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GLI ABBANDONATI IL CLANDESTINO L’editoriale Un anno La redazione I l Clandesno per mol di noi è come un figlio, un fi- glio che ogni mese rinasce. Un figlio voluto consape- volmente e che si aspea con grande entusiasmo. Lo pensi, lo aendi, t’incazzi e poi una volta sfornato, ancora caldo dalla pografia, lo culli tra le tue braccia con un sorriso di soddisfazione. E si sa, i figli bisogna pure festeggiarli e adesso ci tocca preparare le cande- line, una torta e soffiare augurando buon compleanno al Clandesno. Un anno. Un anno che sembrano cento, non certo per il brio perso ma per l’intensità di dodi- ci numeri e di quello che rappresentano. Ci abbiamo creduto in questo giornale, lo abbiamo fao, forse da irresponsabili ma non siamo affao pen. Lo aveva- mo pensato e immaginato senza riuscire a dargli una forma ma avevamo una idea chiara: un giornale nuo- vo, libero e aperto. Ed adesso una forma ce l’ha ed è quella che gli avete data voi leori (o complici) e que- sto nostro figlio così facendo è diventato anche un po’ puana. Intendiamoci, nel senso buono: passa sempre di più da persona a persona. Smola amore e passio- ne o disprezzo oppure indifferenza. E siamo conten di questo. Un anno fa i proposi erano buoni, nelle riunioni fae in frea e in furia in un caffè o raccol- in una scalinata, ma nessuno di noi poteva pensare che fosse andata così. La quantà di pagine è cresciuta sempre di più, i leori pure, così come sono cresciu pure i non simpazzan. E di ques molte volte ne sia- mo orgogliosi, perché abbiamo scelto di fare un gior- nale che raccontasse, con i nostri occhi, la realtà senza compromessi e promeendoci assoluta indipendenza economica e polica (che non significa non prendere posizione). Sembra che ci siamo riusci. Siamo, davve- ro, conten di non essere soli dopo un anno e di essere riusci, al contrario della migliore previsione, a far di- ventare Il Clandesno un punto di riferimento per chi nel nostro territorio ha qualcosa da dire o qualcosa per cui loare. Ci fa piacere che si vedano queste pagine come un luogo aperto, accessibile a tu, dove poter dire la propria liberamente. Speriamo di non stancarvi con questo editoriale che potrebbe scadere in un triste trionfalismo ma anche in questo siamo come dei geni- tori che stravedono, quasi morbosamente, per loro fi- glio. Ma per un genitore, si sa, ci sono pure le speranze per il futuro del figlio: “u travagghiu”, “u piezzu i caa”. Noi abbiamo altri sogni per nostro figlio: lo immaginia- mo più radicato nei nostri quareri, lo sogniamo più presente tra i lavoratori e gli studen. Non vogliamo essere un giornale di elite, non servirebbe a niente un giornale autoreferenziale, ma vogliamo connuare a camminare, tra mille ostacoli, sulla strada che ci por- ta a fare del Clandesno un giornale popolare. E per giornale popolare intendiamo un giornale che sia leo da tu, indifferentemente da ceto, lavoro ed età. È un sogno, ancora non totalmente realizzato, ma abbiamo anche scoperto che i sogni, se ci credi, possono anche realizzarsi. E noi connuiamo a crederci. Auguriamo al- tri cento anni a questo nostro, vostro figlio e ci regalia- mo ( o meglio ce lo regala il pografo) questo numero speciale a colori, con un poster da ritagliare nell’ul- ma pagina. Scusate se vi abbiamo annoiato ma siamo davvero conten. Speriamo di rincontrarci ancora. Treppiedi Nord, un quarere abbandonato a se stesso. Ecco cosa c’è tra quei palazzi e come ci vivono i residen. Pagg. 3-4-5 Affare rifiuti Intervista a Nino Gerratana Pag. 6 È oramai quasi un anno che non abbiamo più davan ai nostri occhi la stessa L’Aquila, la stessa Paganica, ma soprauo è quasi un anno che noi non siamo più le stesse persone: abbiamo sperimentato cosa significa la precarietà, nonostante il meraviglioso sostegno, di ogni po, che abbiamo ricevuto dal 6 aprile in poi. Purtroppo non tu hanno colto quest’opportunità per fare un au- tenco cambio di direzione nella propria vita: il terremo- to, oltre alle macerie, non ha buato a terra l’egoismo e la sete di potere e denaro di mol, aquilani e non. Non è per geare discredito a man bassa su chiunque, ma semplice- mente per far emergere la gravità di comportamen così ingiusficabili che hanno trovato modo di farsi strada, più o meno palesemente, anche in questa circostanza. Di quan hanno perso la propria abitazione, circa tredicimila sono già state alloggiate nel- le abitazioni del progeo CASE, altri nei moduli abitavi provvisori, mentre mol- , spesso anche in troppo tenera età, vivono da pendolari tra la nostra zona e le località cosere nelle quali, per lo più, sono ancora ospita negli alberghi. Segue pag.5 È in fermento, in ques giorni, il comparto agricolo Ragusano in aesa dell’imminente proposta di una prima ipotesi di perimetrazione del Parco Nazionale degli Iblei che dovrebbe arrivare entro il 30 Aprile, come convenuto in un incontro, tenutosi il mese scorso, tra il Ministro dell’ambiente e i rappresentan delle istuzioni locali. Nel 2007, il 26 di oobre, era stata approvata in via definiva dal Parlamento la legge n° 3194, che, all’arcolo 26, comma 4 nonies, istuiva il Parco Nazionale degli Iblei. Passo successivo, sancito dalla legge, era quello dell’is- tuzione dei comita promotori con il compito di indivi- duare le aree di interesse e definire una perimetrazione del parco. Ed è a questo punto che la grande macchina burocracoamministrava si inceppa. Numerose propo- ste ed ipotesi, il più delle volte confu- se, hanno dato adito a feroci forme di demagogia e di terrorismo mediaco, da un lato, dall’altro, la scarsa quan- tà di informazioni, e la scarsa a- tudine ad informarsi da parte di is- tu, istuzioni e ciadini ha favorito l’insinuarsi di perplessità e di mori. Segue pag. 6 Ecco come stiamo adesso Lettera dall’Abruzzo Federico Palmerini Continua il dibattito Parco degli iblei: demagogia o paura? Davide Guglioa CON PERMESSO DI SOGGIORNO Anno 02 n.1 Marzo 2010 WWW.ILCLANDESTINO.ORG Prezzo 1€ Migranti Il caso di don Carlo D’Antoni Pag. 7 Cultura Giuseppe Raniolo Pag. 12 Direore Responsabile: Giuseppe Gurrieri. Redazione: Angela Allegria, Giovanni Lonico, Marcello Medica, Stefano Meli, Piero Paolino, Salvatore Puma, Francesco Ruta, Gior- gio Ruta. Collaborano: Federico palmerini, Gianluca Floridia, Davide Gu- glioa, Piergiorgio Barone, Massimiliano Perna, Rosa Cerruto, Sal- vatore Zocco, Graziana Iurato, Fama Palazzolo, Enzo Ruta, Marco Formica, Paola Fidone, Collevo redazionale di Vioria, Andrea Agosta, Floriana, Enzo, Mariagrazia, Luana, Gabriella, Angelo, Giorgio. Grafica e impaginazione: Salvatore Puma, Giorgio Ruta.

Il clandestino

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con permesso di soggiorno. Numero speciale un anno

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Page 1: Il clandestino

Gli abbandonati- Mensile d’informazione

IL CLANDESTINO

L’editoriale

Un annoLa redazione

Il Clandestino per molti di noi è come un figlio, un fi-glio che ogni mese rinasce. Un figlio voluto consape-volmente e che si aspetta con grande entusiasmo.

Lo pensi, lo attendi, t’incazzi e poi una volta sfornato, ancora caldo dalla tipografia, lo culli tra le tue braccia con un sorriso di soddisfazione. E si sa, i figli bisogna pure festeggiarli e adesso ci tocca preparare le cande-line, una torta e soffiare augurando buon compleanno al Clandestino. Un anno. Un anno che sembrano cento, non certo per il brio perso ma per l’intensità di dodi-ci numeri e di quello che rappresentano. Ci abbiamo creduto in questo giornale, lo abbiamo fatto, forse da irresponsabili ma non siamo affatto pentiti. Lo aveva-mo pensato e immaginato senza riuscire a dargli una forma ma avevamo una idea chiara: un giornale nuo-vo, libero e aperto. Ed adesso una forma ce l’ha ed è quella che gli avete data voi lettori (o complici) e que-sto nostro figlio così facendo è diventato anche un po’ puttana. Intendiamoci, nel senso buono: passa sempre di più da persona a persona. Stimola amore e passio-ne o disprezzo oppure indifferenza. E siamo contenti di questo. Un anno fa i propositi erano buoni, nelle riunioni fatte in fretta e in furia in un caffè o raccol-ti in una scalinata, ma nessuno di noi poteva pensare che fosse andata così. La quantità di pagine è cresciuta sempre di più, i lettori pure, così come sono cresciuti pure i non simpatizzanti. E di questi molte volte ne sia-mo orgogliosi, perché abbiamo scelto di fare un gior-nale che raccontasse, con i nostri occhi, la realtà senza compromessi e promettendoci assoluta indipendenza economica e politica (che non significa non prendere posizione). Sembra che ci siamo riusciti. Siamo, davve-ro, contenti di non essere soli dopo un anno e di essere riusciti, al contrario della migliore previsione, a far di-ventare Il Clandestino un punto di riferimento per chi nel nostro territorio ha qualcosa da dire o qualcosa per cui lottare. Ci fa piacere che si vedano queste pagine come un luogo aperto, accessibile a tutti, dove poter dire la propria liberamente. Speriamo di non stancarvi con questo editoriale che potrebbe scadere in un triste trionfalismo ma anche in questo siamo come dei geni-tori che stravedono, quasi morbosamente, per loro fi-glio. Ma per un genitore, si sa, ci sono pure le speranze per il futuro del figlio: “u travagghiu”, “u piezzu i catta”. Noi abbiamo altri sogni per nostro figlio: lo immaginia-mo più radicato nei nostri quartieri, lo sogniamo più presente tra i lavoratori e gli studenti. Non vogliamo essere un giornale di elite, non servirebbe a niente un giornale autoreferenziale, ma vogliamo continuare a camminare, tra mille ostacoli, sulla strada che ci por-ta a fare del Clandestino un giornale popolare. E per giornale popolare intendiamo un giornale che sia letto da tutti, indifferentemente da ceto, lavoro ed età. È un sogno, ancora non totalmente realizzato, ma abbiamo anche scoperto che i sogni, se ci credi, possono anche realizzarsi. E noi continuiamo a crederci. Auguriamo al-tri cento anni a questo nostro, vostro figlio e ci regalia-mo ( o meglio ce lo regala il tipografo) questo numero speciale a colori, con un poster da ritagliare nell’ulti-ma pagina. Scusate se vi abbiamo annoiato ma siamo davvero contenti. Speriamo di rincontrarci ancora.

Treppiedi Nord, un quartiere abbandonato a se stesso. Ecco cosa c’è tra quei palazzi e come ci vivono i residenti.Pagg. 3-4-5

affare rifiutiIntervista a

Nino Gerratana

Pag. 6

È oramai quasi un anno che non abbiamo più davanti ai nostri occhi la stessa L’Aquila, la stessa Paganica, ma soprattutto è quasi un anno che noi non siamo

più le stesse persone: abbiamo sperimentato cosa significa la precarietà, nonostante il meraviglioso sostegno, di ogni tipo, che abbiamo ricevuto dal 6 aprile in poi. Purtroppo non tutti hanno colto quest’opportunità per fare un au-tentico cambio di direzione nella propria vita: il terremo-to, oltre alle macerie, non ha buttato a terra l’egoismo e la sete di potere e denaro di molti, aquilani e non. Non è per gettare discredito a man bassa su chiunque, ma semplice-mente per far emergere la gravità di comportamenti così ingiustificabili che hanno trovato modo di farsi strada, più o meno palesemente, anche in questa circostanza. Di quanti hanno perso la propria abitazione, circa tredicimila sono già state alloggiate nel-le abitazioni del progetto CASE, altri nei moduli abitativi provvisori, mentre mol-ti, spesso anche in troppo tenera età, vivono da pendolari tra la nostra zona e le località costiere nelle quali, per lo più, sono ancora ospitati negli alberghi.

Segue pag.5

È in fermento, in questi giorni, il comparto agricolo Ragusano in attesa dell’imminente proposta di una prima ipotesi di perimetrazione del Parco Nazionale

degli Iblei che dovrebbe arrivare entro il 30 Aprile, come convenuto in un incontro, tenutosi il mese scorso, tra il Ministro dell’ambiente e i rappresentanti delle istituzioni locali. Nel 2007, il 26 di ottobre, era stata approvata in via definitiva dal Parlamento la legge n° 3194, che, all’articolo 26, comma 4 nonies, istituiva il Parco Nazionale degli Iblei. Passo successivo, sancito dalla legge, era quello dell’isti-tuzione dei comitati promotori con il compito di indivi-duare le aree di interesse e definire una perimetrazione del parco. Ed è a questo punto che la grande macchina burocraticoamministrativa si inceppa. Numerose propo-

ste ed ipotesi, il più delle volte confu-se, hanno dato adito a feroci forme di demagogia e di terrorismo mediatico, da un lato, dall’altro, la scarsa quan-tità di informazioni, e la scarsa atti-tudine ad informarsi da parte di isti-tuti, istituzioni e cittadini ha favorito l’insinuarsi di perplessità e di timori.

Segue pag. 6

Ecco come stiamo adesso

lettera dall’abruzzoFederico Palmerini

Continua il dibattito

Parco degli iblei:demagogia o paura?

Davide Gugliotta

CON PERMESSO DI SOGGIORNO

Anno 02 n.1 Marzo 2010WWW.ILCLANDESTINO.ORG

Prezzo 1€

MigrantiIl caso di

don Carlo D’Antoni

Pag. 7

CulturaGiuseppe Raniolo

Pag. 12

Direttore Responsabile: Giuseppe Gurrieri.Redazione: Angela Allegria, Giovanni Lonico, Marcello Medica, Stefano Meli, Piero Paolino, Salvatore Puma, Francesco Ruta, Gior-gio Ruta.Collaborano: Federico palmerini, Gianluca Floridia, Davide Gu-gliotta, Piergiorgio Barone, Massimiliano Perna, Rosa Cerruto, Sal-vatore Zocco, Graziana Iurato, Fatima Palazzolo, Enzo Ruta, Marco Formica, Paola Fidone, Collettivo redazionale di Vittoria, Andrea Agosta, Floriana, Enzo, Mariagrazia, Luana, Gabriella, Angelo, Giorgio.Grafica e impaginazione: Salvatore Puma, Giorgio Ruta.

Page 2: Il clandestino

Il 16 febbraio la località di Venaus (un posto più piccolo di Frigintini) in Valle Susa, pro-vincia di Torino, è assurta agli onori della

cronaca per l’ennesima violenta carica della polizia contro gli abitanti che da anni si oppon-gono alla costruzione della linea ferroviaria ad Alta Velocità. Questa lunga lotta rappresenta l’esempio di come una comunità possa avere a cuore le sorti del proprio territorio, anche a costo di sfidare i colossi degli appalti per le Grandi Opere, i mass media, la Regione (centro-sinistra) e il Governo. Per capire le ragioni di questa popolazione bisogna sapere che il luogo dove vive è una valle sacrificata agli interessi della mobilità e della modernità; nei punti più stretti non è larga nemmeno un chilometro, ma vi si snodano una linea ferroviaria, una strada statale, un’autostrada, un elettrodotto e il fiume Dora. Il tracciato dell’Alta Velocità sarebbe l’ultimo sacrificio richiesto ad un territorio fortemente inqui-nato dai TIR, privato di parte del suo spazio, ridotto a corridoi ristretti, in preda a rumori e caos veicolare. In Valle Susa presìdi permanenti sono ovunque, come bandiere e scritte NO TAV. Grazie a questa strenua resistenza, che ha visto le genti della valle impedire anche fi-sicamente l’inizio di qualsiasi genere di lavori, il progetto distruttivo e nocivo (perforare le Alpi con una galleria di oltre 50 km, riportare i materiali all’esterno, compreso l’amianto che giace nelle viscere dei monti), non è riuscito ancora a decollare. Il NO alla TAV non è un fatto chiuso ed egoistico come si vorrebbe far credere. Studiosi e tecnici da tempo indicano nell’alternativa del potenziamento dell’attuale linea ferroviaria Torino-Modane, oggi sottou-tilizzata, il modo per far transitare i treni da e per la Francia. La comunità valsusina inqua-dra quanto le sta accadendo in una precisa strategia speculativa pianificata dall’Alto, per costruire opere fini a se stesse ma in grado di far guadagnare enormi fortune alle lobby im-prenditoriali (sempre le solite dalla Valle Susa al Gran Sasso, dal Ponte sullo Stretto all’Aquila ecc.). E infatti è diventata punto di riferimento per tutti quei movimenti che agiscono in tante parti d’Italia a difesa dei territori minacciati da

mega-progetti distruttivi. Quando si doveva fare la discarica di rifiuti speciali a Scanzano, i valsusini hanno occupato più volte i binari in solidarietà; tre anni fa sono venuti in 500 a manifestare a Messina contro il Ponte. E’ un popolo che ha ripreso in mano il proprio destino e sta agendo in prima persona, senza farsi intimorire dalle denigrazioni a mezzo stampa o dalle violenze della polizia. La lezio-ne morale e politica, che ci giunge da questa valle piemontese è grandissima. Pensiamo solo per un momento se anche qui da noi ci si fosse mossi a difesa territorio con la stessa passione e dignità; forse ci saremmo evitati lo scempio urbanistico e la lenta agonia delle nostre infrastrutture; ma anche, sicuramente, il teatrino di una combriccola di politicanti che da anni rubano la scena ai veri protago-nisti: i cittadini, costretti al ruolo di clienti e mendicanti di favori. L’11 novembre 2006 la marcia da Modica a Ragusa “per una ferrovia moderna” rappresentò l’ultimo sussulto di un

movimento che per anni aveva lanciato allarmi sullo smantellamento del siste-ma ferroviario nel Sud-Est siciliano; complessivamen-te si mobilitarono qualche centinaio di persone. Poi ci fu chi, dentro il movi-mento, impose la rottura

per poter meschinamente assicurarsi una egemonia sindacale su una parte dei ferrovieri; mentre ai politici non parve vero di togliersi di mezzo quei rompi-scatole che esigevano una ferrovia moderna. Sul manifesto d’indizione v’erano le foto di un treno veloce, con la scritta: lì 300 km/h, e di una nostra “littorina” con scritto: qui 60 km/h. Non si trattava di invidia per l’Alta Velocità, ma della denuncia del sottosviluppo di tipo coloniale che subiamo, purtroppo passiva-mente. Giorni fa Mauro Moretti, gran capo del gruppo FS, ha annunciato un futuro siciliano anche per la TAV, ma passando per il Ponte sullo Stretto. Senza dire quando né come, ha, di fatto, dichiarato: o vi mangiate questa mine-stra (ferrovie arretrate) o vi buttate da quella finestra (o da quel ponte). Condannandoci al sottosviluppo perenne. A meno che non impa-riamo bene la lezione della Valle Susa.

“è un popolo che ha ripreso in mano il proprio

destino”

Morti sullavoro

Dall’inizio dell’anno ad ora,

per lavoro,ci sono:

149 morti149070 infortuni

3726 invalidi

L’espansionismo dei Calta-girone in Sicilia, la gestione dei rifiuti nella provincia di Messina, l’assalto ai Parchi iblei, il processo alla più potente famiglia di Tra-pani, quella del senatore D’Alì, la nascita di coope-rative di operai che gestiscono aziende siciliane. Queste alcune delle inchieste raccolte nel nuovo inserto di Left che da questo mese ospita il primo numero del mensile siciliano “L’isola possibile”.

Opinioni e News

l’isola possibilecon left

Questo il titolo dell’ulti-mo libro di Pippo Gurrieri, edito da BFS edizioni Pisa. Gurrieri, direttore di questo giornale e di SiciliaLi-bertaria affronta il tema dell’anarchia. Nel corso di un’ipotetica giornata, incalzato dalle domande della figlia, un padre affronta con sincerità intellettuale e innegabile passione politica i temi che da sempre animano il dibattito e l’azione degli anarchici.

l’anarchia spiegata a mia figlia

Secondo il CorrierediRagu-sa.it il quotidiano diretto da Caso è difficilmente trovabile nelle edicole. Inoltre, l’articolo a firma di Antonio Di Raimondo sottolinea l’incasso da parte del gruppo editoriale, tra cui risulta il Gruppo Minardo, di un contributo pubblico pari a 2.000.000 di euro circa. Dubbi pure i criteri che hanno favorito il sostanzioso contributo al quotidiano “Il Clandestino”.

il quotidia-no il Clan-

destino: Wanted

la lezione dellaValle Susa

L’angolo del direttore di Pippo Gurrieri

Esistono nella pubblica amministrazio-ne documenti, casellario giudiziale, atti di polizia giudiziaria, atti pro-

cessuali di procedimenti giudiziari, anche quelli che si concludono con l’assoluzione, buoni per ricostruire la storia dei pregiudi-zi penali di ogni persona. Ovviamente non ci interessa più di tanto la fedina penale di questo o quell’altro; problemi loro, ci interessano, invece, quelle di coloro i quali concorrono a determinare la fedina politica della classe politica. La fedina pe-nale della classe politica non è la semplice sommatoria delle fedine penali dei singoli politicanti, infatti, essa si astrae da esse per assumere una dimensione autonoma e complessiva e diviene capace di disegnare la identità culturale della sedicente ”aristo-crazia” che ci governa. Il potere utilizza con efficacia i molti strumenti di cui dispone per far si che il tempo copra la memoria, noi dobbiamo opporci. Ecco perché io propongo a “Il Clandestino” di redigere e tenere aggiornata “La fedina penale della casta politica modicana”. Nello redigere la fedina penale, sarà sufficiente indicare solo la natura del pregiudizio perché non c’è modicano che non sappia collegare il reato a chi l’ha commesso, considerato che il nostro obiettivo è quello di mettere sotto accusa una cultura ed una qualità politica non delle persone. Accanto al pregiudizio penale occorre aggiungere il pregiudizio di transumanza ovvero quella idea del politi-cante di saltare nel carro del vincitore, tara mentale che non è meno grave, a livello di qualità politica, della violazione di leggi penali, infatti in entrambi i casi è assente il governo della cosa pubblica e l’interesse per la Comunità. E’ presente solo l’interes-se privato del politicante che lo esercita o con distrazione materiale di soldi pubblici o con voglia di grandezza o per smania di potere o per innata idiozia politica. Il progetto potrebbe prevedere la istituzione de “Il giorno dello sciacallo” in un giorno dell’anno da individuare. In tale giorno po-trebbe essere presentato e distribuito un “Annuario delle qualità penali e di coeren-za culturale e politica della Casta politica modicana”. In maniera asettica l’”Annua-rio” dovrebbe riportare tutti i pregiudizi

penali conseguiti dai politicanti nell’eser-cizio delle loro funzioni ed i vari cambi di casacca. Senza riportare nessun nome dei politicanti colpevoli anche per non togliere ai modicani il piacere di cercare di affian-care al reato il nome del politicante che lo ha commesso. Ovviamente nel tempo ogni “Annuario” dovrebbe riportare, come ricordo storico, delinquenti politici e vol-tagabbana di sempre. Come avviene per il casellario penale si potrebbe prevedere che, su richiesta dell’interessato si po-trebbero cancellare, dai futuri “Annuari” le vicende a lui collegabili e che lo indivi-duano come delinquente politico o come voltagabbana, previo sottoscritto impegno a lasciare l’attività politica per dedicarsi ad altro. Per favorire questo progetto sugge-riamo noi una prima bozza di “La fedina penale della casta politica modicana”. Condanna per peculato ed interdizione perpetua dai pubblici uffici. Condanna per falso ideologico ed interdizione tempora-nea dai pubblici uffici. Diciannove richieste di rinvio a giudizio per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di dena-ro e alla concussione; Minaccia di querela di un onorevole nazionale condannato per peculato ad un collega della regione Sicilia che lo ha accusato di essere titolare in Roma di una “società di comodo”; Blogghista querelato da un ex assessore del Comune per diffamazione; Querela per diffamazione di due politici di livello comunale contro due giornalisti, per aver scritto che i due denuncianti si sarebbero fatti “acquistare” dallo stesso onorevole, che, per restare nel dominio del mercato delle vacche, a sua volta aveva minacciato di querela un suo collega onorevole regio-nale che lo aveva accusato di “comprare” politici; Avviso di garanzia ad un onorevole per gestione clientelare delle autostrade siciliane; Associazione per delinquere fina-lizzata alla truffa e alla truffa aggravata in danno dello Stato. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ed estorsio-ne. Diciannove richieste di rinvio a giudizio per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro e alla concussione.

istituiamo “il giorno dello sciacallo”

ModiCaIl consiglio Comunale di Modica si schiera per l’acqua pubblica

L’opinione di Carmelo Modica

Pagina 2 Il clandestino

ModiCaAumenta la protesta

per le buche sul manto stradale

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Page 3: Il clandestino

Storie e volti di chi vive a treppiedi nord

i RaGazzi dEl bRonxGiorgio Ruta

Volevamo parlare di Treppiedi Nord e di clientelismo, di malapolitica e di arroganza, ma in questa inchiesta ci

siamo imbattuti in qualcosa di più impor-tante, qualcosa che dovrebbero vedere tut-ti per sapere Treppiedi Nord cos’è: i volti, le voci dei ragazzi del quartiere, i “picciotti ro bronx”, così li chiamano. Ci hanno colpito con la loro fierezza e i loro musi duri, e al-lora ci siamo chiesti perché non far parlare loro del quartiere dove vivono, chi meglio di loro conosce ogni emozione, ogni centi-metro di questo agglomerato di palazzi? E i ragazzi lo hanno fatto molto bene, han-no dimostrato di saper raccontare il loro quartiere molto meglio dei loro genitori. Questi restii a parlare e comprensivamen-te rassegnati allo stato delle cose. “meglio non parlare di questo posto”, sostiene sbuffando un signore sulla quarantina, “intanto tutti i stissi su, sia a destra ca a sinistra”, incalza una vecchietta che con la schiena curva torna a casa dal super-mercato. La rassegnazione si sente forte appena entri in questo posto, la senti e la capisci. La capisci perché appena t’infili tra questi palazzi capisci che questo è un altro mondo, sembra di stare in un altro paese. Il degrado è forte ed è questo che delinea la differenza con la città del resto dei modicani. Il disagio ha ucciso la spe-ranza di molti qua dentro. Ma al contrario dei loro genitori Ruben, Luca, Aurora, Ga-briele non hanno perso la speranza. Sono lì con la loro età, quella in cui si gioca e si rigioca senza sosta. E anche loro giocano, tirando calci ad un pallone o giocando a

palla avvelenata nella piazzetta interna con i ragazzi della Cooperativa L’Arca, che han-no portato avanti un progetto da Agosto a Dicembre e spinti dalle risposte dei ragaz-zi hanno continuato. Marcello, dell’Arca, ci parla di una cosa tanto strana quanto stupenda: l’integrazione che c’è tra questi palazzi tra i più piccoli e i più grandi, tra il bianco e il nero. I ragazzi ci fanno scuola su questo, come lo fanno su molto altro. Loro, i ragazzi, sono arrabbiati, pretendono qual-cosa di più, sanno che meritano quanto gli altri. “A me piacerebbe avere un campo di calcio vero, qui dobbiamo giocare con le pietre come porta ed è pericoloso” fa no-

tare Andrea, poi c’è Giorgio che vuole più sicurezza perché “qui se vuoi uscire la sera devi stare attento” e c’è chi racconta pure di tantissimi furti che avvengono tra i palaz-zi. “Vengono da fuori per rubarci e questo lo possono fare perché non c’è illuminazio-ne qui”. Ma i racconti che giungono alle nostre orecchie sono anche più duri: c’è chi parla di pedofili che aspet-tano, nudi, i bambini dentro gli ascensori. L’attenzione deve restare alta, stiamo parlando di presunti pedofili. Paola, Andrea, Giorgio e gli altri sono bambini, ragazzi che sembrano più grandi

dei loro genitori, si pongono forti e decisi, e un po’ diffidenti, raccontandoti la realtà che ogni giorno toccano con mano, capen-do perfettamente che dall’esterno loro sono “i picciotti ro bronx”. Giorgio stupito racconta che “quando dico di venire dal Bronx i ragazzi mi guardano diverso, un po’ impauriti”, ma vi assicuro che sono come i ragazzi di una “vanedda” di Modi-ca Alta o di una piazzetta del corso e que-sto loro lo sanno bene, come dice Andrea “noi siamo uguali agli altri, non capisco perché ci vedono diversamente”. Sono uguali agli altri ma vivono nei “bronx” e questo ti marchia per tutta la vita, li mar-chia inconsapevolmente perché non han-no scelto loro di vivere lì tra muri sgre-tolati, vetri sfondati e recinti. Si recinti, “sembra che abbiamo l’aviaria con queste transenne” dice divertito Giorgio. Ed ha ragione. Le reti, il degrado, il disagio fa di queste persone, di questi ragazzi degli appestati. Appestati da un’assenza palese dello stato. Appestati per colpe non loro, appestati perché la politica li ha molte vol-

te dimenticati. Non vi dimenticate di loro.

Treppiedi nord, un mondo a sè. Un quartieredegradato, abbandonato o sfruttato dalla politi-ca dove i ragazzi sognano sicurezza, pulizia e so-prattutto un futuro migliore. “Siamo uguali agli altri ragazzi” dicono loro, e allora perchè sono

stati dimenticati?

CRESCERE G i o Ca n d o

La cooperativa Arca ha operato a Treppiedi Nord da Agosto a Dicem-bre con un progetto ufficiale. Alla scadenza i ragazzi della cooperativa hanno deciso di continuare l’attività. Lo hanno potuto fare grazie all’aiuto della Caritas e del Comune di Modi-ca. A Giugno dovrebbe essere attivo un altro progetto per intervenire sul quartiere. La cooperativa agisce con quattro operatori attraverso attività ludiche rivolte ai ragazzi. Questi sono riusciti ha conquistare pure una pic-cola, ma accogliente, stanzetta in uno degli stabili. Tra i progetti dell’Arca c’è anche quello di oltrepassare l’attività meramente ludica per compiere lavo-ri mirati ad una presa di coscienza dei ragazzi del quartiere. E inoltre, si spe-ra in un coinvolgimento nelle attività dei genitori dei ragazzi e dei bambini.

Vuoi spaerne di più?

andrea Sortino è accusato di due truffe

arrestato un dipendente delComune di Modica

Francesco Ruta

Sono arrivate le manet-te per Andrea Sortino, dipendente dell’ufficio

edilizia residenziale pubbli-ca del Comune di Modica. L’anziano impiegato nel 2009 ha truffato un uomo di ottant’anni e una donna con gravi problemi di salu-te. Approfittando della sua posizione all’interno dell’uf-ficio di edilizia residenziale l’uomo ha intascato ai dan-ni delle vittime, una somma pari a 3500 euro circa, rica-vata dalla truffa. La prima vittima, l’ottantenne, è sta-

ta invitata ad acquistare la casa affidatagli dal comune, ma i soldi sono finiti nelle tasche del dipendente, in-fatti la vittima ha dovuto firmare successivamente un contratto che prevedeva un mutuo di 4 anni da pa-gare. La seconda vittima, un donna con problemi di salute, aveva accettato l’offerta di Sortino di sbri-gare delle faccende buro-cratiche relative alla sua abitazione, inoltre la don-na aveva consegnato cir-ca 950 euro al truffatore,

somma utile al pagamento di alcune riparazioni dome-stiche, che però aveva inta-scato, anche questa volta, il dipendente modicano. Entrambe le vittime non avevano denunciato subi-

to gli accaduti, decidendo di tenere tutto in segreto. Ma purtroppo per il “bril-lante” truffatore da quattro soldi sono scattate le ma-nette e gli sono stati con-cessi gli arresti domiciliari.

Il clandestino Pagina 3

Page 4: Il clandestino

inciviltà, vandalismo e immobilismole cause dei tanti problemi esistenti e irrisolti

bEnVEnUti nEl qUaRtiEREdEGRadato E diMEntiCato

Marcello Medica

Treppiedi Nord, ovvero una delle aree più degradate e ab-bandonate della Città della

Contea. Qui le costruzioni, di edilizia popolare, risalenti agli anni settanta-ottanta, versano in uno stato di forte precarietà e degrado col permanen-te rischio, tra l’altro, che alcuni pezzi di pareti e soffitti vengano giù da un momento all’altro con tutte le conse-guenze possibili e immaginabili. Noi, attrezzati di fotocamera, ci siamo re-cati sul posto ed abbiamo purtroppo verificato con amarezza, da un lato, l’inciviltà e il vandalismo della gen-te e, dall’altro lato, l’immobilismo di chi, nel corso del tempo, avrebbe dovuto porre rimedio a quelle che sono delle vere e proprie emergen-ze ed invece non si è mosso più di tanto e i problemi, di contro, si sono sempre più acuiti. Lo Iacp (Istituto autonomo case popolari) di Ragusa si è limitato in alcuni casi, infatti, a rattoppare giusto perché si evitasse il peggio rispetto a quanto già acca-duto. Non è la prima volta che qui intere parti di soffitto vengono giù, distruggendo persino le autovetture parcheggiate nei locali sottostanti gli edifici che fungono da garage. Il nostro viaggio inizia dalla parte nord, proprio dove sorgono quei fa-mosi scheletri di edifici mai comple-tati e che attendono, ormai da anni, di essere abbattuti, tutti sperano quando finalmente prenderà il via l’ormai noto Contratto di Quartiere II. Cominciamo a addentrarci nell’area ed ecco che ci appaiono subito sugli edifici i segni del degrado nelle facciate ester-ne, dove gli intonaci, che si sono nel corso degli anni sgretolati, hanno scoperto le impalcature di ferro e in alcuni casi anche le travi portanti. Ci incamminia-mo tra le auto parcheggiate nei locali sottostanti e sopra il nostro capo scorgiamo la rete di protezione fissata sul soffitto che dovrebbe temporaneamente evitare che gli intonaci cadano, rovinando sulle auto e sulle persone, ma le cose qui, da temporanee di-ventano presto definitive e, col passare del tempo e col peso, alcune parti di tale protezione sono venute giù, mentre le altre sono diventate rifugio di piccioni e quant’altro, acuendo lo stato di precarietà e abban-dono di tali luoghi dove anche l’igiene è diventata un optional. Tra la rete di recinzione, volta a delimitare le aree soggette ai crolli, infatti, è facile scorgere ri-fiuti e sporcizia accumulati da tempo, segno che qui ognuno si permette di fare ciò che vuole senza alcun rispetto dell’ambiente e degli altri inquilini; tutto ciò

è favorito anche dall’assenza quasi totale degli Enti competenti. A dimostrazione di ciò, diverse carcasse d’auto, che fanno da decoro al già triste spettacolo descritto, giacciono abbandonate da mesi senza che nessuno sia ancora intervenuto per rimuoverle. Ci in-contra una signora, la quale ci invita a fotografare dei piccioni all’interno della rete di protezione, manife-standoci tutta la sua preoccupazione per la sporcizia presente, per le conseguen-ti malattie che possono insorgere e per lo stato di abbandono in cui versano gli edifici e rassegnata ci dice che “qui non è mai stato fatto niente e niente si farà”. Noi le abbiamo promesso che avremmo fatto la nostra parte, denunciando tutto quanto all’opinione pubblica e interpel-lando gli Enti competenti sulle respon-sabilità e sugli impegni. Usciamo allo scoperto e notiamo che gli spazi verdi di una volta non esistono più, al loro po-sto, invece, erbacce e rifiuti di ogni ge-nere. “La gente qui – ci dice un passante del luogo – butta persino la spazzatura dalle finestre”. Il risultato è sotto gli oc-chi di tutti: ci sono spazi che sono inac-cessibili anche agli adulti, figuriamoci a chi, come i bambini, li dovrebbero uti-lizzare per giocare. Un tale che abbiamo incontrato ci racconta che lui questi enormi edifici li ha visti co-struire e che a suo tempo la gente era entusiasta di avere finalmente una casa, ma oggi, dopo decenni di abbandono e senza i dovuti interventi, tutta l’area è diventata invivibile e anche pericolosa. Tutto ciò sem-bra veramente un’assurdità, specie se si considera l’estrema vicinanza al modernissimo polo commer-ciale; ma qui, purtroppo, sorge e permane una triste realtà che fino ad oggi nessuna gestione dello Iacp è riuscita a migliorare, ma che tanti sperano possa

essere finalmente cambiata dalle im-ponenti opere previste nel Contratto di Quartiere II, sempre che un giorno prenderà il via. In merito allo stato di forte degrado che permane nell’area e sulle prospettive di valorizzazione e sviluppo, legate soprattutto al pre-visto avvio del Contratto di Quartiere II, abbiamo sentito il presidente dello Iacp, Giovanni Cultrera, il quale ci ha riferito che: “L’Istituto sta cercando di garantire e realizzare tutti quegli in-terventi atti a preservare l’incolumità fisica degli inquilini, nonché tutte le misure necessarie alla preservazione strutturale degli edifici; tutto ciò no-nostante i frequenti atti di inciviltà e vandalismo che, ad esempio, hanno costretto l’Istituto ad intervenire più volte per la sostituzione delle pompe antincendio così come dei citofoni”. In merito al Contratto di Quartiere II, il presidente Cultrera ci ha garantito che

l’iter sta procedendo con l’aggiudicazione, lo scorso 10 agosto 2009, dell’appalto al Consorzio Artigiano Edile di Comiso, anche se un ricorso al Tar di Catania, da parte di un consorzio d’imprese che aveva parte-cipato alla gara, sta, di fatto, rallentando l’aggiudica-zione definitiva dei lavori. Su tale vicenda, l’assesso-

re ai Lavori Pubblici del Comune di Modica, Giorgio Cerruto, ha dichiarato che: “La sospensiva del Tar è un intoppo nell’attesa che si pronunci l’Urega (l’Uffi-cio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici) che potrebbe riammettere l’impre-sa e dunque rendere vano il ricorso al Tar. Se l’Ure-ga riammettesse la ditta ricorrente – ha precisato l’assessore Cerruto – bisognerebbe riaprire la busta dell’offerta per verificare la congruità dei prezzi e se tutto fila liscio, potrebbe esserci solo un lieve ritardo rispetto alla prima calendarizzazione”.

Pareti e soffitti che cadono, sporcizia, immon-dizia, insomma tanto degrado. Ecco come è ri-dotta Treppiedi Nord. Il presidente dello Iacp,

Cultrera, e l’assessore comunale Cerruto garanti-scono e rassicurano. Bisogna fidarsi?

L’inchiesta

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Come sempre accade, a soccombere sono soprattutto i più deboli, in primis le persone anziane, cui si aggiungono i singles e le coppie ( nel territorio di Paganica circa duecento), che per vari motivi, tra cui i conteggi non effettuati nel migliore dei modi dalle autorità competenti, ancora fanno difficoltà a rice-vere gli alloggi antisismici che oramai da alcuni mesi attendo-no. È stato triste vedere come siano state spesso necessarie prese di posizione a dir poco dure da parte di alcuni cittadini nei confronti della Protezione Civile per ottenere quanto da tempo si sentivano promettere, ma è ancor più penoso pensa-re a quante persone, non difese da nessuno, si sono ritrovate soltanto a sorbire proclami e rassicurazioni infondati. In tut-to questo, però, non possono tacersi le responsabilità anche delle nostre amministrazioni locali, causa di molte lentezze

burocratiche e incompetenze che non poche volte hanno complica-to la vita a molti cittadini, orfani anche, in alcuni casi, di rappresen-tanti politici caparbiamente schierati dalla loro par-te. Se oramai per molti la prima

preoccupazione non è più avere un tetto sulla propria testa, lo è, invece, come por-tare da mangiare sotto questo tetto. Non lascia indifferenti la cifra attuale dei senza lavoro nella nostra provincia dell’Aquila: sedicimila persone, di cui ottomila in cassa integrazione, almeno fino a fine aprile. Trop-po spesso, anche qui, molti hanno dovuto fare i conti con una burocrazia che ha letteralmente tagliato le gambe a qualunque progetto per un nuovo percorso di lavoro, non essendo arrivato finora neanche un solo contributo per imprenditori. E la famosa ricostruzione? Ad oggi resta ancora soltanto materia di quisquilie, essendo-

ci notevoli ritardi anche nella risistemazione degli edifici solo parzialmente inagibili, per colpe imputabili, a dire delle ammi-nistrazioni locali, soprattutto alle imprese. Insomma, il quadro delineato sembra avere tratti tutt’altro che rosei: purtroppo

non credo tutto questo sia un’esagerazione, checché ne dica chi cerca di usarci per vantarsi di primati, ad-

dirittura mondiali, di interventi post-sismici. Quanto all’apparenza, ha senz’altro ragione!

Oltre a tutto questo, però, è giusto mette-re in luce anche la parte più viva di tutta questa realtà: quel “sottobosco” silenzio-so fatto di persone che con instancabile determinazione si ostinano a rimettere in

piedi pazientemente, pietra dopo pietra, le basi su cui rialzarsi per assicurare un fu-

turo al nostro territorio, non finalizzato sol-tanto a recuperare quanto si è perso, ma anche

progettando novità che ci permettano di crescere, la-sciandoci alle spalle anche tanti errori e incapacità del passato.

intervista al consigliere del Pdl Cavallino

“tREPPiEdi noRd diMEntiCata

da tUtti”Francesco Ruta

Un quartiere da sempre emarginato, deriso e a volte umiliato dai politi-ci che vanno, chiedono voti e non

si fanno più vedere. Un quartiere che at-tende da anni il “contratto di quartiere”, un progetto che secondo molti cambierà il vivere del quartiere e dei suoi abitanti. Sembra assurdo che si debba aspettare un contratto, un progetto per mettere mano al degrado, all’abbandono, alla fatiscen-za, a tante, tantissime situazioni limite. E’ assurdo che il quartiere Treppiedi Nord, a pochi passi da quello che è il cuore eco-nomico di Modica, rimanga isolato, ab-bandonato dalla politica, dalla cultura. C’è traccia di qualche associazione che lavora con progetti per i ragazzi o qualche altra associazione che si propone come centro di ascolto. Andando nel quartiere, per in-tervistare il consigliere del Pdl Cavallino, fautore dell’associazione “3 piedi sopra il cielo” incontro una famiglia che si lamenta per un cornicione crollato sulla loro terraz-za mentre la bambina giocava. A quanto pare si rischiano tragedie giornalmente e i politici e gli organi competenti stanno a guardare. Incontro due bambine dagli oc-chi vivissimi, che giocano, che si rendono complici nel gioco, che probabilmente an-cora non capiscono la gravità della situazio-ne in cui vive il quartiere. E quindi giocano, lo fanno da bambine, lo fanno perché sono bambine e hanno il diritto di farlo. Hanno il diritto di poter vivere nel quartiere senza avere paura, senza rischiare che un giorno gli possa cadere qualcosa dal balcone so-prastante. Secondo lei a cosa è dovuto il degrado del quartiere Treppiedi Nord?Le cause sono dovute a molti fattori che si protraggono negli anni, infatti non è una questione sociale che è scaturita negli ulti-mi anni. Fondamentale è stata la dimenti-canza delle varie amministrazioni succedu-tesi negli anni; la zona Modica Sorda non è stata realizzata in maniera congeniale, ma

in modo disorganizzato, al cui interno sono nati questi alloggi popolari e in particolare i “grattacieli”, che hanno creato un miscu-glio esplosivo al cui interno vivono 42 fa-miglie per ogni palazzina. Lo Iacp di Ragusa nel trascorrere degli anni ha anche contri-buito a non far rispettare le regole, infatti ci sono molti occupanti abusivi, ma anche da parte dell’Ente Comune sono mancati il controllo e la giusta assistenza. Aggiungo che la costruzione di questi alloggi non è stata congeniale e adatta secondo i margi-ni per la realizzazioni degli alloggi. Inoltre è mancata la mancanza di risorse erogate dallo Iacp e la totale assenza di dialogo tra Iacp e residenti, che per questo motivo si sono sentiti abbandonati e non ostacola-ti nel non rispettare le regole: molti non paga-vano l’affitto, altri non potendo pagare la luce si allacciavano abusi-vamente ai vicini. Oggi nella zona si deve anco-ra fare molto; si è data molta importanza al contratto di quartiere che doveva modifi-care l’aspetto sia strutturale che economi-co e culturale della zona, ma ad oggi, a cau-sa della burocrazia, non è ancora partito il contratto di quartiere. L’Istituto Autonomo Case Popolari non continua a fare i dovuti lavori perché non ha le risorse, il comune non ha fatto una task force per individuare le problematiche più importanti. Ad esem-pio, lo Iacp da circa un anno e mezzo ha cominciato un’azione per regolarizzare gli affitti e per sgomberare gli abusivi, quindi di fatto sta sanando le gravi situazioni nate negli anni, ma il Comune non ha un ufficio adatto che è in grado di assegnare nuove case a coloro i quali non hanno accesso allo Iacp. Ritengo che però siano stati fat-ti alcuni passi avanti. Io quando arrivai qui nel 1997 mi ricordo che i locali bassi veni-vano utilizzati per qualsiasi tipo di attività più o meno lecita, mentre oggi sono chiusi e sono assegnati. Un’inversione di marcia c’è, però c’è tanto da fare.Nel corso degli anni, e anche adesso, ab-biamo visto un isolamento di questa zona rispetto alla vita della città, mancando ini-ziative, attività e quant’altro. E’ cosi diffi-cile integrare il quartiere con il resto della

città?Penso che questa zona sia stata abbando-nata anche volutamente, perché quando si ha un bisogno ci si attacca alla qualsiasi cosa o a qualsiasi soggetto che promette. Penso che non ci sia stata la volontà di comprarsi questo grande problema, che è un proble-ma sociale. Dietro ogni famiglia ci sono dei bambini, delle persone che non lavorano e dunque tanti problemi economici e dunque tutto si ripercuote all’interno dell’ambiente in cui vivi. Io ho realizzato un’associazione: “Associazione 3 piedi sopra il cielo”, perché penso che il primo input propositivo debba venire dalla gente. Quest’associazione non ha un coloro politico, anche se è stata ide-ata da me, ma è aperta a tutti coloro che

vogliono organizzare un’iniziativa, portare avanti un progetto, tipo il dopo scuola per i bambini e tanto altro. L’associazione vuole essere anche un punto di riferi-mento per ascoltare

la gente. Lei prima parlava di problema abban-donato quasi volutamente. Secondo lei qualcuno ci specula sulle difficoltà del quartiere?Purtroppo nella vita si incontra gente che specula sulle difficoltà degli altri, sicura-mente c’è stato il disinteresse di molti, quasi a volere usare queste zone ghettizza-te come serbatoi di voti, e illudere durante le campagne elettorale la gente. Molti fan-no propaganda qui, ma poi quando giunge il momento di concretizzare tutto sfuma. Il contratto di quartiere cambierà la zona, ma al momento la situazione va a peggio-rare sempre di più, si continuano ad avere gli stessi problemi di sempre, continua a mancare un collante tra Iacp e Comune e tutto ciò crea l’abbandono di un quartiere. Secondo lei esiste il clientelismo in queste zone e in generale a Modica?Il clientelismo è facile da nominare, ma bisogna capire cosa si intende per cliente-lismo. Io sono uno di quelli che in questa zona ha sempre raccolto un numero im-portanti di voti, però per me il clientelismo è l’essere a disposizione della gente sem-pre, a qualsiasi ora del giorno e della not-

te, per qualsiasi cosa, anche quando non puoi dare una risposta, ma solo per avere un punto di riferimento. Poi quando chiedi alla gente un aiuto, questo ti viene ricam-biato in affetto e stima e puoi chiamarlo clientelismo. Se invece parliamo del clien-telismo becero, io ti do, se tu mi dai, non avviene solo in un quartiere come questo, ma dappertutto. Se da un lato si incolpano i politici di questo, io invito la gente comu-ne a cambiare la rotta perché se il cittadino non va dal politico per la cortesia, il politico non ha a chi farla la cortesia, cosi si rom-pe questa catena che purtroppo il politico spesso utilizza per fini elettorali. Io spero che il cittadino trovi la forza per dire basta e per votare secondo le proprie ideologie. Ritengo che venga utilizzato da molti, ma spero possa allontanarsi dalla nostra città.Mi ricordo che nella campagna elettora-le per le elezioni comunali del 2007 qui a Treppiedi venne Rita Borsellino e se non sbaglio qualcuno disse che la gente venne bloccata per impedire ai residente di assi-stere all’incontro.Mi ricordo benissimo perché fui accusato di aver bloccato la gente e venne detto anche su un palco durante la campagna elettora-le. Ci restai malissimo perché questa gente ha bisogno di molte cose, ma sicuramente è capace di intendere e di volere, e di ca-pire cosa deve fare e cosa non deve fare, e credimi che se i residenti di Treppiedi han-no da dirmi una cosa che non va lo fanno tranquillamente. Io non bloccherei mai la gente e loro mai si farebbero bloccare. Sul-la vicenda quello che penso è che i risultati si stanno vedendo: la signora Borsellino, persona stimabilissima che io apprezzo tantissimo era una signora X, che nessuno conosceva, una persona mai vista sul terri-torio. Perché veniva qua? Per vedere chi, le persone che stavano male e in difficoltà? E proprio in un periodo pre-elettorale? Il fatto è che io sono sempre qua, a disposi-zione della gente, mentre la signora non è più venuta. Tutti quelli che erano insieme alla Borsellino non sono più venuti. Questa amministrazione non è venuta qua. Allora dico al sindaco Buscema, di cui ho tanta sti-ma, perché non vieni e non ti conquisti la fiducia passo dopo passo?

Clientelismo, abbandono, miseria, ecco cosa ne pen-sa il consigliere comunale

Tato Cavallino

Ecco come stiamo adesso

lettera dall’abruzzoDalla prima

L’inchiesta

Il clandestino Pagina 5

“oggi nella zona si deve ancora fare

molto”

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Vincoli, vincoli, vincoli. Il timore innestato nella rosa dei col-tivatori e degli allevatori delle province di Siracusa, Ragusa e Catania (queste le province interessate dal parco) è quello di ricevere il definitivo colpo di grazia, attraverso eventuali vincoli e adempimenti scaturiti dall’istituzione del parco. Timori, oltre-tutto, comprensibili e giustificati dalla grave situazione di vicis-situdine che il settore agricolo e zootecnico, della nostra provin-cia, e non solo, sta vivendo in questo periodo. Lascia perplessi, invece, l’atteggiamento di “profeti” e “demonizzatori”, ai quali, sarebbe bastato, semplicemente, leggere il disegno di legge per rendersi conto che nulla era, ed è a tutt’oggi, stato stabilito in via definitiva, che non esiste ancora effettivamente un parco, se non sottoforma di proposta, e, di conseguenza, non sono anco-ra stabiliti vincoli. Anzi, i vincoli e le zone da vincolare si possono individuare attraverso la concertazione di tutte le parti interes-sate per trovare una linea convenevole a tutti. Sembra, inoltre, sconosciuto ai più, l’effettivo contenuto della proposta di peri-metrazione presentata che prevede una zonazione del parco in quattro aree (A,B,C e D) di cui solo la prima (A) sottoposta a stretto vincolo, ma ricadente interamente in zone demaniali e forestali o gia adibite a parco (es. parco archeologico di cava d’ispica) quindi già sottoposte a vincolo. Le restanti zone, sareb-bero sottoposte, perlopiù, solamente al vincolo paesaggistico (per quanto strettamente inerente agli insediamenti agricoli e zootecnici: […] “Nella zona B è consentito: a) esercitare, prose-guire, riattivare le attività agricole nelle aree già utilizzate a fini

agricoli. In tali aree è ammesso: lo svolgimento delle attività agricole e il mutamento di coltura, salvo il rispetto di vincolo paesaggistico, di cui alle leggi n. 1497 del 29 giugno 1939 e n. 431 dell’8 agosto 1985. Limitazioni o divieti conseguenti al ri-spetto delle leggi a tutela del paesaggio saranno associati a con-

tributi per i maggiori costi che gli agricoltori sono costretti ad affrontare; lo svolgimento di at-tività zootecniche, purchè non condotte su scala industriale;[…] la manutenzione, il restauro e la ristrutturazione di edifici rurali, mantenendone le caratteristi-che tipologiche della zona; la realizzazione di strutture edilizie (magazzini, deposito attrezzi,

cisterne, stalle ecc.) necessarie per la conduzione del fondo, utilizzando tipologie dell’architettura tradizionale e rurale iblea; la destinazione di immobili esistenti che abbiano idonea con-sistenza ad attività agrituristiche, nell’ambito delle disposizioni

legislative vigenti in materia.[…]). Nella zona D sono addirittura previsti insediamenti di tipo industriale. È dunque foriero di sub-dola demagogia, parlare di repressione della vocazione agricola e imprenditoriale della nostra provincia. Sospesa a mezz’aria, invece, quasi a voler fotografare la situazione attuale in un nulla di fatto che accomodi tutti, la posizione di chi, dichiarandosi fa-vorevole all’istituzione del parco, raccoglie firme per presentare una “istanza/proposta” di perimetrazione del parco circoscritta alle sole aree montane (al di sopra dei 650 m sul livello del mare) già soggette a vincolo. Sarebbe più opportuno effettuare uno studio sull’effettiva entità di un eventuale danno o svantaggio a scapito del comparto agricolo, mettendo tale svantaggio in re-lazione all’aiuto (già previsto per legge) stanziato per le attività penalizzate di questo comparto; mettere sulla bilancia pro e con-tro, mettere in chiaro quali possano essere i vantaggi apportati dall’istituzione del parco e che valore aggiunto, ammesso che ce ne sia, questo possa conferire ai nostri prodotti per renderli competitivi rispetto alle concorrenze extraeuropee. Ciò che ci si aspetta, dunque, dalle istituzioni, politiche e non, è un passo verso una generale responsabilizzazione. Bisogna abbandonare ogni logica politicizzante e avviare un processo di recupero della nostra economia che parta dal basso e che veda unite tutte le parti in causa. Che un tale processo passi attraverso il parco degli iblei oppure no conta ben poco; ciò che importa è che ogni scelta non sia indotta attraverso demagogiche speculazioni po-litiche, ma che scaturisca dalla piena consapevolezza dei fatti.

Nella seconda amministrazione Tor-chi, Nino Gerratana è stato asses-sore all’ecologia ed ha avuto a che

fare con tutti i problemi legati ai rifiuti soli-di urbani durante l’appalto della ditta Bus-so, la quale, pur in difetto dei requisiti ne ha gestito la raccolta. Alla luce della situa-zione presente e alla vigilia della discussio-ne in Consiglio comunale del nuovo bando sulla raccolta differenziata, l’ex assessore Gerratana, ha accettato di rispondere alle nostre domande.A Modica non si è mai presa una decisione definitiva sul tema rifiuti. Cosa si sarebbe

potuto fare negli ultimi anni per non arri-vare ad una possibile emergenza?Noi come Amministrazione passata, nel periodo in cui ero assessore, avevamo por-tato l’iniziativa della discarica a Modica in Consiglio comunale. Allora il Consiglio si era espresso: c’era stato un voto unanime del Consiglio comunale a parte il consiglie-re Nino Cerruto, se non ricordo male. Al-lora in Consiglio comunale non fu votata, tutti erano per non avere una discarica a Modica, ma è anche vero che oggi ci ac-corgiamo che comunque sarebbe stato un bene magari trovare un sito dove non ci siano abitazioni. Sarebbe stato comunque positivo, anche se oggi le discariche non sono la migliore soluzione.La discarica non può essere una soluzione praticabile a lugno, che altre soluzione si prospettano?Soluzioni alternative ce ne sono. Quando ero assessore avevo intrapreso un collo-quio con una ditta per poter realizzare un micro inceneritore, poi però si dimise Tor-

chi e io come assessore mi sono dimesso anche e non ho potuto portare avanti l’ini-ziativa. Il riciclaggio, la raccolta differenzia-ta è la migliore cosa.Perché solo adesso si è arrivato al nuovo bando per la raccolta differenziata?Non è vero che si è arrivati solo adesso a pensare alla differenziata perché con il sot-toscritto la raccolta differenziata andava, ora leggendo alcuni articoli nei quali si par-la che la raccolta differenziata è aumentata del 50% tutto è falso. Non è assolutamente vero. Se così fosse vuol dire che l’umido che andremmo a portare in discarica dovrebbe essere abbassato. Ho qui i dati che vanno dal 2006 ad oggi dai quali emerge che per quanto riguarda i rifiuti solidi urbani la media è sempre la stessa, circa 57/58.000 Kg al gior-no e non cambia. Se la raccolta differenziata aumenta del 50% vuol dire che in discarica dovrebbero andare 50.000, 49.000 e que-sto non succede. Se poi l’Amministrazione fa riferimento al periodo gestito dall’im-presa attuale che si occupa del servizio che va dall’8/10 al 31/12, con riferimento al cartone, posso dimostrare con carte alla mano che in tutti gli anni in quel periodo c’è un innalzamento della quota dei carto-ni che va da 60.000 kg al mese a 80.000 nel periodo da ottobre e dicembre, perio-do natalizio nel quale sicuramente i carto-ni nelle attività commerciali aumentano. L’Amministrazione dice di aver aumentato la differenziata del 50% solo perché fino ad ottobre avevano un 6,90% oggi si trova al 9%. Se calcolano che il 3% è il 50% del 6 non è così. Se dobbiamo prendere in giro la gente diciamo che la raccolta differenziata è al 100%, ma sicuramente non è così per-ché dovremmo abbassare ulteriormente ciò che andremmo a confluire in discarica. I numeri parlano chiaro. Anche io quando ero assessore ho innalzato la differenziata quasi del 2% in 10 mesi. Se l’attuale ammi-

nistrazione aumenta del 3% in un anno e mezzo e la mia del 2% in 10 mesi, allora la mia dovrebbe essere aumentata del 300%. No, io dicevo sempre che si innalza la quo-ta del 2%. Sono due i prodotti che fanno in-nalzare la percentuale: il vetro ed il carto-ne, gli unici due prodotti che pesano di più. Per poi non andare a dire che dovremmo verificare nei cartoni quanta percentuale di umido veniva tolto dall’azienda che at-tualmente gestisce il servizio, quando pri-ma era solo esclusivamente piattaforma di recupero da parte della ditta che faceva recupero della differenziata e la portava presso la piattaforma nella quale si vedeva che il 50%, il 30% del cartone era umido. Oggi possiamo sapere quanto umido da

ottobre a dicembre risulta dato che co-munque ci sono state giornate di pioggia? Andiamo a verificare se quelle percentuali di umido che una vol-

ta veniva tolto e adesso no, è normale che si innalza la pesatura. Diciamo alla gente le cose come stanno. Vero è che non possiamo dare la colpa all’Amministrazione o agli assessori perché comunque è difficile fare la raccolta diffe-renziata perché un’ottima raccolta diffe-renziata può partire solamente quando il cittadino viene incentivato. Quando ero as-sessore avevo pensato ad un progetto che prevedeva una convenzione con le attività commerciali che producevano vetro (bar, ristoranti, pizzerie), 330 attività commer-ciali. Solo con quel progetto c’era da gua-dagnare come comune perché il Consorzio ci paga. Infatti in 10 mesi ho potuto fare circa 100.000 euro di cartone e 40.000 di vetro. Quanti soldi sono stati recuperati da questa Amministrazione? Il cittadino deve essere incentivato: avevo previsto anche delle piccole api per la raccolta con la pesa-tura elettronica al che il cittadino conferiva il vetro, rilasciavamo uno scontrino della pesatura e a fine anno davamo un incenti-

vo che magari veniva scorporato dal paga-mento della Tarsu. In tal caso il cittadino è portato a fare la raccolta differenziata, ma nel momento in cui non ha nessun incenti-vo perché dovrebbe fare la raccolta diffe-renziata? Oggi la città è pulita, non perché l’impresa sta facendo miracoli, sta facendo solo il suo dovere.La ditta Busso non aveva i requisiti per ge-stire l’appalto dello smaltimento dei rifiu-ti, come mai c’è stato l’affidamento?Non è competenza mia stabilire perché gli ha dato l’appalto allora Torchi e perché gli ha dato la proroga il sindaco Buscema.Il nuovo bando per la raccolta differen-ziata sarà efficace, analizzandolo ancora sulla carta?Si parla di una intesa di 46 milioni di euro per 7 anni che se andiamo a dividere per ogni anno andiamo a vedere che c’è un incremento di 2,5 milioni di euro circa an-nui sul costo attuale del servizio, al che dovremmo capire il motivo di questo au-mento di costo che andrà sulle spalle del cittadino che comunque dovrà coprire il 100% dei costi. A mio avviso è un aumento sproporzionato e una spesa insostenibile da parte del Comune perché oggi non ri-usciamo a mantenere 7,5 milioni di euro di appalto, vorrei vedere come possiamo garantirne 10 milioni. Già oggi il cittadino paga la tassa di 3,30 euro al mq, a quan-to salirà? E poi dovremmo far pagare tut-ti i cittadini. A mio avviso il costo si può abbassare, basta semplicemente fare una politica diversa iniziando con una raccolta differenziata potenziata incentivano il cit-tadino, da lì possiamo recuperare denaro tramite i consorzi e abbassare il costo.Cosa pensa dell’attuale gestione dell’as-sessore Serra? Quali sono le differenze tra la gestione Gerratana e Serra?Non devo essere io a stabilire ciò. Questo spetta ai cittadini. L’unica cosa che posso dire è che io ero comunque presente, l’as-sessore Serra la vedo pochissimo, magari ha altri impegni. Io mi dedicavo totalmente alla politica, lei magari si dividerà fra lavo-ro, studio, politica. Ognuno sceglie ciò che vuole fare. La stimo come persona, sulla gestione non mi pronuncio, saranno i cit-tadini a farlo.

Affare rifiuti

Pagina 6 Il clandestino

intervista all’ex assessore all’ecologia

la GEStionE dEi RifiUti nEll’aSSESSoRato GERRatana

Angela Allegria

Continua il nostro viaggio nell’affare rifiuti. Lentezze, assenze, difficoltà, mancanza di trasperenza. Da cosa

derivano? Ecco cosa ne viene fuori

Continua il dibattito

Parco degli iblei:demagogia o paura?

Dalla prima

io ero presente, l’assessore

Serra no

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Per cominciare quella che è solo una riflessione, una testimonianza di so-lidarietà, un piccolo faro di luce che

prova a squarciare il fango gettato addosso ad una comunità di “anime belle”, voglio citare le parole con cui don Paolo Farinella ha risposto alla mia mail, all’invocazione di un non credente amareggiato per la con-suetudine tutta italiana di vedere le perso-ne che stanno accanto agli ultimi schiaccia-te da accuse e calunnie pesanti, dal potere violento di chi sa di poterti distruggere in qualsiasi momento. Don Paolo, combattivo prete siciliano trapiantato in Liguria, mi ha ribadito la solidarietà totale a padre Carlo D’Antoni e ai suoi collaboratori, i quali “hanno attuato la Carta Costituzionale e il Vangelo contro le leggi omicide dell’attuale governo, pure sostenuto dalle alte sfere ecclesiastiche”. Egli, alla mia invocazione ha risposto con le parole del Vangelo, quel-lo in cui padre Carlo mi ha sempre detto di credere profondamente. “Che restino agli arresti domiciliari - mi scrive don Farinella - e, se possibile, chiedano gli arresti in car-cere perché essi realizzano la beatitudine: ‘10. Beati i perseguitati per la giustizia, per-ché di essi è il regno dei cieli. 11. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12. Rallegrate-vi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti persegui-tarono i profeti che furono prima di voi (Mt 5,10-12)’. P. Carlo e i suoi collaboratori sono dove devono essere: perseguitati perché hanno attuato il Vangelo di giusti-zia. Altri li seguiranno e volesse il cielo che la Chiesa intera fosse incarcerata a motivo degli immigrati e della difesa della loro di-

gnità”. Comprendo esattamente il signifi-cato di queste parole e mi irrita ancora di più pensare che in questo mondo forse sarà sempre così. Di cosa viene accusato padre Carlo? Di un carico di assurdità in-sensate. A parte le fantasiose accuse di es-sere a capo di un’organizzazione ramifica-ta, di favorire lo sfruttamento della prostituzione, di riduzione in schiavitù, l’accusa che con più insistenza viene adde-bitata è il falso ideologico, cioè di aver fir-mato dei certificati di domicilio o ospitalità in parrocchia per migranti che poi andava-no via e quindi non erano di fatto ospiti presso la casa del parroco. Nella sua chiesa con il portone aperto sulla strada, sono en-trati e passati dai 15 ai 18 mila migranti in questi dodici anni. Un afflusso enorme mo-tivato dal fatto che, così come altre parroc-chie o strutture Caritas in tutta Italia, anche questa chiesa di periferia era un punto di riferimento per coloro che le istituzioni hanno sempre lasciato e continuano a la-sciare in totale abbandono. Esseri umani, spaventati da una stretta razzista impressa dal governo nei loro confronti. Gente sfug-gita a massacri, fame, orrore, in questa parrocchia si è rimessa in cammino, è ri-partita. Cos’è l’elezione di domicilio? Per chi non lo sapesse è l’unica maniera per ac-cedere al servizio sanitario, l’unica maniera per andare in Questura e chiedere di avvia-re le pratiche per valutare la propria posi-

zione in Italia, compresa la richiesta d’asilo. Senza quello ti avvii lentamente verso la clandestinità, mentre i tuoi sfruttatori fan-no sentire i propri risolini di felicità dalle campagne, dai cantieri edili, dai mercati ortofrutticoli, da vari ambiti produttivi sparsi in tutta Italia. Padre Carlo ha aperto la porta della sua umanità, non chiedendo a chi bussava quale fosse il suo patentino morale. Lo spirito cristiano è questo, o sba-glio? Se qualcuno dei 15-18 mila ospiti, una volta andato via da qui sia finito in qual-che giro poco losco a Napoli o in altre par-ti d’Italia, questo non lo si può sapere, a meno che non si pensi che sia possi-bile controllare e se-guire la vita quoti-diana di un tal numero di persone. È chiaro che può acca-dere che qualcuno ritorna per l’appunta-mento in Questura o per suoi motivi perso-nali e magari passa dalla parrocchia, accompagnando una ragazza che dice es-sere la cugina o la fidanzata e ha bisogno del domicilio per recarsi presso l’Ufficio Immigrazione della Questura. Spesso An-tonio De Carlo, collaboratore della parroc-chia, sospettava si trattasse di prostitute e rifiutava il domicilio, ma altre volte imma-gino non sia stato facile accorgersi di ciò. Possiamo parlare di superficialità o ingenu-ità, ma la malafede, la complicità, in questa parrocchia davvero è qualcosa che stona, stride con una storia di accoglienza volon-taria, di sacrificio, di lotta dura in mezzo ad un deserto o, peggio, in mezzo ad un mare pieno di pirati pronti ad assaltare la nave. Da cosa nasce tutto ciò? Non risultano mo-vimenti di denaro (l’accusa, per il collabo-ratore di don Carlo e per l’avvocato, parla infatti anche di enormi quantità di soldi in-cassati in cambio di permessi), chi conosce gli accusati si rende conto che la loro non è mai stata una vita agiata, non risultano prove documentali schiaccianti, ma solo prove testimoniali (con testimonianze la cui attendibilità mi auguro sia dimostrata) e intercettazioni da contestualizzare e da chiarire meglio di come ha fatto in tv il pro-curatore della Repubblica di Catania, D’Aga-ta, che ha utilizzato erroneamente il termi-ne “carta di soggiorno” in luogo di “certificato di domicilio”. C’è molta diffe-renza tra i due termini, perché se si parla di carta di soggiorno falsa, allora si sarebbe dovuto contestare anche il reato di con-traffazione, dato che la carta di soggiorno può essere rilasciata solo dagli uffici com-petenti facenti capo al Ministero dell’Inter-no. La magistratura, ad ogni modo, farà il suo corso, ma mi auguro che non lo faccia con l’atteggiamento di chi vuole per forza condannare qualcuno. Le parole usate dal procuratore D’Agata (nell’intervista tra-smessa da Telecolor) hanno irritato e delu-so tante persone. Il garantismo che egli ha usato per se stesso su accuse a cui nessu-no di noi aveva creduto non vale quando ad essere sotto accusa sono gli altri? Il suo sorriso, la sua certezza che si tratta di pro-

ve da cui è impossibile discolparsi, la sua convinzione che l’umanità di questa comu-nità e della sua guida fosse solo un “para-vento” per loschi traffici, tutto ciò è inop-portuno per chi dovrebbe usare la presunzione di innocenza come suo princi-pio guida, ed è offensivo per tutti coloro che in quella parrocchia, ogni giorno, da anni costruiscono una società nuova, fatta di solidarietà, tolleranza, accoglienza vera, non legata a circuiti economici, ma ad uno

spirito di fratellanza e di accompagnamento di chi è rimasto indie-tro verso un futuro di inclusione. Di certo in tutta questa vicenda c’è che da qualche anno la parrocchia è osteggiata da istitu-zioni ottuse, da tutti coloro che vorrebbe-

ro svuotare la città dagli immigrati, tranne quando servono per lavorare in nero e fare risparmiare il costo della manodopera a qualche nuo-vo padrone schiavista. Una parrocchia scomoda, un prete scomodo, considerato sovversivo solo perché vive l’essenza dell’essere prete, vale a dire stare in mezzo ai poveri, agli ultimi, a coloro che la società tratta da re-ietti. Proprio qualche giorno prima dell’arresto, padre Carlo aveva inviato alla Pro-cura della Repubblica e alla Questura di Siracusa un esposto per ottenere chiari-menti sull’atteggiamento ostile e sulle richieste basa-te non su leggi ma sul “si ri-tiene opportuno” che un dirigente del locale Ufficio immigrazione continuava a indirizzare alla parrocchia. Intanto, per fortuna, c’è tan-tissima solidarietà attorno alla comunità di Bosco Min-niti, forse più di quanto ognuno si attendesse. Non solo le associazioni, la Curia, molti giornalisti, registi tea-trali, ma anche semplici cit-tadini di ogni zona della città e anche di altre città d’Italia. Da ogni luogo arrivano mes-saggi di solidarietà, ovvia-mente anche dai tanti immi-grati passati da qui, che si dicono scioccati da queste accuse, le respingono, lo

vorrebbero urlare al mondo, ma non si fi-dano dei giornalisti (“quelli poi cambiano le tue parole, meglio lasciar stare”, mi dico-no Ismail e Junior). Non possono accettare che quanti li hanno aiutati gratuitamente passino per mostri. C’è scoramento, c’è paura per il futuro. Ma bisogna andare avanti fiduciosi. Perché tutto questo castel-lo di sabbia crollerà. Dobbiamo aver fiducia nella magistratura, nonostante tutto, an-che se siamo consapevoli che non c’è biso-gno delle sentenze per conoscere l’inno-cenza di chi da sempre antepone l’aiuto agli altri alla propria stessa vita, senza ri-torni economici, conducendo vite dure, fatte di lavoro e non di agi. Per queste per-sone, per tutti coloro che ad esse somiglia-no, per le idee in cui la gente migliore di questo Paese crede, allora c’è davvero la necessità di dichiararci tutti colpevoli, col-pevoli di solidarietà, perché tra chi condivi-de questo destino di campo e questa idea di mondo, senza divise e poltrone dorate, non possono esserci distinzioni.

*Ilmegafono.org

il caso di padre Carlo d’antoni

ColPEVoli di SolidaRiEtÀEd UManitÀ

Massimiliano Perna*

Migranti

Il clandestino Pagina 7

(Licata, 21 marzo 1927 – Palermo, 20 settem-bre 1990) cantante folk e cantastorie italiana.

Non cominciò subito la carriera di cantante, nonostante coltivasse in segreto la passione per il canto. Visse, ma-turando l’esperienza di emigrante, per circa vent’anni a Firenze per poi trasferirsi a Palermo nel 1971. Comin-ciò la carriera di cantante professionista nel 1966 parte-cipando allo spettacolo di Dario Fo Ci ragiono e canto, nello stesso anno registrò il suo primo disco. Proseguì con concerti al teatro Carignano di Torino, al Manzoni di Milano e al Metastasio di Prato, alternati con esi-bizioni in varie sedi e seminari sulla musica popolare in alcune università. Il suo repertorio variava dai canti appresi durante l’infanzia a canti popolari di varia pro-venienza: in particolare scrisse per lei numerose liriche Ignazio Buttitta. Il timbro forte ed originale della voce le consentì di interpretare le canzoni popolari siciliane con un tono fortemente drammatico esprimendo il sen-so di povertà e orgoglio della sua terra. Un concerto tri-buto è stato organizzato per Etnafest 2008, con il nome di “Terra ca nun senti”. Svoltosi in Piazza Universita’ a Catania il 31 Maggio 2008, ha visto la partecipazione di: Rita Botto, Carmen Consoli, Giorgia, Patrizia La-quidara, Nada, Marina Rei, Etta Scollo, Tosca, Paola Turci, Ornella Vanoni, Alfio Antico, Emma Dante. Etna Orchestra diretta da Salvo Cantone.

“di cosa vieneaccusato

Padre Carlo?”

La Comunità di Bosco Minniti respinge le accuse assurde che sono piovute addosso a chi da anni combatte a fianco dei migranti, de-nunciando gli atteggiamenti ostili e ambigui di buona parte delle

istituzioni: “Siamo tutti colpevoli”

Rosa Balistreri Grazie

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“Strada Facendo” è il convegno sulle Politiche So-ciali che Libera, insieme al Gruppo Abele e al CNCA (coordinamento nazionale comunità d’ac-

coglienza), convoca ogni due anni per discutere di mar-ginalità, integrazione, intervento dello Stato e degli enti locali sui problemi che attraversano le nostre comunità. E’ in questo contesto che i paradigmi del “pensiero unico” vengono rovesciati, la fabbrica della paura smascherata nell’artificiosa creazione del capro espiatorio: il “diverso” per eccellenza, dal carcerato da reintegrare come previsto dalla Costituzione, all’immigrato (clandestino) da usare solo come forza lavoro a basso costo e nient’altro. Di que-sto rovesciamento ne è un esempio luminoso Ilario Amen-dolìa, sindaco Caulonia (RC), un centro di 8000 anime che, di fronte all’emergenza Lampedusa (Ag) nel 2008 è stato, insieme al sindaco di Riace (RC), l’unico comune in Italia a chiedere di poter ospitare i migranti che non avevano un tetto.Da dove è partita la capacità di interpretare in modo di-verso il rapporto tra i suoi cittadini calabresi e i migran-ti?In Calabria abbiamo avuto due milioni di migranti dall’Ame-rica all’Australia che hanno vissuto a volte l’esperienza del-la clandestinità e persino del “letto caldo”, cioè due perso-ne che si trovavano in affitto per lo stesso letto: chi aveva il turno di lavoro di notte dormiva di giorno e chi aveva il turno di giorno dormiva la notte. Noi i migranti li abbiamo sempre conosciuti perché lo sono stati i nostri padri! Da sempre l’accoglienza è la nostra cultura. Già festeggiava-mo il I° Maggio coi lavoratori rumeni. Dinnanzi alla soffe-renza dei drammatici sbarchi a Lampedusa ho sentito il dovere morale di aprire le porte della mia città per non chiudere quelle dell’animo umano!

Mi faccia capire: la richiesta di accoglienza dei giovani africani, che dopo lo sbarco a Lampedusa attendevano una destinazione, è partita da voi? Si, insieme al sindaco di Riace abbiamo fatto un appello nel 2008 affinché potessimo essere noi ad accogliere i migran-ti che non potevano più stare a Lampedusa. Oggi abbiamo chiesto e ospitato, fin quando lo vorranno, i migranti feri-ti dei recenti fatti di Rosarno: salviamo il nostro prossimo per salvare le nostre stesse radici della solidarietà! Io ven-go dal PCI e ho fatto mio l’insegnamento del parroco che in chiesa diceva che a Caulonia non sono arrivati “dei clan-destini” ma Cristo stesso, che nel volto di questi fratelli è venuto a visitare la nostra città! Insieme alla città di Riace abbiamo creato opportunità di ripopolamento delle zone abbandonate e avviato dei laboratori artigianali: il legno, il vetro, la ginestra. Cerchiamo di fare della crisi un motivo di solidarietà per camminare in avanti.La crisi morde invece alla pancia della gente, le risorse sono poche. Voi come spiegate questa attenzione ai cit-tadini stranieri? Infatti ci accusano: “per gli stranieri i soldi li trovate ma non per mettere a posto le nostre strade”! Capiamo i biso-gni della gente. E’ una sfida che non paga elettoralmente, ma sicuramente ci umanizza! Sono convinto che i nostri cittadini ci capiranno. Non sono disponibile come sinda-co a fare solo strade, illuminazioni e piazze. Le faremo le strade, ma noi siamo per il Cambiamento! E io sono stato eletto all’85%!Come hanno risposto i cittadini di Caulonia?La risposta è stata sicuramente travagliata. Il modello cul-turale oggi universalmente proposto è di tutt’altra natura. Sono convinto tuttavia che il nostro popolo ha delle vere

energie positive: da Ciccio Vinci, giovane studente vittima della ‘ndrangheta a Rocco Gatto, mugnaio che si ribellò al pizzo negli anni ‘70, a Peppe Valarioti, segretario di sezio-ne che viene ucciso nel 1980 quando alle provinciali vinse lo schieramento di sinistra si era caratterizzato fortemen-te per la lotta alla cosche. Ma anche il carpentiere, il cui nome non conosce nessuno, a cui dedicheremo una stra-da, che decide di non dividere i proventi del suo lavoro con le ‘ndrine, è l’eroe semplice e anonimo che si ribella con l’umiltà della nostra gente che ha un forte senso della giustizia. Invece la ‘ndrangheta non è solo antistato ma si è fatta essa stessa Stato. Troppe le collusioni e i favoritismi. Dobbiamo garantire i diritti, tagliando così l’erba sotto i piedi delle mafie, colluse con la malapolitica, che erogano favori in cambio del voto!Come si combattono le mafie, che “ringraziano” per la manovalanza criminale prodotta dalle contraddizioni della legge Bossi-Fini?Tornando alla nostra storia, che è fatta di lotte bracciantili e del riscatto della povera gente. Di lotta al caporalato ma-fioso e di profondi legami sociali. Oggi tutto questo sem-bra dimenticato e sconfitto. La mia esperienza a Caulonia è assolutamente normale, nulla di eroico: cerchiamo di fare, tra mille difficoltà, quello che ogni comune dovrebbe e potrebbe fare. Noi vogliamo essere impastati alla gente e alla storia del nostro popolo! Una storia fatta di umiltà e normalità. Le anormalità sono la mafia e il potere che, se non contrastati, logorano la nostra dignità!

*Coordinatore provinciale Libera

Integrazioni

Pagina 8 Il clandestino

intervista al sindaco di Caulonia (RC)

“i noStRi PadRi ERano MiGRanti”

Gianluca Floridia*

“Mi chiamo Antonio Giannone, ho 33 anni, e vivo a Modica in provincia di Ragusa. Una malattia rara, chiamata Atassia cerebella-re di Friedrich, mi ha costretto 17 anni fa su di una carrozzina. L’Atassia di Friedrich provoca infatti la perdita progressiva del-la funzionalità muscolare degli arti inferio-ri nonché dell’equilibrio. Una realtà difficile con la quale ho dovuto fare i conti, accettarla, e trovare giorno dopo giorno appigli ed input nuovi per non perdermi d’animo. È così che non mi sono scoraggiato dinanzi alla mia triste situazione e alle numerose difficoltà da affrontare, ho proseguito gli studi conseguendo il diploma di Ragioneria all’Istituto tecnico “Archimede” di Modica, con grande soddisfa-zione mia e della mia famiglia. Ho anche frequentato diversi corsi di computer ed ho conseguito la patente europea del computer (ECDL). Come dire che la vita continua nonostante la malattia e nonostante ci si ri-trovi a fare i conti con tante difficoltà. Tra queste ho dovuto fare i conti con le barriere architettoniche e quelle mentali. Per le prime, a dire il vero non ho tante possibilità di muovermi da casa, perché ovviamente è difficoltoso spostarmi in carrozzina; per quelle menta-li, invece, non bisogna confrontarsi soltanto con certi sguardi stupiti di persone che sembrano vivere fuori dal mondo, forse pensando erroneamente che disabili si nasca e non si ci diventi, ma soprattutto con i dis-servizi “offerti” da un sistema che non dà grosse op-portunità a chi è disabile. Sono trascorsi, ad esempio, già 14 anni dal conseguimento del mio diploma, ho anche buone conoscenze informatiche e un sito web tutto mio (http://www.antoniogiannone.com) ma chi offre un lavoro ad un ragazzo disabile? Vivo pertanto con la mia pensione (misera) di € 250 al mese, cui si aggiungono € 470 di accompagnamento. Vivo con i miei genitori che sono stati sempre al mio fianco ed uno dei miei fratelli, mentre un altro è sposato, ed uno, più grande di me di due anni, è morto nel genna-io 2006 della mia stessa malattia. Vivendo con i miei non posso lamentarmi molto, ma più passa il tempo più le cose si fanno difficili: mio padre ha 71 anni ed è pensionato, mia madre ne ha 63 ed è casalinga, quan-to a lungo potranno occuparsi di me? Per loro è già

“pesante” seguirmi tutto il giorno, in quanto, è bene ricordarlo, io non posso muovermi

assolutamente in maniera autonoma dal-la carrozzina. Ho bisogno di una persona qualificata che possa seguirmi sempre, aiutandomi nella mia vita quotidiana e

durante la notte, ma nessuno è disposto a lavorare per € 470, ossia per la cifra de-

stinatami per l’accompagnamento. E allora mi chiedo come fare. Il sistema mette a disposizione que-sta cifra, ma non è congrua per convincere una per-sona ad occuparsi di me. E chi dovrebbe impinguare questa somma? I miei che non ne hanno le possibilità? Il Comune ovviamente non mette nulla a disposizione e più si va avanti più la mia situazione mi preoccupa. Fino a quanto tempo - mi chiedo - mio padre potrà accudirmi? Non sono certo leggero e lui è anziano. Mia madre, poi, non ha la forza da sola di sollevarmi. Quanto a mio fratello, quello che vive con me, mi ha già dato tanto e non posso chiedergli ancora di dare tutto il frutto del suo lavoro a me per pagare un infer-miere o qualcuno qualificato che si occupi di me, né posso pretendere che si chiuda alla vita per dedicarsi totalmente a suo fratello. Penso infatti che un giorno io non ci sarò più… ed è un pensiero triste… lasciare i tuoi cari… ma è un dato di fatto con cui ho già fatto i conti e l’ho accettato… per cui penso anche che se mio fratello dovesse dedicarsi totalmente a me, un giorno si guarderà indietro e non avrà costruito per sè niente nella sua vita. Per questo chiedo un aiuto: o economico in modo che possa retribuire una perso-na che mi segua h 24, o direttamente l’assegnazione della stessa da parte dello Stato. La presenza di una persona qualificata per poche ore alla settimana non risolve il problema. Chiedo pertanto, nella speranza che qualcuno possa prendere a cuore la mia storia per aiutarmi, che le istituzioni preposte e le associazioni che si occupano di disabilità combattano al mio fianco questa battaglia di civiltà e di sensibilizzazione. Non si tratta solo di una storia, la mia, ma di quella di tante persone che come me vivono grosse difficoltà. È arri-vato il tempo che le cose cambino una volta per tutte.

Antonio Giannone

lettera aperta

“Mi chiamo antonio Giannone...” Pensi che gli uffici comunali siano efficenti?•Si•No•Non lo so, non li frequento•Nun mi ni futti nenti

Risultato precedentePensi sarà fatta giustizia nell’inchiesta sul riciclaggio e concus-

sione che vede coinvolti Torchi, Drago, Floriddia e Co.?•Si, totalmente 6%•Si, in parte 33%•Non credo nella giustizia 13%•No, per niente 38%•Nun mi ni futti nenti 6%

Il sondaggio

Vota su:www.ilclandestino.org

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“Il Grillo Parlante”: potrebbe essere il nuovo logotipo di Legambiente; nel racconto di Collodi questo per-

sonaggio immaginario rappresentava la coscienza di Pinocchio; l’associazione am-bientalista rappresenta la coscienza degli italiani. Questa il paragone fatto dal soprin-tendente di Ragusa, arch. Vera Greco, nell’introduzione al suo discorso tenuto al Palacultura di Modica, lo scorso Giovedì 4 Febbraio, per la tappa modicana di presen-tazione del “dossier Salvailmuseo” di Le-gambiente Sicilia. E il paragone è perfetto anche per rappresentare lo spirito con il quale i vari autori hanno condotto il lavoro del volume, che contiene diverse indagini, testimonianze e denuncie sulla gestione del sistema museale siciliano e dei beni culturali dell’isola in generale. “Salvailmu-seo”, a cura di Gianfranco Zanna, responsa-bile del dipartimento beni culturali di Le-gambiente Sicilia, è parte del più ampio progetto Salvalarte Sicilia, dedicata ad un’azione duratura e continuativa di moni-toraggio, promozione, denuncia e valoriz-zazione del sistema museale isolano e dei Beni culturali in generale che rendono la Sicilia e l’intero nostro Paese unici al mon-do, per bellezza, storia e testimonianze del passato. Una ricchezza che va salvaguarda-ta e valorizzata! Il frutto di questa attenta attività di monitoraggio e di denuncia e le testimonianze dei vari soggetti che vi han-no collaborato a vario titolo sono stati rac-colti e presentati nel “Dossier emergenze e ritardi nel sistema museale siciliano”, finito di stampare lo scorso Dicembre. “Emer-genza musei in Sicilia” è l’allarme lanciato da Legambiente Sicilia che denuncia la cat-tiva gestione del sistema museale siciliano e il momento difficile che stanno attraver-sando i Beni culturali con sempre meno ri-sorse a disposizione. Emergenza ritardi, con decine di musei chiusi e in attesa di re-alizzazione: un quadro disarmante che pone l’accento sul preoccupante panora-ma della conservazione artistica dell’Isola. Il risultato è un basso numero di presenze nei musei siciliani: nel 2007 nessun museo ha superato i 70.000 visitatori, la maggio-ranza ne ha registrato meno di 30.000. Il

dossier delinea una

situazione allarman- t e caratterizzata da inefficienza nella gestio-ne, ritardi nelle realizzazioni e chiusure che si protraggono oltre i tempi stabiliti per le ristrutturazioni, oltre ad incapacità degli operatori, mancanza di creatività e innova-zione. Secondo Vera Greco bisogna rivolu-zionare il sistema museale in Sicilia affin-ché i musei diventino più dinamici,

tecnologici, innovativi e attraenti; il Cine-ma e la Pubblicità rappresentano, più di tutti, l’Arte dell’epoca contemporanea; i musei devono essere in grado di riprodur-ne il linguaggio e la strategia di comunica-zione per diventare, al pari della moderna arte audiovisiva, universali e fruibili a tutti, primi fra tutti i bambini, per i quali i musei sono, senza dubbio, uno strumento fonda-mentale per la loro formazione. Il museo

come genius loci, in grado di consegnare ai visitatori l’insieme delle caratteristiche so-cio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che caratterizzano il territorio e i suoi abitanti, congelandone le varie tappe evolutive. E’ uno strumento indispensabile per descrivere il caratte-re di un popolo. Nega-re un museo vuol dire negare la Storia di un luogo! Purtroppo la conservazione dei beni culturali dell’iso-la è gravemente dan-neggiata dalla mancanza di attenzione e di sensibili-tà da parte della classe politi-ca e dei vertici governativi regio-nali; si pensa che essi non abbiano nessun valore e che se ne possa fare tranquilla-mente a meno. Come sta avvenendo a Mo-dica e al Museo Ibleo delle Arti e Tradizioni Popolari, dedicato a Serafino Amabile Gua-stella, chiuso da diversi anni per lavori che sembrano lontani dal terminare. Aperto al pubblico nel 1978 e ospitato presso il Pa-lazzo dei Mercedari, il museo ricostruisce l’ambiente artigiano e contadino della Con-tea di Modica e custodisce un prezioso pa-trimonio di attrezzi originali, arredi e sup-pellettili che vengono proposti a simbolo stesso della modicanità. Una delle aree espositive ricostruisce fedelmente una ti-pica abitazione rurale, “ ‘a massaria”, luogo di duro lavoro e focolare domestico, coi suoi profumi e i suoi sapori di un tempo, veramente suggestivo secondo quanto af-fermano i visitatori che hanno avuto la possibilità di ammirarlo ed ispiratore di re-censioni ed apprezzamenti da parte degli addetti ai lavori per la filologia della ricerca e del reperimento dei materiali. Purtroppo

il Museo etnografico, già chiuso una prima volta nel periodo compreso tra i mesi di marzo e giugno del 2003 per consentire un intervento conservativo, nel marzo del 2005 è stato nuovamente negato al pubbli-co per un intervento di recupero e consoli-damento dell’intera struttura finanziato dalla legge n. 433/1991. Come ha detto il sindaco di Modica, Antonello Buscema, la riconsegna dell’immobile restaurato sareb-

be dovuta avvenire già da parecchio tem-po; lo stesso ha dovuto ammettere, però, che l’apertura del Palazzo dei Mercedari è ancora lontana. Il problema è aggravato

dal fatto che la riapertura del sito non dipenderà solo dalla con-

segna dei lavori. Occorre valutare in quale stato si

trovano i reperti del mu-seo etnografico. Questi sono stati imprigionati dentro il palazzo dove nessuno può accedere per ovvi motivi di sicu-

rezza, a parte il persona-le autorizzato del cantie-

re. Si teme il peggio per lo stato di conservazio-

ne di questi beni e c’è da capire se saranno anco-ra fruibili o se potranno essere recuperati per re-stituirli al pubblico. Così il sindaco ha annunciato per i prossimi giorni la convocazione di una con-ferenza di servizi per fare luce sul futuro di palazzo dei Mercedari e del museo “Serafino Amabile Guastella” e per coordinare, con gli opera-tori interessati, un programma sugli inter-venti e lavori necessari a restituire ai citta-dini un bene che parla delle loro origini, delle loro tradizioni, della loro cultura e della loro storia. Della grande attesa e del futuro del museo di Modica parla anche Ernesto Ruta, operatore culturale della co-operativa Etnos, ente cha ha gestito il mu-seo e, oltre ad assicurarne la fruizione, ha promosso diverse attività di valorizzazione, facendone una realtà dinamica in costante dialogo con il territorio. «La struttura deve essere arricchita con alcuni laboratori,

multimediali e didattici, cosicché il visitato-re possa diventare un attore, non solo un ammiratore passivo, anche interagendo, in modi diversi, con i reperti conservati nel sito». E’ questa la proposta di Ruta, il quale continua «E’ importante che il contenuto del museo sia interattivo, affinché il visita-tore possa sperimentare ed assimilarne meglio il messaggio, proprio perché entra a far parte delle sue esperienze vissute». Durante il meeting, i punti all’ordine del giorno discussi hanno riguardato non solo la situazione modicana; altre proposte hanno interessato altri beni culturali sicilia-ni. Anche Gaetano Pennino ha potuto ma-nifestare la propria opinione e ha avanzato la proposta di concentrare gli sforzi sulla riorganizzazione del sistema museale pro-cedendo per tappe: nell’immediato biso-gna dedicarsi alla riorganizzazione del si-stema dei musei regionali; di questi alcuni sono autonomi, altri sono sotto la direzio-ne delle soprintendenze provinciali. Gaeta-no Pennino è direttore della Casa Museo “Antonino Uccello” di Palazzolo Acreide, museo regionale gestito dalla Sovrinten-denze di Siracusa così come stabilito L.R. 3/87. «C’è la necessità di snellire le proce-dure e di sottrarre gli enti museali alla bu-rocrazia che ingolfa l’amministrazione re-gionale. L’autonomia è la scelta obbligata per migliorare il servizio». Questa è stata la proposta avanzata da Pennino. In questo modo i direttori potranno essere più liberi di organizzare struttura e personale, ma anche di gestire le risorse economiche. «La regione potrebbe prevedere diversi capito-li di spesa, tanti da destinarne uno ad ogni museo. Ad ogni struttura sarebbe assegna-to un budget annuale di funzionamento, sotto la responsabilità del direttore del museo, in qualità di capo del servizio». In questo modo si potrebbero assegnare pre-mi ed incentivi legati alla qualità della ge-

stione e del servizio, oltre che all’audien-ce del museo, calcolato sulla base

del numero dei visitatori annuali, spronandoli ad un miglioramen-to continuo dell’offerta. Insom-ma, i relatori sembrano tutti d’accordo con l’idea che è ne-cessario imprimere una svolta al

sistema dell’offerta museale e non solo a questa; anche la sensibi-

lità e l’attenzione degli amministratori pubblici e privati verso la cultura, l’arte, l’estetica e il paesaggio deve subire un cambio di rotta. Così come c’è tanta neces-sità di recuperare gli edifici di particolare pregio storico-architettonico, bisogna an-che puntare ad un’architettura e ad una edilizia contemporanea di qualità. « Il mu-seo è un elemento di un sistema più am-pio; non si può pensare di avere un sistema museale d’eccellenza, mentre viviamo in un territorio rurale e urbano e un ambien-te massacrati». Con queste parole l’arch. Greco, soprintendente di Ragusa, ha con-cluso la sessione di lavori.

lo scenario dei beni culturaliregionali è un disastro

oCCoRRE UnaRiVolUzionE PER i MUSEi in SiCilia

Salvatore Zocco

Arte e Scuola

Il clandestino Pagina 9

Nella prima settimana di febbraio si è tenuto a Modica, presso Palazzo Grimaldi, un incontro informativo sulla riforma della scuola organizzato dalle docenti precarie F.

Palazzolo, M. V. Sortino e G. Iurato col sostegno dell’associazione ATTINKITE’, dell’associazione Grimaldi, del piccolo Teatro e del Comune di Modica. Ha coordinato l’incontro la prof.ssa Sortino, la quale ha illustrato ai numerosi presenti l’intento della serata e, dopo i saluti del sindaco A. Buscema e dell’ass. Calabrese, ha concesso la parola al Dirigente E. Giannone, il quale ha spiegato con molta chiarezza gli stravolgimenti didattici, formativi e am-ministrativi causati dalla cosiddetta “Riforma-Rinnovamento”

del ministro Gelmini, o per meglio dire della Commissione da lei assunta per elaborare l’enorme calderone in cui è immersa oggi la scuola! Il dirigente ha dichiarato: “[…] questo provvedimento sulla scuola è così insensato che eviterò di chiamarla Riforma, perché è tutto, meno che questo […]”. Durante l’incontro sono stati indicati tutti i tagli effettuati già da quest’anno alla scuola (legge 133/2008; C.M.14.12.2009), misure che rendono davve-ro difficile sostenere l’autonomia amministrativa degli istituti e il normale andamento didattico. Tagli del 25% di spese per i servizi, ammonimenti e richiami all’assenteismo nel momento in cui un dirigente si permette di richiedere il fondo integrativo delle supplenze, riordino del quadro orario con riduzione delle ore settimanali (da 36-38 a 32-30 ore ), materie che scompari-ranno del tutto, stravolgimenti dei piani di studi anche per le classi già avviate (seconde e triennio), ecc… “[…]Prima ci dicono di investire nella sperimentazione e l’anno successivo elimina-no gli indirizzi sperimentali, rendono il recupero obbligatorio, ma non ci mandano fondi per pagare gli insegnanti, ci obbli-gano ad aggiornare il personale, ma ci riferiscono che si deve fare a spese dell’istituto. […]Noi dirigenti delle scuole italiane siamo proprio confusi, e nessuno sa darci delle spiegazioni più chiare, è stato tutto stravolto così velocemente e così male da non raccapezzarci più”. Sono queste le parole di un dirigente

molto arrabbiato, il quale ha amaramente puntualizzato che nel complesso la legge 133/2008 prevede tagli per un totale di 8 MILIARDI di euro alla scuola entro il 2012. In seguito ha preso la parola G.Scucces, docente di ruolo dell’Istituto musi-cale G.Verga di Modica, il quale ha spiegato gli stravolgimenti che subirà la sperimentazione dell’indirizzo musicale a seguito della riforma. La prof.ssa Iurato ha portato la sua testimonianza da precaria, inserita in una graduatoria di priorità per effetto della legge “Tampone”: Salva precari, un inutile provvedimento che serve solo a coprire ben poco i Tagli Stratosferici effettua-ti. Gli interventi della dott.ssa Gurrieri, in veste di genitore, e dell’alunna Scala, allieva dell’Istituto linguistico di Modica, han-no fornito ai presenti altri punti di vista sulla riforma, entrambi hanno espresso forti perplessità su vari aspetti del provvedi-mento, sottolineando la grande confusione dei piani di studi e la grave discontinuità educativa che persiste nelle scuole oggi. Sono punti di vista differenti ma tutti all’unisono hanno denun-ciato l’insensatezza di questa riforma scolastica, che non inve-ste affatto sul futuro culturale e sociale del nostro paese ma, votata solo al risparmio, annulla ogni forma di riqualificazione del sistema formativo. A fine serata, gli interventi recitati delle docenti G. Firera e F. Palazzolo hanno offerto un sorriso al pub-blico con parodie sulla scuola e sul mondo dei precari.

incontro informativo sullariforma Gelmini

SCUola: non CiRESta CHEPianGERE!

Graziana Iurato

“la conservazione dei beni culturali

dell’isola ègravemente

danneggiata”

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la SfiGala ricetta dell’as-

sessore Centorrino per essere ottimisti

Non vi-v i a m o t e m p i

allegri. Tutti i tromboni della

corte televisiva e della reggia berlu-

sconiana ci dicono che la bufera economica è alle spalle. La realtà che quotidianamente viviamo ci manda altri messaggi: chi perde un lavo-ro difficilmente ne troverà un altro. Mol-te famiglie stringono la cinghia e fanno fatica ad arrivare all’ultima settimana del mese. Questa è la realtà. In Sicilia tutti gli indicatori ci fanno capire quanto è alto il livello della disoccupazione, ma di ricette per superare questa situazione pesante non ne abbiamo sentite, tranne i soliti annunci dell’epica berlusconiana e della perenne confusione della nostra poli-tica regionale. Tutto frana e quello che sta accadendo in alcuni territori, oltre alla tragicità degli eventi, è una sincera metafora della nostra regione. In mezzo a tutte queste difficoltà, giusto per non farci mancare niente, l’assessore regio-nale alla formazione Mario Centorrino ci fa sapere che “Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po’ Ca-milleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di ‘sfiga’ nei con-fronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo”. La cosa non ci giunge nuova perché nel 1964 in una lettera pastorale l’allora car-dinale Ruffini scriveva che le rovine del-la Sicilia erano la Mafia, il Gattopardo e Danilo Dolci. La storia ritorna. Ma siamo certi che questi autori citati dall’assesso-re siano la causa dei nostri mali? Ignora che i lettori non sono poi tanti e che sa-rebbe casomai da augurarsi che autori come Tomasi di Lampedusa e Sciascia fossero più letti e studiati. Io appartengo al club degli sfigati e questi autori mi han-

no aiutato più delle ciarlatanerie del-la politica a capire tante cosa della Sicilia e dei siciliani. Hanno scavato e sondato spazi che ci hanno dato visioni, riflessio-ni. Quante discussioni e confronti sulle conclusioni del Gattopardo o sulle pagine di Sciascia e non per questo siamo diven-tati pessimisti. Amiamo la nostra terra e ci impegniamo a migliorarla, a costruire una speranza. Un futuro. Caro Assesso-re siamo sfigati, ha ragione, ma non per le ragioni che ha citato lei, ma per avere avuto e avere una classe politica sorda ai bisogni della gente. Siamo sfigati perché pur avendo uno statuto regionale avan-zato i politici non hanno saputo svilup-pare tutte le condizioni per attuarlo pie-namente. Siamo sfigati per avere avuto troppi politici collusi con la mafia. Siamo sfigati per avere troppi satrapi alla regio-ne e per gli sperperi di cui si hanno noti-zie certe. Siamo sfigati per tutte queste e altre ragioni che ci potrebbero indurre al pessimismo e invece caro assessore reagiamo perché a questa nostra terra ci teniamo. Qualche utopia alla Danilo Dol-ci ce la consentirà, oppure siamo relegati al regno degli sfigati? Certo uno può dire quello che crede, ma per essere ottimisti è proprio necessario rinunciare a qual-che bella pagina? La sua è una ricetta ingenua, falsamente miracolistica, ma in questa epoca berlusconiana di annunci ne abbiamo sentiti troppi. Si, troppi, pure il suo. Caro Assessore Centorrino, non so se Gesualdo Bufalino appartiene alla categoria degli scrittori in odore di sfiga, ma mi piace regalarle queste parole “E tuttavia, finché si vedranno folle di one-sti sfilare per le vie di Palermo gridando la loro collera generosa e la loro volontà di riscatto; finché si sentiranno nel corpo dell’isola fermentare e crescere quegli anticorpi stupendi che sono la passione e la innocenza della gioventù; finché in una biblioteca mani febbrili sfoglieranno un li-bro per impararvi a credere in una Sicilia, in un’Italia, in un mondo più umani, varrà la pena di combattere ancora, di sperare ancora. Rinunziando una volta per tutte a issare sul punto più alto della barricata uno straccio di bandiera bianca.”

Storie

Pagina 10 Il clandestino

E’ sabato mattina, un mio amico mi chia-ma al telefono chiedendomi di accom-pagnarlo. Insieme andiamo a casa di un

vecchietto, un uomo di circa 90 anni. Io non sapevo che cosa dovevamo fare lì e non pen-savo che quella mattina avrei fatto una delle esperienze più toccanti della mia vita. Questo mio amico, noto come il Prof Ciccio Schem-bari, doveva preparare uno spettacolo di narrazione e andava ad intervistare quel vec-chietto, dal viso segnato dagli anni ma ancora lucido nella memoria, perché quest’uomo è stato uno dei tanti soldati italiani, deportati all’indomani dell’armisti-zio dell’8 settembre nei campi di concentramento tedeschi. La storia, è risa-puto, vive di documenti. Il termine “documentum” ha la stessa radice del verbo latino “doceo”, che noi tra-duciamo come insegnare. I docenti sono, o dovrebbe-ro essere, appunto “coloro che insegnano”. Per cui un documento storico è un elemento che ci in-segna qualcosa. La storia vive grazie e reperti archeologici, scavi, ma anche testimonianze scrittorie, lettere, atti, etc etc. La storia del Novecento è segnata dalla seconda guerra mondiale e dalla shoah; tutti noi davanti alle immagini di Auschwitz o di Dachau restiamo pietrificati e continuiamo a domandarci, a tanti anni di distanza, come è stata possibile una tale atrocità, come è stato possibile che la mente umana abbia potuto creare luoghi deputati unicamente alla morte e allo ster-minio. Dei deportati rimangono tante testi-monianze, lettere, immagini; sono parole che arrivano allo stomaco come un pugno. Ma se invece, il documento è in carne ed ossa, se co-lui che “insegna qualcosa” sul passato è una persona viva, reale, che carica emotiva ne de-riva? Quest’uomo, che Ciccio ha intervistato, ci ha raccontato la sua esperienza di soldato italiano: egli prestava servizio nell’aviazione in Grecia; subito dopo l’armistizio, il 9 settembre del 1943 lui, insieme agli altri soldati italiani, fu portato a Berlino. Dopo un viaggio lunghis-simo, in cui sopravvissero grazie alle provvi-

ste che si erano portati, furono rinchiusi in un campo di concentramento. Durante il giorno, dopo un po’di tè, venivano portati a lavorare in una fabbrica di armi. Lì rubavano gli avanzi, per lo più bucce di patate, che poi la sera si cuocevano con una piccola stufa che aveva-no nella baracca, perché i tedeschi gli dava-no solo brodaglia e un chilo di pane a testa il lunedì. Mentre raccontava e Ciccio prendeva appunti per il suo spettacolo, io lo osservavo: aveva ancora negli occhi una grande intensità e quegli occhi trasmettevano l’idea che certe cose non possono mai dimenticarsi: la fame,

il freddo, la paura. La paura che suscitava quel soldato tedesco col suo fucile: gira-vano voci di forni, di gente bruciata e alla sola vista del soldato erano terrorizzati. A guerra finita, essi furono liberati dai russi e poi dopo poco tempo fecero ritor-no a casa, dopo due anni di prigionia. Cosa signifi-ca ricordare? A che serve

mantenere viva la memoria di eventi funesti come quelli perpetrati durante le guerre? Per commemorare o per rinnegare il passato, o peggio ancora per dire: “io non c’ero e non ho colpa!”. Conservare la memoria di fatti crudeli e incomprensibili deve invece indur-re alla riflessione, serve per mantenere viva l’attenzione su un pezzo della storia umana che ci ha segnati e ci segnerà sempre, serve per dare una giusta sepoltura morale a quan-ti materialmente non l’hanno avuta, serve a far ragionare le generazioni attuali e future perché la libertà e la vita degli esseri umani non possono e non devono essere pedina da gioco di un dittatore, serve a far conoscere fino a che punto può spingersi l’irrazionalità umana. Anche se, a ben pensare, la sofferen-za umana, le morti ingiuste, le guerre civili, sebbene durante il nazismo abbiano avuto il suo acme, trovano terreno fertile e costella-no, ancora oggi, la storia che stiamo vivendo. Fatti che le generazioni future leggeranno sui libri di storia. E noi, contemporanei a questi accadimenti, che facciamo?

Storie

il RaCConto di Un UoMo dEPoRtato nEi CaMPi di ConCEntRaMEnto

Fatima Palazzolo

Il raggio verde di Enzo Ruta

I centri sociali occupati in Italia nascono a metà degli anni settanta grazie al fervente clima politico movimentista che durerà fino

agli inizi degli anni ottanta. I primi apparvero nel centro-nord, ma oggi esistono realtà di que-sto tipo in tutta Italia; in Sicilia le uniche città in cui sono presenti posti occupati sono Palermo (Ex Carcere, Ze-talab e Ask191) e Catania (Experia e Auro). E’ durata poco l’esperien-za di Ragusa con l’Hotel la Fabbri-ca, uno sgombero ha, al momento, fatto terminare la storica e breve occupazione in questo capoluogo di provincia sici-liano, anche se il collettivo continua a lavorare per far crescere la sensibilità sugli spazi sociali (in particolare sulla loro mancanza). Negli anni si sono regi-strate esperienze simili anche a Messina e Sira-

cusa, rispettivamente “Fata Morgana” e “Asilo Politico”, nati e “defunti” a metà degli anni ’90. Se, come detto, gli spazi occupati sono diffusi in tutta Italia, è vero allo stesso modo che in tutta Italia sembra esserci un progetto politico-poli-ziesco messo in atto per reprimere e chiudere spazi di socialità che spesso riescono a garan-

tire aggregazio-ne, assistenza agli immigrati, ai lavoratori pre-cari, produzione culturale, infor-mazione, scam-bio, solidarietà e quant’altro, tutto ciò che lo Stato (nelle sue diverse forme) non rie-sce o non vuole garantire. Invece di supportare ini-

ziative meritevoli e di spessore umano come quelle appena citate, ad esempio attraverso la concessione e la ristrutturazione degli stabili occupati, Stato e Forze dell’ordine non sembra-

no saper fare a meno di sigilli, manganelli, ar-resti, denuncie e sgomberi. La storia ci insegna che tutto ciò che il potere non riesce a control-lare preferisce e pretende reprimerlo. Da Nord a Sud, da Sud a Nord la storia si ripete. Solo per citare alcuni casi, ricordiamo l’accanimento dell’ex sindaco di Bologna Cofferati che negli anni scorsi si intestò una battaglia contro tutti i

centri sociali occupati della città o il più attuale sgombero del centro sociale di Modena, “Libe-ra”, quello più recente del “Cox 18” di Milano (poi rioccupato) o l’attualissima minaccia di sgombero dello storico csoa “Askatasuna” di Torino. E ora ci soffermiamo sulla vergognosa situazione siciliana. A Palermo l’Ex Carcere ha subìto nel corso dell’ultimo anno di vita ben cinque sgomberi, se questa non si chiama per-secuzione … Lo Zetalab, dopo varie minacce di sfratto, il 19 Gennaio è andato incontro ad ine-sorabile sorte attraverso un violento e meschi-no sgombero con manganellate, persone tra-scinate per i capelli ed arresti, ma subito dopo rioccupato grazie anche al notevole contributo di una trentina di immigrati che all’interno dello stabile avevano la loro momentanea residenza. A Catania il 30 Ottobre del 2009 si è verificato l’ennesimo atto di prepotenza che all’alba di quella data, attraverso uno sgombero violento (con diversi feriti), ha di fatto messo in discus-sione uno dei pochi polmoni sociali e culturali del capoluogo etneo. Da 17 anni gli occupanti dell’Experia garantivano assistenza e sostegno a famiglie e abitanti di uno dei quartieri con il

più alto grado di disagio di Catania. Laddove lo Stato era quasi del tutto assente, il centro so-ciale dava ai bambini del quartiere la possibilità di avere un posto dove giocare in assoluta tran-quillità, studiare con il doposcuola organizzato dal collettivo e dare un minimo di progettualità al proprio futuro. In questo quadro di instabili-tà e di incerto futuro è da inserire l’ascesa dei centri sociali di destra, tra i quali quelli fondati dal gruppo fascista Casapound. Essi nascono con l’esperienza dell’ occupazione da parte di alcuni neofascisti, che facevano riferimento all’area ONC/OSA (Occupazioni Non Conformi e Occupazioni a Scopo Abitativo), che nel 2003 inaugurano un fenomeno nuovo, fino a quel momento appannaggio della sinistra antago-nista e libertaria. In tutta Italia, questi “fascisti del terzo millennio”, si sono resi spesso prota-gonisti di atti vigliacchi e squadristi: attacchi ad omosessuali, immigrati e militanti di sinistra… Proprio qualche giorno fa a Palermo, esatta-mente il 12 Febbraio, è stata organizzata, dai numerosi attivisti antifascisti palermitani, una contromanifestazione dal titolo “Casapound not in my town” in risposta ad un’iniziativa pubblica organizzata per commemorare le vit-time delle foibe. Quello che mi auguro è che azioni antifasciste come quelle di Palermo sia-no all’ordine del giorno in tutte le città del no-stro Paese, come per altro sta già avvenendo. Non si può lasciare spazio a chi utilizza l’arma del terrore e della prepotenza per acquisire margini di credibilità politica e sociale.

Centri sociali occupati: passato, presente e Casapound...

Marco Formica

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Cultura

Il clandestino Pagina 11

Trascorsa la quindicennale tormenta napoleonica, le idee rivoluzionarie apparivano ormai logore, quelle reazionarie irrimediabilmente odiose: il “giusto mezzo” liberale, con

modello monarchico-costituzionale e suffragio ristretto fino ai limiti del risibile, s’impone allora all’orizzonte europeo come l’unica adeguata risoluzione. In Francia, Luigi XVIII orienterà la propria politica verso un moderatissimo liberalismo, appog-giandosi all’alta borghesia e a quella parte del ceto no-biliare favorevole ad un progresso nella continuità; alle elezioni del 1818 il corpo elettorale dell’intera nazione comprendeva 88 mila persone, ma per i liberali non l’estensione del suffragio era l’ob-biettivo essenziale, quanto l’affermazione della liberté de la presse. La stampa rappresentava infatti l’indispensabile strumento d’espressione ed influenza di una cricca parlamentare operante entro una cornice istituzionale asfittica, sebbene concordemente definita “libero sistema”; democra-zia era allora parola ancora molto sgradita, ben lungi dall’entrare in coppia sinonimica con libertà. Il regime instaurato da Luigi XVIII si fondava su tre cardini: Carta costituzionale, rap-presentanza e libertà personali, le stesse esaltate da B. Costant nel celebre saggio De la liberté des Anciens comparée à celle des Modernes. Sostiene ivi egli che le libertà d’opinione, d’iniziativa economica, del godimento privato dei beni o di riunione sono peculiari dei moderni, mentre per gli antichi era fondamentale la libertà di partecipare al potere politico, la distribuzione delle cariche fra tutti i cittadini. Lo scrittore dimentica che, nella misu-ra in cui la libertà d’associazione riguardava i proletari, essa fin dall’inizio fu la cenerentola dei diritti individuali, ma ancor più il-luminante risulta la conclusione del saggio; dopo aver dichiarato che “la libertà consiste anzitutto per noi nel pacifico godimento privato”, Costant eleva un inno alla preponderanza della ricchez-za nei confronti dell’autorità: “Contrariamente all’antichità, oggi

i privati sono più forti del potere pubblico; il denaro è il freno più efficace contro il dispotismo ed assai più obbedito di ogni auto-rità; il potere minaccia, la ricchezza compensa; il potere si può combattere, ma per avere i favori della ricchezza bisogna ser-virla: finirà essa con l’avere il sopravvento..”. Dopo pochi anni, tuttavia, il clima politico francese mutava bruscamente; cadu-to il ministero liberale, viene nuovamente soppressa la libertà

di stampa ed impiegato l’esercito nella repressione dei moti costituzionali europei. Con l’avvento, nel 1824,

del reazionario e ultraclericale Carlo X, la morsa autoritaria si accentua ulteriormente, e presto maturano le condizioni per una violenta resa dei conti tra monarchia borbonica e la socie-tà francese: Parigi insorge nel 1830, e durante le “tre gloriose giornate”, dal 27 al 29 Luglio,

si combatté sulle barricate fino alla sconfitta e alla fuga del re. Come nell’Ottantanove, furono le

masse popolari e le classi medie inferiori, i poveri, le migliaia di piccoli artigiani e lavoranti di bottega a

costituire la forza d’urto che garantì la vittoria, ma le classi elevate riuscirono ad assicurarsi la gestione politica degli esiti. “D’ora innanzi governeranno i banchieri..”, pare mormorassero i più disincantati osservatori; e in effetti quella del “re cittadino” Luigi Filippo d’Orleans, cugino dello sconfitto sovrano, non fu la monarchia democratica cui aspiravano le folle parigine, quanto il dominio di una frazione dell’alta borghesia legata alle banche e alla finanza: un’élite del denaro gelosa dei propri privilegi ed ansiosa di convertire in affari la raggiunta egemonia politica. Nulla di essenziale era mutato nell’assetto sociale: il tricolore rivoluzionario tornò a sostituire il biancogigliato vessillo regio, gli elettori giunsero a 166 mila, venne ridimensionata la camera dei Pari ed in politica estera si deliberò per un cauto appoggio ai movimenti liberali europei; tali furono le conquiste di quei gior-ni di gloria e luttuosi. Dopo le iniziali illusioni, il carattere conser-

vatore dell’oligarchia al governo divenne sempre più evidente e si acutizzò la contrapposizione con le masse piccolo borghesi e proletarie, che andavano così assumendo posizioni radicali e re-pubblicane; gli anni dal 1830 al 1834 furono costellati da sciope-ri, rivolte operaie e i primi tentativi di organizzazione sindacale. Alla rivoluzione di Luglio in Francia risponde l’Inghilterra con il Reform Act, la nuova legge elettorale fortemente stimolata pro-prio dalle notizie degli avvenimenti di Parigi; furono questi ad in-durre alla moderazione i conservatori britannici, abbandonando una rigidità che avrebbe potuto scatenare violente insurrezioni anche nell’isola. La riforma varata nel 1832, col suo 8 per cento di elettori, non era certo il suffragio universale, che ancora nel 1861 appariva a J. S. Mill un’eresia, ma rappresentava una rottu-ra nel monopolio parlamentare dei grandi latifondisti; il diritto di voto veniva esteso alla borghesia industriale e commerciale, a quel ceto medio “abbiente e produttivo” la cui influenza, secon-do James Mill che ne peronava la causa, risultava determinante nella collettività: una pattuglia di radicali poteva ora affacciar-si alla camera dei Comuni. L’idea democratica coglie tuttavia il successo più rilevante negli Stati Uniti, col trionfo di A. Jackson e la sconfitta dei centri di potere finanziari che contemporane-amente s’imponevano in Europa occidentale. Il candidato radi-cale giunse alla presidenza nel 1829 grazie al consenso di quegli strati sociali che venivano allora accedendo ai diritti politici: de-cisivi furono infatti i voti dei pionieri, dei piccoli agricoltori, del proletariato urbano e degli immigrati. La forza della democrazia jacksoniana, dileggiata dagli avversari come “il regno di Re Ple-baglia”, risiedeva in uno straordinario apparato propagandistico volto alla manipolazione sistematica dell’opinione pubblica, col coordinamento dei comitati locali e la creazione di giornali, slo-gan e canzoni atti a sostenere l’entusiasmo popolare. Era un’in-novazione portentosa, ansiosamente scrutata da quei pensatori liberali abbastanza lungimiranti da prevedere ovunque l’inevita-bile estensione del suffragio; Tocqueville, in particolare, arrivò a “profetizzare” con rassegnazione la tendenza inarrestabile allo sviluppo dell’uguaglianza politica e sociale: anche in Europa il futuro sarebbe stato della democrazia di massa, col suo “triste corteo di banalità, grigiore e conformismo”, secondo la visione che ne aveva l’aristocratico intellettuale francese.

la democrazia: storia di un’idea da Pericle a berlusconi

Seconda parte – il ritorno nell’età moderna

Gianluca Gulino

Vivere come opportunità di cre-scita personale le esperienze drammatiche e conflittuali che

spesso contrassegnano i nostri rap-porti interpersonali, affrontare ed in-tendere le situazioni di contrasto con un approccio costruttivo e più uma-no. Il “mediatore dei conflitti” opera e agisce con questo spirito. Non solo una nuova figura professionale, ma an-che e soprattutto una predisposizione mentale a voler risolvere pacificamen-te e proficuamente le controversie che nella vita ci dividono. Questo l’oggetto di studio e di discussione del Semina-rio tenutosi giorno 22 Gennaio al Tea-tro Garibaldi. Un invito alla riflessione, alla formazione di un nuovo modo di pensare e di agire, rivolto ai professio-nisti, e a tutti coloro che si trovano ad affrontare nella quotidianità relazio-ni conflittuali. Il Seminario, aperto e condotto dal docente dell’ITC “Archi-mede” Giovanni Ragusa, ha analizzato una metodologia alternativa di risolu-zione delle controversie in ambito giu-ridico, commerciale e personale, che nasce da una disciplina attuale e molto innovativa: la mediazione dei conflitti. Il valore e il significato di tale tecnica, o meglio definita arte, è stata illustrata dalla sua principale promotrice, la pro-fessoressa Maria Martello, presente come ospite del Seminario. Ideatrice di un corso in Mediazione dei Conflitti presso l’Università Cà Foscari di Vene-zia, nonché autrice del libro”L’arte del mediatore dei conflitti”, la docente ha reso testimonianza del vantaggio del-la mediazione come via risolutiva dei conflitti rispetto alle tradizionali vie giudiziarie. Ha fatto, infatti, riferimen-to alla propria esperienza di Giudice Onorario presso il Tribunale Minorile di Milano e ai sorprendenti risultati ot-tenuti in casi di forte rilevanza penale attraverso il suo intervento di media-

tore. Oggi inoltre, come ha spiegato la docente, a seguito dei risultati ottenuti la mediazione rientra a pieno titolo tra le A.D.R. (alterative dispute resolu-tion), ma ciò che la distingue dalle altre alternative giudiziarie è il suo approc-cio umanistico al tema del conflitto, indagato e affrontato in relazione agli aspetti più profondi e personali delle parti coinvolte. L’arte della mediazione una vera “rivoluzione culturale”, che porta al rinnovamento di alcune pro-fessioni, in particolar modo quelle le-gali e commerciali, che hanno da sem-pre a che fare con il conflitto. Tuttavia qualunque professionista può svolgere il proprio lavoro arricchendosi di tali conoscenze e proponendosi come me-diatore nell’ambiente lavorativo e in-terpersonale. Con la pubblicazione del libro, infatti, l’autrice intende far cono-scere la nuova figura professionale del mediatore, partendo dal presupposto che mediatori si può essere non solo per professione ma anche nella vita, come modo diverso di relazionarsi con gli altri. Nell’intervista che ci ha gentil-mente concesso, Maria Martello spie-ga in particolare come porsi e formarsi a tale disciplina e quali grandi vantaggi può dare la mediazione alle parti con-tendenti di un conflitto.Quali reazioni pensa di aver suscitato con il suo intervento sulla mediazio-ne? Crede che sia già presente, presso i professionisti a cui si è rivolta, un’ apertura a queste tematiche ? Credo di aver suscitato certamente una reazione di curiosità, ma credo anche di interesse. Qualche “perplessità”, può essere legittima data l’assoluta novità di questa metodologia, espres-sione di un modo nuovo di pensare alla soluzione delle controversie. Una cosa molto diversa dalla vecchia ricerca del-la “via di mezzo”, del compromesso in cui ognuno rinuncia a qualcosa e di

fatto tutti e due restano con l’amaro in bocca. La vera Mediazione invece è quella in cui veramente si risolve il conflitto non solo a partire dalle ma-nifestazioni evidenti ma dalle radici, di solito emotive, che lo hanno generato. Ed entrambi si sentono VINCITORII!!!Qual’è il percorso formativo da segui-re per chi si vuole affacciare a questo mondo?E’ un percorso non tanto di tipo prag-matico e tecnico, quanto umanistico, dove c’è posto per un ripensamento del conflitto nel suo significato onto-logico, del valore della diversità, della necessità di esprimere il proprio pun-to di vista anche quando difforme da quello dell’altro. Un percorso che par-te da una ricerca profonda che coinvol-ge in prima persona e aiuta a superare i propri conflitti, guida allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, motore di ogni controversia, sia di tipo civile che penale.Quali vantaggi può dare la mediazio-ne alle parti in causa e in che modo?Le più evidenti sono la celerità della ricerca della soluzione e il vedersi pro-tagonisti nel farlo senza delegare qual-cuno (giudice, avvocato o conoscente) che mai potrà conoscere la nostra si-tuazione meglio di noi, i nostri bisogni e le nostre aspettative più intime. Lei interviene a sanare un conflitto già esistente, crede che sia possibile, in alcune situazioni, intervenire per evitare che il conflitto sfoci in una si-tuazione di gravità superiore?Le vie legali “chiudono” il conflitto ma mai lo risolvono anzi spesso le sen-tenze sono il primo passo verso la na-scita di altri motivi di liti e dissapori. Comunque mai favoriscono la ripresa delle relazioni. La mediazione vicever-sa consente tutto ciò. Ed è per questo preziosa.

la figura professionale e umana del mediatore dei conflitti

la mediazione: un’arte rivoluzionariaPaola Fidone

al liceo ScientificoG. Galilei, iii edizione

della mostra“i giocattoli e la

scienza”Giovanni Lonico

Si è tenuta dal 19 al 27 Febbraio presso il Labora-torio di Fisica del Liceo Scien-tifico “G. Galilei” di Modica

la terza edizione della mostra in-terattiva “I giocattoli e la scienza”. La mostra, ideata dal professore Vittorio Zanetti per conto dell’Uni-versità di Trento, è stata esposta per la prima volta nel 1992, e da allora ha ottenuto numerosi suc-cessi tanto da essere esposta an-che in altre città. Il Liceo Scientifi-co di Modica dopo aver esposto il primo anno la mostra dell’Università di Trento, avuta in prestito assieme a varie schede illustrative, a par-tire dalla seconda edizione ha costruito una propria mostra con giocattoli semplici e divertenti che fanno riferimento ai vari ambiti della fisica, stimolando la curiosità dei visitatori. La mostra è suddivisa in cin-que parti, ciascuna facente riferimento ad un ramo della fisica. Per quanto riguarda la meccanica vi sono giocattoli come il pendolo di Newton, l’equilibrista, il pendolo di Maxwell, per citarne alcuni; nell’area dedicata all’elettromagnetismo è possibile vedere la sfera al plasma, il levitron e il mappamondo in equili-brio; nell’area della termodinamica si trovano le bol-le di sapone, con cui è possibile rappresentare sva-riate figure geometriche, e il termometro di Galilei; nel settore riguardante luce e suono sono esposti le sbarre che suonano, il carillon, le molle e il motore a luce; il cielo in un ombrello, l’orologio a sfere e la rappresentazione del sistema solare per quel che ri-guarda l’astronomia. Quelli sopra elencati sono solo alcuni dei giocattoli esposti durante la mostra che ha coinvolto studenti e docenti, ma anche altri og-getti “bizzarri” come l’orologio ad acqua, l’orologio a frutta, le intramontabili trottole e il caleidoscopio hanno suscitato molto interesse tra i visitatori. Un altro vantaggio della mostra è la componente inte-rattiva; proprio su questa si è soffermata quest’anno l’attenzione del Liceo Scientifico, che a tal proposito ha scelto come slogan della manifestazione la cele-bre frase del filosofo cinese Confucio: “Se ascolto di-mentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”.

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Cultura e Africa

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A quasi 92 anni è morto a gen-naio il prof. Giuseppe Raniolo, uno dei più eminenti studiosi

di storia patria della Contea di Modi-ca. Uomo di profondissima cultura e umanità, era nato a Ragusa nel 1918. Si distingueva per il suo acume, le sue capacità interpretative, per la bonarietà e tenacia con cui sostene-va le sue tesi, sempre avva-lorate da riscontri documentali. Aveva inizia-to a mostrare la sua singolarità sin dall’infanzia con la frequenza irre-golare della scuola. Frequentò l’Av-viamento Professionale, poi l’Istituto Tecnico, quello Commerciale; tentò l’ammissione al Magistrale di Noto, ma fu al Magistrale a Modica che nel ’34 conseguì il diploma di maestro. Prese anche la maturità classica. Iscrittosi in Lettere Classiche a Cata-nia e pur in servizio militare di guer-ra, si laureò e subito si iscrisse in Fi-losofia a Torino. Dopo l’8 settembre ‘43, prosciolto dal servizio militare, rimasto sbandato per parecchi mesi fu preso dai soldati tedeschi a Pado-va e deportato in Germania. Tornato libero, cominciò ad insegnare lettere scuole iblee. Insegnò due decenni alla ‘Ciaceri’ di Modica. Dal ’67 al ’78 fu docente di lettere al Magistrale Verga sempre di Modica. Durante gli anni d’insegnamento svolse intensa attività culturale con la pubblicazio-ne di numerosi saggi sulla riforma della Scuola Media. Per trent’anni fu frequentatore degli Archivi di Stato (Palermo, Ragusa, Modica), com-piendo ricerche storiche sulla Con-tea di Modica. Tradusse e trascrisse molti documenti inediti; ha analizza-

to fatti e personaggi, dando

vita ad una storia poco conosciuta della nostra città e del territorio. Per l’Associazione Dialogo nell’83 va in stampa la sua prima opera di storia patria La riforma del diritto di prela-zione in un’ordinanza del conte Bernardo Cabrera a Ragusa nel 1406. Nell’85 e nell’87 escono I e II Parte dell’Introduzione alle Consuetudini ed agli Istituti della Contea di Modica (ristampata nel 1988). Nel 1990 per il Comune di Vittoria pubblica un’opera ponderosa dal titolo La Nuova Terra di Vittoria dagli albori al Settecento, nella quale sostiene la tesi secondo cui la colonizzazione interna della Sicilia, dalla fine del ‘500 in poi, pro-mossa dai re di Spagna, diede luogo alla fondazione di oltre un centinaio di borghi, poi ‘paesi’ o, come nel caso di Vitto-ria, terre. Nel ’93 esce, anco-ra per Dialogo, l’opera La Contea di Modica nel Regno di Sicilia (ampliata nel ‘96). In questo testo c’è la gran-dezza della Contea, il suo divenire un regnum in regno per ordinamenti ed istituzioni. Raniolo, corroborato da ricerche originali e confronti con al-tri studiosi che si sono occupati dello stesso argomen-to, collega lo svilup-po storico di Modica con le condizioni dell’Isola e di varie città vicine a Mo-dica. Molta atten-zione è posta ai fat-ti ed agli avvenimenti che vanno dal Cinquecento in poi con riferimento soprattutto ai Conti Enriquez Cabrera ed alle loro riforme amministrative. Nel 2003 il Centro Studi ‘Rossitto’ di Ragusa edita la voluminosa opera in tre volumi I riveli del 1607 a Ragusa. Con una pazienza certosina, G. Ranio-lo trascrive tutti i dati relativi ai Riveli o denunce delle persone e dei reddi-

ti, che ebbero luogo a Ragusa quattro secoli fa, nel 1607 in oltre cinquemi-la fogli manoscritti già compilati da vari amanuensi. L’opera ha una sua rilevanza storico-sociale riguardo all’attuarsi del feudalesimo in Sicilia, perché evidenzia la vita civile di un piccolo centro. Il libro è una miniera di informazioni riguardanti quartieri, contrade, nomi di famiglie, palazzi,

etc. Nel 2006 per EdiARGO di Ragusa esce l’ultima sua importante ricerca storiografica Il governatore Belnardo del Nero. È un testo di fondamentale importanza per la ricostruzione della storia della Contea e delle sue isti-tuzioni. G. Raniolo illumina il letto-re su una operazione legislativa che nel Cinquecento seppe coniugare sapientemente consuetudini locali e principî giuridici generali dettati dal governo spagnolo. L’Autore si soffer-ma anche sulla sorte che toccò allo stesso Belnardo il quale, ostacolato, osteggiato, accusato e condannato, dovette subire l’ignominia di due anni di carcere duro proprio dentro le segrete del Castello di Modica, per poi essere liberato, riabilitato e perfi-no rimborsato dal Conte Henriquez in

persona. La ricostruzione delle vicen-de è attenta e puntuale. L’ultimo suo lavoro è stata la traduzione dal latino del libro De epidemica lue scritta da Francesco Matarazzo, archiatra del-la Contea, medico e scienziato, nel 1719. La traduzione è avvenuta nella ricorrenza del terzo centenario della miracolosa fine della peste a Modica, nel 1709, dovuta, secondo la tradi-zione, ad intercessione della Madon-na delle Grazie. L’attività di ricerca del Nostro è testimoniata anche da una lunga serie di saggi più pubbli-cati da Dialogo, Archivum Historicum Mothycense, Pagine del Sud e Archi-vio Ibleo, che nella intenzione del-lo stesso autore avrebbero dovuto essere riuniti in un lavoro dal titolo Istituzioni ed eventi nel Regno di Si-cilia e nella Contea di Modica di cui non ha potuto veder la luce. Si deve aggiungere, infine, un inedito scritto durante la deportazione in Germa-nia: un poemetto in sestine di otto-cento versi dal titolo Meditazioni di un deportato, relativo alle vicissitu-dini dei deportati, alle tristissime vi-cende della seconda guerra mondia-le, alle condizioni sociali e politiche presumibili dopo la fine della stessa. Giuseppe Raniolo è stato “uno di quei rari studiosi locali che alla com-petenza del metodo storiografico ed al rigore filologico nell’analisi delle fonti [ha accoppiato] un’inesauribi-le curiosità scientifica verso nuovi sentieri di ricerca…”. Egli ha avuto “il fiuto della scoperta archivistica, la scrupolosa ricerca dei documenti, la competenza filologica, la capacità di riordinare la trama degli eventi e dei personaggi…” (Giuseppe Baro-

ne). Personalmente ho conosciuto il Prof. Raniolo verso la metà degli anni settanta. E’ stato sempre persona in-teressato alle vicende culturali e poli-tiche della città e della provincia. Con tutti era sempre foriero di consigli ed indicazioni. La sua passione per la do-cumentazione archivistica lo faceva stare intere giornate chino su faldo-ni, e documenti dalla grafia incerta, poco visibile, a volte incomprensibili, per lui divenuta pane quotidiano. Era disponibile a discutere e confrontarsi nonostante avanti negli anni. La sua intelligenza era rimasta sempre flui-da, creativa. Riempiva la solitudine fi-sica della sua vita con letture diverse, soprattutto documentali. Chiedeva materiali a chi ne aveva; fotocopiava, traduceva, trascriveva con un fervo-re certosino. Anche negli ultimi anni con lo stato di salute e di autonomia personale leggermente compromes-si, nonostante i novant’anni faceva il lavoro di un trentenne, rimanen-do applicato ed attivo per parecchie ore al giorno attrezzato perfino con un notebook! Aveva imparato ad uti-lizzarlo al meglio, almeno per quelle funzioni che a lui interessavano. Ogni tanto non riusciva a registrate, o can-cellava distrattamente un file, lavoro di giorni. Ma non si perdeva d’animo: ricominciava dall’inizio. Aveva il suo cellulare sul comodino e con questo si sentita con molti. La sua persona era una ventata di ottimismo e fino agli ultimi tempi ha vissuto un pre-sente incredibilmente pieno, nella prospettiva di un futuro di cui non aveva paura e che gli apparteneva.

E’ morto a Gennaio uno dei più importanti storici di Modica

GiUSEPPE Raniolo,UoMo di CUltURa E UManitÀ

Piergiorgio Barone

Salongo, Muhindo, Michel, Ndotole, Janvier, Kambale,... veri fiori, anche se poco visibi-li, sono loro i papà di Muhanga. Pochissi-

mi uomini, non cantano nè danzano con vestiti variopinti come le donne, non ti tengono per mano e non ti rega-lano affettuosità come i bambini,difficilmente vengono chiamati per nome:sono il papà di Isaki, il papà di Elisa, il papà di... Sono i primi ad essere arrivati qui ricomin-ciando da zero e non si sono mai arresi neppure quando la guerra ha distrutto le capanne; sono loro che sfidano i nemici della foresta (ci riferiamo a quelli che trasporta-no la legna illegalmente provocando deforestizzazione) e in sordina vegliano sulle loro famiglie quando la pre-senza dei soldati minaccia la loro serenità faticosamente conquistata;sono ancora loro che senza esitazione, an-che rischiando, vengono in aiuto dei wazungu ( uomini bianchi) lavorando interi giorni per appianare le strade e permetterci di viaggiare tranquilli e , nei momenti di dif-ficoltà e di tensione, si stringono in punta di piedi al loro padiri Giovanni, allora i loro visi, sempre sorridenti, di-ventano quasi inespressivi, sembrano distaccati, ma for-se solo rassegnati all’ineluttabile. Alle cinque del mattino comincia la loro giornata, è ancora buio e senti i passi di coloro che si avviano ai campi, i saluti vicendevoli quasi bisbigliati. Più tardi il gracchiare di una radio proprio die-tro la missione annuncia che si è pronti per iniziare i lavo-ri alla falegnameria, si aspettano solo i tirocinanti. Se vai a visitarli impugnano con orgoglio gli attrezzi e mostrano le opere terminate lasciandosi fotografare, sanno che qualcuno all’altro capo del mondo finalmente li vedrà. I meccanici controllano l’unica auto e l’unico camion, rot-tame dell’esercito italiano, acquistati e risistemati non con gli aiuti di una Ong, ma solo attraverso la generosità di amici italiani. Nel tempo hanno acquisito esperienza

su strade impraticabili che conoscono buca dopo buca alla perfezione. E’ incredibile come si muovano agilmen-te in mezzo al fango sotto una pioggia battente, cercan-do di sollevare la jeep impantanata o peggio un camion stracarico di gente che altrimenti farebbe tre giorni di cammino per arrivare al mercato del più vicino villaggio. Si vendono, quando va bene, fagioli e manioca, si acqui-stano sale, zucchero o riso introvabili a Muhanga. Spesso devono cambiare i pneumatici o riparare l’asse, a quel punto con molta calma cominciano a valutare il danno poi procedono con determinazione risollevando imman-cabilmente i cuori dei passeggeri bianchi riconoscenti per aver fugato tutte le più allucinanti paure. Trascorro-no il loro tempo libero giocando a carte tra un bicchiere di birra e l’altro, birra artigianale estratta dal grano, e a volte alzano il gomito, un peccato di gola che forse a loro si può pure perdonare quando non degenera in qualcosa di più serio. Del resto i loro ritmi lavorativi non sono così ingabbiati come i nostri, le ore scorrono lente e pensare forse fa più male che a noi! La vita che conducono è ordi-naria, legata ai ritmi della natura, ai capricci del cielo: non si può andare a coltivare né intraprendere il cammino a piedi o con le rudimentali biciclette se diluvia, la macchi-na si usa solo nelle necessità, il carburante costa per non parlare dell’usura. I bianchi che arrivano, invece, hanno tutto, possono anche sognare, progettare e realizzare un futuro diverso magari diventando famosi. Di questi uo-mini che percorrono giornalmente le strade della foresta, forse, non parlerà mai nessuno, eppure sono senza dub-bio loro, che trattiamo come i parenti poveri di cui avere vergogna o come trofei di una distratta elemosina, i veri eroi di questa terra ingiustamente dimenticata.

I papà di Muhanga“Il benessere occidentale è anche frutto

di materie prime pagate nulla. La gente africana sa che le ricchezze vanno in Europa ed in America”

Don Giovanni Piumatti

“NUVOLE”

Pallide nuvole nel ventoso mezzodi vanno e vengono In solitudine,a cinger l’estremo orizzonte d’ intima beltà

Nei cieli tersi dell’ignoto svanendoCome ninfee di bianco candore in tediose paludi.

Nuvole cariche di pioggia e di amari silenzi Vibran nell’aria umida e fredda

Cosi di presso in un perpetuo errare libero selvaggioNella terra ruvida tra macerie languide

giacciono i segni di remote offese,di un vuoto insanabile.Fremono rocce e clivi e monti leziosi

Sogni di pace agreste come foglie sciamanti in autunno,I luminosi raggi di un timido sole

Brulicano tra i verdi campi ebbri d’amore in cerca di rugiada,nella quiete lontana dei gigli.

Il giorno dagli abiti porpora si spieganelle acque madide evanescenti con dovizia

Indugiando e gemendo a suggellare baci e carezze.Sotto questo salice mesto siedo Come un fiore che avvizzisce,

a rimar i sospiri del vento,non resta altro che abbracciare il tramonto.

Andrea Agosta

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Sport e Libri

Il clandestino Pagina 13

Sport

ancora Scherma Modica, in italia e

non soloGiovanni Lonico

Fine settimana (20-21 Febbraio) intenso di gare e di emozioni, come del resto da qui fino alle festività pa-squali, quello vissuto dalla Conad scherma Modica e

dai suoi atleti in giro per l’Italia, e non solo. A scendere in pedana, tra gli atleti modicani, per difendere i colori del-la nazionale italiana, sono stati Giorgio Avola, in pedana a Venezia impegnato in Coppa del Mondo Assoluta con la nazionale maggiore di fioretto e Walter Polara e Ora-zio Iozzia a Viana do Castelo, in Portogallo, per la prova di Coppa del Mondo under 20; a Catania, invece, si è svolta

la seconda prova regionale di spada che ha visto gareg-giare tra gli altri, ben 27 atleti della contea nelle varie ca-tegorie maschili e femminili. Buona la prova dell’atleta di maggiore spessore della società modicana, Giorgio Avola, anche se c’è un po’ di rammarico e di delusione per il risul-tato finale conseguito: 38esimo classificato su 141 parteci-panti. Ottimo avvio quello di Avola che dopo aver passato la fase a gironi vincendo tutte le gare e dopo aver vinto anche la prima fase ad eliminazione diretta, si è dovuto arrendere agli ottavi contro il connazionale, nonché cam-pione mondiale ai Campionati del 2009, Stefano Barrera, siciliano anche lui. 15-13 il punteggio finale che ha sancito l’eliminazione di Giorgio Avola, seguito da vicino dal mae-stro Eugenio Migliore, oltre che dai tecnici della nazionale. Positiva è stata anche la prestazione di Polara e di Iozzia, che di scena in Portogallo, all’esordio internazionale, non hanno assolutamente demeritato. Entrambi sono riusciti a superare la fase a gironi, anche se con risultati differen-ti (4 vittorie e 2 sconfitte il bilancio di Polara, 5 vittorie e 1 sconfitta per l’altro modicano Iozzia), ma mentre per il primo è stata fatale la prima fase ad eliminazione diret-

ta, il secondo è riuscito ad ottenere una vittoria per 15-5 contro il polacco Jan-da, venendo poi eliminato al turno successivo, racco-gliendo così un 18esimo posto finale. Da ricorda-re che entrambi gli atleti la settimana precedente erano riusciti ad ottenere risultati eccellenti a Matera, in occasione della seconda prova di qualificazione all’Open Assoluto, con Polara che era riuscito a piazzarsi secondo nel fioretto maschile e Iozzia terzo pari merito con l’altro atleta modicano Gabriele Boncoraglio. Tra gli atleti modi-cani di scena a Catania, da segnalare Ilaria Fiore, qualifica-tasi per la fase nazionale che si svolgerà ad Aprile a Foggia, il quartetto femminile di fioretto (Di Guardo, Poidomani, Di Benedetto, Terranova) che ha riportato un ottimo suc-cesso, e le due squadre maschili (Tedeschi, Adamo, Bonco-raglio e Tedeschi, Licitra, Imeraj) rispettivamente seconda e terza classificata.

La recensione di Stefano Meli

“Niente, piùniente al mondo”

Massimo Carlotto

Edizioni E/O 2004

Tutti i politici che governano il nostro pae-se dovrebbero leggere questo piccolo rac-conto. Se veramente, come dicono loro,

sono interessati alla gente, al popolo, dovreb-bero sedersi una mezz’oretta e leggere atten-tamente questo libro di Massimo Carlotto. Non vi preoccupate cari signori, questo è un piccolo racconto che non vi porterà via molto tempo, poi se ne avete il coraggio, potete continuare a farvi i fatti vostri come d’altronde è vostra con-suetudine. In appena sessanta pagine Massimo Carlotto descrive in modo magistrale una quoti-diana tragedia familiare. Una famiglia come tan-tissime altre in un quartiere dormitorio popolare alla periferia di Torino. Una famiglia costretta ad una sopravvivenza estremamente difficile e per niente dignitosa. Una famiglia, all’interno del-la quale, si consuma un delitto assurdo dettato dalla precarietà lavorativa e quindi dalla totale assenza di prospettive. La cassa integrazione, il licenziamento da parte dei padroni industriali avallati da una classe politica e dirigente sempre più lontana dai problemi della gente e sempre più vicina all’avarizia, al denaro sporco e al po-tere. La totale assenza di strumenti culturali che aiutano l’essere umano ad opporsi allo squallore dell’esistenza, la tragedia in cui si trasforma la vita quando non si riesce più a sbarcare il lunario perché non si è più produttivi, la pensione che diventa un miraggio lontanissimo, essere con-sumatori, comprare per sentirsi vivi, sorridere sempre a chi il giorno dopo ti butterà in strada sputandoti addosso, uno stato che non è più in grado di garantire i più elementari diritti e i più elementari servizi, sentirsi giorno dopo giorno con l’acqua alla gola e non riuscire trovare solu-zioni, costretti a vivere in piccoli appartamenti dentro mostruosi casermoni di cemento che ti tolgono l’aria minuto dopo minuto, poi c’è l’affit-

to carissimo che mese dopo mese non sai mai se riuscirai a pagarlo sentendo sempre tutta la tua vita in bilico. E allora accendi la televisione che diventa l’unico modello, l’unico sfogo, l’unico sbocco. Le falsità e le idiozie della tv diventano, quindi, lo specchio di quello che vorremmo esse-re o che vorremmo diventare per abbandonare la tragedia che è la nostra vita. Nella famiglia in questione tutto ciò avrà un tragico epilogo. Una grossissima colpa è sicuramente da attribuire alla classe politica, la quale vive in un altro mondo rispetto a quello della gente e non ha idea della dignità che ha volgarmente trafugato e rubato alle famiglie, alla gente e ai lavoratori del nostro paese. Queste pagine di superba narrazione non sono altro che uno specchio polveroso del nostro quotidiano, di questa società malata e perversa che hanno costruito, che ci hanno consegnato e in cui ci hanno costretto a vivere. Grazie mille signori politici e signori dirigenti, grazie infinite per averci trasmesso l’intolleranza, il parassiti-smo, la stupidità, la paura, la falsità, l’ipocrisia. Grazie per aver creato un mondo dove l’ingiusti-zia trionfa e diventa la base delle vostre carriere e delle vostre vite, grazie di cuore per le vostre apparizioni televisive dove ci spiegate che in fon-do va tutto bene. Ma d’altronde il vostro mondo è un altro e non potrete mai capire le vite di chi onestamente cerca di sopravvivere e di chi inve-ce non ce la fa. Il libro di Massimo Carlotto parla di tutto questo e ci spiega molto semplicemente dove la nostra società ci ha portato, sicuramente in un punto di non ritorno. “Niente, più niente al mondo” ci spiega perché una madre arriva ad uccidere la propria figlia, ci spiega perché niente, più niente al mondo servirà a rimettere le cose a posto. Anzi, cari signori politici, sapete cosa vi dico? Prendetevi un bel caffè invece di leggere questo libro. Prendetevi un bel caffè e non ci pensate, tanto domani arriverà il vostro stipen-dio, uno stipendio con molti zeri, quindi che ve ne frega di questi cittadini che non sono altro che dei poveracci e degli illusi, perché pensare a queste brutte storie, in fondo che cosa ve ne fre-ga, voi siete capaci di ridere anche sulle tragedie più forti, pensando al denaro che poi vi arriverà. Poi se proprio non vedete l’ora di leggere questo racconto, fatelo pure e alla fine l’unica cosa che vi resterà da fare sarà semplicemente seguire il consiglio di Garabombo l’invisibile e cioè quella di mettervi in galera da soli.

Novità Sicilia Punto L edizioni

Alto tradimentoLa repressione dei “moti del non si parte” dal carcere al confino di

Ustica – 1944/1946

Francesco GiomblancoPagine 208

Euro 12.

Si tratta dell’ultima pubblicazio-ne, in ordine di tempo, che le edizioni Sicilia Punto L dedicano alla ricostruzione delle sommos-se contro la guerra del dicembre 1944-gennaio 1945, che videro le popolazioni della provincia iblea insorgere dapprima in maniera pa-cifica, poi anche violenta, contro il richiamo alle armi emanato dal governo Badoglio. In questo te-sto vengono sviscerati i momenti cruenti della rioccupazione dei pa-esi del ragusano da parte dell’eser-cito italiano, in alcuni casi dopo fu-riose battaglie, con morti e feriti; la catena di arresti indiscriminati, anche di donne, giovanissimi e anziani; la prima carcerazione, gli interrogatori, le violenze inferte agli arrestati; la deportazione, in-fine, in diverse carceri dell’Isola e al confino di Ustica. L’autore, con l’ausilio di documenti di prima mano e di toccanti testimonianze di alcuni dei protagonisti dell’in-surrezione popolare, ci permette di entrare dentro il “buco nero” di questo periodo della nostra storia, e di toccare con mano le vicissitu-dini di centinaia di cittadini che eb-bero l’ardire di opporsi alla guerra. I fatti, purtroppo mistificati da una storiografia acritica e allineata alle direttive del governo di allora e del partito comunista, secondo le quali, chi disertava o si rivoltava, non poteva che essere “reaziona-

rio e fascista”, sono stati, in realtà, l’espressione genuina dell’avver-sione dei popoli alle violenze de-gli stati, alle guerre e agli eserciti. Essi rappresentano un momen-to di grande dignità espresso da donne e uomini di questa nostra terra, così bene rivendicato da persone che vi hanno preso parte, come Maria Occhipinti e Franco Leggio, nei loro scritti e nella testi-monianza di tutta una vita. Con la pubblicazione di questo lavoro di Francesco Giomblanco, le edizio-ni Sicilia Punto L ritengono di aver completato un impegno intrapre-so vent’anni fa, nell’ormai lontano 1980, allorquando uscì il primo testo, di Giovanni La Terra: “Le sommosse nel ragusano – dicem-bre 1944-gennaio 1945” (ancora disponibile a euro 5), cui seguì il li-bro di Laura barone: “Maria Occhi-pinti. Storia di una donna libera” (esaurito), quindi “Rivolte e me-moria storica”. Atti del convegno “1945-1995: le sommosse contro il richiamo alle armi cinquant’an-ni dopo” (disponibile, euro 5); poi ancora: Giosuè Luciano Romano, “Moti rivoluzionari nel ragusano – dicembre 1944-gennaio 1945” (disponibile, euro 5); il fumetto di Antonio Mangiafico e Pippo Gur-rieri, “Non si parte! Non si parte! Le sommosse in Sicilia contro il ri-chiamo alle armi” (disponibile a 10 euro), e la tesi di laurea alla Sor-bona di Parigi di Ismène Cotensin, “Maria Occhipinti e la rivolta di Ra-gusa (gennaio 1945). Un percorso intellettuale, politico e letterario” (disponibile, euro 10). Per richie-dere il testo di Giomblanco o i pre-cedenti, versare l’importo sul ccp n. 10167971 intestato a Giuseppe Gurrieri – Ragusa, specificando la casuale. Oppure utilizzare l’e-mail: [email protected]

A Miniminagghia

“Haiu ‘na bbaddacu setti purtusa.”

(Soluzione numero precedente: Le tegole)

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