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28 1 DIOCESI DI REGGIO EMILIA - GUASTALLA I BAMBINI SULLA VIA DELLA FEDE Accompagnatori post-battesimali

I BAMBINI SULLA VIA DELLA FEDE - webdiocesi.chiesacattolica.it · 3° 6) Prime forme di preghiera 7) Libri che parlano di Dio Il Creatore (72) Il Natale (88) ... si potrebbe parlare

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DIOCESI DI REGGIO EMILIA - GUASTALLA

I BAMBINI SULLA VIA

DELLA FEDE

Accompagnatori

post-battesimali

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INDICE INCONTRARE I GENITORI pag. 3

GUARDARE I BAMBINI pag. 12

CATECHISMO DEI BAMBINI pag. 20

ITINERARIO POST-BATTESIMALE pag. 24

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ANNO SCHEDE Pag.Bibliche del CdB

1° Premessa 1) Segno di croce 2) Parlare di Dio ai bambini

2° 3) Maria 4) Gesti della preghiera 5) Natale

3° 6) Prime forme di preghiera 7) Libri che parlano di Dio

Il Creatore (72) Il Natale (88)

4° 8) Benedizione della tavola 9) Educazione morale 10) Gesù Buon pastore

Mosè (80) Davide (82) Annunciazione (86) Padre nostro (100) Maria (108)

5° 11) Pasqua 12) Visita in Chiesa

Eva e Adamo (74) Noè (76) Abramo (78) Magi (90) Samaritano (92) Pasqua (102; 104)

Per quanto riguarda invece le Schede per l’educazione religiosa dei bambini a casa ad opera dei genitori si consiglia la seguente scansione temporale:

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INCONTRARE I GENITORI*

1. Eterogeneità di situazioni Gli operatori pastorali, quando incontrano le famiglie, sono costretti a con-frontarsi con una grande varietà di situazioni. Quasi tutti provano un tipico sgomento: si potrebbe parlare di «sindrome da disomogeneità», cosa che crea disorientamento, provoca giudizi e, a volte, fastidio e insofferenza per dover cambiare modalità di approccio secondo le varie persone e i differenti sistemi di vita nelle case. Ogni famiglia ha una sua storia e una sua propria anima che va singolarmente considerata nel cammino con il figlio che cresce. Accompagnarla secondo la logica cristiana della fede e della speranza in un Dio Padre, che per primo la ama e desidera condurla a salvezza secondo un suo disegno, chiede agli ope-ratori di avere occhi per vedere e cuore per imparare a stupirsi delle meravi-glie che il Signore già compie in ciascuna. E questo molto prima di affannarsi a trasmettere una verità di cui si pensa di essere detentori. L'agire pastorale dovrà quindi confrontarsi, superando diverse precomprensioni, con quei modi un po' abitudinari di pensare il cristianesimo, a volte connotati da una religio-sità naturale o quasi magica, spesso giudicati solo in modo negativo. «A tutti dobbiamo sforzarci di offrire un'immagine di Chiesa amica di chi è in ricerca, dell'uomo e della donna che si pongono domande sulla vita, della persona che desidera la salvezza anche se non ne sa dire bene il nome».' Si tratta di vedere con occhi sempre nuovi la vita delle famiglie per individua-re i tratti positivi che accomunano, senza lasciarsi fagocitare - come operatori pastorali - dalle mille diverse situazioni. 2. Cercare linee comuni Avere occhi nuovi chiede di non essere preoccupati subito di quello che cre-diamo di dover dire ai genitori, quanto di mettersi in una dimensione di ascol-to dei loro vissuti. È possibile trovare tra tante diversità qualcosa che accomu-ni le famiglie. Le linee convergenti diventano così fonte di riflessione e indi-catori di piste di catechesi comuni, permettendo agli operatori di focalizzare meglio i contenuti e i metodi, senza disperdersi nella frammentarietà. Quali linee emergono dall'ascolto?

___________________________________ * Tratto da G.BIADER – S.NOCETI – S.SPINELLI, A piccoli passi. Itinerari post-battesimali per genitori e bambini 0-6 anni, EDB (2007), pp. 20-37.

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2.1. L'AMORE PER UN BAMBINO Il soggetto bambino è il primo fattore che accomuna tutti i genitori. Amore, preoccupazione, tenerezza, fastidio... attorno a quel piccolo, e con lui, si intrecciano situazioni e sentimenti davvero complessi e non sempre facili da gestire perché chiedono di riformulare tutta la relazione tra i partner e la vita familiare nei suoi vari aspetti. I genitori accanto ai bambini piccoli vivono momenti gratificanti e altri pro-blematici. Provano gioia ma anche rabbia, solitudine, gelosia, depressione. È possibile poi riscontrare in genitori che hanno un primo figlio nell'età che su-pera i quarant'anni, il desiderio di un giovanilismo di ritorno - abbastanza fuo-ri tempo! -, una preoccupazione educativa e un attaccamento al figlio abnor-me e scorretto. Se si pensa che tutta questa miriade di situazioni e sentimenti è avvolta dal contesto culturale odierno e agitata dal ricordo delle personali antiche tradi-zioni familiari, ci si rende conto quante e quali barriere debbano cadere per-ché la buona notizia di Gesù possa incontrare il cuore dei genitori. Una buona notizia per il loro bambino.(CdB 54) 2.2. GENERARE NELLA STORIA E PER LA STORIA Quando nasce un bambino la famiglia si inserisce nella storia (CdB 145), per cui la visione della vita non può più limitarsi all'oggi ma deve contemplare l'avvenire. Questa prospettiva che si può considerare «laica» costituisce già un'occasione per un primissimo annuncio, aprendo le dimensioni familiari verso il futuro nella dimensione della speranza e contrastando la tendenza im-plosiva, di chiusura in se stesse, delle famiglie di oggi. Ogni nascita è una vita consegnata alla storia e con essa deve fare i conti. Si innesta qui la questione del senso dell'educazione cristiana. I genitori non sanno che, per la concretezza del generare, sono già inseriti in una dinamica religiosa che li lega all'opera creativa del Padre, come sottolinea il salmo «Dono del Signore sono i figli e sua grazia è il frutto del grembo» (Sal 126) e racconta la Scrittura quando mette in bocca a Eva, alla nascita di Abele, queste parole: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4,1). Non stupisce che il Catechismo dei bambini possa affermare: «I figli sono di Dio». (CdB 16) In genere i genitori non sono consapevoli di queste certezze che da un punto di vista della fede non si possono ignorare e quindi vanno annuncia-te. In ogni caso nel momento in cui si incontrano i papà e le mamme non bisogna dimenticare di ringraziarli per essere stati collaboratori del Padre nel dare la vita, ricordando che sono loro i mediatori del suo amore verso i figli.

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ANNO Esperienze in Parrocchia Liturgie di consegna

1° Anniversario dei Battesimi

Consegna del catechismo: Lasciate che i bambini vengano a me

2° Domenica insieme per le fami-glie con i loro bambini

Consegna dell’icona di Maria con il bambino Gesù

3° Domenica insieme per le fami-glie con i loro bambini

Consegna del Padre no-stro

4° In alcune domeniche proporre l’omelia separata per i bambini

Consegna delle preghiere per benedire la tavola

5° In alcune domeniche proporre l’omelia separata per i bambini

Consegna della luce di Cri-sto (Epifania o domenica del tempo pasquale)

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ITINERARIO POST-BATTESIMALE

Di educazione religiosa nella prima infanzia con il coinvolgimento dei genitori

Per incontrare i genitori si consiglia di valorizzare i contenuti del Catechismo dei Bambini, Lasciate che i bambini vengano a me, che sono diretti a loro. Lo schema seguente fornisce una possibile scansione in cinque anni propo-nendo un paio di incontri formativi per i genitori (anche per i bambini dal 3° anno), un’iniziativa che coinvolga le famiglie e la comunità, e una liturgia di consegna per accompagnare il cammino:

ANNO Dal Catechismo dei Bambini Incontri paralleli con i

bambini

1° 1. I Bambini sulla via della Fede (28-31)

2. Parlare di Dio ai Bambini

2° 1. Prima delle parole (60-63) 2. Le parole che annunciano

Gesù (64-67)

3° 1. L’incontro con Gesù nelle scritture (68-71)

2. Il dialogo dei bambini con Dio (140-146)

- La famiglia di Gesù - Il mondo è dono di Dio

4° 1. Riti e occasioni di preghie-ra in casa (147-157)

2. Insieme con il figlio che cresce (116-129)

- Le regole - Gesù ci vuole sempre be-ne

5° 1. Pedagogia dei modelli (130-139)

2. Oltre le mura di casa (158-161)

- Gli amici di Gesù - L’amore vince la morte

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2.3. QUESTE COSE LE RACCONTERAI Al TUOI FIGLI... (Dt 6,6-9) È indubbio che nella società contemporanea la relazione genitori-figli sia pre-valentemente schiacciata sul versante affettivo. Il contesto culturale non tra-manda più ai genitori il ruolo complessivo, il senso e il valore simbolico che essi dovrebbero avere nello spettro educativo. Questo porta come conseguen-za, nell'educazione religiosa, una perdita di risorse che non si può rimprovera-re semplicemente come una mancanza di volontà degli stessi genitori, in quanto essi non riescono più a riconoscere il valore religioso che la loro figu-ra paterna e materna ha verso i figli. Agli operatori pastorali si pone il duplice obiettivo: recuperare il valore sim-bolico delle figure genitoriali e dare loro la consapevolezza che il Padre conti-nua attraverso i papà e le mamme la sua opera educativa (CdB 58,97,121-124). Come afferma ancora il Catechismo dei bambini:

«Il Padre chiama i genitori a collaborare con lui; chiede conto di questi bambini che ha loro affidato come figli perché li custodiscano nell'amo-re» (CdB 63 ) «I genitori sono i primi a poter offrire ai piccoli fin da piccoli la possi-bilità di cercare Dio e di conoscere la via che conduce a Dio». (CdB 57)

2.4. GENITORI PER SEMPRE Quando nasce un bambino padre e madre diventano genitori per sempre. Soli o in coppia, separati o conviventi, sposati civilmente o in chiesa, divorziati - risposati e non -, celibi, vedovi, tutti sono genitori ed è nell'ottica della genito-rialità che va posto il primo accento operativo. Queste persone hanno avuto il coraggio e la responsabilità di generare altre vite e se come tali sono abilitate a farlo per natura, così nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo hanno le capacità per generare i figli anche nel cammino di fede. Di fatto, pur nella generale disconoscenza della religione cristiana e di quanto essa comporta, pur credendo con riserva o non sapendo raccontare di Gesù e del vangelo, i genitori parlano del suo amore attraverso i gesti quotidiani di cura: spezzano il pane con i loro bambini, lavano loro i piedi (e... tutto il re-sto!), li perdonano, li accarezzano, li consolano. (CdB 121-124) È questo un annuncio importante che i genitori hanno il diritto di ricevere: dà loro la consapevolezza di non essere degli sprovveduti, di non partire da zero, di avere già alcune «capacità religiose» che li fanno protagonisti e che, in un certo senso, li possono aiutare a sentirsi parte della comunità cristiana. I gesti normali e quotidiani che si fanno con i bimbi predispongono un cam-mino di maturazione nella fede e già lo attuano perché ripropongono quello che il Signore ha compiuto educando il suo popolo:

Al mio popolo insegnavo a camminare tenendolo per mano...

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Lo traevo con legami di bontà con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. (Os 11,3-4)

Proprio seguendo la Parola occorrerà valorizzare i gesti del vivere quotidiano in una dimensione di fede. La comunità cristiana non è abituata a fare questo, e dovrà essere cura degli operatori far acquisire la capacità di legare vita e vangelo. 2.5. I GENITORI: ADULTI CON I QUALI CONFRONTARSI Un accento va posto sull'adultità dei genitori. Sono adulti primariamente per-ché capaci di occuparsi di qualcun altro, bisognoso di cure come un bambino. Questo «occuparsi» è attuato in un modo che a volte sconcerta in quanto sono sempre assai diverse le modalità di rapporto genitori-figli. Educano bene i genitori di oggi? Cosa ne pensano gli operatori? Al riguardo le valutazioni sono spesso negative e inducono a commenti inutili. In realtà fra adulti ci si dovrebbe confrontare in maniera costruttiva, sapendo che l'an-nuncio cristiano non può non intrecciarsi con le scelte educative, come con la gestione dei soldi, il valore del tempo libero, i problemi del lavoro, la morte e la vita. Il confronto porta a identificare delle domande di senso, a scoprire la grazia di Dio che agisce nel quotidiano e a rilevare il bisogno di parametri eti-ci, che i genitori attualmente talora sembrano aver perso vivendo in modo in-dividuale, confuso e conflittuale. Già con questo stile di colloquio si dà un annuncio evangelico, ma occorre permettere che siano loro, i genitori, con la loro storia e le loro riflessioni i protagonisti del dialogo, tanto da segnarne i ritmi e il tempo perché è nel tempo che il Signore e la Chiesa accompagnano nel cammino verso Gesù. Ricordiamo quanto ha scritto il papa nella sua prima enciclica: «All'inizio del-l'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incon-tro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la decisione decisiva» (Benedetto XVI, Deus Caritas est, n.1) 2.6. NON DI SOLO PANE... (Mt 4,4) Non si possono ignorare le difficoltà economiche che toccano la maggior par-te delle giovani famiglie per le spese indispensabili: il mutuo per l'acquisto della casa o il costo dell'affitto, le spese di ménage, ciò che serve per la cura degli stessi figli, esigono ormai il lavoro di entrambi i genitori. Molti sono i disagi comuni che ne derivano: stanchezza, mancanza di tempo, stress... È opportuno comunque considerare che il criterio di spesa usato oggi non aiuta l'economia familiare. Il senso del limite e dell'opportunità, la frugalità, la mi-sura e la sobrietà mancano in molte case.

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- formule per la preghiera della sera (p. 143) - formule per la benedizione della mensa (p. 146) - l'Amen (p. 167) - le preghiere della tradizione (p. 168-172) - chi è Gesù (p. 66-67) 3. Metodologia Il compito educativo dei genitori è difficile, ma reso possibile dall'aiuto di Dio del quale essi sono collaboratori: "Due sono le vie: quella di chi segue lo "spirito del mondo" e quella di chi sceglie di seguire ciò che ha detto e ha fat-to Gesù. Ogni genitore che ha portato il figlio al Battesimo si è impegnato a seguire la seconda. È la via che fa crescere secondo Gesù Cristo" (CdB nn. 148-149). In ogni caso i genitori andranno motivati facendo scoprire loro la missione di primi educatori della fede dei figli. Il testo fornisce vari spunti di metodo: - l'uso dei gesti (di amore e di premura) prima delle parole; - importanza del gioco; - l'uso di un linguaggio adatto ai destinatari, legato alle loro esperienze vive, visivo ma non favolistico; - la catechesi occasionale fatta nel momento più propizio e nel modo più op-portuno; - l'esempio e la partecipazione diretta; - la catechesi delle feste religiose. Sono inoltre forniti esempi di narrazione: 21 episodi della storia della salvez-za (vedere le indicazioni metodologiche a pag. 69-71) e 4 vite di santi - 2 uo-mini e 2 donne - (vedere indicazioni a pag.131). Una nota particolare merita la cura che è stata data al linguaggio grafico e ico-nografico di questa 2ª edizione, nella precedente era quasi assente, cura che rende questo catechismo: "capace di trasfondere, anche attraverso la grafica, il senso della vita e della speranza; quindi un libro colorato, luminoso e reali-sticamente ottimista perché porta la lieta novella di Gesù" (Nota UCN n.11) Per quanto riguarda la preghiera: "Il catechismo offre una prima iniziazione dei bambini alla "preghiera" seguendo i ritmi della loro crescita: dalla pre-ghiera spontanea e "domestica" all'iniziazione dei figli al linguaggio dei sal-mi, come preghiera della comunità ecclesiale. Soprattutto la "casa" è chiamata a essere non solo un ambiente di vita, ma anche la prima scuola si "ascolto", di "celebrazione", come vera liturgia familiare, seguendo il percorso dei "segni", dei "momenti" privilegiati e delle "feste"" (Nota UCN, n.9). In ap-pendice al testo ci sono le formule di preghiera della comunità cristiana.

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Si tratta di 21 episodi scelti: − nell'Antico Testamento seguendo la storia della salvezza, − nel Nuovo testamento percorrendo le feste dell'anno liturgico, − più la narrazione di 2 miracoli, 1 parabola, la preghiera del Padre No-

stro e l'incontro di Gesù con i bambini. Il testo biblico utilizzato è quello della traduzione della CEI. La 3ª parte, infine, offre un itinerario per i primi passi della formazione della coscienza morale. Troviamo allora gli atteggiamenti ai quali educare; i mo-delli degli amici di Gesù (i santi); la preghiera e la liturgia della festa; l'inseri-mento dei bambini nella comunità ecclesiale. 2.2 ARTICOLAZIONE DEI CAPITOLI I capitoli, nei quali si articolano i contenuti, hanno nella prima pagina: − titolo − immagine a disegno con pochi particolari e ben ingrandita. Il testo è corredato di immagini, per lo più fotografie che hanno per soggetto i bambini stessi, ed è diviso in paragrafi numerati e con titoli a lato. Una impostazione particolare ha nella 1ª parte il capitolo relativo alla cele-brazione del Battesimo, che riporta il rito e lo correda di fotografie che illu-strano i singoli momenti ed i simboli utilizzati. Così nella 2ª parte hanno una impaginazione particolare le schede bibliche: * a sinistra: il testo biblico preceduto da un'inquadratura complessiva, e segui-to a piè pagina da una didascalia, che aiuta gli adulti a cogliere gli elementi fondamentali del testo e il loro contesto, l'eventuale riferimento a Cristo e le occasioni privilegiate per offrirlo ai bambini; * a destra: l'illustrazione a disegno dell'episodio, preceduto in alto dal titolo e seguito a piè pagina da una proposta di preghiera. L'andamento di queste pagine segue quello della preghiera cristiana: ascolto, comprensione del messaggio, risposta con la preghiera ed il dialogo stimolato dal disegno. Nella 3ª parte vanno distinte dal resto dei capitoli, le schede relative ai santi, gli amici di Gesù: S.Francesco, S.Stefano, S.Caterina, S.Marta; le cui vite so-no raccontate in 4 episodi illustrati. Viene inoltre ricordata la data della festa e ogni personaggio è preso come spunto per una preghiera centrata su di una virtù particolare: gratitudine, perdono, pace, fede. Lungo il volume sono inoltre presenti alcune pagine a fondo colorato che rac-colgono testi importanti per la memorizzazione da parte dei bambini: - i dieci Comandamenti (p. 27) - le beatitudini (p. 130)

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Quali timori si nascondono dietro il bisogno di possedere tante cose? Come aiutare le famiglie a fare i conti con la frase evangelica: «Non di solo pane vive l'uomo» (Mt 4,4)? Affrontare questo tema non è semplice, ma le famiglie stesse sanno ricono-scere, perché lo provano sulla propria pelle, che la comprensione, l'affetto, la stima reciproca, sono valori primari. Gli operatori possono muoversi da questi stessi valori per arrivare all'annuncio di una prassi di vita cristiana e offrire una visione nuova del rapporto tra le persone e con le cose. 2.7. I NONNI E IL VALORE DELLE TRADIZIONI FAMILIARI Nella comune fatica di gestire i piccoli è sempre più importante la risorsa dei nonni, sia come aiuto concreto che come trasmissione di abitudini e tradizio-ni. La comunità ecclesiale potrebbe considerare anche i nonni bisognosi di acco-glienza e di buona notizia, e dovrebbe riflettere maggiormente sul fatto che pure da loro è aiutata e arricchita nell'impegno per la «consegna della fede» alle nuove generazioni. Certo i problemi non mancano. I nonni, al giorno d'oggi spesso giovanili e a volte troppo coinvolti nelle dinamiche familiari dei figli, possono provocare all'interno delle famiglie relazioni faticose, la cui causa non è sempre portata a coscienza. La difficoltà che risulta più comune e più lenta da risolvere è l'at-taccamento del figlio adulto verso i propri genitori: falso sentimento di rico-noscenza? Sottile reciproco ricatto? Paura di tradirli se si dà priorità al pro-prio partner? Molte sono le cause che andrebbero considerate e forse si po-trebbero superare anche in un percorso di gruppo, guidato da un esperto, pro-posto da una comunità che ha a cuore il buon rapporto delle coppie. Con la presenza dei nonni, anche se non coabitanti, esistono comunque di fat-to le «famiglie allargate», non più per uso antico, ma per effettive necessità: si ha così l'occasione di recuperare le tradizioni vissute nelle case che possono introdurre una riflessione e un annuncio sia sul valore stesso delle tradizioni anche religiose, sia sul concetto di popolo: il popolo dei cristiani, con la sua storia e i suoi riti. Com'è stato affermato R.Iafrate al Convegno ecclesiale di Verona: “Oggi la figura del nonno rappresenta una delle presenze tra le più importanti del mondo relazionale dei bambini. I nonni sono coloro che sanno trasformare in fiaba la storia della famiglia; sono coloro che sanno raccontare di quando papà e mamma erano bambini; sono i custodi e i narratori della sto-ria familiare, coloro ai quali è affidata, anche solo tramite la loro presenza, la trasmissione dell'appartenenza, ossia la possibilità per le nuove generazioni di essere riconosciuti e legittimati, di sentirsi parte di una storia accedendo all'al-bero genealogico paterno e materno.”

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2.8. IL DIALOGO E IL NON DIALOGO Ciò che ancora accomuna molte famiglie è la carenza di dialogo. Si parla... ma si comunica poco e, a volte, si tace troppo. L'arrivo di un figlio, non solo necessariamente il primo, interrompe l'asse di comunicazione diretta nella coppia e i partner trovano più naturale e agevole parlare del figlio che non di loro stessi. Come aiutare i genitori quando un partner crea un'alleanza con il figlio, tanto da escludere l'altro nel rapporto affettivo di coppia? Speranza, desideri, sogni, opinioni personali, tanto facilmente comunicabili nel periodo dell'innamoramento, rimangono pesantemente e tristemente chiusi nel cuore di ciascuno. Questo porta alla percezione della solitudine, muoven-do sentimenti che giungono fino al rancore reciproco e perdurano nel tempo se non vengono opportunamente considerati al più presto. Troppe coppie vi-vono l'illusione che un figlio crei magicamente unità per il solo fatto di esiste-re o ricomponga legami perduti e avveri speranze tradite di matrimoni ideali. Come si può parlare ai genitori di comunione, di pane spezzato insieme alla mensa familiare, se non esiste tra loro una condivisione a livello profondo? Potranno dei gesti simbolici, comuni nelle case, essere correttamente vissuti senza un riscontro anche emozionale? Basterà conoscere il significato annun-ciato di un gesto per poterlo vivere con una coscienza religiosa? Certamente gli operatori pastorali non debbono improvvisarsi psicologi, ma possono avvalersi di aiuti specifici collaborando con gli esperti e con i con-sultori di ispirazione cristiana presenti sul territorio. È comunque loro prero-gativa e dovere cercare di conoscere con delicatezza i vissuti familiari per comprendere e confortare; per annunciare a chi vive una relazione di coppia la grazia dello Spirito Santo; per dare speranza e fiducia con la buona notizia: Cristo è risorto per tutti, anche per sanare le situazioni più difficili. 2.9. PARADOSSO: LA DIVERSITÀ COME FATTORE DI COMUNIONE A tutte queste linee di orientamento comune se ne aggiunge una: quella della diversità, rispetto al vissuto religioso e di fede. Genitori praticanti abituali, non praticanti, praticanti sporadici, dichiaratamente atei, di credo diverso tra loro... Possiamo ancora classificare le persone racchiudendole in categorie? Per questa strada, la grande tentazione è di considerare gli uomini cristalliz-zati nella loro situazione, non aperti ai cambiamenti, a volte improvvisi, che la vita procura. Con quali speranze e quali occhi si guardano situazioni e persone? Risponde il libro dei Proverbi: «II cuore lo pesa il Signore» (21,2). Davvero il rapporto con le cose che riguardano Dio è del tutto intimo e particolare. Si tratta allora di considerare se sia veramente positivo un certo affanno pastorale nel co-struire percorsi e schemi proposti sempre indistintamente a tutti, come pure

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a) Conoscenze da acquisire − le tracce di Dio nel creato a partire dai genitori − alcuni episodi della storia della salvezza e della vita di Gesù − l'esempio dei santi − i segni liturgici e le feste della comunità − i primi elementi della preghiera

b) Atteggiamenti − contemplare le opere meravigliose fatte dal Signore − Fiducia nella vita e apertura agli altri − consapevolezza dei comportamenti buoni o negativi

c) Comportamenti Saranno i comportamenti di Gesù che è il modello da seguire

− gratitudine, − perdono dato e richiesto, − vivere relazioni nella carità e solidarietà, − celebrare la gioia del vivere, − lodare e pregare.

2. Struttura e articolazione Il testo presenta prima di tutto una introduzione indirizzata al mondo degli adulti, per mettere a fuoco le risorse personali e materiali per il cammino ca-techistico: un ambiente comunitario e familiare, gli educatori adulti con il lo-ro amore, i bambini con le loro capacità. La proposta di fede del catechismo si articola successivamente in 3 grandi tappe di un percorso che gli stessi adulti sono invitati a percorrere: − conoscere i bambini alla luce della fede cristiana; − iniziare con entusiasmo l'annuncio del Signore prima e oltre le parole; − nella comunione creata dall'annuncio camminare insieme con la Chie-

sa, nel nome del Signore. 2.1 ARTICOLAZIONE DEI CONTENUTI La 1ª parte si rivolge soprattutto ai genitori ed alle comunità cristiane per ren-derli consapevoli della originalità e dignità della persona umana nel suo riferi-mento a Dio, e per maturare la scelta del Battesimo come scelta di fede che implica la responsabilità sia di educare che di vivere cristianamente. La 2ª parte è tutta proiettata verso l'annuncio dell'amore di Dio culminato nel dono di Gesù. Troviamo qui il nucleo centrale del catechismo dei bambini co-stituito da una antologia biblica che aiuta i bambini a conoscere ed incontrare Gesù nelle Scritture.

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Il Catechismo dei Bambini «LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME» I vescovi consegnano questo catechismo ai bambini per le mani delle mamme e dei papà, dei padrini e delle madrine: "La Chiesa italiana ha preparato que-sto catechismo come libro della fede e per educare nella fede. È uno strumen-to che impegna le comunità ecclesiali e, in esse, soprattutto i genitori e quanti si prendono cura dei bambini a narrare il Vangelo di Gesù nei modi più adat-ti a loro" (CdB n.4) Profondamente rivisto rispetto all'edizione "per la consultazione e la speri-mentazione" del 1973, questo catechismo si presenta ora come più immedia-tamente fruibile in seno alla famiglia, nella quale vuole essere: "un libro letto e commentato dai grandi ai piccoli, ma sfogliato dai bambini" (Nota UCN n. 11*). Più marcata del precedente sembra dunque essere l'intenzione da parte dei Vescovi di preparare: "un vero «catechismo dei bambini», dove risuona l'eco gioiosa del Signore e delle sue parole; non è una semplice appendice del catechismo degli adulti a uso dei genitori e neppure un generico «catechismo per le famiglie». È un vero libro della fede cristiana e non un semplice sussi-dio didattico per l'infanzia" (Nota UCN n.1). Anche il catechismo Lasciate che i bambini vengano a me, si vuole dunque caratterizzare in modo specifico: "come catechismo per l'iniziazione cristiana dei bambini, cioè come il libro della fede che intende accompagnare i bambi-ni, in modo adatto alla loro età, a una prima graduale e progressiva iniziazio-ne alla vita cristiana nella globalità dei suoi elementi e nel suo fondamento battesimale, coinvolgendo la comunità ecclesiale, la famiglia e le diverse co-munità educanti" (Nota UCN n.3). 1. Finalità e obiettivi Per i bambini in età pre-scolare a cui il testo si rivolge, viene proposta la meta globale di una prima intuizione di Dio: come Padre buono e come Figlio che cammina insieme ed accanto a loro. "Si tratta di favorire un incontro gioioso con Dio fin dall'alba della vita, e di iniziare un'amicizia e un dialogo da custodire e da coltivare durante l'intero corso dell'esistenza terrena" (Nota UCN n.5) Per quanto riguarda gli obiettivi che questo strumento propone possiamo ten-tare di suddividerli nel mondo seguente:

___________________________________ * Ufficio Catechistico Nazionale, Il catechismo per l'iniziazione cristiana dei bambini. Nota della CEI - 1992. Abbr.:“Nota UCN”.

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nel costruirne altri appositi per ogni singola situazione; i primi nel desiderio di non lasciare nulla di ciò che è doveroso sapere, i secondi nel tentativo di rincorrere i vissuti. Forse, per arrivare a configurare un cammino da percorre-re anche a piccoli passi, è opportuno provare a capovolgere il punto di vista: se fossero loro, i genitori, a parlare della loro quotidianità intessuta di lavoro, di scelte, di fatica, di responsabilità, di allegria... e gli operatori imparassero, insieme con loro, a leggervi dentro i semi della vita di fede? 3. Da una pastorale contenutistica a una pastorale dell'incontro Il Catechismo dei bambini invita a camminare insieme con lo stile di una rela-zione simile a quella che si stabilisce tra due discepoli in cerca della verità. 3.1. INCONTRARE LA VITA NORMALE Gli atteggiamenti di confronto-pongono alcune difficoltà agli operatori pasto-rali: non è facile dialogare tra adulti senza la paura di trovarsi... senza parole; nemmeno è facile accettare che gli schemi di catechesi, ben preparati e rassi-curanti, vengano scompigliati da pressanti situazioni esistenziali. Per esem-pio, se un genitore ha problemi di disaccordo in casa per come educare un bambino che fa capricci continui oppure è in difficoltà finanziarie, difficil-mente potrà prestare sincera attenzione a un annuncio programmato da tempo in parrocchia e che nulla ha a che fare con ciò che gli interessa davvero in quel momento. Fatte salve tutte le necessarie e doverose programmazioni, è necessario allora per gli operatori imparare a relazionarsi con vera empatia, in modo che le persone di famiglia possano sentirsi «incontrate» e dire: «Sento che lei mi ha capito, che è con me, che si interessa a me più che alla chiesa piena o alla riuscita delle iniziative». Il rapporto empatico chiede di agire secondo alcuni passaggi: dal guardare al vedere, dal vedere all'accorgersi, dall'accorgersi al comprendere, dal com-prendere all'essere partecipi. La pedagogia della fede oggi non può limitarsi solo a cercare i mezzi migliori che permettono ai catechisti di insegnare bene i contenuti religiosi. È indispensabile mettere in atto una buona comunicazio-ne, che risulti efficace anche a livello emotivo e affettivo. 3.2. LA CHIESA IN ASCOLTO Empatia e vissuto delle case non esimono i catechisti battesimali dal prepara-re adeguati percorsi di fede che introducano i genitori nella vita delle comuni-tà. D'altra parte, come si è accennato, incontrare i genitori avendo già pronta una sequenza ben organizzata di argomenti, rischia di porre maggiore atten-zione su questi che non sulle persone stesse e sulle relazioni che si stabilisco-no tra chi è coinvolto nel cammino.

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Come trovare l'equilibrio? Tenendo presente che solo in una dinamica di a-scolto reciproco si costruisce un vero vissuto ecclesiale. Certamente occorre porre attenzione a che le richieste dei genitori siano sensate, ma altrettanto occorre che lo siano le domande che si pongono loro: non è possibile immagi-nare di percorrere un cammino per renderli protagonisti dell'educazione alla fede dei loro figli, limitandosi a convocarli all'eucaristia, alle liturgie e a mo-menti di catechesi; nemmeno è da pensare di enfatizzare le case come chiese domestiche tanto da chiudere le famiglie dentro le loro mura, come bastassero a se stesse. Si tratta di trovare nuovi linguaggi e nuovi equilibri, di rendere le convocazioni un momento d'incontro e di «andare a incontrare» quando non si può convocare. (CdB105) Dove? Come? Un invito a una merenda in oratorio o a mangiare insieme una buona pizza può risolvere il problema? Le parrocchie che si rifugiano spesso in questi e altri inviti sanno porsi un obiettivo e considerano le difficoltà di uscire di casa con un bimbo piccolo? Può un fortuito incontro in un supermer-cato essere luogo di un rapporto breve ma tale da indurre il desiderio di rive-dersi per approfondire la conoscenza? Solo la sensibilità degli operatori e il confronto costante a livello di équipe battesimale potranno aiutare a formulare risposte valide. 3.3. IL TIMORE DEGLI OPERATORI E DEI GENITORI Appare chiaro che coinvolgere i genitori in un cammino verso la fede in Gesù non indica un metodo o una tecnica, ma un modo di essere, di porsi da parte della Chiesa. È una coscienza che, mentre esige una buona preparazione degli operatori anche nell'usare gli strumenti essenziali per annunciare la buona no-tizia, chiede soprattutto un atteggiamento che li pone personalmente in gioco. Entrare in gioco procura il timore di essere inadeguati; anche per questo ci si assicura una buona preparazione che inoltre permette di non rifugiarsi in un linguaggio tecnico-catechistico-ecclesial-clericale, il quale fa perdere il con-tatto con la vita comune e quindi non realizza più una mediazione autentica. La coscienza umile evidenzia normalmente anche i limiti di ciascuno e può far nascere ritrosia nel compito missionario dell'annuncio accogliente. È il momento in cui agli operatori manca la parola, così come avvenne a Mosè che sapeva di non essere un buon parlatore (cf. Es 4,10) e a Geremia, che nel-la sua gioventù rispondeva all'invito del Signore: «Ahimè Signore, io non so parlare... » (cf. Ger 1,4-10). Anche Giosuè, pieno di spirito di sapienza perché Mosè gli aveva imposto le mani, non si fidava di parlare con gli stranieri per-ché temeva gli presentassero un essere di Dio diverso da quello da lui cono-sciuto (cf. Dt 34,9). E le paure dei genitori? È umano nutrire parecchio timore verso gli operatori

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offrire opportunità di quella che possiamo chiamare «catechesi occasionata», perché crea momenti ed esperienze particolari per vivere e approfondire l'an-nuncio cristiano. Non a caso il Catechismo dei bambini della Chiesa italiana dedica tutta una sezione ai cosiddetti «riti familiari» (Cf CdB nn.188ss); i pic-coli sono sensibili alla ritualità e amano ripetere le medesime azioni giorno dopo giorno, perché ciò dà loro sicurezza. L'ebraismo, a questo proposito, ha molto da insegnarci; esso si è conservato come religione mondiale praticata da alcuni milioni di persone, nonostante la diaspora dalla Terrasanta e da molti altri Paesi nel corso della storia, proprio grazie ai riti familiari. Distrutto il tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. e spen-te le ultime ribellioni settant'anni dopo, abolita la classe dei sacerdoti, la reli-gione ebraica è stata praticata soprattutto in famiglia, la liturgia domestica è stata privilegiata rispetto a quella sinagogale, e così avviene anche oggi: il rito in sinagoga non è che l'espressione emblematica e il coronamento di quanto preparato e vissuto nell'ambito familiare. Le nuove generazioni ricevono così la trasmissione della tradizione religiosa che interiorizzano progressivamente. Un'altra dimensione a cui sono sensibili i bambini è il mondo visivo, fatto di segni e simboli; è cosa buona dunque valorizzare alcuni segni tradizionali che già abbiamo nelle nostre case: un'immagine religiosa o icona, uno spazio par-ticolare, un cero, un simbolo sacro. In questo contesto - prezioso soprattutto per la preghiera familiare - potrà essere sperimentata qualche semplice forma di narrazione biblica. Per concludere, sembra adeguato affermare che non è in gioco anzitutto la questione del dare spiegazioni specifiche in materia di fede. Se i bambini vi-vono esperienze tese a coltivare il loro senso religioso e a gustare alcuni mo-menti familiari vissuti in un clima di fede, ciò è ben più importante che tra-smettere concetti e nozioni determinate. La valutazione secondo la quale il piccolo «deciderà da solo più tardi» priva un bambino dell'opportunità di for-marsi una competenza linguistica religiosa di base. È paragonabile alla scelta di un genitore che non parlasse al proprio figlio per lasciargli la libertà di sce-gliere la lingua che preferisce; ma questo è impossibile. Bibliografia sul bambino - ALETTI M., La religiosità del bambino, ElleDiCi, Torino 1993. - GILLINI G. - ZATTONI M., Parlare di Dio ai bambini, Ovvero educazio ne religiosa dei genitori e degli educatori, Queriniana, Brescia 2004. - CAVALLETTI S., Il potenziale religioso del bambino, Città nuova, Roma 1993. - DIANA M., Dio e il bambino , ElleDiCi, Torino, 2007.

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irriducibili ai nostri. Anche in questo caso, l'educatore è chiamato ad accom-pagnare con pazienza il bambino nel riconoscimento, entro parametri adegua-ti, dell'onnipotenza e trascendenza di Dio. Bisogna dunque saper riconoscere i limiti legati allo sviluppo cognitivo che condizionano l'apprendimento religioso del bambino; allo stesso tempo è necessario, per noi adulti educatori, essere consapevoli di come il senso dei contenuti di fede che ci sforziamo di trasmettere, anche se compresi secondo quanto un bambino è in grado di fare, dipende dalla qualità della relazione che sappiamo instaurare e coltivare con loro. Le basi della reli-giosità, come abbiamo illustrato precedentemente, sono infatti sempre emo-tive e affettive. 2. La Casa, luogo di educazione religiosa La Chiesa annuncia che i genitori siano i primi autorevoli educatori alla vita di fede: «La famiglia è l'ambiente educativo e di trasmissione della fede per eccellenza» (CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, n.52). A poco servirebbe anche la migliore proposta di catechesi parrocchiale, se non potesse contare sull'alleanza con i genitori e la loro opera educativa. L'affer-mazione dei vescovi italiani pare però significativa anche per una seconda ra-gione: essi parlano di ambiente familiare, di casa, e dei genitori come educa-tori e non come catechisti in senso tecnico. Il problema, quindi, non è anzitut-to quello delle parole che i genitori devono o non devono dire, ma è ben più ampio. L'educazione al senso religioso del bambino fin dai primi mesi di vita passa attraverso la quotidianità che si vive entro le mura domestiche. Essa si-gnifica iniziare alla vita cristiana, attraverso l'esperienza giornaliera di dialo-go, gioco, gratuità e fiducia. L'iniziazione alla fede indica dunque il processo integrato di «sapere della fede» ed «esperienza di fede». Per quanto riguarda i genitori, si tratta di offrire una testimonianza di cosa voglia dire essere cristia-ni nelle piccole scelte quotidiane: mangiare, dormire, fare festa, giocare, vive-re la domenica... Che cosa capiscono i bambini dagli atteggiamenti che gli adulti hanno verso loro, nel dipanarsi della quotidianità? L'esperienza religiosa, del resto, come abbiamo visto è connessa con lo svi-luppo psicologico, cognitivo, emotivo-affettivo, motivazionale e sociale del bambino e dei genitori, i quali comunicano i loro «alfabeti affettivi»: quando il rapporto padre-madre è turbato o attraversa crisi non risolte, difficilmente concetti come perdono, amore, padre, giustizia e fratellanza possono raggiun-gere in profondità la psiche umana o risvegliare sentimenti positivi. In un clima disteso i genitori sono chiamati a valorizzare le tante occasioni offerte dalla vita quotidiana per parlare di Dio, per interpretare gli eventi e per orientare il cammino; è una catechesi «occasionale». Ma sono pure chiamati a

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battesimali che pongono domande, sollecitano la loro vita e sembrano curiosi. Qualche genitore potrebbe sentirsi giudicato, indagato... potrebbe temere che le proprie difficoltà vengano portate a conoscenza di molti... potrebbe paven-tare ulteriori impegni che aggraverebbero ancor di più il carico familiare. La delicatezza e la serietà nel modo di condurre gli incontri è rassicurante, ancor di più lo è la pazienza di attendere i tempi di risposta che ciascun genitore può avere secondo la propria situazione, indole e cultura. 3.4. L'ACCOGLIENZA DEGLI ADULTI Le persone che incontrate in occasione di queste riunioni dispongono di poco tempo. I vostri discorsi devono essere brevi e precisi. Dovete di certo rispon-dere agli interrogativi dei genitori, senza per questo lasciarvi intrappolare da domande che non sono di vostra competenza. Non lanciatevi neppure in un colloquio privato. Ricordatevi l'obiettivo di questi incontri: sostenere il com-pito dell’educazione alla fede dei piccoli motivando gli adulti. Anche se non avete tutti gli elementi di informazione, tenete presenti gli e-ventuali motivi e le conseguenze di situazioni “difficili” delle singole fami-glie. Non trascurate nessun caso rilevante. Soprattutto non giudicate. Voi siete qui dalla parte del Signore, che non è venuto né per giudicare, né per condan-nare ma per salvare. Per diversi motivi queste persone possono avere dei conti da regolare con Dio o con la Chiesa... scandalo per il male, la sofferenza, la morte, difficoltà di concordare la religione con le scoperte scientifiche, diver-sità di riferimenti etici, mentalità positivistica... Evitate anche ogni rischio di infantilismo. Quando i bambini e i genitori si sentiranno veramente e seria-mente accolti come sono, il tale o il talaltro probabilmente si aprirà sceglien-do lui/lei il tempo e il modo. Incoraggiate i genitori a considerare 1'educazione alla fede come un impegno concreto che va preso sul serio: la regolarità agli incontri ne è un segno. Ma fate in modo che il ritmo degli incontri rimanga nelle possibilità delle fami-glie interessate. Non esitate a proporre momenti di festa in cui si creano legami informali e simpatici. Essi favoriscono 1'approfondimento di rapporti più fraterni, più co-munitari, quindi più evangelici. Bibliografia sulla famiglia oggi - GOODE W.J., Famiglia e trasformazioni sociali. Un'analisi comparata, Za-

nichelli, Bologna 1982. - DONATI P.P., La famiglia nella società relazionale. Nuove reti e nuove re-

gole, F. Angeli, Milano 1986.

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- SARACENO C., Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna 1988. - DONATI P. - DE NICOLA P., Lineamenti di sociologia della famiglia, NIS,

Roma 1995. - CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA, La famiglia italiana. Vecchi e

nuovi percorsi, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2000. - SARACENO C. - NALDINI M., Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna

2001. - CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA, Identità e varietà dell'essere

famiglia. Il fenomeno della pluralizzazione, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2001.

- ZANATTA A.L, Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna 2003. - BARBAGLI M. - CASTIGLIONI M. - DALLA ZUANNA G., Fare famiglia in Ita-

lia. Un secolo di cambiamenti, Il Mulino, Bologna 2003. - www.istat.it - www.istat.it/popolazione - www.epp.eurostat.ec.europa.eu

GUARDARE I BAMBINI*

1. Sviluppo: apprendimento e cammino di fede fra emozioni, affettività e

intelligenza «È di grande importanza dare inizio assai presto all'educazione cristiana dei bambini in modo che essa sia vitalmente assimilata fin dai primi anni di vita» queste parole di Giovanni Paolo II ci invitano a prendere in considerazione la persona che apprende - in questo caso il bambino - per aiutarlo a maturare un cammino capace d'incidere sulla sua vita e di formare il suo modo di pensare e di «sentire» emotivo. Analizzeremo il ruolo delle emozioni e dell'intelligenza nel processo di matu-razione spirituale del bambino; va ricordato, però, che questa ripartizione è puramente didattica: nella realtà le due dimensioni - quella emotivo-relazionale e quella cognitiva - appaiono strettamente intrecciate, come due versanti di un unico processo di sviluppo. Infatti, anche nell'adulto ciò che sentiamo e proviamo emotivamente influenza il pensare e ogni sentimento orienta le convinzioni e i pensieri.

___________________________________ * Tratto da G.BIADER – S.NOCETI – S.SPINELLI, A piccoli passi. Itinerari post-battesimali per genitori e bambini 0-6 anni, EDB (2007), pp. 56-70.

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fare i propri genitori. Anche in questo caso l'educatore ha il compito di favori-re e far guadagnare l'idea di creazione così com'è trasmessa dal dato rivelato, nella consapevolezza che fino a 11-12 anni il bambino non è in grado di com-prendere un concetto astratto come quello della creazione dal nulla. Un'altra caratteristica della religiosità della prima infanzia è la tendenza all'a-nimismo, ovvero ad attribuire intenzioni e una coscienza o anima vivente an-che a oggetti inanimati. L'educatore dovrà essere consapevole che è un'acqui-sizione relativamente tardiva e non automatica l'idea di un Dio presente nella storia, ma che non interviene continuamente e direttamente, poiché ha scelto di rispettare l'autonomia dell'uomo e delle leggi della natura e della fisica. Il bambino, dunque, percorre un lungo cammino per passare dall'animismo al riconoscimento della Provvidenza divina. Va poi considerato il cosiddetto finalismo, identificabile con l'inclinazione a vedere in ogni cosa uno scopo - spesso letto in termini morali - dedotto dall'e-sperienza egocentrica; si tratta cioè della tendenza spontanea del bambino ad attribuire agli avvenimenti un'intenzione benefica o malefica in relazione al proprio comportamento. Dio è dunque il garante della giustizia sia in senso protettivo che punitivo. Questa credenza viene a volte rafforzata anche da in-terventi educativi inappropriati dei genitori: «Ti sta bene. Ecco cosa accade ai bambini disubbidienti!». A questo riguardo l'educatore deve sempre rivisitare l'idea di Dio di cui è por-tatore, cercando di liberarsi da immagini di Dio errate. Alcuni genitori si la-sciano infatti indurre a pensare che il richiamo a Dio possa essere utilizzato per ottenere dal bambino ciò che essi non riescono a fare con la loro pedago-gia. Questo tipo di educazione si può riscontrare, ancora oggi, in alcuni geni-tori che sono soliti far ripetere al figlio invocazioni quali «Signore, fa' di me un bravo bambino», che rischiano di far vedere come sorta di «peccato» ogni trasgressione e disobbedienza ai genitori, facendo crescere in questo modo i sensi di colpa del bambino. Dio non può «essere adoperato» dai genitori come supporto spicciolo all'educazione. Pensiamo alla vecchia intimidazione: «Se fai così Gesù ti castiga!». Oggi espressioni consimili sono forse desuete, ma il «meccanismo» che le ispirava è duro a morire. Da ultimo va considerato il magismo: è l'inclinazione a considerare manipolabili a proprio vantaggio, in senso egocentrico e utilitaristico, le cose che ci circondano. L'onnipotenza di Dio è assimilata ai poteri magici di un grande mago, utilizzabili per soddi-sfare le proprie esigenze. Tra i 6 e gli 8 anni il bambino crede nell'efficacia immediata e materiale della preghiera. Dal punto di vista delle ricadute peda-gogiche, il percorso che porta a una comprensione, da parte del bambino, di Dio come mistero è lento e graduale, così come l'accoglimento dei suoi piani

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1.2. IL PENSIERO RELIGIOSO DEL BAMBINO: COMUNICARE I CONTENUTI DI FEDE Ci spostiamo ora sul versante della psicologia cognitiva per vedere i tratti es-senziali e tipici del pensiero religioso del bambino, cioè il modo in cui egli pensa, conosce e comprende i fondamentali contenuti di una religione. Numerosi sono gli studi riguardanti il pensiero religioso del bambino, il cui filo rosso pare rappresentano - in ogni caso - dal tentativo di tenere in consi-derazione le scoperte e le teorizzazioni di alcuni psicologi dell'età evolutiva come Jean Piaget circa la comprensione dei contenuti della religione durante l'infanzia. I risultati di queste ricerche mostrano che un bambino ha una reli-giosità segnata dai tratti tipici del suo sviluppo mentale. Dal punto di vista cognitivo vi è dunque una grande distanza tra il pensiero religioso infantile e quello adulto: prima degli 11-12 anni la maggior parte dei bambini non possiede ancora le capacità mentali per comprendere i concetti astratti di una religione; non è quindi in grado di capire i concetti religiosi nello stesso modo in cui li recepiscono gli adulti e attribuisce a tali concetti dei significati che riflettono il suo modo di vedere il mondo, secondo il livello di sviluppo cognitivo a cui è giunto. Vediamo ora i caratteri essenziali del pensiero religioso del bambino tipici della religiosità della prima infanzia. In primo luogo appare evidente un deciso antromorfismo: è la tendenza a percepire Dio secondo modalità tratte dalle proprie esperienze umane e quindi a descriverlo utilizzando schemi dedotti dalla figura e dal comportamento u-mano: Dio è immaginato come un re potente seduto su un trono o un buon vecchio dalla barba fluente che abita in cielo sopra le nuvole (3-5 anni); egli è poi percepito come un potente, una specie di supereroe (6-8 anni); in ogni ca-so, Dio rimane ancorato a matrici concrete fino ai 9-11 anni. Dal punto di vista delle ricadute pedagogiche, va tenuto presente che anche l'adulto utilizza inevitabilmente categorie antropomorfe per parlare di Dio (Gesù stesso ha insegnato a chimare Dio «Padre/Papà» e lo ha raffigurato in varie parabole come re, padrone, sposo...). A differenza del bambino, però, l'adulto usa il registro simbolico, sapendo che Dio in se stesso non coincide con l'immagine utilizzata, ma è oltre e al di là. L'educatore è chiamato dunque a favorire l'evoluzione di una progressiva spiritualizzazione del «concetto» di Dio, nella consapevolezza che questo cammino dura tutto l'arco dell'infanzia. Insieme con l'antropomorfismo, i bambini risentono di un certo artificiali-smo: è la tendenza a immaginare ogni realtà come fabbricata da qualcuno in senso immediato e materiale. L'atto del Dio creatore viene inteso nel senso dell'attività di fabbricazione delle cose del mondo, un po' come saprebbero

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L'interazione sentire-pensare rimane presente per tutto il ciclo di vita, ma in un equilibrio sempre instabile, poiché il soggetto è influenzato da risposte ap-prese e comportamenti decisi. Più che quello di dare risposte, il proposito è di aiutare l'operatore della pastorale battesimale a porsi nel modo corretto le do-mande giuste mentre svolge il compito di progettare, accompagnare e verifi-care il cammino di fede dei più piccoli, al fine di orientare in modo più consa-pevole la propria azione educativa. 1.1. EMOZIONI E AFFETTIVITÀ: EDUCARE IL SENSO RELIGIOSO DEL BAMBINO Spesso gli adulti si domandano se sia innato il senso religioso del bambino e come lo si possa cogliere. Possiamo iniziare a rispondere dicendo che i bam-bini mostrano una predisposizione nativa al senso religioso, che va però edu-cata e il cui sviluppo è favorito - o, al contrario, pregiudicato e perfino impe-dito - dall'influsso di alcune condizioni. La religione non è essenzialmente una dottrina, ma l'esperienza di una relazione, della fiducia attraverso cui ci sentiamo accolti, donati alla vita, amati; è l'esercizio del sentirci nel profondo degni di esistere per quello che siamo. L'educazione del senso religioso passa dunque - come abbiamo visto nel paragrafo precedente -dalle buone e qualifi-canti relazioni umane intense e sincere e si gioca su un registro affettivo-emotivo. L'esperienza di vita e il modo di «sentire» dei primi anni del bambi-no costituisce un momento essenziale per assimilare vitalmente atteggiamenti e comportamenti evangelici. Le convinzioni, infatti, che il piccolo va maturando sono collegate al suo «vissuto» emozionale-affettivo che si esprime, fin dai primi mesi di vita, at-traverso il linguaggio del corpo. Nel bambino il rapporto tra il sentire emotivo e il pensare è ancora, rispetto a quello degli adulti, con un confine difficil-mente identificabile. È idea di molti considerare «l'educazione religiosa o del senso religioso» e «l'educazione alla fede» (ossia il cammino dischiuso dall'annuncio di fede in-centrato nella persona di Gesù) come due dimensioni distinte anche se interdi-pendenti nell'esperienza di vita. In questa prospettiva, si educa da subito al senso religioso, ossia alla capacità di leggere la vita senza fermarsi alla superficie, ma sapendola guardare in pro-fondità. Esso si nutre dello stupore, della meraviglia e della curiosità, di quel-la «inquietudine» che costringe l'uomo alla ricerca di significato. La religiosità spontanea nel bambino, che lo coinvolge in tutta la sua corpo-reità, affettività ed emotività, si può e si deve educare e la famiglia è il primo luogo dove è possibile realizzare ciò. È necessario dunque educare il bambi-

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no - pur con tutti i limiti del pensiero religioso infantile - a credere all'invisi-bile, a fare esperienza del mistero aiutandolo a osservare le piccole cose, a contemplare la bellezza della natura, dei grandi silenzi e della musica, ad a-scoltare i racconti di vita, a coltivare l'impazienza dell'attesa, ad avvicinarsi al linguaggio della ritualità e del canto, a vivere la gioia della festa. A questo proposito le emozioni spirituali e religiose dei genitori, il loro senso della vita e della provvidenza, la serenità diffusa e profonda, l'amore alla ri-flessione, la preghiera semplice e intensa, la partecipazione gioiosa alla litur-gia, lasciano segni indelebili nella coscienza profonda e nell'inconscio dei fi-gli. Anche il Catechismo dei bambini sottolinea l'importanza di questa dimen-sione: «I bambini sono capaci di meraviglia, di stupore e di gioia. Guardano con curiosità la realtà che li circonda, pongono delle domande e attendono risposte. La loro curiosità e il loro bisogno di sicurezza li rendono attenti ai discorsi religiosi» (CdB n.6). I bambini sembrano avere una via privilegiata di «connessione» col divino, con l'invisibile, con il trascendente; i piccoli hanno intuizioni che sorprendono l'adulto. La via dei bambini a Dio è una via d'umiltà e - in certo qual modo - di innamoramento. Come ogni innamoramento, procede per intuizioni, lega-mi, flash. Scrive la pedagogista Sofia Cavalletti: «Le manifestazioni di gioia serena e pacificante, date dal bambino a contatto col mondo di Dio, ci hanno fatto constatare che l'esperienza religiosa risponde nel bambino a una "fame" profonda. L'esperienza religiosa è fondamental-mente un'esperienza di amore e l'amore è, per l'essere umano, essenziale alla vita. L'uomo non si appaga solo vivendo, ma vivendo amato ed amando». Sembrerebbe che il bambino trovi nel fatto religioso l'appagamento di un'esi-genza, tale da influire sulla formazione armonica della sua personalità. E pro-segue ancora la Cavalletti: «Il fatto religioso tende "al completamento dell'es-sere". Una tale fame sembrerebbe più sentita ed evidente nel bambino, che è particolarmente ricco d'amore e bisognoso d'amore, quasi ci sia una certa con-naturalità tra lui e Dio, che è Amore». In definitiva, una buona educazione al senso religioso pone le basi e diventa premessa per una successiva vita di fede autentica e profonda. Questa espe-rienza si avvale di molti modi espressivi e di vari strumenti pedagogici. In particolare i bambini sono molto sensibili al mondo visivo, ai segni e ai sim-boli che aiutano a capire ciò che si vuol comunicare con il linguaggio verbale. L'educazione al senso religioso valorizzerà dunque alcuni segni tradizionali che si hanno nelle case o in comunità: un'icona o un'immagine religiosa, un cero, un crocifisso, uno spazio particolare, rifuggendo dall'uso esclusivo di parole e concetti astratti.

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Va ricordato, a questo proposito, come alcuni autori evidenzino il bisogno da parte del bambino di un apprendimento esperienziale, di una sorta di pre-catechesi che si gioca entro una dimensione affettiva ed emotiva, necessario per un successivo annuncio di fede. Un primo approccio all'educazione cri-stiana è dunque necessariamente di tipo antropologico, perché aiuta a porre le premesse affettive ed esperienziali capaci di far comprendere il senso delle parole che annunciano verità teologiche. Un'educazione cognitiva dei contenuti religiosi, fuori da un fondamento espe-rienziale, rischia di trasformare l'annuncio liberante della salvezza nell'impo-sizione di un compito faticoso in vista di un premio futuro. Far capire è un'im-presa laboriosa e inutile quando non vengono poste le premesse riguardanti il sentire emotivo del bambino. Ci sono esperienze umane che costituiscono il fondamento e la premessa della vita cristiana. La vita religiosa per poter evol-versi e maturare in modo permanente richiede dunque di essere innestata su una vita umana autentica e solida. Nel bambino la scoperta dei valori umani a cui il messaggio evangelico fa ri-ferimento facilita l'incontro con le verità di fede. E così, per i piccoli, concetti e verità come la paternità di Dio, il perdono, sono legati alla loro esperienza, al rapporto col padre terreno, al fatto di aver sperimentato il perdono. Chi non può contare sul proprio padre come modello, avrà bisogno di incontrare altre figure sostitutive per comprendere il significato positivo della paternità. Un'altra esperienza fondamentale per lo sviluppo di fede è quella di amare se stessi per sentirsi amati. Colui che non si ama non può sentire e apprezzare l'amore degli altri nei suoi confronti... neppure quello di Dio. In questa espe-rienza trovano le loro basi atteggiamenti di fondo quali la fiducia negli altri; la condivisione e la comunione, l'esperienza dell'intimità psicologica con se stessi e con gli altri, la gratuità. Tutte queste esperienze hanno una forte risonanza emozionale e vanno vissute ripetutamente e intensamente per essere assimilate e interiorizzate; sono tra-guardi comuni all'educazione generale ma che non possono essere ignorati dall'educazione religiosa perché costituiscono la premessa necessaria a un successivo sviluppo. In conclusione, possiamo affermare che l'educazione religiosa non può utiliz-zare solo il linguaggio della ragione, ma deve far leva anche sul linguaggio affettivo e sull'esperienza vitale del bambino.