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STATE OF THE WORLD 2010 TRASFORMARE LA CULTURA DEL CONSUMO Worldwatch Institute Rapporto sul progresso verso una società sostenibile Prefazione di Muhammad Yunus QUESTO VOLUME È RACCOMANDATO DA WWF ITALIA ANNUARI state of the world 2010 worldwatch institute

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STATE OF

THE WORLD 2010

TRASFORMARELA CULTURADEL CONSUMO

Worldwatch Institute

Rapporto sul progresso verso una società sostenibilePrefazione di Muhammad Yunus

QUESTO VOLUME È RACCOMANDATODA WWF ITALIA

ANNUARI

Riformare la cultura del consumoormai consolidata e diffusa in tutto il mondo può sembrare un’impresaimpossibile. Le molteplici realtàdescritte nel rapporto del Worldwatchdi quest’anno vi convinceranno del contrario.

State of the World 2010 documenta il nuovo slancio con cui sta crescendola cultura della sostenibilità. Natespesso dalle esperienze pionieristichedegli ecovillaggi, pratiche come il cohousing, la permacoltura e i farmer’s market stanno guadagnandoterreno nelle città, diffondendo i concetti cardine dello svilupposostenibile. Gli effetti si riscontranoanche in Italia dove, ad esempio, le mense scolastiche hanno già iniziatoa rivedere il proprio menuintroducendo alimenti biologici. Gli ambiti in cui si stanno muovendo i primi passi sono molti: dall’istruzionealla gestione delle aziende, dal mondodella pubblicità fino a interi sistemicome quello sanitario (che oggi sioccupa di curare i sintomi dellemalattie piuttosto che puntare sullaloro prevenzione e sulla promozione di stili di vita salutari) e quellolegislativo (gli attuali sistemi legislativie giuridici sono ancora molto carentisul fronte del riconoscimento dei diritti della Terra). Un grandecambiamento culturale è ormai in attoe il giorno in cui vivere in modosostenibile sarà del tutto naturale non è più così lontano.

Il Worldwatch Institute è considerato il più autorevole osservatorio sui trend ambientali del nostro pianeta. L’Istituto ha come obiettivo quello di favorire l’evoluzione verso una società sostenibile, in grado di dare risposta ai bisogni umani senza minacciare la sopravvivenza dell’ambiente naturale e le prospettive delle generazione future.

Gianfranco Bologna cura da 23 anni l’edizione italiana dello State of the World. È direttore scientifico del Wwf Italia e del suo programma sostenibilità; è segretario generale della sezione italiana del Club di Roma, Fondazione Aurelio Peccei. Tra i suoi libri: Pianeta Terra(Mondadori, 1990), Nelle nostre mani(Mondadori, 1993), Italia capace di futuro(Emi, 2000) e Manuale della sostenibilità(Edizioni Ambiente, 2a ed. 2008).

24,00 euro

978-88-96238-39-4

state of the world 2010

worldwatch institute

“Sembra evidente che la sola consapevolezza del pericolo biofisico che sta correndo la nostra civiltà sia insufficiente a stimolare i cambiamenti necessari per evitarne il collasso. Occorre una comprensione più ampia del modo in cui le culture si modificano, il che sottolinea l’urgenza da parte della società globale di concentrarsi sulla necessità di una rivoluzione culturale.”

Paul e Anne Ehrlich

Il consumismo è una pratica autodistruttiva. Gli odierni stili di vita stanno minando la salute dell’ecosistema terrestre e mettono a rischio le economie in gran parte del mondo. La principale minaccia alla nostra sicurezza non è rappresentata da eserciti nemici o da gruppi terroristici, ma dal dissesto dell’ambiente e dei fragili equilibri ecologici in tutto il pianeta.Trasformare radicalmente la nostra cultura è possibile. Dobbiamo fare in modo che la sostenibilità diventi una regola di vita, una consuetudine naturale, tanto quanto la propensione al consumo lo è oggi. State of the World 2010 racconta come questa svolta sia già in atto in molte parti del mondo. Più vicine a noi di quanto si possa immaginare.

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Nei cinque anni appena trascorsi siamo stati testimoni di una mobilita-zione senza precedenti. Ripetuti sforzi sono stati compiuti per combatte-re la sempre più grave crisi ecologica mondiale. A partire dal 2005, inogni parte del mondo i governi hanno varato migliaia di nuove politiche.Centinaia di miliardi sono stati investiti in attività e infrastrutture menoimpattanti, e scienziati e ingegneri hanno notevolmente accelerato lo svi-luppo di una nuova generazione di tecnologie “verdi”, mentre i massmedia hanno puntato l’obiettivo sulle questioni ambientali, contribuen-do così a sensibilizzare l’opinione pubblica.Tuttavia, in mezzo a tutto questo fermento di iniziative, un aspetto dellaquestione è rimasto, come sempre, ai margini del dibattito, e spesso tra-scurato: la dimensione culturale del problema. Negli ultimi cinquant’an-ni il consumismo si è imposto quale cultura dominante in un paese dopol’altro. È diventato uno dei motori dell’inarrestabile crescita della doman-da di risorse e della produzione di rifiuti che sono il marchio distintivodella nostra epoca. L’attuale portata degli impatti ambientali è di certolegata a fattori quali un’esplosione demografica senza precedenti, la dif-fusione di un certo livello di ricchezza e benessere, e una serie di scoperteepocali in campo scientifico e tecnologico. Ma è altrettanto innegabileche il consumismo è corresponsabile di questa situazione, in quanto hacontribuito a incentivare – e ad amplificare oltre misura – le altre forzeche hanno permesso alle nostre civiltà di crescere oltre il limite di sop-portazione dei rispettivi contesti ecologici.Molte delle diverse civiltà del mondo hanno origini millenarie. Le loroantiche radici culturali consentono a interi popoli e a singoli individui didare un senso alla propria esistenza, di gestire i propri rapporti e relazio-narsi sia con gli altri sia con l’ambiente naturale. Gli antropologi hannoscoperto che molte civiltà meno tecnologizzate mettono al centro dellapropria cultura il rispetto per il sistema naturale che le supporta, e quin-di la volontà di tutelarlo. Purtroppo, molte di queste civiltà sono ormai

introduzione

Christopher Flavin

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andate perdute, insieme alle lingue e alle conoscenze che per millenniavevano coltivato e conservato. Sono state emarginate e soppiantate dauna cultura “globale” (quella del consumismo) che si è imposta innanzi-tutto in Europa e nel Nord America, ma che sta ormai invadendo anchei più remoti angoli del pianeta. La cultura consumistica ha un’elevatacapacità di seduzione e penetrazione. Influenza tutto e tutti. Gli econo-misti sono convinti che negli ultimi decenni abbia giocato un ruolo chia-ve nell’evoluzione degli assetti economici, stimolando la crescita dell’eco-nomia e una certa riduzione della povertà.Anche se queste considerazioni sono ormai universalmente condivise, èaltrettanto indubbio che la moderna cultura del consumo è alla base diciò che Gustave Speth ha definito Great Collision (la “grande collisione”)tra un pianeta con un certo patrimonio esauribile di risorse e l’inarresta-bile sfruttamento delle stesse da parte dell’umanità. Ogni anno, oltre 6,8miliardi di individui consumano senza sosta quantità crescenti di risorsemateriali, decimando i più ricchi ecosistemi della Terra e riversandomiliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera. Nonostante abbiamoiniziato a usare le “scorte” disponibili in modo più efficiente (l’efficienzaè cresciuta del 30%), negli ultimi 30 anni il consumo di risorse è cresciu-to a livello globale del 50%. Nei prossimi decenni questa percentualepotrebbe crescere in modo esponenziale, quando oltre 5 miliardi di indi-vidui che attualmente consumano (a livello pro capite) un decimo dellerisorse consumate da un europeo medio cercheranno di conformarsi almodello di sviluppo e allo stile di vita tipico dei paesi ricchi.Nelle passate edizioni dello State of the World ci eravamo già occupati del-la dimensione culturale della sostenibilità, in particolare nell’edizione del2004, dedicata ai consumi. Ma l’argomento era stato trattato solo in modosbrigativo e approssimativo. All’inizio dello scorso anno Erik Assadou-rian, un collega del Worldwatch, mi ha convinto che non potevamo piùignorare un così colossale aspetto chiave. E dato che nella nostra redazio-ne nessuna buona idea resta inascoltata, Erik è stato nominato direttoreesecutivo dell’edizione 2010.Quella di riuscire a riformare un’impostazione culturale ormai consolida-ta, soprattutto se diffusa in tutto il mondo, può sembrare un’impresa ailimiti del possibile, se non impossibile. Ma i capitoli che seguono vi con-vinceranno del contrario, offrendovi numerosi esempi e testimonianze surealtà già in atto. Si tratta di iniziative portate avanti nei rispettivi campida autentici pionieri della cultura, ovvero da dirigenti d’azienda, funzio-nari governativi, insegnanti delle elementari e monaci buddisti. Tutti si

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stanno impegnando per convincere i propri clienti, elettori o pari che èmolto più vantaggioso optare per una cultura fondata sulla tutela del-l’ambiente naturale e su progettualità atte a garantire alle generazionifuture un tenore di vita paragonabile al nostro o perfino migliore.I valori religiosi possono essere rigenerati, i modelli di gestione aziendaletrasformati, i paradigmi didattici elevati. Anche chi lavora in campi comequello della promozione, dell’avvocatura e della musica può adottare com-portamenti ad hoc, capaci di promuovere la sostenibilità, piuttosto cheminarla.Il potere distruttivo delle culture moderne è una realtà che molti gover-ni, imprenditori ed economisti continuano ostinatamente a ignorare. Mail problema è profondamente sentito da una nuova generazione diambientalisti cresciuti in un’era segnata da limiti “globali”. I giovani han-no sempre rappresentato una forza culturale dirompente e spesso sonoun chiaro indicatore di dove una cultura sta andando. Lo State of the World2010 ha voluto documentare la benvenuta rinascita della cultura dellasostenibilità. Una rinascita di cui si sono resi attori, per esempio, giovanicinesi che si rifanno all’antica filosofia taoista, indiani che citano le operedi Gandhi, americani che seguono gli insegnamenti della nuova BibbiaVerde o europei che si ispirano ai principi scientifici dell’ecologia.Tuttavia, per garantire che questo rilancio delle idee verdi abbia successo,dobbiamo far sì che la sostenibilità diventi una regola di vita, una con-suetudine naturale, tanto quanto la propensione al consumo lo è ai gior-ni nostri. Lo State 2010 testimonia come questa svolta sia già in atto. InItalia le mense scolastiche hanno già iniziato a rivedere il proprio menùintroducendo alimenti sani, biologici e prodotti in loco, così da abituarei bambini a nuovi comportamenti alimentari. In centri suburbani comeVauban, in Germania, piste ciclabili, pale eoliche e farmer’s market (ven-dite dirette di prodotti agricoli) dove fare la spesa a chilometri zero stan-no notevolmente agevolando il passaggio a uno stile di vita sostenibile,rendendo tutto più facile a chi vuole cambiare rotta e più difficile a chinon intende farlo. Negli Stati Uniti, Ray Anderson, manager della Inter-face Corporation, ha adottato una politica aziendale radicale: non pren-dere nulla dalla Terra che la Terra non sia in grado di ricostruire. In Ecua-dor, i diritti del pianeta sono entrati a far parte della Costituzione, il cheha dato un forte slancio alla salvaguardia degli ecosistemi del paese, cosìda garantire un duraturo benessere alla popolazione.Le avanguardie della sostenibilità non sono ancora moltissime, ma sem-pre più spesso stanno facendo sentire la loro voce. E in un momento di

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profonda crisi economica ed ecologica come quello attuale, stanno otte-nendo un discreto ascolto. Proprio mentre il mondo sta combattendo unadura battaglia per riprendersi dalla più grave crisi economica globale daitempi della Grande Depressione, abbiamo un’occasione unica di cambia-re rotta e lasciarci il consumismo alle spalle. Le privazioni forzate a cui tutti ora sono costretti stanno spingendo mol-ti a riflettere sugli effettivi benefici di un sistema fondato su crescentilivelli di consumo, con l’apparato di debiti, stress e problemi sanitari cro-nici che ne consegue. Agli inizi del 2009 il Time Magazine proclamavache questa crisi avrebbe segnato la “fine degli eccessi”, e invitava gli ame-ricani a premere il tasto “reset” dei loro valori culturali. In effetti, moltihanno già iniziato a mettere in discussione la tradizionale cultura dei“cowboy”, acquistando autovetture meno potenti, trasferendosi in abita-zioni meno grandi e opponendosi all’incontrollato sviluppo urbanisticosuburbano che ha caratterizzato il periodo postbellico. Nei paesi poveri,gli svantaggi del “modello americano” sono al centro di un dibattito aper-to. Nel suo libro Moltitudine inarrestabile (Edizioni Ambiente, 2009),Paul Hawken documenta la recente nascita di numerose associazioni eorganizzazioni non governative che, nei contesti più disparati, si fannopromotrici di idee e iniziative per ridefinire il rapporto dell’uomo con lanatura e con i propri simili.Il consumismo rimane la cultura dominante (la propensione al consumosfrenato è ancora forte e radicata). Ma il suo potere seduttivo potrebbedimostrarsi meno duraturo di quanto molti pensino. Le nostre modernesocietà hanno iniziato a piantare il seme della propria autodistruzione giàda tempo. Ma alla fine il nostro istinto di sopravvivenza avrà necessaria-mente la meglio sull’impulso che spinge molti a consumare a ogni costo.

Christopher FlavinPresidente del Worldwatch Institute

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Nei paesi industrializzati, per la stragrande maggioranza dei bambini, lamensa scolastica è qualcosa da sopportare più che da gustare, un rito dipassaggio a un mondo adulto dove una dieta equilibrata è l’eccezione enon la norma, come dimostrano gli emergenti problemi legati alla catti-va alimentazione. Intendiamoci, nei paesi in via di sviluppo, milioni dibambini devono tollerare qualcosa di gran lunga peggiore: in molti casila mensa a scuola non c’è.Oggi, in alcune zone dell’Europa, America del nord e Africa le cose stan-no cambiando. Si è andati oltre i dibattiti sull’ipotesi che le istituzionipubbliche siano capaci di offrire un servizio di ristorazione scolastica piùsana. L’udienza è tolta: è senz’altro possibile, perché gli enti pubblici lostanno già facendo. Se utilizzato adeguatamente, l’appalto pubblico – ilpotere d’acquisto – può organizzare un servizio di ristorazione scolasticasostenibile che genera dividendi ambientali, economici e sociali promuo-vendo anche una cultura di sostenibilità. Una ristorazione scolastica sanasi associa generalmente a miglioramenti comportamentali, specialmentein termini di livelli di concentrazione e di capacità di apprendimento deibambini.1

Sebbene il potere d’acquisto sia stato usato con ottimi risultati per soddi-sfare priorità strategiche – tra cui emerge la creazione di tecnologie mili-tari negli Stati Uniti o l’energia nucleare in Francia – si usa raramente percose così prosaiche quali una buona ristorazione a base di cibi freschi inscuole, ospedali e strutture assistenziali. Fortunatamente, sempre più per-sone stanno cominciando a rendersi conto che un’alimentazione sana deveessere di per sé una priorità strategica proprio per dare valore all’insieme

riorganizzare la mensa scolastica:

il potere del piatto pubblico

Kevin Morgan e Roberta Sonnino

kevin morgan - professore di governance e sviluppo all’Università di Cardiff.roberta sonnino - docente di politica e pianificazione ambientale alla Scuola di pia-nificazione urbana e regionale all’Università di Cardiff.

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di salute umana, giustizia sociale e integrità ambientale, principi chiavedello sviluppo sostenibile. Il servizio di ristorazione scolastica è la provadel nove dell’impegno politico di una società allo sviluppo sostenibileperché si rivolge ai giovani e ai più vulnerabili i cui gusti e abitudini dipensiero sono ancora in formazione. Però, offrire un servizio di mensascolastica sostenibile è più insidioso di quel che sembra. Di fatto, nono-stante lo stereotipo che lo ritrae un servizio semplice, l’alimentazione ascuola è parte di un’ecologia piuttosto complessa in cui molte variabilidevono agire in sincronia. Per essere efficace, una riforma della ristora-zione scolastica necessita di cambiamenti in tutto il sistema, per via delleinterdipendenze coinvolte nel processo che porta il cibo dalla fattoria allaforchetta.

creare nuove generazioni di consumatori ben informati

Essendo parte integrante delle loro comunità, le scuole non possono risol-vere problemi sociali da sole, specialmente quando si tratta di qualcosadi complesso come le abitudini alimentari individuali. In quasi tutte lesocietà dove è stato diffuso, il messaggio di un’“alimentazione sana” si èscontrato con due imponenti ostacoli: è stato sopraffatto dal messaggiodi un’“alimentazione spazzatura”, che lo annienta in termini di spesa pub-blicitaria e la comunità della salute pubblica ha ingenuamente dato percerto che attraverso una diffusione delle giuste informazioni al pubblicosarebbe stato sufficiente a indurreun cambiamento culturale.Un’inclinazione al mangiar sano èun atteggiamento acquisito social-mente e dipende dall’apprendi-mento in famiglia o con gli amici,a casa o a scuola. Un approcciowhole-school (multicomponente,che coinvolga l’intera comunitàscolastica), che incorpora il messag-gio di un’alimentazione sana in unpacchetto educativo più ampio cherimarchi i legami positivi tra ali-mentazione, forma fisica, salute ebenessere psicofisico, può avere

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C’è di meglio: pranzo in una mensa di unascuola superiore negli Usa (Dylan Oliphant).

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un’influenza positiva sull’alimentazione dei bambini dentro e fuori lascuola e in questo senso svolge un ruolo chiave nella promozione delladomanda di cibi più sani nelle scuole.Quel che più conta, però, è che l’abitudine alla sana alimentazione deveguidare ogni aspetto dell’ambiente scolastico: l’aula, il refettorio, il distri-butore automatico e persino il giardino, per garantire che il contesto e lamentalità che si sviluppano a scuola siano compatibili e si rinforzinovicendevolmente. Laddove è divertente, stimolante e abilitante, l’approc-cio multicomponente può generare considerevoli dividendi anche negliambienti sociali più impegnativi, creando l’ingrediente più importante diun servizio di alimentazione scolastica sostenibile: consumatori ben infor-mati a cui stanno a cuore le origini di ciò che mangiano.

creare catene alimentari sostenibili attraverso la riforma

dell’alimentazione scolastica

Mentre il ruolo dei pasti scolastici nella formazione di nuove generazionidi consumatori informati è immediato, non si pensa alle scuole necessa-riamente come a mercati per produttori alimentari di qualità. Eppure,molti paesi usano la riforma dell’alimentazione scolastica per svilupparenuove catene di forniture che attribuiscono importanza all’uso di cibo di“qualità”, generalmente equiparato a cibi freschi e prodotti localmente.2

Negli Stati Uniti, garantirsi derrate alimentari da produttori locali è ciòche contraddistingue il movimento Farm-to-School (dalla fattoria allascuola), che ha contribuito a ricollegare le scuole ai produttori alimentarilocali. Fin ora, in 38 stati, oltre 1.000 scuole comprano prodotti freschida fattorie locali. In molti paesi in via di sviluppo, la pratica di alimen-tarsi a scuola con prodotti nazionali è diventata una priorità, dove il Pro-gramma alimentare mondiale delle Nazioni Unite tenta di sostituire leimportazioni alimentari (su cui si basavano i programmi alimentari con-venzionali) con prodotti del territorio. Lo scopo principale di questa ini-ziativa rivoluzionaria, che ha sortito un esito particolarmente positivo inBrasile e Ghana, è di creare mercati per produttori locali promuovendola salute e l’istruzione dei bambini coinvolti.3

Sistemi alimentari sostenibili non sono esattamente sinonimi di sistemialimentari locali. Sebbene non ci sia motivo di presupporre che le derra-te prodotte localmente siano intrinsecamente migliori di quelle impor-tate, indubbiamente la domanda di cibo più sano nelle scuole crea impor-

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tanti opportunità di sviluppo economico se i fornitori locali hanno i pro-dotti alimentari adeguati e le infrastrutture per distribuirli. Perciò lariforma dell’alimentazione scolastica è molto importante per la creazio-ne di nuove opportunità per i piccoli produttori che troppo spesso sonostati esclusi, o addirittura soppiantati, dalla globalizzazione del sistemaalimentare.4

sfruttare il potere d’acquisto

L’appalto pubblico è lo strumento più potente per creare un servizio dimensa scolastica sostenibile, ma in alcuni paesi il suo potenziale è statolimitato dalle interpretazioni restrittive di ciò che costituisce il “migliorvalore”. Nelle culture d’appalto basate sui costi, come quelle degli StatiUniti e del Regno Unito, la barriera maggiore per gare sostenibili è unatendenza sistematica a mascherare i costi bassi come economicamentevantaggiosi, una tendenza che i gestori degli approvvigionamenti e dellaristorazione giustificano spesso riferendosi ai contesti normativi più gene-rici. Per contro, in Italia, “il miglior valore” include attributi culturali efinanziari, permettendo agli enti locali di tenere in considerazione le carat-teristiche qualitative del servizio nell’aggiudicazione degli appalti. Nel Regno Unito, le normative europee che regolano gli appalti pubblicisono spesso considerate barriere alla riforma dell’alimentazione scolasti-ca. Ma se paragoniamo l’approccio del Regno Unito con quello adottatotradizionalmente dall’Italia, soggetta alle stesse normative dell’Unioneeuropea, è evidente che il problema è di interpretazione. Laddove il RegnoUnito è stato conservatore, l’Italia è stata audace; laddove il Regno Unitoha sottolineato l’accezione strettamente economica dell’espressione“miglior rapporto qualità/prezzo”, l’Italia ha ricercato i valori nel sensopiù ampio del termine. La spiegazione di queste interpretazione diver-genti va rintracciata nell’interazione tra i valori culturali e la volontà poli-tica che nel caso italiano premia l’appalto creativo di prodotti alimentarifortemente associati a stagionalità e territorialità. In breve, le normatived’appalto dell’Ue non sono barriere se gli enti pubblici hanno la compe-tenza e sicurezza per utilizzare il potere d’acquisto entro questo ambito.5

Anche negli Stati Uniti, le normative d’appalto si sono interpretate comeuna barriera, che impedisce ai distretti scolastici di acquistare cibi localinel programma di alimentazione scolastica. Il Dipartimento dell’agricol-tura statunitense interpreta le normative con estrema cautela, sostenendo

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che ai distretti scolastici non è permesso specificare le preferenze geogra-fiche locali quando pubblicano le gare d’appalto, interpretazione dura-mente contestata da altri esperti legali. Negli Stati Uniti, niente potràessere più utile per promuovere la causa dell’approvvigionamento alimen-tare nelle scuole locali di una chiarificazione delle norme, affinché le leg-gi federali e dei singoli stati incoraggino l’approvvigionamento locale inmaniera positiva ed esplicita.6

pionieri della rivoluzione dell’alimentazione scolastica

Ciascuna delle suddette riforme, l’approccio multicomponente che coin-volge l’intera comunità scolastica, la creazione di catene alimentari soste-nibili e gare d’appalto pubbliche innovative, rappresentano una sfida. L’o-stacolo più difficile da superare è quello di coordinare le riforme affinchébeneficino di un effetto sinergico e si rinsaldino a vicenda. Questo è ciòche i pionieri della riforma alimentare scolastica hanno in comune: rico-noscono tutti il carattere ecologico e interdipendente del servizio di risto-razione della scuola.Sebbene a livello globale ci si stia sensibilizzando sempre più al ruolo del-l’alimentazione scolastica nella promozione degli obiettivi di svilupposostenibile, possiamo considerare due paesi come pionieri della rivoluzio-ne dell’alimentazione scolastica: la Scozia e l’Italia. Di fatto, in questi pae-si, si sono presi in considerazione tutti e tre gli aspetti fondamentali delprocesso della riforma scolastica, riflettendo una nuova visione del servi-zio che sta cominciando a trasformare i valori culturali a tutti i livelli del-la catena alimentare della scuola, tra i bambini e i loro genitori, tra il per-sonale scolastico, tra i direttori degli approvvigionamenti, tra i fornitori etra i decisori politici.La Scozia è stata pioniera della rivoluzione dell’alimentazione nelle scuo-le in Gran Bretagna molto prima che la popolare serie televisiva del 2006Jamie’s School Dinners, esponesse il grande pubblico ai problemi del servi-zio mense scolastiche in Gran Bretagna. Già allora, la Scozia era appenaentrata nella prima fase della sua riforma dell’alimentazione scolastica,che comprendeva un investimento di 63,5 milioni di sterline (ben 104milioni di dollari) per riprogettare il servizio di ristorazione scolastica.Questo processo è cominciato nel 2002 con la pubblicazione di Hungryfor Success, un rapporto commissionato dal governo scozzese che promuo-veva esplicitamente l’approccio che coinvolge tutta la comunità scolasti-

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ca. Oltre a evidenziare il bisogno di trasmettere il messaggio dalla classeal refettorio, lo stimolante rapporto introduceva nuovi standard nutritiviper migliorare la qualità dei pasti serviti nelle scuole, suggerendo che ilservizio di pasti scolastici fosse più simile a un servizio sanitario che a unocommerciale.7

La contea rurale dell’Ayrshire orientale, nella Scozia centrale, ha applica-to le raccomandazioni del governo in maniera singolare. Approfittandodel potere di acquisto ottenuto attraverso Hungry for Success, nel 2004l’Ayrshire orientale ha introdotto un progetto pilota in una delle sue scuo-le elementari fondato sull’uso di prodotti locali, biologici e freschi. L’ini-ziativa ha avuto talmente tanto successo tra bambini, genitori e personaledella ristorazione che l’anno successivo il Consiglio decise di estendere lariforma ad altre dieci scuole elementari. Oggi, tutte le scuole elementaridella contea hanno adottato il programma.8

Fondamentale è stata l’adozione di un approccio all’approvvigionamentocreativo con cui ci si prefiggeva di contribuire al coinvolgimento di pic-coli fornitori biologici nel programma dei pasti scolastici. Per esempio,alcuni dei criteri per giudicare la qualità degli ortaggi si sono resi più fles-sibili per consentire l’accesso ai fornitori biologici; il contratto fu divisoin lotti minori per aiutare i fornitori più piccoli a far fronte alla portatadell’ordine; e i criteri d’aggiudicazione si basavano su prezzo e qualità inegual misura. Allo stesso tempo, il Consiglio si è adoperato attivamenteper creare consenso agli ideali del progetto lungo tutta la catena alimen-tare. Nella fattispecie, si organizzarono cicli di formazione sull’alimenta-zione sana e la nutrizione per direttori della ristorazione e cuochi. Si invi-tarono gli agricoltori in aula per spiegare dove e come producevano glialimenti e si sono coinvolti anche i genitori attraverso una serie di “dimo-strazioni con consigli pratici per una cucina sana”.9

Nell’Ayrshire orientale, la riforma dell’alimentazione scolastica ha pro-dotto importanti risultati dal punto di vista dello sviluppo sostenibile.Grazie all’approccio ideato dal Consiglio, si sono ridotti del 70% i chilo-metri percorsi dagli alimenti e lo spreco degli imballaggi è diminuito. Ipiccoli fornitori locali si sono avvalsi di nuove opportunità di mercato ela soddisfazione degli utenti di questo servizio è aumentata considerevol-mente. Secondo un sondaggio recente è emerso che il 67% dei bambinipensa che i pasti scolastici siano più gustosi, all’88% di loro piace il cibofresco e il 77% dei genitori ritiene che il programma rappresenti un buonutilizzo dei fondi a disposizione del consiglio di contea. Quel che è forsepiù importante, la rivoluzione dell’alimentazione scolastica in questa con-

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tea rurale svantaggiata ha creato una nuova visione collettiva di svilupposostenibile che prescinde dalla sfera di consumi, produzione e appalto,sfidando idee sbagliate diffuse sul potenziale dell’approvvigionamento dicibo di qualità.10

In Italia l’approccio multicomponente è tradizionalmente incorporato nelservizio di ristorazione scolastica, considerata parte integrante dei dirittidei cittadini all’istruzione e alla salute. Perciò, come accennato in prece-denza, in Italia, “miglior valore” non è affatto sinonimo di basso costo; difatto, si prendono sempre in considerazione le caratteristiche qualitativedel servizio e la sua compatibilità col curriculum (nella fattispecie, le tra-dizioni locali) durante il processo di gara d’appalto. Non sorprende quin-di che le scuole italiane si siano avvalse dell’approvvigionamento locale daanni, spesso integrando l’importanza dei prodotti del territorio con unavasta gamma di iniziative didattiche per genitori e figli a sostegno dei valo-ri di stagionalità e territorialità. Diversamente da ciò che succede in moltialtri paesi, queste strategie godono del supporto del governo nazionale,che ha emanato una legge nel 1999 a favore dell’“uso di prodotti tradizio-nali, tipici e biologici” nelle mense di scuole e ospedali.11

Quando questa legge fu approvata, la città di Roma era governata daun’amministrazione con la presenza dei Verdi che, come molti altri in Ita-lia, era interessata al potenziale della ristorazione biologica nelle scuole.Ciò che rese la situazione singolare a Roma rispetto ad altre città fu laportata. A Roma, ben 150.000 bambini che mangiano a scuola consu-mano approssimativamente 150 tonnellate di prodotti alimentari al gior-no. Per attutire lo shock che tale spropositata domanda avrebbe creatosul mercato degli alimenti biologici, la città preferì un approccio diapprovvigionamento progressista. Inizialmente, le aziende della ristora-zione dovevano fornire solo frutta e verdura biologiche, ma si creò poiun sistema di incentivi volti ad aumentare la gamma di prodotti biologi-ci per le scuole. Allo stesso tempo, si definirono dei criteri di aggiudica-zione per stimolare i concorrenti a migliorare la qualità socio-ambientaledei prodotti e servizi offerti, tra cui criteri che premiano iniziative permigliorare l’ambiente in cui i bambini mangiano o per offrire prodotticertificati come equosolidali (usati come strumento per insegnare ai bam-bini il valore della solidarietà ai paesi in via di sviluppo).12

Come l’Ayrshire orientale, anche Roma comprese l’importanza di creareuna nuova cultura collettiva di sostenibilità attorno all’alimentazione sco-lastica. È stato garantito un dialogo costante tra i fornitori vincitori d’ap-palto e le autorità cittadine attraverso la creazione di una tavola rotonda

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permanente, il cui obiettivo è di promuovere “una disponibilità comunedi andare in una certa direzione” come ha spiegato il direttore di un’a-zienda di ristorazione. Allo stesso tempo, è stato chiesto agli appaltatoridi introdurre iniziative di educazione alimentare tra gli utenti che hannoavuto la possibilità di partecipare alla riforma attraverso commissionimense. Queste consistono in due genitori che possono ispezionare i loca-li della scuola e offrire un feedback sulle reazioni dei bambini ai cambia-menti che si stanno introducendo.13

Dopo anni di sacrifici e continui miglioramenti, Roma è all’avanguardianella rivoluzione dell’alimentazione scolastica. Oggi, il 67,5% del ciboservito nelle scuole della città è biologico, il 44% proviene da catene ali-mentari destinate a uso esclusivamente biologico, il 26% è di provenien-za locale, il 14% è certificato come equosolidale e il 2% proviene da coo-perative sociali che impiegano ex detenuti o che lavorano terra confiscataalla mafia. Mentre la riforma procede, comincia a emergere un nuovosistema alimentare basato su cibi di qualità e con esso nuovi valori cheeducano la società civile ai valori e significati della sostenibilità.14

riorganizzare la mensa scolastica: il potere del piatto pubblico 155

In via di miglioramento? Pranzo in una scuola superiore di Grenoble, Francia (PeilingTan).

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dall’alimentazione scolastica a quella della comunità

Gli esempi di Italia e Scozia dimostrano che una buona progettazione eapplicazione della riforma dell’alimentazione scolastica può essere vitalealla creazione di nuove forme di “cittadinanza ecologica” che porta le per-sone a ripensare in modo critico il proprio rapporto con l’ambiente, a coin-volgersi in concreto ai problemi collettivi e ad assumersi la responsabilitàdel proprio operato. In sintesi, la riforma dell’alimentazione scolastica stacreando nuove generazioni di cittadini-consumatori ben informati.15

Si potrebbe ottenere molto di più se il potere d’acquisto fosse sfruttatoin tutto il settore pubblico, negli ospedali, pensionati, collegi, università,carceri, uffici governativi e via dicendo. Sul fronte del cambiamento cli-matico e della sicurezza alimentare, allargare i vantaggi della riforma del-l’alimentazione scolastica a realtà sociali più ampie e importanti è semprepiù un imperativo e non un’alternativa.Molte città del mondo stanno cominciando a muoversi in questa dire-zione attraverso lo sviluppo di una gamma di strategie alimentari createper garantire accesso a un’alimentazione sana per tutti i cittadini. Via viache urbanisti e decisori politici cominciano a riprogettare la cultura gastro-nomica urbana di città tra cui New York, Londra, Belo Horizonte, Dares Salaam, si prospettano nuove sfide in vari settori tra cui l’edilizia infra-strutturale, i trasporti, l’uso del territorio e l’educazione dei cittadini.16

In questo contesto, la riforma dell’alimentazione scolastica ha un impor-tante insegnamento da impartire. Se si potesse attingere a una volontàpolitica sufficiente per una nuova “etica dell’assistenza” con una portatasia globale sia locale, come è successo a Roma e nell’Ayrshire orientale, lapianificazione alimentare della comunità potrebbe svolgere un preziosoruolo nella promozione di salute umana, giustizia sociale e integrazioneambientale, tutti elementi caratterizzanti uno sviluppo sostenibile.

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