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30 I bambini di Makarenko e di Montessori – due pedagogisti educatori a confronto di Germana Recchia Questo contributo è stato pensato e costruito a partire dal libro di Nicola Siciliani de Cumis dedicato ai bambini di Makarenko e al Poema pedagogico 1 ; ed è nato con l’idea e il desiderio di diventare in qualche modo il “paragrafo” o il “capitolo” che ancora non c’è in quel volume “aperto”, un volume che si pone come un laboratorio di studi e di ricerche in fieri. Siciliani de Cumis, spiegando la struttura del libro, dice: “(…) Di qui la stessa tripartizione del volume: 1) sul testo del Poema pedagogico, in quanto scrittura ed azione educativa compiutasi nel suo tempo; 2) su alcuni dei possibili usi didattici dell’esperienza storica rappresentata, ma in tempi e luoghi pur diversi dall’allora; 3) sulle circostanze più o meno prossime, geopolitiche ed etico-sociali, in cui è avvenuta l’operazione di rilettura del Poema pedagogico, benché alla distanza. Sarà quindi possibile – si chiede Siciliani – per analogia e per differenza, ritrovare nel presente, le fila di una proposta educativa (quella di Makarenko nel Poema pedagogico), proprio in quanto può ‘servire’ o ‘non servire’, proprio in quanto risulta ‘superata’ ed al tempo stesso ‘nuova’?”. 2 “Quale l’infanzia”, si chiede quindi de Cumis, “di cui Makarenko discorre nel Poema pedagogico? Quanti e quali, i ‘piccoli’ che si trovano descritti in questo ‘romanzo di formazione’? Quali e quanti i bambini che, anche al di là delle pagine del Poema e ben oltre i limiti storici dell’esperienza professionale ed artistica di Makarenko, convergono attualmente nello stesso ordine di problemi in cui viene ad iscriversi questa lettura del romanzo come ‘romanzo d’infanzia’? Può in qualche modo, il fenomeno dell’abbandono dei minori, così drammaticamente presente e crescente nei paesi dell’ex URSS e nel resto del mondo odierno, trovare una qualche chiave di interpretazione e di intervento nell’antipedagogia di cui Makarenko rende da par suo straordinaria testimonianza? (…)”. 3 1 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa, Edizioni Ets, 2002. Il volume, dopo la Premessa e l’Introduzione dedicata al Poema e all’infanzia/e di cui tratta, si divide in tre parti: la Parte Prima, in quattro capitoli, è incentrata sull’analisi accurata del Poema Pedagogico di Makarenko e in particolare su: Il “Poema pedagogico”, “romanzo di formazione” (pp. 49-61); La colonia “M. Gor’kij” e le sue “infanzie” (pp. 63-80); I “piccoli” della “seconda generazione” (pp. 83- 91); I bambini del “Poema”, tra “pedagogia” ed “antipedagogia” (pp. 95-107). La Parte seconda, in un unico capitolo, tratta de “Il Poema pedagogico” di Anton S. Makarenko, e dintorni (pp. 113-161) facendo riferimento alle giornate di studio a L’Aquila dedicate ai temi makarenkiani e comprendendo dieci schede didattiche con immagini fotografiche e notizie storiche su Makarenko e sul Poema, sui suoi “bambini”, sui bambini abbandonati in URSS negli anni Venti e su quelli di oggi, sull’abbandono dell’infanzia nel mondo. La Parte Terza, in quattro capitoli, è dedicata a L’erranza come scuola della “prospettiva” (pp. 169 –173) e quindi ad esperienze vicine a quella di Makarenko in altri contesti spazio-temporali: dall’Ipm Casal del Marmo a Roma (pp. 179 sgg.), al confronto tra Makarenko e altre importanti figure della nostra cultura e storia moderna e contemporanea: da Dickens, a Tolstoj, da Yunus a Dewey, a Volpicelli. Il libro si conclude con la sezione dedicata alle Appendici: la I ospita documenti su Bambini abbandonati nell’Europa dell’Est post-comunista (pp. 257-274); la II si intitola I bambini di Makarenko, l’Infanzia di Gor’kij (pp. 285-290). Infine, l’Indice dei nomi (p. 295) e quello delle tematiche ricorrenti (pp. 299 sgg.). 2 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit., Premessa, p. 13. Si veda qui la nota 1. 3 Ivi, p. 12.

I BAMBINI DI MAKARENKO E DI MONTESSORI: DUE …€¦ · 30 I bambini di Makarenko e di Montessori – due pedagogisti educatori a confronto di Germana Recchia Questo contributo è

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I bambini di Makarenko e di Montessori – due pedagogisti educatori a confronto di Germana Recchia

Questo contributo è stato pensato e costruito a partire dal libro di Nicola Siciliani de Cumis dedicato ai bambini di Makarenko e al Poema pedagogico1; ed è nato con l’idea e il desiderio di diventare in qualche modo il “paragrafo” o il “capitolo” che ancora non c’è in quel volume “aperto”, un volume che si pone come un laboratorio di studi e di ricerche in fieri. Siciliani de Cumis, spiegando la struttura del libro, dice: “(…) Di qui la stessa tripartizione del volume: 1) sul testo del Poema pedagogico, in quanto scrittura ed azione educativa compiutasi nel suo tempo; 2) su alcuni dei possibili usi didattici dell’esperienza storica rappresentata, ma in tempi e luoghi pur diversi dall’allora; 3) sulle circostanze più o meno prossime, geopolitiche ed etico-sociali, in cui è avvenuta l’operazione di rilettura del Poema pedagogico, benché alla distanza. Sarà quindi possibile – si chiede Siciliani – per analogia e per differenza, ritrovare nel presente, le fila di una proposta educativa (quella di Makarenko nel Poema pedagogico), proprio in quanto può ‘servire’ o ‘non servire’, proprio in quanto risulta ‘superata’ ed al tempo stesso ‘nuova’?”.2 “Quale l’infanzia”, si chiede quindi de Cumis, “di cui Makarenko discorre nel Poema pedagogico? Quanti e quali, i ‘piccoli’ che si trovano descritti in questo ‘romanzo di formazione’? Quali e quanti i bambini che, anche al di là delle pagine del Poema e ben oltre i limiti storici dell’esperienza professionale ed artistica di Makarenko, convergono attualmente nello stesso ordine di problemi in cui viene ad iscriversi questa lettura del romanzo come ‘romanzo d’infanzia’? Può in qualche modo, il fenomeno dell’abbandono dei minori, così drammaticamente presente e crescente nei paesi dell’ex URSS e nel resto del mondo odierno, trovare una qualche chiave di interpretazione e di intervento nell’antipedagogia di cui Makarenko rende da par suo straordinaria testimonianza? (…)”.3

1 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa, Edizioni Ets, 2002. Il volume, dopo la Premessa e l’Introduzione dedicata al Poema e all’infanzia/e di cui tratta, si divide in tre parti: la Parte Prima, in quattro capitoli, è incentrata sull’analisi accurata del Poema Pedagogico di Makarenko e in particolare su: Il “Poema pedagogico”, “romanzo di formazione” (pp. 49-61); La colonia “M. Gor’kij” e le sue “infanzie” (pp. 63-80); I “piccoli” della “seconda generazione” (pp. 83-91); I bambini del “Poema”, tra “pedagogia” ed “antipedagogia” (pp. 95-107). La Parte seconda, in un unico capitolo, tratta de “Il Poema pedagogico” di Anton S. Makarenko, e dintorni (pp. 113-161) facendo riferimento alle giornate di studio a L’Aquila dedicate ai temi makarenkiani e comprendendo dieci schede didattiche con immagini fotografiche e notizie storiche su Makarenko e sul Poema, sui suoi “bambini”, sui bambini abbandonati in URSS negli anni Venti e su quelli di oggi, sull’abbandono dell’infanzia nel mondo. La Parte Terza, in quattro capitoli, è dedicata a L’erranza come scuola della “prospettiva” (pp. 169 –173) e quindi ad esperienze vicine a quella di Makarenko in altri contesti spazio-temporali: dall’Ipm Casal del Marmo a Roma (pp. 179 sgg.), al confronto tra Makarenko e altre importanti figure della nostra cultura e storia moderna e contemporanea: da Dickens, a Tolstoj, da Yunus a Dewey, a Volpicelli. Il libro si conclude con la sezione dedicata alle Appendici: la I ospita documenti su Bambini abbandonati nell’Europa dell’Est post-comunista (pp. 257-274); la II si intitola I bambini di Makarenko, l’Infanzia di Gor’kij (pp. 285-290). Infine, l’Indice dei nomi (p. 295) e quello delle tematiche ricorrenti (pp. 299 sgg.). 2 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit., Premessa, p. 13. Si veda qui la nota 1. 3 Ivi, p. 12.

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“(…) Il testo di Makarenko risulta popolato, oggettivamente, da bambini di tutte le età (da quella prenatale a quella da zero a due anni, a quelle via via successive fino ai dieci-dodici anni); e che d’altra parte, nell’intero Poema, il bambino, i bambini non solo sono largamente presenti e pedagogicamente influenti, ma – a ben guardare – essi sono i veri protagonisti della vicenda narrata ed i reali destinatari del modello educativo sperimentato”.4 “(…) I bambini.” sono “anche e soprattutto l’elemento umano primario e la realtà poetico-educativa vivente del proposito pedagogico-letterario di Makarenko. I bambini, come laboratorio del disegno rivoluzionario, geniale, che è nel Poema: di mettere in scena l’uomo nuovo, nell’attimo stesso del suo ‘venire al mondo’, sia come destinatario sia come mittente di un’infanzia ‘altra’. I bambini, come misura (tra quantità e qualità) della operatività non velleitaria del virtuale. I bambini coautori essi stessi, in qualche modo, del Poema pedagogico come ‘romanzo d’infanzia’ “.5Il Poema pedagogico si rivela insomma “come documento del suo tempo, negli anni Venti-Trenta del secolo scorso; il Poema pedagogico come documento del nostro tempo, negli anni della svolta del millennio. E guardando al futuro”.6

Da tutte queste riflessioni è sorto un immediato confronto con Maria Montessori e un ragionamento sul possibile “collegamento”– con vicinanze e differenze - tra la pedagogista italiana e il pedagogista russo. Abbiamo così scoperto che Montessori si era occupata, con molto anticipo, di tali temi pubblicando degli articoli – sui quali ci soffermeremo più avanti - dedicati proprio alla devianza minorile in Italia, ai carceri per minorenni e all’educazione dei minori reclusi; articoli scritti a inizio ‘900 che ci risultano tra l’altro poco se non per nulla conosciuti e divulgati. 7Questa nostra “indagine” si sviluppa quindi attraverso un esame ulteriore del volume di Siciliani, per poi passare al Poema pedagogico di Makarenko8. Infine, ci dedicheremo proprio agli scritti di Montessori e tenteremo un confronto - per prossimità e discordanze - con il pedagogista russo. Se dunque il libro di Siciliani ci ha offerto lo “spunto” di partenza per la ricerca, la nostra attenzione si rivolge soprattutto alla Montessori, sia in ragione del fatto che alla studiosa ci siamo dedicati variamente, frequentandone aspetti diversi, sia per esserci occupati

4 Ibidem. 5 Ivi, p. 12-13 6 Ivi, Introduzione, pp. 17-18. 7 Ecco gli articoli sui quali ci soffermiamo: M. Montessori, A proposito dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2 (3 giugno 1906), n. 153, p. 3; M. Montessori, Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La riforma Doria), in “La Vita”, 2 (6 giugno 1906), n. 156, p. 3; ?????? Rossana, A proposito delle case di correzione, in “La Vita”, 2 (12 giugno 1906), n. 162, p. 3; M. Montessori, Sulla questione dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2 (16.06.1906), n. 166, p.3; M. Montessori, Per i minorenni delinquenti. L’organizzazione nel Riformatorio di S. Michele, in “La Vita”, 2 (14.07.1906), n. 194, p.3; M. Montessori, Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore, in “La Vita”, 2 (6.08.1906), n. 217, p.3; M. Montessori, Lottiamo contro la criminalità. (È necessario salvare l’uomo a traverso il fanciullo), in “La Vita”, 2 (8.09.1906), n. 249, p. 3. Il testo degli articoli lo abbiamo trascritto dagli originali e lo riportiamo qui in Appendice, integralmente. 8 A. Makarenko, Poema pegadogico, Traduzione in italiano, Edizioni Raduga, 1985.

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variamente degli Istituti penali per i minorenni italiani, tra legislazione e procedure di intervento. 91) Sui bambini di Makarenko di Nicola Siciliani de Cumis10

Breve profilo di Makarenko Come si legge nel libro di Siciliani de Cumis11, Anton Semënovič Makarenko nasce a Belopol’e (Ucraina) nel 1888 da famiglia operaia. Si diploma in un corso magistrale accelerato e diventa maestro a 17 anni; in seguito frequenta l’Istituto pedagogico ucraino diventando ‘maestro principale’ (direttore didattico). Durante la rivoluzione è ammiratore di Maxim Gor’kij, celebre autore socialista da cui proviene il primo invito a diventare “educatore” piuttosto che narratore, sua iniziale aspirazione: “la rivoluzione ha bisogno più di educatori che di scrittori”12. Nel 1920 a Makarenko viene affidata la direzione di un istituto di rieducazione per ragazzi traviati o abbandonati ed è da questa esperienza che trarrà le sue opere più conosciute: il Poema pedagogico e Bandiere sulle torri. I suoi principi pedagogici si sviluppano proprio nel corso di questa sperimentazione vissuta. “Nel suo universo ideale – si legge nel libro di de Cumis – troviamo delle opposizioni polemiche: alla pedagogia accademica, alla visione spontaneistica dello sviluppo, e alla

9 Germana Recchia è dottore di ricerca in Metodologia della ricerca educativa, titolo conseguito con una tesi su: Esigenze formative dei minori detenuti e metodologie educative dell’Istituto penale per i minorenni, tra legislazione e procedure di intervento. Un estratto del lavoro è stato pubblicato in “I quaderni di legislazione minorile”, 1 (1999), pp. 128 – 170, col titolo: Aspetti educativi del DPR 448/88 e del Decreto Legislativo 272/89: Messa alla prova e Mediazione penale. Anche all’interesse per questi temi si lega in qualche modo la presente indagine su Montessori e i minori corrigendi. Ha conseguito la laurea in Lettere e quindi quella in Filosofia, sempre presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, con una tesi su: L’opera di Maria Montessori nella biblioteca di filosofia della Facoltà di lettere e filosofia della “Sapienza”. Collabora con l’Opera Nazionale Montessori e scrive per la rivista dell’Opera “Vita dell’Infanzia”. Un estratto della sua tesi di laurea in Filosofia è stato pubblicato con il titolo: Maria Montesssori nella biblioteca della facoltà di Filosofia dell’università degli studi di Roma “La sapienza”: bibliografia critica e indicazioni metodologiche, in “I problemi della pedagogia”, 1-3 (1997), pp. 173-194. La Montessori in biblioteca, è il titolo dell’articolo inserito nel volume: L’università, la didattica, la ricerca. Primi studi in onore di Maria Corda Costa, a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Caltanissetta, Sciascia editore, 2001, pp. 127/131. Il saggio: “Solo i poeti sentono…”. Gli spunti letterari del Metodo della Pedagogia Scientifica di Maria Montessori compare in “Ciascuno cresce solo se sognato”. La formazione dei valori tra pedagogia e letteratura, a cura di Elisa Medolla e Roberto Sandrucci, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2003, pp. 85-98. Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile è stato pubblicato nel Catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303 – 2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904 – 2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Filosofia. Sempre sulla pedagogista: Maria Montessori: storia di una donna e di un metodo pedagogico. Dall’Italia al mondo, in “RIVISTA della Scuola superiore dell’economia e delle finanze”, Anno II, numero 1 (gennaio 2005), pp. 146 – 160. Infine, il saggio: Montessori e i “classici” è stato pubblicato in “Annuario 2007” del Laboratorio Montessori di Teoria e Storia dell’Educazione, vol I, a c. di F. Pesci e P. Trabalzini, Roma, Edizione Nuova Cultura, 2007, pp. 60 – 114. 10 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit., vedi nota 1. 11 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Seconda, Profilo di Makarenko, pp. 125 – 130. 12 Ivi, p. 126.

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scienza positiva del bambino (pedologia) che pretende di fornire indicazioni sufficienti alla pratica educativa. Makarenko mostra, invece, un’adesione incrollabile ad una prospettiva pedagogica in armonia con la linea marxista-sovietica. Ciò traspare nei motivi fondamentali del suo pensiero. Vi troviamo, infatti, una profonda saldatura tra teoria e prassi, nel senso che bisogna estrarre la teoria dalla somma dei fenomeni reali. È evidente in Makarenko anche una quasi identità tra atto politico e atto pedagogico, giacché entrambi sono connessi all’idea di trasformazione: la politica è il campo che offre all’educazione i fini concreti, strettamente legati alle necessità sociali, alle aspirazioni del popolo sovietico, e agli obiettivi della rivoluzione. L’uomo non è chiuso da nessun determinismo precostruttivo, non c’è un sistema normativo da rispettare, né potenzialità innate dell’individuo da sviluppare; esiste solo un uomo nuovo da creare. L’ordine soggettivo viene sostituito in questo contesto da un ordine oggettivo; nella coscienza deve essere radicato un profondo senso della partecipazione ad un’oggettività storico-politica che trascende il singolo.”13

L’organo deputato alla realizzazione di questo progetto pedagogico è il collettivo: “un gruppo di lavoratori uniti da un fine unitario, un gruppo d’organi dipendenti disciplinati e responsabilizzati.”14 “Makarenko ha organizzato le colonie da lui dirette nella forma del collettivo, caratterizzata da alcuni tratti fondamentali: vita in collegialità; convivenza d’educatori, ragazzi e personale esecutivo e amministrativo; organizzazione in reparti e gruppi di lavoro; autosufficienza economica; auto-amministrazione”.15 Questo collettivo non è un nucleo chiuso, bensì aperto alle mete sociali e politiche, aperto al futuro. L’intervento educativo sul singolo, al suo interno, è sempre mediato attraverso il coinvolgimento del gruppo. Tutte queste caratteristiche non sono presenti sin dall’inizio, spesso sono evoluzioni e trasformazioni dovute al difficile lavoro e all’evoluzione in corso dell’esperienza. È un po’ l’idea dell’uomo nuovo di Maria Montessori, su cui si sofferma anche Paola Trabalzini: «Il suo pensiero di fiducia nelle qualità dell’uomo, nelle risorse umane, nelle possibilità, ma anche nella necessità, di costruire una scienza della pace fondata sull’unicità del bambino, indipendentemente da appartenenze religiose, razziali, sociali, culturali, nella sua funzione biologica di adattamento all’ambiente, costituisce nel 1950 sia la testimonianza di una ricerca che non si è mai arrestata, sia l’indicazione di un percorso che avendo a fondamento le leggi della vita permette di dischiudere quanto c’è al di sotto delle azioni di ciascuno, di prendere coscienza di quella ‘Nazione unica’ che è l’umanità»16. Così, il bambino non solo è costruttore di sé ma anche conservatore e innovatore dell’umanità17.

13 Ivi, pp. 128 – 129. 14 Ivi, p. 129. 15 Ibidem. 16 P. Trabalzini, Maria Montessori: da Il Metodo a La scoperta del bambino, Roma, Aracne editrice, 2003, Introduzione, pp. 11 – 12. 17 Ibidem, p. 12.

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Il “progetto educativo-pedagogico” di Makarenko Emerge chiaramente come, nella pedagogia di Makarenko, si conferma “il privilegio da lui accordato alle finalità oggettive e sociali, l’importanza del lavoro e dell’organizzazione in ogni dimensione sociale.”18

«“In questo senso il Poema pedagogico, come romanzo d’infanzia dell’ “uomo nuovo”, della “prospettiva”, del “collettivo” ecc., non solo rientra a pieno titolo nel novero di quei romanzi “di educazione” nei quali “il divenire dell’uomo” acquista “un altro carattere”; ma anche porta con sé le ragioni della sua propria, sperimentale “eccentricità”. La quale va d’altra parte ben oltre il pur “grandioso”, ma generico, “tentativo di costruire l’immagine dell’uomo che cresce” nel “movimento visibile del tempo storico”, secondo una determinata “visione del tempo” (…)».19 «(…) la maggior parte dei rieducandi delle tre colonie “M. Gor’kij”, “Trepke” e “Kuriaž” via via menzionati individualmente sono tra i 15 e i 18 anni: anche se la loro età viene com’è ovvio modificandosi con il passare del tempo, nel corso degli anni Venti (periodo relativo alla storia raccontata da Makarenko nel Poema)».20 Ma il processo educativo messo in scena da Makarenko è continuo e ricorrente volto a fare l’uomo nuovo, lì, e in prospettiva. Aspetto ricorrente nella pedagogia montessoriana e nel concetto stesso di “uomo nuovo” su cui ci siamo già soffermati. E ancora: «dai ragazzi “moralmente deficienti” (…) messi in scena da Makarenko possono venire fuori esempi concretamente plausibili di uomini nuovi. A certe condizioni, s’intende: ed anzitutto in quanto l’ “ottimismo della volontà”, e cioè la positiva convinzione che la educabilità umana nella direzione di una umanità prevedibilmente inedita, se esige una prospettiva pedagogica presumibilmente omogenea, comporta al tempo stesso una considerazione realistica delle alternative in campo ed una concreta sperimentazione della diversità: e quindi la consapevolezza delle difficoltà e del limite, tra libertà e disciplina, spontaneità e sforzo, ed effettivamente una lotta e delle scelte educative a rischio. (…)».21

Dunque «L’ “uomo nuovo” di Makarenko ha il suo laboratorio nell’infanzia: ed è per l’appunto l’infanzia, l’uomo nuovo “da piccolo”, il luogo naturale, originario, deputato alla nascita e alla crescita della creatività in ipotesi; e la prima sede storica, formativa, dell’ “esperimento” in corso. Che tuttavia non riguarda soltanto i bambini, ma tutti, in prima persona e collettivamente, adulti compresi».22 «Pedagogia della “lotta” e del “rischio”, questa di Makarenko nel Poema pedagogico, che vive sì dell’invenzione dell’uomo nuovo, già nell’infanzia e mediante l’infanzia: e che

18 Ivi, p. 130. 19 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Prima, Capitolo Primo: Il “Poema pedagogico”, “romanzo di formazione”, p. 57. 20 Ivi, Parte Prima, Capitolo Secondo: La colonia “M. Gor’kij” e le sue “infanzie”, p. 63. 21 Ivi, p. 68. 22 Ivi, Parte Prima, Capitolo Terzo: I “piccoli” della “seconda generazione”, p. 87.

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tuttavia, in tanto se ne nutre davvero, in quanto gli stessi elementi su cui si esercita l’educabilità dell’essere umano non sono dati a priori, ma vengono via via rintracciati alla luce della prospettiva intergenerazionale, cioè sperimentati nel loro essere radicalmente “nuovi” alla luce di problemi assolutamente inediti».23 Pedagogia della padronanza: «Makarenko vuol sottolineare nel suo racconto il valore formativo della dimensione estetica; e dunque rilevare l’inutilità relativa del “pedagogico”, se staccato dalla concretezza di un coinvolgimento esistenziale dell’individuo nel gruppo. (…) Ciò che per altro consente (…) di prescindere dalle astrattezze della “scienza pedagogica” e magari di intravedere (…) i termini di un’antipedagogia: nel senso, qui, di un prevalere del fare sul conoscere, della vita reale sulle rappresentazioni fittizie di essa, delle complessità e difficoltà del collettivo sulle semplificazioni edificanti di qualsiasi tipo».24 2) Ancora su Makarenko e sul Poema pegadogico25

Per altri spunti di riflessione Sono molte le occasioni di analisi e approfondimento offerte dal Poema Pedagogico (e dal volume di Siciliani de Cumis) e numerosi sono anche i temi che propongono un collegamento immediato con l’opera e il metodo montessoriani. Non possiamo affrontarli in modo esaustivo e nemmeno esauriente - non è questo lo scopo del nostro intervento - intendiamo invece evidenziare alcuni motivi di studio e di confronto. Un tema importante nella riflessione di ambedue i pedagogisti è per esempio quello del gioco26. “(…) È del resto da ritenere, secondo Makarenko, che come a ciascun bambino, nel corso dell’infanzia, deve essere garantita la giusta dose di gioco che l’età esige, così ad ogni adulto, nel farsi della vita, e nel lavoro, deve essere dato il diritto di praticare intelligentemente, qualitativamente, le sue proprie, irrinunciabili attività ludiche. Tanto nell’interesse della ‘persona’, quanto nell’interesse del ‘collettivo’ “.27 Ma come già abbiamo avuto modo di dire, c’è anche, costantemente, molta ironia sulla pedagogia come ”sistema” di metodi e di valori acquisiti e imperturbabili, come insieme di norme prestabilite verbalisticamente altrove, laddove invece il sistema di Makarenko

23 Ivi, p. 89. 24 Ivi, Parte Prima, Capitolo Quarto: I bambini del “Poema”, tra “pedagogia” ed “antipedagogia”, p. 100. 25 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., vedi nota 11. 26 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Introduzione, pp. pp. 28-46. 27 Ivi, p. 35 Si veda anche il testo Il gioco di Makarenko qui riportato alle pp. 36-45.

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nasce e si modifica adattandosi via via alle esigenze dell’esperienza quotidiana, anche e specialmente attraverso il superamento di problemi e situazioni critiche.28 E quanto alla disciplina, pure fondamentale nel ‘sistema Makarenko’, si afferma: “(…) Nella mia relazione sulla disciplina mi ero permesso di avanzare dubbi sulla validità delle concezioni allora comunemente accettate, le quali sostenevano che il castigo educa alla schiavitù e che era necessario dare il massimo spazio alla creatività del ragazzo e che bisognava soprattutto far conto sull’autoorganizzazione e sull’autodisciplina. Mi ero permesso di esprimere la mia ferma convinzione che fintanto che non si è formato un collettivo completo dei suoi organi, fintanto che non si è formata una tradizione e non si sono inculcate le primarie abitudini di lavoro e di vita, l’educatore ha il diritto e il dovere di non rinunciare alla costrizione. Sostenevo anche che non si può fondare tutta l’educazione sull’interesse, che l’educazione al senso del dovere spesso si trova in contrasto con l’interesse del ragazzo soprattutto nella forma in cui lui stesso lo intende. Io rivendicavo l’educazione di un uomo temprato, saldo, capace di sopportare anche un lavoro sgradito o noioso quando questo rispecchi gli interessi della collettività. Di conseguenza finivo col sostenere la linea della creazione di un collettivo forte, se necessario anche rigido, entusiasta e solo in un collettivo di questo genere riponevo le mie speranze. Invece i miei oppositori mi sventolavano sotto il naso gli assiomi della pedagogia e intonavano la solfa del ‘bambino’ “.29

Insomma, “niente messaggi educativi edificanti dal Poema pedagogico. Solo problemi, sempre nuovi problemi, a scanso della stasi. L’educazione, anzi, vive delle sue stesse questioni e dei suoi propri rischi. Delle sue esplosioni e dei suoi scoppi. E l’infanzia, i bambini, nelle situazioni descritte, sono parte essenziale del ‘gioco’: perché, con tutte le conseguenze, stanno su una linea di confine, tra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’. Il futuro, la prospettiva, che essi pur rappresentano, naturalmente e culturalmente, sono tuttavia la vita stessa come possibilità e realtà. (…) Una pedagogia ‘della lotta’. Al limite, un’˝antipedagogia˝: che però, come si accennava più sopra, è pur sempre una pedagogia. Una esperienza educativa concreta, che tuttavia non si esaurisce in se stessa, e che aspira d’altra parte a tradursi in una tecnica. Dal ‘negativo’ al ‘positivo’, insomma; e dalla ‘quantità’ alla ‘qualità’, ma pur sempre mediante una lotta e senza alcuna garanzia a priori di successo, né di qualsivoglia uscita di sicurezza nel farsi dell’opera e per l’appunto del ‘poema’ (nei suddetti numerosi e diversi significati del termine), come romanzo di formazione e di infanzia (nei modi intanto indicati da Michail M. Bachtin (…).”30

Come abbiamo scritto altrove:

28 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., cap. 14 “I calamai del buon vicinato”, pp. 89 – 94. 29 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., cap. 17 “La punizione di Šarin”, p. 108. Sui castighi vedi anche, ivi, p. 313 e sulle punizioni p. 331. 30 Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Prima, p. 109.

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«Un cardine fondamentale della Pedagogia Scientifica – scrive Montessori in Il Metodo – deve essere perciò la “libertà degli scolari”, tale che permetta lo svolgimento delle manifestazioni spontanee individuali del bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo “studio individuale dello scolaro”, sarà dallo studio inteso in questo modo – cioè tratto dall’osservazione di bambini liberi». E ancora «Il metodo pedagogico dell’osservazione ha per base la libertà del bambino e libertà è attività»31. Insomma, «Il metodo della pedagogia scientifica è individuato da Montessori nel metodo dell’osservazione del bambino posto nelle condizioni ambientali di liberamente manifestare bisogni, tendenze e poteri». Da questa educazione può nascere e formarsi l’uomo nuovo e libero padre di una nuova umanità e generazione. «Il bambino rivelatosi a Montessori sulla guida dell’osservazione è infatti l’esploratore dell’ambiente, e l’osservazione non costituisce solo il metodo della pedagogia scientifica, ma è anche il suo fine. Si tratta infatti di formare bambini attenti osservatori, capaci di adattarsi e riadattarsi all’ambiente. Ciò è reso possibile attraverso l’educazione sensoriale che aiuta a distinguere, ordinare, classificare e comparare, coniugando attività mentale e motrice. I bambini mettono in tal modo ordine nel caos delle percezioni e vengono organizzando l’intera personalità».32

Il successo del libro in Italia e all’estero è senz’altro legato «anche all’aspetto sociale e potremmo dire “politico” dell’esperimento montessoriano e dell’intera esperienza di lavoro che ne scaturirà. Esso si caratterizza infatti per l’impegno in difesa dei diritti dei più umili, diritto alla intimità della vita familiare, diritto all’istruzione, alla formazione, diritto alla cittadinanza non solo per l’adulto ma anche per il bambino. Una società di cittadini, di uomini e donne liberi perché indipendenti e autonomi nel pensiero e nell’opera, una società collaborativa e solidale, aperta alla diversità, quella che sottostà al progetto di vita della casa dei Bambini». Un grande coraggio espressivo e libertario si manifesta nell’impegno e nella dedizione teorica e applicativa del metodo Montessori, un coraggio che ci ricorda il fervore di Labriola e delle sue lezioni accademiche. La fede del professore e dell’uomo Labriola negli studenti universitari come fondamenta di un’Italia e di un’umanità nuova, libera, progredita, alfabetizzata assomiglia - per vie diverse - alla fede di Montessori nel bambino “padre dell’uomo” e di una nuova umanità affrancata nell’espressione e nel giudizio da tutti i gravami ideologici e verbalistici del passato, emancipata da pregiudizi mentali e pedagogici, aperta a percorsi formativi democratici, accessibili a tutti senza distinzioni di genere di ceto di condizione. Partendo proprio da un impegno, da una dedizione pedagogico-educativa, quasi spontanea e naturale, che percorre trasversalmente il pensiero e l’agire, l’impegno didattico teorico e quotidiano che diventa forma mentis, impostazione metodologica nel vivere e nell’operare di ogni giorno, oltreché nella pratica professionale. In questo spirito e in questa mentalità aperta a un’evoluzione e a un progredire senza confini né vincoli personali o strutturali, esteriori, ci sentiamo di cogliere - senza

31 G. Recchia, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile è stato pubblicato nel Catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303 – 2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904 – 2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Filosofia. 32 Ibidem.

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sistematicità alcuna - spiragli di affinità tra Montessori e Labriola, le cui strade si sono casualmente incrociate per un brevissimo periodo delle loro esistenze.33

Sul concetto di Ravvedimento Makarenko scrive: “(…) Per noi non si trattava di ‘redimere’ un uomo, ma di educarlo in modo nuovo, perché diventasse non solo un membro non pericoloso della società, ma perché fosse in grado di concorrere all’edificazione della nostra nuova epoca. E come si poteva educarlo se quando aspirava a entrare nel Komsomol lo si rifiutava, ricordandogli per di più i vecchi crimini, commessi comunque in giovanissima età? (…)”.34 E sui ragazzi della colonia afferma: “(…) Allora mi sembrava che centoventi ragazzi della colonia non fossero solo centoventi ragazzi abbandonati che avevano trovato una casa e un lavoro. No, erano cento sforzi etici, cento energie tese in un accordo musicale, cento piogge benefiche che perfino quella donna grandiosa e bizzosa che è la natura aspettava con gioia impaziente”. 35

Contro il pedagogismo Makarenko si espone apertamente, in tutto il Poema e in tutta la sua opera educativa: contro il pedagogismo imperante, lo scolasticismo dogmatico, verbalistico, fatto di leggi preconcette, di carte bollate, di atti burocratici e amministrativi. Rea, questa pedagogia, di avere anche trattato giovani abbandonati, poveri, sfortunati, come delinquenti, idioti, minorati. 36

E sulla disciplina cosciente dice: “Si discuteva anche sulla disciplina. La base teorica di questo argomento erano due parole che s’incontravano spesso in Lenin: ‘disciplina cosciente’. Per qualunque persona sensata queste due parole comprendono un pensiero semplice, comprensibile e praticamente necessario: la disciplina deve essere accompagnata dalla consapevolezza della sua necessità, utilità e importanza di classe. Nella teoria pedagogica l’interpretazione era un’altra: la disciplina deve nascere non dall’esperienza sociale, non dalla pratica azione di un collettivo di compagni, ma dalla pura coscienza, dalla nuda convinzione intellettuale, dal vapore dell’anima, dalle idee. Poi i teorici andarono ancora oltre e decisero che la disciplina cosciente non serve a nulla se nasce sotto l’influenza dell’adulto. In tal caso non si tratta più di un’autentica disciplina cosciente, ma bensì di una sostanziale violenza sul vapore dell’anima. Non occorre una disciplina cosciente, ma un’autodisciplina. Nello stesso identico modo non serve ed è anzi pericolosa qualsiasi organizzazione dei ragazzi, è necessaria l’autorganizzazione”. 37

E quale può essere la gioia di domani?: “L’uomo non può vivere se non vede davanti a sé qualcosa di piacevole da raggiungere. Il vero stimolo della vita umana è la gioia di domani. Nella tecnica pedagogica questa gioia di domani è il principale mezzo di lavoro. Innanzitutto bisogna suscitare questa gioia, darle corpo e concretezza. In secondo luogo

33 Ibidem. 34 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Prima, cap. 27 “La conquista del Komosol”, p. 185. 35 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 1 “I Chiodi”, p. 366. 36 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 4 “Tutto bene”, pp. 410 sgg. 37 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 10 “Ai piedi dell’Olimpo”, pp. 483 – 484.

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bisogna costantemente trasformare le forme più semplici di questa gioia in altre più complesse e umanamente più significative. Si forma così una linea interessante: dalla soddisfazione primitiva dello zuccherino al più profondo senso del dovere”.38

3) Sugli scritti di Maria Montessori

Insomma, nonostante le differenze spazio – temporali, tra Montessori (Chiaravalle 1870 – Paesi Bassi 1952) e Makarenko (Bielopolje, Ucraina, 1888 - Mosca, 1939), i temi affrontati dal pedagogista russo sono molto vicini a quelli montessoriani e viceversa. Noi ne abbiamo enucleati solo alcuni tra i più significativi e ricorrenti. Ma gli argomenti cari al Makarenko del poema Pedagogico ritornano soprattutto negli articoli in cui la studiosa marchigiana si occupa della devianza minorile, non ultimo come fatto di attualità degli anni in cui scriveva. A questi articoli ci dedicheremo in questa parte del nostro studio.

Sono sei in tutto gli articoli di Maria Montessori pubblicati su “La Vita” e riguardanti i minorenni corrigendi, a questi va aggiunta la replica di ROSSANA (?), interlocutrice della studiosa e con essa in aperta polemica sul tema in esame39. Esattamente un secolo fa, tra giugno e settembre 1906, dunque in un arco di tempo breve che coincide con il periodo estivo, si sottoponeva all’attenzione pubblica una questione importante e delicata: l’educazione dei minorenni corrigendi. Gli articoli di Montessori aprono, tra l’altro, un dibattito sulla realtà dei “carceri minorili” – che la pedagogista disapprova – e questo avviene a breve distanza di tempo dall’emanazione (3 luglio 1904) del decreto reale sul nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza dei riformatori governativi”, la cui applicazione si avvia al principio del 1905. A un anno di distanza, quindi, si spalanca la ”querelle” – tra Montessori e ROSSANA – sulle pagine della rivista. Le riflessioni sollevate ei temi affrontati via via, che qui di seguito passeremo in rassegna attraverso una sorta di indice tematico analitico, risultano di grande attualità nel panorama della devianza minorile e della tanto dibattuta “rieducazione” dei minorenni detenuti. E tutto questo anche in considerazione della riforma del Codice di procedura penale minorile (DPR n. 448/ 1988), delle leggi a esso collegate e delle norme di attuazione (D.L.vo 272/89) che introducono una nuova filosofia dell’intervento nei confronti dei minori sottoposti a procedimento penale, nonché grandi cambiamenti nell’organizzazione dei Servizi minorili. Cambiano altresì le modalità di intervento degli operatori minorili, che assumono il ruolo di “attivatori di risorse” con maggiori responsabilità sui minori loro affidati. Cambiamenti che, molto tempo prima negli articoli in questione, sono auspicati e caldeggiati da Montessori. Come pure si auspicava da parte di ROSSANA l’istituzione di

38 A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 10 “Ai piedi dell’Olimpo”, pp. 491 – 492. 39 Vedi nota 7.

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un Tribunale ad hoc per i minorenni, istituzione che avverrà con Regio Decreto nel 1934, trent’anni dopo circa la “querelle” di questi scritti. Insomma, Montessori e ROSSANA, pure con punti di vista diversi, mostrano sensibilità e grande lungimiranza dimostrandosi antesignane sui temi della giustizia e devianza minorile e Montessori, da studiosa e pedagogista, affronta naturalmente la questione con un interesse particolare, soffermandosi su aspetti che ci ricordano il Makarenko del Poema Pedagogico scritto nel 1928, e dunque appartenente a un contesto geografico, culturale, sociale e temporale differente e distante, anche se non troppo.

Temi ricorrenti negli articoli

Abbiamo esaminato gli articoli in ordine cronologico di uscita e nello stesso ordine compaiono qui nell’Appendice. Nel primo scritto, A proposito dei minorenni corrigendi40, Montessori inizia a soffermarsi appunto sui minorenni corrigendi41 e sui Riformatori (carceri dei fanciulli) e quindi richiama subito con entusiasmo la Riforma Doria. Montessori sottolinea come ci si avvii finalmente verso “veri istituti di educazione fondati sui principi della pedagogia scientifica”. Il grido della studiosa era già stato, sei anni prima, “togliamo i fanciulli dalle carceri e dai manicomi” perché in quei luoghi e negli istituti per deficienti sono rinchiusi spesso i “bambini bisognosi”. Montessori plaude quindi al nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza dei riformatori governativi” emanato, come già abbiamo ricordato, il 3 luglio 1904 e la cui applicazione si avvia al principio del 1905. Più avanti, nel medesimo articolo, Montessori parla di gioventù traviata e di delinquenza giovanile evidenziando che “gli istituti destinati a raccogliere le infelici creature non devono essere né assomigliare a un carcere”, un principio moderno, proprio della nuova “filosofia” dell’intervento nei confronti dei minori sottoposti a procedimento penale (lo dicevamo più sopra) che è l’anima del nuovo Codice di procedura penale minorile. Questo stesso principio – contrario al carcere per i minorenni – è alla base del progetto di riforma del Doria e la pedagogista sottolinea l’importanza, anche nei contesti detentivi e soprattutto qui, dell’opera educativa dei minorenni che è “opera di missionario”. “Sacra è sempre l’infanzia: – dice ancora – è sacra la creatura incolpevole anche quando il carcere l’ospitava!”.42 Gli adulti hanno quindi sbagliato a non voler vedere, né udire quei bambini rinchiusi, dimenticandoli lì. Il fatto dunque che la riforma Doria elimini i carceri per i fanciulli in Italia è “una delle più sante conquiste di civiltà”: “Non più carceri per i fanciulli” grida Montessori. 40 Vedi nota 1 e Appendice. 41 Il grassetto è nostro per evidenziare i temi ricorrenti incontrati nei testi. 42 La sacralità del bambino è un tema importante nel pensiero e nell’opera educativa montessoriana ed è emerso anche in un altro nostro saggio su Montessori e la letteratura, là dove – dalle citazioni letterarie a cui la studiosa ricorre nei suoi libri – spesso, tra l’altro, citazioni sacre – si evidenzia il valore sacro dell’infanzia. Si veda: G. Recchia, “Solo i poeti sentono…”. Gli spunti letterari del Metodo della Pedagogia Scientifica di Maria Montessori, in “Ciascuno cresce solo se sognato”. La formazione dei valori tra pedagogia e letteratura, a cura di Elisa Medolla e Roberto Sandrucci, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2003, pp. 85-98; G. Recchia Il posto della letteratura in Maria Montessori: gli “spunti letterari” de Il metodo della Pedagogia Scientifica e degli altri scritti montessoriani e il loro significato nella formazione dei valori,incorso di pubblicazione.

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La pedagogia scientifica, dunque, segue una via nuova di trionfo umano, nel quale ha largo spazio “la redenzione di tutti i reietti: deficienti intellettuali e morali”. Sulla redenzione dei reietti la studiosa si sofferma ancora in questo primo articolo e sulla necessità di uno studio individuale dell’educando (Montessori sostiene infatti che si potrà “guidare “ e “correggere” solo quando “conosceremo” l’educando. Dunque l’antropologia deve essere la base della pedagogia). Nell’articolo Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La riforma Doria)43 c’è una riflessione sulla realtà carceraria minorile (carceri, riformatori) e sui corrigendi (detenuti, ricoverati) in base a quanto commesso (atto criminoso). Prima della riforma Doria, dice Montessori, i carcerieri erano le “guide educative” scelte tra il “personale di rifiuto” delle carceri per adulto che chiama luoghi di “vendetta sociale”. La riforma Beltrami – Scalia (del 1891) aveva distinto i corrigendi in tre categorie: traviati e ribelli alla autorità paterna; oziosi e vagabondi, mendicanti; colpevoli di delitti comuni. Sul sistema carcerario di Beltrami – Scalia interviene però la riforma di Alessandro Doria, plaudita da Montessori come “movimento ardito di innovazione”. Il carcere – dice infatti – diventa un “istituto di pedagogia scientifica”; ai carcerieri si sostituiscono i “maestri elementari” a cui si affida l’opera redentrice e la prevenzione: è questo il nuovo personale di educazione (educatori). Dunque Doria, con la sua riforma, si fa promotore di un progetto educativo, che il maestro deve realizzare come progetto sperimentale e con metodo sperimentale. Per questi speciali educatori occorre quindi un’istruzione speciale: perché occorre uno studio psico-fisico degli educandi. Così,una pedagogia nuova sarà per la prima volta applicata in Italia; Montessori parla di scuola pedagogica: alla “brutalità cieca di antica vendetta” si sostituisce l’applicazione di scienze moderne come l’antropologia e la psicologia; scienze che “promettono redenzione e perfezionamento dell’umanità”. La ”clinica pedagogica” sostituisce insomma il carcere. Perché dove si “cura” si “educa”, si elabora un materiale scientifico colossale. Quindi studio antropologico dell’individuo associato alla sua educazione: ecco che la pedagogia scientifica entra a far parte della riforma Doria. La giustizia va sostituita con la misericordia e la civiltà sale grazie a questi principi innovativi. Ma la vera crescita di civiltà avverrà applicando la pedagogia scientifica a “tutti gl’individui normali” perché “le nostre ricchezze (...) ci verranno dall’umanità normale”.

A quanto sin qui affermato con vigore dalla Montessori replica ROSSANA nel terzo articolo: ?????? Rossana, A proposito delle case di correzione44. L’interlocutrice della Montessori (Rossana appunto, non meglio identificata ex direttrice di una scuola di educazione civile) ritiene che “gli entusiasmi non devono farci velo ed è opportuno ricondurre la questione nei suoi veri termini”. Vale a dire che la riforma Doria – secondo Rossana – è stata “formale” quanto quella Beltrami-Scalia è stata burocratica. Dunque, manca molto per una reale e generale riforma delle case di correzione e nel frattempo il codice penale resta immutato con la sua severità e i suoi reclusori e quel che Doria fa come direttore dell’Istituto di Tivoli non è una riforma generale ma, per quanto positivo, è

43 Vedi nota 1 e Appendice. 44 Vedi nota 1 e Appendice.

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limitato a quel contesto. Aver sostituito i carcerieri con i maestri elementari – prosegue più avanti nello stesso articolo – non basta. Occorrono persone formate adeguatamente che conoscano la psicologia criminale. Alla correzione deve sostituirsi il principio di emendazione. E bisognerà pensare alla creazione di un Tribunale ad hoc (il Tribunale per i Minorenni che sarà istituito con il Regio Decreto del 1934).

Montessori replica a queste affermazioni nell’articolo Sulla questione dei minorenni corrigendi45. Ribadisce il concetto che gli istituti di pena hanno bisogno del contributo di altre discipline scientifiche per cooperare a una stessa opera educativa (ed è questo un principio assai moderno), come la psichiatria, la pedagogia, la psicologia. Perché non si tratta di affrontare la questione giuridica del problema. “Aprite le porte dei riformatori alla scienza – scrive Montessori – e fate che questa vi si stabilisca come in una clinica”. Se questo avviene, non può restare sterile, perché conoscere il minorenne è fondamentale per il progresso educativo e non punirlo e segregarlo. E Doria, secondo la pedagogista, ha posto le basi di questa evoluzione. Anche nell’articolo successivo (Per i minorenni delinquenti. L’organizzazione nel Riformatorio di S. Michele46) Montessori si sofferma sull’Istituto di San Michele a Ripa (il Complesso Monumentale di San Michele a Ripa Grande, oggi sede di Uffici del Ministero per i beni e le attività culturali, nasce nel 1686 come Istituto Apostolico San Michele, sotto il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi) allora era destinato ad accogliere e rieducare giovani orfani e bisognosi. Qui la studiosa si sofferma sull’importanza – nell’educazione – della “ripetizione” del ripetere gli esercizi che corrisponde ad approfondire perché “la personalità umana edifica e si ingrandisce solo a prezzo di pazientare, di fermarsi, di ripetere”. “La ripetizione crea”, ribadisce Montessori, e nei fanciulli anormali infatti c’è una instabilità dell’attenzione. Per questo il lavoro manuale rappresenta, ancora oggi, uno strumento fondamentale nell’educazione e nella cura dei minorenni. E i ragazzi impegnati nei laboratori professionali (officine) per Montessori sono convalescenti. Questi laboratori sono “scuole razionali complete di lavoro (...) degne di essere generalizzate”.

Per la correzione dei minorenni dunque non occorrono i mezzi coercitivi (aboliti infatti nel nuovo regolamento del Doria), ma occorre amore, perché è lui che guida il “cammino diretto” dell’umanità e non la paura della punizione (si veda l’ultimo degli articoli sul tema: M. Montessori, Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore47). E la salute del corpo del fanciullo e quella dell’ambiente sono propizi all’amore, inteso anche come cura contro il male. Insomma, l’educazione morale del minorenne passa attraverso uno studio individuale del soggetto, attraverso la sua anamnesi e salute e amore sono congiunte come corpo e spirito. Poi ci sono anche dei fattori patologici: i casi in cui le cure morali, le esortazioni, l’esempio, l’ambiente, l’amore non servono. Correggere i minorenni delinquenti, vuol dire correggere fanciulli “ignoranti o deficienti dell’amore” e questo

45 Vedi nota 1 e Appendice. 46 Vedi nota 1 e Appendice. 47 Vedi nota 1 e Appendice.

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anche perché noi adulti non trasmettiamo l’amore che abbiamo. Mentre l’umanità nuova è proprio l’umanità ricca di affetti e di amore (contro l’umanità vecchia proletaria e assetata di affetti). L’amore redime e spezza catene e inferriate; se ci fosse amore probabilmente non ci sarebbe bisogno dei riformatori. Occorre dunque prevenire con l’educazione e ove necessario reprimere con l’internamento positivo (conoscenza, anamnesi, cura e redenzione, secondo quanto esposto dalla pedagogista sin qui): questo è proprio di una moderna pedagogia scientifica. I castighi esemplari sono infatti propri di una pedagogia “digiuna assolutamente di scienza”. “Bisogna risalire al fanciullo e fondare scuole”: “ad ogni scuola che s’apre si chiude un carcere”. E sarà questa una “scuola riparatrice di deficienti, di epilettici, di minorenni delinquenti”. Rispetto a tutto ciò, la riforma Doria sui riformatori governativi si presenta ardita. Viviamo così – dice Montessori – la fase delle “variazioni sociali” in cui “forme nuove” sostituiscono le antiche. I riformatori si stanno evolvendo e divengono “germi di organismi superiori” rispetto ai carceri. Dai riformatori potrà scaturire così la profilassi e la cura delle criminalità, partendo proprio da uno studio dell’individuo. In questo modo, l’Italia, già culla di civiltà, sarà anche terra di redenzione. APPENDICE M. Montessori, A proposito dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2 (3 giugno 1906), n. 153, p. 3.

In un suo articolo “Un grave problema sociale” Rossana prendeva a trattare l’altro giorno su La Vita la questione dei minorenni corrigendi a proposito di un libro che ha avuto l’onore del premio Ravizza. Rossana parlava del barbaro modo con cui i giovanetti raccolti nei tetri istituti (i Riformatori) sono trattati, cioè come veri e propri malfattori, alla dipendenza di un personale ignorante e bestiale. Questo faceva contrasto con una nota di cronaca comparsa due o tre giorni prima sullo stesso giornale, ove si parlava con ammirazione della recente riforma Doria sui Riformatori da me fatta coi miei studenti del corso di antropologia pedagogica al riformatorio S. Michele. E’ bene che sia rinnovata al pubblico la conoscenza di questa Riforma – che onora il nostro paese – affinché non ripetiamo, anche in questo caso, come Rossana (e come abbiamo l’abitudine di fare “italianamente” e “umilmente”), che in questo nostro bel paese “le più sagge determinazioni restano lettera morta” e “i problemi sacri alla civiltà restano sempre arretrati”. C’è qualcosa oggi di assai più grandioso da osservare in Italia, che non sia l’Istituto pedagogico forense di Milano, a proposito dei minorenni corrigendi. Ed è la via di trasformazione in cui sono entrati i Riformatori, cioè le carceri dei fanciulli, verso un vero

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e proprio istituto di educazione fondato sui principi della pedagogia scientifica. Io ricordo la mia propaganda di sei anni fa in Italia, in favore di tutti i fanciulli anormali; il mio grido era sentito ovunque, come se rispondesse all’idea culminante di ogni anima: “togliamo i fanciulli dalle carceri e dai manicomi!”. E qua e là cominciò la cessione dei bambini ricoverati in manicomio, a qualche individuo o società benefica che li tenne in istituti di educazione speciale. Così sorsero in Italia due o tre – non più – istituti per deficienti, rimanendo ancora una immensa falange di dimenticati nella città morta del pensiero… e un esercito di epilettici, fanciulli senza soccorso e senza speranza, che sono condannati da noi alla mendicità e al manicomio… Poiché è sempre imperfetta, non per la qualità, ma per l’estensione, l’opera dei privati. Sia pure diffuso come per esempio un ordine religioso che espanda le scuole per “les ignorantins” del beato La Salle – o un’opera di genio che dilaghi come le scuole del Pestalozzi in Germania e in Isvizzera – è sempre qualche cosa di aristocratico, di privilegiato. La statistica dimostra che la maggior parte di bisognosi resta senza soccorso. Un esempio c’è da noi nei ricreatori: opera privata diffusissima, che ripara solo in una quinta parte alla necessità cittadina! L’istruzione popolare è raggiunta solo con la scuola elementare obbligatoria, riconosciuta come una necessità civile, e applicata dalla collettività. Ebbene – in questo senso dico che oggi c’è qualcosa di grandioso da osservare in Italia: il nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza dei riformatori governativi” uscito con decreto reale il 3 luglio 1904 e applicato sul principio del 1905, poco più di un anno fa. Questo regolamento è meraviglioso di modernità: noi non abbiamo ancora nulla di simile in nessuna istituzione pedagogica. Da lungo tempo i sociologi e gli uomini di cuore studiano la gioventù traviata escogitando i mezzi migliori di educazione e di emenda da opporre alla delinquenza giovanile, che inquina le fonti della vita sociale. Nella ricerca dei mezzi atti a correggere il giovane spirito reso ribelle da cause congenite, o dall’abbandono, o dal cattivo esempio, o dalla miseria, vari sono i pareri e le tendenze; ma tutti trovansi concordi nel ritenere che l’asilo destinato a raccogliere le infelici creature non deve essere, né deve assomigliare ad una carcere. Così dice il Doria nel presentare il suo progetto di riforma al ministro dell’Interno. In questo progetto si separa completamente nel regolamento come nell’amministrazione il Riformatorio dalla carcere: e i carceri sono espulsi… Ad essi si sostituiscono maestri elementari scelti a concorso d’esame – e anche scelti per le qualità morali di sentimento e di pazienza – poiché l’opera educativa dei minorenni è opera di missionario … Il regolamento interno, che era informato a quello delle carceri, s’informa ora a quello dei Convitti nazionali. Si atterrano le inferriate alle finestre, sostituendole con persiane fisse di vetro smerigliato; si gettano in cantina i catenacci delle porte; oramai la porta di strada verrà aperta giornalmente per la passeggiata ginnastica dei fanciulli in bel costume, accompagnati dai maestri… Sacra è sempre l’infanzia: è sacra la creatura incolpevole anche quando il carcere l’ospitava!… E noi abbiamo avuto in famiglia questa festa … e non ne abbiamo partecipato. I nostri fanciulli delle carceri, in Italia, dall’Alta Alpe all’estrema Sicilia – da un mare all’altro – tutti, contemporaneamente, senza che ne fosse dimenticato un solo! Noi non li abbiamo uditi. Male! Il pubblico deve corrispondere a certe riforme. Tanto più qui, poiché quei fanciulli che appartenevano prima ai poteri segreti della giustizia – oggi

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sono nostri – e il pubblico può e deve sempre entrare là ove si compie il santo ufficio dell’educazione infantile. Ieri stesso, per esempio, sono venuti qui in lieta gita, con le loro musiche, e la gioia giovanile, i minorenni di Tivoli: quei medesimi (io me li ricordo con uno stringimento di cuore!) che qualche anno fa erano sottratti al contatto dei rari visitatori: specialmente le donne potevano vederli solo da lontano, in un cortile, ov’essi erano agglomerati in fondo, dietro a un cancello, come una stiva, donde mandavano urlando sconci saluti, tra le minacce dei carcerieri… E noi, alla loro visita festevole fatta ieri a Roma, perché non siamo accorsi a salutarli, col cuore, e perché non si è bagnato il nostro ciglio al pensiero di quella loro musica, che sembra un inno di tempi nuovi? In Italia non abbiamo più carceri pei fanciulli: lo sappia lo straniero. Noi ne andiamo superbi come della più santa conquista di civiltà. E dobbiamo dirlo forte, perché sentiamo la fratellanza universale, e vogliamo che ci imiti e ci segua quel paese che ancora non ci aveva preceduti. In tutto il mondo sia così: non più carceri pei fanciulli. La Pedagogia scientifica segna una via nuova di trionfo umano, nel quale ha larga parte la redenzione di tutti i reietti: deficienti intellettuali e morali. Questa pedagogia ha per base “lo studio individuale”, noi potremo guidare e correggere solo quando conosceremo l’educando, nella sua genesi come nella sua costituzione psico-fisica. Cioè l’Antropologia deve essere base della Pedagogia. Ora, se in Italia avevamo già per opera di privati scuole di Pedagogia scientifica, come quella che onora oggi Milano – e come le altre sorte a imitazione di quella in varie città, fino a Reggio di Calabria, ma non in Roma capitale - non esistevano della Pedagogia scientifica applicazioni ufficiali. Il primo esempio è qui, nei Riformatori: e su questo importante argomento che è di alta attualità e d’interesse pubblico, mi intratterrò un’altra volta.

Maria Montessori M. Montessori, Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La riforma

Doria), in “La Vita”, 2 (6 giugno 1906), n. 156, p. 3.

Continuo su questo argomento che per noi è più triste, ma glorioso. E tutti dobbiamo averne conoscenza. I nostri riformatori – un tempo – contennero promiscuamente i corrigendi d’ogni categoria, dal bambino incorreggibile che il padre è costretto ad allontanare da sé a quello che aveva commesso un vero e proprio atto criminoso, o che era dedito al vagabondaggio, o al meretricio. In tale promiscuità, guida educativa erano i carcerieri scelti per lo più tra il personale di rifiuto – delle carceri per adulti – ove si conservano gli elementi migliori. Il tirocinio di tali guide era dunque stato fatto in quel luogo di vendetta sociale ove strapiomba tutto il peso della zavorra umana degenerata e ineducabile. Nel 1891, ecco una prima riforma del Beltrami-Scalia il quale si limita a separare in tre diverse categorie

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i corrigendi, cioè: i minorenni traviati e ribelli all’autorità paterna per modo che il genitore o il tutore siano impotenti a correggerli (art. 222 Codice civile).

- Gli oziosi e vagabondi, e i mendicanti o le meretrici abituali, minori degli anni diciotto, privi di genitori o aventi questi incapaci di provvedere alla loro educazione e sorveglianza (articoli 114 e 116 della legge di pubblica sicurezza).

- I colpevoli di delitti comuni che, nel momento in cui commisero il fatto delittuoso non avevano compiuto i nove anni, e di quelli che avendo più di nove anni, ma non più di quattordici, agirono senza discernimento (art. 53 Cod. penale).

Le tre categorie furono completamente separate in località e spesso in città diverse; ma – pure essendo evitata la perniciosa promiscuità – rimaneva invariato l’ordinamento interno, che era quello carcerario: ove si parlava complessivamente del detenuto (nelle carceri comuni) e del ricoverato (al Riformatorio). Su tale stato di cose – sorge la riforma di Alessandro Doria. – Sembra ispirata da un soffio meraviglioso di potenza innovatrice – che ha un profumo tutto italico di genialità: scaturisce come acqua pura dal macigno poderoso dell’antico diritto penale vendicatore delle colpe che Cesare Lombroso aveva spezzato. La riforma è una rivoluzione: e ha l’importanza storica di un passaggio netto da una civiltà ad un’altra: “è – lo dice lo stesso Doria – un movimento ardito d’innovazione”. Il carcere di un tratto deve diventare un istituto di pedagogia scientifica: ai carcerieri debbono sostituirsi maestri elementari, uomini di mente e di cuore, “cui è affidata una missione d’importanza eccezionale, di faccia alla Società tutta intera, che guarda con vivo interesse”. (Regolamento peri riformatori governativi. Rivista di Discipline carcerarie. A. XXX. P. II). Sì, a questi maestri si rivolge con parole tanto solenni il Doria, in nome del ministro dell’interno; li chiama missionari, e affida loro l’opera redentrice: “a voi maestri”. Quando si trattò di giudicare nel nome nuovo dell’umanità il criminale, anzi che il crimine, fu chiamato il medico, accanto al giudice – per dare in nome della scienza un semplice responso. Ma ora, nell’opera di prevenzione, si lascia rispettosamente libero il campo a colui che è il maestro: “a Voi… è affidata la missione cui il mondo guarda…”. Nuovo battesimo il cui solenne significato risplenderà nel futuro. E il redentore entra umile: - maestro! venite qui, al posto del carceriere, che era l’ultimo uomo, dopo il carnefice. Venite: si è eretto in quest’umile luogo il trono dello spirito; venite e redimete, create anime, regnate. Che cosa deve fare il maestro? Tutto. Poich’egli è tutto. La sua dignità alta è riconosciuta fino al punto che il presidente dei ministri non osa dettargli legge. Caso nuovo; e bello di vigore in una rinascenza umana! Alessandro Doria, modesto come chi ha la sapienza del vero e della vita – non propone leggi nel regolamento – offre un progetto, impersonalmente: “.. è stato preparato un progetto, con l’intento di metterlo in esperimento: … esso verrà applicato in forma e con intenti sperimentali perché la pratica possa indicarne le imperfezioni e le manchevolezze …”. E chi dovrà sperimentarlo, modificarlo e renderlo definitivo, è il maestro: “per ottenere questo risultato, il ministero molto confida nell’impegno del nuovo personale di educazione”. Solo i gesuiti, ma in un campo tutto privato, ci avevano dato un simile precedente: per essi la regola dell’Ordine, come il programma degli istituti di educazione, dovevano essere lungamente sperimentati, prima di venire formulati e imposti all’obbedienza. Così fu che ai loro tempi conquistarono, strapotenti, il mondo dell’educazione.

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Qui ecco sorgere il metodo sperimentale in regolamenti di ordine pubblico e nelle leggi: il maestro stesso che dovrà obbedirvi, avrà formulato sulla sua pratica e competenza, la legge. Per rispondere al suo alto compito, l’educatore che deve “mantenersi esempio di virtù nella vita pubblica e privata” ha da ricevere un’istruzione speciale – nuova – alla quale non è dato ancora accedere ai comuni educatori dell’infanzia normale; egli deve essere istruito sui principi della antropologia per venire iniziato alo studio individuale dello scolaro e per dare il suo contributo alla “carta biografica” di ogni alunno, alla quale contribuiscono anche per completare l’esame obiettivo, il medico; e per lo studio anamnestico, il direttore dell’istituto. Lo studio completo psico-fisico degli educandi ha lo scopo “di raccogliere gli elementi rivelanti le tendenze e il carattere, che, messi in rapporto al sistema educativo, servano a prevenire il trattamento pedagogico”. Cioè: si riconosce guida fondamentale all’educazione, la conoscenza scientifica dell’individuo da educare, documentata nelle carte biografiche”. Questa è la base della pedagogia nuova; della quale non si conosce altra ufficiale applicazione in Italia. Solo nella Scuola Pedagogica, che si trova nelle altitudini universitarie, è stato introdotto l’insegnamento dell’antropologia, accanto a quello della Psicologia sperimentale: ciò che forma un nucleo di scienze tendente a dare un indirizzo più moderno alla pedagogia. Ma l’innovazione è timida: tali insegnamenti scientifici rimangono, per ora, “facoltativi, non necessari”. Abbiamo dunque là, ove innanzi al progetto mirabile era brutalità cieca di antica vendetta, un primo fondamento delle applicazioni pratiche di quelle scienze moderne che promettono redenzione e perfezionamento dell’umanità. Era il carcere: oggi è una clinica pedagogica ove non solo si cura e si educa avanzando verso la meta già visibile di una efficace difesa sociale: ma si elabora un materiale scientifico che è colossale. Poiché lo studio completo della personalità nei fanciulli anormali, non sarà fuggevole ricerca di un solitario studioso; ma opera lunga di osservazione. Per anni interi, cioè fino a che l’educando non abbia raggiunto l’età di 21 anni, sarà osservata ogni giorno, d’ora in ora, da tutti i diversi educatori e dai medici a ciò scientificamente preparati. E questo si dovrà ripetere per tutti i ricoverati, in tutta Italia. Veri centri di scienza antropologica, i cui risultati saranno tesori inapprezzabili; donde potremo acquistare i principi e i mezzi della difesa sociale e i sentimenti umani che dovranno sostituire la giustizia con la misericordia. Cioè la civiltà potrà salire un gradino verso l’alto. L’ascesa ulteriore dobbiamo attenderla dalla Pedagogia scientifica applicata a tutti gl’individui normali, perché le nostre ricchezze, la eternità trionfante della vita fisiologica, le attitudini dello spirito umano, ci verranno dall’umanità normale – curata come sacro, religioso pegno della vita. Invece oggi trascuriamo ciecamente le forze migliori di noi… Ma le applicazioni della Pedagogia scientifica non si riducono allo studio antropologico dell’individuo: si estendono ancora alla sua educazione. Questa entra pure a far parte

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importantissima della riforma Doria: rimando l’argomento a un’altra volta.

Maria Montessori

?????? Rossana, A proposito delle case di correzione, in “La Vita”, 2 (12 giugno 1906), n. 162, p. 3.

Non era certo mia intenzione entrare direttamente a trattare la questione dei minorenni corrigendi, poiché questo problema sociale spetta, secondo me, a persone giuridicamente edotte. Io segnalavo semplicemente agli studiosi del genere un buon libro in proposito, e mi riportavo col pensiero a qualche anno fa quando, direttrice di una scuola di educazione civile, credetti mio dovere assistere nelle pratiche di procedura una disgraziata famiglia che aveva un giovinetto delinquente, destinato ad entrare in una casa di correzione.

Poiché i minorenni dai 18 ai 21 anni espiano nei reclusori la loro pena come ed insieme ai più perversi ed induriti malfattori, giacché la legge non permette un diverso trattamento.

I minorenni dai 14 ai 18 anni anch’essi in buona parte corrono la stessa sorte, giacché il metterli in una casa di correzione invece che nel reclusorio, non è disposizione di legge di indole generale, ma è disposizione devoluta all’arbitrio del giudice che spesso non ne fa niente.

Consultando poi le ultime statistiche del Doria, risulta che i riformatori sono assolutamente insufficienti a raccogliere i quarantamila minorenni colpevoli, e che per i condannati non esiste che la casa di correzione di Urbino, onde moltissimi restano nei penitenziari comuni. Nei riformatori governativi dunque non sono raccolti che la metà dei minorenni delinquenti, senza contare che esiste una notevole ed essenziale differenza fra il trattamento dei discoli che stanno negli istituti di correzione paterna ed il trattamento dei delinquenti che stanno nelle case di correzione. Sono entrambi “riformatori”, ma ben diversamente regolati.

Comprendo benissimo lo slancio di entusiasmo della prof. Montessori; essa che ha date le sue belle energie, la sua bontà e il lungo corredo di studi alla causa dei deficienti, essa che dall’Alpi al mare scosse le anime con la sua parola vibrata in pro di questo proletariato infantile, avrà sinceramente sentito dal comm. Doria e per la maniera lodevole con la quale egli conduce l’istituto di Tivoli.

Ma purtroppo gli entusiasmi non devono farci velo, ed è opportuno ricondurre la questione nei suoi veri termini. Il commendatore Doria ha tolte le guardie carcerarie e le ha sostituite con dei maestri elementari. – Ricordo che l’anno scorso, sul Cittadino si svolse una vivacissima polemica a proposito di questa riforma allora attuata. Quel giornale attaccava il Doria incolpandolo di una modificazione fittizia, apparente, inutile. Contro queste accuse sorse appunto l’avv. Guarnirei Ventimiglia in difesa del Doria, dimostrando la bontà degli intenti suoi e l’utilità di questa iniziativa, che poteva precorrere altre e più radicali riforme.

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Ma fu un piccolo passo, lodevolmente effettuato, non una riforma organica e completa che modificasse l’antico andamento. Così come la riforma del Beltrami Scalia, che, separando in tre diverse categorie i corrigendi cioè: i minorenni traviati o ribelli all’autorità paterna da un lato; gli oziosi i vagabondi i mendicanti da un altro; i colpevoli di delitti comuni da un altro, attuò con questa divisione una riforma puramente burocratica, poiché accanto all’impulsivo che in un atto di collera ferisce un amico, vive il delinquente recidivo; accanto agli oziosi, indolenti ma tranquilli, vivono i mendicanti ladri e corrotti; accanto ai piccoli ribelli nervosi, ma spesso buoni, vivono i traviati impenitenti. La divisione dunque doveva effettuarsi non in una forma empirica, ma a seconda della gravità e dell’entità del male dal quale erano colpiti i minorenni e con criteri di una sana e beninteso pedagogia scientifica.

Conviene dunque non esagerare la cosa, poiché troppo manca ancora per l’attuazione di una generale ed effettiva riforma nelle case di correzione o istituti di educazione correzionale, specialmente con l’orientale lentezza con la quale procedono le cose da noi.

Infatti, fin dal 1876, il Nicotera rivolgendosi al Sovrano domandava la soppressione delle guardie carcerarie e solo trent’anni dopo s’è potuto conseguire questa riforma. L’ordinamento del personale di sorveglianza è mutato, ma siamo noi sicuri che esso sia idoneo? e quali studi speciali hanno fatto questi nuovi precettori per essere sicuri di intuire le tortuosità anormali dell’anima dei corrigendi? E questo mutamento non porterebbe con sé come necessità la modificazione del testo di legge e delle altre norme legislative?

Da tutto questo si rileva come non sia possibile lasciarsi andare ad un libero sfogo di entusiasmo, e tanto meno gridare: “In Italia non abbiamo più i carceri per i fanciulli, lo sappia lo straniero”. Sgraziatamente per il direttore, lo straniero non leggerà la Vita, poiché egli potrebbe sorridere e domandarsi: il Codice italiano dove è andato a finire? E’ stato forse abolito ed io non me ne sono accorto?

Anche coloro che non hanno studiato codici e pandette, sanno che l’amministrazione della giustizia penale e l’espiazione della pena sono perfettamente di regola, tanto pei maggiorenni che per i minorenni, motivo per cui c’è da rallegrarsi per la leggera riforma portata dal Doria nei riformatori; ma essa lascia pure immutati gli ordinamenti correzionali preesistenti per i minorenni delinquenti.

Il Codice penale, con i suoi articoli severi e i suoi reclusori, retaggio di barbarie ed insulto alla civiltà moderna, resta quale era, in barba alla scienza criminale, e lo dicono le Case di correzione di Forlì, i reclusori di Porto Ercole ed altri ancora.

Si comprende e si spiega l’entusiasmo per un istituto tenuto sotto la speciale sorveglianza del comm. Doria, che fa a Tivoli come già il Curli fece ad Ascoli Piceno, ma gli sforzi di un direttore, che con personali risorse intellettuali e morali riedifica tutto un sistema di educazione, in un riformatorio, non rappresentano una riforma generale che vada a conforto dei ventiquattromila ricoverati nelle Case di correzione, e degli altri sedicimila che restano nelle Case di pena.

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Non sono sogni questi, né volate pessimiste campate nell’aria per mettere insieme un articolo. Con sei soldi ognuno può comperarsi un Codice penale e constatare da sé la dolorosa verità.

La professoressa Montessori, con sottile ironia, dice: “c’è ben altro da ammirare oltre l’Istituto Forense di Milano”.

La colta signora ha perfettamente ragione: Dio sa quante belle cose ci sono da ammirare! Ma è supponibile che giuristi insigni come il Petrazzoli, il Maino, lo Zuccate e gli altri scienziati che compongono il Comitato di quell’Istituto, si riuniscano solamente per combattere dei fantasmi? E’ possibile che soltanto per cacciare delle ombre la Cassa di risparmio di Milano abbia versato migliaia e migliaia di lire e che per la stessa utopia abbia il Re elargite dalla sua cassetta privata altre centomila lire? Forse quei signori giuristi avranno aperto un concorso e indetto delle sedute coi più noti giureconsulti unicamente per fare delle accademiche dissertazioni sulla “caduta delle famose inferriate e dei relativi catenacci?”.

Nel programma dell’Istituto Forense è detto che essi “intendono provvedere a questa grande lacuna della giustizia” e più oltre: “sostituire una vera e moderna e razionale educazione dei minorenni traviati e corrigendi, togliendo gli infelici alle gravissime pene che, per disposizioni legislative, sono loro imposte dal vecchio Codice”.

E’ possibile che tutte queste illustrazioni della scienza giuridica non si siano ancora accorte che “in Italia non abbiamo più carceri per i fanciulli?”.

Ben altro ci vuole per risolvere un sì grave problema sociale; non basta la sostituzione di maestri elementari: per correggere quelle anime malate e traviate occorre della gente che conosca la psicologia criminale: più che le fanfare e le passeggiate ginnastiche occorre creare intorno ad essi una atmosfera famigliare ed operosa, ben lontana dal tipo caserma e camerata; occorre che lentamente e quotidianamente, col sussidio delle scienze mediche, essi vengano emendati, con provvida sapienza, onde togliere quelle anormalità fiorite nell’abbandono, nel cattivo esempio, nella degenerazione.

È tutto un criterio nuovo che deve sostituirsi all’antica idea della correzione: la sostituzione della pietà e della tenerezza all’antico disprezzo; la sostituzione della scienza all’empirismo giuridico; e converrà anche pensare alla creazione di un tribunale speciale, costituito da appositi magistrati per il giudizio dei minorenni: innovazione questa portata in America fino dal 1902.

Rossana

Sul nobilissimo argomento nel quale la Vita ha avuto l’onore di diffondere l’autorevole opinione della signora Montessori, riceviamo anche la lettera seguente:

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Ill. mo signor Direttore,

A proposito di ciò che Maria Montessori viene, nelle colonne della Vita, scrivendo sulla riforma degli Istituti di correzione mi piace osservare che, se al Direttore generale delle carceri comm. Doria vanno tributate alte lodi, per non aver nulla tralasciato e nessun sacrificio sfuggito, per addivenire alla soluzione di un sì importante e difficile problema, non vanno dimenticati coloro che all’opera stessa portarono il contributo dei loro studi e delle loro esperienze.

E fra questi è doveroso annoverare Emanuele Pasquini, il quale da molti anni dedica l’intelligente opera sua al miglioramento dei giovani ricoverati nella Casa di correzione di Urbino (unica in Italia per minorenni di cui agli art. 53.54 del Cod. pen.) e che fin dal 1901 raccolse il frutto delle sue esperienze ed una serie di belle proposte in un opuscolo al quale l’on. Tancredi Canonico, in un articolo comparso sulla Patria di Roma, prodigò gli elogi più lusinghieri.

Tanto per la giusta assegnazione dei meriti: unicuique suum!

Con ossequio cordiale.

dev.mo

Domenico Rossi

Aversa, li 6-6-906.

M. Montessori, Sulla questione dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2 (16.06.1906), n. 166, p.3.

Invece dell’articolo sulla organizzazione pedagogica del lavoro manuale nel Riformatorio di S. Michele in Roma, pubblichiamo oggi questa:

Risposta a Rossana

Rossana – voi avete aperto sulle colonne della Vita una polemica… - Io vi ringrazio di questo atto cortese. E godo che tra due donne si faccia una guerra gentile di sentimenti e

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di cultura, con lo scopo materno di redimere un’infanzia proletaria che deve essere sacra a ogni cuor di donna.

Non vi sembra un’era nuova di brillante femminismo, questa?

Un tempo erano le “barufe chiozote” di Goldoni… oggi sono le polemiche sociali, fatte con la penna. Permettetemi innanzi tutto di stendervi la mano. Voi avete voluto cortesemente ricordare la mia propaganda pei deficienti in Italia: io voglio ricordare voi, Rossana, tra gli operai raccolti nella scuola di educazione civile: la vostra opera sociale onorò il nostro sesso: ed io fui tra le persone che più la compresero. Ditemi, se quella istituzione avesse raccolto le signore più intellettuali e gli uomini colti di buona volontà, nelle serali riunioni con gli operai reduci da lavoro; e avesse tolti gli uni all’ozio e gli altri alla bettola affratellando uomini e caste in uno scopo di progresso intellettuale del proletariato, che è scopo di progresso universale – e la vostra unica scuola si fosse moltiplicata e propagata nei quartieri di Roma e poi nelle città d’Italia; non sarebbe stata una festa umana?

Ma forse la vostra scuola ebbe qualche difetto (chi non ne ha?…) – il pubblico non vi s’interessò abbastanza – i nemici vi colpirono – quasi nessuno vi comprese, né Stato, né partiti, né pubblico… Ebbene di ciò si muore. Di abbandono periscono spesso le più sante e geniali iniziative. Chi s’interessa lo fa per rilevare i difetti e ferire – spesso ferire a morte. Il bene resta coperto col male che sempre gli sta accanto, poiché tutto è fatto di bene e di male -; sul bene spesso si getta il veleno mortifero dell’invidia. E così l’edificazione delle cose buone è faticosa… dolorosa. Io posso dire lo stesso per la mia opera in favore dei deficienti. Non raccolsi io peggio che ingratitudine e non ebbi contro me gli ostacoli mortali? – Rossana – stendetemi la mano; e ditemi: perché uccidere? Edificare! aiutare la vita!plasmare con le forti attività dell’anima tutto quanto è buono: ecco una missione sociale della donna.

Ed ora veniamo più direttamente alla nostra importante discussione.

La riforma del Doria è allo stato “potenziale” – io n’ebbi l’impressione come di chi osservasse un germe umano e prevedesse le forme sublimi immortalate da Fidia. Lasciatemi il tempo di svolgere in una serie di articoli ciò che ho potuto interpretare. Ma non vi arrestate mai nella polemica. Poiché per isvolgersi, quel germe, ha bisogno di stimoli: e la polemica nobile e bene intesa è feconda di vita. Noi donne siamo le genitrici – ricordiamoci di questa nobiltà alta, naturale e sociale – i germi della vita umana si svolgono nel nostro seno: i germi delle grandiose opere sociali, saranno riscaldati dalla nostra anima!

Qualche rapida risposta ai vostri appunti: io non dissi che in Italia non abbiamo più minorenni nelle carceri: ma che “non abbiamo più carceri pei fanciulli” perché le carceri dei fanciulli si sono trasformate in iscuole. E LO SAPPIA LO STRANIERO!…

Non è forse vero che a Milano presiedeva il congresso di Assistenza Pubblica, Casimir Perire, - quasi personificazione di quella Francia che ha nell’altero linguaggio l’iperbole di sé stessa – e che innanzi a lui noi non abbiam fatto che patire miserie e bisogni e tenebre fitte sul pensiero sociale… senza che una voce sola si sia fatta sentire per

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proclamare questa solenne riforma che ci avrebbe illuminati?… Qual mania di persecuzione e di miseria è mai questa nostra!...

Perché nessuno disse allo straniero, che era al tempo stesso fratello nostro e ospite gradito, questa caduta delle inferriate e dei catenacci – una riforma molto civile di regolamento, intanto, se non di codice – subito seguita dal fatto solenne che il Ministero dell’interno ha già stanziato mezzo milione pel primo edificio libero – vero locale scolastico, che sarà costruito come principio di un’opera destinata a diffondersi? Poiché come il ministero dell’istruzione e i comuni hanno obblighi pei locali scolastici (obblighi tuttavia non ancora universalmente adempiuti là ove dipendono da isolati comuni!), così quello dell’interno dovrà assumersi l’obbligo di fabbricare i locali per le scuole che fonda – poiché stride l’istituto di educazione nel locale del carcere. E qui sta la grandiosità: nell’universalità che s’impone all’opera di Stato, a differenza della limitazione nelle opere private.

Se ricordate, quando io dissi “c’è ben altro da ammirare, oltre l’Istituto forense di Milano”, accennai non alla qualità, ma alla estensione dell’opera.

Facciamo ora – permettete – un ragionamento serrato. C’è a Milano l’Istituto forense che tende a costruire scientificamente quelle riforme complete, radicali del giure atte a corrispondere ai nuovi criteri dettati dalla scienza nella nostra epoca di civiltà. C’è anche a Milano la prima e più importante scuola di pedagogia scientifica che abbia l’Italia – altra cosa da ammirare: essa prepara i “metodi educativi” per tutti gli uomini, normali e anormali. L’un istituto dovrà attingere all’altro per reciproca luce come, p. es., a un policlinico l’una clinica ricorre all’altra per raggiungere lo scopo assai complesso della diagnosi e della cura.

Ma se il gran macigno degli edifizi penali stesse assolutamente immoto e impenetrabile – a che tanta opera scientifica? La riforma del Doria ecco, li apre e li rende accessibili alle scienze nuove.

Calcolato, p. es., dagli ingegneri il traforo del Sempione, era necessario prendere il piccone o infossare la mina, per intaccare il macigno – senza di che i calcoli sarebbero stati opera vana. Guai se l’operaio, l’ingegnere, la natura fossero diventati rivali! Lo scopo fu raggiunto con la cooperazione armonica di tutti i diversi elementi che vi contribuivano; e allora solo gli uomini tutti poterono utilizzare quel passaggio nuovo apportatore di progresso. Ora per costruire una profilassi sociale contro la criminalità, un immenso numero di fattori deve contribuirvi! Non è solo questione giuridica – come voi dite – per quanto sia eminentemente giuridica. Ma è pure questione psichiatrica – e soprattutto questione pedagogica. Anche gli istituti più deficienti che esistono ancora in poco numero da noi: e gli istituti per fanciulli epilettici, che ancora non esistono affatto, si collegano strettissimamente con tale questione. Perfino ci si collega la riforma della scuola elementare per fanciulli normali! perché il capitano come in una prima tappa sociale tutti i deficienti e i criminali destinati a continuare per altra via il triste cammino della vita. Ora supponete un momento che la riforma Doria in realtà si attuasse – cioè corrispondesse completamente la pratica all’idea mirabile.

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Avremmo dei maestri e dei medici, lì dentro ai Riformatori, atti a studiare, intanto gli individui ricoverati. Dove volete voi che si fondi la razionale separazione che invocate dei tipi biologicamente diversi tra loro – l’impulsivo semplice, dal pazzo morale; l’epilettico dall’imbecille che commise un atto criminoso – dove, se non sullo studio diretto, scientifico dei soggetti?

Aprite le porte dei Riformatori alla scienza, e fate che questa vi si stabilisca come in una clinica. Credete voi che possa rimanere sterile tale ospitalità? Ma perché si dovrebbero dunque studiare i soggetti, se non per dedurre ulteriori ulteriori riforme e andare verso il progresso? – Sostituite alle ricerche scarse che si potevano fare quando certi sospetti erano quasi inaccessibili allo studioso una ricerca obbligatoria su decine di migliaia di persone – e s’imporrà un tale cumulo di documenti umani, che dovrà crollare come per terremoto la costruzione antica! – Fate che dall’Istituto Forense di Milano si ottenga di togliere del tutto i minorenni dalle carceri riformando codici e tribunali: dove metterete questi fanciulli? Colà ove già si è iniziata l’opera riformatrice del Doria. Lasciate sempre progredire: si vedrà pure che uno sterminato numero di quei bambini che vanno col nome di deficienti stanno appunto là dentro i Riformatori e specialmente nella categoria dei vagabondi e dei dediti al meretricio: e si farà così una luce sempre maggiore, e un coordinamento di opere sociali che hanno la triplice base giuridica medica e pedagogica. L’un istituto integrandosi con l’altro, l’una opera accogliendo la pratica di successive riforme, l’altra mutando significato e nome, completeranno ciò che è nell’intento scientifico del momento presente: la redenzione umana del proletariato fisiologico e la difesa sociale. Anzi, cara Rossana, da tutto questo colossale monumento di progresso, un vessillo dovrà sventolare come simbolo del “vero” in tutta questa questione della criminalità: i criminali, i deficienti, gli epilettici, tutta questa umana zavorra non dovrebbe nascere… Essa è la malattia della specie umana, e si potrebbe qui ripetere la sapientissima regola data da Mosè – e ripetuta nella famosa scuola medica Alessandrina: “è più facile evitare l’epidemia di un intero popolo, che guarire un solo individuo malato…”.

Maria Montessori

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M. Montessori, Per i minorenni delinquenti. L’organizzazione nel Riformatorio di S. Michele, in “La Vita”, 2 (14.07.1906), n. 194, p.3.

Dopo gli esercizi spontanei che sono serviti a stabilire una prima conoscenza del fanciullo – incomincia l’opera educativa. Il metodo che si usa a S. Michele per il lavoro manuale educativo ha due principi la cui importanza potrebbe sfuggire ai profani, ma che costituiscono la base scientifica di tutta la metodica moderna: cioè la graduazione degli esercizi e la loro ripetizione. La graduazione conduce dalla semplice linea incisa sulla creta o intagliata sul cartone alle fondamentali figure geometriche, alle loro combinazioni in disegni e alle loro applicazioni nella composizione o nelle analisi di oggetti d’uso o oggetti artistici. Giunti agli oggetti, si è alla porta dell’insegnamento professionale. Che la graduazione serva a collegare tutta la serie degli esercizi in una unità organica – e conduca quindi la mente a edificare logicamente e a intendere l’analisi d’ogni oggetto – e ciò senza sforzi di adattamento e quindi senza fatica – è ovvio intendere, e non è nuovo; per quanto originale sia qui nel rigore veramente scientifico delle sostituzioni graduali, con le quali è applicato.

Ma ciò che non si usa finora in nessun insegnamento – fuorché nella pedagogia scientifica – è la ripetizione. Le stesse linee, le identiche figure geometriche, le graduazioni tutte si ripetono quattro volte; ma usando materie diverse e necessariamente diversa tecnica di lavorazione. Prima con uno stecco di legno, la riga e la squadra si eseguono tutti i lavori in creta; poi con la riga e la squadra di ferro, il coltello e le forbici si ripetono sul cartone; quindi con la sega, la pialla, lo scalpello, il mazzuolo, la raspa e le righe, i piccoli operai, sopra un minuscolo banco da falegname ripetono per la terza volta le medesime costruzioni aiutandosi pure col tornio, le sgorbie, e i compassi di spessore a comporre gli oggetti più difficili, e finalmente, divenuti piccoli fabbri, ripetono il tutto l’ultima volta, facendo uso del tagliuolo, di martelli, di lime a diverso taglio e forma, di seghe da ferro, e squadre, e si affaccendano, già abili lavoratori, intorno ai piccoli tavoli speciali ove sono infisse morse di ferro e incudini; inoltre hanno a loro disposizione saldatori di rame per fare le saldature con lo stagno e un piccolo trapano per fare i buchi: - né manca nella scuola una macchina per la molatura dei ferri, cioè un armamentario completo. – Anche l’oggetto è presentato sotto una forma originale: l’incastro, ben noto a chi si è occupato di pedagogia dei deficienti.

La figura qui sopra rappresenta appunto come i fanciulli devono fabbricare i pezzi geometrici a pieno e a vuoto, indipendentemente, con oggetti diversi, come per esempio con cartoni o legni di vario colore; in modo che l’esecuzione sia tanto precisa da far combaciare con assoluta perfezione i due pezzi nell’incastro. Ciò vuol dire che la costruzione delle figure e l’esecuzione del lavoro devono raggiungere un’esattezza assolutamente matematica.

Il pezzo incastrato infatti oppone una certa resistenza a chi vuole staccarlo dall’incastratore, come fosse leggermente ingommato – e la superficie non fa sentire alcun dislivello.

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Le applicazioni pedagogiche del metodo così succintamente e imperfettamente accennato, sono di una importanza singolare. Si riedifica qui a nuovo, applicandolo al lavoro manuale, il metodo classico di Séguin usato per l’educazione intellettuale dei deficienti; ma che sarà forse in un giorno non lontano, il metodo pedagogico positivo e razionale da usarsi anche per tutti i normali.

Ripetere! Ecco quanto manca a tutta la nostra vecchia pedagogia, che ci ha pur preparati ancora nella vita pratica ad essere superficiali. Ripetere vuol dire approfondire: ripetendo si medita; ripetendo si assimila; ripetendo si prepara in noi la creazione. È una delle più interessanti esperienze che si fanno oggi in psicologia sperimentale: quella di mostrare una tavola di figure varie come per es. un bottone, una fibbia, un ritratto, un nastro ecc. ovvero mostrare un quadro - ; e poi togliere dallo sguardo l’oggetto e invitare a descriverlo.

Tutti vedono più o meno parzialmente e male: alcuni anzi nella descrizione inventano di sana pianta. Ciò vuol dire che la realtà ci giunge sempre parzialmente, e di più mista a illusioni, quando osserviamo alla sfuggita. Che cosa ci rimane infatti di un libro letto in fretta, di un corso universitario seguito a gran carriera? – Poco, ma non solo poco; ci restano delle illusioni; la realtà, il vero, l’essenza della cosa si è quasi completamente smarrita nella nostra fuga intellettuale; noi rimanemmo affaticati, ma non tòcchi. Perdemmo forze, senza molto guadagnare. Bisogna fermarsi, e ripetere. La scienza sperimentale tanto decantata e tanto feconda di progresso, che cosa ha fatto se non costringere, con oggetti che richiedono la paziente applicazione delle esperienze, l’attenzione umana a soffermarsi? Il vero esige una laboriosa conquista, una coltivazione; non vuole essere rapito a volo. – Ed anche la personalità umana edifica e si ingrandisce solo a prezzo di pazientare, di fermarsi, di ripetere. Per tornare a un antico paragone, la goccia di rugiada brilla, dove si posa come illusorio, effimero diamante, che il primo insetto, il primo raggio di sole, il primo aleggiar di vento disperde nel nulla: ma la goccia costante che cade può corrodere il granito. In noi tuttavia non produce solo un fatto quasi meccanico, come quello per esempio di dare una memoria granitica degli oggetti, la ripetizione: la ripetizione crea. – È il seme piccolo e semplice (la nozione) che lasciato in terra feconda (la nostra anima) germoglia in piante che sono sorprese di forme nuove, creazioni, vita.

I gesuiti conquistarono ai loro tempi il mondo, chiamando gli uomini che erravano svolazzando sui versi o nelle corti, a meditare: meditare e fermarsi col pensiero, intensificandolo, polarizzandolo sulla cosa che si medita. Ebbene leggere un libro in una nottata è consumare di noi aridamente; meditare mezz’ora il mattino è lasciare una libera espansione al nostro io, che resta per lo più malamente soffocato da una valanga di sensazioni incoordinate. Non sappiamo l’arte di espandere noi stessi, e non sappiamo regolarizzare le nostre attività: perciò anche forti e normali di natura ci accade d’indebolirci e squilibrarci magari nella nevrastenia.

Qui invece, nei procedimenti della pedagogia scientifica si tratta non solo di mantenere integri e sviluppare gl’individui forti, ma ancora di ricostruire personalità oscillanti negli squilibri della degenerazione e dei morbi.

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Perciò conviene ripetere. Chi non sa che gli anormali hanno sensazioni diverse dalle nostre? I colori, i sapori, gli odori, le impressioni tattili, termiche, dolorifiche, sono diverse in loro. Essi hanno talmente un diverso modo di percepire il mondo, ché il fanciullo anormale ci apparisce quasi sempre come un bugiardo cinico, che nega, o deturpa la verità. Per costoro, passare fuggevolmente sulle cose è non solo acquistare illusioni, ma anche realmente “false percezioni” capaci poi di costruire una mentalità fatalmente patologica.

Bisogna perciò che gli oggetti reali persistano, insistano, si aprano una strada, si fissino un posto nella mente degli anormali. – Ecco che la graduazione logica ripetuta più volte, in esercizi conducenti dalla geometria agli oggetti reali, costruisce un pensiero complesso fissandolo su nozioni esatte e concrete.

La difficoltà del metodo sta appunto nel ripetere senza annoiare, cioè senza stancare. Perché infine si tratta di fissare a lungo l’attenzione sopra una cosa, sviscerarla in tutta la sua profondità. Ma appunto ciò è difficile nei fanciulli in genere, che sono instabili, perché la loro attenzione è presto esaurita: e tanto più sembra un arduo processo nei degenerati, nei deficienti, in tutte le forme di mentalità anormale, dalla epilettoide, alla imbecillesca: perché la caratteristica psichica di questi minus habens è appunto l’instabilità eccessiva dell’attenzione, la facile esauribilità dello sforzo; e ragione per cui i degenerati mutano ogni momento mestiere e finiscono poi per divenir parassiti. La difficoltà è superata in questo, che sembra un controsenso: ripetere, variando. A chi osservi l’imponente numero d’istrumenti diversi che i piccoli ricoverati di S. Michele devono successivamente maneggiare, mentre passano a traverso la lavorazione di materie tanto dissimili come sono la creta, il cartone, il legno e il ferro resterà l’impressione che si sia felicemente raggiunto lo scopo.

La molteplicità circonda talmente l’unità, la instabilità fa un tale quadro alla costanza, che il fanciullo, pur seguendo i bisogni psicologici della instabile sua mente, pur variando di continuo, fissa quella determinata serie organica di nozioni. E non si stanca, né si sforza, né si consuma. Anzi la sua personalità viene come riordinata, ricostruita: è quel lavoro manuale che secondo Benedicht – cura il sistema nervoso e guarisce l’epilessia.

Intanto i fanciulli passano da una forma di lavoro all’altra, che li conduce dalle tenui mollezze della plastica sulla creta, alle dure e faticose manovre del costruire in ferro, mostrando tendenze varie nelle abilità diverse del maneggio.

Dobbiamo fare di loro altrettanti lavoratori, che dovranno un giorno esser produttivi nell’applicazione professionale. Al riformatorio stesso, cinque officine o laboratori attendono i piccoli licenziati della scuola del lavoro educativo, per farne degli operai: potranno essere fabbri, o falegnami, o artisti (se andranno al laboratorio di plastica); o anche sarti o calzolai.

Tutto quel mutar di tecnica nel lavoro preparatorio, deve tendere a risparmiare le incertezze della scelta e le vane perdite delle prove fallite.

Il bambino giunto alla fine del periodo preparatorio, si trova sulla soglia di una porta che è sicuro asilo di lavoro rimuneratore per lui. Il maestro dovrà appunto studiare di continuo le tendenze individuali dei piccoli allievi.

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Quegli che si deliziò nell’incidere mollemente con tenui asticine la creta obbediente, e provò irritazione nel maneggiare fra gli stridori le lime; quell’altro che sembrò come a suo posto dinanzi al tornio, mentre si annoiò intagliando il cartone; quegli che provò un singolare gusto nel maneggiare le forbici o nel combinare la riga e la squadra, non fecero, (come inutilmente avviene ancora nelle nostre scuole comuni) soltanto una vana e illogica raccolta ora di elogi e ora di castighi: ma continuarono a manifestare le proprie tendenze e indicarono al maestro la via della vita alla quale sono adatti. Essi si avanzarono così contemporaneamente verso la guarigione e verso la meta.

Un giorno, quando i nostri Riformatori saranno completamente rinnovati nell’indirizzo iniziato, e avranno pur potuto dare una imprescindibile base igienica ai locali e a tutto l’ambiente – sì che l’aria libera e il sole, ravvivino fisiologicamente gli organismi fiacchi dei piccoli proletari – potremo dire veramente che tutta la parte preparatoria o educativa del lavoro, spinge alle officine dei guariti, o meglio dei convalescenti. Certo delle persone così logicamente educate non potrebbero con vera utilità entrare subito in laboratori comuni, insieme agli operai sani e normali.

Io chiamo convalescenti quei ragazzi che stanno nei laboratori professionali – anche perché mi sembra che il trattamento dovuto a loro sia paragonabile a quello che usiamo per chi, salvo da una malattia mortale, deve prendere forza onde ritornare tra i vivi della vita attiva.

Non potrebbe essere un mastro di bottega o un duro padrone, l’ulteriore maestro di questi che rappresentano la debolezza nella compagine dell’umanità. Anche i capi di arte devono essere educatori, quindi lontani da ogni interesse di lucro immediato, e da ogni tentazione di sfruttamento: - maestri, nel vero senso della parola, orgogliosi del metodo, del miglioramento degli scolari, e soprattutto sensibili alla propria alta missione. Come è per esempio a S. Michele il Gèmini, un vero artista fine nella scultura e nell’intaglio – che prepara sotto di sé piccoli artisti, lieti e sorridenti di orgoglio per la propria opera: come è il maestro dei sarti, Prandi, che ha creato un metodo di progressione veramente ammirevole – dal punto semplice ai lavori primitivi, al disegno, al taglio; come è Mulzone, il maestro dei fabbri, così eccellente nei difficili lavori delle serrature segrete e delle casseforti, e che sa far sorgere mobili elegantissimi in ferro; mentre la sua dolcezza paterna sembra un vivo contrasto con la materia del suo lavoro: e Mencarelli, il maestro falegname, che segue i metodi del lavoro svedese negli esercizi progressivi dall’incastro alla costruzione del mobile, e Vinci, il maestro calzolaio, che dopo aver insegnato i primi punti, ha originalmente diviso la scarpa in tante parti che devono essere successivamente lavorate, come la punta e il tacco.

Così che visitando le officine, io dovetti involontariamente pensare a ciò che avevo veduto e ammirato a Londra nella meravigliosa organizzazione delle classi aggiunte pei deficienti: dopo l’educazione speciale in classi separate, i deficienti passano a scuole centrali di lavoro, cioè officine, che hanno la specialità di insegnare il lavoro professionale con metodo pedagogico razionale.

Già, in Inghilterra tutto si insegna: per essere bambinaie o serve, come per essere maestri o professori, bisogna aver fatto un corso di studi e aver acquistato un’abilità. Da noi invece la preparazione alla vita è aristocratica; chi non va nelle alte scuole o

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all’Università, non trova luoghi che lo preparino con metodo a ciò che dovrà fare nel mondo. E perciò è scadente il lavoro manuale; e per avere un operaio che costruisca una camera igienica o una bonne che sappia tenere in braccio un bambino conviene ricorrere all’Inghilterra…

Una scuola razionale completa di lavoro è dunque cosa economicamente e civilmente importante da noi, e degna di essere generalizzata.

Perché lasciarla nascosta e chiusa nel Riformatorio di S. Michele?

Maria Montessori

Montessori, Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore, in “La Vita”, 2 (6.08.1906), n. 217, p.3.

Dice ancora, il nuovo regolamento sui Riformatori, che per la correzione dei minorenni sono aboliti i mezzi coercitivi – e vi è sostituito l’amore.

Grave affermazione e altissima, questa. L’amore!.. Cosa fa l’umanità se non salire con voce perpetua verso l’amore? Tolstoi nell’aureo racconto “Di che vicono gli uomini” lascia dire all’angelo che era venuto in terra per iscoprire il segreto della vita umana: “Gli uomini credono di vivere solo pei loro dolori; ma in verità essi vivono per l’amore. Chi possiede l’amore è un Dio”.

La civiltà procede nel suo lato morale unicamente sulla via dell’amore. Raddolcisce perciò a poco a poco ogni forma di durezza e la vince.

Compie un atto d’amore Beccaria quando vuole abolire la pena di morte pei criminali; è tutta amore la teoria di Lombroso: ed è amore la riforma che abolisce il castigo pei fanciulli reprobi, impulsivi, perversi, ribelli, corrotti, ignavi. Distruggere una forma crudele è spezzare un legame che tiene in basso l’umanità, e lasciarla volare più liberamente in alto, verso l’amore. Nel primo momento il passo sembra ardito e pieno di pericoli. Abolire i mezzi coercitivi! ma come si potranno correggere le malvage tendenze dell’anima?

Lasciate l’umanità salire! Voi credevate che il suo cammino diretto fosse guidato dal timore del fuoco eterno; dalle pene della tortura e della morte in terra; dal timore della prigione, della terribile cella ove si soffre il silenzio, il buio e la fame; dal timore dei castighi da evitare, infine. No: il cammino diretto dell’umanità è unicamente guidato

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dall’amore: per questo gli uomini si gittarono ai piedi di Cristo. Che cosa sono i criminali se non persone che non ebbero o che perdettero l’amore e ci ripugnano come esseri fuori della vita? Chi vuol sedurre e conquistare, dimostra, se non lo sente, amore: mai nessuno pensò di conquistare anime umane con la minaccia.

Questi infelici, i predisposti alle ferocie e al ludibrio della criminalità, sono paria dell’amore: o perché non hanno raggiunto la pienezza della vita, e l’organismo stesso è incapace di amare, o perché mancarono del nutrimento della dolcezza e dell’affetto fin dalla tenera infanzia, quando il corpo stesso per crescere bene ha bisogno delle dolcezze del latte e insieme delle carezze materne: e allora sono dei terribili assetati e affamati d’amore! o perché nell’amore furono offesi, e videro l’ingiustizia – e allora sono dei feriti. Abbiate il segreto di farli amare, tutti questi paria dell’anima umana e tutti questi caduti – e saranno salvi.

Ma qui sta il difficile.

L’amore, si svolge nella sua bellezza spirituale dalla salute fisica e dall’ambiente sano.

Possiamo, è vero, più o meno volontariamente, cogliere questo sublime fiore, e coltivarlo nelle attitudini della perfezione dell’anima umana: ma esso nasce solo in una terra ubertosa e pacifica: la salute del corpo e dell’ambiente.

Si potrebbe dire: chi ama è sano, come si è sempre detto: chi ama è salvo.

Che la mancata bontà, l’odio, l’invidia, il dispetto, il desiderio di vendetta siano in diretto rapporto anche con difetti della costituzione, o con veleni che circolano nel sangue, o, insomma, con stati morbosi fisici, questo è un principio ancora poco diffuso nella cultura del pubblico. Dilatiamo il concetto: chi è inaccessibile al bene, chi si mostra veramente un ribelle dell’amore umano è senza dubbio un malato. Queste malattie potranno a volte essere inguaribili: ma se una cura sarà capace di attenuarle, essa non dovrà essere fatta di odio, di vendetta, di castigo; bensì d’amore. E insieme dovrà accompagnarvisi un’igiene fisica che migliori le condizioni del corpo male organizzato nei suoi intimi scambi e nelle sue vibrazioni, o deviate dall’equilibrio fsiologico della salute fisica.

Noi con una frase: - le cattive tendenze dell’animo – affastelliamo superficialmente le più disparate quantità di effetti senza risalire alla causa: mentre sono lì congiunti errori di ambiente, con errori fisiologici, e con malattie, soprattutto con malattie.

Perciò, volendo procedere alla educazione morale del minorenne, bisogna più necessariamente ancora che per qualunque altra forma di educazione, principiare dallo studio individuale del bambino e della sua anamnesi, cioè dalla storia biologica e sociale che possa ricostruire lo sviluppo della sua personalità: come noi facciamo nelle cliniche, prima di curare un malato.

E simili malattie, che diano come sintomi delle ‘perversioni morali’ ne troviamo consuetamente.

Del resto è popolare la frase: - oggi sono di cattivo umore, non istò bene. – E quando ‘non si sta bene’ l’affettuosità, la pietà per gli altri, il desiderio di aiutare, sono attutiti e come

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addormentati: ossia l’amore è scarso. Salute e amore sono tra loro congiunti come corpo e spirito.

È vero che l’uomo sano potrà inibire le influenze di alcune lievi oscillazioni della sua salute fisica, nel campo morale, o che potrà perfezionare il cuore con l’esercizio dello spirito, come si perfeziona l’intelligenza con lo studio, e la voce col canto. E questo è il campo vero e proprio dell’educazione. Ma tale capacità di perfezionamento, è strettamente collegata con la salute fisica. Insomma, i moralmente irriducibili sono dei malati inguaribili.

La clinica ce ne dà i più difficili esempi.

La personalità morale – comprendente i sentimenti e la condotta di un individuo – può essere di sana pianta mutata da un veleno o da un morbo: p. es., il primo sintomo della demenza paralitica non è già il tremore, o l’alterazione del linguaggio, o la soppressione di alcuni riflessi, o lo stesso delirio di grandezza: no. L’infelice che è appena colto dal fatale morbo, muta completamente condotta e carattere. Da buon padre di famiglia diventa uno scapestrato spendereccio, giocatore: da pacifico si trasforma in attaccabrighe, da calmo in violento: chi era esempio di onoratezza commette azioni indelicate e scorrette o perfino delittuose. Ma anche il solo alcoolismo acuto, non trasforma completamente la personalità morale e la condotta? Si è un avvelenamento passeggero, che spinge l’uomo a commettere azioni riprovevoli, è tanto lontano del formare la vera compagine dello spirito, che l’individuo stesso le deplora appena sia dileguato l’effetto venefico. La madre pellagrosa che uccide i suoi teneri figli e il suo lattante – e si suicida – non ha un’anima perversa e stanca, ma un corpo malato e denutrito.

Il fattore patologico insomma non solo non deve essere estraneo, ma va invocato forse nella maggioranza dei casi, certo in tutti quelli ove le cure morali, le esortazioni, l’esempio, l’ambiente rinnovato riescano inutili, come inutili riuscirebbero simili mezzi al paralitico, all’alcolizzato durante l’accesso acuto, e alla pellagrosa nell’acme dell’ultimo stadio di malattia.

Ora la causa patologica collegata massimamente alle manifestazioni criminali è senza dubbio l’epilessia: come a substratum fisico dei caratteri cattivi, invidiosi, litigiosi, del mendacio istintivo e incorreggibile, della doppiezza d’animo, ecc., che producono e seminano intorno intorno afflizione e noia sta un fondo d’isterismo o di istero-epilessia attenuati o latenti.

Questo insieme di concetti deve guidarci, quando ci accingiamo a correggere i minorenni delinquenti. Essi sono ignoranti o deficienti dell’amore: nel primo caso sono degli assetati, nel secondo dei malati.

Essi, i piccoli paria, sono capaci di ispirare amore a noi. A noi, che siamo gli aristocratici del pensiero e del cuore, capitalisti delle ricchezze spirituali. In noi che siamo ancora e insieme i capitalisti delle forze fisiologiche. Non abbiamo idea della nostra ricchezza! viviamo insensibili all’abbondanza spirituale e effettiva che ci cullò, e ci fece crescere, quasi in un bagno di sazietà. Come il ricco di denaro che passa in carrozza, alto dal fango della via, e posa uno sguardo indifferente sui miseri, sui cenciosi, sulle vittime del pauperismo che si dileguano in fuggevole visione, così siamo noi, ricchi spirituali, verso i

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paria del cuore. Avviene, talvolta, avvicinandoci a quei fanciulli, che non c’intendono, come se parlassimo un linguaggio straniero. “A chi vuoi più bene?” “a chi vuoi bene tu?” … la frase che si mette di continuo nel linguaggio pei bimbi, come si mette lo zucchero nel loro latte, e che nutrisce, direi quasi, materialmente, lo spirito. - Poi, quando si cerca di far capire cosa vuol dire la parola e la frase, essi spesso rispondono con un sorriso: “a te!” A te che per la prima volta mi parli d’amore, mi parli con amore – io voglio bene a te. –

Perché nessuno … (ah mai nessuno! né la madre … no, anzi la madre appunto mancò alle anime di quei fanciulli …) aveva mai parlato né avuto un tratto di amore. Ma appena uno fa capire, tocca il cuore con un tenue raggio d’affetto … essi rispondono vivamente; con una vivezza che non siamo usi a trovare mai nei fanciulli buoni: I loro sguardi assumono una espressione commovente di stupore e di riconoscenza, che ci tocca e forse ci strappa le lacrime, e ci fa penetrare in fondo nella nostra coscienza: come noi siamo sterminatamente ricchi! e perché non diamo… perché non sentiamo vergogna di saper tanto pensare e amare in mezzo a persone che sono chiuse nelle tenebre fitte di ogni ignoranza? A che sapere, a che amare, se non dobbiamo diffondere sui paria e sui fanciulli e su tutta l’umanità il sapere e l’amore?

Ricordo un giorno, una visita al Riformatorio S. Michele con alcune signore. Io stavo accanto alla signora Sciamanna – e un bambino si produceva cantando la canzone “Lo spazzacamino”. Egli aveva una melanconica passione nella monotonia del canto, tanto profonda che nessun artista potrebbe riprodurre. L’invocazione alla mamma che aspetta nel casolare lo spazzacamino che ha “freddo e fame ed è piccino” e gira solo nel mondo, strappò alla Sciamanna e a me vere lacrime che invano tentammo d’inibire. Avemmo certo entrambe nell’anima uno slancio per quella specie di genio della passione pietosa. La Sciamanna gli chiese: “Vuoi dunque molto bene alla tua mamma?” – Mamma? non so, io non l’ho mai avuta”. Mamma? non so, io non l’ho mai avuta”. Egli sentiva la storia pietosa della spazzacamino – egli amava quel girovago immaginario: e pareva che raccontasse la sua propria storia! Anime vergini appassionate, assetate e affamate d’amore!

Passò il tempo in cui si chiamava amore solo quello di Francesco, e quello cantato dai menestrelli alle donne ignare – mentre i castighi cruenti e le persecuzioni e i roghi e le catene erano riserbate ai paria dell’amore. Lo sentii io quel giorno, mentre aristocratiche donne ascoltavano la canzone dello spazzacamino dalle labbra del minorenne corrigendo, illuminato da raggi scialbi di sole che entravano a traverso le inferriate della dura finestra. Quelle signore volevano, ma non potevano soffocare il pianto e l’espansione del cuore per quel fanciullo, e pei suoi compagni di sventura: quasi all’alba di un’epoca nuova di amore umano, quelle dame sentivano fondersi le due umanità: quella ricca di affetti e quella che ne è proletaria e assetata – e il loro cuore si discioglieva nel desiderio di unirsi in un’anima più grande che tutti gli uomini affratella. Così come le loro ave profumate e risplendenti di bellezza, avranno sentito fondersi il cuore nel desiderio dell’amore sessuale spiritualizzato dal canto pietosi e gentile di un avido menestrello. Sì – e con questo connubio nuovo di cuori – con questo spezzeremo noi le inferriate e le catene, e i barbari castighi … Perché solo l’amore redime … redime essi … e noi!

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Or dunque esistono tra quei minorenni degli assetati di amore e dei malati.

(Continua).

Maria Montessori

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M. Montessori, Lottiamo contro la criminalità. (È necessario salvare l’uomo a traverso il fanciullo), in “La Vita”, 2 (8.09.1906), n. 249, p. 3.

Mentre in questi giorni due nuovi delitti di epilettici costernavano gli animi scotendo la pubblica opinione, e i giornali riportavano in proposito le interessanti interviste del Mingazzini e del De Sanctis, perché nessuno parlò (fuor che il giornale La Vita) di un avvenimento che tanto intimamente si collegava con quei crimini e con le opinioni emesse dai luminari del nostro Ateneo? Il pubblico sente che è giunta l’ora di agire contro la criminalità, la quale c’incombe e ci perturba come fatalità di pericolo e come stigma d’inferiorità sociale: e che compito tanto gigantesco non potrà farsi gravare che su eventuali opere di beneficenza e non potrà ridursi alle recriminazioni sui nostri regolamenti manicomiali…

Noi vogliamo un radicale e reale mutamento, una riforma che abbracci come obbligo di Stato, l’Italia tutta e per la quale, i milioni dei contribuenti possano versarsi rendere intangibile la nostra vita, minacciata dal cieco, imprevisto scoppio del delitto.

Qui da noi, diceva il Mingazzini, non esistono epilettici in maggior numero che altrove, come dimostrano le statistiche del Roncorani; ma ci mancano luoghi di cura e di educazione per epilettici, istituzioni che esistono in altri paesi e delle quali prende oggi l’iniziativa prima in Italia la signora Rita Sciamanna.

Invece il prof. De Sanctis trovava fuor delle nostre leggi, non pratico e illiberale ricorrere, come luoghi d’isolamento, agli istituti per epilettici, poiché sarebbe una vera lesione alla libertà individuale internare per sempre un individuo sol perché epilettico e quindi sospetto di poter diventare un giorno o l’altro pericoloso. Secondo il parere del de Sanctis, occorrerebbe maggiore rigore nel rilasciare i malati dei manicomi, specialmente quelli che mostrarono tendenze criminose, e che bisognerebbe tenere sotto la sorveglianza di un oculato medico specialista: quindi occorrerebbe nella pratica una energica riforma nei regolamenti manicomiali e una più rigorosa osservanza di essi.

Le due opinioni degli eminenti neuropatologi sono vaghi e incompleti accenni a due diversi modi di intervento: la profilassi sociale contro la criminalità (prevenire con l’educazione) e la sua cura (reprimere con l’internamento ospitaliero postumo): e assumono importanza perché vengono da persone di fama riconosciuta.

Ma chi è credente nella scienza positiva, non può ammettere che si dia una sentenza di sicura e luminosa praticità in questione sociale e scientifica tanto grave, se non sopra una solida base sperimentale.

Sappiamo noi con precisione come si formi la personalità del criminale? Quali fattori biologici e sociali concorrano nello sviluppo di tanti e così svariati tipi, che – lo affermava anche il Mingazzini – debbono essere studiati e giudicati ad uno ad uno? – Noi abbiamo studi sul criminale adulto: possiamo trarre una fotografia del momento bio-sociale in cui la personalità criminale già matura si manifesta: e basta.

Ben poco, invero. Sappiamo che la vera fonte di luce sulle cause dei morbi e sulla diagnosi sia nell’anamnesi, cioè nella storia individuale, che rimonta alla famiglia e indaga tutta la vita endouterina, infantile, sociale del soggetto. In quali latebre misteriose

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si sono smarriti i dati anamnestici degli adulti, la cui madre, anche se vivesse, avrebbe dimenticato quei particolari sulle prime età del figlio, che sono pure di fondamentalissima importanza?

Noi non possiamo raccogliere un’anamnesi con rigore scientifico, altro che nei bambini. E qui nel caso dei criminali, assumerebbero alta importanza i particolari su le malattie convulsive delle prime età, le enuresi notturne, gli atti impulsivi, le reazioni psichiche anormali del fanciullo durante il suo sviluppo. Ogni particolare su la salute fisica, la storia scolastica, sarebbero non solo preziosi, ma imprescindibilmente necessari a costituire una scienza preventiva. Senza di che rimane una gran confusione d’idee circa i fattori patologici e sociali della criminalità. Noi non faremo un passo di più, rimarremo a vagare inutilmente smarrendoci in un labirinto, se non muteremo le basi dell’indagine. Bisogna studiare lo sviluppo individuale dei criminali: non i criminali. E poi che si sappia, il rimedio verrà facilmente suggerito dalla conoscenza. Per la malattia, scaturirà il rimedio che, sia pure limitato a un’adeguata igiene (come nel caso della epilessia, dell’istero-epilessia, e di tutte le forme patologiche aggravanti l’organismo dei degenerati) migliorerà l’organismo, se questa igiene lo colga GIOVANE e lo accompagni nello svolgersi della crescenza, dello sviluppo pubere e dell’adolescenza fino a maturità. Per le influenze sociali, la conoscenza diretta delle cause tutte che influiscono sulla formazione psichica di questi anormali, indicherà quale ambiente debba prepararsi affinché simili fattori siano allontanati e sostituiti con tutto quanto la scienza dimostrerà più adatto a correggere, a dirigere singolarmente lo sviluppo psichico dei soggetti. Infine dovrà opporsi a una conoscenza scientifica, positiva della personalità psico-fisica dei criminali, una pedagogia riparatrice, che possa disporre di larghi mezzi, tra i quali non ultimi quelli offerti dall’igiene e dalla medicina.

Questo è il secolo dei fanciulli, vidi affermare anche dalla signora Key in un libro or ora uscito alle stampe; «alla pedagogia – i miracoli umani del XX secolo!» ho stampato io quando ero studente di filosofia nell’Ateneo Romano.

Invero questa è la via che tendono a prendere oggi tutte le scienze riguardanti l’uomo: IL FANCIULLO, cioè le sue origini. Divenne scienza luminosa comparata allorché ricorse all’embriologia: e allorché si rivolse ad osservare gli organismi più semplici, originali, dai quali provengono tutti gli altri – poiché nei primi sta la spiegazione e la dilucidazione biologica dei secondi. Finché non avremo una Clinica Pedagogica, non avremo scienza sociale e scienza criminale.

Basti pensare al grande caos dell’epilessia; in tale campo sterminato entra il genio militare di Napoleone, come quello romantico di Dostojevski – come il malefico genio (?) di Olivo, di Marchioni, di Spinetti, di Alegiani. Ma stanno pure sotto il giogo di tale morbo alcuni … come chiamarli? geni fisici, cioè persone molto sviluppate fisicamente, più alte del normale – robuste, intelligenti e di ottimo carattere, le quali cessano dagli eccessi epilettici verso l’età di 18 anni, epoca in cui Godin dimostra che finisce la crescenza ossea della colonna vertebrale, cioè lo scheletro nervoso si mette in istabile equilibrio con quello muscolare e cessati gli eccessi, queste persone tornano normalissime, capaci anche di procreare persone di ottima costituzione. Ci sono esempi familiari di simili casi. Come pure esistono persone epilettiche affatto innocue, deboli di

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mente, vittime pazienti della propria sventura e dell’ingiusta persecuzione altrui. Persone … (alle infelicissime, che pesano su noi …. e come stigme d’inciviltà e di miseria! e per queste, io credo, sorgerà qui l’opera santa di Rita Sciamenna.

Mentre molti criminali non sono affatto epilettici. Talvolta ci furono uno o due accessi isolati nella prima infanzia, dai quali in poi mutò completamente il carattere del fanciullo, che divenne a periodi balbuziente e acquistò tendenze criminali (le quali possono cessare nell’età adulta col riapparire degli accessi epilettici: veri esempi di equivalenze). Molto spesso, invece, permangono lungamente le forme larvate di epilessia: l’enuresi notturna nell’infanzia, le absence, le scariche impulsive. Sintomi che nei fanciulli sono per lo più curati con dei sapienti scappellotti materni e paterni, e con crudeli sgridate e rapporti reciproci tra maestri e parenti, con relativo accumulo di castighi esemplari – dai quali i ragazzi buoni e sani dovrebbero, nell’occasione data dalla promiscuità, imparare a scuola a rimaner buoni e sani. E’ questa l’odissea dei poveri fanciulli anormali che si torturano nelle nostre scuole coi mezzi illogici di una pedagogia, digiuna assolutamente di scienza!

Poi, a un certo punto, vien fuori un criminale… adulto. Donde venne? come e perché si formò? Le fila di tali interessanti storie sono purtroppo spezzate! Il mostro che apparisce agli occhi nostri esterrefatti è tale una somma di caratteri e una stratificazione di cause – e una rete combinata di reazioni, che resta presso a poco un enigma. Certo resta un perduto, verso il quale la società può fare quello che usa coi cani idrofobi: o sopprimerlo o isolarlo; poiché lasciandolo libero sarebbe pericoloso…

Tuttavia è proprio quest’ultimo, l’incredibile mezzo a cui ci atteniamo, con le nostre vigenti leggi! In ogni modo – il criminale adulto è un incurabile; e la cura sociale della criminalità non lo riguarda più.

Bisogna risalire al fanciullo e fondare scuole. E’ antico l’aforisma: ad ogni scuola che s’apre si chiude un carcere. Veramente a questo proposito non ci fu poca disillusione! Invero non è l’analfabetismo che renda criminali. Se nei paesi ove prevale l’analfabetismo c’è talvolta prevalenza di reati di sangue, è che le due cose sono in rapporto con un grado inferiore di civiltà che vuole le associazioni private di giustizia, come mafia e camorra. Non è che l’istruzione in se stessa illumini l’uomo a non commetter delitti. A delinquere vi è portato o da istinti collegati alla sua organizzazione; ovvero dall’ambiente sociale – in quest’ultimo caso è colpevole PER NOI … NON PER LORO!

Mugolino a casa sua era un simpatico eroe, per noi un orribile brigante. Invero siamo crudeli e barbari noi a punire la delinquenza di paesi d’Italia verso i quali non sappiamo mandare quella luce di civiltà e quei mezzi di civilizzazione che toglierebbero la necessità ambiente del crimine. E a mala pena fondiamo laggiù scolette malsane con maestri certo non scelti e soprattutto non protetti, né compensati dell’enorme compito che loro imponiamo, di civilizzare…

Ma in un senso e in un solo senso è assolutamente vero che una scuola aperta chiuda una prigione: quando si tratti di una scuola riparatrice di deficienti, di epilettici, di minorenni delinquenti… tutte persone che appunto finiscono per essere mandate via dalle scuole comuni dove disturbano senza imparare e senza adattarsi alla comune disciplina; e

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restano abbandonate senza scuola, senza educazione… avendo in sé quelle tendenze che le renderanno pericolose, parassite, aggressive.

E quanti anni siamo andati avanti noi ripetendo il noto aforisma mentre si scacciavano di scuola, nell’abbandono, i ripetenti e gl’indisciplinati… e la criminalità, specialmente infantile, era in una spaventosa crescenza!

Disse ad un certo punto Lino Ferrigni: le carceri d’Italia rigurgitano di fanciulli, i riformatori sono insufficienti: su tutti questi luoghi si può mettere il cartello: completo!

Tuttavia una scuola che abbia l’alta missione di lottare efficacemente contro la criminalità, e di diminuire in definitiva lo stuolo dei parassiti, dei deboli, dei vinti, non può esser messa sulle basi comuni, e coi deboli mezzi coi quali pretendiamo noi di educare. Una scuola che volesse per forza, condurre un deficiente a compire gli esami di proscioglimento, e un istero-epilettoide, a permanere sotto una certa disciplina tre o quattro anni allo stesso scopo – sarebbe irrisoria. Insomma non si tratta di insegnare a leggere e scrivere, magari con una salsa di storia antica e di geografia mondiale - : si tratta di educare, di modificare la personalità anormale con tutti quei mezzi che la medicina, l’igiene e la pedagogia scientifica ci offrono oggi nella trionfante completezza del metodo. Ora io non credo che l’iniziativa privata, l’opera isolata di beneficenza possa concretare la complessità dei mezzi a ciò necessari.

Non solo pei capitali occorrenti alla materialità della cosa – ma per la difficoltà di trovare un personale eccellente, scelto, superiore a quello delle comuni scuole – cui affidare la responsabilità di un’educazione e di una disciplina invero non facili a realizzarsi. Perché le persone scelte cercheranno di collocarsi in iscuole governative dove saranno indubbiamente pagate meglio, dove godranno maggior libertà e più diritto, ove avranno meno lavoro e responsabilità. E poi il tentativo privato si limita a provvedere a pochi individui, costituendo un privilegio, non utile, in definitiva, alla collettività, e può sfuggire al progresso che eventualmente si potrebbe, nell’ambiente sociale, raggiungere, e alle garanzie di successo che divengono assolute solo colà dove entra l’organizzazione di Stato. Sia un luminoso esempio di ciò (per quanto oscuro e bruno nelle tristi sue tinte!…) l’istituzione degli asili d’infanzia in Roma… dove dei capi incompetenti mantengano uno stato di cose disastroso.

E’ desiderabile, dunque, che da parte del governo come obbligo di necessità civile, un’istituzione che provveda a tutti i minorenni criminali, indisciplinati, incorreggibili, da quelli che la stessa famiglia è costretta d’allontanare, a quelli che commettono vere e proprie colpe criminose. In tale schiera innumerevole di tipi, entreranno senza dubbio tutti gli epilettoidi soggetti a reazioni impulsive, a vagabondaggio, o dediti a meretrici; e tutte le vittime della miseria economica con l’annesso quadro degli esempi immorali, dell’abbandono nel vizio, dell’assenza assoluta d’amore nel suo significato umano. La zavorra infantile, infine, il triste retaggio di povertà fisiologica, donde scaturiranno tra malattie d’ogni specie, dalla epilessia alla tubercolosi, anche le mostruose manifestazioni della criminalità, dovrebbe essere raccolto, curato e sorvegliato.

Ebbene, queste sono le contraddizioni nostre più strane. Una tale istituzione, il cui alto significato di lotta efficace contro la criminalità dovrebbe imporsi ed entusiasmare il

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nostro orgoglio italiano, esiste. Noi possediamo in ciò un progresso che ci pone innanzi all’Europa in prima linea Ma intorno a ciò tutto tace: così la parola alata dei dotti, come le colonne dei giornali quotidiani. E pure qualche cosa di molto grande è nato – e su tali basi che senza dubbio crescerà rigogliosamente.

La riforma Doria sui Riformatori governativi ha costituito un passo molto ardito e geniale. Chi osò di assumerne la spinosa responsabilità, mostrò una sicurezza d’idee ed un coraggio veramente eccezionali.

A molti sembrò nel primo momento disastroso il tentativo, come se si fossero aperte delle gabbie di bestie feroci: si temè l’indisciplina, la ribellione, la rovina.

Ma al contrario l’esperienza di quasi due anni mostrò eccellente questa riforma che s’impose come una vera rivoluzione di scienza e d’amore. E pochi giorni fa un avvenimento solenne di significato onorò tutti noi italiani: per la prima volta, i fanciulli di un Riformatorio si videro intervenire alla palestra che porta il nome fatidico di “Roma”, per un pubblico saggio ginnastico e musicale: essi, che erano stati i reclusi, gli oppressi, mostrarono alla società una nuova forma di scuola, sorta tra le altre e con le altre affratellata e che prese il suo battesimo solenne di esistenza viva. Erano centosessantatrè fanciulli, e tutti i Riformatori d’Italia mandarono adesioni vibranti di commozione e di entusiasmo per la festa che sanciva un’opera di redenzione umana. Poiché non era quello il saggio ginnastico del Riformatorio di S. Michele in Roma; era il saggio di un campione del tutto – era il simbolo di un’opera che abbraccia l’Italia intiera.

Queste scuole scaturiscono dal Ministero dell’interno, come prima trasformazione della giustizia in misericordia. Esse rappresentano la forma tangibile e attuata di un’evoluzione delle istituzioni penali, che doveva seguire necessariamente a quel progresso scientifico idealmente proclamato dal Lombroso. Noi siamo nel punto che De Vries chiamerebbe delle variazioni sociali – dove le forme nuove che furon latenti pullulano, sostituendo le antiche. Mentre da un lato le guardie si ribellano, e nessuno più vuol fare il carceriere, come nessuno vorrebbe fare il carnefice – dall’altro sorgono istituzioni dove addirittura sono radiati i carcerieri, e sostituiti con maestri di primissimo ordine e con educatori entusiasti come missionari di un nuovo vangelo.

Infatti le scuole or ora fondate dal Ministero dell’interno per la riforma Doria – renderanno sempre più esigue le carceri, che andranno intisichendo, e chiudendosi una dopo l’altra come luoghi falliti, e socialmente sorpassati, che non hanno più clientela…

Non passerà una generazione, e i Riformatori avranno trionfato delle carceri nemiche…

Essi si trovano in rapida via di evoluzione: ancora all’inizio, sono un germe: ma germe di organismo superiore. Al primo tentativo di prova seguirà ora la completa attuazione: su quelle basi liberali che ne sono il glorioso fondamento: cioè senza pastoie di imitazioni dall’estero, senza restrizioni ai maestri; lasciando libero svolgimento alle attività creatrici della nostra razza artistica e geniale; con la sola guida di tutto quanto nel mondo la scienza indica come progresso. Fu lungamente parlato su La Vita, in una serie di articoli, dei risultati morali e scientifici già ottenuti per la Riforma Doria.

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Nello stesso progetto governativo, che ora passerà all’approvazione definitiva (esempio davvero ammirevole!…) è contemplata la necessità di migliorare le condizioni economiche del personale dei Riformatori, nell’eccellenza del quale si basa tutta l’attuazione pratica della riforma. Raro caso ed esemplare: la stessa autorità riconosce il bilancio necessario tra il dare e l’avere, e dona, senza che l’interessato abbia bisogno di organizzarsi per chiedere… Siamo in un ambiente veramente superiore. In ogni altro campo, è un’aspra lotta di contratto, come in meschino mercato: qui è il gesto signorile di chi vuole merce ottima, e paga. Sena dubbio il Ministero dell’interno accetterà questa clausola economica, che è imprescindibile, e alla quale sta strettamente collegato il trionfale successo dell’istituzione.

Quale centro di importanza scientifica potranno allora diventare i Riformatori in Italia, è facile immaginarlo. I minorenni sono presi anche all’età di 6 anni e possono rimanervi fino a ventuno anno: cioè permangono nei Riformatori (a differenza delle scuole elementari) durante un periodo di tempo ove si può seguire e guidare l’intero sviluppo individuale – e lasciare profonde modificazioni nel soggetto così con le cure igieniche come col trattamento pedagogico. Infine i Riformatori collocano nella società i licenziati: e la sorveglianza consecutiva di essi nella vita sociale (che sarà guidata da una chiara conoscenza dei caratteri individuali) potrà avvenire senza ledere la libertà di nessuno: poiché saranno gli antichi maestri, gl’istitutori, i medici, i benefattori infine e i consiglieri, ad eseguirla; coloro che circondarono già di cure il minorenne e ne divennero gli affettuosi confidenti.

Così dai Riformatori potranno scaturire insieme profilassi e cura delle criminalità. Infine, allorché alla semplice idea delle storie biografiche dei fanciulli e dello studio assiduo di essi fatto d’ora in ora dai censori si unirà a l’impianto di gabinetti scientifici di antropologia pedagogica diretti da persone competenti e forniti d’istrumenti per lo studio completo dell’individuo; e saranno possibili tutte le applicazioni della pedagogia scientifica, avremo in Italia centri meravigliosi di studio, donde lo sviluppo della personalità criminale uscirà scintillante di chiarezza. L’Europa verrà a imparare da noi la pratica, come da noi, dal nostro maestro Lombroso, imparò i fondamenti della teoria. L’Italia, che fu culla antica di civiltà, sarà chiamata la terra della redenzione; e nella redenzione umana sta racchiusa tutta la civiltà del futuro!

Maria Montessori

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Breve nota bibliografica su Maria Montessori Per avere un’idea complessiva e generale, degli studi sulla pedagogista, basti consultare: Montessori. Bibliografia internazionale (International Bivliography): 1896 – 2000, a cura di Clara Tornar (con cd-rom allegato), Roma, Edizioni Opera Nazionale Montessori, 2001. Si tratta di un’accurata rassegna critica, che comprende oltre un secolo di letteratura Montessori, abbracciando un periodo che va dal primo scritto del 1896 ai nostri giorni. Include 14 mila voci bibliografiche riferite a 55 diversi paesi distribuiti nei cinque continenti, a documentare la straordinaria diffusione della pedagogia di Maria Montessori nel mondo. Uno studio che consente di ricostruire l’evoluzione del dibattito internazionale sull’attività e sul pensiero della pedagogista. Molto importante anche il volume M. Montessori, Il metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, edizione critica a c. di Paola Trabalzini, Roma; tra gli studi più recenti ricordiamo: G. Cives, Maria Montessori: pedagogista complessa, Pisa, edizioni ETS, 2001; A. Matellicani, Maria Montessori alla “Sapienza” di Roma tra didattica e ricerca: 1890/91 – 1917/18, tesi di laurea in Pedagogia generale, a . a. 2000-2001, facoltà di Lettere e Filosofia, relatore: prof. Nicola Siciliani de Cumis, correlatore: prof. Furio Pesci (la Matellicani ha svolto una preziosa e accurata ricerca rendendo noti documenti inediti relativi ai corsi e agli esami che la Montessori frequenta e sostiene alla Facoltà di Scienze fisiche matematiche e naturali dell’Università di Roma, alla Facoltà di Medicina e chirurgia e per il Corso di perfezionamento in polizia sanitaria) e M. Montessori, Il metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, edizione critica a c. di Paola Trabalzini, Roma, Edizioni Opera Nazionale Montessori, 2000; P. Trabalzini, Maria Montessori: da Il Metodo a La scoperta del bambino, Roma, Aracne editrice, 2003. Importanti approfondimenti, anche bio-bibliografici, si possono trarre dal sito dell’Opera Nazionale Montessori (www.montessori.it) dove si trovano informazioni utili sull’attività dell’Opera, sulla Montessori e il suo Metodo, sulle scuole Montessori in Italia e nel mondo, sull’editoria: la rivista “Vita dell’infanzia” e le pubblicazioni sulla pedagogista a cura dell’ONM.