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HOMELESS L'aria sa di mare del nord e un sole ubriaco sbuca dalla finestra. Ronza una luce al neon rimbalza sulle pareti d?un bianco trascurato. Appesa al muro c'è la faccia sorridente di un uomo in gessato blu. Sembra felice, o sa fingere bene. Io sono qui,seduto, a fissare un tavolo scuro, lucido e freddo. E tu mi chiedi chi sono. Per mestiere, suppongo. Per semplice e stupida benevolenza. Credi che dare un nome alle cose possa salvarti o che siglare la sorte possa cambiarne la rotta. Portiamo in tasca delle colpe mai cercate, responsabili solo di non sapercele scrollare di dosso, fastidiose come la tosse profonda che raschia la gola. Fardelli calcolati, peccati in conto prestito, buoni forse per farci condonare qualche castigo divino. E se proprio siamo uomini, la sofferenza non ci spaventa troppo, da qualche parte il male si deve pur sfogare. Logica contadina del magro raccolto, della natura gramigna che va pur sempre rispettata. Farnetico a bocca chiusa sentenze che non udirai. Perché la mia pazzia è la saggezza di un tempo difforme. Ancora aggrappato al buon cuore di Dio o alle distrazioni del demonio, non v'è poi troppa differenza. Homeless. Quelle che ho sono poche certezze, poco più forti di un dubbio. E le ripeto come filastrocca per la mente stanca, per macinare quell'unico pensiero lasciato su molti letti di case diverse. L'uomo che dorme è un animale stanco ma con i muscoli tesi. Allenati alla lotta serrata, la mascella socchiusa. E sorridere è un vezzo da bambini, ormai. Per questo cammino a piedi scalzi, per non essere schiavo di nessun mestiere, libero di non essere chiamato uomo. Sei fatto di sangue e carne. D'acqua e di fiele che ti scorre nelle viscere. Polmoni, stomaco e un fegato bistrattato dal troppo volere. Ben che vada un po' di cervello. E potrebbe già bastare. Ma hai il viso pulito, di chi non prova vergogna. Sterile come maschera di gomma, medico dei tuoi stessi fantasmi. Alcolico delirio di un vecchio perdente, con quei quattro stracci che mi porto addosso e quel ghigno sdentato che sputa rabbia e sangue. Eppure è solo una questione di prospettive. Un girotondo di occhi intorno ad un tavolo e mani bramose ad inseguire la fortuna, segugi della fretta. La verità rotola, come biglia di vetro da due soldi, buona per far giocare i bambini. E nemmeno la riconosci se per strada senti grida di vittoria. Pensi alla gioia molesta dell'età acerba e non ti accorgi che hai occhi di cristallo. Da infrangere contro il muro della stupidità. Dovresti biascicare parole sconnesse e rasentare i muri di questa città. Per graffiare l'anima e staccare polvere dalle pareti. Menestrello metropolitano, ignaro eroe di una sommossa popolare. Il potere sta nel silenzio, negli sguardi ammonitori,nei gesti quotidiani di cortesia, nei modi gentili delle madri per bene. Nelle preghiere e nelle eresie. Nelle cinture rifinite in oro, briglie per cavalli di razza. Giovani puledri scalpitano per vincere, la corsa è appena cominciata. Sarai il cavallo vincente, ragazzo mio. Lo si vede nel riflesso dei tuoi occhi, senza ombre per la via. Che gli scheletri sono solo poveri resti, polvere di altre vite che non ti appartengono. Come capitano d'altri tempi, esegui gli ordini, concedi o punisci, esegui o subisci. Poco conta che a pagare sia la storia. Il tempo è un alleato infedele. Poco incline alla memoria, facile a decolorare fra le pagine di un registro.

HOMELESS

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Il mio racconto a Luccautori

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HOMELESS

L'aria sa di mare del nord e un sole ubriaco sbuca dalla finestra. Ronza una luce al neon rimbalza sulle pareti d?un bianco trascurato. Appesa al muro c'è la faccia sorridente di un uomo in gessato blu. Sembra felice, o sa fingere bene.Io sono qui,seduto, a fissare un tavolo scuro, lucido e freddo.E tu mi chiedi chi sono.Per mestiere, suppongo. Per semplice e stupida benevolenza.Credi che dare un nome alle cose possa salvarti o che siglare la sorte possa cambiarne la rotta.Portiamo in tasca delle colpe mai cercate, responsabili solo di non sapercele scrollare di dosso, fastidiose come la tosse profonda che raschia la gola. Fardelli calcolati, peccati in conto prestito, buoni forse per farci condonare qualche castigo divino. E se proprio siamo uomini, la sofferenza non ci spaventa troppo, da qualche parte il male si deve pur sfogare. Logica contadina del magro raccolto, della natura gramigna che va pur sempre rispettata.Farnetico a bocca chiusa sentenze che non udirai.Perché la mia pazzia è la saggezza di un tempo difforme. Ancora aggrappato al buon cuore di Dio o alle distrazioni del demonio, non v'è poi troppa differenza.Homeless.Quelle che ho sono poche certezze, poco più forti di un dubbio. E le ripeto come filastrocca per la mente stanca, per macinare quell'unico pensiero lasciato su molti letti di case diverse.L'uomo che dorme è un animale stanco ma con i muscoli tesi. Allenati alla lotta serrata, la mascella socchiusa. E sorridere è un vezzo da bambini, ormai.Per questo cammino a piedi scalzi, per non essere schiavo di nessun mestiere, libero di non essere chiamato uomo.Sei fatto di sangue e carne. D'acqua e di fiele che ti scorre nelle viscere.Polmoni, stomaco e un fegato bistrattato dal troppo volere. Ben che vada un po' di cervello.E potrebbe già bastare.Ma hai il viso pulito, di chi non prova vergogna. Sterile come maschera di gomma, medico dei tuoi stessi fantasmi.Alcolico delirio di un vecchio perdente, con quei quattro stracci che mi porto addosso e quel ghigno sdentato che sputa rabbia e sangue.Eppure è solo una questione di prospettive. Un girotondo di occhi intorno ad un tavolo e mani bramose ad inseguire la fortuna, segugi della fretta.La verità rotola, come biglia di vetro da due soldi, buona per far giocare i bambini. E nemmeno la riconosci se per strada senti grida di vittoria. Pensi alla gioia molesta dell'età acerba e non ti accorgi che hai occhi di cristallo. Da infrangere contro il muro della stupidità.Dovresti biascicare parole sconnesse e rasentare i muri di questa città. Per graffiare l'anima e staccare polvere dalle pareti. Menestrello metropolitano, ignaro eroe di una sommossa popolare.Il potere sta nel silenzio, negli sguardi ammonitori,nei gesti quotidiani di cortesia, nei modi gentili delle madri per bene. Nelle preghiere e nelle eresie. Nelle cinture rifinite in oro, briglie per cavalli di razza. Giovani puledri scalpitano per vincere, la corsa è appena cominciata.Sarai il cavallo vincente, ragazzo mio.Lo si vede nel riflesso dei tuoi occhi, senza ombre per la via. Che gli scheletri sono solo poveri resti, polvere di altre vite che non ti appartengono.Come capitano d'altri tempi, esegui gli ordini, concedi o punisci, esegui o subisci.Poco conta che a pagare sia la storia.Il tempo è un alleato infedele. Poco incline alla memoria, facile a decolorare fra le pagine di un registro.

Numeri in fila, come briciole di pane con cui nutrire la mente nei momenti di lucida serenità. E sono rari ormai. Non per lacera volontà, piuttosto per quel laconico tremore di mani che non sanno afferrare nemmeno il cibo. Muscoli piatti e qualche ossa mi fan da sostegno, la miseria del tuo malcelato disprezzo almeno mi consola.Ragazzo, la compassione è cosa di pochi, è l'amore servile di giovani spose, è devoto sacrificio di padri stremati.Tu invece conosci la pietà. Amore di quart'ordine, elemosina di cuori aridi.Ancora chiedi il mio nome.Dovresti sapere che la vita è un'orfana in cerca di un cognome perché di un nome non sa che farsene. Ingrata, alle volte complice, poi di colpo inetta e di nuovo sorella. E' una donna con troppi vestiti ma nessun uomo che la voglia accanto.Mercenaria della sorte e di chi la voglia per sé. Per questo io non sono nessuno.Nessuno.Sono perso fra la folla, seduto sui gradini di una chiesa.A contare passi di gente diversa, a vedere bambini muoversi intorno. Come operai di un destino già scritto, costruiscono case per sogni di cristallo e riparano il cuore dal vento freddo di una primavera ingrata. Cappotti lunghi e passo svelto, infilano strade ancora bagnate mentre l'anima si inzuppa di fumo.Anelli fugaci che sposano il vento, fedeli al senso ostile di un successo di plastica.Ho una medaglia d'anni fa, d'oro scuro ormai. Perché sono un generale e di militare m'è rimasto il carattere. Le divise le ho lasciate sotto troppi temporali, sgualcite dalle battaglie del tempo più che dall'odio degli uomini. Colpi per aria, scoppi di festa. Non è più tempo di conquista.Luminarie leggere di sagra paesana e profumi intensi di zucchero e miele, l'aria sa di gioia. Ed io guastatore perenne, incrocio sguardi che subito s'abbassano, a cercar per terra alibi di carta colorata, stelle filanti e cibo fritto.Sii fiero di quel che non hai, dei rimpianti lasciati a seccare, delle donne amate per poco.Perché si passa nel mondo, senza una meta precisa, buttati a testa bassa ad inseguire la luna.Così vivo sottosopra: con l'animo ballerino e la mente di marmo, con le mani di burro e il cuore di ghiaccio.Forse.Io sono qualcuno.Non ancora un uomo.Un vecchio bambino allattato per poco, col sangue acido ed i muscoli molli. Rannicchiato, piegato, accoccolato nella tana del mio tempo.Lontano. Ti guardo passare e schivare, evitare sottilmente di guardare.Ho occhi chiari e mi fanno male. D'azzurro di mare lontano,vezzo per giovani donne del 1940 da custodire sotto il cuscino.Era bello l'amore. Era un gioco infantile in cui non si perdeva che un po' di stupidità. Dentro ad un bar, nascosti, a far promesse. Che del mondo non eravam padroni e spesso nemmeno dei nostri vestiti. Poveri resti, girano in testa.Ruba del tempo, ragazzo mio.E poi brucialo. Come fiammifero fra i doveri, fra pegni di vita presa a prestito.Non dovresti biasimare la libertà. Camminare non è solo mendicare.E'scoprire e servire. Liberare e conquistare quel senso malvagio che mi rende diverso.Malato diresti. Esule e ramingo.Ho una voce graffiata e parole trascinate. Come note allungate da una sigaretta di troppo, storpiate e sconnesse dentro ai polmoni.Tosse scura esce alle volte, castigo meritato. Ma del resto, bisogna avvelenare il cuore giovane, per sopravvivere alla noia. Dormire, con la mente vigile. Sedare, la coscienza nobile.E il cuore debole ancor mi sopporta, figlio d'un padre di mano pesante.

Si poggia l'ombra sul muro freddo, mi vedo distorto trascinare passi e fagotti senza saperne il motivo.Canto.Alla gente straniera che mi viene incontro, alla sera che s?avvicina, alla notte che mi aspetta.Al mondo ancora aperto per chi non ha sogni da consumare.E tu che ti perdi dentro il silenzio che mi è fratello, segni su un foglio un paio di croci.Per ritrovarmi, un giorno in qualche anfratto ad aspettare ancora il tuo aiuto sommesso.Mi chiedi di fermarmi ma io non faccio più regali.Per generosa concessione del mio cuore ubriaco. Alterato, tamburo a singhiozzo e quindi ribelle alle buone maniere. Maleducato ma non volgare. Forse solo ruvido, come la mia pelle. Abituata a resistere al freddo, al tempo, alle stagioni.Sto fuggendo dai facili servi, dai padroni bonari, da tutti i soldati votati alla resa.Io cerco ancora fragore di bombe e scoppi lontani di altre battaglie, perché ho un dovereda rispettare.E poco conta se urlerò vittoria o piangerò sconfitta.Mantengo la posizione.Pronto ad eseguire il comando.Non ho colpi in canna ma imbraccio il fucile. Come un animale da difesa digrigno i denti e sbuffo fiato corto.Perché quel che conta è la fierezza e la prontezza, l'ardore degli eroi.A perenne monito.Ai tuoi giovani anni, al tempo che ancora non ti appartiene. Agli sbagli che ti faranno cadere.Sulla strada piangono uomini. Sulla strada amano i deboli.Io resto.Ad aspettare buon tempo, nuova primavera. Per lasciare quattro stracci a prender polvere, fa che sembrino dimenticati.Non abbandonati.E sarò altrove.Perché non si cammina mai invano.Sia in cielo che in terra.

Luccautori

Racconti nella Rete 2004