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Il Partenone che si infiamma al tramonto, le colline di Epidauro, la costa che ricorda le scogliere della Cornovaglia: mentre visita le meraviglie della Grecia, all’inizio del Novecento, la scrittrice ripensa con nostalgia alla sua Inghilterra E intanto impara il mestiere. Come racconta nei diari di viaggio che escono adesso in Italia CULTURA * 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 SETTEMBRE 2011 Q uando leggo questo tac- cuino, come faccio a volte a Londra nelle calde serate domenicali, vengo colpita dalla sommarietà delle affermazioni che vi sono contenute — la trascuratezza delle descrizioni — la ripetizione degli aggettivi — e in poche parole lo considero un lavoro molto pre- cipitoso, ma mi giustifico ricordando in quali cir- costanze è stato scritto. Dopo un’escursione di un giorno, o quando avevo una mezz’ora libera, o co- me diversivo a qualche tragedia greca — è stato scritto in momenti diversi, e in stati d’animo diffe- renti, e sono certa che se mi fossi imposta qualun- que altra condizione il diario non avrebbe mai visto la luce. Non l’ho forse portato in Cornovaglia a Pa- squa, e non ho forse deciso di verificare se vi fosse qualcosa di utilizzabile — e non vi ho forse scritto persino il mio indirizzo? Perciò, ancora una volta, torno al vecchio metodo, affermando semplicemente di essere consapevole dei suoi difetti — la protesta della vanità. Ma era tutto così nitido e ordinato e greco; si nota una certa austerità nel paesaggio, nonostante tutta la sua grazia. Non riesco a trovare altre parole se non quelle che stasera mi occupano i pensieri, ed è parti- colarmente inutile ostinarsi su un’immagine così perfetta con aggettivi poco appropriati. Potrei dire di aver scritto questo a Corinto, e c’è una comitiva di donne lamentose che cantano sotto la mia finestra. Piangono forse la rovina del paese, o qualche dolore privato, oppure stanno semplicemente festeggian- do il nuovo ristorante inaugurato stasera con i fuo- chi d’artificio? [...] C’è così tanto da cogliere ad Atene che non occor- re tentarne alcuna descrizione. Camminando placi- damente, dando un’occhiata qua e là con comodo, lentamente si compone un quadro compatto. Non cercherò di riprodurlo qui per intero; ma come una libera donna inglese affronterò senza fretta le avven- ture quotidiane, significative o irrilevanti che siano. E dopotutto, ogni passo si posa su una terra sacra. Si arriva ad Atene lungo la riva del mare, così che dal finestrino del treno si vedono in basso piccole baie dove si infrangono le onde chiare; e questa an- sa tranquilla è Salamina, e là, sulla cima di quella sco- gliera di fronte, sedeva Serse (così si dice) duemila anni fa, in un pomeriggio di settembre come questo. Avrebbe potuto essere un tratto di costa della Cor- novaglia, perché l’acqua era tersa e lucente come l’A- tlantico nel pieno dell’estate, ma le colline erano montagne, e il luogo sembrava cesellato come una statua. [...] L’Acropoli Quando è spuntato il giorno, siamo andati ciascu- no alla propria finestra e abbiamo visto che dall’o- scurità emergeva un enorme sperone roccioso, bru- no e solcato dalle ombre, sul quale sorgevano due gruppi di colonne, uno bruno come la roccia, l’altro bianco e delicato. In verità, sul precipizio c’erano al- tre colonne, ma sapevamo che quelle scure erano il fior fiore del luogo, il Partenone. Quando ti avvicini, vedi che il Partenone è di gran lunga il più imponente di tutti i templi; e vedi anche che la superficie delle colonne è scheggiata e graf- fiata. I danni sono terribili, ma ciononostante il Par- tenone è ancora giovane e splendente. Le sue co- lonne si ergono come belle membra rotonde, arros- sate per il vigore. Tuttavia, quando l’abbiamo visto per la prima volta, la luce era così violenta che siamo riusciti a stento a sollevare lo sguardo verso il fregio: anche a causa di tutto quel marmo disseminato ai nostri piedi — lastre di marmo, rocchi di marmo, schegge di marmo sembravano inviarci lampi di lu- ce dal basso. [...] Abbiamo inoltre visitato l’Acropoli al tramonto. E quando si parla del “colore” del Par- tenone, ci si piega semplicemente alle esigenze del- la lingua; un pittore che usasse la propria arte per de- scriverlo confesserebbe di avere gli stessi limiti. Il Tempio si accende di rosso; l’intero frontone occi- dentale pare infiammarsi, come per la prima volta, nel tramonto che gli sta di fronte: irradia luce e calo- re, mentre gli altri templi bruciano di un fulgore bianco. Nessun luogo appare più energico e vivo di questo palco di antiche pietre morte. [...] Epidauro Ci troviamo adesso nella terra delle rovine e dei re- sti preistorici; non vi sono statue né templi, perciò è d’obbligo un altro tipo di interesse. Oggi ad esempio abbiamo viaggiato per venti miglia (e io scrivo, stu- pidamente, affacciata su una strada in pieno schia- mazzo serale) verso Epidauro. Il paese, quando pe- netri all’interno della spoglia linea costiera, è strano e bello. Ci sono lunghe strade rosse che attraversa- no campi rossi accidentati per via delle pietre, e col- tivati a ulivi contorti, o a vigne nane; ci sono colline ininterrotte, ma nell’interno sono coperte da picco- li cespugli verdi, e gli avvallamenti tra cui oggi ab- biamo viaggiato ci hanno ricordato ancora una vol- ta la Cornovaglia. Inaspettatamente le strade stret- te di Atene ci hanno fatto venire in mente St Ives. Tre ronzini tristi hanno tirato la nostra carrozza per tut- te le venti miglia; abbiamo superato molti greggi di capre, molti muli da soma, molti carretti stracarichi di otri di vino. Ma c’erano solo due paesini, e nessun segno delle comodità della civiltà inglese. Micene Le parole che ho affibbiato a Epidauro in modo af- frettato e brutale sono particolarmente inadeguate, e quando penso a Micene, la mia prossima prova, potrei anche lasciare la pagina in bianco. Dove co- mincia questo posto — dove finisce — che cosa non raccoglie lungo il percorso? Non c’è mai stato un si- to, credo, meno facile da trattare; viaggia attraverso tutte le cavità del cervello, risveglia strani ricordi e fantasie; preannuncia un futuro remoto; racconta nuovamente un passato remoto. [...] L’immaginazione ti fa continuamente credere, mentre cammini, che il posto sia affollato e raccol- to; è vero invece che c’è poco da vedere e niente da ascoltare. Ma le pietre immense non devono essere ignorate, e i due leoni che sorvegliano l’ingresso ti ammettono ancora consapevolmente in qualcosa di augusto che si trova al di là. Tremo al pensiero di scrivere dei classici greci, perché potrebbe ricorda- re l’accenno superficiale di una guida turistica, ma avevo il gusto di Omero in bocca. In realtà, questo è il vantaggio di vedere le cose sul posto; le parole dei poeti cominciano a cantare e a incarnarsi. [...] Quando ripensi alla campagna inglese trovi mol- to di cui sorprenderti in quella greca. Dovremmo chiamare le colline di qui “luoghi d’interesse” e per- correre miglia e miglia per visitare ciò che vi è di pit- toresco, poiché se da un lato abbiamo le nostre bel- lezze, dall’altro abbiamo anche vasti spazi unifor- mi. Ora, la Grecia è sempre in uno stato di fermento ed effervescenza; ogni viaggio che intraprendi pare condurti per luoghi di campagna belli, o maestosi o romantici. Non vi è quiete, ma un continuo curvare e fluire, come se la terra scorresse liquida e vivace come il mare. [...] Penso in particolare alla baia di Sa- lamina come l’abbiamo vista questa sera dai fine- strini del treno. Adesso la ferrovia corre su una spor- genza rocciosa lungo la scogliera, e si può guardare dall’alto una strada che costeggia la baia, e poi di- rettamente l’acqua. E questa sera la luna è sorta pri- ma che il sole tramontasse, così si è avuto un insoli- to sposalizio tra due luci; il tenue argento della luna, e il colorito rubicondo del sole; e mentre la luna gia- ceva delicata e bianca sul mare, le acque scintilla- vano letteralmente, azzurre, pure e tenere, e vive sotto di lei. Così che l’intera baia era luminosa, e cal- da, come se fosse piena fino all’orlo di un qualche li- quido vivo, proprio nel momento in cui diventava un’ombra. [...] Alle cinque del mattino ci siamo ritrovati davanti alla Locanda di Calcide in attesa della nostra carroz- Woolf Virginia Un tè sull’Acropoli VIRGINIA WOOLF Repubblica Nazionale

I diari di viaggio di Virginia Woolf

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Anticipazione su La Repubblica - 18 settembre 2011

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Il Partenone che si infiamma al tramonto, le collinedi Epidauro, la costa che ricorda le scoglieredella Cornovaglia: mentre visita le meraviglie

della Grecia, all’inizio del Novecento, la scrittrice ripensa con nostalgia alla sua InghilterraE intanto impara il mestiere. Come racconta nei diari di viaggio che escono adesso in Italia

CULTURA*

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 SETTEMBRE 2011

Quando leggo questo tac-cuino, come faccio a voltea Londra nelle calde seratedomenicali, vengo colpita dallasommarietà delle affermazioni che visono contenute — la trascuratezza

delle descrizioni — la ripetizione degli aggettivi —e in poche parole lo considero un lavoro molto pre-cipitoso, ma mi giustifico ricordando in quali cir-costanze è stato scritto. Dopo un’escursione di ungiorno, o quando avevo una mezz’ora libera, o co-me diversivo a qualche tragedia greca — è statoscritto in momenti diversi, e in stati d’animo diffe-renti, e sono certa che se mi fossi imposta qualun-que altra condizione il diario non avrebbe mai vistola luce. Non l’ho forse portato in Cornovaglia a Pa-squa, e non ho forse deciso di verificare se vi fossequalcosa di utilizzabile — e non vi ho forse scrittopersino il mio indirizzo?

Perciò, ancora una volta, torno al vecchio metodo,affermando semplicemente di essere consapevoledei suoi difetti — la protesta della vanità.

Ma era tutto così nitido e ordinato e greco; si notauna certa austerità nel paesaggio, nonostante tuttala sua grazia. Non riesco a trovare altre parole se nonquelle che stasera mi occupano i pensieri, ed è parti-colarmente inutile ostinarsi su un’immagine cosìperfetta con aggettivi poco appropriati. Potrei dire diaver scritto questo a Corinto, e c’è una comitiva didonne lamentose che cantano sotto la mia finestra.Piangono forse la rovina del paese, o qualche doloreprivato, oppure stanno semplicemente festeggian-do il nuovo ristorante inaugurato stasera con i fuo-chi d’artificio? [...]

C’è così tanto da cogliere ad Atene che non occor-re tentarne alcuna descrizione. Camminando placi-damente, dando un’occhiata qua e là con comodo,lentamente si compone un quadro compatto. Noncercherò di riprodurlo qui per intero; ma come unalibera donna inglese affronterò senza fretta le avven-ture quotidiane, significative o irrilevanti che siano.E dopotutto, ogni passo si posa su una terra sacra.

Si arriva ad Atene lungo la riva del mare, così chedal finestrino del treno si vedono in basso piccolebaie dove si infrangono le onde chiare; e questa an-sa tranquilla è Salamina, e là, sulla cima di quella sco-gliera di fronte, sedeva Serse (così si dice) duemilaanni fa, in un pomeriggio di settembre come questo.Avrebbe potuto essere un tratto di costa della Cor-novaglia, perché l’acqua era tersa e lucente come l’A-tlantico nel pieno dell’estate, ma le colline eranomontagne, e il luogo sembrava cesellato come unastatua. [...]

L’Acropoli

Quando è spuntato il giorno, siamo andati ciascu-no alla propria finestra e abbiamo visto che dall’o-

scurità emergeva un enorme sperone roccioso, bru-no e solcato dalle ombre, sul quale sorgevano duegruppi di colonne, uno bruno come la roccia, l’altrobianco e delicato. In verità, sul precipizio c’erano al-tre colonne, ma sapevamo che quelle scure erano ilfior fiore del luogo, il Partenone.

Quando ti avvicini, vedi che il Partenone è di granlunga il più imponente di tutti i templi; e vedi ancheche la superficie delle colonne è scheggiata e graf-fiata. I danni sono terribili, ma ciononostante il Par-tenone è ancora giovane e splendente. Le sue co-lonne si ergono come belle membra rotonde, arros-sate per il vigore. Tuttavia, quando l’abbiamo vistoper la prima volta, la luce era così violenta che siamoriusciti a stento a sollevare lo sguardo verso il fregio:anche a causa di tutto quel marmo disseminato ainostri piedi — lastre di marmo, rocchi di marmo,schegge di marmo sembravano inviarci lampi di lu-ce dal basso. [...] Abbiamo inoltre visitato l’Acropolial tramonto. E quando si parla del “colore” del Par-tenone, ci si piega semplicemente alle esigenze del-la lingua; un pittore che usasse la propria arte per de-

scriverlo confesserebbe di avere gli stessi limiti. IlTempio si accende di rosso; l’intero frontone occi-dentale pare infiammarsi, come per la prima volta,nel tramonto che gli sta di fronte: irradia luce e calo-re, mentre gli altri templi bruciano di un fulgorebianco. Nessun luogo appare più energico e vivo diquesto palco di antiche pietre morte. [...]

Epidauro

Ci troviamo adesso nella terra delle rovine e dei re-sti preistorici; non vi sono statue né templi, perciò èd’obbligo un altro tipo di interesse. Oggi ad esempioabbiamo viaggiato per venti miglia (e io scrivo, stu-pidamente, affacciata su una strada in pieno schia-mazzo serale) verso Epidauro. Il paese, quando pe-netri all’interno della spoglia linea costiera, è stranoe bello. Ci sono lunghe strade rosse che attraversa-no campi rossi accidentati per via delle pietre, e col-tivati a ulivi contorti, o a vigne nane; ci sono collineininterrotte, ma nell’interno sono coperte da picco-li cespugli verdi, e gli avvallamenti tra cui oggi ab-biamo viaggiato ci hanno ricordato ancora una vol-

ta la Cornovaglia. Inaspettatamente le strade stret-te di Atene ci hanno fatto venire in mente St Ives. Treronzini tristi hanno tirato la nostra carrozza per tut-te le venti miglia; abbiamo superato molti greggi dicapre, molti muli da soma, molti carretti stracarichidi otri di vino. Ma c’erano solo due paesini, e nessunsegno delle comodità della civiltà inglese.

Micene

Le parole che ho affibbiato a Epidauro in modo af-frettato e brutale sono particolarmente inadeguate,e quando penso a Micene, la mia prossima prova,potrei anche lasciare la pagina in bianco. Dove co-mincia questo posto — dove finisce — che cosa nonraccoglie lungo il percorso? Non c’è mai stato un si-to, credo, meno facile da trattare; viaggia attraversotutte le cavità del cervello, risveglia strani ricordi efantasie; preannuncia un futuro remoto; raccontanuovamente un passato remoto. [...]

L’immaginazione ti fa continuamente credere,mentre cammini, che il posto sia affollato e raccol-to; è vero invece che c’è poco da vedere e niente daascoltare. Ma le pietre immense non devono essereignorate, e i due leoni che sorvegliano l’ingresso tiammettono ancora consapevolmente in qualcosadi augusto che si trova al di là. Tremo al pensiero discrivere dei classici greci, perché potrebbe ricorda-re l’accenno superficiale di una guida turistica, maavevo il gusto di Omero in bocca. In realtà, questo èil vantaggio di vedere le cose sul posto; le parole deipoeti cominciano a cantare e a incarnarsi. [...]

Quando ripensi alla campagna inglese trovi mol-to di cui sorprenderti in quella greca. Dovremmochiamare le colline di qui “luoghi d’interesse” e per-correre miglia e miglia per visitare ciò che vi è di pit-toresco, poiché se da un lato abbiamo le nostre bel-lezze, dall’altro abbiamo anche vasti spazi unifor-mi. Ora, la Grecia è sempre in uno stato di fermentoed effervescenza; ogni viaggio che intraprendi parecondurti per luoghi di campagna belli, o maestosi oromantici. Non vi è quiete, ma un continuo curvaree fluire, come se la terra scorresse liquida e vivacecome il mare. [...] Penso in particolare alla baia di Sa-lamina come l’abbiamo vista questa sera dai fine-strini del treno. Adesso la ferrovia corre su una spor-genza rocciosa lungo la scogliera, e si può guardaredall’alto una strada che costeggia la baia, e poi di-rettamente l’acqua. E questa sera la luna è sorta pri-ma che il sole tramontasse, così si è avuto un insoli-to sposalizio tra due luci; il tenue argento della luna,e il colorito rubicondo del sole; e mentre la luna gia-ceva delicata e bianca sul mare, le acque scintilla-vano letteralmente, azzurre, pure e tenere, e vivesotto di lei. Così che l’intera baia era luminosa, e cal-da, come se fosse piena fino all’orlo di un qualche li-quido vivo, proprio nel momento in cui diventavaun’ombra. [...]

Alle cinque del mattino ci siamo ritrovati davantialla Locanda di Calcide in attesa della nostra carroz-

WoolfVirginia

Un tè sull’Acropoli

VIRGINIA WOOLF

Repubblica Nazionale

Tremo a scrivere dei classiciperché potrebbe sembrare

una guida turistica, ma avevoil gusto di Omero in bocca

In un pomeriggio frivoloqui ad Atene pensi alle lande

dello Yorkshire,profumiche soffiano dalla brughiera

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 18 SETTEMBRE 2011

za, mentre la pioggia cadeva a dirotto. Persino cosìsiamo riusciti a vedere le barche, trasportate dallacorrente, e i grandi piroscafi che vi scivolavano ac-canto. Con il sole sarebbe stato bello; in mezzo allafanghiglia era tutto indefinito e poco accogliente co-me un sogno. [...] C’era una nebbiolina scozzese ab-bastanza cupa. Abbiamo rifocillato i cavalli in unalocanda lungo la strada, che abbiamo quindi potu-to esaminare con interesse. Era un fienile, con unmuro che lo divideva in due stanze. Una era la stal-la, l’altra la camera da letto sala da pranzo salottoecc. di marito e moglie e figli. Abbiamo sbirciato at-traverso l’inferriata, e abbiamo visto la donna in unangolo, intenta a filare la rocca; era seduta su unastuoia. Accanto a lei, i bambini giocavano; c’era unbuco nel camino, e un mucchietto di cenere sul pa-vimento, e su alcune assi pane e cipolle. Ecco l’In-ghilterra del XIV secolo; era buio e probabilmentec’era puzza: negli angoli baluginavano pentole distagno e piatti. Un uomo che pareva un servo ci haportato pane e acqua.

Ma abbiamo proseguito oltre, e alle due in puntoci siamo ritrovati all’ingresso di un paese — forse ilprimo che abbiamo incontrato. C’erano delle cata-pecchie ammassate in una vallata, e in mezzo si er-geva una casa bianca squadrata. La presenza di per-siane e terrazze indicava che eravamo giunti allameta; così siamo scesi e ci siamo ritrovati in un sa-lotto inglese. I salotti inglesi, è vero, in genere sonoarredati in modo più sontuoso; ci sono tappeti sui

pavimenti, e molte sedie. Questa stanza faceva pen-sare che le finestre fossero perennemente aperte, edato che i suoi proprietari vivevano all’aria aperta,non c’era bisogno di tanti orpelli, ma solo che la ca-sa fosse fresca e semplice. Eppure, per quanto aper-to e sgangherato, il posto aveva l’effetto di farti sen-tire come se fossi finalmente arrivato nel luogo in cuisi svolgeva la vita, dopo aver lambito per lungo tem-po un esterno fittizio. Qui la gente viveva, non si li-mitava a stare. E questa impressione rimane; per laprima volta la Grecia diventa davvero un luogoumano articolato, casalingo e familiare, invece diuna splendida superficie. Abbiamo camminatolungo un viottolo che avrebbe potuto trovarsi in In-ghilterra — perché aveva una siepe, ed era fangoso,per andare a vedere un accampamento di pastorivalacchi. [...]

Ci siamo diretti verso la costa, a circa cinque mi-glia di distanza. I contadini stavano lavorando paci-fici nei campi, e mentre passavamo ci hanno augu-rato buona giornata. La costa è molto ripida, e gri-

gia, come le scogliere della Cornovaglia; le rocce gri-gie macchiate di licheni gialli spiccano nell’acquaassolutamente cristallina. E all’orizzonte si vedonoi delicati profili delle isole. [...]

Non sorprende, se dovessi mettere per iscrittotutte le circostanze del caso; di certo non è colpa del-la Grecia — il fatto che esclamiamo tutti: «Ah, se fos-simo in Inghilterra!».

È un po’ strano come la nostalgia aumenti e checosa desideri; si nutre di nomi, e la semplice parolaDevon diventa più bella di una poesia; da un’umidastrada londinese, trae immagini migliori di qualun-que visione della Grecia, con la luce dei lampionideformata sul marciapiede. E sei righe di descrizio-ne —Era una notte d’inverno e le stelle si levavanosoprai campi spogli — susciteranno lacrime,lo giu-ro.

Eppure non siamo patriottici; in verità è diver-tente leggere i giornali e scoprire quanto poco ci sipossa interessare a tutto ciò che continua a friggeree ribollire nella nostra isola. [...] Il Timesperde la sua

imponenza: è il giornalino privato di una piccola co-lonia di isolani, il cui schiamazzo è efficacementeconfinato nella loro prigione.

Ma non è la gente che bramiamo; è il luogo. Con-serva la sua magia, con tale forza che pare inviarescosse attraverso l’acqua.

In un pomeriggio frivolo, qui ad Atene — poichéla strada tagliata in colori netti e lavata nell’aria lu-minosa — ha una certa leggerezza — pensi alle lan-de desolate dello Yorkshire; profumi freschi che sof-fiano dalla brughiera, case di pietra, una luce o duenella valle. O pensi a una grande piazza londinese,dove sono state appena accese le lampade, e tutte lefinestre si stagliano rosse, pronte per una serata vir-tuosa. Oppure pensi ai chiari mattini d’autunno,con il sentiero di foglie bruciate nel vento, una pagi-na nuova sulla scrivania, e un fuoco vivace nel ca-minetto. Ci sono molte immagini; emergono, unadopo l’altra, finché devi smettere di pensare, perchéprima devi percorrere molte leghe di questo orien-te inospitale.

L’Inghilterra ha un riverbero di tutto ciò che è pu-lito e sano, e serio; inoltre, è un luogo semplice, pie-no di bellezze nuove. Ah, sì, torneremo a casa e lescopriremo tutte; non esistono bellezze simili danessun’altra parte.

Traduzione Francesca Cosi e Alessandra Repossi© 2011 Mattioli 1885 Spa

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IL MANOSCRITTOA sinistra, il manoscrittodi alcuni diari di VirginiaWoolf. Nella paginaaccanto, al centro,la scrittrice in un disegnodi Richard Kennedy

IL LIBRO

Diari di viaggio. In Italia,Grecia e Turchia di VirginiaWoolf (Mattioli 1885, 118 pagine, 17,90 euro) esce per la prima volta in Italia il 5 ottobreI diari sono stati scrittidurante il tour che la scrittrice feceall’inizio del Novecentonel Mediterraneo, con i suoifratelli. Poco dopo pubblicòil suo romanzo d’esordio

Repubblica Nazionale