17

I NARRATORI DELLE TAVOLE - img.ibs.it · spari il generale si svegliò, ma quando i suoi uomini gli ebbero riferito ciò che era successo, se ne tornò tranquilla-9. 10 mente a letto

Embed Size (px)

Citation preview

I NARRATORI DELLE TAVOLE

DELLO STESSO AUTORE

Una moglie a ParigiTra cielo e terra

PAULA MCLAIN

Amore e rovina

traduzione dall’inglese diFrancesca Cosi e Alessandra Repossi

NERI POZZA EDITORE

© 2018 Neri Pozza Editore, Vicenza

ISBN 978-88-545-1687-8

Il nostro indirizzo internet è: www.neripozza.it

Titolo originale:Love and ruin© 2018 by Paula McLain

Per Julie Barer

Non c’è nient’altro che ora. Non c’è né un ieri, certo, né un domani. Che età vuoi raggiungere prima di capirlo?Ernest Hemingway, Per chi suona la campana

Prologo

Il 13 luglio 1936, all’alba, mentre tre assassini scalavanol’alto muro di un giardino di Tenerife, sperando di coglieredi sorpresa il manipolo di guardie armate, io dormivo inuna stanzina di Stoccarda, in attesa di iniziare la mia vita.

Gli assassini erano dei professionisti. Si muovevano sen-za far rumore, arrampicandosi furtivi su corde nascoste,non guardandosi l’un l’altro, pensando solo all’azione suc-cessiva. Atterrarono dal muro di cinta come gatti, si sposta-rono nell’ombra senza farsi notare e si avvicinarono in si-lenzio all’obiettivo.

Sembrava una sinfonia in pieno svolgimento. Il loro pia-no consisteva nel liberarsi delle guardie una alla volta, ta-gliando loro la gola. Poi avrebbero forzato la porta dietro laveranda e salito gli scalini di marmo fino alla camerettadella bambina di dieci anni, María del Carmen, che avreb-be dormito tranquilla fino al momento in cui una corda l’a-vrebbe immobilizzata e sul suo visetto sarebbe calato un cu-scino. Poi sarebbero passati nella camera da letto padronale,dove avrebbero eliminato le ultime guardie rimaste. Il tuttosenza neanche sparare un colpo. Il generale e la sua bellamoglie non si sarebbero nemmeno mossi nel letto che sitrovava al di là della porta: i loro corpi sarebbero rimastiimmobili come in un dipinto di Velázquez, fino al soprag-giungere della morte.

L’operazione era iniziata come previsto, ma a un certopunto una delle guardie si voltò all’improvviso e colpi dimitragliatrice squarciarono la notte. Gli assassini si sparpa-gliarono e riuscirono a stento a salvarsi la vita. Sentendo glispari il generale si svegliò, ma quando i suoi uomini gliebbero riferito ciò che era successo, se ne tornò tranquilla-

9

10

mente a letto. I tentativi di assassinarlo erano frequenti, enon solo in quel momento, quando era sul punto di otte-nere ciò che aveva tanto atteso, come una tigre in agguatonell’ombra.

Cinque giorni più tardi, in Marocco si scatenò l’insurre-zione da lui pianificata. Il generale trasmise un messaggio incui incitava gli ufficiali a unirsi alla rivolta per rovesciare ilgoverno spagnolo. Dopodiché spedì la moglie e la figlia inFrancia, in un luogo sicuro, e venne scortato per le strade diTenerife, dov’erano già iniziate le prime sparatorie, fino al deHavilland Dragon Rapide che lo aspettava. Indossava abiticivili e occhiali scuri e, per camuffarsi meglio, si era tagliatoi baffi che lo rendevano fin troppo riconoscibile.

Dopo tutte quelle vicende, per l’aeroplanino smilzo fuuno scherzo decollare e portare i passeggeri in Nordafrica,dove il generale avrebbe addestrato l’esercito che presto a-vrebbe dovuto conquistare la Spagna. Mentre era in voloindossò la sua uniforme inamidata color cachi, con la fasciarossa e oro in vita. Fu così che divenne il generale FranciscoFranco, appena fuggito dall’esilio, pronto a scatenare unaguerra che il mondo intero sarebbe stato chiamato a con-cludere.

E che cosa facevo io in quel momento, a ventisette anni,mentre Franco metteva in atto i suoi piani per la Spagna? Mene stavo immersa in un’ombra che diventava sempre più scu-ra, come facevano tutti, che se ne rendessero conto o meno.

Le truppe tedesche erano da poco entrate in Renania ele leggi di Norimberga erano già in vigore: vietavano agliebrei di sposarsi o avere figli con i cittadini del Reich dirazza “pura”, impedivano loro di frequentare le scuole pub-bliche e di occuparsi di determinate attività commerciali, edi fatto li bollavano, insieme ai tedeschi di origine africanae agli zingari, come nemici del Volksgemeinschaft, in modoche i nazisti potessero proteggere il loro sangue ariano in u-no Stato basato sulla supremazia razziale. Era una cosa scioc-

11

cante e del tutto sbagliata. Eppure si poteva quasi far fintache non stesse accadendo nulla e andare avanti con la pro-pria vita, pensando che la faccenda non ci riguardasse.

Avevo vissuto saltuariamente a Parigi per anni, cercandodi diventare una scrittrice e innamorandomi spesso, senzagrandi successi in nessuno dei due campi. Non vedevo l’oradi creare un personaggio brillante e acuto come la LadyBrett di Fiesta ma, dato che non ci riuscivo, mi accontenta-vo di cercare di essere come lei. Indossavo gonne lunghe emaglioni fatti a maglia e passavo il tempo nei caffè a fuma-re troppo, strizzando gli occhi e dicendo: «Ciao caro, ciaocara» a persone pressoché sconosciute. Ordinavo cocktailche reggevo a malapena, ridevo alle battute feroci e mi but-tavo a capofitto in esperienze di ogni tipo, e con questo miriferisco agli uomini sposati. Ma il peggio era tornare a casada sola subito dopo, sotto un cielo chiazzato di viola, senzasentirmi neanche lontanamente Lady Brett, ma una ragaz-za triste e solitaria, che non aveva la minima idea su cosafare e chi essere.

Nella mia vita, dentro di me, mancava qualcosa, e pen-savo che la scrittura avrebbe potuto colmare quel vuotooppure placarlo, o almeno guarirmi da me stessa. Era sol-tanto un’idea, ma l’avevo seguita fiduciosamente da St.Louis a New York, da New York a Parigi, da Parigi a Can-nes, poi a Capri e adesso a Stoccarda, dove avrei dovutosvolgere delle ricerche. Avevo appena iniziato a scrivere unromanzo su una giovane coppia francese che si dedicava aimprese coraggiose e importanti in nome del pacifismo –scioperare con i minatori di carbone e prendersi le manga-nellate dei gendarmi –, il tutto per la giustizia sociale.

Finché ero nella Weltkriegsbibliothek, china sui miei tac-cuini, la storia mi sembrava audace e significativa, ma poi,uscendo dalla biblioteca, giorno dopo giorno veniva il mo-mento in cui dovevo confrontarmi con il mondo reale.Quanto appariva ingenua e priva di futuro l’idea del pacifi-smo, quando le strade erano piene di camicie brune!

Un giorno, al cinema, entrarono due soldati del Reich estrapparono via dal suo posto, proprio davanti a me, unagiovane ebrea, trascinandola fuori per la collottola come uncane. Le luci si spensero e la bobina del film cominciò a gi-rare, ma io non riuscii a star ferma sul sedile e a godermi lospettacolo, non dopo una cosa del genere. Mentre tornavoa piedi alla pensione in cui alloggiavo, colsi più volte il mioriflesso nelle vetrine e sussultai. Sembravo sufficientementeariana, con i capelli biondi ondulati, gli occhi azzurri e ilnaso grande e dritto. Dopotutto assomigliavo ai miei geni-tori, che nell’antisemita St. Louis venivano tranquillamen-te scambiati per protestanti. Ma nelle vene di entrambi irami della mia famiglia scorreva sangue ebraico.

Da Stoccarda mi spostai a Monaco, dove le cose si fece-ro ancor più cupe e minacciose. Lessi del colpo di Stato diFranco sui giornali nazisti, che riferivano ogni dettaglio inmodo arrogante e denigratorio. Il regime repubblicano incaduta libera veniva definito una banda di “schifosi porcirossi”, e veniva esaltato Franco, il principe degli spagnoli.Peccato che il governo rovesciato dal generale e dai suoiaccoliti fosse frutto della prima elezione democratica doposessant’anni. Peccato che tante persone innocenti venisseromassacrate, in modo che una minoranza potesse prendere ilpotere e dominare gli altri.

Quando tornai a Parigi, Franco aveva ormai instauratola legge marziale e giurato di “unificare” la Spagna a ognicosto, anche se fosse stato costretto a massacrare metà dellapopolazione. Gran parte dell’esercito spagnolo si era unitoai nazionalisti, mentre i civili non addestrati lottavano perdifendere città e paesi. Pamplona, Ávila, Saragozza, Teruel,Segovia e l’intera Navarra caddero come tessere del dominoin meno di un mese. Chiunque si dichiarasse contrario alcolpo di Stato diventava un bersaglio. Nell’antica città mo-resca di Badajoz i nazionalisti radunarono nella Plaza deToros quasi duemila persone – miliziani e contadini, donnee bambini –, e aprirono il fuoco con le mitragliatrici, per

12

13

poi abbandonare i corpi dov’erano caduti e spingersi fino aToledo, dove ripeterono l’operazione.

Peggio ancora erano le paurose alleanze che si stavanoformando. I nazisti inviarono in Spagna i più modernibombardieri della Luftwaffe e tremila soldati in cambio dirisorse minerarie, rame e ferro grezzi che avrebbero aiutatoHitler a raggiungere i suoi obiettivi di morte. Mandaronoanche sottomarini e altri bombardieri, centinaia di basti-menti carichi di provviste e ufficiali esperti per addestraregli uomini di Franco e affinare le loro doti di assassini e tor-turatori.

Anche Mussolini aiutò Franco, “prestandogli” ottanta-mila soldati e formando la terza micidiale punta del trian-golo fascista. E in men che non si dica, dopo anni di sini-stre cospirazioni, dalla sera alla mattina l’Europa cambiò,diventando un luogo molto più minaccioso. Sembrava chepotesse accadere qualunque cosa.

In Unione Sovietica, Stalin aveva i suoi piani personali,ma per il momento avrebbe potuto trarre dei vantaggi aiu-tando la Spagna repubblicana. Per questa ragione attende-va di unirsi alle principali democrazie occidentali, pronto avendere armi, ma il governo francese era aspramente divisoe la Gran Bretagna pareva più che altro concentrata sullescabrose vicende di re Edoardo VIII e Wallis Simpson. NegliStati Uniti, Roosevelt era impegnato ad affrontare gli effet-ti devastanti della Depressione e le fatiche della campagnaper la propria rielezione. E, dopotutto, l’America aveva sen-za dubbio ragione di discutere a proposito delle richieste diaiuto spagnole. Giravano voci preoccupanti: se gli ameri-cani avessero sposato la causa della Repubblica, le armi sa-rebbero finite nelle mani degli anarchici e delle milizie deisindacati – una posizione difficile da sostenere, visto che lapaura dei comunisti si era già instaurata nel Paese.

Roosevelt decise un embargo generale sulle armi e pro-mise di tenere l’America il più possibile lontana dalle guer-re straniere. Ma agli occhi di chi, come noi, in quell’au-

14

tunno del 1936 guardava le ombre farsi sempre più cupe, laguerra “straniera” non esisteva. Mentre le forze nazionalisteinvadevano villaggi innocenti, uccidendo al loro passaggiodecine di migliaia di persone, mentre bombardavano Ma-drid, accerchiandola su tre lati, noi ci sentivamo responsa-bili. La Repubblica spagnola aveva tentato di instaurare lademocrazia, ma aveva finito per essere calpestata e strazia-ta. Com’era possibile che questo non ci riguardasse?

Lentamente, molto lentamente, e poi d’un colpo tutteinsieme, migliaia di persone iniziarono a farsi avanti comevolontarie. Francesi, americani, canadesi, australiani e mes-sicani andarono a formare le Brigate internazionali, in granparte composte da uomini non addestrati. A dire la verità,la maggior parte di loro non aveva mai impugnato una pi-stola, eppure presero tutte le armi che avevano a disposi-zione – revolver lasciati in eredità dai loro padri, fucili dacaccia, pistole, maschere antigas comprate dal ferramenta –e salirono su treni, navi e aerei cargo.

Si trattava di una bella crociata e, anche se all’inizio noncapivo bene che ruolo avrei potuto ritagliarmi, in seguitopensai soltanto a una cosa: vedere il tempo affilarsi, fino adiventare un puntino, avrebbe potuto costituire un’enormefortuna, un’esperienza intensissima. Sentire il mondo solle-varsi e scuoterti con forza, sollecitandoti a reagire in qual-che modo, a svegliarti e a stirarti, anche se faceva male. Acambiare, completamente e irrevocabilmente, con ogni mez-zo a disposizione, diventando la persona che saresti dovutadiventare.

Per me la guerra in Spagna brillerà sempre della luce delcambiamento conquistato con duro sforzo. Fu come inna-morarsi o alzare gli occhi al cielo e vedere una freccia arro-ventata che mi incitava a seguirla. Era semplice e complica-to al tempo stesso. E anche se si fossero messe in moto piùcose di quelle che potevo prevedere o persino immaginare,ero comunque pronta a dire sì. E anche se avessi perso ilmio cuore per sempre, senza poterlo più riavere indietro, se

15

avessi perso davvero tutto… Ero pronta anche a quello. Misembrava che la vita me lo chiedesse, che mi spronasse adandare avanti. In fin dei conti non si trattava di compiereuna scelta. Avrei dovuto soltanto lasciarmi trasportare, congli occhi spalancati e le mani bene aperte, disposta ad accet-tare le conseguenze.