 22 et ferre ad patrios praemia dira Lares! e Mart. epigr. 5, 42, 2 Prosternet patrios impia flamma lares.240 Memoria di Ov. Pont. 3, 2, 29 fallor, et illa meae superabit tempora vitae. 241 La clausola ha un precedente in Claud. Hon. VI cos. praef. 2 pectore sopito reddit

amica quies.242 Il secondo emistichio è una variazione di Ov. met. 2, 537 ales, ut aequaret totas

sine labe columbas.243 Sincero combina qui varie fonti antiche: Verg. georg. 1, 11 Ferte simul Faunique pedem Dryadesque puellae; Verg. Aen. 10, 551 Siluicolae Fauno Dryope quem nympha crearat; Ov. epist. 4, 49 aut quas semideae Dryades Faunique bicornes; non occorre chiamare in causa Claud. Hon. VI cos. 200 Iam Dryadas revocant et rustica numina Faunos.244 Variazione di Hor. carm. 4, 7, 6 Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet / ducere

nuda choros.245 Variazione di Ov. epist. 10, 22 reddebant nomen concava saxa tuum.246 L’aggettivo in questa giacitura ricorre sette volte in Ovidio (l’occorrenza più vicina è am. 1,

6, 65 iamque pruinosos molitur Lucifer axes); ha inoltre singole attestazioni nell’Appendix Vergiliana, in Lucano e nei versi di Petronio.

247 Prelievo da Ov. fast. 3, 18 fecerunt somnos et leve murmur aquae.

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Alfes. Cario Custode

19 carp corr ex capp. 22 occu- suprascriptum, scripta inferior non liquet

Sincero Partenio, pastore d’Arcadia, ritornato in patriacosì saluta del luogo il Genio e gli Dei

Uomini oriundi d'Arcadia e capanne amiche alle Muse e tu terre che infin sei ridata ai miei occhisalve. Si volge di nuovo ai suoi campi il vostro Sincero, il quale dapprima fu abitante del monte Partenio.

5 Di qui un amor disprezzato e di Ninfa la dura superbia m'espulse ed un lungo viaggio a fare m’indusse;ma ormai le fiamme che vanno calando e un miglior desiderio han consigliato che io torni alla casa paterna.Dunque il tempo che ancora mi resta di vita infelice

10 lasciate che chiuda serena un'amica quiete.Qui dove risiedono affetto sicuro, piacer senza macchia e lealtà che va unita a pura schiettezza,qui dove i Fauni abitanti di selve e le Driadi fanciulle ballando innocenti danze spesso gioiscon,

15 e i loro amori vanno cantando sul flauto i pastori, e concave rocce a dolci suoni fan eco,dove un'alta selva fa mite il brumoso dicembre e mitigan l'ombre o le onde l'estiva calura,a cogliere sonni felici distesi su morbide erbette

20 invitan le brezze o lieve uno scorrere d'acqua,qui la Parca io prego che tardi con freccia fatale

mi colga ed io possa avere qui il mio paradiso.

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VINCENTIUS LEONIUS A SPOLETOINTER ARCADES URANIUS TEGAEUS

Elegia248

248 Il testo è tratto da Arcadum carmina, pars prior, Romae, A. de Rubeis, MDCCXXI, pp. 300-302.

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ELEGIA

Fera dies aderat249 mediumque ascenderat orbem250

Phoebus equis251, nimiâ luce calebat humus.Constiteram fugiens aestum sub tegmine fagi quam vagus irriguis amnis alebat aquis252,cum, sudore madens253 umbrasque devenit easdem254 5 insignis calamis carminibusque Dares.Mox inter socias alacri comitante caterva255

Pastorum teneros fert Thelesilla gradus256,Arcadiae Thelesilla decus, Thelesilla micantes nigra oculos257, vultus candida, flava comas: 10adventu laetata suo florentior herba258, splendidior visa est quàm fuit ante dies259.Unanimes postquam viridi consedimus agro,

249 Dies aderat (o aderit) in questa giacitura si trova più volte nei poeti antichi; si vedano Orazio, sat. 1, 5, 20 (iamque dies aderat, nil cum procedere lintrem); Ovidio, met. 3, 519 (namque dies aderit, quam non procul auguror esse) e 12, 150 (Festa dies aderat, qua Cygni uictor Achilles), ma anche fast. 5, 413 (Nona dies aderat, cum tu, iustissime Chiron); si vedano inoltre Valerio Flacco 2, 107, Stazio, Theb. 4, 13, e silv. 1, 2, 24 (Ergo dies aderat Parcarum conditus albo) e 3, 1, 55 (iamque dies aderat, profugis cum regibus aptum).250 La giacitura di medium orbem viene da Virgilio, georg. 1, 442 conditus in

nubem medioque refugerit orbe e 4, 426 ardebat caelo et medium sol igneus orbem.

251 Si confronti Ovidio, met. 2, 399, Phoebus equos stimuloque dolens et uerbere caedit, ma anche met. 7, 324 Ter iuga Phoebus equis in Hibero flumine mersis.

252 Le acque irrigue in questa giacitura vengono da Tibullo, 2, 1, 44, tunc bibit irriguas fertilis hortus aquas, e da Ovidio, am. 2, 16, 2 parua, sed inriguis ora salubris aquis.

253 Si confronti Lucrezio 6, 1187 sudorisque madens per collum splendidus umor.254 Sembra invertire la giacitura di Calpurnio Siculo 2, 5 ad gelidos fontes

et easdem forte sub umbras.255 Espressione virgiliana: Aen. 2, 40 (Primus ibi ante omnis,

magna comitante caterua), 2, 370 (Primus se Danaum magna comitante caterua), ma anche 5, 76 e 1, 497 (con la variante stipante, prevalente nei manoscritti).

256 Variazione di Ovidio, fast. 1, 426 suspenso digitis fert taciturna gradu.257 Gli oculi micantes in genere non compaiono in contesti erotici; ma si confronti

Ovidio, ars 2, 271, Aspicies oculos tremulo fulgore micantes, / ut sol a liquida saepe refulget aqua.

258 Florentibus herbis in fine di esametro si trova in Virgilio, ecl. 9, 19 e in Ovidio, fast. 3, 253.

259 Variazione di Ovidio, fast. 1, 94 lucidior uisa est quam fuit ante domus.

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illa prior tales edidit ore sonos260:“Quid vestrae facient haec grata per ocia Musae, 15 donec ab arboribus longior umbra cadat261?Nemo mihi cantum cupienti discere cantus narrabit causam principiumque sui?262”Tunc nos Pieridum vulgare arcana Dareta hortamur. Promptis annuit ille notis: 20“Nulla mihi primos mulcens Philomela querelas argutum tenero solvit in ore melos263,non mihi materni sugenti munera lactis inter labra favos composuistis, apes;attamen Aonios ausi conscendere colles264, 25 Bellerophontaeis265 mersimus ora vadis266.Non ars ingenium coluit: sors me improba curis sollicitans studiis ocia nulla dedit267.Solus Amor docuit268 calamos aptare labellis269

260 Emistichio tratto da Ovidio, epist. 11, 96 uenit et indignos edidit ore sonos, e fast. 1, 434 intempestiuos edidit ore sonos, e Ibis 222 funereoque graues edidit ore sonos.

261 Confrontino Tibullo 2, 5, 96 arboris antiquae qua leuis umbra cadit; naturalmente c’è dietro anche l’ultimo verso della prima ecloga di Virgilio: maioresque cadunt altis de montibus umbrae.

262 Il verso è debitore di Ovidio, ars 1, 712 da causam uoti principiumque tui.263 Confrontino Seneca, epigr. 25, 8 et linguam tenero lassat in ore suam, e Marziale

11, 91, 6 apstulit et tenero sedit in ore lues.264 Riflettano su questo verso di Manilio (5, 10): cum semel aetherios iussus [iussus O

aussus Housman] conscendere currus.265 Questo aggettivo in questa giacitura mostra loro come l’ipotesto sia l’inizio di

un’elegia di Properzio (3, 3): Visus eram molli recubans Heliconis in umbra, / Bellerophontei qua fluit umor equi.

266 Clausola ovidiana: raucaque de mediis sustulit ora uadis (am. 3, 6, 52, il soggetto è l’Aniene) e tollitur et patriis exserit ora uadis (fast. 1, 458).267 Riflettano sull’ipotesto ovidiano: Ei mihi! discedens oscula nulla dedi (epist. 3, 14).268 Incipit properziano: solus amor †morbi† non amat artificem (2, 1, 58; morbi Fedeli

2005 inter cruces pos.; Fedeli 1984 olim servavit; Heyworth nunc servat), contaminato con Virgilio, ecl. 8, 47 saeuus Amor docuit natorum sanguine matrem; va anche notato che l’emistichio era stato ripreso in ambito elegiaco da Ligdamo: Saeuus Amor docuit ualidos temptare labores, / saeuus Amor docuit uerbera posse pati (4, 65-66).

269 Variazione di Virgilio, ecl. 2, 34 nec te paeniteat calamo triuisse labellum, che nell’antichità era stato ripreso da Nemesiano: compositum. nam te calamos inflare labello / Pan docuit uersuque bonus tibi fauit Apollo. Che Uranio potesse aver presente Nemesiano sembra confermarlo la ripresa dell’infinito: Tu calamos aptare labris et iungere cera.

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aptaque Pieriis jungere verba modis270. 30Cynthia, quam sanctos ob mores flavus amavi, et quam constanter nunc quoque canus amo,Cynthia prima Helicon, Parnassus Cynthia nobis271

carminibus nostris Cynthia musa fuit.Lumina conspexi atque suos Amor inde calores 35 in nos detorsit, Phoebus et inde suos.Alter flere jubet, canere alter et una puella causa mihi cantus, causa doloris erat272,sive comam sineret dispersam fronte vagari, seu nodis aptè stringeret illa comam, 40sive legat varios viridi de cespite flores273, sive ornet lectis floribus inde caput274,sive regat cupidas per pascua laeta capellas275, seu pastas gelida ad flumina ducat oves,seu lac exprimeret tumidis ad mulctra papillis276, 45 seu facili in niveos cogeret arte globos277, sive renascentes abscindat forfice lanas, mollis seu terete pollice pensa trahat278,270 I modi Pierii potrebbero venire da Orazio, ars 405 Pieriis temptata modis ludusque

repertus, e da Stazio, silv. 2, 2, 42 Pieriis aequare modis. Vix ordine longo. Ma la clausola è memore di Tibullo 2, 5, 4 nunc precor ad laudis flectere uerba modos, di Ovidio, Pont. 4, 13, 20 structaque sunt nostris barbara uerba modis, e forse anche di Ligdamo 4, 42 edidit haec dulci tristia uerba modo.

271 La ripetizione di Cynthia nello stesso verso si trova, ovviamente, in Properzio, ma sempre in pentametro e col nome posto all’inizio dei due emistichi: Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit (1, 12, 20) e Cynthia, forma potens: Cynthia, uerba leuis. Notino che però qui Leonio ripete il nome tre volte, inserendolo anche nel seguente pentametro.

272 Emistichio ovidiano: et tibi nullius causa doloris erant (am. 1, 14, 14).273 Leggera variazione di un emistichio ovidiano: tu totiens

oreris uiridique in caespite flores (met. 10, 166); ma mettano in conto anche met. 13, 395 purpureum uiridi genuit de caespite florem (e sullo sfondo anche met. 15, 573 e Verg., Aen. 3, 304 e Culex 393).

274 Per il secondo emistichio confrontino Properzio 3, 10, 16 indue, nec uacuum flore relinque caput.

275 L’emistichio è variazione di Culex 45 propulit e stabulis ad pabula laeta capellas.276 Variazione di Calpurnio Siculo 5, 33 frigora sol, tumidis spumantia mulctra papillis.277 Rielaborazione di Nemesiano, che sta descrivendo la stessa operazione: sparsas

donec oues campo conducere in unum / nox iubet, uberibus suadens siccare fluorem [varia lectio liquorem] / lactis et in niueas astrictum cogere glebas.

278 Rivisitazione di Ovidio, met. 6, 22 siue leui teretem uersabat pollice fusum. Sempre Ovidio ha in clausola di esametro pensa trahentem (met. 13, 511), pensa

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seu densas inter Corylos279 det membra quieti280, seu prope currentes frigora captet aquas281, 50longa mihi semper dedit argumenta canendi, causa fuit Musis quaelibet apta meis282.Palluit interdum, movit mihi carmina pallor283, erubuit, movit carmina plura rubor;seu fraga è pratis seu carpat ab arbore poma284, 55 fraga mihi cantum pomaque carpta dabant; seu nos irato seu miti spectet ocello285

mitis et iratus carmen ocellus erat.Saepe etiam, memini286, versus componere jussit, dictavit versus mille magister Amor, 60quos illa ad calamos roseo mox ore287 canebat, o’ nimium musae praemia digna meae288!

trahebant (fast. 2, 743), pensa trahentis (trist. 4, 1, 13).279 Confrontino Virgilio, ecl. 1, 14 Hic inter densas corylos modo namque gemellos.280 Membra quietem è clausola virgiliana, ma confrontino Aviano, fab. 1, 5 Nam lassata

puer nimiae dat membra quieti.281 Per la giacitura di currentes aquas vedano Ovidio, fast. 2, 84 Carmine currentes ille

tenebat aquas (ma anche rem. 618 e Properzio 4, 4, 12). Il secondo emistichio ha l’aria di essere una variazione di Properzio 4, 3, 48 acriter in glaciem frigore nectit aquas e di Ovidio, epist. 21, 222 quod tactum gelidae frigore pallet aquae (ma anche Marziale 4, 3, 4 concretas pigro frigore ridet aquas).

282 Il verso è debitore di un verso di Ovidio, ars 1, 152 quaelibet officio causa sit apta tuo.

Ovidiana è anche la clausola: rursus erat uotis comis et apta meis (am. 2, 19, 16) e gratulor: haec aetas moribus apta meis (ars 3, 122).

283 Rilfettano su un caso come questo, di probabilissima poligenesi: Silio Italico 11, 437 concordem citharae mouit per carmina linguam.

284 Variazione di Ovidio, met. 9, 380 Stagna tamen timeat nec carpat ab arbore flores, ma poteva aver presente anche Properzio 4, 3, 19 Occidat, immerita qui carpsit ab arbore uallum.

285 Gli ocelli irati derivano da Ovidio, am. 2, 8, 15 Vt tamen iratos in te defixit ocellos. La clausola combina altri luoghi di Ovidio: am. 1, 8, 37 Cum bene deiectis gremium spectabis ocellis, e 1, 14, 37 Non bene consuetis a te spectaris ocellis, e ars 2, 453 quem uideat lacrimans, quem toruis spectet ocellis. La clausola aveva anche un’attestazione in Properzio 2, 26, 41 illa meis tantum non umquam desit [var. lect. spectat] ocellis.286 Rilfettano su questo emistichio di un autore lontanissimo da questa temperie poetica, Persio: Saepe oculos, memini, tangebam paruus oliuo (3, 44).287 Il roseum os ricorre in Virgilio, Aen. 2, 593 e 9, 5, e poi in Ovidio met. 7, 705, Pont.

1, 4, 58, ma in giaciture e contesti differenti.288 Il verso combina due versi di Ovidio: trist. 3, 11, 50 da, precor,

ingenio praemia digna meo e Ibis 2 omne fuit Musae carmen inerme meae.

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Praeterea quascumque imo sub pectore curas289, quicquid in accensâ mente creabat Amor,protinus agresti narrabam carmine sylvis290, 65 narrabam rivis lanigeroque gregi291. Populeis etiam truncis platanisque notabam, clara meis numeris quaelibet arbor erat.Cantabam laetos questus dulcesque Dolores et tristes risus atque hilares lacrymas, 70addebam calidumque gelu gelidumque calorem et junctos mirâ spemque metumque fide292.Carminibus nostris resonabant undique sylvae293, omnis plena meo nomine vallis erat.Si cupis ergo sacros, Thelesilla, attingere Fontes 75 et facili numero condere294 carmen, ama295.

289 Confrontino Virgilio, Aen. 2, 288 sed grauiter gemitus imo de pectore ducens. Tengano presente che pectore curas è clausola con molte attestazioni nei poeti antichi. 290 La clausola si presenta in autori non elegiaci: Lucano 6, 766 talibus exuram Stygio

cum carmine siluis e Silio Italico 14, 29 ora excellentum, sacras qui carmine siluas.291 I lanigeri greges compaiono in diversi poeti (Virgilio, Manilio, Calpurnio Siculo,

Ausonio). Va notato che Ovidio usa la iunctura tre volte facendone sempre il primo emistichio di un esametro (Leonio ne fa il secondo di un pentametro; si tratta di imitatio-aemulatio): si tratta di met. 3, 585 lanigerosue greges, non ulla armenta reliquit, e 6, 395 lanigerosque greges armentaque bucera pauit, e 7, 540 lanigeris gregibus balatus dantibus aegros. Considerino anche l’endecasillabo alcaico di Stazio, silv. 4, 5, 17 Non mille balant lanigeri greges.

292 Ripresa di Ovidio, fast. 1, 486 pectora pro facto spemque metumque suo, ma anche 3, 362 sollicitae mentes speque metuque pauent.

293 La clausola è attestata in Calpurnio Siculo 7, 31 et sinuata latus resupinis undique siluis.

294 Ripresa di Ovidio, fast. 6, 24 cum placuit numeris condere festa tuis.295 Ama in conclusione di componimento si trova in Ovidio, Pont. 3, 6, 60 si res est

anceps ista, latenter ama. Ovidio lo utilizza in fine di pentametro anche in epist. 17, 256 e Pont. 4, 2, 48. In conclusione di pentametro lo utilizza anche Marziale 6, 11, 10 Hoc non fit uerbis, Marce: ut ameris, ama (cf. anche 10, 71, 2).

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Al Colle PalatinoStanza degli Arcadi

nel promulgarsi le loro Leggi

Eglogad’Erilo Cleoneo296

Illustre297 Colle, che d’ospizio e sede fosti cortese al peregrino Evandro,né del bell’uso antico ancor ti spogli,poiché di por nella tua Terra il piedea noi consenti, e volentier n’accogli,qual ti darem mercedenoi poveri Pastori?Noi non possiam, come i Romani Eroi,chiamare298 al gran tragitto

296 Exstat in ms. 6, ff. 13r-17v (quod siglo A denotabo); in margine superiore sinistro Cresc. scripsit Copia Sottoscritta. Guidi omnibus huius silvae strophis usus est in tribus silvis quae edidit in Rime di Alessandro Guidi. Alla Santità di Nostro Signore Clemente Undecimo Sommo Pontefice, Roma, Komarek, MDCCIV (editio quae posthac siglo G denotabo), quae sunt A Monsignore Ulisse Gozzadini, Arcivescovo di Teodosia, Segretario de’ Brevi a’ Principi. Gli Arcadi sul Colle Palatino (pp. 13-16); Al Signor Cardinale Pietro Ottoboni Vicecancelliere di S. Chiesa. Costumi degli Arcadi, pp. 17-21; Al Signor Cardinale Niccolò Radulovic. Vanità de’ Pensieri umani, pp. 93-96. Cresc., ut videtur, minutissima quaedam mutavit in A, id est nè in ne’ (v. 52), Latio in Lazio (v. 55), spatio in spazio (v. 58), il in ’l (v. 68), gl’abitator in gli Abitator (v. 135), dell’ in de ’l (v. 151), avien in avvien (v. 154), veglerebbon in veghierebbon (v. 178), avolge in avvolge (v. 185), dall’auree in da l’auree (v. 188), s’en in sen (v. 188), dell’etati in de l’etati (v. 212), gratie in grazie (v. 232); accentus plerumque delevit in la (articulus), da (praepositio), ma, fra, infra, tu; praeteriit altrui pro altri (v. 95), Arcarde (v. 139), Astreo pro Atreo (v. 184), sed corr. vediano in vedriano (v. 102), altera in altere (v. 131), sogni in segni (v. 137); fortasse scriba fuit qui correxit R in X in Xanto (v. 175, in fine inferioris versus est Reina)

G nonnulla mutavit quae ad verborum formam tantum pertinent; ea non prorsus inutile arbitror hic colligere: pellegrino pro peregrino (v. 2), veleno pro veneno (vv. 32 et 248), entro pro dentro (v. 40), solo talor si è pro sol tal’ora s’è (v. 42), alle pro a le (v. 50), dei pro de’ (v. 53), fatta pro fatto (v. 55), da’ pro da i (v. 60), sul pro su ’l (v. 72), il pro ’l (v. 74), ai pro a’ (v. 86), fiorir dinnazi pro fiorire innanzi (v. 88), uficj pro uffici (v. 96), alle pro a le (v. 100), alla pro a la (v. 105), sien pro sian (vv. 107-108), chieggiamo pro chiediamo (v. 109), talora pro tal’ora (v. 110), allora pro al’ora (v. 157), il pro ’l (vv. 160-161), della pro de la (v. 164), all’orrende pro a l’orrende (v. 184), dall’auree pro da l’auree (v. 188, quod Cresc. in A correxerat ex dall’auree), obblìa pro oblia (v. 191), segreti pro secreti (v. 205), dell’Etati pro de l’etati (v. 212, quod Cresc. in A correxerat ex dell’etati), il pro ’l (v. 217), Sinchè pro Sin che (v. 229), delle pro de le (vv. 232 et 244), e i suoi pro e suoi (v. 249), alla pro a la (v. 250), nieghi pro neghi (v. 250); in G pronomen ne ante vocalem elisum numquam est, e.g. ne accogli (v. 5), ne adduce (v. 78),

In R (Rime degli Arcadi, I) legitur nuovo pro novo in v. 183, cuopre pro copre (v. 193) 297 1-17 stropha prima silvae quae inscribitur Gli Arcadi sul Colle Palatino in G298 9 chiamare] movere G

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le Colonne d’Egittoper ornar di Teatri i gioghi299 tuoi,e ben veder tu puoida queste spoglie irsute300

e da quest’umil Greggenostra possanza, e misurar si ponnoda queste gloriose ampie ruinele fortune Latine.

Ma301 le nostre Capanne men gravi a la tua pacedelle Moli superbe alfin saranno,ché non alberga302 in loroentro purpuree303 spogliealcun Mostro potente, alcun Tiranno.Nostri desir non annodiletto di veder dall’alte Torrila Reina del Mondo in novo affanno.Non fumeran tue Selveper noi di stragi e d’ira.Passan da noi lontanele frodi e le vendetteche vanno304 verso i Cittadini Alberghiarmate305 di veneno e di saette;e de’ furori in vece,che dentro le Città fanno soggiorno,i modesti pensier ci stanno intorno.

Nasce306 da nostra mente un felice desioche a Natura conforma il viver nostro307.Non anelar si sentedentro i Tetti realie non cerca di bisso ornarsi e d’ostro;sol tal’ora s’è mostropallido innanzi a Giove,qualora308 vide infra Baleni e Lampistar sospese le Nubi

299 11 gioghi] boschi G300 13 da questo rozzo arnese G301 18-35 stropha secunda silvae quae inscribitur Gli Arcadi sul Colle Palatino in G302 21 alberga] a- corr. ex s- A303 22 purpuree] fulgide del. et purpuree in interlinea scrip. Cresc., purpuree G304 31 vanno] movon G (muo- R)305 32 armate ex armati, virgula post Alberghi deleta, corr. Cresc. 306 36-53 stropha prima silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G307 38 che ~ nostro] ch’a natura conforma / in guise al volgo ignote il viver nostro R308 44 ei post qualora G

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sovra gl’Arcadi Campi;e per la chiara et onorata fronde,che Febo altrui comparte,ferve su la bell’Arte309

et a le Muse il buon voler risponde.E queste son le cureche ne’ nostri Tuguri abitar ponno,non quelle che de’ Re turbano il Sonno.

O310 se una eterna Legge fatto s’avesse il Laziodall’innocente suo primo Costume.Certo che l’Oceanoseguito non avria sì lungo spaziol’altere voglie del Latino311 fiumené già da i Sette Colli avrian le piumevittoriose al Caucaso, a i Britannivolte l’Aquile invitte, e ’l Mondo interogià non avrian vedutoposarsi a l’ombra del Romano Impero,ma non avrian né menotante feroci312 Cittadine Spadene313 le belle Contradesquarciato dell’Italia il manto e ’l seno,e non avrebbe alfinel’ampio splendor della Città di Marteda i Barbari remoti314

chiamata su ’l Tarpeo l’Ira de’ Goti.Da315 mano aspersa316 di fraterno sangue

scritte non son le nostre Leggi e ’l Cielogià lor non317 guarda con turbata Luce,e ben sanno gli Deiche Natura ne reggee che Innocenza i lieti dì n’adduce,né nostra mente alcun desio produceche sua ragion si facciafastidire l’altrui siepe e confine318

309 49 ferve ~ Arte] ferve il nostro pensier su la bell’arte G310 54-72 stropha secunda silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G311 59 Latino] Romuleo G312 66 feroci] crudeli G313 67 ne] per G314 71 da i Barbari remoti] da’ lidi aspri e rimoti G315 73-88 stropha tertia silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G316 73 aspersa] tinta G317 75 già lor non] non mai le G318 81 fastidire ~ confine] fastidire talor l’altrui confine G

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e319 rapir le Sabinené strepito di Marte320 altrui minaccia.Tesse Corone e Fregidi gloriosi versi321

intorno a’ nobil pregidi nostre Ninfe e fà di Gloria gravifiorire innanzi a Giove Inni soavi.

Non322 di superbo323 Rege, né d’altero Senatounqua apparver fra noi scettro e bipenne,né qual Leon di maestate armatochiaro Pastor fra Noiunqua la bell’Arcadia in man si tenne.Sol di Saggio Custode altri sostennel’amabil nome e i mansueti uffici.Così le nostre Selvepiene son di Costumi aurei324 felici,e se nostra Virtutevenisse in pregio a le Città famose,quanti superbi, fortunati Eroivedriano i lor Splendorioccuparsi da poveri Pastori.

Noi325 non alzammo326 Altari a la Fortuna, ai Fati,né per loro tessiam versi327 e ghirlande.O sian cortesi o avari,o sian benigni o irati,non chiediamo da lor Terre né Mari,e se tal’ora, al paride’ Monarchi potenti,vogliam Scettro et Imperoe tributarie Genti,seguiam nostro pensieroch’ascende a i Troni in Oriente328 e quindi

319 82 e] o G320 83 strepito di Marte] militare incendio G321 85 gloriosi in A Cresc. scripsit in spatio vacuo relicto (circulus superior litterae g fortasse

scriptus est supra litteram quandam, quae legi non potest) di gloriosi versi] sovente d’aurei versi G

322 89-103 stropha quarta silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G323 89 superbo] possente G324 98 aurei] almi e G325 104-116 prima stropha silvae quae inscribitur Vanità de’ Pensieri umani in G326 104 alzammo] ergemmo G327 106 tessiam versi] tessiamo Inni G328 115 ch’ascende a i Troni in Oriente] che ascende i Troni d’Oriente G

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governa i Persi e dà la Legge a gl’Indi.E’329 ’l Giovine330 Pelleo,che in riva al Gange siedepieno d’alti sospir, si lascia a tergoet ora in Asia331 riedequal fatale332 Guerrierocinto d’immenso, adamantino Usbergo.Scuote l’oribil asta aspro fremente333

e a i pallidi Tirannidi gelato sudor bagna la mente;per lui carche d’affannisovra il Nilo e l’Eufrate334

si recidono il Crinele barbare335 Reine;tuona sovra i Giganti,e in percoter l’altere,orgogliose lor fronti,tocchi dall’ira sua fumano i Monti336.

Udiran337 con sorriso gli Abitator338 del Tebroqueste nostre venture e questi regni,e ben diran che a favolosi segnivarca nostro intelletto,ma d’Arcade Pastor fatto e dilettoil comporre a sua voglia entro ’l profondode la Mente or Vittorie et ora Imperie recarsi in sua mano il fren del Mondo.A i lusingati Augustiscende lo Scettro dal poter del Fato339

e con le Cure a latoregnano sempre entro a’ confini angusti

329 117-133 secunda stropha silvae quae inscribitur Vanità de’ Pensieri umani in G330 117 E’ ’l Giovine] Egli l’Eroe G 331 120 et ora in Asia] ed or dall’India G332 121 qual fatale] crudo fatal G333 123 Scuote ~ fremente] Scote l’orribil asta / indomito, fremente G334 127 sovra il Nilo e l’Eufrate] su l’aspro Termodonte G335 129 barbare] feroci G336 130-133 tuona ~ Monti] e vede sotto il freno / del suo valore invitto / gli Antiochi

l’Asia, i Tolommei l’Egitto G337 134-149 tertia stropha silvae quae inscribitur Vanità de’ Pensieri umani in G338 135 gli Abitator] i Cittadin G339 137-144 e ben ~ Fato: e ben diran del Lazio i chiari ingegni: / “Vaneggia Arcadia

e il suo Parrasio gode / fiorir di lieta frode”. / Ma pur nostro intelletto / non è scemo di luce, / allor che a suo talento / le vittorie e gl’Imperj a noi produce. / An gl’infelici Augusti / sol le Corone dalle man del Fato G

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e paventano sempre340

vedere irata dal paterno suolola reale341 Fortuna alzarsi a volo.

Ma342 se ’l nostro pensiero alfin si spoglia de l’eccelse Coronee da le rote trionfali scende,non avvien che magnanima ragionein Noi punto si doglia343

e dal desìo superbo si difende.Al’ora a scherno ogni splendor si prende,non degna di mirar pompe344 realicome cose mortali.Vede che ’l tempo fuggee che ’l ben di qua giù, sia finto o vero,dal Destino si struggee sa che su la rivade345 la fatal Paludede i Pastori e de i Re stan l’Ombre ignude.

O346 quanto sembreria vil pondo l’Orodelle Corone e quantovano il romor de’ chiari Nomi egregi,se dentro il petto lorosi prendesser vaghezzadi nostre Cure i Duci eccelsi347 e i Regi.All’ora alta quiete348

velerebbe le luci al lor sospetto,né a latrare in lor mente, orrido sognocondurrebbe dal Xantola forsenata349 misera Reina, larva immensa di pianto.Non vegghierebbon l’Aste a lor d’intorno,che dall’insidie sonoo negletti o sicurii poveri Tuguri.

340 147 sempre] ognora G341 149 reale] potente G342 150-165 quarta stropha silvae quae inscribitur Vanità de’ Pensieri umani in G343 150-155 Ma se ~ doglia] Nostro pensier non teme: / solo a sua voglia i Lauri suoi

depone / e sol dai troni volontario scende, / ed allor la magnanima ragione / non avvien che sen dolga G

344 158 non] nè G pompe] fasti G345 de ex per corr. Cresc. in A346 166-184 quinta stropha silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G347 171 i Duci eccelsi] i sommi Duci G348 172 Alta quiete allora G349 176 forsenata] sfortunata G

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Quivi non teme350 il Soleveder novo Tiestea l’orrende d’Atreo Mense funeste.

Ma351 perché il vero entro sua Luce avvolgeal fin l’umane Menti352

e di sue voglie le colora e imprime,ecco da l’auree mura a noi sen vienestuol d’Illustri e Potenti353

che cangia il chiaro suo stato sublime:oblia le glorie primee i Titoli superbi354

di pastorali nomi adombra e copre.Vago di placid’oprei suoi desir commettea nostre Leggi; et or che tanta partedel355 Mondo armata segueil fero suon di Marte,qui solo d’ascoltar prende dilettole boscherecce avenee gl’innocenti Carminon usi a provocar l’ira dell’Armi.

So356 che di questi fortunati orrori357

ospiti furo un tempo i Numi e i Fati.Qui i secreti del Cielostavano senza velo,qui il parlar degli Dei Carmenta intese358

e tesoro si fea dentro sua mentede’ pensieri di Giove, e qui soventesi forniva lo sguardodi luce tale, onde potea le cosevedere in seno359 de l’etati ascose.

Ora360 tu vedi, avventuroso Colle,

350 182 Quivi non teme] Niun di lor paventa delevit et quivi non teme in interlinea scripsit Cresc. in A, né teme quivi G

351 185-202 sexta stropha silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G352 185-186 Ma ~ Menti] Ma perché spande il vero / alfin suoi raggi entro l’umane

menti G353 189 Pastoriti ante Potenti del. A354 192 superbi] fastosi G355 Del corr. ex Pel Cresc. in A356 203-212 tertia stropha silvae quae inscribitur Gli Arcadi sul Colle Palatino in G357 203 So ~ orrori] So che di questi tuoi / avventurosi orrori G358 207 intese] udiva G359 212 seno] grembo G360 213-28 quarta et quinta stropha silvae quae inscribitur Gli Arcadi sul Colle

Palatino in G

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di nova luce le tue Selve ornarsie d’alme voci i tuoi silenzi pieni361.Qui i bei Genii362 Serenie le ricchezze loro e ’l Carro eternoposer363 le Sacre Muse, e fra lor Regnigià te chiamano a nome364;e qui de’ Lauri tuoi s’orna le ChiomeFebo, che spesso nel tuo seno scende365

e l’Arcade Siringane’ suoi Celesti Modi a ispirar prende.Tanto s’allegra entro i felici suonicon la memoria de’ suoi primi ardoriil buon Dio de’ Pastori,che, caldo il seno di pensier sì lieti,suol svelar di Natura alti secreti366.

Sin367 che vera Virtute e i Santi Numitalento avran di custodirci in petto368

queste369 Leggi e Costumi,tu de le bionde Grazie Albergo elettosarai, Colle felice,e in ogni dura etatetu fiorirai di gloria e di venture,né invidieranno i tuoi dolci riposi370

il Tessalico Monte,che nel sereno eterno erge la fronte.

361 213-215 Ora ~ pieni] Or mirerai tuoi boschi / di novi (nuovi R et 1727) lumi ornarsi / e d’auree voci i tuoi silenzj ir pieni G

362 216 bei Genii] lor genj G363 218 poser] porran G364 219 già te chiamano] te chiameranno G post nome G habet Né in ciò verrà che il

tuo SIGNOR si sdegni: / Latin sangue FARNESE / ver l’Aonie Reine / non mai produsse Cavalier scortese, / ed Esse furo a Lui / e di sua Gente alle bell’opre antiche / in ogni tempo amiche.

365 220-221 e qui ~ scende] Ecco già Febo scende / ne’ tuoi dolci recessi / e già de’ lauri tuoi s’orna le chiome. / Ecco che l’aurea Cetra a un ramo appende G (ex Ecco quinta stropha incipit in G)

366 224-228 Tanto ~ secreti] Quanto s’allegra e di piacer s’accende / il buon Dio de’ Pastori /entro i felici suoni / su la memoria de’ suoi primi ardori, / e caldo il seno di pensier sì lieti / già svela di Natura alti segreti! G

367 229-238 sexta et ultima stropha silvae quae inscribitur Gli Arcadi sul Colle Palatino in G

368 230 petto ex p‹tres litterae non leguntur›e correxit Cresc. in A (le lettere centrali non si leggono più; è ricalcato sopra)

369 231 queste] nostre G370 236 né ~ riposi] né invidiar potranno i tuoi riposi G

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Or371 non mai l’aspra d’oro372 avida sete,né mai superba Curadi Cittadini onori in noi s’accenda,né invida voglia oscura373

i nostri petti assaglia,né il parlar de le Corti Arcadia apprenda374.Pria che da me s’offendanostro Costume e l’Innocente Legge375,al mio povero Greggeoffran veneno i fontie suoi bei lampi ancoraa la Capanna mia neghi l’Aurora.

Erilio Cleoneo376

371 239-250 septima et ultima stropha silvae quae inscribitur Costumi degli Arcadi in G

372 239 Or ~ d’oro] Non mai l’aspra dell’oro G373 242 né voglia invida oscura G374 244 prenda delevit et apprenda in linea scripsit Cresc. in A375 246 il nostro aureo costume / e la soave Legge G376 Erilus nomen suum manu sua scripsit. Infra textum Cresc. scripsit Ragunanza per

la rogazione e pubblicazione delle leggi. Alfes. Cust.

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AL SIGNOR PRINCIPE DI CASTIGLIONED. TOMMASO D’AQUINO

GRANDE DI SPAGNA

La promulgazione delle Leggi di Arcadia377

Io non adombro il verocon lusinghieri accenti:la bella Età dell’oro unqua non venne.Nacque da nostre mentientro il vago pensieroe nel nostro desio chiara divenne.Spiegò sempre le pennela gran Ministra alataa i fochi378 d’Etna intorno,ove per provveder l’ira di Giovesempre di fiamme nove379,stancò i Giganti ignudisu le380 fatali incudie per le vie del Ciel corse e ricorseintenta sempre a’ suoi severi uficj.Or, se del Fato infra i tesor feliciil Secol d’or si serba,certo so ben che non apparve ancoraun lampo sol della sua prima Aurora.

Chiude nostra Naturain mente gli aurei semionde sorger potrian l’Età beate,ma il suo desir, che è cieco e incontro al ben s’indura,da così bel pensiero la diparte.Vedete come in cartesi ragiona di Lei, che in seno accoglietante feroci vogliee col loro piacer sol si consiglia;vedete come a sè sempre somigliae come spira all’Innocenza in pettolampi e faville di vendetta e d’irae come poscia tesse atroci ingannivelando di virtute anco i Tiranni.

Io non invan su questo Colle istessoal popol di Quirino

377 dedicatio titulusque desunt in R378 fuochi R379 nuove R380 sulle R

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un giovanetto Cesare rammento:quei che si vide impresso del bel genio Latinoe che un lustro regnò placido e lento;quegli che poscia spenseogni sua bella luce e il ferro miseentro il materno senoe guardò le ferite e ne sorrise;quei che la Patria infra le fiamme uccise,sicchè squallido il Tebro uscì dall’ondee di Roma in veder l’orrida immagostesa per l’ampia valle,sospirando gridò “Giunto è Annibballe,tutto di sangue e di ruine vago,su i Sette Colli a vendicar Cartago”.

Non perché il viver nostrogiace lontan dalle Città superbee siede alle bell’ombre e in riva ai fonti,e non ancor si è mostrocaldo dell’ire acerbee non cerca fregiar d’oro le fronti,già noi sarem men prontio impotenti a turbar nostro costume;e qual Pastor fra noi tanto presumeche pensi di poter dentro le Selvemenare i giorni suoi lieti e ridenticome le antiche favolose Genti?

Quel soave talentoche sì ad amar ne accendeio credo ben che scenda dalle Stelle: vien da quei santi lumiin cu sfavilla e splendeil chiaro seme delle voglie belle,ma giunto in quella parte ove ribelleforza s’infiamma ed a ragion contrasta,l’origine celesteall’innocente ardor sola non basta.Novo desìo si vesteove si alberga e vive,così talor Virtute,se pon ne’ tetti de’ Tiranni il piede,senza sua gloria e libertà sen giace,ch’ivi cangia costume o pur soggiace.

Il violento e torbido sospetto

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anco in noi desta i suoi pensier feroci,che si vedrian di sangue e381 d’ira tinti,se non che sotto mansuete vocivelan le fiamme in petto,però che povertà gli tiene avvinti;ma da soverchio ardor potrian sospintianco recarsi in mano il ferro e il toscoe funestare il bosco,e se Fortuna con sereni augurjper le nostre Campagne un dì passassee lampeggiando entrasselieta ne’ nostri poveri Tugurj,avrian da noi, chi il crederia382, rifiutole pastorali Muse, e quel dilettoche abbiamo in acquistar gloria dai Carmisorgerebbe dall’Armie diverrebbe del canoro ingegnotutto l’ardore alto desìo di Regno.

Fu pur Romolo anch’ei Pastor del Lazioe come noi reggeva armenti e greggee si vestìa di queste spoglie irsute,quando de’ boschi saziomosse l’aratro a quel terribil solcodonde fur le gran mura uscir vedute.Allor la mansueta sua virtutecangiò spirto e coloree tanto bebbe del fraterno sangueed orma tale di furore impresseche l’acerba memoria ancor non languee ancora offende e oscurail gran natal delle Romane mura.

Or voi recate il freno,o sante Leggi, alle nascenti vogliee gli Arcadi Pastor per man prendete.Voi di natura illuminar potetela fosca e dubbia luce;se voi non foste in nostra guardia destenostra mente faria sempre viaggio in su le383 vie funesteed Arcadia vedrestepiena solo dell’opre orrende antiche.

381 o R382 crederia! R383 sulle R

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Or voi splendete al viver nostro amicheché, se indugiasse il Fatoa recarne i felici imperj vostri,governo avrian di noi furori e mostri.