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L’ITIN HERA RIO INVISIBILE 1 IL CICLO IDRICO Materiali di approfondimento_ CAPITOLO 2

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L ’ I T I N H E R A R I O I N V I S I B I L E

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IL CICLO IDRICO

Materiali di approfondimento_ CAPITOLO 2

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Indice

Capitolo 2 – L’acqua, l’uomo e il territorio

L’acqua, l’uomo e il territorio 3

Gli acquedotti e le grandi infrastrutture: dagli antichi Romani al Medioevo 4

Le bonifiche 5

La grande bonifica Estense 6

I metodi di bonifica 8

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R) 8

Le dighe 9

L’approfondimento: La vittoria sull’acqua 11

L’approfondimento: Una storia lunga 2000 anni 11

Una lotta per governare l’acqua 11

L’Acquedotto della Romagna 14

La Diga di Ridracoli 14

Riferimenti bibliografici e web 16

L'ITINHERARIO INVISIBILE Il Ciclo Idrico – Materiali di approfondimento © tutti i diritti riservati Gruppo Hera Testi realizzati da: Cristina Salvigni e Sandra Vandelli per Anima Mundi, Nicoletta Borghini, Melania Ghetti e Chiara Tiozzi per Atlantide

Aggiornamenti realizzati da: Giovanna Di Ciuccio per Anima Mundi

Supervisione testi: Chiara Barausse / Divisione Distribuzione Fluidi Hera S.p.A.; Alberto Ceccaroni / Hera Forlì Cesena; Davide Lombardi / Divisione Reti Hera S.p.A.; Fabrizio Stefanini / Hera Imola Faenza; Francesca Romani, Giuseppe Finelli/Hera Modena; Imerio Pirazzini / Hera Ravenna; Valeria Rosati, Mirco Boschetti, Mauro Di Domenico / Hera Rimini; Stefania Santacroce / Relazioni Esterne Hera S.p.A. Coordinamento Redazionale: Daniele Vignatelli per Anima Mundi Impaginazione: Alessandra Gariup e Sandra Vandelli per Anima Mundi Edizione ottobre 2014

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Capitolo 2 – L’acqua, l’uomo e il territorio

Elemento vitale, prezioso, soprattutto in alcune zone della Terra, da sempre l’acqua ha guidato le scelte

dell’uomo sia quando era nomade, sia quando ha cominciato a fermarsi per periodi lunghi: non a caso infatti

molti insediamenti umani furono storicamente localizzati proprio in luoghi nei quali vi era grande disponibilità di

acqua di buona qualità.

Con il passare del tempo, e l’aumento degli insediamenti umani, si rese necessario escogitare metodi per

l’approvvigionamento dell’acqua non immediatamente disponibile da fiumi o laghi, scavando pozzi e

inventando sistemi per trasportarla: ad esempio in Egitto si usavano palme vuote, mentre in Cina e Giappone

canne di bambù.

Anche se abitualmente si associa l'acquedotto (dal latino “aqua”, acqua, e “ducere”, condurre) all'Antica Roma,

in realtà la sua invenzione risale ad alcuni secoli prima, quando, nel Medio Oriente, antichi popoli come i

babilonesi e gli egiziani costruirono sofisticati impianti di irrigazione. Lo shaduf per esempio è uno strumento

semplice e ingegnoso adottato a partire dal II millennio a.C. dalle popolazioni egiziane per pescare acqua da

fiumi e laghi e alimentare canali a un livello più alto o innaffiare campi coltivati, palmeti, viti, orti. L’attrezzo è

composto da due pali, uniti in alto da un’asse su cui poggia una lunga pertica. Ai due estremi della pertica vi

sono un peso (un masso) e un secchio. Un uomo da solo, manovrando la pertica, può raccogliere e sollevare

circa 3000 litri d’acqua al giorno. Quando i dislivelli da risalire sono sensibili, gli shaduf vengono messi in fila

lungo il declivio.

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Anche in Mesopotamia venivano costruiti acquedotti che portavano l’acqua alle cittadine in condutture

protette. In Palestina l'acqua del Siloe (700 a.C.) arrivava sino a Gerusalemme grazie a tubazioni scavate

nella roccia per oltre cinquecento metri. L'antica Grecia era servita da acquedotti con molti chilometri di

condutture fittili o di condotte scavate nella roccia.

Gli acquedotti di stile romano furono usati sin dal VII secolo a.C., quando gli Assiri costruirono una struttura di

calcare alta 10 m e lunga 300 m per trasportare l'acqua attraverso una valle fino alla capitale Ninive per una

lunghezza totale di 80 km.

Gli acquedotti e le grandi infrastrutture: dagli antichi Romani al Medioevo

I romani hanno realizzato molti acquedotti nei territori da loro occupati, alcuni molto complessi altri più

semplici, ma tutti rappresentano ancor oggi esempi di alta tecnologia ingegneristica. La stessa città di Roma

ebbe la più grande concentrazione di condotte idriche, con 11 acquedotti costruiti nell'arco di cinque secoli,

con una lunghezza complessiva di circa 350 km.

Gli acquedotti realizzati dai Romani potevano essere di superficie con canali artificiali, ponti, viadotti oppure

con condotte in pressione sotto il terreno.

Acquedotto romano a Nimes (Francia), risalente al 19 a.C.

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Con l’arrivo del Medioevo molte delle esperienze e conoscenze accumulate dagli antichi romani vennero

perse e in Europa la costruzione di acquedotti si interruppe fino al XIX secolo. In questi secoli gli

approvvigionamenti d’acqua vennero garantiti principalmente tramite lo scavo di pozzi, generando, in alcuni

casi, problemi di salute pubblica dovuti a falde acquifere contaminate.

Il Medioevo si contraddistingue per la scarsità di acqua potabile nei centri urbani, che ha favorito lo svilupparsi

di malattie come il colera e la malaria, legate all’uso di acqua non potabile e all’esistenza di acque stagnanti.

La scarsa disponibilità di acqua e gli aumentati rischi igienici dovuti ai metodi di conservazione dell’acqua

hanno permesso che si diffondesse l’usanza di non lavarsi, arrivando a credere che il bagno non fosse

salutare, tanto che gli stessi ricchi, i nobili e perfino i re si lavavano assai raramente, preferendo usare

parrucche incipriate e cospargersi di profumi che nascondevano il cattivo odore della sporcizia.

L'avversione per il bagno nel Medioevo fu influenzata anche dalla convinzione della Chiesa cristiana che la

nudità dei corpi nei bagni pubblici fosse occasione di peccato, tanto che lo stesso battesimo non venne più

praticato come in origine sulle rive dei fiumi ma in appositi battisteri chiusi. Significativi di questa mentalità

sono alcuni proverbi popolari come:"più il capro puzza, più la capra l'ama" o "finché i pidocchi restano sulla

testa la salute è buona".

Le bonifiche

Per bonifica si intende l’insieme delle azioni e degli interventi che mirano al prosciugamento di un’area

ricoperta dalle acque con lo scopo di recuperare terreno e migliorare le condizioni igienico sanitarie di quell’

ambiente.

L’idea della bonifica delle terre padane nasce già in epoca Romana, anche se può essere considerata solo

una prima fase di difesa di un territorio dalle acque, lontani da un organico progetto che renderà definitivi la

regimazione e il controllo di un sistema idrografico. I Romani infatti, assimilate e perfezionate le conoscenze

idrauliche etrusche, sfruttando e modificando strutture naturali (dossi, spalloni, conidi di terra), costruendo

piccoli canaletti artificiali per far passare le acque (tramite paratie di legno a saracinesca), riuscirono a

convogliare l’acqua in eccesso (che altrimenti avrebbe inondato le terre) in naturali depressioni

opportunamente arginate.

L’uomo, dall’età antica alla fine del Medioevo, riuscì a instaurare un rapporto non sempre del tutto stabile tra la

propria esistenza e il proprio habitat, le cui caratteristiche morfologiche variavano a seconda del clima, delle

precipitazioni, delle esondazioni, dell’ampliamento degli specchi acquitrinosi, delle variazioni di alveo e dal

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trasporto di limo, per cui l’uomo era costretto ad adattarsi e molto spesso anche spostarsi.

È durante il Medioevo che l’uomo inizia la sua lunga lotta per bonificare l’area oggi occupata dal Parco del

Delta del Po, anche se fino alla fine del XIV secolo l’uomo sarà un impotente spettatore di questo continuo

variare di terre emerse e aree lacustri.

Per attivare un sistematico programma di interventi occorrerà attendere la metà del XV secolo con l’impegno

della signoria degli Estensi che darà impulso alla prima grande fase di bonifica e di assetto di queste terre

(1460-1580).

Primi tentativi di regimazione delle acque

La grande bonifica Estense

Durante il periodo estense, il ferrarese fu oggetto di diversi interventi di regolamentazione delle acque.

Sicuramente il più significativo fu la bonifica, promossa da Alfonso II, del Polesine di San Giovanni, territorio

compreso tra il Po di Venezia, il mare e il Po di Volano. I lavori iniziarono nel 1564, si interruppero per problemi

finanziari, e ripresero nel 1566 seguendo un criterio, ancora oggi utilizzato, che prevede la separazione delle

acque alte, provenienti da terreni con quote altimetriche superiori, dalle acque basse, provenienti da terreni

posti a livello inferiore, per condurle separatamente al mare. Le acque alte vennero portate al mare attraverso

un canale collettore, il Canal Bianco che sfociava nel Po, mentre le acque basse vennero allontanate

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attraverso quattro collettori principali. Due di questi, il canale Bentivoglio e il canale Seminiato, si immettevano

nel tratto finale del Po come il canal Bianco. Queste acque venivano scaricate a mare attraverso una chiavica,

detta Torre dell’Abate, le cui porte vinciane garantivano il regolare deflusso e impedivano l’accesso delle

acque marine in caso di alta marea. Gli altri due collettori delle acque basse erano i canali Galvano e Ippolito,

che sfociavano nel porto di Volano con una chiavica simile a Torre dell’Abate.

Torre Abate, Loc. Santa Giustina (FE)

La grande bonificazione estense terminò nel 1579 ma non ebbe effetti duraturi. Il taglio di Porto Viro,

deviazione realizzata dai Veneziani nel tratto terminale del Po per impedire l’interrimento della laguna di

Venezia, annullò l’opera di bonifica intrapresa dalla signoria Estense.

Dal 1604 il fiume cominciò a scorrere nell’alveo artificiale e i depositi di sabbia si rivolsero a sud interrando il

porto di Goro e il porto dell’Abate, rendendo difficile lo scolo dei canali collettori. Contemporaneamente, per un

gioco di correnti marine, il porto di Volano, in cui sfociavano i canali Galvano e Ippolito, venne invaso dalle

acque del mare portando la distruzione della chiavica Volano e conseguentemente rendendo impossibile lo

scolo delle acque basse.

Nel XVII secolo le acque ricoprirono gran parte dei circa 32.000 ettari di terreno bonificato da Alfonso II.

Solo con l’avvento della bonifica meccanica nel XIX secolo il territorio ferrarese avrà un assetto definitivo.

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I metodi di bonifica

I metodi di bonifica sono diversi a seconda del territorio con il quale ci si confronta:

- la bonifica per colmata, ovvero l’innalzamento del piano di campagna al di sopra dell’acqua, e il

prosciugamento. La bonifica per colmata si ottiene arginando un’area valliva (cassa di colmata) e immettendo

in essa uno o più fiumi liberi di spagliare le loro acque; a quote diverse vengono realizzati dei canali minori

detti savenelle per far defluire le acque decantate dai detriti. I sedimenti depositati dai corsi d’acqua

determinano, con il trascorrere degli anni, l’innalzamento del fondo del terreno. Questo sistema di bonifica

riproduce artificialmente i processi di deposizione sedimentaria a seguito di alluvioni. Il costante apporto di

depositi alluvionali determina lo stratificarsi di sedimenti che innalzano il piano di campagna.

- la bonifica per scolo naturale, possibile solo quando le aree da prosciugare presentano quote tali che

permettano il deflusso delle acque per gravità verso il mare o verso fiumi importanti.

- la bonifica per scolo meccanico, metodo più moderno per prosciugare aree sommerse dalle acque. Dalla

seconda metà dell‘800, periodo in cui si diffuse l’utilizzo di pompe a vapore, si introdussero le idrovore per

sollevare le acque. L’avvento della bonifica per scolo meccanico permise di prosciugare vasti territori fino ad

allora considerati non bonificabili per le notevoli depressioni in cui si trovavano. Le acque sollevate di vari

metri vengono immesse in canali collettori e fatte defluire in fiumi principali o direttamente al mare.

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R)

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R) è tra le più importanti opere idrauliche italiane. Il primo progetto risale

al 1620 quando l'abate Raffaello Tirelli di Reggio-Emilia propone al duca Cesare d'Este l'idea di prendere le

acque dal Po per irrigare le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna. Perché il

progetto diventi un’opera concreta si dovrà aspettare il 1947, anno in cui il progetto trova la sua versione

definitiva combinando le esigenze delle piene del Reno con quelle dell'irrigazione della pianura bolognese e

romagnola. Il C.E.R. è infatti l’opera voluta per risolvere i problemi di approvvigionamento di acqua delle

cinque province orientali della regione (Ferrara, Bologna, Ravenna, Forli-Cesena e Rimini).

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Canale Emiliano Romagnolo, veduta aerea

Il Canale è una delle più importanti opere idrauliche dell'Italia. Garantisce, con una derivazione dal fiume Po,

l'approvvigionamento idrico di un’area di circa 3.300 ha, caratterizzata da una intensa attività agricola e da

molti insediamenti urbani e industriali, ma povero di acque superficiali. Dopo quasi 400 anni dal primo progetto

e iniziato nel 1955, il C.E.R. è in grado di esprimere tutto il suo potenziale al servizio di una delle regioni più

produttive d'Europa, su un percorso di circa 150 km e tramite 7 stazioni di pompaggio delle acque e 7 milioni

di metri cubi d'acqua serviti annualmente.

Le dighe

La Commissione Internazionale sulle Grandi Dighe, istituita a Parigi nel 1928, definisce “diga” i manufatti

superiori a 15 metri o anche quelli compresi tra 5 e 15 metri e con un serbatoio di oltre 3 milioni di m cubi di

acqua.

Le dighe sono destinate a trattenere le portate fluviali nei periodi di maggiore abbondanza, per renderle

disponibili nei mesi o negli anni di minore deflusso, oppure per formare invasi in grado di raccogliere le

precipitazioni, evitandone l'evaporazione nell'atmosfera e l'infiltrazione nel suolo, oppure per costituire un

ostacolo all'andamento stesso del fiume, deviandolo dal suo corso naturale verso un letto artificialmente

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modellato, al fine di addurre acque verso luoghi nei quali la domanda è particolarmente intensa o ci si

aspettano grandi benefici energetici e agricoli. Senza l'immane lavoro compiuto durante tutta la storia

dell'umanità attraverso la costruzione di dighe di ogni dimensione, oggi l’uomo non potrebbe disporre se non di

una modesta frazione dell'acqua che invece può utilizzare.

Nella storia dell’uomo le dighe sono sempre esistite: da sempre gli uomini hanno costruito piccoli sbarramenti

per deviazioni, forse rispondendo a un istinto tra l’altro radicato anche negli animali, se si considerano le

straordinarie opere che i castori sono capaci di realizzare in natura.

Già durante l’antichità, nel bacino di grandi fiumi come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, si suppone, per esempio, che

Menes, il primo leggendario faraone, abbia fatto costruire dighe allo scopo di deviare il corso del Nilo ed

edificare la città di Menfi sui terreni sottratti alle acque. Se così fosse, il primo sbarramento a noi noto

dovrebbe essere stato costruito in Egitto circa 3-4.000 anni prima della nascita di Cristo.

Gran parte delle antiche dighe in terra, tra cui quelle costruite dai babilonesi, facevano parte però di complessi

sistemi di irrigazione che trasformavano regioni altrimenti improduttive in fertili pianure. Tuttavia, proprio a

causa del materiale usato e dei danni provocati dalle inondazioni, poche tracce di questi manufatti si sono

conservate fino a oggi.

La costruzione di dighe "moderne" diventa possibile solo con l'avvento del cemento e del calcestruzzo e con

l'introduzione delle macchine per il movimento della terra. Le prime dighe, infatti, erano costruite per lo più con

argilla mista a fango nel centro, e caratterizzate da fiancate esterne di pendenza uniforme: nel 1852 la diga

inglese di Holmfirth, presso Hudderfield, viene minata da un'infiltrazione, mentre nel 1964, solo dodici anni più

tardi, si verifica un impressionante disastro a Dale Dyke, nuovo bacino artificiale costruito per Sheffield, che

crolla al momento del riempimento, provocando la morte di centinaia persone. Già da tempo gli ingegneri

francesi giudicavano pericolose le dighe di terra più alte di 19 metri e così, a partire dal 1850, presentano i

primi progetti di sbarramenti basati su principi scientifici.

Tra il 1861 e il 1866 viene progettata e realizzata la diga di Furens, su un affluente della Loira, per fornire

acqua alla città di Saint-Etienne. È la prima diga a essere costruita con i nuovi principi: nuovi materiali, pareti

convesse, calcolo dei punti di maggiore pressione. Questa diga è rimasta a lungo la più alta del mondo.

Contemporaneamente con lo sbarramento di Zola, presso Aix-en-Provence, e la diga per l'irrigazione della

Valle degli Orsi in California, vengono costruite le prime dighe ad arco, una tipologia che però non diventerà

comune fino al ventesimo secolo. Lo scopo di costruire sbarramenti sui corsi dei fiumi, comunque, non è più

solo quello di controllare le piene o creare bacini per l'irrigazione, ma la produzione di elettricità grazie alla

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forza idraulica, resa possibile dallo sviluppo del generatore elettrico (un miglioramento della turbina idraulica).

Il primo impianto idroelettrico viene costruito nel 1880 nel Northumberland, in Inghilterra. Da allora, a causa

anche della crescente domanda di elettricità che ha caratterizzato il ventesimo secolo, gran parte dei principali

fiumi della Terra sono stati sbarrati e imbrigliati con opere sempre più ardite e complesse.

Una lotta per governare l’acqua

Nei secoli l’uomo, tramite esperienza e ingegno, ha inventato e sperimentato diversi metodi per cercare di

“governare” e regimare l’acqua e le sue continue invasioni. Molti sono nati dalla semplice osservazione dei

fenomeni naturali, altri sono vere e proprie opera di alta ingegneria.

La regolazione dei flussi dell’acqua è stata per l’uomo fondamentale, prima di tutto come protezione dalle

inondazioni, ma anche per poterla sfruttare a suo beneficio per gli usi agricoli e industriali. Nel nostro territorio

non è difficile osservare ancora in uso alcuni di questi antichi metodi o trovarne i resti, come le casse di

espansione, le briglie e gli argini: tutti sistemi che hanno non solo modellato il territorio ma anche permesso

La vittoria sull'acqua

I primi imperatori si circondarono di consiglieri, il più celebre dei quali fu un certo Yao, al quale è attribuita una delle

più grandi vittorie della Cina di tutti i tempi: la vittoria sull'acqua. Mentre i suoi predecessori si sforzavano di

costruire dighe che il Fiume Giallo portava via a ogni piena, Yao fece scavare il letto del fiume e preparare i nuovi

canali per condurre fino al mare le acque eccedenti. Come ricompensa Yao fu designato erede dal suo imperatore

e fondò la dinastia degli Hsia.

Una storia lunga 2000 anni

Un quinto dell’attuale sistema idrico di Bologna è in parte garantito da un acquedotto attivo da circa 2.000 anni. I

romani per approvvigionarsi di acqua scavarono intorno all’anno 100 a.C. un tunnel che intercettava l’acqua del

Setta, che già all’epoca era più pura di quella del Reno. L'acquedotto prelevava acqua a Sasso Marconi dal fiume

Setta e la convogliava fino al palazzo oggi dell'Ente Ferrovie, angolo via d'Azeglio con via Farini, dove c'era una

vasca di decantazione. Poi da lì, attraverso il sistema delle fistulae aquariae (tubi di piombo) l'acqua veniva

distribuita a tutta la città. La condotta al momento della sua costruzione aveva una sezione libera di 0,6 m x 1,9 m,

per una lunghezza di 18 chilometri e un dislivello di 18 metri.

A causa delle invasioni barbariche l’opera non ebbe più le manutenzioni necessarie al suo corretto funzionamento

e in breve tempo venne abbandonata. Si dovranno aspettare 15 secoli perché si dia inizio ai lavori di recupero del

manufatto. Le opere di restauro durano circa 5 anni, dal 1876 al 1881, e la cerimonia di inaugurazione è datata 5

giugno 1881.

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all’uomo di occupare zone non sempre ospitali.

Le casse di espansione

Le casse di espansione sono dei bacini idrici artificiali nei quali vengono convogliate le acque di un fiume

quando la portata dello stesso supera un certo limite. In questo modo si evita che l'acqua esondi dagli argini

causando danni agli insediamenti vicini.

Le casse di espansione sono opere molto diffuse in Emilia Romagna, presenti sia sui grandi affluenti del fiume

Po sia negli altri corsi d’acqua regionali e in particolare nel bacino del Reno. Le Valli di Campotto, per

esempio, sono bacini d’acqua dolce utilizzati come cassa di espansione per il sistema scolante della bassa

pianura bolognese afferente al fiume Reno. In questa zona arrivano i fiumi Idice, Quaderna e Sillaro, e i canali

Lorgana, Della Botte, Menata e Garda, i quali affluiscono al Reno in località Bastia. In caso di piena dei fiumi o

dei canali le acque vengono temporaneamente immesse in bacini arginati (casse di espansione), che a

Campotto coprono una superficie di circa 850 ha e offrono un invaso di circa 30.000.000 di mc d’acqua. Le

acque vengono immesse durante le piene per essere poi successivamente scaricate, tramite pompe idrovore,

nel fiume Reno. Le casse di espansione di Campotto sono suddivise in tre comparti: Cassa Campotto (400

ha), Valle Santa (250 ha), e Cassa Bassarone (200 ha) riallagata nel 1983. Queste zone sono molto

interessanti anche dal punto di vista naturalistico.

Altri esempi degni di nota sono le casse di espansione del fiume Secchia e quelle del Panaro.

Gli argini

L'argine è un'opera di difesa passiva del territorio che serve a impedire a un corso d’acqua di straripare

durante i periodi di piena. Generalmente è costituito da un rilievo in terra impermeabilizzato. Gli argini possono

essere disposti in froldo, ovvero al limite dell'alveo, oppure a una certa distanza da questo. In questo caso la

fascia di terreno compresa tra l'alveo e l'argine prende il nome di golena. L'argine si dispone in froldo quando

manca spazio o l'area da difendere ha un valore troppo elevato per sacrificarla creando la golena. La

disposizione a froldo, limitando drasticamente l'espansione laterale del fiume, comporta un forte innalzamento

dei livelli di piena ed è sottoposta ad azioni erosive molto più intense rispetto a un argine in golena.

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Argini di un fiume – lavori in corso

La dimensione degli argini di un fiume o di un canale dipendono dalla intensità degli eventi di piena previsti in

un arco di tempo pluriennale (definito anche come "tempo di ritorno"), che permette di definire la quota

massima del livello idrico in questo periodo e quindi di dimensionare l’argine.

Le briglie

La briglia è un'opera di ingegneria idraulica concepita per ridurre il trasporto di materiale solido di fondo da

parte di un corso d'acqua (torrente o fiume), creando un deposito a monte di essa. Può essere costruita in

muratura, in terra, in legname e in gabbioni. Una briglia è costituita da una fondazione (posta sottoterra) e da

un'ala (posta al di sopra), dalla gaveta (una concavità dell’ala) e da eventuali feritoie (fori). In genere in un

corso d’acqua, vengono costruite più briglie. Ogni briglia deve essere posta a una determinata distanza dalla

successiva in modo tale da creare una pendenza di compensazione del corso d’acqua che permetta alle

briglie di diminuire la pendenza dell’alveo formando salti di fondo fino a ridurre la capacità erosiva del corso

d’acqua a valori tali che il letto non venga eroso. Famose le briglie sul Tevere in prossimità dell'Isola Tiberina

per equilibrare il livello del fiume nei due rami che fluiscono ai lati dell'isola.

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L’Acquedotto della Romagna

Circa il 50% dell’acqua potabile necessaria a soddisfare il fabbisogno delle province di Ravenna, Forlì-Cesena

e Rimini, è garantito dall'Acquedotto della Romagna.

L'Acquedotto della Romagna, realizzato da Romagna Acque - Società delle Fonti e attivo dal 1988, è un

complesso costituito dalla Diga di Ridracoli, dalla centrale idroelettrica di Isola, dalle vasche di carico di

Montecasale, dall'impianto di potabilizzazione e dalla rete acquedottistica che distribuisce l'acqua agli utenti.

L’Acquedotto è alimentato dall'acqua raccolta nell'invaso artificiale di Ridracoli formato dall'omonima diga che

sbarra il torrente Bidente. L'invaso, caratterizzato da una capacità utile di 30 milioni di m3, ha un'importante

funzione di compenso annuale, poiché consente di immagazzinare l'acqua nei periodi di abbondanti apporti

per poi renderla disponibile nei periodi estivi, in cui alla scarsità di piogge si aggiunge l'elevata richiesta dovuta

alle presenze turistiche nella riviera romagnola. L'acqua è potabilizzata presso il centro operativo di Capaccio

nel Comune di Santa Sofia.

L'Acquedotto della Romagna è in grado di fornire ogni anno circa 50 Mmc d'acqua.

La Diga di Ridracoli

L'opera principale dell'Acquedotto di Romagna, e quella che sicuramente ha richiesto più impegno per la sua

costruzione, è la Diga di Ridracoli. Lo sbarramento è stato costruito in una stretta valle a circa 10 km

dall'abitato di S. Sofia e a circa 50 km a Sud-Est di Forlì nel territorio del Parco Nazionale delle Foreste

Casentinesi. La sua posizione, nel punto di confluenza del fiume Bidente e del Rio Celluzze, è stata

individuata sulla base di alcune fondamentali caratteristiche:

- la posizione centrale dell'invaso rispetto ai Comuni aderenti al progetto;

- la morfologia e la struttura geologica della zona;

- la qualità dell'acqua che poteva essere raccolta;

- la totale assenza di possibili fonti di inquinamento;

- la pressoché totale copertura vegetale dei bacini imbriferi con boschi cedui e ad alto fusto;

- la quota sul livello del mare del serbatoio, che consente di portare l'acqua “per caduta” alla quasi totalità di

utenti consentendo così un notevole risparmio energetico.

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La Diga e il lago di Ridracoli

Quella di Ridracoli è una diga ad arco-gravità: per ottenere resistenza sfrutta cioè un sistema “ibrido” tra quello

delle dighe ad arco (che scaricano il peso sulla parete rocciosa grazie alla forma) e quello delle dighe a

gravità, più tozze e massicce.

La diga è alta 103,5 m, con una larghezza massima di 36 m alla base e 10 m sul camminamento superiore

(“coronamento”). La lunghezza dell'arco è di 432 m, per un totale di 600 mila m3 di calcestruzzo.

La struttura si sviluppa su 27 conci, posati su un pulvino (elemento che ha la funzione di ripartire il carico da

una struttura sovrastante a una sottostante) che segue il profilo della diga.

Nella spalla destra della diga si trovano gli impianti per la presa dell'acqua, che viene poi inviata

all'acquedotto. La presa avviene da due imbocchi distanti tra loro 50 m in verticale. L'Acquedotto della

Romagna ha una condotta principale di 33 chilometri, capace di 3000 litri al secondo. Per completare la diga

vennero impiegati 6 anni.

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Riferimenti bibliografici

Pagnoni G.A., 1997. Il territorio di Argenta e l’Oasi di Campotto. Ferrara

AA.VV., 1990. Terra e acqua, le bonifiche ferraresi nel delta del Po. Gabriele Corbo Editore.

Miguel A. Altieri 1991. Verso una agricoltura biologica. Padova Franco Muzzio Editore.

Agricoltura, mensile dell’Ass.to Agricoltura, Ambiente e Sviluppo Sostenibile, Regione Emilia

Romagna, numeri vari.

Romagna Acque S.p.A., 1997. L’Acquedotto della Romagna.

Riferimenti Web

www.consorziocer.it

www.romagnaacque.it

www.storiaurbana.it

www.wikipedia.it