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“OL GIACUMÌ PUSTÌGiacomo Tagliaferri nasce a Pezzolo il 27 aprile 1905 primogenito di Giuseppe e Margherita; la sua famiglia, detta dei “Pustì”, appartiene al Casato dei “Caalirì”. Pezzolo è una piccola frazione dell’allora comune di Oltrepovo, unito poi nel 1927 a Vilminore per formare l’attuale comune di Vilminore di Scalve, in provincia di Berga- mo. Il 23 aprile 1925. Giacomo viene chiamato alla visita di Leva al Distretto Militare di Bergamo. Dal suo Ruolo Matricolare: Statura m. 1,69 – torace m. 0,94 – capelli castani, lisci – occhi castani; di professione minatore. È ritenuto abile ed arruolato, matricola n° 9142. L’8 maggio 1925 viene chiamato alle armi ed il giorno seguente entra a far parte del 6° Reggimento alpini, Battaglione “Edolo”. (L’”Edolo” tornerà a far parte del 5° Regg. alpini nel 1934).

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“OL GIACUMÌ PUSTÌ”

Giacomo Tagliaferri nasce a Pezzolo il 27 aprile 1905 primogenito di Giuseppe e Margherita; la sua famiglia, detta dei “Pustì”, appartiene al Casato dei “Caalirì”. Pezzolo è una piccola frazione dell’allora comune di Oltrepovo, unito poi nel 1927 a Vilminore per formare l’attuale comune di Vilminore di Scalve, in provincia di Berga- mo.

Il 23 aprile 1925. Giacomo viene chiamato alla visita di Leva al Distretto Militare di Bergamo. Dal suo Ruolo Matricolare: Statura m. 1,69 – torace m. 0,94 – capelli castani, lisci – occhi castani; di professione minatore. È ritenuto abile ed arruolato, matricola n° 9142.

L’8 maggio 1925 viene chiamato alle armi ed il giorno seguente entra a far parte del 6° Reggimento alpini, Battaglione “Edolo”. (L’”Edolo” tornerà a far parte del 5° Regg. alpini nel 1934).

27 settembre 1926, mandato in congedo illimitato per fine ferma; gli è concessa la dichiarazione di aver tenuto buona condotta ed aver servito con fedeltà e onore.

Durante la ferma ha frequentato il corso di sciatore con risultato buono ed ha con- seguito la qualifica di “Tiratore di 1a categoria, col moschetto”.

27 novembre 1932. Si presenta alla chiamata di controllo del comune di Vilminore.

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Tra la fine della ferma e la chiamata di controllo del 1932, sappiamo che ha lavorato anche alla costruzione della diga del Barbellino (1926 – 1931). Naturalmente, data l’età, si trovava anche il tempo per fare baldoria.

“Compagnia Briscoli”: dietro a sin.Giacomo Morelli, davanti ‘ a sin. Pietro "Fantine", a dex. Giacumì e dietro a dex ...

Ma gli anni passano e non è sempre festa: si parte per l’Eritrea!

Ricordo che “Giacumì” mi accennava ad una sua attività in proprio, mi pare come piccolo trasportatore, durante la sua permanenza in Eritrea. Con lui vi era sicura-mente il fratello Mario che era il cuoco del gruppo. Sono certo di questo perché ri -cordo che lo stesso Mario un giorno cucinò e portò in tavola al fratello, e ad altri, un pitone, naturalmente senza svelare di che carne si trattasse, lo rivelò solo a pranzo concluso; ebbene, Giacomo mi disse che era buono, pareva tonno! In Eritrea, che era la nostra più importante colonia dell’Africa Orientale, vivevano migliaia di italiani e pure un buon numero di meticci, figli di nostri connazionali e donne del posto. Vennero eseguiti molti lavori, edili, stradali, ferroviari, oltre a chie- se, cinema ecc. vi era quindi per gli italiani più intraprendenti l’occasione per met- tersi in proprio e crearsi delle attività lavorative.

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Ferrovia tra Baresa e Ghinda

Stazione di servizio FIAT Tagliero

Ma…

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8 aprile 1941. Cade Massaua col suo importantissimo porto; nel tardo pomeriggio l’ammiraglio Bonetti, comandante della piazza, si arrende con 960 uomini alla 7a e 10a Brigata di Fanteria indiana e alla Brigata di Francia Libera. Anche Giacomo viene catturato e fatto prigioniero dagli inglesi . Dai documenti di prigionia risulta far parte del Battaglione Nazionale di Fanteria Coloniale con n° di matricola 261308.

Negli anni 1941/42 furono 66.732 i soldati italiani portati nei campi di prigionia in- glesi in India, la metà dei quali verranno trasferiti in Australia, tra questi Giacomo.

Trasferito a Bhopal, nell’India centrale, nel Campo di prigionia, “P.O.W. Camp”, n° 12; il n° 15 era adibito ad ospedale il cui direttore era il capitano medico Carlo Trerotola. Il caldo era soffocante e le condizioni di vita molto dure, anche per la popolazione locale; l’acqua veniva pescata dal vicino lago Upper Lake e di conseguenza prolifera- vano le malattie infettive.

Campo di prigionia inglese in India.

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I prigionieri lavoravano e venivano retribuiti con una speciale moneta creata apposi- tamente per loro: l’”Anna”. Per una giornata lavorativa guadagnavano 10 “Anna” ed il tutto era segnato su un libretto paga, il “Pay-book”.

Si parte per l’Australia!

26 aprile 1944. Sbarca a Melbourne con la nave “Mariposa”. Viene registrato come Prigioniero di Guerra Italiano n° 61731.

Dai nuovi documenti australiani all’arrivo risulta pesare kg. 69, ma essere di colo- rito “giallastro” e con una cicatrice sul naso. Viene internato in alcuni campi del Western Australia vicini alle foreste dove, con gli altri prigionieri, di giorno viene accompagnato a lavorare come boscaiolo. Nell’agosto del 1945 risulta ricoverato per pochi giorni in ospedale per una costipa- zione.

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12 luglio 1946 si da alla fuga!

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A proposito della fuga:

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Mi raccontava che quando andavano al lavoro erano solitamente accompagnati da alcune guardie armate. Dopo aver studiato il piano di fuga, un mattino strappò di mano al soldato che gli camminava accanto il fucile che teneva imbracciato, “ü bar- bisù”, glielo battè in testa, lo gettò lontano e poi si inoltrò correndo nel bosco fino ad eclissarsi. Evidentemente si era preparato prima qualche contatto tra i contadini ed i boscaioli residenti, poiché venne ripreso circa tre anni più tardi.

Infatti, dai documenti:

3 giugno 1949. Catturato a Perth. E quindi…

28 giugno 1949. Imbarcato sulla nave “Surriento” e rimpatriato.

Moto-nave "Surriento"

Per l’Esercito Italiano la lunga vicenda militare era invece finita così:

4 giugno 1948. Collocato in congedo illimitato.

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Al ritorno dall’Australia le condizioni di vita e di lavoro al suo paesello erano vera- mente difficili, si sfiorava la miseria. Lo testimoniano gli scritti registrati dal parroco, don Giuseppe Premarini, sul suo “Liber Cronicon”, annotava infatti al suo arrivo, nel 1947: “Ci si sfama in maniera indegna ad esseri umani!”. Fortunatamente dopo alcu- ni mesi, agli inizi degli anni ’50, riaprirono le miniere della Manina e molti uomini vi trovarono lavoro; pur se pesante e pericoloso poterono portare a casa uno stipendio. Siamo certi che anche Giacomo vi lavorò, nel 1958, ad esempio, faceva parte della Commissione interna che rappresentava i minatori; per un certo periodo di tempo, so che era stato un ottimo capo squadra.

Dopo una delusione amorosa, che si può definire una vera e propria fregatura, non si volle più sposare, ma negli ultimi anni di vita, durante i quali eravamo diventati amici pur avendo quasi 50 anni di differenza d’età, mi raccomandava di non fare altrettan- to! Aveva una caratteristica, unico in paese, quella di parlare in italiano anziché in dialetto; note alcune sue esclamazioni improvvise: “Caspita!” o “Accipicchia!”. Gli era rimasta anche qualche reminiscenza del periodo passato con gli anglo-austra- liani; naturalmente ripeteva quello che aveva imparato da subito: le parolacce, pro-nunciate, però, in una lingua inglese adattata. “Vai a farti fottere” diventava così: “Fòcchio bastèt” , alla scalvina…

Amante dei giovani e della compagnia visse solo ed indipendente fino all’ultimo giorno. Colpito da un male che non perdona, si spense a Pezzolo nel giugno del 1982, all’età di 77 anni.