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Management locale Rivista di amministrazione, finanza e controllo ISSN 2420-7845 Anno V • numero 03 • Marzo 2017 IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI DEI CONSIGLIERI COMUNALI l’ostensione dei provvedimenti “La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte).” “Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre.” “Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione? Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea”

IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI DEI CONSIGLIERI COMUNALI · Luciano Catania segretario generale, componente di nuclei di valutazione email: [email protected] Liliana Cirillo

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Management localeRivista di amministrazione, finanza e controlloISSN 2420-7845

Anno V • numero 03 • Marzo 2017

IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI DEI CONSIGLIERI COMUNALIl’ostensione dei provvedimenti

“La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte).”

“Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre.”

“Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione? Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea”

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2 MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 2017

5 “Il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali” di Salvatore Coscarelli

9 “Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione? Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea” di Rosario Scalia

44 “Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)”di Marco Lo Franco

54 “Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga” di Luciano Catania

66 “Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi (art. 32 D.L. n. 90/2014)” di Paolo Longoni

70 “La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte).”di Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

79 “Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità”di Silvana Mele

92 “Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenziali” di Antonella Morgillo

RUBRICHE

“Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre.” a cura di Rosario Poliso

“Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio di Stato”a cura di Stefano Usai

Collaboratori Comitato Scientifico Contatti

IN QUESTO NUMERO

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3 MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 2017

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Hanno collaborato a questo numeroEugenio Piscino esperto di finanza locale e fiscalità locale, dirigente di enti locali, Presidente dell’ASFEL email: [email protected]

Luciano Cataniasegretario generale, componente di nuclei di valutazione email: [email protected]

Liliana Cirillofunzionario di enti locali, esperto in gestione del personale, [email protected]

Salvatore CoscarelliDottore in giurisprudenza, specializzando in diritto civile, collaboratore didattico del.prof. Enrico Caterini

Marco Lo FrancoFunzionario Ragioneria Generale Città metropolitana di Roma Capitale email: [email protected]

Paolo Longonicommercialista, esperto di contabilità pubblica e di servizi pubblici locali email: [email protected]

Antonietta Morgillocollaboratore amministrativo Ministero della Difesa email: [email protected]

Rosario ScaliaPresidente della Sezione regionale di controllo della Basilicata della Corte dei conti

Stefano Usaicollaboratore del “Quotidiano degli enti locali e PA del Sole 24 ore”, per varie riviste Maggioli, Ipsoa, CEL. Formatore e autore di numerose pubblicazioni in materia di appalti, procedimento e finanza locale email:[email protected]

Rosario Polisocommercialista, esperto di contabilità pubblica e di servizi pubblici locali

Silvana Meleabilitata all’esercizio della professione forense ed iscritta all’albo nazionale dei Segretari Comunali e Provinciali email: [email protected]

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Marzo 2017 • numero 03 • Anno V • MANAGEMENT LOCALE 4

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Il comitato scientificoAntonini Luca Avvocato Professore ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Padova - Presidente della Copaff

Barbiero Alberto Consulente amministrativo-gestionale in materia di appalti e di società partecipate

Bellesia Mauro Dirigente Enti Locali, Docente di corsi

Buscema Angelo Presidente di coordinamento delle Sezioni riunite di controllo

Cascone Gennaro Dirigente enti locali, Docente di corsi

Caterini Enrico Professore ordinario di Diritto Privato preso l’Università della Calabria

D’Aristotile Ebron Professore a contratto di Economia delle aziende ed amministrazioni pubbliche Università G D’Annunzio Chieti Pescara

Fabiano Santo Docente universitario e formatore

Fissi Silvia Assegnista di ricerca e docente a contratto di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Firenze

Giordano Biagio Mef - Ragioneria Generale dello Stato - Dirigente Ispettorato Generale di Finanza- Servizi ispettivi di finanza pubblica-Settore IV

Gori Elena Ricercatore di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Firenze

Graffeo Maurizio Presidente della Sezione Regionale di controllo della Corte Conti - Sicilia

Jorio Ettore Professore di Diritto Sanitario presso l’Università della Calabria

Miele Tommaso Magistrato della Corte dei conti - Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti

Occhiena Massimo Professore associato di diritto amministrativo presso l’Università Bocconi

Piperata Giuseppe Professore associato di diritto amministrativo presso l’Università Iuav di Venezia

Piscino Eugenio Dirigente enti locali, esperto di finanza e fiscalità locale

Pizziconi Giampiero Magistrato della Corte Conti, Sezione Regionale di controllo del Veneto

Sorci Antonio Assistant professor di Economia Aziendale presso l’Università Kore di Enna

Tessaro Tiziano Magistrato della Corte Conti, Sezione Regionale di controllo del Veneto

Rosario Scalia Presidente della Sezione regionale di controllo della Basilicata della Corte dei conti

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 20175

Il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunalidi Salvatore Coscarelli

Preliminarmente, occorre fornire una definizione del c.d. “diritto di accesso”.Ebbene, per diritto di accesso, si intende il diritto degli interessati a prendere visione e ad estrarre copia di documenti amministrativi.Ne sono titolari tutti i cittadini, società, associazioni e tutti coloro i quali sono portatori di interessi pubblici e/o diffusi e, che abbiano un interesse corrispondente ad una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento e collegata al documento di cui se ne chiede l’accesso.Pertanto, per “documento amministrativo”, si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti detenuti da una pubblica amministrazione e, concernenti attività di pubblico interesse.I consiglieri comunali, nell’espletamento del loro mandato, hanno diritto ad accedere agli atti in possesso dell’Amministrazione comunale.Tale diritto trova la sua specifica disciplina nell’art. 43 del D.lgs. 18 Agosto 2000 n. 267 secondo cui “1. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio. Hanno inoltre il diritto di chiedere la convocazione del consiglio…e di presentare interrogazioni e mozioni. 2. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia…tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente indicati dalla legge. 3. Il sindaco o il presidente della provincia o gli assessori da essi delegati rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri…”.Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che “Ai sensi dell’art. 43, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, i consiglieri comunali hanno diritto di ottenere dall’amministrazione tutte le notizie e le informazioni in loro possesso; ciò non in funzione della tutela di posizioni soggettive individuali, bensì allo scopo di consentire il proficuo esercizio del mandato

I consiglieri comunali hanno diritto ad accedere agli atti in possesso de l l ’Ammin i s t ra z i one comunale

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 20176

Salvatore Coscarelli

Il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali

democratico di proposta, verifica e controllo dei componenti delle assemblee elettive; l’interesse del consigliere comunale deve essere ravvisato nel pieno esercizio delle sue prerogative di controllo democratico” (Tar Lombardia, Milano, sez. I, 27 novembre 2014, n. 2834).Da una prima lettura dell’anzidetto articolo possiamo, con certezza, affermare che, tale diritto, funzionale all’esercizio del mandato del consigliere comunale è espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.

I consiglieri comunali, hanno un ampio diritto di accesso a tutti gli atti utili per l’espletamento del loro mandato, sia per valutare pienamente la correttezza e l’efficacia dell’operato della pubblica amministrazione sia per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio comunale.Sul punto la giurisprudenza ha precisato che “I consiglieri comunali hanno un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni, anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’Amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525).Non è ultroneo precisare che, siffatto diritto dei consiglieri, ha una ratio diversa e più ampia rispetto a quella concessa alla generalità dei cittadini per tutelare le proprie posizioni soggettive ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 del D.lgs. n. 267/2000 e dell’art. 22 e s.s. della legge n. 241/1990.Per quanto concerne l’ampiezza dell’anzidetto diritto, il consigliere comunale non ha l’obbligo di accludere una specifica motivazione alla propria richiesta di accesso che, si estende, a qualsiasi atto ritenuto utile ai fini dell’esercizio del mandato.Infatti “Il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è soggetto ad alcun onere motivazionale, diversamente opinando, verrebbe introdotto una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale” (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 846).Orbene, il predetto diritto, pur nella sua evidente e legittima ampiezza, incontra un importante limite consistente nel dover determinare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali.Inoltre, le richieste dei consiglieri, non devono essere assolutamente generiche o meramente

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 20177

Salvatore Coscarelli

Il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali

emulative fermo restando, tuttavia, che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente vagliata in concreto al fine di non introdurre inammissibili limitazioni al diritto stesso.In questa sede, con riferimento alla presente materia riguardante l’accesso ai documenti amministrativi, svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della tutela del succitato diritto, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.

Essa, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1991 a seguito dell’entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241/1990), è l’organismo preposto alla vigilanza sull’attuazione del principio della piena conoscibilità e trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione al quale possono rivolgersi privati cittadini e pubbliche amministrazioni.Gli interessati possono rivolgersi in via amministrativa alla Commissione avverso le determinazioni concernenti il diritto di accesso adottate dalle amministrazioni pubbliche.Il procedimento amministrativo instaurato innanzi alla Commissione a seguito di ricorso presentato da uno o molteplici ricorrenti, consente, in caso di accoglimento dello stesso, di riesaminare il provvedimento di diniego e di concedere l’accesso ai documenti richiesti.È opportuno precisare che, il ricorso presentato dinanzi alla Commissione, sospende i termini per la presentazione del ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale competente.Ovviamente, il ricorso amministrativo non è alternativo a quello giurisdizionale.Ebbene, la succitata Commissione, con il parere del 29/11/2009, al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio dell’ordinaria attività amministrativa dell’ente locale, ha riconosciuto la possibilità per il consigliere comunale di avere accesso diretto al sistema informatico interno del comune attraverso l’uso della password di servizio.In tal senso, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna, con la sentenza n. 29/2007 ha ritenuto che “la notevole mole della documentazione da consegnare può, nel caso, giustificare la distribuzione nel tempo del rilascio delle copie richieste”.E invero, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6742/2007 ha affermato che “qualora si tratti di esibire documentazione complessa e voluminosa, appare, altresì, legittimo il rilascio di supporti informatici al consigliere, o la trasmissione mediante posta elettronica, in luogo delle copie cartacee”.Tale modalità è conforme alla vigente normativa in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi

organismo preposto alla vigilanza

Sospensione dei termini per il ricorso al TAR

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 20178

Salvatore Coscarelli

Il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali

Difatti, il decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005 (Codice dell’amministrazione digitale) all’art. 2 prevede che anche “le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.

In conclusione, si può affermare che, l’accesso agli atti, per quanto concerne i consiglieri comunali, è un diritto ampio e incondizionato che consente il controllo democratico della vita amministrativa dell’ente locale in ossequio ai principi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.Inoltre, l’utilizzo del sistema informatico quale strumento di accesso agli atti, in caso di documentazione voluminosa, comporta il minor aggravio possibile per l’ente locale, essendo questo l’unico vero limite che il consigliere comunale incontra nell’esercizio del predetto diritto.

diritto ampio e incondizionato

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 20179

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea.di Rosario Scalia

Premessa.

Non è una semplice domanda; ma non può essere neppure considerata una semplice affermazione.

E’, se mai, un tentativo della ragione di cercare di razionalizzare il sistema di potere che la nostra Carta costituzionale assegna ai decisori politici, che sono tanti quanti sono i livelli di governo; sistema di potere che gode, in genere, della prerogativa di avere una propria “autonomia organizzativa” 1.

1 Nel testo costituzionale del 1948, per la Regioni l’art. 123 della Costituzione prevedeva: «Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione»; per gli Enti Locali, l’art. 128 della Costituzione prevedeva: «Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determina le

razionalizzare il sistema di potere

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201710

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Una ricerca che trova ragion d’essere nell’esigenza, di rendere quanto più conoscibili le istituzioni che si interessano della nostra vita quotidiana, cioè che sono preposte a soddisfare i nostri bisogni (dal bisogno di sicurezza al bisogno dell’assistenza sanitaria).

Una ricerca che vuole mettere in guardia i decisori politici dal condividere slogan che potrebbero apparire, a prima vista, assai allettanti.

E il primo fra tutti è quello che suona così: “Con il decentramento si realizza un servizio migliore al cittadino...”.

Uno slogan che, purtroppo, non tiene nel debito conto una delle (accertate) conseguenze di esso: l’aumento incontrollabile dei fenomeni di corruzione, in considerazione della proliferazione dei centri di spesa che una siffatta decisione politica comporta.

Uno slogan, ancora, che deve formare oggetto di ampia, meditata ponderazione è questo: “Affidare la gestione di una politica pubblica al livello di governo più vicino al cittadino (al

funzioni».Stando alla nota voce autonomia pubblica dell’Enciclopedia del diritto, Giannini individua tre distinte tipologie di autonomia: normativa, istituzionale e organizzatoria.La prima, secondo le tradizionali nozioni di teoria generale, si sostanzia nella possibilità di darsi delle norme equiparate a quelle dell’ente sovrano così che, dal punto di vista dei rapporti tra fonti, costituiscono espressioni di autonomia «gli atti degli enti non sovrani mediante i quali si pongono queste norme»; invece, dal punto di vista della formazione, sono norme di autonomia «le norme poste da questi atti normativi».Riconoscere in capo a un ente pubblico il carattere dell’autonomia normativa significa attribuire al medesimo la potestà di regolare interessi con proprie norme, integratrici delle norme statali e alle stesse equiparate: possono ad esempio essere considerati atti normativi di autonomia le leggi regionali, che già negli anni ’50 qualcuno assimilava integralmente alle norme primarie dello Stato, ammettendo che le prime potessero modificare o abrogare le norme statali ed esser da queste ultime a loro volta modificate o abrogate. Detto in altri termini, autonomia normativa significa indipendenza (ma non libertà) nell’attività di regolazione normativa.Già Zanobini, molti anni prima dell›entrata in vigore della Costituzione (e, dunque, quando il problema dell’autonomia regionale non si è ancora manifestato in tutti i suoi aspetti) afferma il principio generale secondo cui «l’autonomia ha nell’attività dell’ente la stessa posizione che spetta, nell’ordinamento dello Stato, alla funzione legislativa». Con tale espressione, l’Autore intende sottolineare proprio il carattere dell’indipendenza normativa - di cui si è poc’anzi detto - dell’ente autonomo, in grado di porre delle norme che interessano tutti i campi di un determinato sistema giuridico: dunque, norme sull’ordinamento dell’ente, sulle sue cariche, sui suoi uffici o, ancora, norme che ad esempio creino diritti e doveri fra i componenti dell’ente medesimo o verso quest’ultimo.A differenza dell’autonomia normativa, secondo Giannini - che critica la nozione di autonomia istituzionale fornita da Santi Romano, cui peraltro si deve la paternità dello stesso concetto - l’autonomia istituzionale concerne la relazione che si pone tra più ordinamenti giuridici non derivati, «i quali non si riconoscano reciprocamente, ma insieme non si disconoscano (cioè l’uno non dichiari l’altro illecito o illegittimo) e siano costretti di fatto a subire l’uno la presenza dell’altro e viceversa, e quindi ciascuno ad accettare il fatto dell’altro», così che ogni ordinamento deve ammettere, di fatto, che certe materie sono regolate dalla normazione dell’altro.Tale nozione, che presuppone l’adesione alla dottrina della pluralità degli Ordinamenti giuridici, viene utilizzata soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Stato e confessioni religiose, i quali «non sono derivati e quindi sono estranei all’ordinamento statale in quanto costituiti e sviluppati fuori di esso ma sono costretti a porsi in relazione con l’ordinamento statale medesimo, consentendo reciprocamente che alcune materie siano regolate dalla normazione dell’altro ordinamento».Infine, quale tertium genus dell’autonomia, viene in rilievo l’autonomia organizzatoria, cioè la situazione nella quale si vengono a trovare quelle figure giuridiche (come ad esempio gli enti pubblici) che si caratterizzano per il fatto di essere indipendenti rispetto a delle altre figure soggettive omogenee. Più precisamente, Giannini definisce l’autonomia organizzatoria quale uno strumento in cui i rapporti organizzatori fra più figure soggettive di uno stesso genere vengono disciplinati, in deroga alla regola, in modo tale da attribuire alle une poteri più ampi di quelli che sono invece attribuiti alle altre.Tanto per fare un esempio in grado di chiarire meglio il concetto, si può pensare agli enti locali territoriali, i quali assumono nel sistema dei pubblici poteri una posizione del tutto propria rispetto a qualsiasi altro ente pubblico.Se tali sono le premesse, sulla base della tripartizione gianniniana del concetto di autonomia, si può sostenere che l’autonomia regionale si caratterizzi per l’essere tanto autonomia organizzatoria, in virtù del suo contenuto costitu-zionale generale, quanto autonomia normativa, per la peculiare posizione che nella gerarchia delle fonti assumono gli atti normativi per mezzo dei quali la medesima autonomia si manifesta.

Aumento dei fenomeni di corruzione

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201711

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Comune) è risolutivo dei mali della Pubblica Amministrazione”.

Così come è da meditare uno slogan che contenga un messaggio come questo: “Senza la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici non ci sarà alcun miglioramento della loro produttività...”.

Nulla di tutto questo si rivela, alla distanza, più falso.

Alla base di ogni e qualsiasi scelta, oggi, sembra porsi una tendenza a rifuggire l’assunzione di responsabilità; tendenza che sta spostando sui decisori politici una serie di responsabilità che avevamo pensato – come cittadini – essere diventate proprie delle burocrazie (1993).

Burocrazie diventate progressivamente incapaci?

Burocrazie percorse dal tarlo della irresponsabilità?

Burocrazie incapaci di “leggere” la realtà sociale che le circonda? Incapaci di “leggere” (interpretare) la legislazione che sono tenute ad applicare?

Burocrazie che hanno paura di sbagliare?

A pochi anni dalla data di entrata in azione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione qualche cosa è cambiato...

Probabilmente ci stiamo abituando – da cittadini – a leggere meglio il sito web di ciascuna istituzione e a guardare la voce “Amministrazione trasparente” per capire in che modo le burocrazie ispirano il loro comportamento al principio del “buon andamento”.

I livelli di governo delle politiche pubbliche.

Livelli Istituzioni

Stato

Ministeri Agenzie Società

a partecipazione pubblica

Regioni Assessorati Società

Province Assessorati

Società

Città metropolitane Assessorati

Comuni Assessorati

Società

Altri ---

Fonte: Costituzione italiana – Statuti regionali – Statuti provinciali – Statuti città metropolitane – Statuti comunali.

rifuggire l’assunzione di responsabilità

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201712

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

1. Governare (ricorrendo alle leggi); amministrare (a mezzo di organizzazioni)

Perché ci sia un “buon governo” occorre che la classe politica sia effettivamente capace (non solo che appaia) di scrivere “buone leggi”.

Perché ci sia un “buon governo” occorre che le “organizzazioni” siano guidate da persone capaci di interpretare i bisogni dei cittadini (uti singuli, uti communitas).

Il passaggio dalla gestione politica (politics) di complessi problemi socio-economici 2 alla gestione orientata alle politiche (policy) richiede che la società condivida una visione sufficientemente omogenea del “bene comune” 3.

Altrimenti, il dibattito politico smarrisce il più ampio orizzonte temporale complessivo rispetto al quale investire per il bene comune, e ciascun rappresentante politico si preoccuperà dei soli effetti di breve periodo generati dalle proprie decisioni.

Ma quali sono le precondizioni minime perché un (qualsiasi) Governo (...gli Esecutivi, in genere) sia in grado di elaborare (e di far approvare) “buone leggi”? O, anche solo, di essere in grado di fornire una corretta esecuzione?

Ci si limita ad enuclearne alcune:

1. che ci sia una valutazione “ex ante” dei bisogni da soddisfare 4;

2. che ci sia una adeguata “copertura finanziaria”;

3. che ci sia una adeguata “copertura amministrativa”;

4. che ci sia un sistema effettivamente funzionante di controlli (valutazione strategica, ovvero di programmi esecutivi e valutazione dei dirigenti).

Le altre domande, che sono subito dopo da farsi, sono queste...

Esse investono, ancora una volta, la sfera di responsabilità dell’Esecutivo:

1. è (stato) capace di elaborare direttive che assicurino della legge una uguale esecuzione sull’intero territorio nazionale?

2. è (stato) capace di scegliere alla direzione degli uffici persone qualificate e indipendenti?

3. è (stato) capace di individuare le risorse umane e strumentali necessarie a fornire risposte adeguate e tempestive ai cittadini?

Ma, soprattutto,

4. il responsabile politico (vertice) ha attivato sistemi di controllo in grado di capire se le burocrazie si stanno discostando dalla loro funzione, cioè quella di “essere al servizio esclusivo” della Nazione?

Ecco che abbiamo posto le basi per addentrarci nel sistema delle istituzioni (P.A. e oltre) che sono indicate come quelle organizzazioni non profit che sono tenute a fornire risposte ai bisogni dei cittadini.

2 Tali sono da considerare la lotta alla disoccupazione, oppure la salvaguardia della salute umana, o, ancora, lo sviluppo economico.

3 In questa visione potremmo identificare la convinzione che vanno pagate le tasse in funzione della propria capacità contributiva (art. 53 Cost.).

4 I c.d. “libri verdi” costituiscono gli strumenti utilizzati dai decisori politici (USA; Regno Unito) per spiegare alla collettività quali interessi si intendono soddisfare o, comunque, regolare.

“buon governo” capace di scrivere “buone leggi”

sistema delle istituzioni come organizzazioni non profit

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201713

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Siamo in grado di costruire, così, dei modelli più o meno perfetti, più o meno rispondenti al principio costituzionale del “buon andamento”.

Buon andamento che racchiude in sé la “dimensione finanziaria” e la “dimensione amministrativa” delle istituzioni operanti ai diversi livelli di governo.

Semplificare i diversi livelli di governo (Costituzione) significa semplificare le istituzioni...

E se in democrazia vale il principio della maggioranza per pervenire a una qualsiasi decisione, l’ultima non-decisione presa dai cittadini non sembra andare nella direzione di una riduzione dei costi della politica.

In questi casi, la gente vuole valutare la misura in cui alcune innovazioni sono importanti per la collettività, mettendo sul piatto i possibili benefici e i relativi rischi, al fine di decidere se accettare e farsi carico dell’incertezza in nome dei benefici attesi che ne dovrebbero derivare, pure in presenza di potenziali outputs inaspettati e indesiderati.

La questione non è irrilevante. Ha a che vedere con i fini sociali che ha sempre una azione/decisione.

La gente che pone le domande e chiede spiegazioni, dunque, non è contraria a priori all’adozione di una politica di innovazione rischiosa. Lo sarà se non saranno forniti dati ed evidenze a supporto della tesi che “il gioco vale la candela”.

E’ questa la razionalità che va applicata al mondo che ci circonda.

Essa vale anche nel contesto delle istituzioni affidatarie della gestione delle diverse politiche pubbliche.

2. L’irrazionalità è una caratteristica propria del “sistema amministrativo” (che si sposa con l’interesse del decisore politico ad accrescere la “clientela”)

Qualsiasi sistema organizzativo tende a crescere a dismisura.

Una regola questa che la “scienza dell’amministrazione” ha ricavato dall’esperienza, dal vissuto (delle istituzioni private come) di quelle pubbliche.

Solo che nel contesto delle istituzioni private tale anomalia viene rilevata dagli studiosi, dai cultori di una disciplina che si può considerare l’interfaccia di quella citata, la “scienza dell’organizzazione”.

Solo che tra i giuristi la semplificazione (degli apparati o dei procedimenti/servizi) non è una decisione ben accettata; dato che riduce “i materiali” (il brodo di cultura) su cui si esercita il potere dei burocrati (anche di quelli a forte connotazione tecnica).

Non c’è alcun dubbio che all’aumento della complessità dei procedimenti amministrativi corrisponda una espansione (non giustificata) delle burocrazie (e della loro sfera di influenza che si traducono duplicazioni/sovrapposizioni/ complicazioni).

Nessun dirigente – intervistato a tal proposito – ha mai dichiarato di non avere bisogno dei propri collaboratori non certo nella misura in cui essi sono stati resi a lui disponibili... Una operazione che rientra nella sfera di competenza del decisore politico, all’inizio di ciascun esercizio finanziario.

Nessun dirigente ha mai dichiarato, però, di non essere riuscito a far lavorare al massimo grado i propri collaboratori.

Eppure ai dirigenti pubblici (a qualsiasi dirigente pubblico) è stato assicurato il ricorso a metodi di controllo (monitoraggio) dell’operato dei dipendenti assai ampi; a meccanismi di premiazione dei “migliori”; a sistemi sanzionatori rapidi ed efficaci (di comportamenti contrassegnati da negligenza/da violazione dei doveri d’ufficio).

Principio del “buon andamento”

sfera di competenza del decisore politico

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Il punto, su cui occorre oggi trovare momenti di chiarezza, è diventato questo: nei riguardi di chi sono responsabili i burocrati?

Nei riguardi dei cittadini, o nei riguardi dei decisori politici (che li hanno scelti e preposti a quel certo ufficio)?

Dobbiamo, dall’altra parte, riconoscere al cittadino il diritto a non essere vessato da tributi che risultano, alla fine, dirottati a coprire costi del personale inetto. E che, in quanto tali, sono distolti dal perseguimento di politiche pubbliche che sono chiamate a perseguire il “bene comune”.

Politiche pubbliche che richiedono un utilizzo (razionale) di risorse umane sia in termini numerici (dotazione organica/dotazione effettiva) che in termini di qualità professionali.

A voler rappresentare la “presenza” – a livello macro – delle burocrazie nel contesto delle diverse politiche pubbliche, è sufficiente l’analisi che ogni anno è tenuta a fare – al Parlamento – la Corte dei conti nel momento in cui elabora la “relazione sul costo del lavoro” 5, ai sensi dell’art. 60 del d.lgs. n. 165/2001, e ss.mm.ii. 6 della spesa primaria corrente delle pubbliche

5 V. Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SSRRCO/RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

6 D.lgs. n. 165/2001 – ART. 60 (Controllo del costo del lavoro) – (Aggiornato al 16.4.2014): 1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce un modello di rilevazione della consistenza del perso-nale, in servizio e in quiescenza, e delle relative spese, ivi compresi gli oneri previdenziali e le entrate derivanti dalle contribuzioni, anche per la loro evidenziazione a preventivo e a consuntivo, mediante allegati ai bilanci. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica elabora, altresì, un conto annuale che evidenzi anche il rapporto tra contribuzioni e prestazioni previdenziali relative al personale delle amministrazioni statali.2. Le amministrazioni pubbliche presentano, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti e alla Presi-denza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite del Dipartimento della Ragione-ria generale dello Stato, il conto annuale delle spese sostenute per il personale, rilevate secondo il modello di cui al comma 1. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione. La mancata presentazione del conto e della relativa relazione determina, per l’anno successivo a quello cui il conto si riferisce, l’applicazione delle misure di cui all’articolo 30, comma 11,

Personale inetto

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amministrazioni (pari a un valore di 154,3 miliardi di euro), e che, per un lungo arco temporale, ha avuto una disordinata dinamica espansiva.

Ma che in assenza di un intervento del Parlamento (che si è avuto, per la prima volta, con il d.l. n. 78 del 2010, e che è stato reiterato fino al 2016) non avrebbe mai potuto sortire gli effetti desiderati.

Solo alcune delle misure adottate hanno comportato, però, una diminuzione strutturale della spesa.

della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Le comunicazioni previste dal pre-sente comma sono trasmesse, a cura del Ministero dell’economia e delle finanze, anche all’Unione delle province d’Italia (UPI), all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e all’Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM), per via telematica. 3. Gli enti pubblici economici, le aziende che producono servizi di pubblica utilità, le società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamen-tati e dalle società dalle stesse controllate, nonché gli enti e le aziende di cui all’articolo 70, comma 4 e la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, relativamente ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con il predetto Dipartimento della funzione pubblica.4. La Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministra-zioni pubbliche. Con apposite relazioni in corso d’anno, anche a richiesta del Parlamento, la Corte riferisce altresì in ordine a specifiche materie, settori ed interventi.5. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, anche su espressa richiesta del Ministro per la funzione pubblica, dispone visite ispettive, a cura dei servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragio-neria generale dello Stato, coordinate anche con altri analoghi servizi, per la valutazione e la verifica delle spese, con particolare riferimento agli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate. Tali verifiche vengono eseguite presso le amministrazioni pubbliche, nonché presso gli enti e le aziende di cui al comma 3. Ai fini dello svolgimento integrato delle verifiche ispettive, i servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato esercitano presso le predette amministrazioni, enti e aziende sia le funzioni di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, n. 38 e all’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 1998, n. 154, sia i compiti di cui all’articolo 27, comma quarto, della legge 29 marzo 1983, n. 93.6. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica è istituito l’Ispettorato per la funzione pubblica, che opera alle dirette dipendenze del Ministro delegato. L’Ispettorato vigila e svolge verifiche sulla conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, sull’efficacia della sua attività con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, sul corretto conferimento degli incarichi, sull’esercizio dei poteri disciplinari, sull’osservanza delle disposizioni vigenti in materia di controllo dei costi, dei rendimenti, dei risultati, di verifica dei carichi di lavoro. Collabora alle verifiche ispettive di cui al comma 5. Nell’ambito delle proprie verifiche, l’Ispettorato può avvalersi della Guardia di Finanza che opera nell’esercizio dei poteri ad essa attribuiti dalle leggi vigenti. Per le predette finalità l’Ispettorato si avvale di un numero complessivo di dieci funzionari scelti tra esperti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, o comunque tra il personale di altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando o fuori ruolo, per il quale si applicano l’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e l’articolo 56, comma 7, del Testo unico delle di-sposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e successive modificazioni. Per l’esercizio delle funzioni ispettive connesse, in particolare, al corretto conferimento degli incarichi e ai rapporti di collaborazione, svolte anche d’intesa con il Ministero dell’eco-nomia e delle finanze, l’Ispettorato si avvale dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 53. L’Ispettorato, inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, può richiedere chiarimenti e riscontri in relazione ai quali l’amministrazione interessata ha l’obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro quindici giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall’ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell’individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all’articolo 55, per l’amministrazione medesima. Gli ispettori, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno piena autonomia funzionale ed hanno l’obbligo, ove ne ricorrano le condizioni, di denunciare alla Procura generale della Corte dei conti le irregolarità riscontrate.

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

E’ il caso, ad esempio, della riorganizzazione dell’amministrazione scolastica che ha avuto quale conseguenza un dimensionamento del personale sulla base di un più efficiente rapporto tra docenti e studenti, nonché l’accorpamento di diversi istituti scolastici sottodimensionati.

Le norme limitative del turnover, d’altra parte, producono economie a regime solo se accompagnate da contemporanei interventi di revisione delle piante organiche, attuati solo in alcuni comparti (Ministeri/Enti previdenziali) con un numero relativamente limitato di dipendenti 7.

Comunque, quando si parla di Pubblica Amministrazione, si deve avere riguardo a quella umanità che in essa opera: 1.808.174 unità, che sono ricomprese tra le Amministrazioni rientranti nel settore statale; 1.410.604 unità, che sono ricomprese – alla data del 31.12.2014 – tra le Amministrazioni rientranti nel settore non statale.

In tutto, i dipendenti pubblici sono 3.218.778 unità (rispetto a 3.436.809 del 2008, anno in cui la crisi economica ha cominciato a “mordere”).

Fonte: Corte dei conti – SS.RR. in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SS.RR.CO./RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

7 Nei riguardi delle Regioni e delle Autonomie locali la Corte costituzionale ha ritenuto che la fissazione di limiti al tasso di ricambio dovesse rivestire carattere transitorio (dec. n. 218/2015).

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Fonte: Corte dei conti – SS.RR. in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SS.RR.CO./RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

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Fonte: Corte dei conti – SS.RR. in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SS.RR.CO./RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Le retribuzioni si riferiscono al solo personale a tempo indeterminato. Sono esclusi dal calcolo gli arretrati e alcune voci del trattamento economico accessorio (indennità per servizio prestato all’estero, indennità De Maria, indennità di esclusività del rapporto di lavoro, ecc.). Sono altresì escluse dal calcolo le qualifiche che presentano un numero di mensilità pagate per cedolini stipendiali inferiore a 12, in linea con il nuovo algoritmo per il calcolo delle retribuzioni medie predisposto dalla RGS-IGOP.

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Fonte: elaborazione Corte dei conti su dati RGS-IGOP.

Fonte: Corte dei conti – SS.RR. in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SS.RR.CO./RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

2.1 Il rapporto tra Parlamento e amministrazioni pubbliche. Chi è il datore di lavoro dei dipendenti pubblici? 8*

Sembra, leggendo le pagine di qualsiasi quotidiano, che tutte le colpe del mondo siano da imputare alla burocrazia.

Anche i legislatori - ciò va sottolineato – debbono, però, assumersi le loro responsabilità. Perché? Per due o tre motivi: sono questi ultimi che decidono, approvando questa o quella legge, quanta parte del bilancio dello Stato debba essere destinata al pagamento delle retribuzioni (del personale di tutti i diversi comparti, nonché dei dirigenti). Sono ancora questi ultimi che hanno elaborato le norme (sotto forma di principi e criteri direttivi) che presiedono all’ordinamento (c.d. «status giuridico») sia del personale «privatizzato» che di quello sottratto alla privatizzazione.

Il legislatore, in definitiva, a differenza del datore di lavoro privato che gestisce come un dato immutabile (o quasi) il sistema della legislazione sociale (disciplina dei diritti e obblighi verso il lavoratore dipendente), ha un vantaggio.

Esso consiste nel fatto che può cambiare con un atto normativo la disciplina che presiede allo svolgimento delle carriere di tutti i suoi dipendenti 9; può inoltre decidere, ritoccando le piante organiche, l’espulsione di una parte dei lavoratori pubblici, con ciò riducendo la quota parte corrente dei bilanci pubblici, che si riconducono tutti al bilancio nazionale.

Oggi, tuttavia, il quadro normativo sembra essersi complicato un po’: il Parlamento della c.d. “Prima Repubblica” non aveva saputo (o voluto) dire di no alle richieste di miglioramento dello status giuridico dei docenti universitari, dei direttori degli ospedali, dei maestri elementari oppure dei vigili urbani.

Ed era intervenuto nell’area del pubblico impiego tali e tante volte da sminuire il ruolo che la legge-quadro sul pubblico impiego dei primi anni Ottanta (precisamente la n. 93 del 29 marzo 1983) assegnava al sindacato dei lavoratori del settore pubblico.

A distanza di poco più di dieci anni ci si è accorti che l’innovazione (spartizione dell’area di intervento tra Parlamento/ Consigli regionali e sindacato) non aveva funzionato...

Molti (la dottrina giuslavorista, come quella amministrativista) hanno addossato la responsabilità del fallimento della politica di contenimento dei redditi nel settore pubblico al Parlamento.

Il nodo di fondo è, invece, un altro: non si può continuare a fingere che nel pubblico impiego

8* V. Rosario Scalia, Cultura dei dirigenti e riforme della pubblica amministrazione, in “Biblioteca della libertà” – Centro Einaudi, nov-dic 2002 (n. 167), Torino, pagg. 57-68.

9 Questa potestà il Parlamento l’ha esercitata fino al 1998; con la tornata contrattuale 1998-2001 essa è stata assegnata alla competenza della contrattazione collettiva (decentrata).

Le responsabilità dei legislatori

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ci possa essere contrattazione, come è naturale che ciò avvenga, invece, nel settore privato. Nel pubblico, l’unico vincolo è costituito dal rispetto dei parametri di finanza pubblica fissati a Maastricht.

Poi, con quel fenomeno che è stato sinteticamente chiamato Tangentopoli, si è constatato con evidenza come la burocrazia fosse stata asservita al potere politico; quest’ultimo aveva trovato, come nelle più antiche satrapie persiane, nelle persone che anche il sindacato (usato dal potere politico come cinghia di trasmissione del consenso) era riuscito a innalzare a gradi di responsabilità, uomini adusi mentalmente al compromesso, all’imbroglio, al sotterfugio, a usare l’ufficio per esclusivi fini personali, uomini e donne che si sono rivelati «senza la cultura del servizio», del lavorare per il «bene comune» 10.

In sostanza, per dieci, venti anni e più le lezioni di Max Weber sono state attuate al contrario: chi appariva più sindacalizzato, chi dimostrava di essere più servile, più disponibile all’intrallazzo compromissorio veniva gratificato, anche se non era in grado di scrivere una lettera di ringraziamenti, senza alcun errore di grammatica.

Lo stesso sistema che aveva consentito il livellamento delle carriere verso l’alto, in accordo con una dirigenza collusa con il potere politico nella ricerca di budget sempre più grandi, ha avuto il coraggio di spezzare le regole dell’impunità, della irresponsabilità, puntando direttamente al cuore del problema.

Quali sono i principi della nostra Costituzione che il comportamento quotidiano della classe politica, della burocrazia, aveva colpito a morte? Vediamo, con qualche esempio pratico, di indicare come il recupero della sostanza culturale sia avvenuto per legge (ma non si è ancora

10 Sul tema del «bene comune» vedi A. Campi, Verso una nuova cultura politica, in «Ideazione», 2001, n. 4, pp. 88-92. Nota Aristotele, nell’Etica nicomachea: «Ci si può contentare del bene di un solo individuo, ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città». Sul punto, M. Bettetini, Bene comune: chi ce lo fa fare, in «Documenti», marzo 1995, n. 58, Roma, Fondazione RUI, pp. 25-26.

Rispetto dei parametri di finanza pubblica

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potuto effettivamente, compiutamente realizzare).

Che cosa significa il disposto dell’art. 98, 1° comma Cost, secondo cui «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione»? Questo principio fa sistema con quello dell’art. 67 Cost, («ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato») e con quello dell’art. 101 Cost. («i giudici sono soggetti soltanto alla legge»).

Da tempo i pubblici dipendenti non sono stati più nei fatti, nella quotidianità della gestione, al servizio esclusivo della Nazione; essi hanno continuato a vedere la loro vita professionale, la loro speranza di miglioramento professionale assoggettata al potere del responsabile politico di turno. E scelta diversa da parte di ciascuno di essi, di ciascun dirigente, non poteva essere effettuata: o stare dalla parte del più forte, ricevendo incarichi e promozioni; o stare al di fuori o, peggio, contro. In questi ultimi due casi (pochi, per la verità, quelli conosciuti) si sono registrati esempi di stati di emarginazione più mortificanti della morte fisica; peggio ancora, in alcune aree del territorio si è proceduto alla soppressione fisica.

La privatizzazione del rapporto di lavoro ha reso, in ogni caso, la dirigenza più esposta ai mutevoli errori del decisore politico; le ha fatto perdere, alla sostanza, il senso di appartenenza all’istituzione.

In definitiva, il sistema delle regole poste dalla contrattazione collettiva ha indebolito nella loro mente il senso dello Stato: il loro spazio di libertà si è perso nella giungla della ricerca della produttività gestionale, anche quando - in molti casi - essa non c’è.

Della «debolezza costituzionale» della dirigenza di fronte al decisore politico poco si è discusso.

Quali e quanti sono i modi cui si può ricorrere, da parte del responsabile politico, per vessare, per piegare la volontà di un dirigente pubblico onesto? Elenchiamone alcuni:

• non convocarlo mai, ma intrattenere frequenti rapporti con uno o più dei suoi collaboratori;

• predisporre specifiche note di incarico a favore di uno o più dei suoi collaboratori pretermettendolo sempre;

• non firmare le sue lettere di incarico di missione oppure firmarle all’ultimo momento in modo tale da non consentirgli di recarsi nel luogo previsto;

• costituire commissioni, comitati, task-forces (e quant’altro previsto dalla legge n. 241/90) con specifico decreto ma senza affidargli la responsabilità di gestione di tali organismi;

• affidare a consulenti esterni, o a istituti di ricerca sempre esterni, l’approfondimento di tematiche o materie in cui egli sia particolarmente esperto;

• non tenere in alcun conto i suoi suggerimenti, le proposte di riorganizzazione, le osservazioni per un uso ottimale delle risorse umane, finanziarie o strumentali (anzi, fare l’opposto... );

• non parlare bene di lui con i suoi collaboratori o usare frasi alludenti alla sua scarsa correttezza;

• indirizzargli senza motivo note di biasimo per l’operato svolto;

• consentire l’allontanamento di personale dell’ufficio, sostituendolo con altro di

Vana speranza di miglioramento professionale

Perdita del senso di appartenenza all’istituzione

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201738

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

scarsa qualificazione e che si sappia essere di diversa stretta osservanza politica;

• in casi estremi, minacciarlo di destituzione oppure di trasferimento ad altro incarico.

Ma vi sono altri sistemi, più subdoli, più raffinati per distruggere la voglia di fare di un dirigente che intenda stare onestamente al servizio della Nazione:

• non trasmettere all’ufficio competente il progetto-obiettivo o il progetto per l’incremento della produttività da lui predisposto, addossandogliene la responsabilità (formulando un giudizio di incongruità, di inutilità);

• non consentire che il coniuge o qualche familiare in servizio presso altra struttura siano soddisfatti nella legittima richiesta presentata mentre altri lo sono senza averne né diritto né titolo;

•contrastare l’ingresso in carriera di un suo parente che abbia presentato domanda di partecipazione a concorso per esterni o a concorso riservato a interni;

•escluderlo sistematicamente dalla composizione di commissioni di selezione;

• mettere in giro a bella posta, tramite scherani appositamente addestrati, che si è scoperto, in precedenti occasioni, avere egli percepito mazzette o regali fuori dal normale... quando ciò non è assolutamente vero.

D’altra parte, il principio dell’art. 98, 1° comma Cost, ha continuato a fare sistema (così come era nella mente dei padri fondatori) con l’altro, più noto perché più ricorrentemente citato, del «buon andamento» dell’art. 97.

L’esperienza vissuta, cioè l’avere in azione, nel nostro Paese, una burocrazia mancante dell’ideale cemento culturale - quello di essere, nella quotidianità della gestione delle leggi affidata alla rispettiva competenza istituzionale, «al servizio esclusivo della Nazione» (traducibile in «al servizio esclusivo dei cittadini») - non è in grado, però, di darci interamente ragione della situazione di disagio vissuta quotidianamente dal cittadino.

2.2 Nuovo sistema dei controlli e ruolo dei dirigenti

Altra domanda: chi è tenuto a rispettare il «principio del buon andamento» (art. 97 Cost.)? La dirigenza delle pubbliche amministrazioni: non solo di quelle indicate nell’art. 2, 2° comma, del decreto legislativo 31 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; infatti, risultano destinatari del rispetto di tale principio anche gli apparati amministrativi preposti alla gestione amministrativa della legislazione dei settori della sicurezza pubblica, della difesa, della giustizia (art. 20, 8° comma, d.lgs. cit.).

Ed è proprio il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, a qualificarsi come ulteriore tappa di avvicinamento all’obiettivo che possiamo chiamare di rifondazione della «pubblica amministrazione»: la prima tappa, che si può fissare a metà del 1990, è costituita dalla legge n. 241 e dal «nuovo» ordinamento delle autonomie locali (legge 12 giugno 1990, n. 142).

La terza tappa - ma non meno importante - è quella che si è concretata nel recupero del principio del controllo sulla gestione dei bilanci pubblici. Tale attività non è più cartolare; essa dovrà essere svolta da quell’organo di rilevanza costituzionale che è la Corte dei conti, usando di un

Principio del controllo sulla gestione dei bilanci pubblici

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201739

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

potere acquisitivo di dati e informazioni, di un potere ispettivo (diretto e indiretto), di un potere valutativo in ordine all’efficacia delle leggi (supportato dal ricorso alla consulenza esterna).

Il potere valutativo, intestato a tale organo, sulla gestione delle leggi (policy analysis) è posto dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, al servizio del Parlamento; e, ancor prima, al servizio dell’Esecutivo, sia di livello centrale che di livello periferico (Regione, Provincia, Comune...).

E ciò è tanto più necessario quanto più il potere normativo risulti diffuso tra diversi centri di responsabilità periferici.

Le burocrazie, tuttavia, sia quelle dei vituperati (non si riesce a capire perché) Ministeri come quelle dei Comuni osannati (?), non si sono smentite: esse si sono ben guardate, infatti, dal dare attuazione a una sola delle tante ipotesi di riorganizzazione previste e da avviare (così diceva e dice la legge, se è vero che essa stessa si è preoccupata di fissare precise scadenze e termini).

La prevista riorganizzazione dei sistemi di controllo interno alle pubbliche amministrazioni è stata, quindi, solo avviata: la cultura dei corpi degli ispettori - ad esempio, nel Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (Ispettorato generale di finanza) o anche di questo o di quel dicastero - non appare finora riorientata professionalmente a una lettura manageriale dei dati acquisiti, di quelli acquisibili; men che mai ci si è dimostrati disponibili a utilizzare il potere del controllo in termini di prevenzione.

I dati del (finora fortemente anemico) “controllo (interno) di gestione” (internal audit) curato da ciascuna burocrazia potrebbero essere utilizzati dalla Corte dei conti per valutare - nel contesto della nuova attribuzione assegnata all’istituto a norma dell’art. 3, 4° comma, della legge n. 20/94 (il richiamo alla conferenza dell’Intosai del 1977, a Lima, è d’obbligo... 11) - la validità, nel senso del grado di efficacia, delle leggi del Parlamento, dei Consigli regionali?

Si può ritenere una eccezionale innovazione, introdotta dal costituente del 2001, quella secondo

11 L’Organizzazione internazionale delle istituzioni superiori di controllo (Intosai) è un organismo costituito in seno all’Onu al quale sono associati 173 paesi, tra i quali l’Italia.

Potere valutativo della Corte dei conti

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201740

Rosario Scalia

Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

la quale il numero dei controlli formali è stato ridotto all’essenziale; i cittadini richiedono ormai controlli di sostanza, cioè sul come si spendono i soldi stanziati in bilancio, sui tempi di realizzazione dei programmi (di massima) e dei conseguenti progetti (esecutivi), sui costi dell’azione amministrativa.

Perché i controlli (interni a ciascuna amministrazione) e il controllo (esterno e indipendente) della Corte dei conti devono prefiggersi questi obiettivi?

Perché il monitoraggio permanente (interno) ha la funzione di individuare «se e quanto» il dirigente si sia discostato, nella fase di esecuzione, dagli obiettivi che la legge gli imponeva di conseguire. Se lo scostamento è superiore alla media, il dirigente, dopo un periodo di adeguata sorveglianza, va rimosso. In questo senso, il meccanismo avrebbe dovuto comportare un mutamento culturale della dirigenza nella gestione delle risorse affidatele. Questo è l’aspetto.

Il controllo indipendente «esterno» della Corte dei conti sulla gestione del bilancio, che può anche esercitarsi in maniera concomitante all’esecuzione del programma o del progetto applicativi della legge, non è subordinato ad alcuna sollecitazione, tranne quella che può provenire dal Parlamento (o anche, per la legislazione di competenza, da uno dei venti Consigli regionali); sul punto, non sembra sussistere alcuna preclusione a una deliberazione di questi ultimi organi, rappresentativi della volontà popolare, con la quale si chieda all’istituto di controllare settori e materie rientranti nella loro sfera di competenza.

Sempre riflettendo sui contenuti che può avere l’attività di controllo esterno della Corte dei conti, la legge ipotizza che, al di là del controllo (preventivo o successivo) su atti, la gran parte di essa dovrà essere dedicata a verificare perché le leggi (statali, regionali) non siano compiutamente applicate dalle varie burocrazie, perché il programma attuativo di questa o di quella legge non si sia realizzato o lo sia stato in parte, perché i costi di realizzazione siano nel tempo lievitati (incapacità previsionale del Governo sull’entità delle spese che sarebbero state necessarie per l’attuazione della legge).

Questo è lo scenario nel quale si sono calati - e si stanno sempre calando - gli interventi del Governo.

Le forze politiche che si sono affacciate alla gestione del Paese devono rispondere agli elettori

Riduzione dei controlli formali

Monitoraggio degli obiettivi da conseguire

Verifica dell’applicazione delle leggi

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201741

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

in ordine all’attuazione del programma, dei vari punti del programma; l’obiettivo è migliorare, comunque, i servizi resi al cittadino, riducendo i costi.

Chi aiuta l’Esecutivo a vedere, in maniera obiettiva (e, quindi, sempre nell’interesse di tutti i cittadini, del bene comune), quali processi decisionali sono errati e quali altri, invece, sono corretti?

La risposta è (dovrebbe essere) semplice: la Corte dei conti.

Ed essa lo può fare, ormai, a legislazione vigente, ricevendo dal Capo del Governo, attraverso il Parlamento, un impulso in tale direzione.

Ma la Corte dei conti ha bisogno di scoprire la “nuova cultura” posseduta dalle dirigenze dei diversi livelli di governo: cultura della pianificazione e della conseguente programmazione per obiettivi.

In ogni caso, il Governo deve essere reso consapevole del fatto che è utile avviare una politica mirata di acculturamento di tutte le dirigenze pubbliche, che sono la ricchezza vera della pubblica amministrazione; politica fondata su questa linea-guida: di dover ormai essere, la burocrazia, al servizio del cittadino, non più di se stessa.

In sostanza, più che tagliare/ridurre la spesa destinata alla formazione del personale (che è stata una di quelle “misure” ritenute utili per fronteggiare la crisi finanziaria, quale conseguenza della crisi economica dal 2008 in poi), si sarebbe dovuto sviluppare una politica pubblica di opposto contenuto.

Non si può pensare che sia ormai troppo tardi; anzi, proprio ai neo-assunti (a meno che i bandi di concorso non siano un éscamotage per stabilizzare il personale assunto a tempo determinato) dovrebbe essere dedicata la massima attenzione.

3. Quale confronto tra P.A. italiana e sistemi amministrativi in Europa.

Un raffronto europeo sull’andamento della consistenza numerica dei dipendenti pubblici e della spesa per redditi, negli anni della crisi, è stato effettuato dalla Ragioneria generale dello Stato nella premessa alla pubblicazione del Conto annuale per il 2014.

La dinamica dell’occupazione nel settore pubblico e la spesa di personale, rapportati ad altre significative variabili demografiche e macroeconomiche nel periodo 2009-2014 (per quanto attiene ai dati di consuntivo) e fino al 2017 (sulla base delle previsioni governative) sono stati, in tale sede, analizzati e posti a raffronto per quanto attiene all’Italia, la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Spagna.

Le valutazioni relative alla spesa per redditi risultano in linea con quelle esposte nel precedente paragrafo.

La Ragioneria generale prende in considerazione, peraltro, anche i dati sulla consistenza comparata dei dipendenti pubblici: il numero degli occupati nel settore pubblico in Italia (3.340.000 in termini di unità lavorative annue) rappresenta il 72 per cento dei dipendenti tedeschi, il 63 per cento di quelli inglesi, il 60 per cento dei francesi; tra i paesi esaminati solo la Spagna evidenzia un numero di dipendenti pubblici inferiore all’Italia.

Burocrazia al servizio del cittadino

Consistenza numerica dei dipendenti pubblici e della spesa per redditi

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201742

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Il rapporto tra il numero dei dipendenti pubblici e la popolazione residente si attesta in Italia su un valore analogo a quello della Germania (5,5 per cento); ma decisamente inferiore a quello della Spagna, della Gran Bretagna e della Francia.

L’occupazione nel settore pubblico rappresenta, in Italia, il 14 per cento di quella complessiva. Si tratta di un dato superiore a quello della Germania (11 per cento) ma di gran lunga inferiore a quello degli altri tre paesi considerati.

A conclusione dell’analisi emerge che in Italia il numero degli occupati nella pubblica amministrazione e la spesa per redditi si collocano su valori in linea con la media europea, generalmente più contenuti rispetto a quelli degli altri paesi presi in considerazione, sia per quanto attiene al loro valore assoluto, sia se i dati relativi al personale pubblico vengono raffrontati con il PIL, con la popolazione residente, col totale degli occupati e con la spesa corrente.

Quanto sopra evidenzia la severità, da un lato, e l’efficacia in termini finanziari, dall’altro, delle politiche riduttive della spesa per redditi attuate dall’Italia per fronteggiare la crisi economica internazionale.

Tra i paesi considerati, solo la Spagna ha posto in essere misure altrettanto incisive mentre Germania, Francia e Gran Bretagna, seppur con alcune distinzioni, non sono intervenute in modo altrettanto significativo nei confronti del pubblico impiego.

Fonte: Ragioneria generale dello Stato: Premessa alla pubblicazione del Conto annuale per il 2015

Occupazione nel settore pubblico

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201743

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Che cosa è, oggi, la Pubblica Amministrazione?Riflessioni a margine della c.d. “Riforma Madia” in un’ottica di comparazione europea

Fonte: Corte dei conti – SS.RR. in sede di controllo, delib. n. 8/2016/SS.RR.CO./RCL, Relazione 2016 sul costo del lavoro, Roma, 7 giugno 2016.

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201744

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)Marco Lo Franco

L’introduzione della definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti di riscossione dal 2000 al 2016 (Art. 6 D.L. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016) e delle ingiunzioni ex r.d. n. 639/1910 notificate dagli enti locali o dai concessionari ex art. 53 D.lgs. n. 446/1997 (art. 6 ter D.L. n. 193/2016) ha comportato dubbi e criticità applicative. In questo articolo cercheremo di chiarire gli aspetti maggiormente controversi anche grazie al supporto chiarificatore della circolare n. 2/E del 08/03/2107 dell’Agenzia delle Entrate e dei documenti di approfondimento predisposti dall’Ifel in ordine all’agevolazione riguardante le ingiunzioni di pagamento ex r.d. n. 639/1910. In ordine all’esame generale della disciplina normativa di cui trattasi si rimanda all’articolo “La soppressione di Equitalia e la definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016” pubblicato nella rivista del mese di dicembre 2016.

Aspetti generali

La definizione agevolata prevista dall’art. 6 del D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016 consente al debitore l’estinzione del debito contenuto nel singolo carico iscritto o affidato attraverso il pagamento di capitale e interessi (interessi originari e non interessi di mora) nonché dell’aggio proporzionalmente dovuto su tali somme da pagare e delle spese dovute all’Agente della riscossione per le procedure esecutive e per la notifica degli atti di riscossione; non sono dovuti, invece, le sanzioni pecuniarie amministrativo-tributarie e gli interessi di mora, il cui venir meno dell’obbligo di pagamento costituisce il beneficio per il debitore conseguente al perfezionamento della definizione agevolata. Per la descrizione completa della disciplina

Benefici per il debitore

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201745

Marco Lo Franco

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

di rinvia al paragrafo 4 dell’articolo “La soppressione di Equitalia e la definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016 pubblicato nel mese di dicembre 2016 “

Carichi affidati agli agenti di riscossione oggetto di definizione agevolata

Il comma 1 dell’art. 6 del D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016 prevede la possibilità di estinguere i debiti contenuti nei carichi affidati agli Agenti della riscossione dal 2000 al 2016.

Il comma 13-bis dell’art. 6 precisa che la “definizione agevolata (…) può riguardare il singolo carico iscritto a ruolo o affidato”.

Dal combinato disposto di tali norme, emerge che per il debitore è possibile definire singolarmente ciascuno dei carichi iscritti a ruolo o affidati dal 2000 al 2016; non è quindi obbligato a definire tutti i carichi affidati che lo riguardano. I carichi definibili sono quelli iscritti a ruolo ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46.

Il legislatore non definisce espressamente il significato di “carico”, parola utilizzata più volte nell’art. 6 in commento. È pertanto necessario chiarire il significato da attribuire a tale termine. A tal proposito si ricorda che le modalità di affidamento dei carichi e di svolgimento dei conseguenti adempimenti da parte degli Agenti della riscossione sono disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e dal decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112.

Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 602 del 1973, il ruolo è “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” (ora Agente della riscossione).

Come previsto dal comma 1 dell’art. 1 del D.M. 3 settembre 1999, n. 321, ciascun ruolo è costituto da un prospetto conforme all’apposito modello approvato con decreto dirigenziale e da un elenco nel quale sono riportati i dati ivi indicati.

Nel modello del prospetto di ruolo approvato con decreto dirigenziale dell’11 novembre 1999 è previsto che, per ogni ruolo, sia esposto il numero di “partite” in esso contenute. Il ruolo è pertanto composto da una pluralità di “partite” (La “partita” è ordinariamente riferita al singolo procedimento di controllo concluso dall’ente con un atto impositivo, di liquidazione, di riscossione).

In sostanza, ai fini dell’applicazione del disposto normativo di cui al predetto comma 13-bis, per singolo carico deve intendersi la singola partita di ruolo.

La “partita” costituisce dunque l’unità non frazionabile di riferimento per la definizione agevolata.

Non è possibile, invece, definire parzialmente la “partita”, di norma composta da più “articoli di ruolo”, vale a dire i codici di ogni componente (tributi, sanzioni, interessi, ecc.) del credito recato dalla “partita”.

In definitiva, per fruire dei benefici della definizione occorre pagare tutti gli importi compresi nel “carico” (da intendersi come “partita”), oltre alle correlate somme maturate a favore dell’Agente della riscossione, al netto solo di sanzioni e interessi di mora.

Con riferimento all’aspetto temporale di applicazione della definizione agevolata con l’espressione “carichi affidati agli Agenti della riscossione dal 2000 al 2016” la norma intende delimitare, sotto il profilo temporale, i carichi che possono formare oggetto della definizione

Singola definizione dei carichi

Modello del prospetto di ruolo

Fruizione dei benefici

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201746

Marco Lo Franco

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

agevolata, ossia in funzione del momento in cui gli stessi sono stati affidati agli Agenti della riscossione per il relativo recupero coattivo, vale a dire nell’arco temporale compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016.

Dal tenore letterale della norma che utilizza il termine “affidati” sembra evincersi che il legislatore intenda riferirsi a quei carichi che sono stati trasmessi all’Agente della riscossione e, quindi, usciti dalla disponibilità dell’Ente creditore.

Con riguardo ai carichi iscritti a ruolo, l’art. 4 del D.M. n. 321 del 1999 distingue tra la materiale trasmissione degli stessi per via telematica dall’Ente creditore all’Agente della riscossione e la “consegna” formale. In particolare, l’art. 4 di detto decreto prevede: Per i ruoli trasmessi all’Agente di Riscossione fra il giorno 1 ed il giorno 15 del mese, la consegna al concessionario si intende effettuata il giorno 25 dello stesso mese; per i ruoli trasmessi al CNC fra il giorno 16 e l’ultimo giorno del mese, la consegna al concessionario si intende effettuata il giorno 10 del mese successivo”. Ne consegue che, anche qualora i ruoli trasmessi telematicamente all’Agente della riscossione siano già stati dallo stesso ricevuti entro i giorni sopra indicati, la consegna si intende formalmente avvenuta soltanto a decorrere dalle date prefissate a livello di normativa secondaria, ossia:

− il giorno 25 del mese, per i ruoli trasmessi tra il giorno 1 e il giorno 15 dello stesso mese;

− il giorno 10 del mese successivo, per quelli trasmessi tra il giorno 16 e l’ultimo giorno del mese di ricevimento. Per quanto detto, quindi, non sussistendo una perfetta coincidenza tra la materiale trasmissione telematica degli stessi e la relativa consegna formale all’Agente della riscossione, si rende necessario determinare a livello interpretativo a quale momento fare riferimento al fine di individuare i carichi iscritti a ruolo definibili con riferimento al mese di dicembre 2016.

L’art. 6, riferendosi genericamente a “carichi affidati”, sembra prescindere dalla “consegna” formale di cui al D.M. n. 321 del 1999 per quanto riguarda i ruoli. Ciò detto la circolare n. 2/E del 08/03/2107 dell’Agenzia delle Entrate ritiene che il momento della “trasmissione” telematica dei flussi è l’unico elemento previsto dalla disciplina riguardante i ruoli e pertanto l’espressione “carichi affidati” deve essere intesa quale “carichi trasmessi” in quanto usciti dalla disponibilità dell’Ente creditore.

Si ritiene in sostanza che vanno considerati come rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 6 anche i ruoli telematici la cui consegna formale si intende effettuata il 10 gennaio 2017 nel presupposto che gli stessi sono stati effettivamente trasmessi all’Agente della riscossione entro il 31 dicembre 2016 (ossia nel periodo compreso tra il 16 e il 31 dicembre 2016, in base a quanto stabilito dal citato D.M. n. 321 del 1999).

1. Perfezionamento della definizione agevolata

Ai sensi di quanto disposto dai commi 1 e 4 dell’art. 6 la definizione agevolata si articola – come descritto in precedenza - in un procedimento che ha inizio con la presentazione all’Agente della riscossione della dichiarazione del debitore con cui questi manifesta all’Agente stesso la propria volontà di avvalersi della definizione agevolata e termina con il pagamento integrale e tempestivo di quanto dovuto. Con riferimento alla determinazione del momento in cui si verifica il perfezionamento del procedimento di definizione agevolata, si evidenzia che il comma 4 dell’art. 6, dispone: “In caso di mancato ovvero di insufficiente o tardivo versamento

I carichi iscritti a ruolo

I carichi affidati

P e r f e z i o n a m e n t o del procedimento di definizione agevolata

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201747

Marco Lo Franco

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

dell’unica rata ovvero di una rata di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme di cui al comma 1, lettere a) e b), la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi oggetto della dichiarazione di cui al comma 2. In tal caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto a seguito dell’affidamento del carico e non determinano l’estinzione del debito residuo, di cui l’agente della riscossione prosegue l’attività di recupero e il cui pagamento non può essere rateizzato ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

Detta disposizione stabilisce che l’omesso, il tardivo o l’insufficiente versamento in unica soluzione, ovvero anche di una sola delle rate, determina l’inefficacia della definizione agevolata con il conseguente mancato riconoscimento in favore del debitore del beneficio dell’estinzione del debito affidato senza la corresponsione di sanzioni e interessi di mora, che la norma riconduce all’instaurarsi del procedimento di definizione agevolata mediante la presentazione della dichiarazione e al conseguenziale pagamento, purché tempestivo ed integrale, delle somme indicate alle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 6 D.L. n. 193/2016 .

In sintesi, la definizione si perfeziona non con la presentazione della dichiarazione o con il versamento della prima rata (in caso di opzione per il pagamento rateale), ma con il pagamento integrale e tempestivo delle somme dovute. Si evidenzia che qualora il debitore, per effetto di precedenti pagamenti parziali dei carichi, avesse già integralmente corrisposto quanto sufficiente per perfezionare la definizione agevolata, al fine di beneficiare dei relativi effetti è tenuto comunque a presentare all’Agente della riscossione la dichiarazione di cui al comma 2 dell’art. 6 D.L. n. 193/2016. In tale ipotesi, risultando già comunque versato quanto dovuto nella misura stabilita dalla definizione agevolata in forza dei pregressi pagamenti parziali, il perfezionamento della stessa si ha con la presentazione della dichiarazione. Nel caso in cui la definizione agevolata non si perfezioni per il mancato, insufficiente o tardivo pagamento

I versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto

Mancato riconoscimento dei benefici

Perfezionamento delle definizione agevolata

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Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

dell’importo dovuto ai fini della stessa, gli eventuali versamenti effettuati, non potendo produrre l’effetto dell’estinzione totale del carico per la loro insufficienza o tardività, sono acquisiti a titolo di acconto degli importi compresi nel carico, per il recupero del quale riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza e prosegue l’attività di riscossione, senza possibilità di rateizzazione del pagamento del debito ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 602 del 1973.

2. Definizione agevolata e precedenti dilazioni di pagamento

Con riferimento al rapporto tra la disciplina della definizione agevolata prevista dall’art. 6 del decreto-legge n. 193 del 2016 e quella della dilazione di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602 del 1973, si ritiene opportuno chiarire se e in che termini, laddove al 24 ottobre 2016 - data di entrata in vigore del D.L. n. 193/2016 - era in essere un piano di dilazione ai sensi del menzionato art. 19, si conservi la possibilità di riprendere il versamento dilazionato in caso di mancato perfezionamento della definizione agevolata.

Si evidenzia che il comma 8 dell’art. 6 del citato decreto prevede che sono ammessi alla definizione agevolata anche i debiti oggetto di piani rateali in essere alla data di entrata in vigore della norma purché risultino adempiuti i versamenti con scadenza fino al 31 dicembre 2016. Il medesimo articolo, al comma 5, dispone che, a seguito della presentazione della dichiarazione di adesione, i pagamenti relativi alle rate con scadenza successiva al 31 dicembre 2016 sono sospesi fino a luglio 2017.

A tale data si potranno verificare le seguenti situazioni:

1. se il debitore avrà correttamente effettuato il pagamento della prima o unica rata, si determinerà la revoca automatica della dilazione precedentemente accordata e ancora in essere, in base a quanto stabilito dalla lett. c) del predetto comma 8;

2. se il debitore non avrà correttamente effettuato il pagamento in unica soluzione o della prima rata, si determinerà l’inefficacia della definizione e il debito, a norma del comma 4 dell’art. 6, non potrà essere oggetto di un nuovo provvedimento di rateizzazione da parte dell’Agente della riscossione. Il debitore potrà, tuttavia, riprendere - sempre a luglio - i versamenti relativi alla precedente dilazione in essere alla data del 24 ottobre 2016 in quanto non oggetto di revoca automatica.

Con riguardo, invece, alle ipotesi di mancato, insufficiente o tardivo pagamento di una delle rate diverse dalla prima, ugualmente si determinerà l’inefficacia della definizione e il debito non potrà essere oggetto di un nuovo provvedimento di rateizzazione da parte dell’Agente della riscossione. In tal caso però il debitore non potrà neppure riprendere i versamenti relativi alla precedente dilazione in quanto la stessa è stata automaticamente revocata in conseguenza del pagamento della prima rata.

3. Carichi oggetto di Giudizio

La circolare n. 2/E del 08/03/2107 dell’Agenzia delle Entrate come sopra richiamata nel rilevare che sono definibili sia carichi che si sono resi definitivi per mancata impugnazione o a conclusione del giudizio sia carichi ancora in contestazione, in riferimento a questi ultimi fornisce i seguenti chiarimenti.

Per i carichi ancora in contestazione, il comma 2 dell’art. 6 del D.L. n. 193/2016 prevede che il debitore, nella dichiarazione di adesione alla definizione agevolata indichi, fra l’altro, la

Possibilità di versamento dilazionato in caso di mancato perfezionamento della definizione agevolata

Inefficacia della definizione e impossibilità di rateizzazione

Carichi ancora in contestazione

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201749

Marco Lo Franco

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assuma l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi.

In proposito, in riferimento al processo tributario, si ritiene che l’impegno a rinunciare in commento non corrisponda strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del D.lgs. n. 546 del 1992 (“La rinuncia non produce effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo ). L’Agenzia delle Entrate ritiene che considerazioni analoghe sono state fatte in ordine a casi simili, in particolare si afferma che Il contribuente può limitarsi a comunicare al Giudice tributario e all’Ufficio dell’Agenzia parte in giudizio che è venuta a cessare la materia del contendere, allegando la documentazione che attesta l’avvenuto pagamento e richiedendo la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio. In caso di inerzia del contribuente, la comunicazione e richiesta in questione possono essere formulate anche dall’Ufficio”. (Cfr. circolare 8 aprile 2016, n. 12/E, paragrafo 19.2.1)

Ciò che assume rilevanza sostanziale ed oggettiva è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo ed integrale versamento del complessivo importo dovuto.

L’efficace definizione rileva negli eventuali giudizi, facendo cessare integralmente la materia del contendere, qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia, ovvero superando gli effetti della pronuncia giurisdizionale eventualmente emessa. In sintesi, gli effetti che il perfezionamento della definizione agevolata produce di norma prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi.

Si ritiene inoltre che anche qualora il debitore irregolarmente abbia omesso di assumere formalmente l’impegno a rinunciare al giudizio nella dichiarazione di adesione alla definizione, ma provveda al pagamento di quanto necessario ai fini del perfezionamento della stessa, si produce parimenti la causa di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, sempreché il carico definito abbia ad oggetto l’intero valore in contestazione.

La cessazione della materia del contendere, come prevede il comma 3 dell’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, comporta che “Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”.

Qualora il carico affidato all’Agente della riscossione non rechi l’intera pretesa tributaria, persiste l’interesse alla decisione nel merito della lite.

Perfezionamento mediante tempestivo e integrale versamento dell’importo dovuto

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Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

La medesima circolare prevede nell’ipotesi in cui il carico definito abbia ad oggetto l’intero valore in contestazione, qualora il contribuente dichiari di aver aderito alla definizione agevolata e chieda un rinvio della trattazione della controversia, l’ente di norma non è opportuno che si opponga, salvo che la richiesta risulti dilatoria, come nei seguenti esempi:

• il carico oggetto della controversia tributaria pendente non rientra tra quelli per i quali è possibile la definizione;

• l’udienza per la trattazione è fissata in una data successiva rispetto al termine entro il quale il contribuente è tenuto a presentare la dichiarazione di cui al comma 2 dell’art. 6 e non viene documentata la presentazione;

• la dichiarazione è già stata presentata e l’udienza per la trattazione è fissata in una data successiva rispetto al termine entro il quale il contribuente è tenuto al pagamento in un’unica soluzione o, in caso di opzione per il pagamento rateale, qualora il contribuente non risulti in regola con i pagamenti.

In sostanza in caso di pendenza di ricorso, sarebbe quindi opportuno alla parte chiedere un rinvio dell’udienza a data successiva a quella prevista per il perfezionamento della definizione.

4. Definizione Agevolata entrate enti locali

L’art. 6 ter del D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016 prevede che con riferimento alle entrate, anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, notificati, negli anni dal 2000 al 2016, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro il termine fissato per la deliberazione del bilancio annuale di previsione degli enti locali per l’esercizio 2017, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate. Gli enti territoriali, entro trenta giorni, danno notizia dell’adozione dell’atto di cui al primo periodo mediante pubblicazione nel proprio sito internet istituzionale. Per la descrizione della disciplina di rinvia al paragrafo 5 dell’articolo “La soppressione di Equitalia e la definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193/2016 conv. con modifiche dalla L. n. 225/2016 pubblicato nel mese di dicembre 2016 . Di seguito affronteremo alcuni aspetti critici della disciplina.

Come precisato dalla nota di approfondimento redatta da Ifel il 22/12/2016 e successivamente aggiornato nel mese di febbraio 2017 sul tema l’art. 6 ter del citato decreto prevede la possibilità di regolamentare la definizione agevolata delle entrate, anche tributarie dei Comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale di cui al Regio decreto n. 639 del 1910. Viene pertanto data facoltà ai comuni, Provincie e città metropolitane i di equiparare il trattamento delle posizioni avviate alla riscossione coattiva tramite ruolo che sono oggetto di definizione agevolata obbligatoria secondo i criteri di cui all’articolo 6 del decreto stesso. Per esercitare tale opzione appare necessario che l’ente adotti una delibera di consiglio adottata “con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate” e quindi in coerenza con l’art. 52 del D.lgs. n. 446 del 1997, entro il termine fissato per la deliberazione del bilancio annuale di previsione degli enti locali per l’esercizio 2017 (attualmente il 31 marzo 2017), come previsto, dall’art.11, co.14, del d.l. n.8 del 2017.

In pendenza di ricorso chiedere rinvio dell’udienza

Gli enti territoriali possono stabilire l’esclusione delle sanzioni delle entrate, anche tributarie

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Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

5. Profili di incertezza interpretativa

5.1 Le società in house

Si evidenzia che il comma 1 dell’art. 6-ter citato fa riferimento alle ingiunzioni fiscali, di cui al Regio decreto n. 639 del 1910, notificate negli anni dal 2000 al 2016 “dagli enti stessi enti e dai concessionari della riscossione di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446”.

Pertanto, in detta disposizione non risultano espressamente richiamate le società in house degli enti locali che potrebbero essere affidatarie dell’attività di accertamento e riscossione delle entrate comunali, ai sensi dell’articolo 52, comma 5 del d.lgs. n. 446 del 1997, per le quali non è necessariamente prevista l’iscrizione all’albo di cui al successivo art. 53 D.lgs. n. 446/1997. La citata nota Ifel ritiene a nostro avviso giustamente che trattandosi di società sulle quali gli enti locali esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, che gli stessi enti possano legittimamente disporre la definizione agevolata anche per le ingiunzioni notificate dalle suddette società.

6.2. Arco temporale e tipologie di entrate definibili

Sempre la richiamata nota Ifel sottolinea la portata generale della norma, che riguarda espressamente la definizione agevolata delle “entrate, anche tributarie” degli enti territoriali, comprendendo quindi anche quelle patrimoniali.

Va inoltre segnalato che l’art. 6-ter introduce una disciplina applicativa specifica e differenziata rispetto all’articolo 6 (definizione agevolata ruoli), prevedendo l’agevolazione delle sole sanzioni senza menzionare gli interessi di mora, mentre rimette alle decisioni degli enti la regolamentazione dei criteri e delle modalità di accesso alla definizione agevolata. In sostanza, la formulazione dell’articolo lascia ampi margini di autonomia agli enti rispetto ai criteri direttamente normati previsti dall’articolo 6. Ciò detto, l’articolo in questione richiama espressamente, al comma 5, le esclusioni previste dai commi 10 e 11 dell’art. 6, ovvero:

Sono esclusi dalla definizione aggevolata i carichi affidati agli agenti della riscossione recanti:

a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;

b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015;

c) i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti;

d) le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;

e) le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali. 11.

Per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le disposizioni del presente articolo si applicano limitatamente agli

Non necessitano necessariamente di iscrizione all’albo

Ampi margini di autonomia agli enti rispetto ai criteri direttamente normati

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Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

interessi, compresi quelli di cui all’articolo 27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (maggiorazione semestrale del 10% e gli interessi di mora).

Da quanto sopra esposto, non si ravvisa alcun ostacolo normativo alla possibilità per l’ente di prevedere con regolamento la definizione agevolata solo per determinate annualità e solo per alcune delle entrate di propria competenza. Così, ad esempio, l’ente locale utilizzando il proprio potere discrezionale potrà:

− disporre la definizione agevolata solo per le ingiunzioni di pagamento notificate in un dato arco temporale ad esempio dal 2000 al 2005, in ragione del carattere più vetusto dei crediti e della connessa minore probabilità di realizzo del dovuto;

− prevedere la definizione solo per alcune entrate, in ragione di criteri di opportunità quali le maggiori difficoltà specifiche nell’effettiva riscossione dell’entrata (interpretazioni normative incerte, gravosità gestionale, ampiezza del contenzioso). Tale criticità potrebbero evidenziarsi anche sotto l’aspetto organizzativo, come nel caso dell’imposta di pubblicità gestita da un concessionario iscritto all’albo, in ragione, ad esempio, del fatto che si tratta di entrate riscosse da soggetti destinati a cambiare per effetto della temporaneità del contratto di concessione.

La nota redatta dall’Ifel giustamente rileva che detta discrezionalità nella predisposizione del contenuto del regolamento, che va sempre ancorata a criteri razionali, tale facoltà rientra certamente – in assenza di disposizioni legislative speciali in materia – nella più generale potestà regolamentare riconosciuta al Comune dall’art. 52 del D.lgs. n. 446 del 1997.

Si evidenzia infine che l’art. 6 ter del D.L. n. 193/2016 fa riferimento alle ingiunzioni di pagamento notificate, negli anni dal 2000 al 2016. Pertanto, ai fini dell’adesione alla definizione è sufficiente che l’ingiunzione di pagamento sia stato notificata, ovvero consegnata alle poste, entro il 31 dicembre 2016, non rilevando la data in cui è stata ricevuta dal contribuente/debitore

6.3 Delimitazione ambito di agevolazione

Con riferimento alle quote oggetto di abbattimento, l’articolo 6-ter del D.L. n. 193/2016 limita tale facoltà all’esclusione delle sole sanzioni, sono pertanto esclusi gli interessi di mora previsti nel regolamento comunale sulla riscossione coattiva, o nel regolamento generale sulle entrate

Possibilità di prevedere un regolamento per la definizione agevolata

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201753

Marco Lo Franco

Definizione agevolata dei carichi affidati a equitalia e delle ingiunzioni ex r.d. 639/1910 - aspetti operativi e criticita’ (d.l. n. 193/2016 conv. Con modifiche dalla l. N. 225/2016)

del singolo ente. In sostanza, con riferimento all’indisponibilità della pretesa tributaria, che riguarda anche gli oneri accessori, quali le sanzioni e gli interessi, all’ente risulta preclusa la possibilità di disciplinare per via regolamentare la disapplicazione degli interessi.

Il predetto articolo al comma 1 prevede che la definizione agevolata si applica a tutte le entrate, anche non tributarie ovvero a quelle patrimoniali, tuttavia, per dette entrate non è sempre prevista o applicabile una sanzione. Peraltro, va evidenziato che l’art. 6-ter richiama espressamente l’art. 6, co. 10, il quale alla lettera e-bis) esclude dall’agevolazione “le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali”. Tale apparente contraddizione è risolta dalla citata nota IFEL ritenendo che dalla lettura sistematica della norma emerge chiaramente la volontà del legislatore di escludere dalla definizione agevolata dalle poste di entrata costituite da sola sanzione, come quelle relative alle violazioni dei regolamenti comunali sanzionate ai sensi dell’art. 7-bis del D.lgs. n. 267 del 2000. Al contrario nel caso in cui la sanzione sia un accessorio alla pretesa comunale di natura non tributaria , come nella fattispecie delle sanzioni irrogate per violazione connesse alla Cosap, la definizione agevolata con abbattimento delle sanzioni deve ritenersi legittima.

Una diversa interpretazione, considerando l’esclusione dall’agevolazione agli interessi moratori, la definizione agevolata alle entrate non tributarie non potrebbe mai essere attuata.

Si evidenzia che per quanto concerne le sanzioni amministrative per violazioni del Codice della strada, la definizione agevolata comporta l’abbattimento degli interessi, in questo caso compresi quelli moratori, oltre che della maggiorazione di un decimo per ogni semestre prevista dall’art. 27 della legge n. 689 del 1981.

6. Delibera Consiliare e Regolamento

La definizione agevolata dovrà essere assunta dall’ente con delibera consiliare con approvazione di apposito regolamento. Per il contenuto della delibera e del regolamento si rimanda ai modelli presenti sul sito dell’Ifel. Preme ricordare quanto segue:

− Prima dell’approvazione della delibera appare necessario acquisire il parere favorevole dell’organo di revisione;

− Il termine per la presentazione della domanda di definizione agevolata non potrà essere inferiore a 60 giorni dall’approvazione della delibera consigliare, trovando applicazione l’art. 3 L. n. 212/2000.

La definizione agevolata si applica a tutte le entrate

Sanzioni irrogate per violazione connesse alla Cosap

Sanzioni irrogate per violazione del Codice della strada

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201754

Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di prorogadi Luciano Catania

Il Decreto Legge 22 ottobre 2016 n. 193, convertito – con modificazioni - in Legge 1 dicembre 2016, n. 225, detta le nuove scadenze temporali sui termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità dei crediti affidati all’Agente della riscossione per procedere al loro incasso, prorogandoli di ulteriori due anni. Le comunicazioni di non esigibilità dei ruoli del 2014 e 2015 (unici anni unificati) slittano al 2019, mentre quelle del 2000 addirittura al 2033. La formulazione originaria del comma 3 dell’art. 19 (valida fino al 31 dicembre 2014) prevedeva che l’Ente impositore avesse tre anni di tempo per contestare la comunicazione di inesigibilità, trascorsi i quali il concessionario maturava il diritto al discarico, mentre il comma 682 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 ha ridotto a due anni questo termine.

Il Decreto Legge 22 ottobre 2016 n. 193, convertito – con modificazioni - in Legge 1 dicembre 2016, n. 225, detta le nuove scadenze temporali sui termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità dei crediti affidati all’Agente della riscossione per procedere al loro incasso.

L’intervento del decreto fiscale proroga per l’ennesima volta, spostandolo in avanti di due anni, tutti i termini in materia di dichiarazioni di non esigibilità dei ruoli e, pertanto, quelle del 2014 e 2015 (unici anni unificati) dovranno essere trasmessi entro fine 2019.

La proroga introdotta dal legislatore in sede di conversione del decreto fiscale n. 193/2016, con il comma 12 bis che modifica il comma 684 contenuto nell’articolo 1 della Legge 23 dicembre 2014 n. 190, è l’ennesimo intervento che finisce per deresponsabilizzare e favorire Equitalia e gli altri agenti della riscossione.

Il comma 530 dell’art. 1, Legge 24 dicembre 2012 n. 228, ad esempio, già aveva prorogato i termini per la presentazione, da parte degli agenti della riscossione, della comunicazione di discarico per inesigibilità dei ruoli.

Proroga di due anni

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201755

Luciano Catania

Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

In particolare, con tale intervento legislativo, venivano prorogati al 31 dicembre 2014 i termini entro i quali gli agenti della riscossione potevano presentare comunicazione di inesigibilità sui ruoli consegnati fino alla stessa data del 31 dicembre 2011.

Con il D.L. n. 193/2016, le comunicazioni di inesigibilità relative a quote affidate agli agenti della riscossione dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, anche da soggetti creditori che hanno cessato o cessano di avvalersi delle società del Gruppo Equitalia Spa, sono presentate, per i ruoli consegnati negli anni 2014 e 2015, entro il 31 dicembre 2019 e, per quelli consegnati fino al 31 dicembre 2013, per singole annualità di consegna partendo dalla più recente, entro il 31 dicembre di ciascun anno successivo al 2019.

Ad esempio, le comunicazioni relative all’anno 2000, che dovevano pervenire ai Comuni nel 2031, verranno trasmessi solo nel 2033 (con maturazione del discarico automatico il 31 dicembre 2033).

Per i ruoli fino a 2.000 euro, sottoscritti fino al 31 dicembre 1999 e non riscossi, gli agenti della riscossione sono, invece, liberati da qualsiasi responsabilità amministrativa e contabile, salvo, ovviamente, il caso di dolo.

Per queste partite, infatti, non si applica la disciplina sull’inesigibilità dei ruoli.

A stabilirlo è stata la legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012), con il comma 527, che sanciva che decorsi sei mesi dalla data della sua entrata, i crediti di importo fino a duemila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, erano automaticamente annullati.

Ai fini del conseguente discarico ed eliminazione dalle scritture patrimoniali dell’ente creditore, con decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze sono state stabilite le modalità di trasmissione agli enti interessati dell’elenco delle quote annullate e di rimborso agli agenti della riscossione delle relative spese per le procedure esecutive poste in essere.

Per i crediti diversi da quelli di cui al comma 527, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, esaurite le attività di competenza, l’agente della riscossione doveva provvedere a darne notizia all’ente creditore, anche in via telematica, con le modalità stabilite dallo stesso decreto.

I termini

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201756

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Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

Quello che rilevava ai fini dell’annullamento era che si trattasse di cartelle non pagate alla data di entrata in vigore della norma.

Lo stato di morosità doveva verificarsi dopo sei mesi dalla data di entrata in vigore della norma e, quindi, a fine giugno 2013.

L’annullamento ha operato di ufficio, senza la necessità di un’istanza del debitore.

Per le somme maggiori a 2.000 euro, l’agente di riscossione ha dovuto darne notizia all’ente creditore, anche per via telematica.

Il legislatore non ha previsto un termine preciso per tale adempimento e nemmeno ha previsto una formale comunicazione al debitore.

La legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014), ha introdotto alcune novità in materia di accertamento.

L’art.1 comma 688 della legge stabilisce che, le cartelle di Equitalia di valore inferiore o pari a 300 euro, consegnate ai contribuenti tra il 2000 ed il 31 dicembre 2014 e divenute inesigibili ai sensi dell’art.19 del D.lgs. n. 112/1999, non sono assoggettate ai controlli da parte dell’ente creditore e si considerano, dunque, “abbandonate”.

Per le partite che residuano, l’Agente della riscossione è responsabile nei confronti del creditore e le cause che comportano la perdita del diritto al discarico sono quelle indicate nell’art. 19 del D.Lgs. 13 aprile 1999 n. 112 ed in particolare:

− la mancata notificazione imputabile al concessionario, della cartella di pagamento, prima del decorso del nono mese successivo alla consegna del ruolo e, nel caso previsto dall’articolo 32, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, entro il terzo mese successivo all’ultima rata indicata nel ruolo;

− il mancato svolgimento dell’azione esecutiva, diversa dall’espropriazione mobiliare, su tutti i beni del contribuente la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema informativo del Ministero delle finanze, a meno che i beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del comma;

− il mancato svolgimento delle attività conseguenti alle segnalazioni di azioni esecutive e cautelari;

− la mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo, se imputabile al concessionario.

Inoltre, costituisce causa di perdita del diritto al discarico la mancata presentazione della comunicazione di inesigibilità entro i termini stabiliti dalla legge.

Il Ministero delle Finanze, con la circolare 215/E del 27 novembre 2000, ha chiarito che la presentazione della comunicazione di inesigibilità, entro i termini di legge (allora si trattava del terzo anno successivo alla consegna del ruolo) andava interpretata avendo riguardo alla più ampia libertà di iniziativa attribuita al concessionario ed evitando di considerare in maniera rigida i tempi e le modalità operative dell’attività del concessionario.

Alla locuzione “comunicazione di inesigibilità”, secondo il Ministero, non doveva attribuirsi il significato di documentazione attestante il completo svolgimento, con esito negativo o

Legge di stabilità 2015 e novità in materia di riaccertamento

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201757

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Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

infruttuoso, dell’attività esecutiva su tutti i beni risultanti dall’effettuazione dell’accesso, bensì quello di documentazione comprovante l’avvenuto infruttuoso inizio, quantomeno, dell’attività di riscossione.

Secondo l’interpretazione della circolare, quest’ampia discrezionalità non doveva significare la rinuncia alle funzioni di direzione, vigilanza e controllo sull’attività dello stesso concessionario.

Quando dalle risultanze delle comunicazioni periodiche risultasse che per un numero significativo di situazioni debitorie il concessionario ritardasse ingiustificatamente l’azione per la quale il servizio gli era stato conferito, ciò avrebbe costituito un rilevante indizio di disfunzione organizzativa che, al di là della perdita della singola quota, avrebbe imposto al concedente una valutazione circa l’opportunità di intraprendere la procedura di revoca della concessione imputando al concessionario la violazione grave e reiterata degli obblighi assunti.

La cancellazione, di fatto, delle comunicazioni con regolarità periodica, ha sottratto agli enti impositori, e tra questi ai comuni, uno strumento di verifica dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione attuata dal soggetto riscossore.

Pur non volendo tornare all’obbligo di anticipazione (cosiddetto “obbligo del non riscosso come riscosso”) che gravava sui concessionari in relazione ad una parte delle somme affidate in riscossione (abolito con il D.Lgs. 22 febbraio1999, n. 37), appare evidente che l’attuale

Disfunzione organizzativa

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201758

Luciano Catania

Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

sistema penalizza eccessivamente le aspettative degli enti locali di incassare i propri crediti.

La scelta di prorogare, con scadenze così differite temporalmente (fino ad arrivare, oggi, al 2033 per i ruoli consegnati nel 2000), la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità ha, di fatto, comportato il blocco del potere dell’ente creditore di intervenire sul processo di riscossione, negando il diniego al discarico.

La formulazione originaria del comma 3 dell’art. 19 (valida fino al 31 dicembre 2014) prevedeva che l’Ente impositore avesse tre anni di tempo per contestare la comunicazione di inesigibilità, trascorsi i quali il concessionario maturava il diritto al discarico.

Il comma 682 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 ha ridotto a due anni questo termine, rendendo ancora più facile l’attività del concessionario, con la possibilità di derogare al limite del biennio nel caso in cui l’ente creditore abbia avviato l’attività di controllo.

I crediti corrispondenti alle quote discaricate sono eliminati dalle scritture patrimoniali dell’ente creditore.

In vigenza dell’originario art. 20 del D.Lgs. 13 aprile 1999 n. 112, l’ufficio indicato dall’ente creditore se, a seguito dell’attività di controllo sulla comunicazione di inesigibilità, riteneva non rispettate le disposizioni dell’articolo 19, comma 2, lettere a), d) ed e), notificava apposito atto al concessionario, che, nei successivi trenta giorni, poteva produrre osservazioni. Decorso tale termine il discarico era ammesso o rifiutato con un provvedimento a carattere definitivo.

Se il concessionario non aveva rispettato le disposizioni di legge, veniva negato il diritto al discarico ed il concessionario era tenuto a versare all’ente creditore, entro dieci giorni dalla notifica del relativo provvedimento, la somma, maggiorata degli interessi legali decorrenti dal termine ultimo previsto per la notifica della cartella, pari ad un quarto dell’importo iscritto a

Blocco del potere dell’ente creditore di intervenire sul processo di riscossione

Riduzione da tre a due anni per contestare la comunicazione di inesigibilità

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201759

Luciano Catania

Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

ruolo.

Contro il provvedimento di diniego del discarico era ammesso ricorso alla Corte dei conti entro novanta giorni dalla notifica.

Con la riscrittura del citato art. 20, operata con il comma 683 dell’art. 1 della L. n. 190/2014, il competente ufficio dell’ente creditore deve attivare la procedura di controllo con la notifica, all’agente della riscossione, della comunicazione di avvio del procedimento.

Anche se non è detto esplicitamente sembra doversi applicare la disciplina del procedimento amministrativo.

Qualora lo stesso ufficio ritenesse non rispettate le norme sul diritto al discarico, entro i successivi centottanta giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento, deve provvedere a notificare, a pena di decadenza, apposito atto di contestazione all’agente della riscossione, che non oltre i successivi novanta giorni può produrre osservazioni.

L’atto di contestazione deve contenere, a pena di nullità, l’esposizione analitica delle omissioni e dei vizi o delle irregolarità riscontrati.

Decorso tale termine, l’ufficio, a pena di decadenza, entro sessanta giorni, ammette o rifiuta definitivamente il discarico oppure, qualora sussista la possibilità di riattivare proficuamente le attività esecutive, assegna all’agente della riscossione un termine non inferiore a dodici mesi per l’espletamento di nuove azioni, riservando la decisione allo scadere di tale termine.

Il controllo è effettuato dall’ente creditore, tenuto conto del principio di economicità dell’azione amministrativa e della capacità operativa della struttura di controllo e, di norma, in misura non superiore al 5 per cento delle quote comprese nelle comunicazioni di inesigibilità presentate in ciascun anno.

Nel termine di novanta giorni dalla notificazione del provvedimento di diniego del diritto al discarico, l’agente della riscossione può definire la controversia con il pagamento di una somma, maggiorata degli interessi legali decorrenti dal termine ultimo previsto per la notifica della cartella, pari a un ottavo dell’importo iscritto a ruolo e alla totalità delle spese.

In alternativa, se non procede alla definizione agevolata, l’agente della riscossione può sempre

applicazione della disciplina del procedimento amministrativo

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201760

Comunicazioni di inesigibilita’: altri due anni di proroga

Luciano Catania

ricorrere alla Corte dei conti.

Se non definisce in maniera agevolata e non impugna il provvedimento di diniego, l’agente della riscossione sarà debitore di un terzo dell’importo iscritto a ruolo con aggiunta degli interessi e delle spese.

L’ente creditore, qualora nell’esercizio della propria attività istituzionale individui, successivamente al discarico, l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, sulla base di valutazioni di economicità e delle esigenze operative, riaffidare in riscossione le somme, comunicando all’agente della riscossione i nuovi beni da sottoporre a esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere.

La nuova formulazione dell’art. 20, quindi, prevede una sorta di controllo a campione, tarato sulla base dell’economicità dell’azione amministrativa e della capacità operativa dell’ente creditore.

Per gli enti locali la previsione sembra essere quasi un invito a rinunciare ad effettuare controlli.

Viene, inoltre, fissato un limite bassissimo alle verifiche che non devono superare il 5 per cento delle quote comprese nelle comunicazioni di inesigibilità di ciascun anno.

Pur se il legislatore precisa che detto limite non è assoluto ma dev’essere “di norma” rispettato, anche questa indicazione scoraggia l’attivazione dei controlli.

Infine, anche l’entità fissata per il risarcimento danni, in caso di definizione agevolata, appare oltre modo bassa (1/8 dell’importo iscritto a ruolo, pari al 12,5%) e finirà per deresponsabilizzare ulteriormente l’Agente della riscossione.

Esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili ai debitori

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201761

Il punto di vista del revisore

Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività

preliminari in vista della scadenza del 30 settembre.

Il bilancio consolidato diventa realtà per la stragrande maggioranza degli enti locali: entro il 30 settembre gli enti territoriali in armonizzazione contabile debbono consolidare i conti con i propri enti e organismi partecipati secondo le modalità e i criteri individuati nel principio applicato di cui all’ allagato n. 4/4 del D.lgs. n. 118/2001. L’adempimento riguarda le Regioni e gli Enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni), salva la facoltà per gli Enti locali con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti di differire il consolidamento all’esercizio 2017, ai sensi dell’articolo 233-bis del TUEL: in tali casi il bilancio consolidato va adottato entro il 30 settembre 2018. È necessario, quindi, arrivare alla scadenza preparati, ponendo in essere una serie di attività preliminari.

Il perimetro del consolidamentoGli Enti debbono innanzitutto individuare i soggetti che costituiscono “il gruppo amministrazione pubblica”, seguendo a tal fine le indicazioni fornite al paragrafo 2 dell’allegato 4/4 al D.lgs. n. 118/2011. Il termine “gruppo amministrazione pubblica” comprende gli enti e gli organismi strumentali, le società controllate e partecipate da un’amministrazione pubblica. La definizione del gruppo amministrazione pubblica fa riferimento ad una nozione di controllo di “diritto”, di “fatto” e “contrattuale”, anche nei casi in cui non è presente un legame di partecipazione, diretta o indiretta, al capitale delle controllate. Nel perimetro di consolidamento vanno incluse anche le società partecipate in liquidazione, atteso che la normativa di riferimento non ne prevede una esplicita esclusione o deroga. Su

a cura di Rosario Poliso

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201762

Rosario Poliso

Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre

tale argomento è intervenuta la Corte dei conti, sezione di controllo della Sicilia, con la delibera n. 60/2014/Par, precisando che “non solo la vigente normativa non esclude dal perimetro del consolidamento le società in liquidazione”, ma anche che “le finalità del consolidamento contabile prescindono dalle prospettive di continuità operativa della società, che, anche se posta in liquidazione ai sensi dell’art. 2484 e ss. del codice civile, non può esimersi dall’avere - in linea di principio - evidenze contabili delle reciproche poste di debito – credito, tendenzialmente collimanti con quelle dell’ente di riferimento”. La Corte ha poi chiarito che della società in liquidazione sarà utilizzato il bilancio «intermedio» di liquidazione ex articolo 2490 del Codice civile relativo all’esercizio al quale si riferisce il bilancio consolidato.Giova ricordare che ai fini dell’inclusione nel gruppo dell’amministrazione pubblica non rileva la forma giuridica, né la differente natura dell’attività svolta dall’ente strumentale o dalla società; il gruppo “amministrazione pubblica” può comprendere anche gruppi intermedi di amministrazione pubbliche o di impresa: in tal caso il bilancio consolidato è predisposto aggregando i bilanci consolidati dei gruppi intermedi.Una volta individuati i soggetti interessati al consolidamento occorre predisporre due distinti elenchi concernenti:

1) Gli enti, le aziende e le società che compongono il gruppo amministrazione pubblica, evidenziando i soggetti che a loro volta sono a capo di un gruppo di amministrazioni pubbliche o di imprese;

2) Gli enti, le aziende e le società componenti del gruppo compresi nel bilancio consolidato.

La versione dei due elenchi definitiva viene approvata dalla Giunta ed è inserita nella nota integrativa al bilancio consolidato.È bene ricordare che non tutti i bilanci degli organismi che gravitano nell’orbita dell’ente capogruppo vanno necessariamente consolidati: gli enti e le società del gruppo compresi nell’elenco di cui al punto 1 possono non essere inseriti nell’elenco di cui al punto 2 nei casi di:

1. Irrilevanza, quando il bilancio di un componente è irrilevante ai fini della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico del gruppo. Sono considerati irrilevanti i bilanci che presentano, per ciascuno dei seguenti parametri, un’incidenza inferiore al 10 per cento per gli enti locali e al 5 per cento per le Regioni e le Province autonome rispetto alla posizione patrimoniale, economico e finanziaria della capogruppo:a) totale dell’attivo;b) patrimonio netto;c) totale dei ricavi caratteristici.Al fine di garantire la significatività del bilancio consolidato la capogruppo può considerare non irrilevanti i bilanci degli enti e delle società che presentano percentuali inferiori a quelle sopra richiamate. In ogni caso, sono considerate irrilevanti, e non oggetto di consolidamento, le quote di partecipazione inferiori all’1% del capitale della società partecipata;

2. Impossibilità di reperire le informazioni necessarie al consolidamento in tempi ragionevoli e senza spese sproporzionate. I casi di esclusione del consolidamento per detto motivo sono limitati e riguardano eventi di natura straordinaria (terremoti, alluvioni e altre calamità naturali), diversamente si potrebbe assistere ad un uso distorto e pretestuoso della deroga;

3. Esistenza di procedure che determinano restrizione gravi e durature dei diritti della controllante (procedure concorsuali, eccetera).

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201763

Rosario Poliso

Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre

Nel caso in cui non risultano enti o società controllate o partecipate oggetto di consolidamento, la delibera di approvazione del rendiconto dichiara formalmente che l’ente capogruppo non ha enti o società, controllate o partecipate, che, nel rispetto del principio applicato del bilancio consolidato, sono oggetto di consolidamento e, di conseguenza, non procede all’approvazione del bilancio consolidato relativo all’esercizio precedente.

Comunicazioni ai componenti del gruppoIndividuato il perimetro dei soggetti da consolidare, è importante che l’ente capogruppo provveda ad impartire delle precise direttive riguardanti:

a) Modalità e termini di trasmissione dei bilanci di esercizio, dei rendiconti, dei bilanci consolidati e di ogni utile informazione per attuare il consolidamento dei conti: la definizione della tempistica di trasmissione documentale riveste carattere strategico per la tempestiva e corretta elaborazione del documento finale;

b) La elencazione dei documenti di ausilio per la corretta interpretazione dei dati contabili e dei rapporti interni al gruppo: l’assenza di idonee informazioni potrebbe dar vita ad un coacervo di dati contabili di difficile interpretazione, con riflessi facilmente immaginabili in sede di costruzione del documento.

La redazione del documento La redazione del documento sembra preoccupare non poco i responsabili finanziari, molti dei quali ritengono l’adempimento estremamente complesso. In realtà, il bilancio consolidato è un documento, in linea di principio, relativamente semplice da redigere, a condizione che si conoscano perfettamente i meccanismi applicativi della contabilità generale. Le difficoltà, invece, possono essere più o meno complesse in relazione alla dimensione del gruppo oggetto di consolidamento, piuttosto che dalla presenza di casi particolari come l’esistenza di società quotate in borsa che per fortuna sono fattispecie assai limitate.A prescindere dalle differenti difficoltà legate al contesto specifico, il bilancio consolidato è costituito dal conto economico consolidato e dallo stato patrimoniale consolidato a cui sono allegati la relazione sulla gestione consolidata (che comprende la nota integrativa) e la relazione del collegio dei revisori dei conti dell’ente capogruppo (art. 11 bis del D.lgs. n. 118/2011).

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201764

Rosario Poliso

Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre

Il principio applicato di cui all’allegato n. 4/4 del D.lgs. n. 118/2011, nel definirne le modalità e i criteri, nella sua parte conclusiva rinvia ai principi contabili generali civilistici e a quelli emanati dall’Oic (Organismo italiano di contabilità) per quanto non specificatamente previsto: tale rinvio richiama il responsabile finanziario nella redazione del documento consolidato, tra l’altro, al principio Oic 17 (bilancio consolidato e metodo del patrimonio netto) recentemente modificato nel dicembre 2016 per tenere conto sia delle novità introdotte nell’ordinamento dal D.lgs 139/2015 (che ha attuato la direttiva 2013/34/Ue) sia del coordinamento con altri principi contabili.

Il principio Oic 17 Dal rinvio all’Oic 17 deriva immediatamente che:

a) in caso di prima predisposizione del bilancio consolidato, le norme non richiedono di presentare il bilancio comparativo dell’esercizio precedente;

b) l’articolo 29, comma 6, D.lgs. n. 127/91 permette la redazione del bilancio consolidato in migliaia di euro anziché in unità euro.

Riflessione sul nuovo adempimentoUna riflessione sul nuovo strumento contabile è doverosa: il bilancio consolidato dopo anni di rinvii e di discussioni circa la sua utilità arriva al traguardo, con non poche resistenze da parte della Pubblica Amministrazione. C’è chi teme che anche questo appuntamento possa rivelarsi l’ennesimo adempimento privo di concreti benefici.A parere di chi scrive, l’utilità di uno strumento dipende sempre dalla capacità di attuarlo in modo corretto e funzionale; occorre iniziare a pensare che la contabilità “utile” non sia solo quella finanziaria. Solo un occhio miope può non vedere l’utilità del consolidamento dei conti; solo una mente

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201765

Rosario Poliso

Il Bilancio consolidato degli enti locali: le attività preliminari in vista della scadenza del 30 settembre

impreparata può considerare il “consolidamento dei conti” una mera tecnica contabile, ignorando la sua vera natura di strumento di gestione in grado di sopperire alle carenze informative e valutative dei bilanci degli enti che perseguono le proprie funzioni anche attraverso enti strumentali e società partecipate.Il bilancio consolidato è uno strumento che se correttamente usato potrà mettere fine all’esistenza di “gruppi” aziendali non governati dagli Enti locali, che ne subiscono, spesso, sole le conseguenze negative fino a compromettere gli equilibri finanziari; uno strumento informativo e gestionale che potrà contribuire a mutare lo scenario attuale delle holding comunali dove spesso le società vengono viste, a ragion veduta, come veri cancri da estirpare o, nella migliore delle ipotesi, soggetti antagonisti all’ente capogruppo e non come strumenti di una politica condivisa nell’interesse collettivo.

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201766

Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi (art. 32 D.L. n. 90/2014)di Paolo Longoni

La norma sopra citata, inclusa in un maxi decreto recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, ha introdotto nel nostro ordinamento alcune misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione.Nella relazione di accompagnamento alla disposizione di legge, si precisa che il decreto è stato adottato “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento delle opere e dei lavori necessari a garantire lo svolgimento dell’evento Expo 2015”.Sono state successivamente emanate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) tre Linee guida per l’applicazione delle misura straordinarie previste nella disposizione richiamata ed è stato stipulato un Protocollo di Intesa fra il Ministero dell’Interno e l’ANAC per l’avvio di un circuito stabile e collaborativo sulla materia.La norma, in sintesi, prevede quanto segue.Nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i delitti di:

- concussione;- corruzione del pubblico ufficiale;- corruzione per atti contrari al proprio ufficio;- corruzione in atti giudiziari;

“Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201767

Paolo Longoni

Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi (art. 32 D.L. n. 90/2014)

- induzione indebita a dare o promettere utilità;- corruzione dell’incaricato di un pubblico servizio;- istigazione alla corruzione;- traffico di influenze illecite;- turbata libertà degli incanti;- turbata libertà del procedimento di scelta del contraente;

ovvero, in presenza di rilevanti situazioni anomale, sintomatiche di condotte illecite attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture, ovvero ad un concessionario di lavori pubblici o ad un contraente generale, il Presidente dell’ANAC ne informa il Procuratore della Repubblica e, in presenza di fatti gravi ed accertati propone al Prefetto competente per territorio l’adozione di una delle seguenti misure:

- ordinare il rinnovo degli organi sociali mediante la sostituzione dei soggetti coinvolti e, ove l’impresa non si adegui, provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione (art. 32, 1° comma, lettera a);

- provvedere direttamente alla straordinaria gestione dell’impresa appaltatrice, limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione (art. 32, 1° comma, lett.b).

La norma assegna al Prefetto il compito di accertare i presupposti contenuti nella proposta dell’ANAC e di valutare la gravità dei fatti oggetto dell’indagine, adottando i provvedimenti di intimazione all’impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali sostituendo i soggetti coinvolti, ovvero di nominare uno o più amministratori straordinari.La misura straordinaria è prevista anche in caso di misure interdittive irrogate nell’ambito di prevenzione antimafia.Molto si è scritto sulla questione che riguarda la valutazione assegnata ad autorità amministrative (prima l’ANAC e poi il Prefetto) dei presupposti (“rilevanti situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite”) e del requisito di “fatti gravi ed accertati” che danno origine alle misure straordinarie; si sostiene che l’accertamento dei fatti dovrebbe derivare da atto dell’Autorità Giudiziaria, che nella massima parte dei casi non è addivenuta ancora ad una sentenza di condanna.O addirittura, per paradosso, potrebbe non avere nemmeno intrapreso il procedimento penale. Ma il focus di questo intervento non è rivolto agli aspetti di diritto penale dell’economia, bensì alle misure straordinarie nei confronti delle imprese, che hanno carattere amministrativo.Il sistema normativo prevede una gradualità, che lascia all’impresa la decisione sulla sostituzione della persona fisica e in seconda battuta dispone la procedura di amministrazione straordinaria.Gli amministratori straordinari nominati – essendo la procedura qualificata come di pubblica utilità – sono investiti di tutti i poteri di gestione dell’impresa spettanti agli organi deliberanti (amministratori ed assemblea dei soci) limitatamente a quanto concerne il contratto o i contratti oggetto di attenzione.Si deve trattare di soggetti in possesso dei requisiti previsti dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 aprile 2013 (Regolamento sui requisiti di professionalità ed onorabilità dei commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).La durata della straordinaria e temporanea gestione è fissata in ragione delle esigenze funzionali alla realizzazione dell’opera pubblica, al servizio o alla concessione oggetto del contratto.Per la durata della straordinaria e temporanea gestione sono attribuiti agli amministratori tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa ed è sospeso l’esercizio dei

L’accertamento dei fatti dovrebbe derivare da atto dell’Autorità Giudiziaria

Gli amministratori straordinari sono investiti di tutti i poteri di gestione dell’impresa spettanti agli organi deliberanti

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201768

Paolo Longoni

Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi (art. 32 D.L. n. 90/2014)

poteri di questi ultimi.Gli interessi pubblici che la procedura di straordinaria e temporanea gestione deve tutelare sono, con tutta evidenza:

- la continuità di funzioni e servizi indifferibili: e cioè la prosecuzione nell’erogazione di prestazioni che risultano indispensabili per consentire alla collettività di poter fruire di quanto oggetto del contratto;

- la salvaguardia dei livelli occupazionali: e dunque la necessità di evitare la perdita di numeri consistenti di posti di lavoro, che avrebbe rilevante incidenza nel contesto sociale ed economico di riferimento;

- l’integrità dei bilanci pubblici: la norma non è diretta semplicemente alla salvaguardia della capacità dell’impresa di produrre reddito, ma anche (soprattutto) ad evitare che l’interruzione dell’attività di impresa comporti un danno alle esigenze di finanza pubblica.

Sembra così di poter dire1 che le misure sono dirette a garantire, attraverso una conformazione della libertà di impresa, la realizzazione di interessi pubblici superiori messi in pericolo da situazioni legate a fatti corruttivi.

La procedura, per come è disegnata, costituisce uno spossessamento dei poteri gestori dell’impresa per la sola parte che riguarda lo specifico contratto pubblico per il quale si intende intervenire.Ciò pone in essere diverse problematiche applicative, legate alla pratica esecuzione di quanto descritto: sembrerebbe di semplice attuazione l’istituzione di un modello di gestione tratto dall’art. 2447 – bis, con costituzione di un patrimonio separato destinato ad uno specifico affare: ma nella applicazione pratica di un’impresa societaria di rilevanti dimensioni ed in dinamico movimento il modello proposto dalla normativa civilistica non è di facile ed immediata attuazione.Né tanto meno appare, alla visione pratica ed applicativa dell’aziendalista, di semplice soluzione la questione legata alla sorte degli utili correlati allo specifico contratto, di cui la norma dispone l’accantonamento all’esito dei procedimenti penali o amministrativi in corso2; non è infatti facile la determinazione nell’ambito di una realtà economica in

1 Seconde Linee guida per l’applicazione delle misure straordinarie di gestione, Autorità Nazionale Anticorruzione, 27 gennaio 2015

2 Le Seconde Linee Guida, cit., anche sulla scorta di parere rilasciato dall’Avvocatura Generale dello Stato, collo-

Le misure sono dirette a garantire la realizzazione di interessi pubblici superiori

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201769

Paolo Longoni

Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi (art. 32 D.L. n. 90/2014)

movimento dell’utile relativo ad uno specifico affare; né è chiaro il concetto stesso di “utile” di cui è menzione.

Inoltre, la conoscenza aziendalistica permette con facilità di comprendere che l’utile, come valore economico risultante dalla differenza fra costi e ricavi, non coincide spesso con effettive risorse finanziarie liquide accantonabili.Il compito degli amministratori straordinari si presenta dunque assai complesso:

- dal punto di vista del sistema di governo della Società oggetto della procedura si dovrà dare atto che gli organi societari rimangono in carica con le responsabilità loro derivanti dalle loro cariche ma non per le attività sociali riguardanti l’esecuzione del contratto o dei contratti “commissariati”. Essi restano responsabili della società rappresentata per tutti gli affari che non riguardano il contratto e per i settori di attività aziendale al di fuori del perimetro di commissariamento. In capo a loro restano gli obblighi civilistici e fiscali; i piani strategici e la loro attuazione e gli obblighi di rispetto di tutte le norme di legge che disciplinano l’attività delle imprese. L’attività dei commissari comprende invece l’esercizio dei diritti e l’adempimento degli obblighi contrattuali derivanti dai contratti oggetto di attenzione ed anche alle iniziative strumentali indispensabili all’esecuzione di detti contratti;

- dal punto di vista dell’esecuzione dei contratti commissariati gli amministratori straordinari, previa la necessaria analisi organizzativa dell’azienda, dovranno istituire funzionalità di ciclo passivo (costi e pagamenti) e di ciclo attivo (ricavi e riscossioni) che sia in grado di rilevare contabilmente la gestione di ogni singolo contratto.

cando l’attività di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa nel solco dell’esercizio di poteri pubblicistici, sottolineano che gli utili del contratto attengono alla sfera della stazione appaltante, e non a quella dell’appaltatore commissariato. Da ciò discende la necessità dell’accantonamento fino all’esito del procedimento a carico dell’im-presa; con previsione di restituzione solo in caso di esito favorevole all’impresa stessa.

L’utile non coincide spesso con effettive risorse finanziarie liquide accantonabili

Gli organi societari rimangono in carica con le responsabilità derivanti dalle loro cariche

Gli amministratori straordinari dovranno istituire funzionalità di ciclo passivo e di ciclo attivo

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201770

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte). di Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

Prosegue lo studio sulla riforma “Madia”, iniziato sul numero 2/2017 di Management Locale.

In questa seconda parte, si affronteranno le sostanziali modifiche apportate al decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, (Testo Unico del Pubblico Impiego) sul procedimento disciplinare.

Premessa.

Lo schema di decreto legislativo, atto del Governo n.393, è adottato in attuazione della legge n.124/2015, con cui il Governo è stato delegato al riordino della disciplina del “lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa”. Si è previsto che i decreti legislativi vengano adottati entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle legge delega stessa, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e previo parere della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti per materia.

Allo stato, lo schema di decreto, è all’esame delle Commissioni parlamentari, alle quali, vista l’imminente scadenza della delega, è stato trasmesso, privo dei pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato, che il Governo si è riservato di trasmettere non appena verranno espressi.

I pareri parlamentari devono essere espressi entro 60 giorni dalla data di trasmissione (ossia entro il 29 aprile 2017). Nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione; successivamente, le Commissioni competenti per materia possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro

I decreti legislativi devono essere adottati entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle legge delega

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Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione.

I 18 mesi previsti per l’esercizio della delega scadevano il 28 febbraio 2017, giorno di trasmissione dello schema di decreto legislativo alle Camere. Al fine di consentire l’espressione del parere parlamentare, tuttavia, l’articolo 16, comma 4, terzo periodo, della legge-delega n.124 del 2015, ha previsto che il termine sia automaticamente prorogato di 90 giorni (la delega deve quindi essere esercitata entro il 27 maggio 2017).

La riunione con le organizzazioni sindacali si è invece svolta il 15 febbraio 2017

La contrattazione collettiva.

Il primo comma dell’articolo 40, sulla contrattazione collettiva nazionale e integrativa, viene sostituito con una nuova formulazione.

Con una mano tesa al sindacato, si riequilibra il rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva, alla quale viene restituita l’intera disciplina del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali, con le modalità previste dal decreto. La legge continuerà a individuare i limiti di intervento, nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, mentre non rientra più in questi vincoli la regolamentazione delle progressioni economiche.

Il comma 3-ter prevede che un’amministrazione possa provvedere, in via provvisoria, sulle materie sulle quali non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo. La decisione “unilaterale” è consentita, tuttavia, soltanto qualora il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa e nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti.

E’ richiesta, inoltre, la prosecuzione delle trattative, per pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo.

La disposizione, come è noto, era già presente del Decreto legislativo n. 165/2001, e la modifica è intervenuta a porre delle limitazioni più stringenti all’approvazione unilaterale degli istituti contrattualizzati.

Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall’articolo 40-bis.

La contrattazione nazionale potrà individuare dei termini minimi di durata delle sessioni negoziali, in sede decentrata, decorsi i quali le amministrazioni potranno provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo. Presso l’ARAN un osservatorio, a composizione paritetica, avrà il compito di monitorare i casi e le modalità con cui ciascuna amministrazione adotta questi atti unilaterali.

Si introduce il comma 4-bis, che impone ai contratti collettivi nazionali di lavoro la previsione di apposite clausole, per impedire incrementi alle risorse accessorie nel caso in cui i dati sulle assenze, rilevati a consuntivo, mettano in luce significativi scostamenti, rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore. Si dovrà tener conto, in particolare, dei periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza e delle assenze in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale.

Con il comma 4-ter, si prevede, con intervento da parte della contrattazione collettiva nazionale, una razionalizzazione e semplificazione della disciplina di costituzione e utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa. Lo scopo è di consentirne un utilizzo più funzionale ad obiettivi di valorizzazione degli apporti del personale, nonché di miglioramento della produttività

Si riequilibra il rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva

Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria

Per i contratti collettivi nazionali di lavoro sono previste apposite clausole

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Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

e della qualità dei servizi.

La contrattazione collettiva nazionale provvede anche attraverso il consolidamento, per le amministrazioni in regola con i vincoli di contenimento della spesa, della consistenza della componente variabile dei fondi e tenuto conto delle esigenze di continuità dei servizi resi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il procedimento disciplinare.

Cambiano le competenze e i tempi del procedimento disciplinare. Fermo restando l’imperatività delle norme, dall’art. 55 al 55 octies del D.Lgs. n. 165/2001, viene introdotta, esplicitamente, la previsione della responsabilità disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione, in caso di violazione (art. 55 comma 1 ultima parte).

Attualmente la competenza sui procedimenti in esame è suddivisa tra il responsabile della struttura presso cui il dipendente presta servizio e l’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD), che interviene laddove la sanzione, applicabile astrattamente, sia almeno la sospensione per dieci giorni, con termini procedimentali raddoppiati.

La riforma, eccetto che per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, rimette tutto in capo all’ufficio per i procedimenti disciplinari, individuato da ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, con attribuzione di titolarità e responsabilità. (art. 55 bis, commi 1 e 2 novellati).

Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo.

Il legislatore, indi, consente alle amministrazioni, previa convenzione, la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari.

Sono (eccezion fatta per il rimprovero verbale) unificati i termini che scandiscono le fasi subprocedimentali: fermo restando quanto previsto dall’articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale, il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente,

Cambiano le competenze e i tempi del procedimento disciplinare

La riforma rimette tutto in capo all’ufficio per i procedimenti disciplinari

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Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

e comunque entro dieci giorni, all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e convoca l’interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l’audizione in contraddittorio a sua difesa. Il dipendente può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In caso di grave ed oggettivo impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il dipendente può richiedere che l’audizione a sua difesa sia differita, per una sola volta, con proroga del termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente. Salvo quanto previsto dall’articolo 54-bis, comma 4, il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro novanta giorni dalla contestazione dell’addebito, dandone altresì comunicazione all’Ispettorato per la funzione pubblica.

Infine, per le comunicazioni inerenti al procedimento, l’Ufficio utilizza tutti i mezzi idonei alla conoscibilità degli atti, superando tutte le prescrizioni circoscritte della vigente disciplina, così da evitare rischi di invalidità, solo formale, degli atti (art. 55 bis, comma 5)

Al comma 8 dell’articolo in esame, viene disciplinata dettagliatamente l’ipotesi di un procedimento disciplinare pendente per un dipendente trasferito.

In tale caso, si prevede che l’UPD che abbia in carico gli atti li trasmetta tempestivamente al corrispondente ufficio dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito. Il procedimento tuttavia si interrompe e dalla data di ricezione degli atti, da parte dell’ufficio disciplinare dell’amministrazione “ricevente”, decorrono nuovi termini, per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento. Nel caso in cui l’amministrazione di provenienza venga a conoscenza dell’illecito disciplinare successivamente al trasferimento del dipendente, la stessa provvede a segnalare, immediatamente e comunque entro venti giorni, i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare all’UPD dell’amministrazione presso cui il dipendente è stato trasferito e dalla data di ricezione della predetta segnalazione decorrono i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento.

Gli esiti del procedimento disciplinare vengono, in ogni caso, comunicati anche all’amministrazione di provenienza del dipendente.

Il comma 9, che allo stato disciplina il caso di dimissioni del dipendente soggetto a procedimento, prende in esame tutti i casi di “cessazione del rapporto di lavoro”, che estinguono il procedimento disciplinare, salvo che si proceda per un’infrazione per la quale sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio.

In questo caso, il provvedimento conclusivo è comunque assunto, ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La novella in approvazione sancisce, al comma 9 bis (di nuova introduzione) la nullità delle disposizioni di regolamento, le clausole contrattuali o le disposizioni interne, comunque qualificate, che prevedano, per l’irrogazione di sanzioni disciplinari, requisiti formali o procedurali ulteriori, rispetto a quelli indicati nell’articolo 55 bis o che ,comunque, aggravino il procedimento disciplinare.

Con il comma 9 ter, anch’esso introdotto dalla riforma, il legislatore, confermando l’orientamento

L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, entro 30 giorni, provvede alla contestazione scritta dell’addebito

L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento entro 90 giorni dalla contestazione dell’addebito

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Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

già espresso nel D.Lgs. n. 116/2016, “declassa” a ordinatori, i termini originariamente perentori del procedimento disciplinare. L’intento è ovviamente quello di evitare che intere procedure sanzionatorie siano inficiate per ricorsi legati esclusivamente a vizi di forma sui termini.

Si prevede, infatti, che la violazione dei termini e delle disposizioni previste dall’art. 55 bis, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, siano comunque compatibili con il principio di tempestività.

Di notevole efficacia, a parere di chi scrive, la previsione, al comma 9 quater, per l’amministrazione di poter riaprire il procedimento disciplinare, nel caso in cui la sanzione, incluso il licenziamento, sia annullata in sede giurisdizionale per violazione del principio di proporzionalità.

Allo stato, infatti, laddove il giudice riconosca l’illiceità del comportamento del dipendente, ma ritenga la sanzione eccessiva, l’annullamento del provvedimento non consente alla PA di procedere nuovamente.

Con la novella, invece, viene consentito il rinnovo della contestazione degli addebiti entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza e il procedimento si svolge ai sensi dell’art. 55 bis, con integrale nuova decorrenza dei termini previsti per la conclusione dello stesso.

Con riferimento ai rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale, già disciplinati dall’art. 55 ter del D.Lgs.n. 165/2001, le novità rilevanti sono anzitutto la possibilità per l’Amministrazione che ha disposto la sospensione del procedimento, in attesa degli esiti di quello penale, di riattivarlo.

Questo è consentito in presenza di elementi sufficienti per concludere il procedimento disciplinare, anche sulla base di un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta, in ogni caso, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.

La violazione dei termini e delle disposizioni non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata

Viene consentito il rinnovo della contestazione degli addebiti

L’Amministrazione, che ha disposto la sospensione del procedimento, può riattivarlo

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201775

Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

Altra novità, nella modifica al comma 4 del 55 ter, è l’applicazione dell’art. 55 bis anche per quanto attiene ai termini di conclusione del procedimento disciplinare, nel caso di riapertura o ripresa con il rinnovo della contestazione dell’addebito. Allo stato, infatti, il procedimento deve essere concluso, una volta rinnovato, entro il, forse eccessivamente lungo, termine di 180 giorni.

Il licenziamento disciplinare.

Già oggetto di recentissimo intervento interpretativo e innovativo, con il già citato D.Lgs. n. 116/2016, l’articolo 55 quater individua alcune fattispecie di illecito che danno luogo al licenziamento disciplinare con e senza preavviso.

Fermo restando i chiarimenti sulle modalità di realizzazione della “falsa attestazione della presenza in servizio” e le misure cautelari obbligatorie previste con la riforma del 2016 (sull’onda dell’eco mediatico sollevato dai c.detti “furbetti del cartellino”), si introducono, al comma 1 con le letter f-bis a quinquies, nuove tipologie di illecito disciplinare.

Si tratta, invero, di una organizzazione sistematica, di previsioni precedentemente sparse e con la riforma in esame tutte rinvenibili, per una maggiore facilità, anche di individuazione, in un unico articolo.

Le ipotesi sono:

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’articolo 54, comma 3;

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’articolo 55-sexies, comma 3 (omissione degli atti del procedimento disciplinare che comportino mancato esercizio o decadenza dall’azione);

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio;

f-quinquies) insufficiente rendimento rilevato dalla reiterata valutazione negativa della performance del dipendente nell’arco dell’ultimo triennio, ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2009.

La sospensione cautelare obbligatoria, l’abbreviazione dei termini del procedimento, le comunicazioni alla Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica, le responsabilità (con licenziamento) per la mancata attivazione del procedimento, con la modifica al comma 3 sexies, sono applicate in tutti i casi in cui le condotte punibili con il licenziamento siano accertate in flagranza, e non soltanto per le false attestazioni della presenza.

La riforma investe, sulle false attestazioni o certificazioni, la contrattazione collettiva nazionale per individuare condotte e corrispondenti sanzioni disciplinari, nelle ipotesi di ripetute e anomale assenze dal servizio, in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, nonché con riferimento ai casi di anomale assenze collettive in determinati periodi nei quali è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza (ricordiamo tutti il caso eclatante dei vigili del comune di Roma, assenti per malattia in massa, in occasione del capodanno 2015).

Con la riforma dell’art. 55-sexies (Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare), si conferma la responsabilità, al comma 3, non solo per il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, per omissione o ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del

Il procedimento “riattivato” deve essere concluso entro 180 giorni

Fattispecie di illecito che danno luogo al licenziamento disciplinare con e senza preavviso

La riforma investe la contrattazione collettiva nazionale per individuare condotte e corrispondenti sanzioni disciplinari

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201776

Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

procedimento, ma anche per valutazioni manifestamente irragionevoli di insussistenza dell’illecito, con riferimento a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare.

Viene, e in questo consiste la novità, espressamente previsto che ogni amministrazione individui preventivamente il titolare dell’azione disciplinare per queste infrazioni, commesse dai responsabili dell’UPD.

La competenza per i controlli sulle assenze.

Altra importante novità è il trasferimento delle competenze sui controlli in merito alle assenze per malattia, che la riforma introduce all’art. 55 septies.

I controlli sulla validità delle certificazioni mediche restano in capo alle singole amministrazioni pubbliche interessate. Con il comma 2 bis, viene, invece, incardinata in capo all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, la titolarità esclusiva per gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia, con totali oneri a carico dell’Istituto, che provvederà nei limiti delle risorse trasferite delle Amministrazioni interessate.

I trasferimenti sono disciplinati nello schema di decreto, all’art. 22. Sono, infine, previste convenzioni con i medici di medicina fiscale, previo atto di indirizzo ministeriale.

Al comma 5-bis, si prevede l’armonizzazione della disciplina nei settori pubblico e privato: le fasce orarie di reperibilità entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo e le modalità per lo svolgimento delle visite medesime e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, saranno fissate con un unico decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica Amministrazione, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Controversie relative ai rapporti di lavoro.

Si chiarisce che nel pubblico impiego, la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sia soltanto di tipo “reale”. All’art. 63 si introduce, infatti, la previsione che il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento, per il calcolo del trattamento di fine rapporto

Ogni amministrazione deve individuare preventivamente il titolare dell’azione disciplinare

Armonizzazione della disciplina nei settori pubblico e privato

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201777

Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Le disposizioni transitorie del nuovo decreto legislativo.

Sono previste modificazioni all’articolo 4 del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, per quanto attiene all’obbligo, per regioni ed enti locali che non abbiano rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa, di recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie destinate alla stessa contrattazione, le somme indebitamente erogate, mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli.

Si prevede, con lo schema di decreto in esame, che la quota di recupero non possa essere superiore al 25% delle risorse destinate alla contrattazione integrativa, incrementando, allo stesso tempo, in maniera corrispondente le citate quote annuali.

La facoltà di compensazione, per le regioni e gli enti locali che abbiano rispettato il patto di stabilità interno, delle somme da recuperare anche con i risparmi derivanti da piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa e da economie effettivamente realizzate rispetto a quanto richiesto dalla normativa, potrà essere utilizzata ma in misura non superiore all’80% dei risparmi effettivamente realizzati.

Come evidenziato nella relazione del Servizio Bilancio del Senato, questo potrebbe determinare peggioramenti nei saldi degli enti territoriali, in quanto determinerà una posticipazione dell’integrale recupero delle somme.

Salario accessorio e sperimentazione.

Si prevede, inoltre, un nuovo e differente limite al tetto del salario accessorio, per il personale, anche di livello dirigenziale, che a decorrere dal 1 gennaio 2017, non potrà superare il

Obbligo di recuperare integralmente le somme indebitamente erogate

Peggioramenti nei saldi degli enti territoriali

Limite al tetto del salario accessorio, per il personale, anche di livello dirigenziale

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201778

Liliana Cirillo ed Eugenio Piscino

La riforma della pubblica amministrazione: il decreto sul pubblico impiego (II parte)

corrispondente importo determinato per l’anno 2016.

Viene abrogato il comma 236 della legge di stabilità 2016 (l. 208/2015), che prevede, oltre al limite del corrispondente importo determinato per l’anno 2015, anche la riduzione automatica in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente.

Al comma 3 si consente a regioni ed enti locali di destinare o confermare apposite risorse alla componente “variabile” dei fondi per il salario accessorio, fermo restando il tetto massimo complessivo e nel rispetto della normativa contrattuale vigente, in particolare, con riferimento all’attivazione di nuovi servizi o di riorganizzazione, nonché nei limiti dei vincoli di bilancio e delle vigenti disposizioni in materia di vincoli della spesa di personale.

Sempre nell’ambito della sperimentazione, al comma 5 dell’art. 23 del decreto di riforma, si prevede che con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, possa essere disposto il graduale superamento degli attuali vincoli assunzionali, in favore di un meccanismo basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa per personale, valutata anche con riferimento alle entrate correnti e in base ai criteri sperimentali, previa individuazione di specifici meccanismi che consentano l’effettiva assenza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Tra le abrogazioni, le disposizioni della finanziaria 2016, che bloccavano le assunzioni dei dirigenti.

Graduale superamento degli attuali vincoli assunzionali

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201779

Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilitàdi Silvana Mele

Le funzioni del segretario comunale a livello ordinamentale sono disciplinate (elencate) dall’art. 97 del Tuel.La norma indica fra le altre, alla lettera c) del comma 4, che il segretario roga i contratti nei quali l’Ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’Ente.Dal testo unico, dunque, emerge che il Segretario comunale è anche l’ufficiale rogante del Comune; cioè il funzionario dell’ente locale competente alla stipulazione dei contratti in alternativa al notaio.In questa veste, nell’ambito delle competenze riservategli dalla normativa, è tenuto ad osservare tutte le formalità previste dalla Legge notarile per la validità ed il perfezionamento dei propri atti; nonché a porre in essere tutti gli adempimenti tipici di questa attività. In caso di errori od omissioni, infatti, si configura in capo al Segretario una responsabilità analoga a quella del notaio, caratterizzata da alcuni aspetti peculiari previsti dalla disciplina del pubblico dipendente. La funzione rogatoria rappresenta un elemento costitutivo del complesso delle attribuzioni

Il Segretario comunale è anche l’ufficiale rogante del Comune

Si configura in capo al Segretario una responsabilità analoga a quella del notaio

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201780

Silvana Mele

Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

conferite al Segretario comunale. L’attività rogatoria del Segretario comunale, del resto, può essere considerata a tutti gli effetti una funzione pubblica, trattandosi di una funzione che la legge collega istituzionalmente all’esercizio della sua attività professionale (cd. Segretario – Notaio) e che fa riferimento ai compiti relativi soprattutto al rogito dei contratti e all’autenticazione di scritture private nell’interesse dell’ente. Infatti, Il D.L. n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014 ha riformulato l’art. 97, comma 4 lett. c) del D.lgs. n. 267/2000 prevedendo che il Segretario “roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”. Tale modifica (con l’eliminazione del termine “può”) ha introdotto, dunque, un vero e proprio obbligo per il Segretario a prestare la propria attività di ufficiale rogante, così confermando che la funzione rogatoria è dalla legge stessa istituzionalmente collegata all’esercizio dell’attività del Segretario.

Poiché la funzione rogatoria del Segretario comunale non si differenzia (anche dal punto di vista delle formalità da seguire) da quella del Notaio, nell’adempimento di questa funzione è tenuto a seguire i principi della legge notarile n. 89 del 2013, come successivamente modificata dalla legge 10/5/1976 e dalla legge 28/11/2005, n. 246.Ebbene, l’articolo 1 descrive la funzione del Notaio deputato a ricevere1 gli atti ai quali attribuisce pubblica fede (cioè attesta la provenienza dell’atto da un pubblico ufficiale autorizzato). Per conciliare tale disposizione con la particolare figura del segretario comunale è necessario leggerla in combinato disposto con l’art. 97, comma 4, lett. c) del decreto legislativo n. 267/2000; lettura combinata dalla quale emergerebbe una competenza generale del Segretario in materia rogatoria, senza alcuna distinzione tra atti negoziali e/o unilaterali. Eppure, sono

1 Ricevere l’atto significa ricevere le volontà delle parti contraenti, per poi tradurle in una idonea formula giuridica dalla quale sorgano gli effetti giuridici desiderati . In questa prospettiva ricevere l’atto significa rogare l’atto. Ebbene il Segretario, alla stessa stregua del Notaio, deve indagare la volontà dei soggetti contraenti e poi tradurla nell’atto facendo conseguire gli effetti giuridici voluti dalle parti intervenute. A differenza dell’attività svolta dal Notaio, però, per quanto attiene l’eventuale irricevibilità di atti (disciplinata dall’art. 28 della legge Notarile) e’ difficile individuare delle categorie di tal genere, in quanto la posizione del segretario comunale e la particolare natura del Comune fanno sì che l’irricevibilità di tali atti rimanga un mero principio teorico.Ad ogni modo, giova ricordare che vi sono alcune (non numerose) tipologie di atti per i quali la legge dispone la competenza esclusiva del Notaio (nel senso che soltanto lui può rogarli e non anche altri pubblici ufficiali). I casi più rilevanti sono: il testamento pubblico (art. 603 c.c.), il testamento segreto (art. 604 c.c.) e il verbale di pubblicazione del testamento. Inoltre, secondo la giurisprudenza, la competenza a rogare del Segretario Comunale non comprende l’ipotesi particolare dell’atto costitutivo di società per azioni (Tribunale di Verona, 7 novembre 2001).

L’attività rogatoria del Segretario comunale, può essere considerata una funzione pubblica

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Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

necessari due presupposti perché il Segretario possa procedere al rogito di un atto. Il primo è che il Comune sia parte. Pertanto, il Segretario comunale può ricevere unicamente gli atti negoziali di cui il Comune è parte; ovvero il requisito esclusivo è la presenza del Comune, non la tipologia del contratto, per cui la natura rogatoria del Segretario comunale non si può assoggettare ad alcun vincolo inerente la natura pubblica o privata dell’atto funzionale al contratto. Il secondo presupposto indefettibile è che sussista l’interesse del Comune; e sotto questo aspetto non si fa riferimento ad atti aventi uno specifico contenuto, ma a tutte le possibilità offerte dall’ordinamento giuridico in materia negoziale.

La competenza per i segretari comunali a stipulare atti negoziali, è stata notevolmente ampliata (rispetto alla disciplina precedente, che la limitava e circoscriveva nel ristretto ambito definito dall’art. 89 della Legge Comunale e Provinciale del 1934) già ad opera dell’art. 17 comma 68 della L. n. 127/1997 (c.d. Bassanini bis), che ha previsto una diffusa competenza per il rogito di tutti i contratti in cui l’ente è parte e ha sancito per la prima volta la previsione della competenza del segretario comunale ad autenticare scritture private.La disposizione legislativa richiamata ha attribuito, pertanto, al Segretario comunale una potestà rogatoria, per così dire ‘generalizzata’, nei confronti di tutti i contratti in cui l’ente sia parte, risultando superato anche il requisito della presenza di un ”esclusivo interesse dell’amministrazione” (attraverso l’eliminazione dell’aggettivo, tipico della precedente statuizione), nel senso che i vantaggi e le utilità che derivano all’ente dalla scrittura privata o dall’atto unilaterale da autenticare possono essere valutati anche in maniera non diretta e non immediata2.

2 In materia si è pronunciata anche la giurisprudenza civile (Tribunale di Potenza, 3 settembre 1997), sostenendo che le nuove disposizioni di legge contenute nella L. 127/1997 introducono un nuovo e più ampio regime di compe-tenza per il segretario comunale, in relazione al quale il medesimo può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte ed autenticare scritture private e gli atti unilaterali che, per disposizione di legge, regolamento o atto amministrativo, debbano essere prodotti in un procedimento di competenza dell’ente stesso.

Il requisito esclusivo è la presenza del Comune

La disposizione legislativa ha attribuito al Segretario comunale una potestà rogatoria

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Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

Pertanto restano senz’altro esclusi dalla competenza dei segretari comunali quegli atti che non producono per l’amministrazione alcuna utilità o vantaggio3; così come le autenticazioni di firme apposte su atti che contengono manifestazioni di volontà di carattere “negoziale” intercorrenti fra privati ed inerenti a rapporti privatistici e le procure (atti con i quali un soggetto è autorizzato a sostituirsi ad altro nel compimento di un’attività per conto di quest’ultimo)4.

Dunque la legge Bassanini ha capovolto del tutto il meccanismo che giustifica la competenza di rogito del segretario comunale: è ora sufficiente che il Comune sia parte del negozio, perché quest’ultimo possa essere rogato dal segretario comunale. La comparizione del Comune come parte è una circostanza sufficiente a rendere operativa la competenza di rogito del segretario.Riguardo, invece, alla competenza del Segretario comunale ad autenticare scritture private, non potrebbe affermarsi che il segretario comunale sia competente ad autenticare scritture private di contenuto negoziale, ove tutte le parti siano estranee all’amministrazione comunale, perché se il Comune non è parte dell’atto appare difficile giustificare una competenza del segretario comunale, che è tutta fondata sul fatto che il segretario comunale riceve atti che coinvolgano l’ente locale cui egli appartiene5.In definitiva, la nuova normativa andrebbe interpretata così: se il segretario comunale roga un atto pubblico,oppure autentica un negozio bilaterale redatto per scrittura privata, il Comune deve essere parte dell’atto; soltanto se la scrittura privata contenga un negozio unilaterale proveniente da terzi il segretario comunale può autenticarne la sottoscrizione, ma soltanto se

Nello stesso senso vedi “Parere espresso da Servizio affari istituzionali e locali, polizia locale e sicurezza – Sistema delle autonomie locali – Regione autonoma FVG – del 29/7/2011.

3 Vedi anche parere Regione Piemonte n. 151/2009.

4 Anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con la risoluzione protocollo n. 1764/00/UL/c150, in data 1° feb-braio 2000, ha stabilito che i segretari comunali “non possono intervenire quali ufficiali roganti di contratti o atti di natura negoziale tra soggetti privati”.

5 In tal senso vedi anche lo studio n. 1762 approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato in data 23 settembre 1997.

Esclusione degli atti che non producono alcuna utilità o vantaggio per l’amministrazione

Se il Comune non è parte dell’atto appare difficile giustificare una competenza del segretario comunale

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la scrittura costituisce un meccanismo d’impegno negoziale nei confronti del Comune (e non può assolutamente essere bilaterale). Ciò detto, l’attività rogatoria implica certamente per il Segretario Comunale l’assunzione di responsabilità in caso di errori od omissioni, che può comportare una responsabilità di tipo contrattuale come quella del Notaio. Va specificato, però, che non è semplice dare una definizione specifica delle responsabilità dell’ufficiale rogante quando il rogito dell’atto sia fatto dal segretario comunale, dato che per il notaio sono l’ordine professionale e la normativa a dettare una disciplina con delle regole più precise.

Nello svolgimento dell’attività rogatoria il segretario può incorrere in diversi tipi di responsabilità.Innanzitutto la responsabilità del Segretario comunale è prettamente di tipo contrattuale (come quella del Notaio). Del resto l’attività rogatoria del Segretario potrebbe inquadrarsi come una obbligazione di risultato, poiché l’oggetto dell’obbligazione non è costituito soltanto dall’attività di assistenza alle parti, ma anche dal risultato che le parti vogliono raggiungere in base a tale attività6. Quindi l’adempimento coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito dalle parti nella causa dell’atto; e questo tipo di responsabilità sarebbe strettamente connessa con la responsabilità contrattuale per violazione del dovere specifico di prestare la propria attività rogatoria, che si avrà qualora il segretario sia incorso in una violazione alle norme procedurali che comportano la nullità dell’atto7. Invece, non si riflettono sulla validità dell’atto le violazioni di altre norme sulla forma che si traducono in mere irregolarità e che vengono sanzionate disciplinarmente8. L’art. 58 comma 2 della legge notarile, infatti, prevede che “fuori di questi

6 Cassazione civile, sez. III, 29/8/1987, n. 127 : “l’ufficiale rogante per colpa dell’adempimento delle sue funzioni ha, nei confronti delle parti, natura esclusivamente contrattuale … sicchè la sua opera non può ridursi a quella di un passivo registratore delle dichiarazioni altrui, ma deve estendersi ad una attività preparatoria adeguata”.Gli obblighi del segretario derivanti dal rogito dell’atto non si limitano, dunque, alla mera stesura dell’atto, “ma abbracciano anche quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto. Deriva, da quanto precede, pertanto, che l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera profes-sionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda … sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico” (Cassazione civile, sez. III, 23/10/2002, n. 14934).

7 Analogamente a quanto stabilito per gli atti notarili, è colpito da nullità l’atto stipulato in forma pubblica dal segretario comunale in alcune ipotesi tassative, tra cui: quando l’atto sia ricevuto oltre i confini del Comune nel quale presta servizio (violazione della competenza territoriale); se carente dell’indicazione del Comune in cui l’atto è stipulato; se non fu data lettura dell’atto alle parti. Pertanto la sanzione della nullità di cui all’art. 58 della Legge Notarile è applicabile agli atti rogati dai segretari comunali limitatamente ai numeri 4, 5 e 6, che contemplano le violazioni immediatamente rilevabili da una semplice lettura del documento.

8 Vedi Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 3593, “Formalità degli atti rogati dai segretari comunali”, appro-vato dalla Commissione Studi Civilistici il 24 settembre 2002.

Non è semplice dare una definizione specifica delle responsabilità ell’ufficiale r o g a n t e / s e g r e t a r i o comunale

L’attività rogatoria del Segretario può inquadrarsi come una obbligazione di risultato

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Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

casi l’atto notarile non è nullo, ma il notaio che contravviene alle disposizioni della legge va soggetto alla pene dalla medesima sancite”. Pertanto, volendo ricostruire il rapporto tra la responsabilità del segretario e la legge notarile, si può affermare che il segretario nell’attività rogatoria è soggetto alla disciplina della legge notarile per quanto riguarda le funzioni tipiche e formali che investono il Notaio nella solennità della forma; mentre non potranno applicarsi le sanzioni disciplinari che colpiscono i notai nell’esercizio della professione.In capo al Segretario comunale sussiste anche una responsabilità extracontrattuale per la violazione del dovere generico di non ledere la sfera giuridica altrui, per la mancata assistenza alla realizzazione dello scopo voluto dalle parti. Si verifica nel caso in cui si dimostri il fatto materiale della mancata assistenza, in relazione alla inefficacia dell’atto. Tuttavia, questa responsabilità viene attenuata per l’attività rogatoria del segretario comunale, in quanto lo stesso, pur essendo obbligatoria la funzione rogatoria, risponde del risultato solo per dolo o colpa grave, facendo rientrare tale prestazione esclusivamente in una obbligazione di mezzi. Il segretario è tenuto a prestare l’attività rogatoria; ma, poiché tale prestazione rientra tra i compiti dell’ufficio, viene attratta nella più generale responsabilità per colpa prevista dalla disciplina del pubblico dipendente. In altri termini, poiché il segretario nell’esercizio di questa attribuzione non esercita una funzione libera, ma adempie ad un dovere d’ufficio (peraltro avvalendosi del personale e dell’organizzazione che il Comune gli mette a disposizione), allora risponde secondo la disciplina prevista per gli impiegati dello Stato, che è meno gravosa.Invece, non vi sarà responsabilità del Segretario “qualora l’atto venga annullato per cause sopraggiunte o inerenti il procedimento di gara alla base del contratto, per la presenza di un vizio inerente il procedimento di scelta del contraente o, semplicemente, la determinazione a contrattare, ove in una fase successiva al contratto rogato, viene dichiarato l’annullamento dell’aggiudicazione … con la conseguenza di travolgere l’intero procedimento, compresa la stipulazione dell’atto” (Consiglio di Stato, sez. V, 18/11/2002, sentenza n. 6389).Infine, la responsabilità penale del segretario viene in rilievo nel caso in cui lo stesso attesti falsamente che un fatto è stato compiuto o è avvenuto alla sua presenza; ovvero attesti come ricevute dichiarazioni non rese, oppure ometta o alteri dichiarazioni ricevute.Ad ogni modo, a fronte di tali responsabilità, rogare o autenticare gli atti comprende tutta una serie di attività che rappresentano una voce del trattamento economico aggiuntiva del segretario pubblico ufficiale rogante (o autenticante). Si fa riferimento ai diritti di rogito, attualmente oggetto di una vera e propria querelle giuridica tra Tribunale del lavoro e Corte dei Conti, a seguito del D.L. n. 90/2014. L’art. 10 di tale decreto, infatti, ha abrogato il quarto comma dell’art. 41 della L. n. 312 del 1980, norma che attribuiva al segretario comunale una quota (fino ad un massimo di un terzo dello stipendio in godimento) dei diritti di rogito riscossi secondo le misure fissate dalla Tabella allegata alla L. n. 604/1962. In sede di conversione del decreto legge, il Parlamento ne ha modificato in parte i contenuti, aggiungendo il comma 2bis all’art. 10, che dispone: “Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973 n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento”. Il Parlamento, dunque, in sede di conversione, ha reintrodotto la possibilità di percepire i diritti di rogito, abbassando la misura massima percepibile nel corso dell’anno e stabilendo che possano percepirli solamente i segretari nei Comuni privi di dirigente e comunque tutti i segretari che non hanno qualifica

una responsabilità extracontrattuale per la violazione del dovere generico

la disciplina prevista per gli impiegati dello Stato

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Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

dirigenziale (cioè quelli inquadrati nella fascia C).9 La disposizione, dopo contrasti tra le varie sezioni di controllo della Corte dei Conti, è stata interpretata dalla sezione autonomie della Corte dei Conti (con delibera n. 21/2015), nel senso che tali compensi possono essere erogati soltanto ai segretari di fascia C, che non sono dirigenti, e non anche ai segretari di fascia A e B (che sono inquadrati come dirigenti), anche se questi ultimi si trovano in comuni in cui non vi sono i dirigenti.

La consolidata giurisprudenza del Tribunale del Lavoro si è costantemente discostata10 da tale interpretazione della Corte dei Conti 11(ad eccezione del Tribunale di Bergamo, che, con sentenza n. 817 del 2016 ha dichiarato che i diritti di rogito in forma pubblica amministrativa dei contratti sono da liquidarsi esclusivamente ai segretari appartenenti alla fascia C, in quanto “non dirigenti”); e, ad oggi, sono prevalenti le pronunce del Giudice del Lavoro che attestano il diritto dei segretari delle fasce A e B di percepire i diritti.Alla luce di tutto ciò, è auspicabile un intervento del legislatore che fornisca una interpretazione chiara della normativa. Nel frattempo, le alternative sarebbero due: pagare i diritti di rogito anche ai segretari di fascia A e B, con impegno da parte degli stessi di restituirli qualora intervenga una nuova interpretazione/normativa; oppure accantonare tali diritti in un fondo, in attesa di una soluzione normativa definitiva. Proprio in quanto ufficiale rogante del Comune, cioè funzionario dell’ente locale competente alla stipulazione dei contratti in alternativa al notaio, il segretario comunale non esaurisce la propria attività in questo campo con rogiti e autentiche; bensì è anche responsabile di una serie di adempimenti, tra cui: la richiesta di registrazione degli atti, la liquidazione delle relative

9 Tale norma ha l’intenzione di” tutelare i segretari comunali operanti nei comuni medio – piccoli, nei quali non sono presenti dipendenti con qualifica dirigenziale, riconoscendo loro i diritti di rogito “(Prima Commissione permanente della Camera di Deputati durante i lavori preparatori dell’emendamento al D.L. n. 90/2014, che avrebbe aggiunto il comma 2-bis)

10 Nonostante l’art. 6 comma 4 del D.L. n. 174/2012 imponga alle sezioni regionali della Corte dei Conti di confor-marsi agli indirizzi interpretativi della sezione delle Autonomie

11 Da ultimo, il Tribunale di Verona ha riconosciuto il diritto di percepire tali proventi anche ai segretari delle fasce A e B impiegati in enti privi di personale della qualifica dirigenziale (sent. N. 23 del 26/1/2017)

i diritti di rogito in forma pubblica amministrativa dei contratti sono da liquidarsi esclusivamente ai segretari

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Il segretario comunale nella sua veste di ufficiale rogante. Funzioni e responsabilità

imposte e la tenuta dei repertori.Ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del DPR 26 aprile 1986, n. 131, infatti, sono obbligati a richiedere la registrazione, tra gli altri, “b) i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati”.L’articolo 57 del medesimo DPR dispone, in ordine al pagamento dell’imposta, che “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati …. le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 …”.Nell’ambito del Testo Unico dell’Imposta di registro, quindi, il segretario comunale, in qualità di pubblico ufficiale, è obbligato a chiedere la registrazione degli atti che ha redatto, ricevuto o autenticato ed è configurato dal legislatore quale «responsabile d’imposta», ossia risponde del pagamento del tributo insieme agli altri soggetti obbligati individuati dalla norma, fermo restando il riconoscimento del diritto di rivalsa per l’intera somma pagata.L’obbligo al pagamento del tributo viene posto a carico del Segretario nella sua qualità di responsabile d’imposta e “tale veste implica l’affiancamento della responsabilità del notaio a quella dei soggetti contraenti nella loro veste di contribuenti effettivi (obbligato «insieme con altri»), ma la solidarietà passiva che viene in tal modo a costituirsi muove da una relazione che non è paritetica, ma secondaria o dipendente rispetto a quella delle parti contraenti, tale da consentire al notaio di esercitare nei confronti di queste ultime la rivalsa per l’intero ammontare di quanto pagato…” (Corte di Cassazione, sentenza cit. n. 12755 del 2016)12. La disciplina del repertorio per quanto riguarda il Segretario comunale si trova negli artt. 67, 68 e 73 del D.P.R. n. 131/1986, che prevedono che “tutti i soggetti indicati nell’art. 10, lett. c (i Segretari) devono iscrivere in un apposito repertorio tutti gli atti del loro ufficio soggetti a registrazione in termine fisso. Dunque il segretario comunale deve tenere un repertorio relativo agli atti che riceve e alle scritture private di cui autentica la sottoscrizione; e dalla lettura degli artt. 61 e 62 della legge notarile si evince chiaramente che sul repertorio vanno annotati solo gli atti nei quali interviene il segretario comunale in qualità di ufficiale rogante o autenticante. In diversi enti vige comunque la consuetudine di inserire nel repertorio anche le scritture private non autenticate, allo scopo di archiviare correttamente i contratti stipulati e dare certezza dell’acquisizione del documento (ovvero a fini puramente archivistici).Ai sensi dell’art. 68 del D.P.R. n. 131/1986, infine, il Segretario è tenuto a presentare il repertorio entro il mese successivo a ciascun quadrimestre all’Agenzia delle Entrate, per il controllo della regolarità della tenuta del repertorio e della registrazione degli atti in esso iscritti. Infatti, l’art. 73 dello stesso decreto prevede sanzioni amministrative specifiche a carico del pubblico ufficiale in caso di omessa o irregolare tenuta o presentazione del repertorio.

12 La responsabilità del pubblico ufficiale per il pagamento dell’imposta principale, in altri termini, trova fondamento in una fattispecie ulteriore e diversa da quella tipicamente impositiva, propria dei contraenti, ossia “nel ruolo di garanzia a lui assegnato ex lege nel rafforzamento della pretesa dell’amministrazione finanziaria e della sua sa-tisfattività”. L’obbligazione tributaria, invece, “si costituisce tra l’Amministrazione e i soggetti cui si ricollega, per relazione di imputazione, il presupposto impositivo, quale manifestazione di capacità contributiva. Nel tributo di registro, dato che l’atto soggetto a registrazione sottintende una ricchezza colta nel momento della sua circolazio-ne, soggetti passivi dell’imposta, in senso stretto, sono dunque le parti contraenti” (Corte di Cassazione, sentenza 21 novembre 2002, n. 16390).

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201787

a cura di Stefano Usai

Focus sul procedimento amministrativo

Tra norme, prassi operativa e giurisprudenza

Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio

di Stato

Il Consiglio di Stato, la commissione speciale, con il parere del 22 marzo 2017 n. 782 si è infine pronunciato sul contenuto del decreto correttivo al codice degli appalti che interviene a pochi mesi di distanza dalla sua entrata in vigore apportando anche radicali modifiche di intensità tale da coinvolgere finanche le linee guida ANAC, nel frattempo adottate per “semplificarne” e/o illuminarne gli aspetti di dettaglio applicativo.

Uno dei momenti di particolare interesse, anche sotto il profilo applicativo, coinvolge la riscrittura – contenuta nel testo del decreto correttivo - del soccorso istruttorio integrativo e, in particolare, come ampiamente noto, la sostanziale modifica prevista con l’eliminazione della sanzione pecuniaria.

E’ interessante, però, annotare le riflessioni espresse dalla commissione speciale sia in fase di parere n. 855/2016 sullo schema di decreto – parere che tanto ha influito, a ben vedere, anche sulla redazione del comma 9 dell’articolo 83 del codice che, come noto, disciplina il soccorso istruttorio (per il momento ancora) a pagamento – sia nel più recente parere del 22 marzo espresso sul decreto correttivo e quindi, per ciò che interessa ai fini della presente riflessione, le considerazioni espresse dal Collegio sulla prevista eliminazione della sanzione.

Tale confronto ha pregio anche per fare emergere una sostanziale differente presa di

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201788

Stefano Usai

Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio di Stato

posizione nel parere più recente sia rispetto al pregresso parere ma anche in relazione a tanta giurisprudenza.

Il parere sullo schema di codice degli appalti

Nell’esame del comma 9 dell’articolo 83 del codice, la commissione con il parere n. 855/2016 si soffermava – oltre che sul testo – proprio sulla questione della ribadita sanzione pecuniaria prevista nei confronti dell’appaltatore incorso in irregolarità essenziale sanabile che, solo con il nuovo codice, valutava opportuno integrare le dichiarazioni come da richiesta del RUP.

Nel parere, in particolare, si legge che “il comma in esame (il quale peraltro riprende in massima parte il contenuto del d.lgs. 163 del 2006, art. 38 co. 2-bis in tema di c.d. ‘soccorso istruttorio a pagamento’) appare di dubbia conformità con la previsione delle legge delega, che prevede forme di “integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento formale della domanda” (lettera z), .”

Per proseguire con la puntualizzazione che “al di là della condivisibilità o meno di questa scelta del legislatore (che sembra eliminare un deterrente indubbiamente responsabilizzante per le imprese) non si può riproporre il meccanismo del c.d. ‘soccorso istruttorio a pagamento’ di cui all’attuale art. 38, co. 2-bis dell’abrogando codice”.

Non a caso, il giudice di Palazzo Spada proponeva un proprio testo per riformulare il soccorso integrativo – solo in parte ripreso dal legislatore – secondo cui ““Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, con esclusione di quelle incidenti sulle valutazioni del merito dell’offerta economica e di quella tecnica, possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. La stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano resi, integrati o regolarizzati i documenti e le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, o di inadeguatezza delle integrazioni presentate, il concorrente è escluso dalla gara.”

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Stefano Usai

Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio di Stato

Pertanto, abbastanza chiara pareva l’indicazione del Consiglio di Stato circa la non “sopravvivenza” della sanzione, circa la sua non necessità.

Il suggerimento, come noto, non è stato ascoltato dal legislatore che con il comma 9 ha ribadito la sanzione pecuniaria da pagare solamente nel caso in cui l’appaltatore, chiamato ad integrare, accetti la proposta di correzione.

Già questo aspetto, e lo si è sottolineato molte volte, ovvero quello di rimettere all’appaltatore le sorti, non solo rispetto alla propria permanenza in gara ma addirittura della possibilità di condizionarne potenzialmente l’andamento, appariva (ed appare) di per se abbastanza discutibile.

Ed appare davvero inutile poi, rammentare in quante occasioni – è sufficiente anche una sommaria indagine sulla recente giurisprudenza – la sanzione venga messa in discussione dagli appaltatori che la subiscono.

L’estensore del decreto correttivo, pertanto, non è rimasto inerte alle riflessioni della commissione speciale epressasi sullo schema di codice degli appalti, tant’è che l’ultima versione della norma (attualmente alla Camera dei Deputati) non prevede più la sanzione pecuniaria ed il testo previsto appare non molto dissimile da quello suggerito nel parere 855/2016.

In sostanza, alla prima occasione utile il legislatore ha deciso di abrogare la sanzione pecuniaria.

Il recente parere sul decreto correttivo n. 782/2016

La questione sembrava definitivamente chiusa rispetto alla possibilità di ripristinare un soccorso integrativo oneroso ma nel recente parere del 22 marzo l’impostazione sembra ancora cambiare e la commissione, chiamata ad analizzare il testo del decreto correttivo, esprime nuove considerazioni lasciando palesare addirittura una sorta di opportunità della sopravvivenza della sanzione.

In merito a quanto, dopo avere affermato che “quanto all’eliminazione del soccorso istruttorio a pagamento, la proposta intende adeguarsi formalmente alla previsione della lett. z) della legge delega, che prevede forme di “integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento formale della domanda”, recependo il suggerimento già formulato dal parere n. 855/2016 di questo Consiglio”, si chiarisce che oggettivamente la modifica risulta conforme con il dettato contenuto nella legge delega ma con delle puntualizzazioni che forse non sono completamente condivisibili.

In particolare, si legge nel parere che “si potrebbe ritenere, a rigore, che la non onerosità riguardi i soli casi di “integrazione documentale” e non anche le ipotesi in cui il soccorso istruttorio miri a sopperire alla totale mancanza di un documento”.

Secondo la Commissione, pertanto, si potrebbe distinguere nell’ambito dell’ampia fattispecie del soccorso integrativo – di per se già abbastanza complicata – l’ipotesi generale della integrazione di elementi/dichiarazioni dalla specifica ipotesi della integrazioni di un documento mancante.

Proseguendo, ed è questo l’aspetto che lascia maggiormente perplessi, è che un ragionevole contributo (come sanzione) tutto sommato non è detto che si “porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea, dal momento che il tema della gratuità od onerosità del soccorso istruttorio non è affrontato esplicitamente della direttive e non ha ancora formato oggetto di pronunce della CGUE e, tanto meno, di procedure di infrazione”.

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201790

Stefano Usai

Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio di Stato

In sostanza, con un mutamento evidente di prospettiva, sembra paventarsi l’idea della necessità di mantenere la sanzione nei limiti di un importo ragionevole che non penalizzi eccessivamente l’appaltatore incorso nella irregolarità.

In una prospettiva generale, prosegue la commissione “occorre considerare che, a fronte dell’ampio perimetro di operatività del soccorso istruttorio, è ragionevole far gravare sul concorrente che

vi ha dato causa, se non una sanzione, quanto meno le spese sostenute dalla stazione appaltante (e in ultima analisi dalla collettività) derivanti dall’aggravio procedimentale e dalla dilatazione dei tempi necessari per realizzare la prescritta integrazione documentale”.

La sanzione (o qualcosa di simile) avrebbe quindi una funzione ristoratrice del tempo lavoro impiegato per far correggere una irregolarità che altrimenti – con una più accorta attenzione – l’appaltatore non avrebbe dovuto commettere.

Per giungere poi ad affermare che “l’eliminazione delle sanzioni per il soccorso istruttorio priva il sistema dell’unico strumento di deterrenza, e potrebbe implicare il generalizzarsi di comportamenti

poco virtuosi degli operatori, di disattenzione o di negligenza, con il rischio concreto di un ulteriore allungamento delle procedure”.

Una sorta di danno da ritardato procedimento “al contrario” ovvero piuttosto che a danno della PA per l’ingiusto ritardo provocato al cittadino, a danno dell’appaltatore per la perdita di tempo procurata alla PA ed ai soggetti partecipanti all’appalto (e in fin dei conti degli utenti finali, almeno in certi casi, si pensi a certi appalti di servizi alla persona e similari).

Ma sul punto, considerate le implicanze, la commissione ritiene che “a tal fine è necessario e quanto mai auspicabile un intervento legislativo primario, non sembrandovi essere adeguato spazio nell’ambito dell’esercizio della delega. Allo stato, e nelle more di un intervento

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201791

Stefano Usai

Il soccorso istruttorio integrativo nei pareri del Consiglio di Stato

legislativo, una possibile soluzione a diritto vigente potrebbe essere quella di considerare la non necessità di ricorso alla procedura di soccorso istruttorio un indizio della virtuosità dell’impresa, e dunque un elemento valutabile ai fini del rating di impresa. In tal senso potrebbe essere implementato l’art. 83, comma 10”.

In sostanza, in questa ulteriore riflessione il presentare una domanda corretta e completa di tutti gli elementi e dichiarazioni potrebbe diventare un elemento di virtuosità dell’impresa che non aggrava il procedimento di gara e non fa “aumentare” i costi della maggior procedura determinati da un maggior numero di ore lavoro e conseguenti atti ulteriori.

Le considerazioni espresse sono di indubbio pregio ma appaiono quanto meno tardive rispetto ad una impostazione – del nuovo soccorso istruttorio – praticamente improntata sulla esigenza di eliminare la sanzione pecuniaria quale fonte di ulteriori contenziosi ed in ogni caso già assunta dal legislatore con la legge delega n. 11/2016.

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201792

Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenzialidi Antonella Morgillo

Motivi aggiunti nel rito appalti e rito applicabile in caso di cumulo di domande di annullamento ex commi 6 e 6 bis dell’art. 120 c.p.a.

Con l’introduzione del rito super speciale di cui all’art. 120, comma 6 bis, c.p.a, introdotto, come è noto dall’art. 220 del nuovo codice appalti di cui al D.lgs. n. 50/2016, in materia di impugnazione immediata delle esclusioni e ammissioni dalla gara degli operatori economici , una delle prime questioni che si è posta nella prassi giurisprudenziale attiene al problema dell’ammissibilità di impugnare con motivi aggiunti il provvedimento di aggiudicazione della gara ed il rito da seguire.

Di questa questione se ne è occupato di recente il Tar Napoli, sez. VIII, 19 gennaio 2017, n. 434 e negli stessi termini Tar Bari, sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367.

Ha chiarito il Tar Napoli che” Il comma 7 dell’art. 120 c.p.a., secondo cui “ad eccezione dei casi previsti dal comma 2 bis, i nuovi atti attinenti la stessa procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti”, deve essere interpretato nel senso di riconoscere alla parte ricorrente, nel caso in cui seguito della proposizione del ricorso avverso un provvedimento previsto dal comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a. sopraggiunga l’aggiudicazione della gara, la facoltà - e non l’obbligo - di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto all’introduzione del non ancora definito giudizio ex art. 120, comma 6 bis, c.p.a., senza in assoluto escludere né la possibilità di un’impugnativa congiunta né la proposizione successiva di motivi aggiunti”.

In presenza di domande di annullamento di provvedimenti afferenti la medesima materia “appalti”, assoggettate a riti caratterizzati da un diverso grado di specialità (commi 6 e 6 bis dell’art. 120 c.p.a.) si applica all’intera controversia il rito disciplinato dal comma 6 e non quello “superaccelerato” introdotto dal successivo comma 6 bis .

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201793

Antonella Morgillo

Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenziali

Allo stesso modo il Tar Bari ha aggiunto che “Ove la successione temporale degli atti della procedura di gara pubblica lo consenta è ammissibile l’impugnativa congiunta ovvero con motivi aggiunti dei provvedimenti di ammissione e di aggiudicazione definitiva.

In presenza di domande di annullamento di provvedimenti afferenti la medesima materia “appalti”, assoggettate a riti caratterizzati da un diverso grado di specialità (commi 6 e 6 bis dell’art. 120 c.p.a.) si applica all’intera controversia il rito disciplinato dal comma 6 e non quello “superaccelerato” introdotto dal successivo comma 6 bis.

Nel caso deciso Tar Campania con la pronuncia in epigrafe è stata sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, formulato avverso l’aggiudicazione definitiva della gara, e conseguente improcedibilità del ricorso principale.

L’eccezione si era incentrata sulla circostanza che il ricorso introduttivo è riconducibile alla disciplina codicistica prevista dall’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., essendo stato impugnato un “... provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa ...”.

Secondo il ricorrente “per queste ipotesi il comma 6 bis dell’art. 120 c.p.a. delinea un rito “superspeciale”, che va celebrato in Camera di Consiglio entro 60 giorni dalla notifica del ricorso, rendendolo applicabile esclusivamente ai casi di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara in ragione del possesso (o mancato) dei requisiti di ordine generale e di qualificazione per essa previsti e non per l’impugnazione del successivo provvedimento di aggiudicazione della gara.”

Quest’ultimo provvedimento rimarrebbe soggetto all’ “ordinario” rito speciale degli appalti disciplinato dal comma 6 del medesimo art. 120 c.p.a..

Alla luce di tale tesi quindi l’atto di aggiudicazione della gara doveva quindi essere impugnato con autonomo ricorso e non nell’ambito del rito super accelerato di cui all’indicato comma 6 bis, e ciò anche per l’espresso dettato del comma 7 dell’art. 120 c.p.a., ai sensi del quale ” Ad eccezione dei casi previsti al comma 2-bis, i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti”.

Si ritiene, in sostanza, che la volontà legislativa sottesa alla predetta disciplina è quella di precludere ogni possibilità di ampliamento del thema decidendum del giudizio a seguito dell’impugnazione del sopravvenuto provvedimento conclusivo della procedura di gara, in

è ammissibile l’impugnativa congiunta ovvero con motivi aggiunti dei provvedimenti di ammissione

va celebrato in Camera di Consiglio entro 60 giorni dalla notifica del ricorso

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201794

Antonella Morgillo

Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenziali

quanto afferente ad un diverso segmento procedimentale e assoggettato processualmente ad un differente rito.

Ritiene il Tar che tale lettura del dato normativo non appare corretta…. “ la previsione di un rito super accelerato per l’impugnativa dei provvedimenti di esclusione o ammissione è evidentemente volta, nella sua ratio legis, a consentire la definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione; ovverosia, in sostanza, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione” ( così parere Consiglio di Stato 1 aprile 2016, n. 855/2016 e i primi commentatori riportati nel precedente articolo riportato nel n. 2 della Rivista ).

Precludere l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione con motivi aggiunti, si afferma, appare del tutto contrario ai principi di economia e concentrazione processuale

Allo stesso modo sostenere che il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto debba necessariamente essere impugnato con ricorso autonomo e che le due impugnative non possano confluire in un unico giudizio, porta ad un possibile contrasto di giudicati.

A tal fine il Tar richiama, altresì, il principio generale della cumulabilità delle azioni connesse soggette a riti diversi di cui all’art. 32, comma 1 c.p.a., a mente del quale “È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV”.

Nella stessa direzione sostanziale si richiama l’art. 43 c.p.a. il quale prevede il principio, anch’esso generale, della proponibilità dei motivi aggiunti per l’impugnativa dei nuovi atti connessi con quelli del giudizio già in corso, contemplando altresì che, se la domanda nuova è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi.

Il principio di cumulabilità delle azioni è volto a garantire l’unitarietà del giudizio, in coerenza con il principio di effettività e completezza della tutela giurisdizionale, assicurando la valutazione complessiva della vicenda sostanziale portata all’attenzione del giudice.

Tale principio viene talmente valorizzato nell’ambito del diritto processuale amministrativo sino, ad esempio, ad ammettere la cumulabilità di due azioni ontologicamente diverse e assoggettate a due riti ben distinti quali quella di esecuzione del giudicato (azione di giurisdizione di merito, di natura prevalentemente esecutiva e soggetta a un rito abbreviato) e quella di legittimità (assoggetta al rito ordinario). Per gli atti posti in essere dalla P.A. successivamente al giudicato viene, infatti, ammesso che l’azione per far valere l’illegittimità di tali atti venga cumulata con quella volta a far valere la violazione del giudicato e alla sua esecuzione (Cons. Stato, Ad. Plen. 15 gennaio 2013, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2015, n. 1806 e 1808; Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2015, n. 854).

Tale esigenza di unitarietà non può non trovare applicazione anche in materia di impugnativa delle procedure di gara, per provvedimenti, in stretta connessione tra loro, anzi uno condizionante l’altro, come l’esclusione o l’ammissione di concorrenti e l’aggiudicazione definitiva.

il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto debba necessariamente essere impugnato con ricorso autonomo

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201795

Antonella Morgillo

Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenziali

Tenendo conto di ciò, il Tar Campania ritiene che il comma 7 dell’art. 120 c.p.a. debba essere interpretato nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l’obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto all’introduzione del non ancora definito giudizio ex art. 120, comma 6 bis, c.p.a., senza in assoluto escludere né la possibilità di un’impugnativa congiunta, né la proposizione successiva di motivi aggiunti.

“Rito applicabile”

In presenza di impugnative di atti inerenti alla medesima procedura di gara di appalto ma assoggettate a riti con un diverso grado di specialità, il T.A.R Campania tiene di poter richiamare la soluzione adottata dal recente T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367 sopra riportata.

Si deve desumere, in base al richiamato art. 32 c.p.a., l’esistenza di un principio di prevalenza del rito che si presti a fornire maggiori garanzie per tutte le parti coinvolte nell’unica vicenda processuale, in ragione della necessità di individuare tra più discipline confliggenti quella che fissi regole e termini processuali in grado di offrire una maggiore salvaguardia del diritto di difesa.

Tale rito deve individuarsi in quello disciplinato dal comma 6 dell’art. 120 c.p.a., che ormai in maniera consolidata e “ordinariamente” si applica all’impugnativa di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture, tanto da prevalere anche sul rito ordinario (come ad es. in caso di proposizione congiunta di domanda di annullamento di atti della procedura e domanda risarcitoria).

provvedimenti concernenti le procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture

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MANAGEMENT LOCALE Anno V • numero 03 • Marzo 201796

Antonella Morgillo

Il rito degli appalti: le prime pronunce giurisprudenziali

Il Tar rileva che, pur qualora si volesse ritenere che il rito super accelerato, ex comma 6 bis dell’art. 120 c.p.a., non consenta l’impugnativa con motivi aggiunti del provvedimento di aggiudicazione, in ogni caso il formulato ricorso per motivi aggiunti non potrebbe essere dichiarato inammissibile, esistendo tutti i presupposti formali e sostanziali per la sua conversione come ricorso autonomo, in applicazione di quanto disposto dall’art. 32, co. 2, c.p.a.

“Ai sensi di quest’ultima disposizione il giudice qualifica l’azione in base ai suoi elementi sostanziali, al di là della qualificazione formale data dalla parte, e può disporne la conversione qualora ne ricorrano i presupposti formali e sostanziali. Ciò in conformità al principio generale dello iura novit curia che consente al giudice di qualificare l’azione sulla base del reale contenuto della domanda, senza fermarsi al nomen iuris utilizzato dalla parte. Nel caso di specie non si vedrebbero ostacoli, in considerazione del principio di conservazione degli atti processuali, alla “riqualificazione” della domanda da parte del giudice, con conversione del ricorso per motivi aggiunti in ricorso autonomo.”

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ASSOCIAZIONESERVIZI FINANZIARIENTI LOCALI

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