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Il futuro dei libri Terzo Seminario Roma, 22 gennaio 2016 Senato della Repubblica Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” Il libro digitale

Il futuro dei libri - senato.it · Il tema, più specifico, di questo ... piacere alla vista quando ci si trova, talvolta, a sostare di fronte alla propria libreria, ad “accarezzare”

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Il futuro dei libri

Terzo SeminarioRoma, 22 gennaio 2016

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Senatodella Repubblica

Biblioteca del Senato“Giovanni Spadolini”

Il libro digitale

Senatodella Repubblica

Il futuro dei libri

Terzo SeminarioRoma, 22 gennaio 2016

Biblioteca del Senato“Giovanni Spadolini”

Il libro digitale

Il presente volume raccoglie gli attidei 3 seminari “Il futuro dei libri” organizzati dalla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”

La raccolta degli atti e gli aspetti editorialisono stati curati dal Servizio della Biblioteca

© 2017 Senato della Repubblica

Terzo Seminario

Il libro digitale

ROMA, 22 GENNAIO 2016

SALA CAPITOLARE

CHIOSTRO DEL CONVENTO DI SANTA MARIA SOPRA MINERVA

Indirizzo di salutoPIETRO GRASSO

ModeratoreLUCIO ROMANO

Partecipanti

PEPPINO ORTOLEVA

MAURIZIO FERRARIS

GINO RONCAGLIA

MAURIZIO MAGGIANI

FRANCESCO PICCOLO

VINCENZO VITA

Conclusioni

SERGIO ZAVOLI

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IL DIBATTITO

* Gli interventi contrassegnati con l’asterisco nonsono stati rivisti dai relatori.

LUCIO ROMANO. Saluto e ringrazio il Presidente delSenato, Pietro Grasso, che introduce questo terzoseminario sul libro. È un ringraziamento certo nonrituale, ma decisamente avvertito. È riconosciuta emolto apprezzata l’attenzione e la sensibilità delPresidente Grasso per tutte le iniziative che coniuganodimensione culturale e politica.

Rivolgo un saluto ai relatori e a ognuno dei con-venuti, anche a nome del Presidente Sergio Zavoli cheper un imprevisto contrattempo, con suo e nostrogrande rammarico, non ha la possibilità di presiedereil seminario odierno. Un particolare ringraziamento airelatori che hanno immediatamente dato la disponibi-lità a partecipare a questo terzo seminario, il cui titoloè “Il libro digitale”, che rientra nell’ambito di un per-corso promosso dal Presidente Zavoli.

La dimensione culturale e l’approfondimentosulle tematiche più attuali rappresentano sicuramenteuna ricchezza, ancor più per tutti coloro che hannoresponsabilità politiche. Si tratta della dimensione cul-turale pre-politica, della quale tutti abbiamo assoluta-mente bisogno. La Biblioteca e l’Archivio del Senato,presieduti da Sergio Zavoli, stanno svolgendo questa

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funzione con l’obiettivo, appunto, di favorire un dia-logo aperto a tutti: alle scuole, anche oggi significati-vamente rappresentate con una folta partecipazione distudenti e docenti; ai cittadini; ai rappresentanti delleIstituzioni. Insomma, una realtà viva e vivace che siarricchisce in relazioni e sinergie.

Prende la parola il Presidente del Senato che rin-grazio ancora, personalmente e a nome di SergioZavoli e di tutti i convenuti, per la disponibilità e ilrigoroso impegno che contraddistingue la sua attivitàistituzionale. La nostra storia, la quotidianità e ilfuturo richiedono testimoni credibili che sanno ope-rare in un orizzonte di speranze e di efficaci concre-tezze.

PIETRO GRASSO. Gentili ospiti e colleghi, il 23ottobre scorso ho avuto il piacere di aprire il primo deitre seminari dedicati al libro e al futuro del mercatoeditoriale organizzati dalla Biblioteca del Senato. Siintitolava “Il libro e il mercato editoriale: nuove formee nuove strategie”. Il tema, più specifico, di questoterzo appuntamento è invece “Il libro digitale”.

Il merito per questa iniziativa di grande interesseva totalmente ascritto al Presidente della Commissioneper la Biblioteca e l’Archivio storico, senatore SergioZavoli, e colgo l’occasione per formulargli auguri dipronta guarigione non solo miei ma di tutto il Senato.Vederlo entrare mercoledì in Aula è stato davvero un

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bel momento di dimostrazione di alto senso delleIstituzioni.

Il rapporto ISTAT sulla lettura in Italia nel 2015ci fornisce alcuni dati confortanti. Dopo anni in cuiabbiamo assistito a un dato generale sulla lettura incostante diminuzione, all’orizzonte si sta profilandouna schiarita, con una crescita dell’1,7% tra il 2014 eil 2015. In questo ultimo anno 412.000 persone sonotornate a leggere un libro cartaceo, facendo registrareun lieve aumento tra gli affezionati della lettura ‘tra-dizionale’, al di sopra dei 6 anni. Mentre il 14,1% dellepersone che hanno navigato in Internet negli ultimitre mesi, ossia circa 4 milioni e mezzo di italiani, haletto o scaricato libri on-line o ebook.

Non è assolutamente da sottovalutare, inoltre, ilfatto che il 6% di chi dichiara di non avere libri incasa ha letto libri on-line o ebook, il che fa apprezzarele potenzialità del digitale per avvicinare alla letturachi altrimenti non vi accederebbe.

Dati diversi provengono dagli Stati Uniti, dovenel corso dello scorso anno si è registrata una “rivin-cita” della carta sul digitale e delle piccole libreriesulle grandi catene.

Tutti i dati stanno ad indicare che i cambiamentiin corso ci portano non alla prevalenza di una moda-lità di lettura sull’altra, ma a una differenziazionenell’offerta e nelle abitudini. L’ebook sarà probabil-mente preferito in determinati ambiti come, ad esem-

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pio, quelli della formazione, degli studi professionaliecc., che potrebbero trovare grande utilità in una digi-talizzazione dei testi, mentre il libro cartaceo conti-nuerà ad essere acquistato da lettori appassionati ealla ricerca anche dell’editoria di pregio.

L’editoria digitale non comporterà nemmeno ilrischio di estinzione per le librerie se, come giàavviene, sapranno assumere una funzione anchesociale, proponendosi quali centri di cultura sul terri-torio, punti di incontro, di discussione, di formazionedei lettori.

Se, come si evince dal rapporto ISTAT già citato,lettura e partecipazione culturale vanno di pari passo,poiché si è rilevato che fra i lettori di libri le quote dicoloro che coltivano altre attività culturali, praticanosport e navigano in Internet sono regolarmente piùelevate rispetto a quelle dei non lettori, la priorità veraè continuare a impegnarsi nella promozione della let-tura di libri, a prescindere dalla forma, libro cartaceo olibro elettronico.

Se gli utenti, in maggioranza giovani, leggonomeno libri perché privilegiano la lettura di informa-zioni in rete, generalmente disperse e frammentate,non dovremmo limitarci a registrare questa tendenzama accompagnare il cambiamento offrendo loro, nelleforme che essi prediligono, contenuti più complessi estrutturati, culturalmente più validi.

Insomma, ben venga ogni forma ed ogni mezzo

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che possa ampliare il bacino dei lettori di contenuti diqualità. Personalmente, pur avendo un lettore diebook e utilizzando il tablet per la rassegna stampa, lalettura dei giornali e dei documenti di lavoro, non vinascondo che quando leggo “per piacere” trovoancora insostituibile l’oggetto libro. Anche nella suafisicità, nel piacere al contatto mentre lo si legge e nelpiacere alla vista quando ci si trova, talvolta, a sostaredi fronte alla propria libreria, ad “accarezzare” con losguardo quelli che hanno saputo suscitare in noi emo-zioni profonde o profonde riflessioni.

Con questa mia personale considerazione finale,vi auguro buon lavoro.

LUCIO ROMANO. Grazie Presidente Grasso. Oggi abbiamo un programma denso per conte-

nuti e contributi. È un continuum dei seminari del 23ottobre e del 27 novembre. Nel seminario del 23 otto-bre abbiamo trattato del libro e del mercato editoriale,il 27 novembre è stato discusso il rapporto tra libro-televisione-giornali. Il tema del seminario di oggi è illibro digitale, con la partecipazione di illustri relatori.Tratteremo alcuni specifici aspetti: il futuro del librocartaceo di fronte all’espansione del mercato degli e-book; il modo in cui l’evoluzione della forma del libromodifica la lettura e la circolazione dei contenuti; ilrapporto delle diverse forme di lettura con lo sviluppocognitivo di alcune facoltà intellettive e altro ancora.

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Il primo intervento è di Peppino Ortoleva che cioffrirà una relazione introduttiva sul tema del semina-rio di oggi. Peppino Ortoleva si interessa di storia deimedia. È studioso di storia e teoria dei mezzi di comu-nicazione, curatore di mostre, musei e programmiradiofonici. Tra le sue pubblicazioni ricordo Il secolodei media, edito dal Saggiatore, vincitrice del PremioCastiglioncello per la comunicazione nel 2009.

PEPPINO ORTOLEVA. Grazie dell’invito e grazieanche per avermi dato il compito di introdurre i lavori.Cercherò di farlo soffermandomi sostanzialmente sudue temi. Da un lato il libro digitale, anche pensando acome si legge nel mondo digitale, perché il libro digi-tale, come cercherò di illustrare, non è un’entità sepa-rata dal mondo digitale, bensì ne è parte, ed è questouno dei punti fondamentali che bisogna comprendere.Dall’altro, come cambiano le industrie culturali nel-l’epoca digitale e che cosa questo comporta, non tantoper il business, quanto per la lettura dei libri.

Cominciamo con un punto: quasi cinquantaanni fa un grande intellettuale francese, Michel deCerteau, pubblicò un libro in due volumi, L’inventiondu quotidien. Nel primo volume de Certeau parlavadell’attività della lettura dei libri e diceva che nonfunziona come si pensa. Spesso si pensa che noi leg-giamo i libri dall’inizio alla fine, ossia che leggiamoun libro, poi lo finiamo e ne leggiamo un altro, e così

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via. Mentre in realtà quello che veramente facciamo -se pensiamo a come realmente ci rapportiamo conl’oggetto libro - è molto più libero: de Certeau addirit-tura parla di un’attività di bracconage, da bracconieri.Noi spesso quando abbiamo un libro in mano ne leg-giamo qualche riga, poi magari ci distraiamo, poimagari ne leggiamo qualche altra, e così via. È un’at-tività movimentata.

Secondo me de Certeau quando diceva questecose aveva al tempo stesso torto e ragione: avevaragione perché concretamente noi facciamo così,molto spesso abbiamo tre libri aperti sulla nostra scri-vania, ne leggiucchiamo uno poi un altro ecc. Però,per esempio, pensiamo a quando leggiamo un librodove c’è una lunga descrizione noiosa che decidiamodi saltare. Che cosa succede? Proviamo un senso dicolpa. Pensate a quando abbiamo un giallo un po’lungo e noioso e saltiamo all’ultima pagina per saperechi è l’assassino: senso di colpa raddoppiato. Perché?Perché, in realtà, aveva ragione de Certeau a dire chenoi leggiamo i libri in modo più libero di quanto sipensi, però è anche vero che noi interiorizziamo - e lascuola e l’università sono lì per questo - un modello dilettura che è invece un modello sequenziale, lineare epiuttosto rigido.

Cioè la lettura è un gioco con delle regole. Noiqueste regole non sempre le rispettiamo, possiamoanche violarle, ma sappiamo che un po’ bariamo

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quando non rispettiamo queste regole. La lettura deilibri è legata a un modello, il modello del testo, chenon è un modello assoluto, anzi raramente lo rispet-tiamo in modo letterale, però è un modello ideale chenoi abbiamo interiorizzato.

Che cosa succede nell’universo digitale?Nell’universo digitale quello che dice de Certeau èmolto più vero: è del tutto normale che la lettura siaframmentaria. Noi cerchiamo in un libro dei fram-menti di senso e di comunicazione (adesso parlo menodei romanzi anche se sta succedendo sempre piùanche con i romanzi); ma, per esempio, con i libri dicontenuto scientifico molto spesso andiamo a cercarein quei libri determinate informazioni. Anche perchésiamo molto facilitati in questo.

Se arriviamo a un libro da Google Books, che chilegge libri conosce bene, può darsi che ci siamo arri-vati scrivendo due parole chiave su Google. Un esem-pio che mi è caro perché io amo molto il jazz è“Thelonious Monk” e “improvvisazione”. Il risultato èuna serie di pagine di libri che parlano del pianistaMonk e delle sue tecniche di improvvisazione, ossiache contengono il nome del pianista e la parola“improvvisazione”. Io non mi sento in colpa ad arri-vare alla pagina perché è una delle procedure che larete mi invita ad attivare.

Non solo: l’abitudine a leggere per frammenti èstata interiorizzata anche dalle case editrici; pensiamo,

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ad esempio, al fatto che sempre di più Amazon mette adisposizione i dati che rivelano quali pagine dei libri lepersone leggono con maggior attenzione, quelle su cuipassano più tempo, ovvero le pagine sulle quali invecesi soffermano poco, per poi spostarsi magari da un’al-tra parte perché si stanno annoiando. Non sono cosenuovissime, se ci pensiamo bene: i grandi scrittori diromanzi d’appendice o di romanzi a puntate dell’800sapevano benissimo che si leggeva per frammenti ederano molto attenti a mettere, alla fine della puntata,un momento di suspense - quello che in America chia-mano un cliffhanger - perché la gente venisse indottaa leggere la puntata successiva.

La lettura per frammenti non è dunque una cosacompletamente nuova, però con il libro digitale stadiventando un fatto statisticamente molto strutturatoe concettualmente sempre più tipico del nostro mododi pensare. Non solo: noi magari da un frammento dilibro traiamo una frase che mettiamo su Facebook,oppure siamo indotti ad andare a cercare su Wikipediaun certo nome per vedere chi è una persona citata nellibro. Prima andavamo a vedere la nota a piè dipagina, eventualmente, e se non c’era cercavamonell’Enciclopedia. Adesso tasto: basta un click eandiamo su Wikipedia.

Quindi, la lettura digitale ha meno rigidamenteinteriorizzata la regola sequenziale e integrale deltesto, che invece noi con la lettura analogica avevamo

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interiorizzato: ripeto, poi non la rispettavamo, maquel piccolo, grande senso di colpa era un segno delfatto che quelle regole noi le avevamo dentro. Con lalettura digitale l’accesso al libro non è necessaria-mente a partire dalla pagina 1, ma può essere a partireda altro, perché lo stesso apparecchio attraverso ilquale noi leggiamo il libro digitale - che sia il tablet,che sia il Kindle o anche il computer (l’idea che il librodigitale passi necessariamente attraverso un suo appa-recchio specifico non è vera, nonostante la fortuna delKindle) - favorisce la frammentarietà.

Però se da un lato la lettura è più frammentaria,dall’altra parte è anche più orizzontale, nel senso chenoi da un libro ci muoviamo magari verso altri libri:Amazon per esempio, quando ordiniamo un libro, cisuggerisce subito altri libri che trattano dello stessoargomento e si muove quindi in un’ottica non più disingolo libro, ma di potenziale biblioteca da acqui-stare. È una trovata di marketing, ma una trovata dimarketing molto efficace.

Un’altra situazione ordinaria consiste appuntonel passare dalla pagina del libro a Wikipedia, equindi allargare l’informazione - in senso orizzontale,dunque - e poi procedere verso YouTube, dove magariè disponibile una conferenza dell’autore del libro che anoi interessa ascoltare.

Attenzione: sto dicendo due cose che secondome sono abbastanza significative.

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La prima è che stiamo passando a quella chechiamerei, con una metafora facile, una lettura a geo-metria variabile: c’è il libro, ci sono i frammenti dellibro, c’è l’universo di significati a cui il libro ci con-duce. In parte è sempre stato così. La differenza qualè? È che adesso questa lettura a geometria variabile siè fatta tecnologia. Quando noi leggiamo con GoogleBooks non è semplicemente la mente che fa dei colle-gamenti, abbiamo un apparato tecnico che ci consentedi andare da una pagina a un’altra.

Tutto questo porta a un altro punto. Vi faccio unesempio molto banale che riguarda la mia personaleesperienza. Nei nostri corsi universitari di norma fac-ciamo un’operazione molto semplice: facciamo leg-gere dei libri e chiediamo poi alle persone che li hannoletti di raccontarceli, sempre in parole, sapendo cheloro stanno raccontando un libro ad una persona chesicuramente lo conosce meglio di loro. Un’attività cer-tamente utile dal punto di vista del controllo, maintellettualmente abbastanza frustrante, perchésostanzialmente io so che parlerò a qualcuno che ne sapiù di me. Sono temi sui quali Maria Montessori eJohn Dewey avevano già avuto qualcosa da dire ailoro tempi, però tutto sommato noi abbiamo conti-nuato per tutto il XX secolo e anche per l’inizio delXXI a fare queste operazioni al liceo come all’univer-sità: leggi un libro e lo racconti a qualcuno che loconosce meglio di te, in parole.

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Io ho fatto un semplicissimo esperimento: hochiesto ai miei allievi di primo anno dell’università,organizzati da me in gruppi, totalmente random, dileggere dei libri difficili - parliamo di libri diBenjamin, Winnicott, ecc. - e spiegarli ai loro compa-gni, ma questa volta con un linguaggio a loro scelta.Ho avuto dei risultati sorprendenti perché la granparte di loro ha fatto dei video per raccontare questilibri. I concetti fondamentali dei libri erano presenti,ed evidentemente li avevano capiti perché il gruppoaiutava a capirli, ma il video li aiutava a esprimersi,perché l’audiovisivo è il linguaggio ancora dominantenel nostro tempo, nonostante tutto.

Nel 100% dei casi questi libri venivano spiegatiin maniera fondamentalmente adeguata, perché lapossibilità di fare un lavoro orizzontale sul libro, leg-gerlo, spiegarlo trasformandone però il linguaggio, emagari collegandolo con altri concetti funziona piùefficacemente che non dovere rispiegare lo stesso libroa una persona che lo conosce meglio.

Il punto di fondo è l’opera di traduzione: il libroa geometria variabile è molto spesso un libro tradottoda un linguaggio a un altro, dal linguaggio del testo allinguaggio dell’enciclopedia - e siamo ancora nellascrittura - ma anche dal linguaggio del testo al lin-guaggio del parlato, del video e così via, e ritorno(perché in molti casi si parte da YouTube e si arrivaalla parola scritta). Spero di essere stato chiaro: è un

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esempio che secondo me è molto caratteristico delmondo nel quale stiamo entrando, o forse già siamoentrati e non ce ne siamo accorti assolutamente.

Adesso vorrei farvi vedere come tutto questo sicollega con le affermazioni di Joseph McLaughlin. Nel1980 McLaughlin fece questa mappa che io vi sotto-pongo velocemente nella sua forma originaria, e poivedremo come è cambiata. McLaughlin fece semplice-mente un grafico, un sistema di assi cartesiani: da unlato l’asse verticale che va dal servizio al prodotto;dall’altro l’asse orizzontale che va dal supporto al con-tenuto. Noi possiamo collocare in questa mappa lediverse industrie che forniscono comunicazione.

Alcune industrie forniscono puri supporti, cioècose che servono a comunicare, non contenuti dicomunicazione, ad esempio il televisore, il lettore diDVD, la telecamera. Lo chiameremo settore dell’har-dware (I quadrante), anche se ci sono dentro cose chenon sono hardware, come ad esempio, la carta, i dvdvergini ecc.: diciamo che è il settore degli oggetti cheservono a comunicare. Ci sono anche dei servizi cheservono a comunicare senza occuparsi del contenuto,per esempio le reti telefoniche, così come la posta, ecc.(II quadrante). Servizi invece che erogano contenutisono per esempio la televisione o la radio (III qua-drante). Noi non paghiamo il singolo contenuto, madei servizi che ci danno dei contenuti. A voltepaghiamo il singolo contenuto, con la Pay TV per

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esempio o con la Pay per View, però fondamental-mente paghiamo un servizio. Nel IV quadrante, quellodei prodotti che veicolano dei contenuti abbiamo tipi-camente il libro e l’industria cinematografica, cioè leindustrie che producono dei contenuti che prendonoforma fisica.

Nel caso del libro la cosa è evidente come nelcaso del CD, mentre nel caso del film un po’ meno per-ché noi in realtà quello che paghiamo non è il singolofilm, paghiamo il dvd, oppure l’affitto di una sedia inuna sala che proietta quel film. Sostanzialmente questoè il settore tradizionale del libro, il settore editoriale. Illibro per moltissimi anni è stato in questo settore e c’èstato abbastanza comodamente perché, attraversoquella particolare norma che si chiama copyright, permolti decenni l’editore, ancor più dell’autore, godeva diuna forma di monopolio di Stato sul prodotto.

Che cosa sta succedendo adesso? Adesso la retesta al centro e integra tutte queste industrie, e alloranoi abbiamo una serie di industrie culturali che pun-tano verso il centro, verso il controllo complessivodella rete. Vediamo cosa succede e vediamo come que-sto si ripercuote sul libro.

Partiamo dal libro. Amazon sta chiaramente nelIV quadrante: di tutti i giganti della rete Amazon èquello che più si occupa di prodotti fisici, che possonoessere - anzi all’inizio erano - libri. Adesso sono moltealtre cose, ma fondamentalmente Amazon nasce in

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questo settore come un mega-distributore di libri. Peròtipicamente ad un certo punto Amazon ha sentito ilbisogno di fare qualcosa che toccasse il I quadrante,quello dei supporti, perchè Kindle è un hardware, unprodotto fisico come può esserlo un computer, comepuò esserlo un tablet. Quindi Amazon si è spostata dalfare circolare libri fisici al produrre oggetti utili allalettura elettronica. Naturalmente questo perché pen-sava e pensa tutt’ora che se uno ha Kindle passerà daAmazon per comprare i suoi libri, quindi si va verso ilcentro della rete, ancora una volta.

Il gigante del settore in basso a sinistra è Apple,perché è quello che innova nel campo dell’hardware.Un tempo anche questo settore era molto diviso:c’erano quelli che facevano macchine fotografiche,quelli che facevano computer, quelli che facevanotelecamere, quelli che facevano mangiadischi o wal-kman, ecc. Poi ad un certo punto Apple ha cominciatoad invadere il campo degli altri: a fare telefoni, iPad,quindi strumenti di ascolto, e così via. Come vedete,già in questo campo c’è un rimescolamento grandis-simo, legato al fatto che la rete integra tutte questecose ed è molto più difficile dire “io faccio il mio busi-ness” stando fermo a fare walkman o giochi. Tutti cer-cano di fare molto di più.

Il gigante del III quadrante, quello dei servizi cheveicolano contenuti, è Google. E infatti fa i soldi esat-tamente come la televisione, con la pubblicità. Il

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modello di business, come si dice in gergo, di Google,è quello della televisione. Cioè tu prendi dei contenutida me che te li erogo come servizio, ma al tempostesso io ti vendo alle agenzie pubblicitarie perchéfacciano business sulla tua attenzione ai miei conte-nuti. E infatti Google non a caso si è impossessatodella videoteca del mondo che si chiama YouTube.

Le reti telefoniche, che sono nel II quadrante,sono ancora importantissime perché la connessionealla rete passa da Telecom, o da Vodafone o da Verizonnegli Stati Uniti. Però ci sono alcune aziende chestanno lavorando soprattutto in questo campo: una èSkype per esempio, un’azienda nata in Estonia da duegiovani smanettoni, come si suol dire, e che fornisceun servizio alternativo alla rete telefonica. E non èaffatto un caso che Skype sia stata acquistata daMicrosoft, cioè una delle aziende che puntano al con-trollo complessivo della rete. Ma io metterei in questosettore, sebbene faccia un business molto a metàstrada, anche Facebook. Perché, che cosa fa Facebook?Ci mette in connessione con altre persone. È una spe-cie di elenco telefonico, con un plus: il plus sono lecose che noi scriviamo su Facebook, sono le informa-zioni che diamo ai nostri amici. Lo schema dunqueresta lo stesso, però stanno cambiando molte cose per-ché tutti si muovono in direzione l’uno dell’altro.Infatti Facebook sta facendo il suo Skype, ma ancheGoogle sta facendo il suo Skype; Google ha fatto i

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Google glasses, invadendo il mercato dell’hardwareper avere un suo device in concorrenza con quello diApple, e così via.

Dove sta il libro in tutto questo? Il libro continuaa stare nel IV quadrante, sia il libro cartaceo sia illibro elettronico. Però il libro sta sempre di più anchealtrove, perché Google Books, che citavo prima, stacercando di occupare il mercato del libro partendo dalpunto di forza del motore di ricerca, ossia quello diportarci dritti all’informazione che ci interessa. GoogleBooks agisce sul mercato del libro a partire dallaframmentazione del libro digitale e dalle parolechiave, che sono il suo punto di forza. NaturalmenteApple entra in tutto questo perché ha il suo device,l’iPad, che ha delle app che sono tipicamente legatealla lettura e che ci consentono di costruire la nostrabiblioteca personalizzata. Facebook invece che fa? Fale recensioni personalizzate: cioè, io ho letto un librointeressante, lo segnalo ai miei amici scrivendo “vai aleggerlo per questi e questi motivi”, magari con le frasiche possono interessarli, così come posso fare per unalbergo, un film ecc. La segnalazione diventa un con-siglio personalizzato.

Alla fine, tutto questo quadro ci fa capire unacosa fondamentale: il libro è sempre di meno unoggetto a sé e sempre di più un oggetto a geometriavariabile, ma anche personalizzato e socializzato.Questo significa che noi lo trattiamo sempre di meno

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come testo e sempre di più come esperienza e comerisorsa: come esperienza, aspetto in cui rientra il pia-cere della lettura, compresa la lettura dei romanzi; ecome risorsa, aspetto che riguarda l’uso del testo perfare altro successivamente. In questa nuova industriadel libro vincerà - se qualcuno vincerà - chi strutturameglio il libro dal punto di vista dell’esperienza e dalpunto di vista della risorsa, e non più soltanto dalpunto di vista del testo.

LUCIO ROMANO. L’introduzione di Ortoleva hadelineato i principali temi e le problematicità che ilnostro seminario oggi affronta. In particolare, la com-prensione del libro digitale non come entità separatadal mondo, appunto, digitale e il mutamento delle c.d.industrie culturali.

Seguono, ora, gli interventi degli altri relatori.Iniziamo con il professor Maurizio Ferraris.

Filosofo, ordinario di Filosofia teoretica pressol’Università degli studi di Torino dove dirige il CentroInteruniversitario di ontologia teorica e applicata non-ché il laboratorio di ontologia. Ha ideato e conduce ilprogramma Lo stato dell’arte su RAI 5; infine ha recen-temente pubblicato con Laterza un saggio dal titoloMobilitazione totale, profonda riflessione sul web.

MAURIZIO FERRARIS. Ringrazio anch’io moltissimoper questo invito e cercherò di dare il mio contributo.

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Sono molto riconoscente a Peppino Ortoleva che hagià detto tutto l’essenziale, cosicché ci si può occuparedei frammenti; frammenti che, peraltro, pensando allatradizione filosofica, ci sono sempre stati. In effettiuna lettura frammentaria è quella che, volenti onolenti, facciamo dei presocratici perché ci restanosoltanto dei frammenti e questo ci permette già diimmaginare che cosa succederà con la lettura fram-mentaria delle cose. Se uno pensa che, su due righe deldetto di Anassimandro, Heidegger ha scritto un corsointero, si può immaginare cosa avverrà; quindi, qual-che know how in merito ce lo abbiamo.

Però quello su cui volevo portare l’attenzionerispondendo al quesito che mi viene posto è innanzi-tutto l’imprevisto: ciò di cui stiamo parlando adesso èun fenomeno che era rigorosamente imprevisto anchesolo 50 anni fa. Questo secondo me è un elementoimportantissimo. Porto l’esempio che faccio spesso equindi mi ripeto: nell’astronave di 2001 Odissea nellospazio, il film del 1968, non ci sono computer, c’è uncervellone che parla e le persone usano delle macchineper scrivere; la macchina per scrivere è elettrica per-ché si tratta di un’astronave, però non ha la caratteri-stica fondamentale del computer cioè quello di avereuna memoria, è semplicemente un sistema di scrittura.

Quindi un film di fantascienza nel 1968 non pre-vedeva per il futuro niente di quello che è successo.Invece - e lo dico sempre perché è l’orgoglio della

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categoria - un libro di filosofia dell’anno prima, Dellagrammatologia di Derrida del 1967, diceva innanzi-tutto che non era vero che sarebbe finita la scritturaperché all’epoca c’era molta radio televisione ecc. Ineffetti ci sono state delle epoche in cui le comunica-zioni private delle persone sono scomparse perché lagente telefonava e non usava più le lettere; adessoinvece è un’epoca iper documentata. Da una parte nonè vero che scomparirà la scrittura e dall’altra - e quimi collego alla questione del frammentario - forseavremo la fine del libro, mentre sicuramente avremol’esplosione della scrittura, cioè il fatto che la scritturanon si troverà più localizzata in quel singolo oggettoche è il libro, ma si troverà disseminata dappertutto.

Forse dipende dal fatto che Derrida faceva par-tire queste considerazioni da Husserl, il quale è mortonel 1938 e non aveva visto neanche la televisione,quindi era rimasto immune da tutto. Questa formagigantesca di arcaismo è però risultata particolar-mente lungimirante. L’evento a cui abbiamo assistitonel corso degli ultimi quaranta-cinquanta anni èquello di un’esplosione della scrittura, che significaun’esplosione della biblioteca - cioè la biblioteca èdappertutto -, nonché delle connessioni e soprattuttoun’esplosione della registrazione.

Questo è un punto fondamentale che fa lagrande differenza tra gli apparati tecnici di un tempo egli apparecchi tecnici contemporanei; pensiamo a tutti

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gli oggetti tecnologici di cinquant’anni fa: televisore,radio, telefono, ma anche automobile e lavatrice. Tuttiquesti oggetti erano radicalmente amnesici, cioè nonavevano memoria; adesso gli stessi oggetti sono pienidi memoria, ognuno di questi oggetti può registrare, ein effetti questi oggetti sono dei piccoli archivi. Èdall’enorme possibilità di archiviare e registrare chederivano tutte le potenzialità e le possibilità di talioggetti. Allora è evidente che più che la scomparsa delmodello del libro siamo di fronte a una universalizza-zione del modello del libro.

Questo è il paradosso in cui ci troviamo: sem-briamo tutti seduti al capezzale del libro morente, peròin effetti ci portiamo tutti quanti una biblioteca intasca e siamo tutti quanti immersi in un archivio.Questo vale anche per le piccolissime cose, ad esempioil fatto che - come ha rilevato un’indagine - una per-sona su tre, o addirittura due su tre, non usano i tele-foni per parlare ma per scrivere. E questa è una speciedi iperbolica rivincita del libro. Inoltre, molto spesso siparla dell’oggetto libro minacciato o quanto meno for-temente trasformato da questo tipo di rivoluzione,però non si considera che tutti gli altri media e formedi espressione sono stati cambiati nel tempo forseanche più del libro.

Pensate ad esempio a come è cambiata la televi-sione attraverso questa esplosione della registrazione eal fatto che è possibile accedere a un archivio. Adesso,

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come sapete, c’è questo fenomeno per cui se non si sacosa fare durante il weekend o si è particolarmentedepressi o interessati ci si può vedere una intera serietelevisiva, che prima ci sarebbero voluti degli anni pervedere perché veniva trasmessa una volta alla setti-mana ad ore fisse. È un cambiamento della fruizionedella televisione molto più forte del cambiamento dellafruizione del libro, perché in fondo se noi usiamo unsupporto che è simile alla scrittura questo ha sempre lacaratteristica di poter scorrere, saltare, di essere visto aframmenti, invece una cosa continua ha dei vincoli. Allimite è la televisione che diventa più simile alla scrit-tura, perché quando trascini avanti il cursore, in uncerto senso vai avanti come quando giravi le pagine; ilche vuol dire che è il modello del libro ad essersi impo-sto sopra la TV e non viceversa.

Se ci pensiamo, e anche se è paradossale, è unlibro anche lo smartphone. Ancora, non si tratta sol-tanto di vedere un film come leggeresti un libro, ma diavere accesso al film o al video in generale come avre-sti accesso ad un libro, cioè attraverso una biblioteca.Mentre già in passato non era complicato pensare “ioadesso vorrei leggere questo libro, quindi vado in unagrande biblioteca e lo trovo”, non si poteva fare lastessa cosa facilmente per un video. Invece adesso girisu YouTube e trovi moltissime cose: io che per esem-pio sono appassionato di film di guerra ho trovatodelle cose strepitose, tipo un film polacco sulla resi-

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stenza iniziale nel ‘39 contro i tedeschi, o un filmucraino che mai avrei potuto trovare. Ma questo, checosa è se non andare in biblioteca? Non è andare alcinema, perché quando vai al cinema ti viene offertoun certo spettacolo.

Vado ora molto veloce perché sono delle coseche Peppino Ortoleva ha detto prima di me e moltomeglio di me. Quando parliamo di libri digitali par-liamo di cose molto differenti, nel senso che abbiamoo un libro che si presenta ex novo sul web, oppure unlibro che è stato stampato in precedenza e che vienemesso sul web come in Google Books, o ancora deicontenuti già pensati per il web, come può essereWikipedia per esempio. È evidente che si tratta dioggetti fortemente diversi tra di loro. L’altra cosa inte-ressante è che tutti gli altri oggetti attraverso cui èpossibile fruire di questi prodotti librari, ognuno degliapparati attraverso cui si ha accesso a questo archivio,sono a loro volta pensati sotto forma di libro.

La forma è esattamente quella del libro, perchénoi siamo abituati a vedere i contenuti dentro questoformato; ognuno di questi oggetti - che sia un telefo-nino, un tablet, un computer oppure un e-reader, ossiaun lettore apposito per libri - riproduce sempre laforma della pagina e si orienta verso la scrittura o laregistrazione. Il miracolo per cui un oggetto che eraoriginariamente un telefono è diventato un libro misembra sottovalutato: cioè, senza che nessuno lo pen-

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sasse, lo programmasse, poco alla volta i telefonini sisono trasformati in macchine per scrivere e poi inmacchine per registrare, dentro cui si possono tenerelibri e altre cose.

In ognuno di questi apparati si ha sempre quel-l’eterno modello della registrazione, che si riproduceattraverso la forma del libro. E probabilmente il relativoinsuccesso commerciale di Kindle (o simili) dipende dalfatto che dà troppo poco, è troppo esclusivo come tipodi fruizione, rispetto a quello che si può avere da altritipi di supporti. Una funzione che fa molto parte dellalettura - ovvero quello della scrittura-lettura (moltospesso quando leggiamo dei saggi leggere e scriverevanno insieme, nel senso che leggiamo, prendiamoappunti, infiliamo delle cose ecc.) - viene realizzata inmaniera perfetta da questi tipi di apparati.

Per riassumere, la mia tesi non è la scomparsadel libro, è invece sicuramente una fortissima trasfor-mazione del modello del libro, è sicuramente unaesplosione della scrittura, nel senso che un tempo lascrittura era circoscritta a degli elementi determinantimentre adesso è universale. Pensate ad esempio chequello che stiamo dicendo qui oggi venti anni fasarebbe volato via o rimasto sotto forma di appuntiscritti su un foglietto, mentre qui siamo registrati.Questo aumenta enormemente quel modello dell’ar-chivialità che prima era circoscritto; quindi, è vero chenoi abbiamo una fruizione frammentaria delle cose,

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ma una funzione frammentaria fa parte anche dell’usoclassico del libro. Paradossalmente, gli unici che sonoparticolarmente insensibili ad un uso multiplo dellibro sono spesso certi bibliotecari che quando untempo andavi a chiedere sei libri, te ne davano sol-tanto uno perché nelle ore a disposizione non si pote-vano leggere tutti quei libri. Il fatto di vedere prima unpezzo di questo o di quel libro e poi un altro sembravauna pratica perversa e invece è una pratica normale;nella rete avviene esattamente questa cosa qua.

Se mai ci sono altri problemi. In particolare, unoè che tutti questi prodotti presuppongono l’esistenzadell’energia elettrica e quindi una crisi energeticapotrebbe causare la scomparsa di montagne di sapere,perché per esempio potrebbe scomparire tutto quelloche c’è dentro Wikipedia o potrebbe passare ad un’altracompagnia che può decidere di tenere tutto nascosto.Tutto ciò deriva dalle caratteristiche essenziali del sup-porto e può produrre dei problemi di conservazione,perché - come sappiamo - il digitale ha dei costi diarchiviazione iniziali minimi (nel senso che in unacosa così - n.d.r. il tablet - puoi tenere dentro delleenciclopedie, delle biblioteche, tutto quello che vuoi),però ha necessità di essere continuamente aggiornato equindi nel tempo il costo cresce moltissimo. Oltretuttoi costi crescono man mano che ci si allontana dallepersone che possono essere interessate a conservarequeste cose. Immaginiamo un archivio: le lettere dei

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nostri nonni restano, mentre quello che noi abbiamomesso nel nostro computer richiede una archiviazioneattiva che credo pochi saranno disposti a fare.

Quindi bisogna anche mettere in conto chemagari i nostri nipoti ignoreranno la faccia cheabbiamo perché non ci saranno le fotografie ingiallitedentro una scatola, bensì tutte quelle cose cheabbiamo nei computer che possono anche scomparire.Non è neanche implausibile che tutto quello cheresterà dell’epoca più scritta e documentata della sto-ria del mondo saranno le scritte sui tombini che sonomesse in maniera duratura, non sono molto espressiveperò effettivamente sopravvivono, così come tantecose inessenziali sono sopravvissute nel passato sol-tanto perché erano scritte su dei supporti duraturi.

L’altra cosa invece riguarda il tipo di rapportoche si stabilisce con il libro nell’età digitale. È vero -ed è stato detto e io sono perfettamente persuaso dellabontà di questo - che non c’è mai un medium che can-cella gli altri media, quindi la televisione non ha fattoscomparire il giornale; forse il web farà scomparire latelevisione ma vedremo, io spero di no. Sicuramentemolto cambia in base a qual è l’esperienza originariadi come ci si è accostati alla trasmissione del sapere edell’informazione, nel senso che indubbiamente se cisi forma in una cultura orale si avrà più memoria enon si avrà il modello della pagina, però se ci si formain una cultura in cui si leggono dei rotoli si avrà un

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certo modo di immaginare, soprattutto maggior abitu-dine alla lettura ad alta voce, perché è scomodo sroto-lare il rotolo. Coi rotoli, che erano il modo in cui siconservavano i testi scritti fino, credo, al V o VIsecolo, si poteva scorrere il testo, quindi mancava unadelle caratteristiche fondamentali del codice: non sipoteva andare a pagina 100 in un rotolo, si dovevasemmai chiedere aiuto a un servitore.

Io non credo che esista un nativo digitale per-ché ognuno di noi è un nativo digitale nella misurain cui ha imparato delle tecniche per appropriarsi delsapere in una certa epoca. Tuttavia, indubbiamente,il nativo digitale, ossia chi ha avuto a che fare con icomputer fin da bambino, ha probabilmente un’im-magine del libro assai differente dalla nostra e, daquesto punto di vista, io non sono un entusiastadell’introduzione dei tablet a scuola perché in fondoun grosso vantaggio della scuola potrebbe essere dimetterci ancora in contatto con questa cosa semiar-cheologica che è il libro, potrebbe dare la possibilitàsia di sapere come funziona un tablet - tanto questolo sai anche fuori della scuola - e sia di sapere comeè fatto un libro e come ci si muove nei libri. Ma que-sto punto è un’altra storia e mi scuso per aver tiratocosì per le lunghe.

LUCIO ROMANO. Grazie professor Ferraris. Con ilsuo intervento ci ha lanciato un messaggio positivo:

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non scompare il libro; esplode la scrittura; c’è unavariazione che riguarda i mezzi; approccio molto piùsemplice, molto più immediato da parte di tanti, nonsolo alla lettura ma a tutte le forme culturali, periscritto e in video.

Sulla digitalizzazione dei testi e sullo sviluppodell’informatica applicata alle discipline umanistiche,chiederei, tra l’altro, un contributo a Gino Roncaglia.

Il professor Gino Roncaglia è ricercatore pressol’Università della Tuscia dove insegna Informaticaapplicata alle discipline umanistiche e Applicazionedella multimedialità alla trasmissione delle cono-scenze. Dirige, presso la stessa Università, diversimaster sull’argomento. È tra i pionieri dell’uso diInternet in Italia e della riflessione sulle sue potenzia-lità culturali, in particolare nel settore dell’editoria edegli ebook.

GINO RONCAGLIA. Grazie innanzitutto per l’invito.Mi fa molto piacere essere qui, e anche nel mio caso ilcompito è in parte semplificato dagli interventi che cisono stati prima. Io proverei a rispondere alladomanda che mi è stata posta, partendo anch’io daltema della frammentazione, che è uno dei temi, credo,cruciali nel riflettere sul futuro della forma libro edella lettura nel mondo digitale. E’ vero, indubbia-mente, che con il digitale noi abbiamo moltiplicato lesituazioni di lettura e di scrittura ed è vero, contem-

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poraneamente, che queste situazioni in molti casisono legate ad una testualità molto più frammentata.

Se noi pensiamo ai post di un blog, ai messaggidi stato su un social network, ai tweet, alle e-mail, aglisms, osserviamo come le forme della comunicazionedigitale, l’ecosistema della comunicazione digitaleoggi - che è quello in cui soprattutto le giovani gene-razioni si muovono prevalentemente - sia un ecosi-stema caratterizzato da una forte granularità dei con-tenuti. Una granularità che in molti casi è anche fram-mentazione. Nel riflettere sul futuro, forse, può essereutile cercare di capire innanzitutto quali sono le radicidi questa granularità.

Abbiamo spesso un’illusione di prospettiva,quella di essere alla fine della storia. Abbiamo creatostrumenti e macchine meravigliose o meno meravi-gliose, però in qualche modo sono viste come un datoormai raggiunto. In realtà se noi pensiamo al nostrorapporto con la rete e con il digitale vediamo cheun’evoluzione c’è stata ed è stata anche un’evoluzionepiuttosto radicale. Abbiamo cominciato ad usare larete – per fare un paragone un po’ azzardato, ma forseanche utile, con l’evoluzione della società umana –abbiamo cominciato ad usare la rete da cacciatori e daraccoglitori. All’inizio ci si collegava ad Internet perbrevissimi tempi via modem, si andava a catturarequalche frammento di informazione potenzialmenteutile, lo si trasportava per mangiarlo “nella tana”, sul

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nostro computer e ci si scollegava. Per i “primi abi-tanti” della rete c’erano pochi fornitori istituzionali diinformazioni e la maggior parte di queste “prime poconumerose tribù di primi frequentatori della rete” sicomportavano come cacciatori-raccoglitori, cioè cer-cavano di prendere qualcosa e portarla nella tana.Dopo è cominciata in qualche modo una sorta di crea-zione di insediamenti urbani dal punto di vista infor-mativo.

Forse non è un caso se uno dei primi strumentiche è stato usato per creare pagine in rete si chiamava“Geocities”, forse qualcuno lo ricorda ancora. Eratutto organizzato sulla metafora degli insediamentiurbani e noi usiamo e abbiamo usato moltissimo lemetafore spaziali legate a quello che veniva in qualchemodo percepito come un territorio nuovo in cui inse-diarsi, cominciando a organizzare insediamenti infor-mativi, coltivare informazioni. Poi siamo arrivati adun’età, che in parte è quella in cui ci troviamo, forte-mente caratterizzata dallo scambio di informazioni.Anche i siti web non sono più quei “siti appiccicosi” incui si cercava di trattenere l’utente. Sono siti da cuiparte informazione, sono diventati aeroporti in cui gliaerei non soltanto atterrano, ma partono anche; cioèparte informazione, si cerca di condividere, di distri-buire, di fare diventare virale.

Il meccanismo di distribuzione dell’informazioneoggi agisce in molte forme, ma soprattutto attraverso

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flussi che si aggregano e si riaggregano. Tutti i socialnetwork, da Facebook a Twitter si basano in qualchemodo su una aggregazione, disaggregazione e riag-gregazione di flussi informativi basati su granuli diinformazione, i post, l’immagine, i video.

Quindi questa forte granularità è una caratteri-stica di questa fase di avvio dello scambio di informa-zione e del commercio. Ma siamo ancora piuttostoindietro rispetto a quella che può essere l’evoluzionedella storia. Non siamo arrivati ancora all’età dellecattedrali informative, abbiamo un’altissima comples-sità orizzontale in rete, moltissimi granuli informativivariamente connessi fra di loro, che ci stiamo abi-tuando ad aggregare variamente, ma abbiamo ancorauna scarsa complessità verticale degli oggetti infor-mativi. E questo è un problema anche dal punto divista formativo per le giovani generazioni, perché igiovani di oggi sono bravissimi a muoversi orizzon-talmente da una informazione all’altra, molto menocapaci di costruire e produrre e interpretare informa-zioni articolate e complesse in senso verticale.

Però questo della granularità e della frammenta-zione è un aspetto che, secondo me, caratterizza unafase dell’evoluzione del digitale, e il problema che lenuove generazioni hanno davanti oggi è proprioquello di riconquistare la complessità, anche nelmondo dell’informazione digitale. Non è un destino,secondo me, quello della frammentazione del digitale.

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Wikipedia è già uno strumento per esempio. Possiamopensare a Wikipedia come una delle prime cattedraliinformative complesse, in cui si parte dalla granularitàdelle singole voci, ma poi si costruisce un oggettoinformativo che è molto elaborato e complesso.

Quale è il ruolo del libro in tutto questo? Laforma del libro, nella nostra tradizione, è stata laforma principe di organizzazione e di articolazionedella complessità, una complessità che può essereargomentativa o narrativa, ma il libro è un edificioinformativo complesso. Nel mondo digitale questanon è l’unica forma di complessità possibile: però por-tare nel mondo digitale quel particolare tipo di com-plessità argomentativa o narrativa che è propria dellaforma libro è un compito importante per dare modelli,anche alternativi, di complessità.

Poi naturalmente è molto corretto, e direi ancheilluminante, quello che ci diceva Ortoleva sul passag-gio a forme di lettura a geometrie variabili. Anchedavanti a forme di organizzazione più complessa deicontenuti e, anzi, proprio davanti a queste forme, simoltiplicano i nostri possibili modi, le possibili vie diaccesso. Però c’è una forte differenza tra la capacità dilavorare con contenuti elaborati e complessi e inveceuna situazione di pura granularità e frammentazione.Anche da questo punto di vista io credo, appunto, chela forma libro sia un modello importante per il mondodigitale.

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Cosa succede ai libri elettronici? Se noi guar-diamo a come diversi tipi di media si sono sviluppati,ci accorgiamo che in alcuni casi abbiamo avuto unosviluppo in qualche modo basato su tipologie di mediafortemente innovativi: la televisione fa qualche cosache in quella forma semplicemente non era possibileprima, è un medium fortemente innovativo e in questocaso ha campo abbastanza libero nel suo sviluppo.Abbiamo poi dei media che sono sostitutivi e miglio-rativi rispetto alla macchina da scrivere; il computer,in qualche modo, è capace di fare tutto quello chefacevamo prima con la macchina da scrivere e parec-chie cose in più, e la macchina da scrivere tendenzial-mente scompare perché è sostituita e migliorata. Leaudiocassette oggi non le usiamo più perché quel tipodi strumento oggi è sostituito e migliorato da stru-menti per ascoltare la musica in digitale.

Il libro elettronico, almeno nella sua formaattuale, non è totalmente innovativo, perché ha allespalle un’eredità culturale pesantissima e lunga dellaforma libro e in generale di forme diverse di organiz-zazione del testo scritto nel mondo analogico. Non èoggi neppure completamente sostitutivo, perché inrealtà non tutto quello che possiamo fare con i libri astampa lo possiamo fare altrettanto bene con i dispo-sitivi di lettura di ebook di oggi. Il Presidente Grassoparlava delle annotazioni. E’ vero che possiamo anno-tare nel mondo digitale, in un certo senso anche con

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una forte flessibilità visto che non abbiamo limiti didimensione, però l’annotazione non è altrettantoimmediata e graficamente variata come quella che sifa con la matita a margine del libro.

Un problema specifico della lettura in digitale edei libri elettronici oggi è la pluralità – anche questo ègià stato ricordato – dei dispositivi di lettura. Abbiamotre famiglie diverse.

I primi Kindle hanno i loro problemi perché oggicome oggi sono solo in bianco e nero, hanno scarsa,anzi nessuna capacità di gestione dei video e quindiscarsa capacità di resa multimediale, lo sfondo non èveramente bianco, ma di un grigiolino poco soddisfa-cente, e questo è un limite della tecnologia molto diffi-cile da superare. Questa famiglia di dispositivi ha cer-tamente dei vantaggi, si leggono molto bene alla lucedel sole, non emettono luce, proprio come il libro chela riflette soltanto, ma ha anche notevoli svantaggi.

Poi abbiamo la famiglia dei tablet, degli smar-tphone in cui abbiamo degli schermi che hanno unaforte capacità di gestione dei contenuti multimediali,funzionano molto bene per immaginare forme arric-chite della forma libro, ma alla luce del sole si leggonomale, la durata delle batterie è minore, gli schermi sonopiù fragili, ci sono una serie di problemi. Sono in partedistrattivi dal punto di vista del design della lettura, untema su cui si è soffermato con delle osservazioni inte-ressanti Roberto Casati in un bel libro che si intitola

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Contro il colonialismo digitale. Quindi ci sono problemianche in questa seconda famiglia di dispositivi.

Poi c’è il computer, che usiamo spesso per lavo-rare su testi. Ma il computer è adatto ad un certo tipodi funzione, la funzione lean forward, protesa inavanti verso l’informazione. Usiamo molto bene ilcomputer quando dobbiamo leggere e scrivere insiemeperché si tratta un ambiente che permette di integrarele due attività. Però sono meno adatti per la funzionelean back, la lettura in poltrona, che è quella tipica dicerte forme di testualità, per esempio della narrativa. Itablet e gli e-reader vanno benissimo anche nella let-tura lean back, ma sono meno adatti a quella forma dilettura e scrittura contemporanea che è tipica del com-puter.

Abbiamo famiglie di dispositivi diversi, che cor-rispondono a tentativi diversi di costruire buoni ecosi-stemi della lettura in digitale, nessuno dei quali oggi èancora ottimale, e quindi non sorprende che l’evolu-zione del libro elettronico sia un’evoluzione forte-mente a scalini, in cui evoluzione tecnologica e evolu-zione di mercato possono influenzare moltissimoquello che possiamo o non possiamo fare con i testi.Lo stesso problema della gestione dei diritti, e quindiin parte della protezione degli ebook, è un problemache nel contempo condiziona e limita la fruizione,perché per l’utente i meccanismi di gestione delle pro-tezioni del DRM sono percepiti come una complica-

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zione. D’altro canto la facilità e la perfezione dellariproducibilità digitale richiedono probabilmente deimeccanismi che in qualche modo tutelino l’opera, cheancora non abbiamo perfettamente individuato. Masiamo, appunto, non alla fine, ma in una fase abba-stanza iniziale della storia.

La mia impressione, e su questo concludereialmeno questo mio primo intervento, è che la letturadigitale è qualcosa che continuerà a svilupparsi e cre-scere perché le potenzialità sono notevoli. Potenzialitàdi moltiplicare le forme di accesso ai testi e ai conte-nuti, potenzialità di espandere, ospitare espansioni dellibro. Pensiamo a fenomeni come il social reading: lalettura è una cosa un po’ singolare perché nelmomento in cui leggiamo dobbiamo essere soli e pro-tetti, però prima e dopo parliamo tantissimo di quelloche leggiamo. E’ importantissima, la dimensionesociale della lettura, anche se, come dicevo un attimofa, paradossalmente l’attività di lettura deve essereindividuale e protetta, e anzi ci preoccupiamo chealcuni degli ecosistemi digitali non proteggono abba-stanza lo spazio della lettura (siamo di nuovo di frontea problemi di design della lettura).

Però in questo momento di discussione che sisvolge prima e dopo, il digitale ha delle potenzialitàstraordinarie, permette di agganciare discussioni nonsolo al libro nel suo insieme, ma anche a singoli pas-saggi. E’ una delle cose che i lettori fanno di più in

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rete, e c’è un elemento anche un po’ di second screen,un tema molto presente quando si parla di televisionee smartphone, tablet. Noi usiamo gli smartphone, itablet come second screen rispetto alla televisione, maanche nella lettura noi usiamo la rete in parte comesecond book, come allargamento possibile, andando acercare dopo che abbiamo letto qualcosa in manieratranquilla, raccolta e protetta, immagini che in qual-che modo possano aiutarci a capire meglio quello cheabbiamo letto, informazioni aggiuntive, informazionisu Wikipedia.

Ecco, questi aspetti, e la possibilità di intercon-nettere le forme della testualità sono indubbiamentedegli enormi vantaggi dell’ecosistema digitale. Quindinon è una meteora, il libro elettronico; è qualcosa concui ci confrontiamo e ci continueremo a confrontarein futuro. Del resto basti pensare che in fondo anche illibro su carta oggi è in qualche forma un dispositivodi lettura per testi elettronici. Il libro oggi viene preva-lentemente scritto al computer, editato al computerdalla casa editrice, impaginato al computer dalla tipo-grafia e poi si appoggia sulla carta per la comodità cheha ancora la carta, come dispositivo di lettura, in que-sta situazione ancora largamente in sviluppo deidispositivi di lettura digitale.

LUCIO ROMANO. Il professor Roncaglia ci haofferto un approfondito contributo, ha chiaramente

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delineato come la digitalizzazione, attraverso lavarietà dei mezzi a disposizione, possa promuoveun’ampia diffusione del libro e favorire la dimensionesociale della lettura.

Lungo il percorso delineato dai precedenti con-tributi, interviene Maurizio Maggiani, scrittore. Anchese preferisce definirsi narratore. In una sua recente einteressante intervista ha dichiarato che in realtà, traebook e carta non c’è gara perché l’editoria è già digi-tale da trent’anni, ricordando, tra l’altro, di averescritto l’ultima volta a penna all’esame di maturità.

Maggiani è vincitore di numerosi e prestigiosiriconoscimenti: i premi Strega, Campiello, Stresa,Viareggio, Ernest Hemingway.

MAURIZIO MAGGIANI. Io sono quello lì, più o meno.Non sono uno studioso, sono un utilizzatore, io uti-lizzo la lettura e utilizzo la scrittura. La utilizzo perragioni personali e per ragioni di reddito. Il mio red-dito proviene dall’art. 59, comma 2, della legge unicad’imposta diretta dal titolo “Proventi dallo sfrutta-mento commerciale dell’opera di ingegno”. Ecco, iosono quello lì. Io vivo perché si sfrutta commercial-mente la mia opera di ingegno. Io vi racconto la miastoria proprio perché non ho niente da insegnare, hoimparato tante cose stamattina, e per farlo mi è statonecessario spostarmi da un punto a un altro, fare ungesto molto analogico. Stando da questa parte non

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riuscivo a seguire, perché avevo bisogno di guardarein faccia chi mi parlava. Questa è una cosa che credosia così da due milioni, tre milioni di anni, quattromilioni, e in me rimane; ho bisogno di questo gestoantico, questo gesto ancestrale di guardare mentreascolto.

Io sono nato nel 1951 in una famiglia operaia,anzi di un contadino diventato operaio. Questo con-tadino diventato operaio aveva in casa dodici libri,che io ricordi. Questi dodici libri erano per la granparte, perché ancora li conservo, “Edizioni Sonzognoper il popolo”, edizioni a dispense, rilegate alla fine. Ilibri della mia infanzia sono stati: la DivinaCommedia, l’Orlando Furioso, Edizioni per il popolo,la Storia del mondo prima della nascita dell’uomo diFlammarion, che era un divulgatore scientifico, laCapinera del mulino di Victor Hugo, i Pirati diMompracem, I Miserabili, la Storia d’Italia raccontataal popolo. Questi sono i titoli che mi ricordo.

Attenzione, mio padre me li leggeva, mio padreera ossessionato dall’analfabetismo, mio padre pen-sava che il riscatto dell’uomo fosse nella cultura. Daoperaio pensava, capite, da operaio anarchico pensavacosì, che se io mi fossi impadronito del sapere e dellaconoscenza avrei potuto non vivere una vita di ser-vitù. Mio padre mi leggeva i libri che aveva in casa eio ho imparato molto in fretta a leggere. Attenzione,ho imparato a leggere dei libri che erano illustrati. Io

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ho letto la Divina Commedia forse a sette-otto anni,non capendoci assolutamente niente, ma leggevo iversi sotto delle bellissime illustrazioni di GustaveDoré e qualcosa rimaneva (poi semmai vi spiegodove). Ma dell’Orlando Furioso cosa potevo capirci?Niente, però c’erano le illustrazioni dell’Archioli. “Lastoria del mondo”, io leggevo e vedevo le conchiglieprimordiali, i dinosauri, le felci immense, i pianeti, isatelliti. Parlo del cuore degli anni Cinquanta.

Quindi io sono nato come utilizzatore della let-tura, e la lettura era già una operazione multimediale,diciamo così. Ma sono il figlio di un operaio, un ope-raio di Castelnuovo Magra, io non sono il figlio di unintellettuale newyorchese. Poi sono andato a scuola. Ascuola, quando io ci sono andato, c’era una materiache si chiamava “bella scrittura”. La “bella scrittura”era così fatta: il bidello entrava in classe la mattina eversava su tutti i banchi, in un apposito calamaio, l’in-chiostro, e io a scuola portavo una penna a cui sipotevano applicare tre pennini diversi. Un pennino perscrivere i numeri, uno per scrivere le lettere corretta-mente e uno per fare le maiuscole. Io in “bella scrit-tura” avevo dieci; la maestra Fabbri mi dava dieci inbella scrittura, e ho imparato a scrivere facendo lemaiuscole tutte per bene e i numeri tutti quanti perbene. Era un gesto estetico, la scrittura. Questo, nonper una particolare propensione, ma perché era il pro-gramma della scuola statale, era nei programmi statali

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la “bella scrittura”. Con la bella scrittura scrivevo deibei pensierini tipo “Come hai passato la giornata didomenica?”, “Stanco ma felice della bella giornatatrascorsa”.

Questi erano i contenuti di un gesto graficomeraviglioso, con dei problemi enormi perché questaroba bellissima dell’inchiostro e del pennino signifi-cava poi che facevi le macchie, che si rovesciava, che il“Franti” della classe pigliava l’inchiostro e te lo gettavain faccia. E che vita quando si cancellavano le gocce diinchiostro con la lametta! È il problema dell’artista checompie un gesto complesso. Nella mia carriera scola-stica, in italiano sono stato giudicato sostanzialmente,per tutto il corso degli studi di media e superiore, tra ilcinque e il sei: con troppe idee e confuse.

Io volevo fare il meccanico e tuttora voglio fareil meccanico. Guardate, non sto scherzando, io mi stofacendo una bicicletta che se la vedete andate fuori ditesta. Io mi sto facendo una bicicletta e corono ilsogno di una vita perché finalmente c’è Amazon. Ioposso comprare della roba…! Ma quando mai potevoentrare in possesso, vivendo a La Spezia, dei copertoniAll Terrain che vendono in America a 36 dollari! Quiforse 50 milioni (se mai fossero arrivati). E mi sonoarrivati in una settimana. Va bene, adesso non vi sto aparlare della mia bicicletta!

Mio padre a undici anni mi ha regalato la tesseradella Biblioteca del dopolavoro ferroviario. La

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Biblioteca del dopolavoro ferroviario non era questabiblioteca, ma era una biblioteca dove c’era un ferro-viere in pensione appassionato di romanzi e di viaggiche aveva riempito una stanza del dopolavoro ferro-viario con tutti i romanzi e tutti i libri di viaggio pos-sibili e immaginabili, e io andavo lì e a caso prendevoe leggevo. A sedici anni mio padre in quella Bibliotecami ha comprato, a una mostra del lavoro e dell’artesocialista sovietica, per quaranta rate da mille lirecadauna, una macchina fotografica sovietica. Ioandavo lì, prendevo i libri e un giorno ho preso unamacchina fotografica, mio padre mi ha regalato unaZenit E. Cosa ho fatto con quella macchina fotogra-fica? Delle fotografie.

Mentre facevo le fotografie ho dato l’esame diStato da maestro, perché ho fatto le magistrali; l’ul-tima volta che ho usato il pennino, la penna, è statoper fare il tema della prova scritta, il saggio dellaprova scritta. Io avevo bisogno di quel posto. Io avevobisogno di lavorare, e ho scritto per la prima e forseunica volta in vita mia un bel componimento, e sonoarrivato primo alla prova scritta. Era un miracolo, unmiracolo che viene dalla necessità, viene dalla fame.Io avevo bisogno di quel lavoro, se no non avreisaputo come mantenermi, perché appena diplomatoho preso e me ne sono andato via di casa. Erano annidiversi da questi, era il 1970.

Io sono sempre stato un patito della meccanica e

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una persona molto curiosa. Io ci vedo molto poco, sindalla nascita, e nessuno è curioso come i ciechi, la lorovista è la vista tattile per cui la curiosità è sempre rap-presentata fisicamente nel rapporto materiale con larealtà. Non sto scherzando, guardate che un cieco haocchio. La prova l’ho avuta anche ieri che guardavoun quadro in una casa e lo vedevo poco e dicevo:guarda che strano questo quadro mi sembra unVedova e la signora ha detto “sì è un Vedova”, ma per-ché ho occhio. Ma di questo vi parlerò un’altra voltaquando sarò invitato, sempre se esisterà ancora laBiblioteca del Senato e se ci sarà il Senato. Mi imma-gino di sì.

Voglio fare un inciso, perché quando sonovenuto qui mi è venuto in mente. Nel 603 d.C. l’esarcadi Ravenna Attanasio alla testa di un piccolo esercitomarciò su Roma per farsi eleggere imperatore dalSenato. Non riuscì ad arrivare a Roma perché il suoesercito lo ammazzò prima. Non vi sembra strano checentotrent’anni dopo la fine dell’Impero Romanod’Occidente uno sentisse ancora il bisogno di farsi con-sacrare imperatore dell’Impero Romano d’Occidente daun Senato che virtualmente non doveva più esistere dacentotrent’anni? Eppure è successo. C’è una perma-nenza nelle cose che contano, c’è una lentezza dell’an-tropologia di cui vi parlerò dopo, alla seconda puntata.

Vengo al punto. Ho fatto l’insegnante di scuolaelementare. Nel 1973, siccome sono curioso, ho preso

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in mano un oggetto stranissimo, un videoregistratoreNational mezzo pollice, il primo videoregistratore por-tatile a disposizione in Italia, con dodici chili di mac-china e quattro chili di telecamera Vidicon. Si è apertoun mondo completamente nuovo, l’idea di registrarequalunque cosa e in qualunque modo, andando ovun-que. La prima cosa che ho fatto è stata portarlo ascuola dove insegnavo e paciugare, paciugare insiemeai bambini con questa macchina. Tutto ha un senso.

Nel 1985, proprio perché sono appassionato dimeccanica, perché sono curioso (ho una curiosità ata-vica), in un negozio ho visto una macchina meravi-gliosa. Allora esistevano i computer, ma quella mac-china era qualcosa di inaudito: era il primo AppleMacintosh 128 KB; era una macchina cubica, quasi, eaveva uno schermo, e dentro a quello schermo eracome vedere una pagina. A quei tempi i computeravevano degli schermi, dei televisori, in cui appari-vano dei fosfemi, proprio fosforo, verde, dei fosfemiche erano dei caratteri alfanumerici. In quelloschermo, su un foglio bianco, o quasi bianco, si vede-vano i caratteri alfanumerici e dei disegni, in nero,con dei caratteri che tu potevi scegliere tra un set dicaratteri e, soprattutto, incredibile a quei tempi, stam-pava immediatamente quello che vedevi, esattamentecome lo vedevi.

Voi non avete idea di cosa fosse stampare unacosa con i sistemi MS-Dos di quei tempi, era una

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roba... Quando ho visto quella macchina, io ho visto,come dire, un ciclo, una cosa meravigliosa, qualcosacome la video-camera che riprende e immediatamentevedi, qualcosa che è un circuito completo. E la cosaaffascinante, stupefacente, è che aveva una tastiera inlingua italiana: a quel tempo, le tastiere erano solotastiere americane o anglosassoni, per fare un accentoci mettevi un quarto d’ora, giusto? Quella aveva gliaccenti, era una tastiera azerty, la stessa tastiera dellaLettera 22 che mio padre mi regalò appena diplomatoe che io ancora conservo senza mai averci scritto unfoglio di carta. Con l’azerty io scrivevo in italiano.

Sono entrato in quel negozio, ho provato quellatastiera. Credetemi, qui c’è qualcuno che forse potràricordare: il suono di quella tastiera era una roba esal-tante, eccitante, io mi sono sentito Manzarek a fare unassolo di tastiera in This is the end dei Doors, avetepresente? Ancora oggi, quando mi capita, raramentemi capita, di riuscire a scrivere qualcosa che mi piaceda impazzire, io mi sento Manzarek alla tastiera. Hocomprato per 5.800.000 lire, in 36 rate, quel computer,l’ho portato a casa, e ho detto: e adesso cosa ci faccio?Ho incominciato a scrivere i miei romanzi. Non micredete? E’ così, ve lo giuro, io scrivo romanzi perchéun giorno ho comprato un Apple Macintosh 128 KBed era così bello che ci potevo solo fare delle cosebelle. E ho provato di lì in poi a farle. Io scrivo ebookdal 1987 perché, dopo aver sperimentato per due anni,

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nel 1987 ho scritto il mio primo racconto. Scrivoebook, capite, scrivo digitale. Guardate, non solo per-ché scrivo sullo schermo, ma perché, da subito, è risul-tato evidente che la bellezza di quella scrittura, diquello strumento di scrittura, era nelle infinite possibi-lità manipolatorie.

Qui c’é qualche studente, giusto? Bene! Qual è ilproblema di uno studente di fronte a un tema (unavolta si chiamavano, temi, saggi, adesso, credo, sonole verifiche scritte)? Che c’è la mala copia e la bellacopia, e che magari hai finito la bella copia e quandorileggi la bella copia hai capito che hai sbagliato, haicapito che volevi scrivere un’altra cosa e... la bellacopia è finita e la devi consegnare, giusto? Pensate,guardate in qualche museo, in qualche biblioteca, imanoscritti dei grandi romanzieri, questi quaderni,questi fogli, con le varianti, una, due, tre varianti, nonci si capisce niente, nemmeno loro ci capivano: comefacevano? Tutto era una fatica spaventosa, e scrive-vano e riscrivevano.

Io non sono nato per faticare, veramente, questomio padre l’ha capito ed è morto senza avere la soddi-sfazione di pensare che suo figlio fosse uno per bene.La fatica immensa della scrittura, ma io piuttostoniente! La fatica fisica. Perché io non ho mai scritto unfoglio sulla macchina da scrivere? Perché mi venivanole dita gonfie così. Avete mai provato la magia dellaLettera 22, 32, anche la 42? Ma poi con la macchina

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elettrica... ma lasciamo perdere. Quella tastiera, tactac, ha un ritmo, ti dà ritmo. Qual è la bellezza dellascrittura elettronica? Che tu puoi lavorare in continuo.Io, su un mio testo, se le contassi, ma non mi inte-ressa, faccio 30-40 varianti. Io pubblico, mediamente,un romanzo ogni 4/5 anni perché me la piglio comodae, mentre me la piglio comoda, posso continuamentelavorare, quando ne ho voglia, quando mi viene inmente qualcosa; un’opera si evolve nel tempo e questonella carta è impossibile, non è proprio umano.

Io non potrei scrivere nemmeno un articolo digiornale, a questo punto, a mano o su una macchinada scrivere. Non saprei come fare, io sono struttural-mente nato come scrittore - che non vuol dire comeromanziere, narratore - col metodo Apple Macintosh128 KB del 1985. Senza quella roba non potrei fareniente, non sono capace, non sono capace di fareniente. Se ho uno stile letterario, e probabilmente sì, èuno stile che mi viene di lì, mi viene da una adesionesensuale a una macchina e alle possibilità che quellamacchina mi offre per elaborare il mio testo, la miastoria.

Adesso veniamo all’editoria elettronica. Io sta-mattina ho imparato tante cose, però voglio fare delledomande. Io ho pubblicato un romanzo il 27 agosto2015. La sera del 27 agosto 2015 era disponibile suinternet, gratuitamente, scaricabile, da un sito cosid-detto “pirata”; è un fatto. Io che vivo in base alla legge

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59 sull’imposta diretta, traendo profitto dalla miaopera d’ingegno, sono apparentemente minacciato,distrutto dalla possibilità per chiunque di leggere gra-tuitamente la mia opera. E io non sono spaventato,non lo sono. Io sono sicuro, e non ho nessuna infor-mazione scientifica attuale, che su cento persone chescaricano i miei libri gratuitamente il giorno stessoche escono, di lettori miei ce n’è uno, se va bene, forsenessuno. Si scarica per la mania, per la soddisfazionedi farlo, si scarica perché “lo scarico gratis”: migliaiadi film, decine di migliaia di pezzi di musica, migliaiadi romanzi. Io ho degli amici che hanno delle bibliote-che con diecimila film; ma quanto devono vivere pervedere diecimila film?

Io mi sono comprato un apparecchio bellissimo,che suona meravigliosamente, inglese, non dico lamarca, però è una marca prestigiosa, una radio inter-net. Ho preselezionato cinque canali di musica inter-net e ho scoperto che non vivrò mai per godere di queicinque canali, su un totale di 3000 canali; va bene sene sento un pochino di uno: ad esempio, oggi unojazz, jazz swing (una roba! Una bomba!). Tutta questasovrabbondanza che deve fare? Cioè, hai come “racco-glitore-cacciatore” un sentimento di rapina, no? Certo,certo, ma poi la mia esperienza cosa mi dice? Io usoMicrosoft Word, la versione 1.1 del 1988, cioè la primatraslazione in italiano di Word. Non l’ho mai compratofinché costava 900 mila lire, 600 mila lire. Da quando

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costa 190 euro lo pago, perché mi sembra giusto. Poi,è un programma che non legge i suoi file precedenti al1995! Provateci. Cioè i suoi file Word, con l’etichettaW di Word che il mio programma Office 2011 nonlegge più. C’è scritto, lo dice anche. Per fortuna io houn Apple, e ho un programmino nativo, gratuito, diApple che mi legge i file Word.

Ma io penso una cosa, e ve la dico sinceramente:quello che vale la pena di conservare l’umanità allafine se lo conserva. Io penso a tutti i miei nastri fatticol National, perché è bellissimo, guardate, è pura let-teratura. Me ne sono accorto perché volevo rivederlidopo quarant’anni, ho messo sul registratore il nastroe, man mano che andava in play, si avvolgeva, latestina raschiava via l’ossido di ferro; ed è bellissimacome immagine, no? Mentre tu cerchi di rivedere,quello che tu hai fatto si disintegra in una polvere diferro: l’ho perso! Pazienza, pazienza, l’umanità puòfarne a meno. Ce l’ha fatta a fare a meno addiritturadella Biblioteca di Alessandria: ha perso tanto ma nontutto. No, io non credo che perderemo tutto solo per-ché è etereo, quello che deve restare, quello a cuiteniamo, resta. Detto ciò, è tardi, quindi, nella secondaparte io vorrei parlare del perché è folle pensare che illibro debba essere di carta, a meno che non si pensiche il libro è, e io credo di sì, anche un oggetto diculto, da pagare 500 euro e da comprarne uno ogni treanni, da mettersi in casa. E questo verrà dopo.

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LUCIO ROMANO. Grazie Maggiani, anche per ilcoinvolgimento che ha suscitato, sull’onda dei prece-denti interventi. Una testimonianza anche di passioneper il mezzo tecnico, un rapporto entusiasta nei con-fronti della tecnologia non senza alcuni appunti,chiari e ragionevoli.

A Francesco Piccolo, scrittore, porrei ladomanda di come l’evoluzione della forma del libropuò modificare la lettura e la circolazione dei conte-nuti; di come cambia l’attività dello scrittore, propriocome tecnica.

Francesco Piccolo è scrittore e sceneggiatore.Autore di diversi libri, tra cui Momenti di trascurabilefelicità, Il desiderio di essere come tutti, vincitore delPremio Strega 2014, e Momenti di trascurabile infeli-cità. Ancora, Storie di primogeniti e figli unici; E sec’ero, dormivo; Il tempo imperfetto. Come sceneggia-tore, ricordo in particolare Il Caimano, HabemusPapam e Mia madre per Nanni Moretti; My name isTanino, La prima cosa bella, Il capitale umano perPaolo Virzì; Agata e la tempesta, Giorni e nuvole perSilvio Soldini; Il nome del figlio di FrancescaArchibugi.

È autore di diversi programmi televisivi.

FRANCESCO PICCOLO. Buongiorno a tutti. Sì,rispondo alle domande e intanto cerco anche di direalcune delle cose che rimangono da dire, perché molte

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sono state dette. E vorrei arrivare anche al raccontoche ha fatto Maurizio Maggiani, che è molto bello eche ha anche un punto di sostanza, che riguarda pro-prio l’idea del progresso del nuovo.

Quello che stiamo raccontando oggi, le cose cheho ascoltato, hanno tutte a che fare con due caratteri-stiche. La prima è quella della soluzione. In fondo,tutti stiamo dicendo che la questione del libro digitaleè irrisolta. Anzi non si tratta del libro digitale, ma delmondo digitale nel quale viviamo, e ci viviamo piutto-sto bene. E l’altra è il fatto che c’è un’idea che non sol-tanto è stata accettata, ma è propositiva, un’idea difuturo, un’idea di crescita, di sviluppo, appunto comedicevamo prima, del libro digitale.

Però io farei un passo indietro proprio perchéoggi gli studiosi che sono qui stanno proponendoun’idea di scrittore, di intellettuale, di studioso assolu-tamente viva e virtuosa. Ma quando è nata l’idea dellibro digitale, che è il tema della nostra giornata, lareazione è stata totalmente diversa. Non la nostra, mala reazione del mondo. Ci hanno raccontato insostanza quello che ci raccontano sempre, con cui nelnostro mondo lavorativo conviviamo da sempre, cioèche “è arrivata l’apocalisse”. Perché questo è stato ilpunto di partenza. Quando è arrivato il libro digitalehanno detto “è finito tutto”, è finito il nostro lavoro, èfinito il compenso per mangiare, il compenso mio, ilcompenso di chiunque, tutto morirà, tutto finisce, per-

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ché questa è soprattutto la reazione del mondo intel-lettuale a qualsiasi cosa di nuovo accada.

Questa è la prima reazione. Poi, ovviamente, cisono delle persone, quelle che sono qui oggi, cheinvece studiano e comprendono, e fanno parte diquella, non eccezione e neanche minoranza, ma diquella vitalità virtuosa e aperta al nuovo che dovrebbeavere chiunque. Ma noi siamo abituati da tutta la vitaa convivere con questo; fare questo lavoro, fare loscrittore, significa convivere con la morte del tuolavoro da sempre. Io da quando ho cominciato a scri-vere, da quando ho pubblicato il primo libro mi hannodetto “Va beh, tutto questo sta finendo, i lettori non cisono più, tutto questo morirà”. Poi ho cominciato ascrivere per il cinema e mi hanno detto il cinema -non ne parliamo - è morto, non ci sono più i cinema, ifilm italiani non esistono più. Poi ho cominciato ascrivere per i giornali e i giornali sono finiti, ma sonofiniti da tantissimo tempo.

Quindi l’apocalisse è il mondo in cui noiabbiamo vissuto e dove continuiamo nella sostanza avivere. E il libro digitale è stato uno dei modi di mani-festarsi dell’apocalisse quando è arrivato; hanno dettoche è finito tutto, è morto tutto. Noi conviviamo conquesto fatto. Penso che capiti a molti. A me capita,non lo so, una decina, una quindicina di volte all’annoda quando scrivo - e sono vent’anni - che mi chia-mano per un programma televisivo, o un programma

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radiofonico, o un’inchiesta giornalistica e mi chiedonodi consigliare a qualcuno di leggere, perché leggere èbello e bisogna dirlo mentre invece la lettura stamorendo.

Quindi io, che ovviamente penso che leggere èbello, visto che scrivo e visto che scrivo perché hocominciato a leggere, e penso che leggere sia una dellecose più belle del mondo, devo convincere qualcunoche questa cosa che è già bella in sé deve essere bella.Ed è una cosa che non funziona. Infatti si dice che siimparano tante cose, si allargano i mondi, si diconoun sacco di cose vere, ma che nella sostanza sonodelle cazzate, perché in fondo è come se uno dicesse“fare sesso è una cosa bella”, ma tu ogni giorno devispiegare agli altri perché è bello e uno dice “beh, èbello, fatelo e vedete che è una cosa bella”. E ancheleggere è una cosa bella, ma la convivenza di unmestiere con la sua morte è una cosa che nel mondocreativo è una caratteristica, appunto, e ovviamentequello che bisogna fare è convivere con questa morte.

Io scrivo ancora libri, scrivo ancora film, scrivoancora sui giornali pur sapendo che tutto questo staper morire, o è morto già, o morirà tra poco. La forzache uno deve avere sta proprio nel fatto che deve inqualche modo impattare contro questa apocalisse ecercare di reagire e dire: “va bene, ho comunque unacosa da dire e la dico lo stesso”. Ma cos’è che porta alnuovo? In fondo, appunto, il racconto di Maurizio

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Maggiani era proprio il racconto di tutti i limiti diun’infanzia degli anni ’50, il racconto che ognuno dinoi fa. E ancora chi nasce adesso fa il racconto dellepotenzialità, ma anche di tutti i limiti, e dei sogni chesi hanno per rompere questi limiti.

Io faccio sempre un piccolo esempio, ma che facapire il costume reazionario, come dire, quasi istinti-vamente reazionario nel nostro paese. Quando era-vamo ragazzini noi le partite la domenica le ascolta-vamo a Tutto il calcio minuto per minuto, che era unatrasmissione radiofonica che si collegava con tutti icampi di calcio. Per tutta la vita da ragazzini abbiamopensato: “pensa che cosa figa sarebbe se questa cosainvece di essere radiofonica fosse televisiva”. Cioèpensate che cosa pazzesca se noi invece di ascoltareuno che ci dice adesso quello sta passando la palla aquell’altro ed è sulla fascia destra, e dobbiamo imma-ginare tutto questo, pensa quanto sarebbe bello,impossibile, che tutto questo noi lo riuscissimo avedere. E questa cosa è avvenuta. E’ avvenuta! Adessose uno ha Sky, la domenica mette Diretta goal e vedeesattamente quella cosa che da bambino immaginavadi vedere. Bene, la maggior parte delle persone dellamia età che conosco mi parla con una enorme nostal-gia di Tutto il calcio minuto per minuto radiofonico.

E appena ottenuto il sogno, si dice: “però comeera bello prima quando ce lo ascoltavamo solo, che celo immaginavamo”. E io penso: ma come, noi sogna-

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vamo tutto questo e quando abbiamo ottenuto questosogno vogliamo tornare indietro? No, non si tornaindietro. E allora, secondo me, la caratteristica dellacuriosità, che Maurizio Maggiani ci ha ricordato esserecaratteristica dei ciechi, non è soltanto loro. Cioè i cie-chi sono curiosi, sì, è vero, saranno più curiosi deglialtri; ma la verità è che è lo scrittore ad essere piùcurioso degli altri. Uno scrittore deve invece acco-gliere il nuovo, non acriticamente, ma il passo inizialeè quello di accogliere, mentre di solito (appunto con illibro digitale avvenne così) il primo passo è stato ditemere questo passaggio.

Oggi, invece, è stato raccontato semplicementeche tutto quello che è successo è successo come molti-plicatore della conoscenza. Addirittura ci sono tal-mente tante possibilità che è impossibile sfruttarletutte. Ma sono successe delle cose: il libro si è evoluto,noi possiamo andare su qualsiasi prodotto e usarequalsiasi mezzo per leggere un libro. E nonostanteleggere un libro sia una cosa bella, c’è anche il libro inquanto oggetto. Sapete, quando si parla di libri si dicesempre: “però l’odore dei libri non ce lo può ridare ildigitale”. Io dico sempre che secondo me bisogna por-tarsi in vacanza un e-reader e un libro che odoramolto di libro, così ogni tanto uno lo annusa e harisolto il problema. Però avevamo un sogno quandopartivamo con le valigie con i vestiti per le vacanze, epoi con un valigione con dentro venti libri - perché

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casomai ne avremmo letti sette, ma avevamo voglia diportarcene venti per avere quella scelta -, e poi chissàforse riuscivamo a leggerne dodici, tredici.

E adesso abbiamo la possibilità di averne due-cento di libri con noi, è ovvio che ne leggiamo sempresette, ma io mi ricordo alcuni momenti con l’e-readersulla spiaggia quando ho finito di leggere un libro eho detto: adesso che leggo? Ed è stato uno deimomenti più eccitanti della vita, perché lì sulla spiag-gia, senza tornare a casa, ti metti a dire: forse leggo unSimenon che non leggo da un sacco di tempo, oppureforse leggo questo saggio sulla superficialità, oppureleggo quest’altra cosa.

E tutto questo non ha eliminato per niente, comestiamo dicendo tutti, il cartaceo, anzi queste due cose,quando sono virtuose, convivono anche perché, comedicevo prima, il libro è soprattutto quello che c’è den-tro il libro. Io adesso sto rileggendo, qui ce l’ho sull’e-reader, Il bell’Antonio di Brancati, per motivi mieidi studio. Lo sto rileggendo sul tablet e, insomma, è lastessa cosa, è Il bell’Antonio di Brancati. Ho scopertoche, dato che lo sto rileggendo e avevo letto il libro, èuguale a quello del libro, proprio uguale, non è cam-biato niente, non c’è da far nulla, è la stessa cosa!

E questa evoluzione, questa libertà, questo fattodi usare più mezzi accresce una delle grandi frustra-zioni, anche questo è stato abbastanza detto stamat-tina, ovvero il catalogo: l’idea che adesso si va in

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libreria e i libri di catalogo sono pochissimi, mentreinvece da quando c’è il digitale il catalogo si accresce.Secondo me gli editori fanno ancora troppo poco.Google Books fa tanto perché riesce a indicare e aricordare, ma gli editori fanno ancora poco perchécomunque hanno continuato a pensare all’editoriacome a un’editoria del fatturato di quest’anno, e nonpensano a recuperare libri di catalogo grazie al fattoche il digitale costa infinitamente meno, comunquemolto meno.

Questa cosa però è avvenuta, sta avvenendo, enon è una cosa trascurabile perché accresce le possibi-lità e, esattamente come diceva Ferraris prima, nonimmaginavamo di poterci vedere un film quandovolevamo, e invece adesso ci possiamo vedere un filmquando vogliamo. Ma non solo. Netflix, che adesso èarrivato in Italia, dà la possibilità di vedere un film sulcomputer, poi tornare a casa e vederlo sull’altro com-puter, continuare a vederlo e riprenderlo da dove lo siera lasciato. E quindi il mezzo non esiste più, esistesolo il rapporto diretto con il film, e a questo punto èesattamente, anche se le sensazioni sono diverse, esat-tamente come stare al cinema.

Quello che ancora non era stato menzionato sta-mattina, ma che era già implicito in quello che è statodetto, è il fatto che veramente uno dei contributi piùimportanti che noi possiamo offrire come mondocreativo, è quello di saper accogliere il nuovo. Sento

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molta insofferenza, facendo parte della comunità dellepersone che scrivono e che leggono, essendo unoscrittore, e avendo dei lettori, quando vado ai festivalo in qualche libreria, ed è come se ci fosse una speciedi P2 dei lettori che dice “noi siamo una comunitàdiversa da tutto il resto del mondo perché noi leg-giamo e noi dobbiamo - come dire - difendere questofortino”.

So che questa cosa è un po’ vera, ma a me creamolta insofferenza perché penso, invece, che questofortino è troppo piccolo e che bisogna romperlo, biso-gna starne sempre fuori, e non deve esistere questagrande divisione tra i lettori e le persone che non leg-gono, come se fossero dei selvaggi. Questa divisione èuno dei grandi equivoci che sono stati creati tra ilmondo intellettuale e il mondo lì fuori, ed è anche unacausa del fatto che il libro continua ad essere un ele-mento arroccato in una comunità ancora troppo pic-cola, proprio perché questa comunità crede di avereuna sapienza diversa e quindi se la difende, se la tiene.Mentre invece è l’idea della novità, del nuovo, del-l’apertura, quella che conta.

In fondo questo racconto che stiamo facendotutti insieme stamattina è il racconto di una accetta-zione definitiva e delle sue virtù, perché ci sono nellasostanza, come è venuto fuori, praticamente solo virtùche non hanno ammazzato nulla del passato, lo hannosolo accresciuto. Questo è un esempio di come la

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scienza, la creatività e, come dire, l’uso che gli esseriumani fanno delle cose, può essere in evoluzione, per-ché il progresso è sempre e comunque un aspetto posi-tivo del mondo e invece, alle volte, la tendenza istin-tiva è quella di difendersi dal progresso. E questa èuna cosa che proprio non funziona mai.

LUCIO ROMANO. Grazie Francesco Piccolo. In par-ticolare, riterrei opportuno sottolineare la giustavalenza positiva che è stata data ai nuovi mezzi di dif-fusione culturale che superano la ormai classica divi-sione tra il mondo intellettuale e il “mondo di fuori”,così come sono stati accortamente definiti.

Darei la parola a Vincenzo Vita, cui ho chiestola cortesia di intervenire in sede di conclusioni per unmotivo ben preciso. Siamo al Senato e Vincenzo Vitaè stato autorevole Senatore della Repubblica nellaprecedente legislatura, vicepresidente della VIICommissione permanente Istruzione pubblica e beniculturali.

Giornalista, collabora con il quotidiano IlManifesto ed è curatore di una rubrica - Rimediamo -che tratta di comunicazione, media e politica.

A Vincenzo Vita vorrei chiedere un approfondi-mento sulle seguenti considerazioni. Con i nuovimezzi, le nuove tecnologie, abbiamo la possibilità diavere un numero di gran lunga superiore di libri e nonsolo. Interpreto questa maggiore diffusione, grazie a

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sempre nuovi e accessibili mezzi, anche come testimo-nianza di una democrazia culturale che dà la possibi-lità a più persone, appunto, di potervi accedere.Significa sicuramente emancipazione e sviluppo.Significa, in definitiva, maggiore democrazia.

VINCENZO VITA. Grazie. Tra l’altro, parlare perultimo ha sicuramente un punto a favore, quello diaver ascoltato considerazioni molto condivisibili (nonlo dico per retorica o piaggeria) e interessanti.Tuttavia, prendere la parola alla fine ha anche ildifetto che il dibattito si possa prolungare troppo.Provo a rispondere subito al quesito, meno innocentedi quello che forse si pensava. Perché poco innocente?Perché sembra facile, come diceva una vecchia pubbli-cità, allargare, partecipare...

Permettetemi questa considerazione. Mi sonooccupato di questi temi, appunto per anni. In Italia -per motivi, credo, tutti politici - per una lunga sta-gione, “digitale” è stato considerato un aggettivo di“televisione”. Siccome bisognava allargare il numerodei canali, per motivi non nobilissimi, insomma farpassare per l’Antitrust - già debolissimo - questa oquell’altra azienda (i nomi sono noti: ora Mediaset, sichiamava Fininvest quando ancora ci fu quella batta-glia), “digitale” è passato per essere un aggettivo, noninvece un sostantivo. Mi perdonerete la banalità, ma -non è banale, anzi, perché quello che avete detto con-

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forta - anche il libro digitale è parte del “complessodigitale”. “Digitale” è una sorta di esperanto dellacomunicazione della stagione della rete. Dentro similecontesto affascinante, pieno di prospettive, conun’evoluzione tecnologica fortissima, la legge diMoore è stata persino soppiantata in velocità.

Il professor Ferraris ha detto una cosa moltobella: il film straordinario 2001 Odissea nello spaziosembra - eravamo nel ‘68 - che non immaginasse ilcomputer. Tra l’altro, un anno dopo sarebbe avvenutol’allunaggio, e si racconta che il livello tecnologicodell’Apollo 11 fosse molto, ma molto al di sotto diquello che è contenuto in questo iPhone, tant’è veroche non Armstrong, ma Edwards, quando dovetteripartire, ormai stava finendo tutto, si era persinorotto il bottone, e lui riuscì a far ripartire miracolosa-mente la navicella, ormai ai residui della sopravvi-venza, con una penna biro che infilò dentro ilbuchetto che era rimasto. Erano alle soglie, diciamocosì, della “sventura” che storicamente avrebbesegnato il mondo.

Per dire che siamo dentro un percorso che non èpiù neanche facilmente sintetizzabile. La società infor-mazionale, di cui ci ha parlato nei suoi tanti tomiCastells, forse racchiude tutto. Ecco, dentro la conside-razione generale sta la pertinenza della domanda,insieme alla conflittualità, però, del percorso. Cioè:dentro quello che sta avvenendo, per un verso, sicura-

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mente c’è un allargamento potenziale e anche fattualedelle potenzialità cognitive (non per caso si dice“siamo nella società della conoscenza”, “Lisbona2000”, “capitalismo cognitivo”). Sicuramente.

L’opportunità di leggere, vedere, verificare: nonc’è paragone con le gite in biblioteca, con i tantivolumi che si prendevano, le scalette per scrivere, gliappunti. E tuttavia c’è una lotta di egemonia, cheattualmente vede vincenti quelli che vengono chia-mati, con il solito brutto acronimo, gli over the top, ecioè Google, Facebook, Amazon e consimili. Sono igrandi gruppi i quali, oggi, che cosa hanno in mano?Attenzione, introduco tale argomento, perché la lottadi egemonia è feroce e seria. Non hanno solo in manol’opportunità tecnologica, bensì pure ciò che i tecno-logi chiamano l’algoritmo: la capacità tra l’altro diaggregare i dati. In realtà, sono dei grandi aggregatori(nel caso di Google e Facebook) o (nel caso diAmazon) delle gigantesche reti di distribuzione.

E poi ci sono i temi connessi del copyright, degliopen data, dei big data, dei controlli possibili - poten-ziali perlomeno - sulle vite di tutti. Ma, per tornare alpunto, c’è un conflitto culturale del quale sarebbeopportuno prendere fino in fondo consapevolezza, eche non ha una soluzione da costruirsi con uno slo-gan, e tuttavia dobbiamo esserne consapevoli. Perché,nel momento in cui noi utilizziamo la straordinariaopportunità che ci offrono i possessori dei dati, in quel

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momento noi siamo - come ha scritto bene una stu-diosa francese - gioiosamente colonizzati dall’am-biente digitale; siamo - qualcun altro ha aggiunto,anche più duramente - schiavi, ma felici. Nelmomento in cui abbiamo un dato in più siamo con-tenti, però in quell’attimo offriamo - è stato detto bene- una opportunità (Google docet) di arricchimento perquesto o quel soggetto. Certo, il gioco vale la candela.

Però, ricordo quando si pose il tema (nella VIICommissione, la scorsa legislatura) serio e concretis-simo del libro digitale nelle scuole, e ci fu unanovella della legge del 2008 - che poi era unasequenza della legge finanziaria (chiamiamola cosi,maldestramente) - che già introduceva l’argomento.Si pose una questione delicata, nel gergo si dice digi-tal divide. Si può evocare giustamente l’opportunitàdi una digitalizzazione completa dell’ambiente cogni-tivo, ma alla condizione che vi siano due cose: unapari opportunità nell’accesso (quindi un open access)e decenti alfabetizzazione e formazione informaticheper tutti, e non solo per fasce di società che per pas-sione o per censo siano più proiettate a entrare nellacomunicazione post-analogica. Insomma, quello chechiamiamo universo digitale. Tema enorme, questo,ancora decisamente sottovalutato. Molto spesso que-sti temi sono affrontati da figure, con il potere didecidere, che in realtà parlano di digitale pensandocon la testa analogica, e il digitale diventa una sorta

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di surplus. Cioè il salto da compiere - vorrei conse-gnare al dibattito questo piccolo contributo - è pro-prio questo.

Anche il legislatore (siamo in una sala delSenato, anche se il Senato verrà ridimensionato e lodico con amara ironia) deve porsi il problema diimmaginare la rivoluzione digitale come non unasorta di circo - purtroppo spesso accade, avete visto lapolemica sui digital champions - in cui “entra ora illeone”. No, no: è la normalità dell’evoluzione, è laquotidianità dell’evoluzione, da affrontare già con latesta digitale. E se è vero che la parte dell’infanzia chesi avvicina all’habitat cognitivo ritiene del tutto ovviousare il touch (basti guardare una bambina o un bam-bino, anche di 4-5 anni, come si dispone rispetto alloschermo del computer o dell’iPhone), le persone piùadulte, pur se coltissime, in realtà si avvicinano alloschermo con la logica della macchina da scrivere,come quando c’erano i motorini maggiorati.

Ecco, se non si fa un salto - che significa forma-zione permanente dei giovani, ma degli adulti, deidiscenti e dei docenti pure - non avremo quel feno-meno che Fidler ha chiamato la mediamorfosi(appunto tu lo dicevi prima, Piccolo), oppure che èstata chiamata remediation da Bolter e Grusin, cioè latransizione conflittuale. Ecco, un conflitto da gover-nare.

Per concludere, perché veramente si sono dette

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tantissime cose di grande valore, vorrei aggiungereche una grandissima questione politica (dove però perpolitica non si intende qui un concetto un po’ angustodi politica, ma l’idea della polis), è se l’Europa - se nediscute, soprattutto in Francia – può ambire acostruire un autonomo algoritmo. Chi controllerà lanuova Babele dei dati? E quale sarà l’altra faccia dellastraordinaria opportunità che noi abbiamo, che ogginon vediamo? Ecco, questo è un tema di straordinariorilievo, come i citati capitoli del copyright, dell’ac-cesso free o non free al software. E infine: il tema dellabanda larga. Ci porterebbe a un altro convegno.

Il Presidente Zavoli, che cortesemente ci havoluto tra gli interlocutori, chissà se immagineràanche un’altra sessione. La banda larga: per tutto que-sto serve la connessione e servono valori di connes-sione molto alti, sennò facciamo la fine, mutatismutandis (perdonate l’ironia), del povero Edwards, chesì e no con una penna... Perché la velocità di moltipli-cazione dei dati necessari per poter stare dentro lasocietà dell’informazione è tale per cui oggi c’è il pro-blema della banda larga: di più, della banda ultra-larga, e l’Italia è al penultimo posto in Europa, al di làdi tante dichiarazioni un po’ sloganistiche che ascol-tiamo. E superare la marginalità nel villaggio globaleche sempre più è di fronte a noi, richiede di affrontareadeguatamente il dibattito, non solo per le pur impor-tanti e magari consistenti élites.

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Post scriptum: mi stavo guardando, in vista diquesto dibattito, un po’ di dati. Ma non ve li racconto,perché vi annoierei. Però ce n’è uno che assomigliamolto anche a ciò che è successo in altri media.Bisogna stare attenti. C’è sempre una sorta di stop andgo nelle fasi dell’innovazione: l’anno scorso c’è statonegli Stati Uniti, lo ha detto l’Association of americanpublishers, un meno 10% di ebook. Però si è avuto, trail 2008 e il 2010, un aumento del 1260%.

È verosimile, insomma, dico in conclusione, chetutto questo dibattito si debba un po’ normalizzare,uscendo da un contesto di eccezionalità, supponendoche quel che conta stia altrove. No: questo “è”, non“sarà”, il mondo, e dobbiamo attrezzarci affinché tuttiquanti vi possano stare dentro bene. Poi mi pare chesia Piccolo sia Maggiani ci abbiano detto una cosadecisiva: c’è anche un’opportunità in più per la creati-vità, per i linguaggi. Non è vero che dopo la culturadella scrittura analogica sia arrivata la catastrofe. Cipossono essere tante straordinarie iniziative anche sulpiano culturale, che potrebbero aprirci orizzonti deltutto inesplorati. Ecco, per fare questo servono un’ini-ziativa molto forte, una convinzione, una cultura poli-tica che se ne voglia interessare davvero (Roncaglia hascritto molto al riguardo), e non si riduca il tema dellibro digitale al problema delle provvidenze - purimportanti - per l’editoria.

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LUCIO ROMANO. Grazie. Al termine dell’incontro dioggi, inviterei i relatori a soffermarsi, con un rapido econclusivo intervento, a richiamarci una parolachiave. Keywords di sintesi che significano il propriosentire.

Diverse ne ho scritte, come sintesi di ogni contri-buto offerto dai relatori. Un sommario di parole chiaveche possono essere anche da guida per ulteriori appro-fondimenti che la Biblioteca del Senato vorrà promuo-vere.

Ne ricordo solo alcune: “frammentazione”, “gra-nularità”, “analfabetismo”, “conoscenza”, “forma-zione”, “bellezza”, “conflitto”.

Pertanto, chiederei a ogni relatore una rifles-sione riepilogativa.

PEPPINO ORTOLEVA. Va bene, raccolgo questa pro-posta. La parola chiave è “storia”. Nel senso che noistiamo vivendo dei passaggi storici, lo ha sottolineatomolto Gino Roncaglia, e mi pare che abbia ragione.Nel senso che se noi, e anche Piccolo lo ha detto, leg-giamo questo problema del libro digitale come unprima e un dopo, rigidi, naturalmente destoricizziamoquesto processo che invece è un processo storico. Peròpermettetemi di fare una piccola aggiunta. I processistorici vedono una sovrapposizione di tempi diversi. Èun errore parlare di un prima e un dopo rigidi, dire chec’è stato un web 1.0 e un web 2.0, o un prima e dopo

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il web e così via, e non vedere che i tempi della storiasono vari.

Vorrei farvi un esempio, che ci aiuta a capire.La mia personale convinzione è che il presente è ilpunto geometrico in cui si incontrano diverse duratedella storia, e che noi dobbiamo leggere il presenteesattamente così. Questa è, in fondo, la sfida mag-giore che il presente pone a chi pensa in termini sto-rici. In questo presente del libro digitale, per usare lametafora, perché è una metafora secondo me, si èaperto questo seminario; in questo presente del librodigitale si incontrano almeno, e dico almeno duediversi tempi.

Abbiamo parlato della abbondanza di disponibi-lità di libri. Abbondanza che è stata vista in chiavidiverse: maggiore disponibilità di conoscenza da unlato, dall’altro lato anche potenzialmente una sorta dispreco, comunque una sorta di abbondanza pura-mente apparente dietro la quale c’è gente che accu-mula libri ma non li legge, per esempio.

In realtà questo processo della “abbondanza deilibri” non è cominciato con il digitale. Non è assoluta-mente cominciato con il digitale. Maggiani ci parlavadei dodici libri della sua biblioteca. Qui vicino, alladiscoteca di Stato, c’è una bellissima testimonianza,che è stata raccolta negli anni ‘30, di Grazia Deleddache comincia esattamente con queste parole: “La miafamiglia, gente di toga e di spada aveva autorità e

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aveva anche biblioteca”. Ai tempi in cui GraziaDeledda era bambina, avere biblioteca era un segno diautorità sociale e culturale; già l’avere dodici libri incasa di un operaio di origine contadina è stato un pas-saggio, da questo punto di vista. La biblioteca, sia purepiccola, poteva esserci anche nel mondo operaio.

Poi negli anni ‘50 e ‘60 è esploso il tascabile. Lebiblioteche sono diventate molto più diffuse. Nondimentichiamoci questo: il libro digitale non è arri-vato in un mondo come quello di Grazia Deledda, nelquale i libri sono aumentati improvvisamente. Il librodigitale è arrivato, almeno per quanto riguardal’Europa e parte dell’Asia, in un mondo in cui il libroera già una presenza abbondante. Un grande socio-logo, Alvin Gouldner, sostiene addirittura che è iltascabile una delle cause principali del ‘68 europeo,perché improvvisamente milioni di giovani potevanocomprare e leggere testi di sociologia ecc., senza pas-sare attraverso le biblioteche, l’università e così via,interpretandoli autonomamente. È un’interpretazionema, per dire, questa moltiplicazione del libro ha unastoria che è lunga almeno un secolo; e il digitale è unpezzo di questa storia.

Dall’altra parte però, poiché i processi sono mol-teplici, c’è anche un altro processo. In questo presenteci sono dei conflitti. Io alla lavagna ho elencato deiconflitti tra aziende, ma ci sono anche dei conflittipolitici tra una varietà di soggetti, per esempio le

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norme che regolano il digitale sono uno dei granditemi della politica oggi. Vita lo ha detto molto benealla fine: sono un grande tema della politica, però conun problema di fondo. Primo, la tecnologia: è difficilefare leggi sulla tecnologia quando non la si controllatotalmente. Secondo, dove le facciamo queste leggi: inuno Stato come l’Italia, nel mondo, in Europa e cosìvia. Siamo quindi al centro di una serie di tensionipolitiche, e in un processo di lungo periodo, ovveroquesta immensa espansione dell’offerta di informa-zione, di cui la rete in fondo è lo sbocco, dopo unsecolo di lettura e scrittura diffusa.

MAURIZIO FERRARIS. Io penserei una parola come“emergenza”, nel senso che emergenza ha un doppiosignificato: da una parte evoca ‘uscita di emergenza’, ipompieri in una catastrofe, qualcosa del genere; dal-l’altro, invece, allude a qualcosa che ‘emerge’ e non èprevisto, e che ha delle caratteristiche proprie. Peresempio, la vita e il mondo così come noi lo cono-sciamo, sono un frutto di emergenza e non l’opera diqualcuno che ha pensato come organizzare tutto que-sto.

Vorrei fare una considerazione: se noi vediamoquesto genere di trasformazioni come un’emergenzanel senso del catastrofismo, rientriamo in una nobiletradizione ben rappresentata dai filosofi. Mi spiego.Esiste uno strano effetto, diciamo così, prospettico, per

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cui la tecnologia che esiste nel momento in cui noiveniamo al mondo viene ‘naturalizzata’, e tutte le tec-nologie successive vengono vissute come l’ingresso diun alieno potenzialmente pericoloso.

Ad esempio, sappiamo bene che Platone se laprendeva con la scrittura anche per ragioni di bottega,nel senso che, visto che lui aveva una sua scuola, gliseccava che vi fosse un mercato librario che potenzial-mente faceva concorrenza alla sua scuola - è successoanche questo - quindi diceva che la scrittura rovina lamemoria, trasmette dei saperi falsi, e così via. Moltotempo dopo, Heidegger sosteneva che si può scriveresoltanto a mano, da intendersi con la penna. Quindinon aveva più niente contro la scrittura, gli andavabenissimo la scrittura, però visto che lui, appunto,aveva imparato ad usare la penna e quindi aveva‘naturalizzato’ la penna, pensava che scrivere a mac-china fosse catastrofico e introducesse l’automatismonel pensiero, e così via. Tutte cose che ci risultano dif-ficili da comprendere adesso, ma che a lui dovevanoapparire evidenti.

Confesso, nel mio piccolo, che io stesso ho avutoiniziali resistenze nei confronti del computer; adope-ravo la macchina per scrivere in base ad un ragiona-mento che adesso è risibile e cioè: “eh si, però, con ilcomputer hai sempre bisogno della stampante”. Perchévisto che uno vedeva ancora il computer come unaspecie di super macchina per scrivere elettrica, ten-

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deva a considerarlo ancora semplicemente comeun’estensione della prestazione della scrittura e noncome un libro ed un archivio, e il fatto di non poterpoi stampare era vissuto come un limite.

Perché accade questo? Perché una delle proprietàdella tecnica è quella di avere degli sviluppi general-mente imprevisti dagli stessi inventori. Normalmentela tecnica ha più risorse di quante non ne abbiano gliuomini. Questo viene visto solitamente come una cosadisastrosa, ma io la considero una fortuna, nel sensoche aumenta molto le nostre possibilità.

Quindi, l’idea sarebbe: invece di assumere l’at-teggiamento dell’emergenza del tipo 1, e cioè “addio, èfinito, non ci sarà più niente ecc.”, consideriamoinvece l’emergenza del tipo 2, cioè il fatto che ci sonodelle cose che ‘emergono’ e che sono oggettivamenteuna crescita e non una perdita. Quello che è impor-tante perché sia una crescita e non una perdita è nonsmarrire le possibilità, le capacità precedenti. Adesempio, io considero problematico il fatto che adessonegli Stati Uniti la maggior parte degli studenti, anchedi università, non sa scrivere senza errori di ortografiaperché fa sempre affidamento sulla possibilità del cor-rettore automatico. Questo è un depauperamento.Pensando a questo, diciamo che, se Heidegger avessedifeso la manoscrittura non dicendo “perché la scrit-tura a macchina inibisce il pensiero speculativo”, ma“perché la gente se si fida del correttore automatico

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non impara più l’ortografia”, effettivamente avrebbedato un buon argomento! Anche perché, di per sé, lamanoscrittura non viene abbandonata. Faccio notareche tutti, a questo tavolo, parlando di libro digitaleusiamo la penna e, quindi, appare abbastanza normaleche le tecnologie stiano assieme. Quindi appunto, lamia proposta è considerare l’emergenza nel senso 2,non nel senso 1.

GINO RONCAGLIA. Sono emersi diversi temi oggi,tutti interessanti. Io proverei a usare come parolachiave la parola “scuola”, perché credo che sia unodegli ambiti, lo accennava Vincenzo Vita, in cui lediscussioni su libri elettronici, libri digitali, e così viatrovano una concretezza particolarmente delicata,visto che i nostri modelli formativi influenzano poifortemente lo sviluppo della società nelle generazionisuccessive. Quindi abbiamo una particolare responsa-bilità nel pensare se e come l’evoluzione delle formedella scrittura e della lettura influenza, o possainfluenzare, le nostre pratiche formative.

Però vorrei accennare a un tema interessante chemi pare emerso dal dibattito, che è quello di una certadifferenza tra scrittura e lettura rispetto all’evoluzionedel digitale. C’è stato, lo ricordava prima MaurizioFerraris, un dibattito non da poco sulla scrittura digi-tale negli anni ‘80, ricostruito molto bene, per esem-pio, da Domenico Fioramonte. Però poi, nell’ambito

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della scrittura, il passaggio al digitale è stato larga-mente assorbito e alcune delle argomentazioni cheerano state usate all’epoca oggi, effettivamente, cifanno quasi sorridere, e questo è un aspetto interes-sante di cui tener conto, anche nel considerare ildibattito sulla lettura che c’è oggi.

Ma dicevo “scuola”. Il tema del digitale a scuolae del libro elettronico a scuola secondo me è partico-larmente rilevante perché i modelli che ci vengonoproposti sono modelli diversi tra i quali, in qualcheforma, bisogna muoversi: coesistenza, scelta. Però,certo dobbiamo muoverci in un panorama abbastanzadiscusso. Ci sono almeno tre grandi modelli.

Un paradigma ci dice: le risorse digitali sonocosì tante, così varie, così numerose che non abbiamopiù bisogno della tradizionale risorsa curricolare cheera rappresentata, per esempio, dai manuali di unavolta. Il mondo digitale sostanzialmente diventa unasorta di grande bacino di potenziali risorse educativeche rendono inutili poche risorse strutturate e usate unpo’ come paradigma o modello.

Una seconda possibilità, ed è un secondo para-digma che esiste oggi nel parlare di digitale a scuola, èquella della autoproduzione di contenuti, collegatanaturalmente ad un modello di apprendimento che èun modello costruttivista. Si dice: abbiamo unagrande opportunità di far lavorare docenti e studentialla produzione di contenuti, no a contenuti autoritari

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calati dall’alto, autoproduzione. Ed è un secondomodello, in parte diverso dal primo, perché di questaautoproduzione spesso fanno parte anche dei conte-nuti invece organizzati e proposti come curricolari;per esempio è abbastanza diffuso nelle scuole italianeil modello book in progress, che è un modello di scuoleche lavorano insieme alla produzione di manuali sco-lastici che hanno, per alcuni versi, la forma delmanuale tradizionale, ma sono prodotti collaborativa-mente.

Terzo modello: rinnovamento dell’idea di libro ditesto, conservandone gli aspetti di autorialità, e non èdetto che la costruzione collaborativa sia sempre lamigliore per questo tipo di strumenti e di autorevo-lezza. La frammentazione della rete è eccessiva e letipologie di contenuti che abbiamo sono troppo etero-genei, servono comunque dei modelli forti.

Ora tra questi tre paradigmi che sono moltodiversi, noi ci troviamo a dover in qualche modo sce-gliere e a dover in qualche modo operare probabil-mente anche delle negoziazioni. Io ho l’impressioneche la nostra negoziazione non possa prescindere,proprio per la ricchezza di strumenti e di contenutidisponibili in rete, dall’idea di avere anche dei fili con-duttori. Sono un po’ preoccupato da un modello solodebole dell’uso del digitale a scuola; grande varietà,ma niente di effettivamente forte e sostanzioso che sipossa usare un po’ come filo conduttore. Preferisco,

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tra i tre modelli, lavorare partendo dal terzo. Quindi,utilità di contenuti forti e strutturati, e ripensamentodella forma libro di testo scolastico, arricchendola conle possibilità del digitale, ma conservandone una fun-zione di filo conduttore, tenendo conto che la ric-chezza enorme di materiali che c’è in rete può inte-grare, ma secondo me non sostituire, alcune risorsecurricolari di riferimento.

Allora, pensare agli strumenti del digitale scola-stico e al mondo degli ebook a scuola come un mondoin cui in qualche modo bisogna trovare strumenti perfar coesistere al meglio risorse strutturate curricolaridi riferimento, che in qualche modo diano l’idea delpercorso formativo su cui si vuole lavorare, e risorsegranulari integrative che possono aiutare a persona-lizzare i percorsi, ad aumentare le voci in campo ma,appunto, senza perdere completamente funzioni diorientamento e di bussola, che secondo me ci devonoessere. E ritengo che questo tipo di digitale forte e nondebole, che credo sia richiesto dalla scuola, abbiabisogno anche di competenze specifiche. Bellissimo illavoro di autoproduzione, ma le competenze editorialinon spariscono nel digitale; anzi più si moltiplicano lepossibilità, e più la necessità di lavoro di selezione emediazione, anche professionale, è necessario. Lovediamo nel mondo delle biblioteche e lo vediamoanche, io credo, nel mondo della scuola.

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MAURIZIO MAGGIANI. La mia parola è “carta”.Dunque io non leggo libri di carta da cinque anni perproblemi di vista, quindi non uso nemmeno il kindleperché troppo piccolo, uso un iPad bello grande. I pro-blemi della lettura sul digitale per me quali sono: icosti altissimi, perché siccome posso comprare unlibro in qualunque momento del giorno e della nottefacendo un click, ne compro troppi. L’altro problema èdi status symbol, perché chi viene a casa mia dice:però non è che c’ha tanti libri in libreria, no?

Detto ciò, “carta”. Io ho un amico lucchese - laLucchesia è un distretto importante nel settore carta-ceo - che è un industriale della carta. Sulla carta lui midice che sta bene, ci fa i soldi. Il problema è la materiaprima, sempre più scarsa. La parte più importante delsuo lavoro è produzione di carta di alta qualità. A cosaserve la carta di alta qualità? A fare la carta igienica.Il vero business della carta, è la carta igienica! Tiraquel settore lì, e tirerà sempre di più. E quando quellidicono “ah, l’odore della carta stampata”, è odore dimerda, perché è fatta con la parte peggiore della pro-duzione cartacea. E poi comunque l’odore del librostampato non esiste più, perché era un insieme dipiombo e cellulosa; adesso non si stampa più colpiombo, sono tutte balle.

Detto questo, l’industria cartaria calcola che duemiliardi sui sette miliardi della popolazione, oggi, nonfanno ancora uso costante di carta igienica. E sono

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due miliardi di esseri umani che hanno tutti i diritti,come li ho io, non dico quanto mia moglie, per l’amordi Dio, ma quanto ne uso io al giorno, cioè sei-settesegmenti, pari a un metro e ottanta, va bene? Miamoglie: sono sette metri. Io parlo del mio metro eottanta. Questi due miliardi di esseri umani prima opoi vorranno anche loro i loro centottanta centimetrigiornalieri di carta igienica. Moltiplicate centottantacentimetri per due miliardi, cosa viene fuori al giorno?Viene una necessità di materia prima che oggi è indi-sponibile, va bene? Oggi è indisponibile.

Bisognerà, forse, tagliare i parchi e mettere alposto dei cedri del Libano dei pioppi da carta per sod-disfare questa richiesta. E se un signore di Kinshasa odi un villaggio del Punjab viene e dice “no, abbipazienza, io c’ho sto problema, ho diritto o no?... Certoche ho diritto!”. E allora se si dovrà scegliere undomani tra pubblicare un romanzo di MaurizioMaggiani e soddisfare la necessità di igiene intimadegli abitanti del Punjab, certamente si sceglierà, giu-stamente da un punto di vista etico, morale, politico,di soddisfare le esigenze del Punjab. E non posso dar-gli torto, capite? Non posso dargli torto.

Detto ciò, quando voi comprate un libro, il“parallelepipedo”, adesso non ne ho nemmeno uno perle mani, qui non ci sono libri di carta, l’ottantadue percento del costo di quel libro sono costi di post-produ-zione. Cioè, l’82% dei quindici-venti euro corrispon-

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dono alla stampa, alla distribuzione e allo stoccaggio,sono decine di milioni di metri cubi di materiale che vamesso fisicamente in posti che costano cifre enormi diaffitto; l’82% dei costi di un libro riguardano dallastampa al libraio che te lo mette dentro la busta. E nonsolo lì, il libro non finisce dal libraio, il libro finisce alrogo, al macero. Allora l’87%, chi dice l’85%, chi dice il90%, della carta stampata che entra in libreria se neesce per andare al macero invenduta. Esiste, io vichiedo (c’è un economista qua?), esiste un’impresacommerciale che può reggere con il 90% della resa delsuo prodotto? No.

Dopodiché, certo, continueremo. Quando sonostato a Mantova questo settembre e ho visto tutti glieditori mi sembrava di essere alla convention degliincisori di tavolette d’argilla d’Alessandria d’Egitto nelterzo secolo ab Urbe condita. Un po’ tutti spaesati. Ecerto, sì, tutti un po’ spaesati, come erano distruttiquelli che scrivevano i libri sull’argilla o gli ama-nuensi. Però poi non è mica finita lì, ancora oggi siscrivono libri a mano e si vendono a due o tre milionidi euro l’uno, no? Il libro di carta durerà, durerà a cin-quecento, seicento euro il volume forse, perché è unoggetto, perché è estetica, perché è materia che cipiace, che piacerà ancora nei secoli. Però, ricordateviche due miliardi di esseri umani vogliono carta peraltri più essenziali usi.

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FRANCESCO PICCOLO. Io dico una cosa velocissima.Parola: “il romanzo”. Perché noi siamo, appunto, quiinvitati, due scrittori, e ci sono due elementi importantida sottolineare.

Il primo è che, veramente, per la narrativa il sup-porto è completamente indifferente. Questa è unacaratteristica particolare perché, al contrario, la saggi-stica, la scolastica, ecc., hanno delle possibilità, dellepotenzialità rispetto al libro digitale completamentediverse dalla narrativa. In fondo un romanzo è, comedicevo prima del Bell’Antonio, identico su carta e suldigitale. Invece, qualsiasi altra forma di libro, di cono-scenza, di sapere, può avere delle potenzialità grazie allibro digitale che, secondo me, finora, non si sonoquasi per nulla espresse. Quindi il libro digitale puòrappresentare un’evoluzione seria del libro di carta, maquesta cosa riguarda poco il romanzo.

E ancora a proposito del romanzo c’è da dire –questo Roncaglia lo diceva a proposito della scuola,ma nella narrativa questo fenomeno esiste già – cheda quando è nato il digitale è nata una specie dienorme democrazia della narrativa. Si pubblica tantis-simo, l’“a proprie spese” quasi non esiste più, e la con-fusione tra vari tipi di narrazione, varie qualità di nar-razione, può essere, come dire, gestita ancora soltantodall’editore. Quegli editori che stavano a Mantova (acui faceva riferimento Maggiani), e sembravano nelmondo delle tavolette d’argilla, esistono ancora e

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devono esistere ancora nel digitale, perché sono loro apoter fare una cernita, sono loro che riescono a capirecosa pubblicare. In sostanza, ci si può ancora affidaread una struttura editoriale.

L’editoria non è soltanto un’azienda economica,ma è un’azienda culturale e il mondo culturale puòessere ancora determinato da un editore sia nei gusti,sia nei criteri, sia, soprattutto, nella selezione dellaqualità. Queste cose per un romanzo sono ancoramolto importanti, e rendono molto simili il libro digi-tale e il libro cartaceo, quasi come in nessun altro set-tore del libro, che si tratti di manualistica, di saggi-stica, di scolastica o di tutto il resto.

Tutto può cambiare, ma se, come dicevaRoncaglia, nella scolastica ancora ha un peso la sceltaeditoriale, nel romanzo questa esiste ancora tantis-simo, ed è del tutto determinante.

VINCENZO VITA. Mi verrebbe da chiedere lalicenza di poter usare due parole chiave che si intrec-ciano, cioè “diritti” e “poteri”. Nel senso che ladiscussione di questa mattina ci offre uno scenario distraordinario interesse ed è bene continuare su que-sta linea di ricerca per dare anche un contributo aidecisori di vario tipo, non solo quelli politici, istitu-zionali, ma anche quelli manageriali, diciamo le éli-tes culturali. Non stiamo parlando di una questionestravagante, ma stiamo parlando di quello che

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Ortoleva diceva il presente, il presente in tutte le sueimplicazioni, la sua complessità. E nel contempodobbiamo anche dare il senso che questo potenzialeallargamento dei diritti, della partecipazione, il fattoche si possa scrivere e leggere nello stesso tempo -sono stati coniati anche neologismi più meno curiosi- hanno però come elemento di riferimento inesora-bile, oggi non meno, ma più importante (e Roncagliadiceva specializzazione, competenza) chi ha in manoil pallino della decisione, chi sta nella stanza dei bot-toni.

Cioè, come avviene la scelta della enorme strut-tura dei software sempre più sofisticati ed evoluti, chesorregge questa enorme macchina di cui noi vediamoil terminale. Questo è un capitolo, se posso dire, intru-folandomi in scienze serie, in filosofia - con il profes-sor Ferraris - della conoscenza di questa stagione delmondo. Ho letto molte cose di Ferraris interessanti sulrealismo, e questa è una questione di realismo. Stiamodi fronte a una verità che ci sbatte in faccia. Non pos-siamo parlarne come se fosse un gadget; è la que-stione delle questioni, ecco perché, e chiudo, potreidire “democrazia”. Per essere più politically correctdiciamo così. Ma se usiamo l’antinomia “diritti” e“poteri”, forse ci accorgiamo che dentro simile dialet-tica sta una chiave di lavoro culturale e politico: sta-gione del mondo.

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LUCIO ROMANO. Con le parole chiave, indicate eargomentate dai nostri relatori, si conclude il semina-rio di oggi. Ultima tappa di un percorso finalizzatoall’approfondimento di tematiche inerenti il libro,l’editoria e nuove forme di trasmissione e diffusionedella cultura. Un percorso denso di approfondite con-siderazioni, stimolante per ulteriori iniziative. Accoltocon favore dai tanti che hanno accompagnato, a variotitolo, questa iniziativa.

Rivolgo un sentito ringraziamento ai relatori e aognuno dei convenuti che, in costanza di attenzione eavvertita partecipazione, ha seguito i vari interventi ele riflessioni proposte.

Un ringraziamento molto caro a Sergio Zavoli,promotore di questi seminari e delle molteplici attivitàche contraddistinguono da anni la Biblioteca delSenato, con il prezioso contributo di funzionari e col-laboratori della stessa Biblioteca.

Posso anticipare che seguiranno altri incontri,dedicati a temi di significativa attualità come il rap-porto tra giovani-scuola-lettura e l’evoluzione dellanostra lingua.

Voglio concludere con una citazione di UmbertoEco che, a me sembra, possa rappresentare il filo con-duttore dei nostri seminari. Direi di più: traccia uncammino, evoca ed esorta a una responsabilità, impe-gna a una promessa: “Chi non legge, a 70 anni avràvissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vis-

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suto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele,quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammi-rava l’infinito … perché la lettura è un’immortalitàall’indietro”.

Grazie.

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CONCLUSIONI

SERGIO ZAVOLI. Siamo sempre più indotti a capireche cosa significa dover credere che non c’è mai tantobisogno di politica come quando essa stessa, non dirado, sembra autorizzarci a voltarle le spalle. Abbiamoascoltato cose che appartengono alla vita, e alla qua-lità del suo futuro, soprattutto quello dei figli e deinipoti, come il problema di rispettare l’insorgentenecessità di muoversi in una contemporaneità semprepiù veloce e complessa. Inseguire la conoscenza, comeacquisirla, difenderla e arricchirla vuol dire darle unsignificato che corrisponda alla prospettiva di unacultura capace di esprimere valori non solo di soprav-vivenza, come parrebbe esigere ancora il duro passag-gio dell’attuale realtà. Del resto, la complessità è unacategoria anch’essa dovuta all’indissolubilità dell’ap-prendere, ogni volta, qualcosa in più non solo, ovvia-mente, di noi stessi.

Leggevo giorni fa una rara e bella espressioneche riguardava il libro. Dopo una serie di geremiadisulla debolezza dei consumi, sui problemi dell’editoria,

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sulla difficoltà di ritrovare il bandolo dei doveri e dellarichiesta culturale del nostro Paese, ho letto che leg-gere significa, semplicemente, “volersi bene”. Non hotrovato bizzarra, ripeto, la bonaria interpretazione delconsumo culturale! Credo, anzi, che si debba comin-ciare a volersi bene, per esempio, interessandoci a ciòche si costituisce nella consapevolezza di doversi ren-dere responsabili del pensare e dell’agire, valutandoche siamo una società di cittadini il cui scopo civile èdi partecipare alla crescita della nostra identità cultu-rale e della sua reputazione non solo nazionale.

Certo, molto accade secondo un apparente para-dosso: la complessità si scontra, sempre di più, con lavelocità. Sono due fenomeni che raramente vannod’accordo, e spesso addirittura si scontrano; ma riflet-tevo sul crescente valore di ricchezze che abbiano ilpresupposto di incontrarsi, e darsi la parola, dissentiree condividere. Un’inezia: quando mi venne chiesto checosa avrei voluto fare in televisione, risposi che misarebbe piaciuto dedicarmi, particolarmente, alle“interviste”. “Interviste a chi?”, mi chiese l’alloradirettore del Giornale Radio, Piccone Stella. “A coloroche non hanno voce, pur avendo opinioni e passione.In sostanza perché l’incontro di idee, princìpi e oriz-zonti mette insieme qualcosa che prima non c’era; eperché non si esce mai completamente indenni dalpensiero altrui”. Mi parve che ciò rappresentasse unasorta di pendolo della relazione, poi del confronto,

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specialmente del libro, la più articolata, organica eorganizzata strumentazione dell’apprendimento edella conoscenza. L’importanza della relazione stadimostrando come il futuro del vivere civile - èun’idea del Nobel per l’economia Amartya Sen - spettiin larghissima misura al mondo della comunicazione,cominciando proprio dal libro, fatto salvo, è evidente,il dover affrontare anche una serie di fondate obie-zioni.

Sta maturato anche dentro di noi un tempo chereclama un aggiornamento culturale, e in pari tempopolitico, secondo cui non è più imperativo l’assiomaideologico secondo cui “solo il reale è razionale”;l’umanità e il suo inderogabile domani sanno di doverdeclinare altre formule per affrontare l’incontro tra ciòche pensiamo e ciò che dobbiamo. Non è solo pragma-tismo, è anche il vichiano “conoscere facendo”. È ciòche, nei nostri spazi, abbiamo contribuito a tenere invita in un luogo che è tutt’uno con il dovere di allar-gare al solidarietà e la condivisione di un bene che,non a caso, viene chiamato lievito della mente e dellospirito.

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STAMPA:Tipografia Print Company S.r.l.

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