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Annalisa Di Clemente Dai principi contabili nazionali a quelli internazionali
“Sapienza”Università di Roma Dip. di Analisi Economiche e Sociali A.A. 2010-2011
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IL BILANCIO DI ESERCIZIO: UN MODELLO DI RAPPRESENTAZIONE DELLA
REALTA’ AZIENDALE. DAI PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI A QUELLI
INTERNAZIONALI
di Annalisa Di Clemente
INDICE
1) Dalla realtà aziendale al bilancio d’esercizio. 2) Le norme del codice civile sul bilancio d’esercizio. 3)
Bilancio civilistico e bilancio secondo le regole internazionali IAS/IFRS. 3.1. I principi di base
internazionali per la redazione del bilancio Ias/Ifrs. 4) Il reddito d’esercizio e il capitale di funzionamento.
5) I limiti del bilancio come modello di rappresentazione della realtà aziendale. 6) Indicazioni generali
sugli schemi di stato patrimoniale e conto economico. 7) Lo stato patrimoniale redatto secondo le regole
internazionali IAS/IFRS. 8) Il conto economico redatto secondo le regole IAS/IFRS. 9) La nota integrativa
e la relazione sulla gestione. 10) Altre relazioni accompagnatorie al bilancio.
1. Dalla realtà aziendale al bilancio d’esercizio
Il bilancio d’esercizio è un modello, sia pure imperfetto e limitato, di rappresentazione
della realtà aziendale e dei suoi equilibri. La realtà aziendale evidenzia due tipi di valori in
continuo movimento:
- gli impieghi dei mezzi finanziari, ossia la destinazione dei mezzi provenienti da fonti
interne, esterne, proprie e di terzi;
- le fonti, ossia la provenienza dei mezzi finanziari che vengono successivamente investiti
in impieghi generici o specifici, durevoli e non durevoli.
Va precisato che questi valori possono essere:
- ancora esistenti in un determinato istante;
- consumati in un certo periodo di tempo.
Il periodo temporale che viene preso in considerazione per la determinazione dei valori
(consumati ed in essere) prende il nome di periodo amministrativo e la parte di gestione
(serie di operazioni) compiuta in tale periodo prende il nome di esercizio amministrativo. Di
fatto i due termini “periodo” ed “esercizio” sono utilizzati come sinonimi.
La rappresentazione dei valori in essere alla conclusione del periodo
amministrativo prende il nome di stato patrimoniale, mentre la rilevazione dei valori
consumati durante il periodo amministrativo prende il nome di conto economico.
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Lo stato patrimoniale ed il conto economico, che sono espressi in forma contabile-
analitica, sono completati dalla nota integrativa che ha lo scopo di illustrare in forma
descrittiva e qualitativa i valori dello stato patrimoniale e del conto economico e di fornire
altre informazioni che non possono essere contenute nei due prospetti contabili.
Gli impieghi in essere alla fine del periodo amministrativo (solitamente il 31
dicembre di ciascun anno) sono denominati attività o attivo, mentre le fonti in essere alla
fine del periodo amministrativo sono definite passività o passivo. Rappresentano impieghi
in essere (attivo dello stato patrimoniale) le seguente voci contabili:
- gli investimenti in fattori produttivi specifici (durevoli e non durevoli) non ancora
esauriti;
- le produzioni in corso non ancora ultimate (semilavorati e prodotti in corso di
lavorazione);
- i prodotti ottenuti e non ancora venduti;
- i crediti per prodotti venduti non ancora riscossi;
- il denaro in cassa non ancora utilizzato.
Rappresentano fonti in essere (passivo dello stato patrimoniale):
- i finanziamenti dei soci e dei terzi non ancora restituiti;
- i debiti per investimenti durevoli e non durevoli non ancora pagati.
Nell’ambito delle passività si distinguono i mezzi propri, provenienti dai soci e dalla
gestione, che prendono il nome di patrimonio netto (o capitale netto o capitale proprio),
dai mezzi di terzi che prendono ancora il nome di passività o passivo (in senso stretto). Il
patrimonio netto corrisponde quindi alla differenza tra le attività (o capitale lordo investito)
e le passività in senso stretto (rappresentative del capitale di terzi). Attività e passività
devono necessariamente coincidere.
Gli impieghi consumati durante il periodo amministrativo (solitamente coincidente
con l’anno solare) sono definiti costi e le fonti consumate durante lo stesso periodo sono
definite ricavi. Rappresentano impieghi consumati (costi) gli investimenti in fattori
produttivi durevoli e non durevoli per la parte consumata e quindi non più in essere.
Rappresentano fonti consumate (ricavi) i prodotti ottenuti e venduti. La differenza tra le
fonti consumate e gli impieghi consumati in un certo periodo temporale prende il nome di
risultato d’esercizio. Tale risultato è definito:
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- utile d’esercizio, se le fonti consumate (ricavi) superano gli impieghi consumati
(costi);
- perdita d’esercizio, se gli impieghi consumati superano le fonti consumate.
Riassumendo, redigere un bilancio vuole dire rilevare i valori aziendali, distinguerli in
impieghi e fonti e, successivamente, separare quelli consumati nel periodo amministrativo
da quelli in essere alla fine del periodo amministrativo. L’operazione con la quale si
effettua la separazione tra i valori prende il nome di valutazione per il bilancio.
Le informazioni relative all’equilibrio economico (o reddituale) sono espresse nel
conto economico, mentre quelle riguardanti l’equilibrio patrimoniale sono contenute nello
stato patrimoniale. Le informazioni sull’equilibrio finanziario si ottengono, di norma, solo
in modo indiretto sia dallo stato patrimoniale che dal conto economico. La limitatezza
informativa di tipo finanziario è una delle critiche poste agli schemi di bilancio previsti
dalla normativa vigente. Per superare tale lacuna, a completamento del bilancio
d’esercizio può essere presentato un prospetto aggiuntivo denominato rendiconto
finanziario, contenente l’esposizione dei flussi finanziari avvenuti nell’esercizio
amministrativo. Il rendiconto finanziario (IAS 7) è obbligatorio solo per le società che
adottano i principi contabili internazionali (noti come IAS-IFRS) 1 per la redazione del
proprio bilancio, negli altri casi è solo facoltativo.
Da quanto detto finora, può affermarsi che il bilancio è soprattutto un modello
“simbolico” della realtà aziendale, ossia uno schema in cui le voci assumono un significato
tecnico preciso e per il quale si rende quindi necessario conoscere il valore dei termini
(ossia il relativo glossario).
La composizione del bilancio di esercizio è stata inizialmente dettata dalla legge ed
ha subito notevoli cambiamenti nel tempo. Le modifiche sono state causate da diversi
fattori, quali l’evoluzione dell’ambiente economico in cui operano le imprese, il
mutamento dei valori culturali e sociali, gli interventi della dottrina e della
giurisprudenza, ed infine l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
E’ solo con il D.Lgs. 127 del 1991, di attuazione delle Direttive comunitarie IV e VII,
che il bilancio risulta composto da tre parti interdipendenti che costituiscono un tutto
1 IAS è l’acronimo di International Accounting Standards; mentre IFRS è l’acronimo di International Financial
Reporting Standards.
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unitario (art. 2423 c.c. comma 1). In particolare, lo stato patrimoniale, ossia la
rappresentazione dell’insieme degli impieghi e delle fonti esistenti nell’istante terminale
del periodo amministrativo (confrontato con i valori della fine del precedente periodo), è
disciplinato per quanto attiene al contenuto dall’art. 2424 c.c.; il conto economico, relativo
agli impieghi ed alle fonti consumati nel periodo amministrativo, è disciplinato
relativamente al contenuto dall’art. 2425 c.c. Anche il conto economico riporta i valori del
precedente periodo amministrativo per consentire giudizi di tendenza. La nota integrativa,
a carattere squisitamente esplicativo e discorsivo, è disciplinata per quanto attiene ai
contenuti dall’art. 2427 c.c.
In conclusione, il bilancio d’esercizio come modello di rappresentazione della realtà
aziendale deriva da un sistema ordinato di scritture dai contenuti economici, patrimoniali
e finanziari. La sua composizione in due sottosistemi contabili e in un sottosistema
descrittivo (nota integrativa) è funzionale alla produzione di informazioni sul reddito
attribuito all’esercizio (conto economico), alla rilevazione dei valori in rimanenza per la
produzione dei redditi futuri (stato patrimoniale) e alla diffusione di informazioni
aggiuntive non contenute nei due prospetti principali (nota integrativa).
La riforma del diritto delle società, di cui alla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366,
definita corporate governance e, in particolare, il decreto attuativo (decreto legislativo 17
gennaio 2003, n.6) hanno interessato parzialmente, ma significativamente, anche le norme
sul bilancio. In particolare, le norme sulla corporate governance prevedono la tutela degli
interessi dei soci e dei terzi in contatto con l’impresa. In particolare, è stabilito dal D.Lgs.
61/2002 che il reato di false comunicazioni sociali si realizza quando le informazioni errate o
mancanti sono tali da alterare la rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale,
di quella finanziaria e del risultato economico, stabilendo soglie quantitative definite e
prevedendo sanzioni diverse a seconda che tali informazioni abbiano o non abbiano
causato danni ai soci e ai terzi.
I soggetti che, per effetto del D.lgs. 38/2005, redigono obbligatoriamente (società
quotate sui mercati finanziari regolamentati e gruppi industriali) o per scelta il bilancio
secondo le regole internazionali IAS/IFRS (International Accounting Standards/
International Financial Reporting Standards) presentano oltre ai tre documenti che
compongono il bilancio legale o civilistico anche il prospetto delle variazioni di patrimonio
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netto e il rendiconto finanziario (documento quest’ultimo che evidenzia gli aspetti finanziari
della gestione). Le società devono corredare il bilancio di una relazione sulla gestione il cui
contenuto per quanto attiene al bilancio civilistico è disciplinato dall’art. 2428 c.c. Le
società che redigono la relazione sulla gestione sono obbligate, dal 2005, in relazione
all’uso di strumenti finanziari ad esplicitare:
- gli obiettivi e le politiche in materia di gestione del rischio finanziario, comprese le
politiche di copertura;
- l’esposizione della società al rischio di prezzo, di credito, di liquidità e al rischio di
variazione dei flussi finanziari.
L’informazione di bilancio è destinata a tutta una serie di soggetti interessati
all’andamento della gestione e quindi ai suoi equilibri (stakeholders). In particolare, i
dipendenti, che traggono dall’impresa i mezzi di sostentamento, sono interessati a
conoscere la capacità dell’azienda di perdurare nel tempo e di progredire al fine di
assicurare loro il posto di lavoro e lo sviluppo della carriera. Gli azionisti – shareholders -
(sia di maggioranza che di minoranza) sono interessati a conoscere la remunerazione
periodica (dividendi), i guadagni in conto capitale (capital gains) e il grado di copertura dai
rischi dei capitali investiti nella società. L’alta direzione aziendale, quando non si identifichi
con il capitale di maggioranza, vuole conoscere la possibilità di avere un rapporto
duraturo e in evoluzione con l’impresa stessa. I finanziatori – banche, altri enti finanziari e
fornitori - sono interessati a conoscere il rischio sui capitali prestati (sia nella forma del
prestito diretto che in quella del finanziamento indiretto sulle forniture di merci e servizi).
I clienti vogliono conoscere la capacità dell’impresa di sopravvivere per mantenere i
rapporti di fornitura instaurati. L’amministrazione fiscale è interessata all’andamento
dell’impresa poiché la gestione della cosa pubblica può essere garantita solo da un
costante flusso di imposte al quale le imprese contribuiscono in misura notevole. La
comunità locale, nazionale ed internazionale, vuole conoscere la capacità dell’impresa a
perdurare nel tempo per assicurare la costanza e lo sviluppo delle possibilità di lavoro e,
di conseguenza, il benessere generale. A questo gruppo di stakeholders possono
aggiungersi altre categorie di portatori d’interesse nei confronti dell’impresa (a seconda
della dimensione e dell’importanza dell’impresa stessa), quali analisti finanziari,
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investitori-risparmiatori, rappresentanze sindacali, enti previdenziali, mercato, comunità
internazionale.
Vanno comunque segnalati i limiti informativi del modello denominato “bilancio di
esercizio” rappresentati dalla evidenziazione non sufficiente e/o assente di altri elementi
strategici, quali: il capitale economico, il capitale di liquidazione, le proiezioni future circa
la capacità dell’impresa di progredire e svilupparsi, le conoscenze acquisite dall’impresa,
le tecniche raggiunte e l’esperienza maturata nel campo produttivo e distributivo, le
capacità dell’alta direzione (management), la qualità del personale, i risultati degli
investimenti ecologici e degli investimenti nella ricerca e sviluppo. In certi casi, le imprese
che hanno investito molto nelle conoscenze, nella formazione dei manager e del personale,
così come nell’ecologia, nel breve periodo presenteranno (rispetto alle imprese che non
hanno fatto tali investimenti) debiti più elevati, maggiori costi per ammortamenti e più
rilevanti oneri finanziari. In queste ipotesi si dice che il bilancio è “bugiardo”. Anche per
tali motivi si sollecita da più parti un’evoluzione dell’informazione di bilancio che prenda
in considerazione anche altre informazioni oltre a quelle tipicamente economiche,
patrimoniali e finanziarie (per es. relative agli investimenti ecologici, ai danni ambientali,
alla situazione del personale e al soddisfacimento delle proprie esigenze) al fine di arrivare
ad un bilancio sociale.
La responsabilità sociale dell’impresa e l’importanza del bilancio hanno portato i
pubblici poteri a porre vincoli ed incentivi alle imprese stabilendo norme a carattere
imperativo sul bilancio. Ma le regole sul bilancio non sono solo quelle legali, essendovi
regole che riguardano le valutazioni, le procedure relative alla sua formazione e la
documentazione che appartengono anche ad altre discipline. In particolare, le norme di
contabilità fissano le regole tecniche per la rilevazione dei fatti di gestione e per la loro
rappresentazione in bilancio; i principi contabili sia nazionali che internazionali
rappresentano gli interventi delle professioni contabili per stabilire modalità di
comportamento uniformi nella rilevazione dei fatti aziendali così come nella
rappresentazione e nella determinazione dei valori di bilancio; la legislazione fiscale detta
regole precise per la determinazione della materia imponibile e, quindi, per il calcolo delle
imposte; il codice civile e le norme speciali fissano le regole vincolanti per i redattori di
bilancio; le direttive comunitarie, normalmente intese come norme dell’Unione europea
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destinate ai legislatori dei singoli Stati membri, stabiliscono regole a cui le norme
giuridiche devono adeguarsi; i regolamenti fissano regole immediatamente applicabili nei
territori della UE; la giurisprudenza, interpretando le norme giuridiche, stabilisce di fatto i
comportamenti che devono tenere i redattori del bilancio d’esercizio. Le regole
internazionali non vengono definite principi, se non impropriamente, perché
l’impostazione seguita dallo IASB (International Accounting Standards Board) è stata quella
di non lavorare per principi base, ma di dettare regole applicative per i casi specifici. Va
comunque sottolineato che tra le varie norme esiste una gerarchia che va rigidamente
rispettata.
Il bilancio che si denomina “legale” o “civilistico”, per distinguerlo da quello
Ias/Ifrs, deve essere redatto secondo le norme del codice civile, opportunamente
interpretate dalla giurisprudenza, che stabiliscono regole di: rappresentazione dei valori e di
valutazione. Le regole di rilevazione, che non possono essere in contrasto con quelle di
rappresentazione, sono normalmente stabilite dalla dottrina aziendalistica e dai principi
contabili. La normativa fiscale deve influenzare il bilancio solo per il calcolo delle imposte,
ma senza creare contrasti con quella del codice civile. A decorrere dal 2004, con l’avvento
delle nuove norme sul bilancio, che hanno eliminato la possibilità di operare interferenze
fiscali sul bilancio d’esercizio (art. 2426 c.c.), le regole fiscali possono avere influenza solo
sul calcolo delle imposte dovute, senza alterare i dati del bilancio, che deve essere formato
solo sulla base delle norme stabilite dal codice civile e dalle regole Ias/Ifrs.
Le direttive comunitarie sono recepite, con le opzioni ammesse dal legislatore
europeo, nel codice civile, al fine di assicurare un livello d’informazione di bilancio valido
in via minimale per tutte le realtà operative (imprese) della comunità. La legge
comunitaria 2003 (legge 31/10/2003, n.306), in applicazione di una disposizione europea,
ha delegato il governo ad emanare decreti legislativi (D.Lgs. 38/2005) per obbligare
all’applicazione delle norme internazionali Ias/Ifrs, dal bilancio 2005 o seguenti, i bilanci
consolidati dei gruppi e i bilanci di esercizio delle società quotate in borsa.
2. Le norme del codice civile sul bilancio d’esercizio
Il codice civile disciplina il bilancio d’esercizio, dopo l’attuazione del D.Lgs. 127/1991 di
recepimento delle direttive comunitarie, con tre ordini di principi legali:
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- principi fondamentali o postulati del bilancio d’esercizio (art.2423 c.c.): chiarezza;
veritiera e corretta rappresentazione della realtà aziendale;
- principi di redazione del bilancio d’esercizio o principi generali (art. 2423-bis c.c.):
continuità aziendale; prudenza; preminenza della sostanza sulla forma; competenza;
valutazione separata delle voci di bilancio; costanza dei criteri di valutazione con possibilità
di deroga (motivata e quantificata);
- principi applicati (art. 2423-ter e segg. c.c.), di ordine sia formale che sostanziale.
Va precisato che le norme del codice civile sul bilancio si riferiscono direttamente alle
società per azioni (S.p.A.), ma si estendono anche alle società a responsabilità limitata
(S.r.l.), alle società in accomandita per azioni (S.a.a.), alle società cooperative e ai consorzi.
Inoltre alcune norme, quali le regole di valutazione, si applicano per richiamo esplicito
anche alle società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice)
ed alle ditte individuali.
I principi fondamentali o postulati del bilancio di esercizio sono contenuti nel
secondo comma dell’art. 2423 c.c. Tale norma precisa che “il bilancio deve essere redatto
con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale
e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio” (2° comma). Nel comma
primo è invece precisato che il bilancio si compone di tre documenti: lo stato patrimoniale,
il conto economico, la nota integrativa.
I due principi fondamentali del bilancio, che devono ispirare tutta l’attività di
formazione dello stesso, sono quindi dati dalla “chiarezza” e dalla “rappresentazione
veritiera e corretta”. La chiarezza viene realizzata se i redattori del bilancio si attengono
scrupolosamente agli schemi di stato patrimoniale e di conto economico previsti dal codice
civile e dalle norme speciali; forniscono tutte le informazioni richieste dalla nota
integrativa (art. 2427 ed altri articoli c.c.); forniscono tutte le informazioni complementari
necessarie a dare la rappresentazione veritiera e corretta, anche se non richieste da
specifiche disposizioni (art. 2423.3 c.c.). Quest’ultima disposizione sta ad indicare che il
legislatore privilegia la sostanza sulla forma, nel senso che, se le informazioni richieste
dalla norma di legge non consentono una lettura chiara del bilancio, i redattori del bilancio
sono obbligati a fornire informazioni ulteriori. Inoltre, i principi contabili e le norme della
dottrina aziendalistica ritengono che la chiarezza sia garantita solo se nello stato
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patrimoniale le voci delle attività e delle passività siano distinte in relazione al loro grado
di liquidità o di esigibilità e se le componenti reddituali del conto economico siano
suddivise per aree, tenendo in particolar modo distinte quelle ordinarie e quindi
ricorrenti, da quelle straordinarie e quelle finanziarie.
Il principio della veritiera e corretta rappresentazione è considerato il cardine del
bilancio. Questo principio si applica ai valori che affluiscono nelle due parti contabili del
bilancio, ossia gli impieghi e le fonti. Questi valori possono essere di tre tipi: valori
oggettivi, valori stimati e valori congetturati.
I valori oggettivi sono i valori di scambio, ossia dei valori che derivano dai rapporti
con i terzi e che danno luogo alla formazione di prezzi (che si definiscono costi
nell’acquisizione dei fattori produttivi e ricavi nella vendita delle merci, prodotti e servizi).
Questi valori sono oggettivamente veri o falsi (per essi vale quindi il concetto di verità nel
senso corrente del termine).
I valori stimati sono i valori il cui ammontare è noto solo in un periodo di tempo
successivo a quello di formazione del bilancio. Si tratta, ad esempio, del presumibile
valore di realizzo del magazzino o dei crediti. I valori stimati possono risultare corretti o
meno solo a posteriori. Nel momento in cui si considerano ai fini della redazione del
bilancio sono verosimili o meno, ragionevoli o irragionevoli. Ad esempio è irragionevole
pensare di incassare per intero il credito non garantito verso un cliente fallito, quando non
vi siano attività sulle quali soddisfarsi.
I valori congetturati sono i valori la cui entità dipende dalle ipotesi assunte in ordine
a certi eventi. Ad esempio, la determinazione del costo dei prodotti in corso di lavorazione
dipende dalle ipotesi prescelte circa la ripartizione tra le varie lavorazioni in corso dei costi
comuni alle stesse. Anche in questo caso non può parlarsi di verità o falsità, ma di
ragionevolezza o meno delle ipotesi prescelte.
I valori stimati e quelli congetturati sono detti valori soggettivi. Per essi vale il
principio della ragionevolezza, della discrezionalità tecnica, della buona fede, ossia della
corretta applicazione dei principi legali e contabili. In questo senso va quindi letta la
formula “veritiera e corretta rappresentazione”, dove la correttezza implica la ragionevole
applicazione delle regole legali e tecniche di determinazione dei valori. Va precisato che
anche in questo caso vale il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Il quarto
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comma dell’art. 2423 c.c. richiede infatti che non debbano essere applicate le norme di
legge se queste portano a situazioni che contrastino con la rappresentazione veritiera e
corretta.
I principi di redazione del bilancio d’esercizio o principi generali sono elencati
nell’art. 2423-bis c.c. Vengono qui ripresi e commentati sinteticamente.
a) Principio della continuità aziendale o del going concern. Nelle valutazioni di bilancio, ossia
nell’attività svolta per separare i valori consumati da quelli in essere, si presume che
l’impresa perduri nel tempo. Si deve quindi tenere conto dei valori d’uso dei beni, nella
prospettiva della continuazione dell’attività imprenditoriale, non di quelli di liquidazione,
che assumono la prospettiva della cessazione dell’attività e dello smembramento del
patrimonio aziendale. Ad esempio, si attribuisce correttamente un valore ad un
elaboratore che non potrebbe più essere venduto sul mercato perché tecnologicamente
superato, ma ancora utilizzato positivamente nell’azienda.
b) Principio della prudenza. Il principio della prudenza si esprime in comportamenti che
tendono a non sopravvalutare le attività, ossia gli impieghi in essere, e a non sottovalutare
le passività, ossia le fonti in essere. Sopravvalutare gli impieghi in essere significa ridurre
gli impieghi consumati e ciò si traduce in un miglioramento del risultato economico
dell’esercizio, con il rischio di dover distribuire ai soci dividendi non ancora maturati. Il
rispetto del principio di prudenza richiede quindi che vengano inclusi nella
determinazione del reddito tutti gli impieghi consumati (costi), nonostante il consumo sia
solo probabile (ad es. i costi futuri delle cause in corso per liti o i costi futuri per interventi
di garanzia gratuiti sui prodotti venduti) o sia noto solo dopo la data di riferimento del
bilancio (ad es. il fallimento di un cliente). Il rispetto del principio di prudenza richiede
inoltre che non vengano considerati nella determinazione del reddito gli utili non
realizzati (ad es. la semplice presunzione di guadagno di una ipotetica vendita futura di
un immobile). A causa del diverso trattamento previsto per le due tipologie di componenti
reddituali, il principio della prudenza è definito anche come “asimmetria dei costi e dei
ricavi”.
c) Preminenza della sostanza sulla forma. Si tratta di un principio che sottolinea che la
rilevazione dei fatti di gestione e la loro esposizione in bilancio devono avvenire tenendo
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conto della loro natura economica sostanziale, e non solo della forma giuridica, nel caso in
cui esistano contrasti fra i due aspetti.
d) Principio della competenza. Il principio della competenza richiede che i consumi dei fattori
(costi) e delle fonti (ricavi) siano rilevati nel momento in cui si verificano e non nel
momento in cui si ha il regolamento monetario. Ad esempio, un ricavo è di competenza
dell’esercizio in cui viene effettuata la vendita, non di quello in cui avviene l’incasso della
fattura. Inoltre, le regole contabili stabiliscono che il ricavo si realizza con la consegna del
bene o con la fine della prestazione di un servizio (principio della realizzazione). I costi per i
prodotti venduti vanno rilevati in relazione ai consumi effettuati, non al pagamento degli
stessi (il costo del personale comprende anche il trattamento di fine rapporto di lavoro,
anche se questo verrà pagato dopo molti anni).
e) Principio della valutazione separata delle voci di bilancio. Questo è un principio che non
consente compensazioni fra impieghi e/o fonti nel momento della valutazione. Ad
esempio, non si possono compensare le perdite su alcune partite di merci in giacenza con
gli utili su altre partite.
f) Principio della costanza dei criteri di valutazione. Per i valori stimati o congetturati, ossia
quei valori di bilancio per i quali non esiste la possibilità di oggettiva determinazione, la
legge o la dottrina o i principi contabili suggeriscono diversi criteri di valutazione. Al fine
di non alterare i risultati del periodo è allora necessario che, prescelto un criterio, questo
venga costantemente applicato nel tempo. Questo principio può essere derogato, in casi
eccezionali, e cioè quando lo richieda la rappresentazione veritiera e corretta della realtà
aziendale, con l’osservanza di certe prescrizioni: la deroga deve essere motivata nella nota
integrativa dove, inoltre, deve essere indicata la conseguenza della stessa in relazione alla
situazione patrimoniale, a quella finanziaria e al risultato economico d’esercizio. In questo
modo è possibile conoscere l’influenza della deroga sui risultati d’esercizio.
Il codice civile non indica altri principi generali di bilancio, alcuni dei quali sono
invece espressi dalla professione contabile: principi contabili. Sinteticamente, tali principi
“non legali” del bilancio d’esercizio della IV Direttiva Comunitaria sono:
a) Neutralità o imparzialità. E’ un principio espresso dalla IV direttiva comunitaria, non fatto
proprio dal nostro codice civile, ma che ispira tutta la teoria sul bilancio. Il bilancio di
esercizio è destinato ai soci e ai terzi. Il bilancio è unico e non deve privilegiare solo alcune
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classi di interessi ma informare tutti gli interessati. Il bilancio non deve avere finalità
diverse da quelle di una corretta rappresentazione della realtà aziendale.
b) Periodicità. Il bilancio deve informare periodicamente i soci e i terzi sulla realtà
aziendale. La periodicità minima legale è annuale, ma diviene semestrale e trimestrale per
le società con azioni quotate sui mercati regolamentati. L’informazione interna è invece
fornita in tempi più brevi, ad esempio trimestrali o mensili, attraverso il budget ed il
controllo di gestione.
c) Comparabilità. E’ un principio derivato da quello della costanza. All’interno di una stessa
impresa la comparabilità è garantita dall’applicazione costante delle regole di
contabilizzazione dei fatti aziendali, delle regole di rappresentazione di bilancio e delle
regole di valutazione. La normativa comunitaria porta a garantire la comparabilità anche
nello spazio, ossia fra imprese dello stesso settore.
d) Omogeneità. I valori espressi nel bilancio devono essere esposti nella stessa valuta
(omogeneità formale) e con riferimento allo stesso potere d’acquisto (omogeneità
sostanziale). Quest’ultima è difficilmente perseguibile soprattutto in periodi economici
“perturbati”.
e) Significatività o rilevanza o materialità. Il bilancio può tollerare approssimazioni, errori,
arrotondamenti, purché non siano di tale entità da alterare il risultato di esercizio e il
corrispondente capitale di funzionamento. Si tratta di un’applicazione del concetto di
ragionevolezza.
f) Costo come criterio base delle valutazioni. E’ sostanzialmente un criterio legale. Esso viene di
norma impiegato come costo storico sia perché è di facile determinazione, sia perché
rappresenta il valore delle qualità funzionali dei fattori acquisiti. Il criterio del costo storico
(art. 2426 n.1 e n.9 c.c.) sta per essere abbandonato, per alcune attività, per effetto delle
direttive o dei regolamenti europei, a favore del fair value o valore equo o valore corrente o
valore di mercato. Il criterio del costo è già stato disatteso dallo stesso D.Lgs. 127/1991 per
due fattispecie:
- la valutazione delle partecipazioni immobilizzate in società controllate e collegate
(metodo del patrimonio netto, alternativo a quello del costo);
- la valutazione dei lavori in corso su ordinazione (valutazioni in base ai corrispettivi
maturati).
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La prassi internazionale (principi contabili Ias 32, 39 e 40) è orientata all’abbandono
del criterio del costo storico in favore del fair value. Quest’ultimo è definito “il corrispettivo
al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e
disponibili, in un’operazione fra terzi.” Le variazioni nel fair value possono annualmente
confluire, a seconda dei casi, nello stato patrimoniale o nel conto economico. Con il
mutamento evidenziato si passa da una situazione attuale dove, grazie al prevalere della
prudenza sulla competenza, si giunge a determinare il “reddito distribuibile”, ad una
situazione futura nella quale prevale il principio di competenza che giunge a determinare
il “reddito prodotto” e/o atteso o potenziale. Le norme Ias e Ifrs dell’International
Accounting Standards Board tendono di fatto ad abbandonare il principio di prudenza a
favore di quello di competenza in alcuni specifici casi, oltre a quelli indicati, e cioè:
- rilevazione degli utili (oltre alle perdite) sui cambi, sulla base dei cambi esistenti alla
data di chiusura dell’esercizio;
- rilevazione degli strumenti finanziari destinati alla vendita in base al fair value;
- rilevazione al fair value degli investimenti immobiliari e di quelli dell’agricoltura.
Queste regole devono essere eseguite dal 2005 o dal 2006 dalle società obbligate ad
applicare i principi contabili internazionali, o che li applicano per scelta propria, in quanto
autorizzate a scegliere di adottarli (D.Lgs. 38/2005). Per il momento il legislatore del
D.Lgs. 6/2003 ha già recepito il criterio del fair value con riferimento alla valutazione delle
attività e passività in valuta.
g) Conformità del processo di formazione del bilancio ai principi contabili.
h) Verificabilità dell’informazione del bilancio di esercizio. La verificabilità è postulata dal fatto
che il bilancio di esercizio è destinato all’esterno dell’azienda La legge prevede infatti
organi e forme di controllo quali le Società di revisione dei bilanci.
Vi sono infine i principi applicati di bilancio. Questi principi riguardano sia le
regole di rappresentazione (regole formali) che quelle di valutazione (regole sostanziali).
Il redattore del bilancio deve rispettare la gerarchia dei principi che vede, quali
criteri ispiratori, i principi fondamentali da cui derivano i principi generali o di redazione
del bilancio. In subordine vi sono i principi applicati, sia di ordine formale (regole di
rappresentazione) che sostanziale (regole di valutazione). In altri termini, se vi sono dei
contrasti fra i vari principi, devono prevalere i principi fondamentali o postulati del
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bilancio (chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta della realtà aziendale e dei suoi
equilibri, economico, finanziario e patrimoniale). Questo concetto è chiaramente espresso
dal quarto comma dell’art. 2423 c.c., che richiede la deroga obbligatoria alle regole legali
specifiche qualora contrastino con i principi fondamentali.
3. Bilancio civilistico e bilancio secondo le regole internazionali IAS/IFRS
Attualmente in Italia si hanno, di fatto, due bilanci distinti:
- quelli redatti secondo la normativa della IV Direttiva comunitaria, del codice civile e
dei principi nazionali;
- quelli redatti secondo le regole internazionali Ias/Ifrs.
Una prima rilevante conseguenza dell’adozione dei principi contabili internazionali IAS-
IFRS è l’abbandono del criterio del costo che è superato dal principio del fair value. Da ciò
deriva che, mentre il bilancio redatto secondo i principi nazionali tende a determinare il
reddito distribuibile (prevale di solito il principio di prudenza su quello di competenza),
quello Ias/Ifrs tende a determinare il reddito prodotto e, in parte, il reddito potenziale,
con la conseguente prevalenza del principio di competenza o, almeno, la parità fra i due
principi. E’ pertanto indispensabile precisare, in nota integrativa, i principi in base ai quali
è stato redatto il bilancio. Quanto precede deriva dall’importanza che è data ai destinatari
dell’informativa di bilancio. Per i principi nazionali sono prevalenti gli interessi dei soci-
proprietari, secondo quelli Ias/Ifrs sono privilegiati gli interessi degli investitori.
3.1. I principi di base internazionali per la redazione del bilancio Ias/Ifrs
Nel principio contabile internazionale Ias 1 e nel piano sistematico (Framework) per
la preparazione e la presentazione del bilancio sono indicati i principi di base per la
redazione suddivisi in:
- finalità del bilancio;
- assunzioni contabili sottostanti la redazione del bilancio;
- caratteristiche qualitative del bilancio.
Relativamente alla finalità del bilancio, gli utilizzatori del bilancio richiedono una stima
sulla capacità dell’impresa di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti, sulla
relativa tempistica e sul loro grado di certezza. Gli utilizzatori sono in grado di stimare
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meglio la capacità di generare flussi se hanno a disposizione informazioni che fanno
particolare riferimento alla situazione patrimoniale e finanziaria e ai suoi cambiamenti,
così come all’andamento economico della società. I tre ordini d’informazione sono
rispettivamente forniti dallo stato patrimoniale, dal prospetto denominato rendiconto
finanziario e dal conto economico. Rispetto al dettato del codice civile italiano si nota
l’orientamento al futuro che devono avere le informazioni fornite tramite bilancio.
Le assunzioni contabili sottostanti la redazione del bilancio IAS/IFRS, il cui
significato è sostanzialmente corrispondente a quello degli analoghi principi civilistici
italiani, sono:
a) competenza;
b) continuità aziendale.
Le caratteristiche qualitative del bilancio IAS/IFRS che rendono l’informazione contenuta
nel bilancio utile per i destinatari sono:
a) la comprensibilità: le informazioni contenute nel bilancio devono essere prontamente
comprensibili da parte degli utilizzatori che hanno ragionevole conoscenza dell’attività
d’impresa e delle regole contabili oltre che una normale diligenza (si tratta della
chiarezza).
b) Significatività (o rilevanza): l’informazione è efficace quando è in grado di influenzare
le decisioni degli utilizzatori. La significatività è influenzata dalla sua natura e dalla
rilevanza. L’informazione è rilevante se la sua omissione o errata presentazione può
influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori prese sulla base del bilancio.
c) Attendibilità (o affidabilità): l’informazione è attendibile se è scevra da errori e
distorsioni rilevanti e quando gli utilizzatori possono fare affidamento su di essa per
prendere le decisioni, perché rappresenta fedelmente ciò che intende rappresentare.
All’attendibilità si possono ricondurre il principio della prevalenza della sostanza sulla
forma, la neutralità, in base alla quale le informazioni devono essere scevre da
distorsioni preconcette, la prudenza, la completezza, nei limiti della rilevanza.
d) Comparabilità. La comparabilità deve riguardare i bilanci della stessa società, nel
tempo, e di società diverse, nello spazio. E’ molto importante, a questo riguardo, che i
principi contabili applicati siano sempre dichiarati, così come gli eventuali
cambiamenti e gli effetti di tali cambiamenti.
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Gli ostacoli alla rappresentazione corretta e veritiera sono il raggiungimento di:
- un corretto trade-off tra tempestività e attendibilità delle informazioni, privilegiando
ciò che meglio soddisfa le esigenze informative degli utilizzatori del bilancio;
- di un equilibrio tra benefici e costi (i benefici derivanti dalle informazioni devono
essere maggiori dei costi necessari per fornire le dette informazioni).
La maggiore “innovazione” introdotta dagli IAS è rappresentata dal cosiddetto “principio
di prevalenza della sostanza sulla forma”; ciò implica che, ove possibile, sia introdotta per
le attività e per le passività la “valutazione a fair value”. Il principio del fair value è un
metodo di valutazione che si basa sul presupposto che i valori espressi in bilancio debbano
riflettere il loro valore di scambio (o di mercato), per non permettere il mantenimento in
bilancio di valori “non più reali”. Talvolta, però, una valutazione a fair value risulta
difficoltosa in particolare per quelle attività, es. quelle immateriali, per le quali non c’è un
mercato attivo di scambio, né quotazioni disponibili con frequenza.
4. Il reddito d’esercizio e il capitale di funzionamento
Abbiamo già precisato come il bilancio d’esercizio sia un sistema di valori ordinati al
calcolo del reddito d’esercizio e del derivato capitale di funzionamento. Il bilancio è infatti
composto da due sottosistemi contabili: quello reddituale, che fornisce informazioni sul
reddito attribuito all’esercizio; quello patrimoniale, che fornisce i valori in rimanenza per
la produzione dei redditi futuri.
Per definizione il reddito è l’incremento che subisce il patrimonio netto per effetto
delle operazioni della gestione, incremento che corrisponde quindi alla somma algebrica
dei costi e dei ricavi (la diminuzione viene definita “perdita”). Il reddito, essendo il
risultato delle operazioni della gestione, deve essere legato al tempo. Si parla quindi di
reddito globale o totale se si prendono in considerazione tutte le operazioni compiute
durante la vita dell’azienda. Si parla di reddito d’esercizio se si prendono in
considerazione le sole operazioni attribuibili ad un periodo amministrativo.
Per quanto attiene al reddito globale va segnalato che vengono di norma previsti due
procedimenti di calcolo e precisamente:
- il procedimento sintetico, quando si fa la somma algebrica tra il patrimonio netto
esistente al termine della vita dell’azienda e quello all’inizio. Ovviamente il
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patrimonio netto iniziale deve essere corretto per tener conto delle operazioni che
hanno modificato il capitale pur non derivando dalla gestione (incrementi e
prelievi) e per tener conto del fenomeno dell’inflazione;
- il procedimento analitico, quando si fa la somma algebrica di tutti i costi e ricavi.
Per il calcolo del reddito d’esercizio si ricorre solo al metodo analitico. Il reddito d’esercizio è
dato dalla differenza tra i costi ed i ricavi attribuibili per competenza ad un determinato
periodo amministrativo. La questione risulta particolarmente complessa per l’esistenza di:
- investimenti durevoli, il cui costo va ripartito durante i vari periodi amministrativi
di utilizzo (di “consumo”) con la tecnica dell’ammortamento;
- investimenti effettuati in un periodo di tempo, ma consumati in un periodo
amministrativo successivo (rimanenze attive) o precedente (ratei passivi);
- fonti ottenute in un periodo, ma consumate in un periodo successivo (rimanenze
passive);
- fonti consumate in anticipo rispetto al loro ottenimento (ratei attivi).
E’ questa situazione che obbliga ad inserire nel bilancio di esercizio valori stimati e
congetturati. Determinare il reddito d’esercizio significa calcolare la differenza fra i ricavi
della produzione realizzata ed i costi dei fattori consumati per ottenere tale produzione.
Ne deriva che il reddito d’esercizio, lungi dall’essere un dato oggettivo, è un dato che
soffre di tutta una serie di limitazioni.
Ricordiamo come i valori consumati formino il conto economico, mentre i residui
valori, quelli in essere, formino lo stato patrimoniale. Lo stato patrimoniale evidenzia
perciò:
- il capitale lordo di funzionamento o capitale investito, inteso come la sommatoria
degli impieghi in essere (attività totali);
- le passività, intese in senso stretto come fonti di terzi;
- il capitale netto o patrimonio netto, dato dalla differenza fra le attività e le passività
(in senso stretto).
Il capitale netto di funzionamento o di bilancio o di esercizio (le tre denominazioni si
equivalgono) è quindi un dato derivato dalle congetture, dalle stime e dalle ipotesi assunte
nel calcolo del reddito d’esercizio. Di conseguenza, i limiti rinvenibili nel reddito
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d’esercizio riguardano anche il patrimonio netto contabile che presenta le seguenti
caratteristiche:
- è una rappresentazione convenzionale della ricchezza aziendale esistente in un
determinato momento;
- i valori attribuiti agli elementi attivi e passivi sono determinati sulla base della loro
presunta capacità di partecipare alla gestione e quindi ai redditi futuri;
- tutte le valutazioni risentono del condizionamento rappresentato dalle misurazioni
effettuate per il calcolo del reddito d’esercizio.
Inoltre, il capitale di funzionamento non è in grado di esprimere tutti i valori dell’azienda,
ad esempio, il suo grado di organizzazione, la capacità manageriale ecc. La nozione di
capitale di funzionamento non deve essere confusa con altre nozioni di largo impiego e,
precisamente, con quelle di: capitale economico e capitale di liquidazione.
Il capitale economico, o valore economico del capitale, è considerato un valore unico,
determinato in funzione delle prospettive di redditività o di flussi finanziari futuri
dell’impresa, tenendo conto delle alternative di investimento esistenti, ed è definito in
occasione di operazioni straordinarie aziendali, quali la fusione, la cessione, lo scorporo
ecc. Il capitale economico, normalmente assunto quale valore teorico dell’azienda
considerata nel suo complesso, tiene conto di elementi immateriali dell’azienda (il nome
sul mercato, l’avviamento, le potenzialità future) che non sono riflessi nel bilancio
d’esercizio.
Il capitale di liquidazione è il valore del patrimonio netto aziendale nell’ipotesi che si
preveda la cessazione dell’attività e che si ritenga di dover cedere per stralcio tutti i beni
dell’azienda. Si tratta quindi di una stima della somma che dovrebbe residuare in un
processo di liquidazione, dopo aver venduto isolatamente tutti i beni e aver estinto le
passività. Anche il capitale di liquidazione non può essere espresso dal bilancio
d’esercizio. Vi sono però dei punti di contatto fra le tre nozioni principali di capitale. Il
valore del capitale di funzionamento non dovrebbe mai essere superiore al capitale
economico (qualora ciò si verificasse, si avrebbe una distruzione di valore). Difficilmente il
capitale netto di funzionamento risulta inferiore al capitale di liquidazione, anche se
ipotesi del genere possono verificarsi in presenza all’interno dell’azienda di beni che
tendono a rivalutarsi (ad esempio i fabbricati ed i terreni).
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5. I limiti del bilancio come modello di rappresentazione della realtà aziendale
Da quanto detto emerge chiaramente come il bilancio d’esercizio presenti parecchi limiti
nel rappresentare la realtà aziendale. Questo perché il bilancio d’esercizio difetta:
- nell’esprimere il capitale economico aziendale, ossia il “valore” dell’azienda considerata
nel suo complesso come investimento atto a produrre redditi o flussi finanziari futuri;
- nell’esprimere il capitale di liquidazione, perché mutano i criteri di attribuzione dei
valori ai vari investimenti. Il criterio base per il capitale di funzionamento è il costo storico
sostenuto (sebbene per certi beni possa essere il fair value), mentre quello per il capitale di
liquidazione è il presunto valore di realizzazione (che può differire anche di molto dal
primo);
- nel rappresentare la capacità dell’azienda di progredire e di svilupparsi in futuro (anche
se richiede previsioni in tal senso per attribuire valori corretti agli investimenti effettuati);
- nell’evidenziare, se non indirettamente, le conoscenze acquisite dall’azienda, l’esperienza
nel campo produttivo o distributivo e le tecniche raggiunte, mentre le pone in evidenza se
acquisite a titolo oneroso da terzi (know-how). L’evidenziazione “indiretta” è legata al fatto
che un’azienda con ottimo know-how dovrebbe essere in grado di produrre maggiore
reddito rispetto ad aziende prive di tali conoscenze;
- nel prendere in considerazione le capacità manageriali, ossia dell’alta direzione, se non
(anche in questo caso) indirettamente per le positive conseguenze sui risultati;
- nel tenere conto della qualità del personale, che non appare in bilancio se non
indirettamente come influenza (difficilmente accertabile) sui risultati;
- nel considerare anche gli effetti degli investimenti ecologici così come della ricerca e
sviluppo. In particolare, va precisato come le aziende che investono molto nelle
conoscenze, nella formazione dei manager e del personale, come pure nell’ecologia,
possono presentare risultati peggiori nel breve periodo rispetto alle aziende che non
effettuano tali tipi di investimenti. Le prime hanno infatti più elevati debiti da pagare,
maggiori costi per ammortamenti e oneri finanziari più rilevanti.
Considerando tutti questi limiti, possiamo dire che il bilancio è “bugiardo”. Per tali
considerazioni, la capacità segnaletica del bilancio va considerata nelle “giuste”
dimensioni, ossia senza enfasi e senza detrazioni.
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6. Indicazioni generali sugli schemi di stato patrimoniale e conto economico
Gli schemi dei due prospetti contabili di bilancio sono disciplinati in via generale dall’art.
2423-ter c.c. e, in via specifica, dagli articoli seguenti del codice civile, precisamente
dall’art. 2424 per lo stato patrimoniale e dall’art. 2425 per il conto economico. Il legislatore
italiano ha previsto per lo stato patrimoniale la forma a sezioni divise, tenendo distinte le
attività (investimenti in essere) dalle passività (fonti in essere). Per il conto economico è
stata prevista, invece, la forma scalare con i costi classificati per natura (art. 23 della IV
Direttiva) secondo un criterio causale.
Gli schemi di bilancio sono stati predisposti con riferimento ad una serie di
raggruppamenti, a più livelli, preceduti da lettere e da numeri. I raggruppamenti sono i
seguenti:
- grandi classi (o macroclassi) di attività, passività, costi e ricavi, precedute da lettere
maiuscole dell’alfabeto;
- classi di voci omogenee, precedute da numeri romani (solo nello stato
patrimoniale);
- voci di bilancio, precedute da numeri arabi;
- sottovoci di bilancio, normalmente precedute da lettere minuscole dell’alfabeto.
Nello specifico, dall’esame dei raggruppamenti si osserva come nell’attivo dello stato
patrimoniale si abbiano due grandi macroclassi: le immobilizzazioni (B) e l’attivo
circolante (C). Le altre voci, ossia crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (A) e
ratei e risconti (D), a rigore, non possono essere considerate macroclassi o classi ma solo
voci che il legislatore non ha voluto inserire nelle due macroclassi fondamentali (B e C). La
macroclasse (B) Immobilizzazioni si articola, a sua volta, in tre classi di voci omogenee
(precedute quindi da numeri romani) che sono: I. Immobilizzazioni immateriali; II.
Immobilizzazioni materiali; III. Immobilizzazioni finanziarie. L’attivo circolante,
macroclasse (C) si ripartisce a sua volta in quattro classi di voci omogenee: I. Rimanenze;
II. Crediti; III. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni; IV.
Disponibilità liquide. Il criterio adottato per i raggruppamenti delle voci dell’attivo è stato
quello finanziario della destinazione degli impieghi. Gli impieghi sono infatti raggruppati
nelle due macroclassi B e C in relazione alla destinazione e, precisamente:
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- gli investimenti destinati a rimanere durevolmente nell’azienda sono raggruppati
nella macroclasse B (Immobilizzazioni);
- gli impieghi destinati alla produzione e alla vendita, e quindi atti a trasformarsi in
denaro in tempi brevi, e gli investimenti in fattori produttivi generici sono
raggruppati nella macroclasse C (Attivo circolante).
Le due “pseudo” macroclassi A (Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti) e D
(ratei e risconti) possono essere considerati sostanzialmente crediti normalmente a breve.
Nel passivo si ha una distinzione fra i mezzi propri, rappresentati dalla macroclasse
(A) Patrimonio netto, e i mezzi di terzi che sono ripartiti in quattro macroclassi: (B) Fondi
per rischi e oneri; (C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato; (D) Debiti; (E)
Ratei e risconti. Nel passivo è stato seguito un criterio di distinzione basato sulla natura
delle fonti, indicando:
- le fonti proprie nella macroclasse (A) Patrimonio netto;
- i debiti potenziali nella macroclasse (B) Fondi per rischi ed oneri;
- i debiti nelle voci (C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato e (D) Debiti,
distinguendo questi ultimi secondo la natura del creditore.
La “pseudo” macroclasse E (Ratei e risconti) può essere considerata sostanzialmente
assimilata ai debiti.
Gli analisti finanziari ritengono che lo schema prescelto per l’attivo dello stato
patrimoniale non sia la migliore soluzione adottabile. Questi suggeriscono infatti la
separazione delle voci dell’attivo secondo un criterio di liquidità pura, ossia di
trasformazione in denaro entro l’esercizio successivo (12 mesi). Nello schema legale,
invece, i crediti finanziari che sorgono a lungo termine vanno compresi nelle
immobilizzazioni anche per la parte scadente entro l’esercizio successivo, mentre i crediti
commerciali scadenti oltre l’esercizio successivo sono indicati nell’attivo circolante. Per
tener conto di queste situazioni il legislatore ha previsto per i crediti la separata
indicazione di quelli:
- esigibili entro l’esercizio successivo (per le immobilizzazioni);
- esigibili oltre l’esercizio successivo (per l’attivo circolante).
Anche il criterio adottato dal legislatore per il passivo è criticato dagli analisti finanziari.
Al criterio della natura del debitore, questi ultimi preferirebbero quello della esigibilità
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dell’importo entro od oltre l’esercizio successivo. Anche in questo caso, però, la legge
richiede di distinguere gli importi dei debiti fra quelli esigibili entro od oltre l’esercizio
successivo.
Osserviamo come la voce (C) del passivo, il Tfr, sia un vero e proprio debito, tenuto
distinto dagli altri per la sua caratteristica peculiare di essere a scadenza indeterminata.
L’importo iscritto in questa voce deve corrispondere a quanto maturato a favore dei
dipendenti alla data del bilancio, ai sensi dell’art. 2120 c.c., al netto di quanto versato ai
fondi pensione.
I debiti (macroclasse D del passivo) sono stati originariamente suddivisi in tredici
voci per tenere conto della natura dei creditori. Le voci sono divenute quattordici con il
D.Lgs. 6/2003 che ha aggiunto la voce D 3) Debiti verso soci per finanziamenti. Fa
eccezione al criterio soggettivo la voce D 8) Debiti rappresentati da titoli di credito (es.
cambiali, ecc.).
Ricordiamo come l’adozione per il conto economico di uno schema in forma scalare,
con i costi classificati per natura (criterio causale), abbia portato alla formazione di un
conto economico definito “a valore e costi della produzione”. Nello schema del conto
economico si rinvengono, inoltre, degli aggregati corrispondenti alle varie aree gestionali e
precisamente:
- gestione tipica (o operativa) ed accessoria (A e B), dove (A) è il valore della
produzione e (B) sono i costi della produzione;
- gestione finanziaria (C e D); dove (C) sono proventi e oneri finanziari e (D) sono le
rettifiche di valore di attività finanziarie;
- gestione straordinaria (E), ossia proventi ed oneri straordinari;
- gestione fiscale (voce 22), ossia imposte sul reddito.
Questi aggregati sono macroclassi precedute da lettere maiuscole. Seguono le voci,
precedute da numeri arabi, e le sottovoci precedute la lettere minuscole. La forma scalare
ha il vantaggio di consentire l’evidenziazione dei risultati parziali delle varie aree
gestionali aziendali e precisamente:
- la differenza tra valore e costi della produzione (dopo la voce B 14);
- il risultato prima della imposte (dopo la voce E 21);
- l’utile o la perdita dell’esercizio (voce 23).
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Il valore della produzione, aggregato A, rappresenta ciò che l’azienda, nella sua attività,
produce nel corso di un esercizio. Questo aggregato si ripartisce in cinque voci,
precisamente:
- la voce 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni, ossia i ricavi dell’attività tipica
svolta e ricavi accessori;
- la voce 2) Variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione,
semilavorati e finiti (se negativa si sottrae);
- la voce 3) Variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
- la voce 4) Incrementi di immobilizzazioni effettuati con mezzi propri (costruzioni in
economia);
- la voce 5) Atri ricavi e proventi.
Il costo della produzione B comprende le voci da 6 a 14 che riguardano, in base al criterio
causale, gli acquisti, le prestazioni di servizi ricevuti, il costo del personale, gli
ammortamenti e le svalutazioni. Le variazioni delle rimanenze di materie prime,
sussidiarie, di consumo e merci (voce 11) si deducono dal costo della produzione se si
incrementano (ciò sta a significare che si sono consumati meno beni di quelli acquistati),
mentre si aggiungono al costo della produzione se diminuiscono (si è parzialmente
consumato il magazzino iniziale). Le altre voci (12, 13, 14) sono rappresentate,
rispettivamente, dagli accantonamenti ai fondi rischi, dagli altri accantonamenti e dagli
oneri diversi di gestione.
Il raggruppamento (C) Proventi ed oneri finanziari è suddiviso in relazione alla
caratteristica del provento o dell’onere, proventi da partecipazioni (voce 15), altri proventi
finanziari (voce 16), interessi e altri oneri finanziari (voce 17) e alla natura del soggetto con
il quale si opera (impresa controllata, collegata ed altra). Si tratta di componenti dell’area
finanziaria. Il D.Lgs 6/2003 ha introdotto una voce specifica, 17-bis, per accogliere utili e
perdite sui cambi. La stessa natura (finanziaria) hanno le voci del raggruppamento D)
Rettifiche di valore di attività finanziarie.
L’aggregato (E) accoglie invece i componenti reddituali di natura straordinaria
rappresentati da:
- plusvalenze da alienazioni (se considerate straordinarie);
- minusvalenze da alienazioni (se considerate straordinarie);
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- imposte di precedenti esercizi;
- altri proventi ed oneri di natura straordinaria non iscrivibili nelle voci 5) e 14).
7. Lo stato patrimoniale redatto secondo le regole internazionali IAS/IFRS
Lo Ias 1 (e il Framework) prevede due modi di presentazione dello stato patrimoniale con
distinzione delle attività e delle passività:
- in non correnti/correnti (soluzione preferita);
- in base alla liquidità.
La distinzione si basa sul ciclo operativo dell’impresa, inteso come il tempo che intercorre tra
l’acquisizione di beni per il processo produttivo e la loro realizzazione in disponibilità
liquide o mezzi equivalenti. Qualunque sia il metodo di rappresentazione adottato,
un’impresa deve evidenziare per ogni voce di stato patrimoniale, che include importi che
ci si attende di recuperare entro 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio e oltre 12
mesi, l’importo che si prevede di recuperare (attività) o regolare (passività) oltre il termine
di 12 mesi indicato.
Nella prima modalità (soluzione preferita), la separata indicazione delle attività e
passività in non correnti e correnti, fornisce immediatamente il capitale fisso netto distinto
dal capitale circolante netto. Il capitale fisso netto sono le immobilizzazioni nette, ossia al
netto dei fondi di rettifica (ammortamenti e svalutazioni). Il capitale circolante netto è
ricavato dalla differenza tra attività a breve o correnti (al netto di attività finanziarie e
disponibilità liquide) e passività a breve non finanziarie (inclusi i fondi per rischi ed
oneri). La somma delle immobilizzazioni nette, ossia l’attivo investito in modo “stabile”
per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, e del capitale circolante netto determina il
capitale investito. Il capitale investito al netto delle passività di funzionamento è calcolato
sottraendo dal capitale investito l’ammontare del trattamento di fine rapporto e le altre
passività non finanziarie a medio e lungo termine e l’ammontare del fondo imposte
differite.
Ogni attività per essere classificata corrente deve soddisfare almeno uno dei
seguenti criteri:
- si prevede il realizzo entro 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio, quando il
ciclo operativo non è chiaramente specificato;
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- ci si aspetta che si realizzata o utilizzata nel normale ciclo operativo dell’impresa,
anche oltre 12 mesi;
- è assunta principalmente per essere negoziata;
- si tratta di disponibilità liquide o di mezzi equivalenti.
Tutte le altre attività sono classificate come non correnti.
Ogni passività corrente è caratterizzata dal fatto che soddisfi almeno uno dei
seguenti criteri:
- ci si aspetta che sia estinta nel normale svolgimento del ciclo operativo
dell’impresa, anche oltre 12 mesi;
- è assunta principalmente per essere negoziata;
- deve essere estinta entro 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio, quando il
ciclo operativo non è chiaramente identificato;
- l’impresa non ha il diritto incondizionato a differire il regolamento della passività
per almeno 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio.
Tutte le altre passività sono classificate come non correnti.
Nei documenti IASB è indicata una elencazione minima delle voci senza prevedere
rigidamente l’ordine o lo schema. Le voci devono essere prescelte riguardo alla capacità
informativa richiesta. Solitamente lo schema adottato per lo stato patrimoniale riporta sei
aggregati: 1. Attività non correnti (ripartite sostanzialmente in immobilizzazioni materiali,
immateriali e finanziarie); 2. Attività non correnti destinate alla vendita; 3. Attività
correnti; 4. Patrimonio netto; 5. Passività non correnti; 6. Passività correnti. La somma
degli aggregati da 1 a 3 rappresenta il Totale Attività; mentre la somma degli aggregati da
4 a 6 rappresenta il Totale patrimonio netto e passività (i due totali devono coincidere).
Solitamente è riportato (alla fine del prospetto) anche il valore della Posizione finanziaria
netta, o Disponibilità/(Indebitamento) finanziario netto, calcolato come differenza tra i
crediti finanziari (correnti e non correnti) e i debiti finanziari (correnti e non correnti).
La struttura sopra esaminata favorisce la classificazione ai fini dell’utilizzo del
bilancio per le analisi. Vanno comunque evidenziate alcune particolarità rispetto agli
schemi nazionali:
- i versamenti dovuti dai soci (crediti verso soci per versamenti ancora dovuti) si
portano sempre in detrazione dal patrimonio netto;
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- le azioni proprie vanno esposte nello stato patrimoniale a riduzione del patrimonio
netto;
- non esistono le voci ratei e risconti e gli importi corrispondenti devono essere
inclusi nei crediti e nei debiti;
- le attività non correnti destinate alla dismissione devono essere tenute distinte dalle
altre attività.
Secondo i nuovi principi contabili internazionali quando un’attività soddisfa la definizione
di “attività destinata alla dismissione” deve essere opportunamente segnalata in una
specifica voce dello stato patrimoniale e valutata al minore tra il valore contabile e il fair
value diminuito dei costi prevedibili di dismissione.
8. Il conto economico redatto secondo le regole internazionali IAS/IFRS
Secondo le regole internazionali nel conto economico devono essere incluse tutte le voci di
ricavi e di costi. Inoltre, si stabilisce che il conto economico debba indicare chiaramente i
risultati, utile/(perdita), ottenuti dalle attività in funzionamento rispetto a quelli ottenuti
dalle attività destinate alla cessione. In tal modo, i risultati economici riferiti alle due aree,
(Ifrs 5) continuing operations e discontinuing operations, vanno indicati separatamente come
utile delle attività in funzionamento (continuing operations) ed utile delle attività non
correnti destinate alla vendita (discontinuig operations) al netto delle imposte.
Il conto economico può essere rappresentato con le voci organizzate: per natura o
per destinazione (soluzione preferita). L’aggregazione dei costi per natura corrisponde a
quella applicata in Italia in base alla IV direttiva comunitaria. La struttura dei costi per
destinazione, già prevista dalla IV direttiva comunitaria, richiede la riclassificazione dei
costi per destinazione interna alle aree aziendali, es. costo del venduto, costi di
distribuzione, costi amministrativi e altri costi. La struttura per destinazione è considerata
quella che meglio espone la situazione economica dell’azienda, ma la ripartizione dei costi
per destinazione richiede un elevato grado di discrezionalità ed una complicazione nella
tenuta della contabilità. Le imprese che redigono il conto economico per destinazione
devono infatti indicare nella nota integrativa anche i costi per natura (es. materie prime e
materiali di consumo utilizzati, costi connessi a benefici per i dipendenti ossia costi del
personale, ammortamenti e altri costi).
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L’impostazione del conto economico per destinazione secondo le regole Ias/Ifrs facilita
l’operazione di riclassificazione per le analisi, evidenziando i principali aggregati
reddituali. In particolare, il conto economico mette l’accento sul valore aggiunto, che
indica la nuova ricchezza prodotta dall’impresa. Il valore aggiunto (VA) è calcolato
sottraendo dal valore della produzione il costo delle materie prime, dei semilavorati
acquistati e utilizzati e dei servizi acquistati dall’esterno. Il valore aggiunto è quindi
l’incremento di valore che l’impresa ottiene dalla trasformazione delle materie prime e dei
semilavorati (oltre ai servizi esterni) nel prodotto finito venduto sul mercato. Detraendo
dal valore aggiunto il costo del lavoro si ottiene un altro importante risultato reddituale, il
margine operativo lordo (MOL) o EBITDA (earnings before interest, taxes, depreciation and
amortization), ossia l’utile aziendale prima della gestione finanziaria (interest), delle
imposte (taxes), delle svalutazioni (depreciation) e degli ammortamenti (amortization). In
sostanza, l’EBITDA o MOL verifica la capacità dell’impresa di vendere i propri prodotti (o
di offrire i propri servizi) a un prezzo che permetta di coprire i costi operativi sostenuti
(precisamente il costo delle materie prime e dei servizi esterni assieme al costo del
personale). Il terzo aggregato reddituale è il risultato operativo (RO) o margine operativo
netto (MON) o EBIT (earnings before interest and taxes), ottenuto dal margine operativo
lordo dedotti gli ammortamenti, gli accantonamenti e le svalutazioni. Il Risultato
operativo o EBIT verifica la capacità dell’impresa di vendere i propri prodotti/servizi a un
prezzo che consenta di coprire non solo i costi operativi sostenuti, ma anche il
“deprezzamento” degli impianti e macchinari utilizzati e gli accantonamenti a fronte dei
vari rischi aziendali. L’utile (perdita) ordinario ante imposte (ROAI)2 indica il risultato
derivante dall’intero business aziendale prima della componente fiscale. L’utile netto è
l’aggregato reddituale finale che tiene conto sia dei risultati della componente ordinaria
che di quella finanziaria e di quella fiscale. Ricordiamo come lo IAS 1 abbia eliminato il
concetto di “operazioni straordinarie”. Nel conto economico non sono più esposti i costi e i
proventi straordinari (componente straordinaria) in quanto tutti i costi e i proventi sono
riferibili al business anche se non prevedibili, non inerenti all’attività tipica o non ricorrenti.
Dopo l’utile netto è possibile calcolare un altro aggregato, chiamato cash flow o anche
autofinanziamento, ottenuto come somma tra l’utile netto e gli ammortamenti accantonati.
2 ROAI è l’acronimo di Reddito Operativo Ante Imposte.
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Tale indicatore di redditività esprime la capacità dell’impresa non solo di produrre utili
ma anche di provvedere alla tempestiva sostituzione di impianti e macchinari, quando
obsoleti, mediante l’imputazione a bilancio di adeguati ammortamenti.
Il conto economico può essere riclassificato anche con altre modalità. Se i costi
vengono distinti in relazione al criterio della destinazione economica (con
raggruppamento in grandi aree aziendali, quali la ricerca e lo sviluppo, la produzione, la
commercializzazione, la gestione amministrativa) si ottiene il conto economico a costo del
venduto, che consente di evidenziare il risultato lordo dell’esercizio, dato dalla differenza
tra i ricavi e il costo industriale dei prodotti venduti (ossia l’utile lordo sulle vendite o utile
lordo industriale).
9. La nota integrativa e la relazione sulla gestione
La nota integrativa, che rappresenta la terza parte del bilancio d’esercizio, è la chiave di
lettura delle due parti contabili del bilancio. Il contenuto della nota integrativa è
disciplinato dall’art. 2427 c.c. Le richieste in ordine alla nota integrativa possono essere
riunite in alcuni gruppi omogenei, precisamente:
- precisazioni sui criteri di valutazione adottati;
- movimenti relativi alle principali voci di bilancio (immobilizzazioni, altre voci);
- deroghe adottate rispetto alle norme di legge (art. 2423 c.c.) e ai principi adottati in
precedenti esercizi (art 2423-bis);
- informazioni sulle più importanti o particolari voci di bilancio (costi d’impianto e di
ampliamento, costi di ricerca, sviluppo e pubblicità, crediti e debiti di durata
residua superiore a 5 anni, ratei e risconti attivi e passivi, altri fondi, altre riserve,
proventi e oneri straordinari, rettifiche di valore e accantonamenti operati
esclusivamente in applicazione di norme tributarie, ecc.);
- informazioni supplementari (o imposte dalle norme o liberamente fornite dai
redattori).
Il D.Lgs. 6/2003 ha aumentato le informazioni che devono essere date nella nota
integrativa (informazioni sulle imposte anticipate e differite, sulla svalutazione delle
immobilizzazioni materiali e immateriali, sulle variazioni di cambio, sulle voci di
patrimonio netto, sugli strumenti finanziari, sulle operazioni di locazione finanziaria, ecc.).
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Il D.Lgs. 394/2003 ha introdotto un ulteriore obbligo informativo, previsto dal nuovo
articolo 2427-bis c.c., ossia l’indicazione del valore equo degli strumenti finanziari.
Va precisato come la nota integrativa non sia prevista per le società di persone e per
le ditte individuali, mentre per le società minori (art. 2435-bis c.c.) contenga un numero più
ridotto d’informazioni. Ricordiamo come l’art. 2435-bis c.c. consideri “società minori”
quelle società che nel primo esercizio o, dal 2006, per due esercizi consecutivi, non abbiano
superato due dei seguenti limiti:
- totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 3.650.000 euro (portato a 4.400.000 dal
5/9/2008 in seguito al recepimento della direttiva 2006/46/Ce);
- ricavi delle vendite e delle prestazioni: 7.300.000 euro (portato a 8.800.000 euro con
il recepimento della direttiva 2006/46/Ce);
- dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50.
Le “società minori” sono autorizzate a presentare in forma semplificata anche stato
patrimoniale e conto economico.
La nota integrativa Ias/Ifrs, che prende sovente il nome di “note di bilancio” o
“note esplicative”, è di più difficile composizione rispetto a quanto avviene per la nota
integrativa della IV direttiva UE. Infatti i principi contabili internazionali richiedono che
vengano date moltissime informazioni o a mezzo di prospetti complementari o con note
specifiche. L’obiettivo è migliorare la capacità informativa del bilancio attraverso il
raggiungimento di una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale,
di quella finanziaria e del risultato economico della società.
La relazione sulla gestione è un documento che accompagna il bilancio e che fornisce
altre informazioni al fine di rendere meglio comprensibile la realtà che il bilancio deve
evidenziare. La relazione sulla gestione trova nell’art. 2428 c.c. la sua completa disciplina.
Il documento deve contenere almeno un fedele rendiconto dell’andamento degli affari e
della situazione della società. L’art. 2428 del codice civile si articola in due parti. Il primo
comma chiede che la relazione sulla gestione fornisca un’analisi fedele, equilibrata ed
esauriente (nuovo comma 1 art. 2428) della situazione della società e dell’andamento della
società. L’analisi deve essere coerente con l’entità e la complessità degli affari della società,
utilizzando anche indici di bilancio (nuovo comma 2 dell’art. 2428 c.c.). La situazione e
l’andamento della società devono essere forniti con riferimento:
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- al complesso delle attività svolte dalla società;
- ai vari settori in cui la stessa ha operato;
- con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti.
Il secondo comma richiede che vengano indicati, in ogni caso, i seguenti elementi:
- le attività di ricerca e sviluppo, per l’importanza strategica che le stesse rivestono
per il futuro della società;
- i rapporti fra le società del gruppo (imprese controllate, collegate, controllanti);
- informazioni sulle azioni proprie e delle società controllanti possedute;
- informazioni sulle azioni proprie e delle società controllanti acquistate o alienate nel
corso dell’esercizio, con la precisazione di motivi di tali acquisizioni e alienazioni;
- i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio;
- l’evoluzione prevedibile della gestione.
Per effetto del comma 6-bis devono essere date informazioni sugli strumenti finanziari e,
se rilevanti ai fini della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico
dell’esercizio, sugli obiettivi e sulle politiche della società in materia di gestione del rischio
finanziario, compresa la politica di copertura delle varie categorie di operazioni, e
l’esposizione della società al rischio di prezzo, di credito, di liquidità e di variazione dei
flussi finanziari.
Nella relazione sulla gestione, per effetto dell’ultimo comma dell’art. 2497-bis c.c.,
gli amministratori devono indicare:
- i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività di direzione e di coordinamento e con
le altre società che vi sono soggette;
- l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi
risultati.
Anche un’attenta lettura della relazione sulla gestione consente di meglio comprendere la
realtà evidenziata dal bilancio.
10. Altre relazioni accompagnatorie al bilancio
Per il bilancio delle società di capitali ulteriori informazioni possono essere ottenute da
altri documenti che accompagnano il bilancio. Tali documenti sono: la relazione del collegio
sindacale, la relazione della società di revisione, la relazione semestrale e trimestrale.
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Il collegio sindacale, che esercita il controllo di legalità e sull’amministrazione della
società, deve redigere una relazione da sottoporre all’assemblea dei soci, disciplinata
dall’art. 2429 c.c., sui seguenti punti:
- risultati dell’esercizio;
- attività svolta nell’adempimento dei propri doveri;
- osservazioni e proposte in ordine all’approvazione del bilancio;
- consenso all’iscrizione in bilancio di: costi d’impianto e di ampliamento (art. 2426
n.5); costi di ricerca, di sviluppo e pubblicità (art. 2426 n.5); avviamento (art.2426
n.6).
Analoga relazione è predisposta dal soggetto cui è demandato il controllo contabile (esso può
essere un revisore singolo o una società di revisione iscritta nel registro istituito presso il
Ministero della giustizia). Se il controllo dei conti è affidato allo stesso collegio sindacale,
le informazioni sul controllo contabile e sulla tenuta della contabilità sono indicate in altra
apposita relazione del collegio.
Nelle società per azioni con sistema dualistico le funzioni del collegio sindacale
sono esercitate dal consiglio di sorveglianza. Con il sistema monistico le predette funzioni
sono esercitate dal comitato per il controllo della gestione.
Nelle società per azioni quotate in borsa, le funzioni di controllo legale dei conti
sono attribuite ad una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili e
soggetta al controllo della Consob (Commissione Nazionale di Sorveglianza sulle Società e
la Borsa). Si tratta, in particolare, delle funzioni di controllo sulla regolare tenuta della
contabilità, sulla corrispondenza del bilancio alle scritture contabili, sull’osservanza delle
norme di valutazione del patrimonio sociale (D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58).
La relazione della società di revisione evidenzia, ai sensi dell’art.156 del D.Lgs
58/1998, i seguenti elementi:
- la regolare tenuta della contabilità;
- la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili;
- se i fatti di gestione sono esattamente rilevanti nel bilancio (d’esercizio o
consolidato);
- se il bilancio corrisponde alle risultanze delle scritture contabili e agli accertamenti
eseguiti;
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- se il bilancio è conforme alle norme che disciplinano il bilancio d’esercizio e quello
consolidato.
In tali condizioni la società di revisione rilascia il parere, che può essere senza rilievi o con
rilievi. La società può anche esprimere un giudizio negativo o dichiarare l’impossibilità di
esprimere un giudizio. La revisione è obbligatoria per le società con azioni quotate sui
mercati finanziari regolamentati. Nelle altre società la relazione è predisposta dal soggetto
incaricato del controllo contabile.
Le relazioni semestrale e trimestrale sono obbligatorie per le società con azioni
quotate in Borsa e sono disciplinate dal terzo comma dell’art. 2428 c.c. Il contenuto è stato
stabilito da un provvedimento della Commissione nazionale per le società e la borsa
(Consob).