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©EQUITABILE SEI ® Scuola di Equitazione Integrata I SEGRETI DELL’EQUITAZIONE INTEGRATA: il lavoro educativo attraverso la mediazione animale.

il lavoro educativo attraverso la mediazione animale. · corretta espressione etologica nel rispetto ... L’equitazione integrata permette l’ottenimento di evidenti risultati solo

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Scuola di Equitazione Integrata

I SEGRETI DELL’EQUITAZIONE

INTEGRATA:

il lavoro educativo attraverso la

mediazione animale.

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L’interazione uomo-animale presenta importanti valenze emozionali, cognitive, formative, assistenziali e terapeutiche che vanno promosse, tutelate e valorizzate all’interno della società.

Per portare ad eccellenza tali valenze si ritiene indispensabile promuovere un rapporto uomo-animale che sia equilibrato e consapevole, caratterizzato da reciprocità e corretta espressione etologica nel rispetto delle specifiche individualità. Art. 2 della Carta Modena

ATTENZIONE: questo e-book contiene dati criptati al fine di un riconoscimento in caso di pirateria. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Autore. È espressamente vietato trasmettere ad altri il presente libro, né in formato cartaceo né elettronico, né per denaro né a titolo gratuito.

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INDICE:

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 6

L’Handicap, Società e Riabilitazione . . . . . . . . . . . pag. 12

La relazione educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 20

Le attività svolte attraverso la mediazione animale . . . . . pag. 22

Sport e handicap . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 25

La Rieducazione Equestre . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29

Il compito del tecnico dal punto di vista educativo . . . . . pag. 32

Equitazione Integrata e rischio di dispersione scolastica . . pag. 34

Il ruolo del cavallo nell’educazione alla pluralità . . . . . . pag. 37

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42

Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 45

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Chi è Roberto Lambruschi: Innanzitutto è un Operatore del Settore che, dopo anni di importanti esperienze in diverse Realtà Associazionistiche ed Istituzionali si è deciso a fare il “grande passo” per creare, insieme ad un gruppo di amici e colleghi, EQUITABILE® : il Movimento tra i più moderni ed attinenti alle diverse esigenze del Terzo Settore nello sport-educazione e delle Attività Assistite per mezzo del cavallo e degli animali in genere. Dopo la necessaria carriera agonistica nel salto ostacoli e nel dressage, base fondamentale di crescita umana, formativa e culturale, ha conseguito negli anni alcune abilitazioni equestri presso i più rappresentativi Enti Sportivi Nazionali del CONI: questo gli ha permesso di porre le basi per far convergere il magico mondo del cavallo e dell’equitazione con un più intimo e personale indirizzo verso il sociale in genere.

I corsi in terapia con il mezzo del cavallo, e nello specifico come terapista della psicomotricità con specializzazione per addetti all’Area psico sociale Educativo-ludica-sportiva presso la Scuola Nazionale A.N.I.R.E. -certamente la più importante per serietà e riconoscimenti nel settore- sono stati fondamentali per sviluppare una buona esperienza a contatto con le persone con problematiche varie e provenienti dai vissuti più diversi. Parallelamente, “sfruttando” la particolare attitudine di Burro, il suo cane Labrador, ha svolto il percorso formativo alle Terapie Assistite con i piccoli animali, secondo le linee guida della Delta Society Americana: il tutto per maturare nuove modalità di approccio e di metodologia tecnica, traendone interessanti spunti per il suo lavoro quotidiano. Credendo fortemente nello sport come evoluzione della terapia, ha ottenuto nel tempo importanti brevetti nel campo dell’equitazione (operatore ANTE, animatore pony e tecnico di equiturismo della F.I.S.E., preparatore di equitazione campestre ACSI ed istruttore dirigente ENGEA) e dell’equitazione rivolta alle persone disabili (istruttore di equitazione per disabili F.I.S.D., assistant coach ed ispettore tecnico di equitazione di Special Olympics Italia). La partecipazione alle manifestazioni equestri per disabili indette dai diversi Organi di riferimento ha lo scopo di permettere ad alcuni dei suoi cavalieri con maggiori abilità tecniche di potersi sperimentare innanzitutto contro loro stessi in quanto l’obiettivo di Roberto mira sempre non alla performance ma alla sfera educativa e dell’autostima personale. Da menzionare una grande opportunità che ha permesso ulteriore crescita professionale ed umana la convocazione ai Giochi Mondiali di Equitazione “Speciale” (Irlanda 2003) come Allenatore della Squadra Nazionale Italiana.

Le specifiche abilitazioni ottenute in campo C.O.N.I., quale Dirigente, Organizzatore ed Educatore sportivo hanno completato un percorso formativo che è sempre alla continua ricerca di conoscenze per essere sempre aggiornato in un campo in perenne evoluzione. Ma non finisce qui: l’organizzazione di diverse manifestazioni equestri finalizzate all’inclusione sociale dei diversabili in un

contesto allargato (è stato l’ideatore della prima manifestazione unificata di equitazione in Italia) con particolare riguardo verso i più piccoli e l’ottenimento del riconoscimento di Messaggero di Pace dell’UNICEF attesta una certa predisposizione ed attività sempre alla ricerca della novità e della condivisione.

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Da queste esperienze e competenze acquisite negli anni ha avuto l’onore di ideare e far nascere l’Equitazione Ricreativa per Disabili nel 2000 ed essere nominato Responsabile Nazionale della Divisione E.R.D. - ENGEA. La partecipazione come relatore a convegni ed a tavole rotonde, diverse consulenze sul fronte tecnico e divulgativo (nel Portale del Cavallo è un “esperto risponde”, firma periodicamente articoli su alcune riviste del settore equestre e del sociale) completa la presentazione di Roberto. Recentemente il prestigioso incarico ottenuto in seno all’Ente LIBERTAS, quale Responsabile Nazionale per l’Equitazione Integrata e la stretta collaborazione con il Settore Equestre di ACSI, gli hanno permesso di rinvigorire le sue idee e progetti in materia di Inclusione Sociale, grazie a vere e disinteressate collaborazioni che vedono grandi opportunità per l’immediato futuro! In sinergia con questi importanti Partner organizza corsi di specializzazione per Tecnici di Equitazione Integrata EQUITABILE® (all’interno dei quali è anche formatore su alcuni argomenti), grazie ad una solida esperienza teorico-pratica, ma soprattutto forte dell’impegno quotidiano nel lavoro “sul campo” con persone deboli in sella.

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Introduzione

Quando ci si riferisce ad attività rivolte alle persone cosiddette “deboli”,

spesso si utilizza il termine “terapia”: ergoterapia, terapia occupazionale,

musicoterapica, arte terapia, orto terapia...

E’ interessante conoscere l’etimologia di questa parola, la cui radice ter – o

tar– in greco antico significa “sostegno”; nel tempo ha assunto una

connotazione che porta ad interpretarla univocamente nel senso di “cura”.

Tutti abbiamo bisogno di “sostegno” e, nello specifico, abbiamo bisogno degli

altri, ma soprattutto abbiamo bisogno di incontrare gli altri attraverso dei

mediatori; la comunicazione, ad esempio, è il mezzo principale per entrare in

rapporto con l’altro e la realtà nel modo più efficace possibile.

Abbiamo bisogno di sostegni quando ci confrontiamo con una situazione che

non consideriamo del tutto “regolare” o, se vogliamo utilizzare un termine più

impegnativo, “normale”.

Quando la normalità si discosta dai nostri comuni canoni socio-culturali

necessitiamo di sostegni più forti e di mediatori particolari che non ci mettano

in condizione di chiudere, ovvero ridurre la possibilità di incontro con l’altro: i

pregiudizi sono una discriminante fondamentale di questi aspetti...

E’ ben chiaro, a questo punto, come si sia radicalmente modificato il concetto

di “normale” in una Società in continua e rapida evoluzione: non solo le varie

forme di handicap (soprattutto quello mentale) risultano per molte persone

ancora “imbarazzanti”. Anche altre forme di diversità in genere, come quelle

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culturali, etniche, religiose... tutto è potenziale fonte di pregiudizio, quindi di

chiusura (e pregiudizio).

Tutto ciò che non rientra “nella norma” è interpretato dal nostro cervello come

potenzialmente pericoloso, quindi quantomeno da evitare, se non eliminare.

Diventa così necessario aumentare lo scudo dei sostegni atti a conoscere queste

diversità: la “conoscenza” diventa quindi l’elemento fondante per aprirsi ad un

mondo che cambia!

Il termine terapia si è applicato a fin troppe situazioni (come quelle già citate

sopra ad esempio) diventando un elemento alquanto ingombrante. Si è

dimenticato che molto spesso la disabilità è una condizione esistenziale con la

quale bisogna convivere (certamente tentando di migliorarne le condizioni

della persona, senza però voler estremizzare cure atte ad un effimero

accanimento), non è sempre una malattia.

Il rischio maggiore è che si sviluppino insieme ai fondamentali e

giustissimi aspetti della ricerca altre dimensioni di carattere -diciamo così-

commerciale; si sviluppino, cioè, delle possibilità di commercializzazione delle

risposte ai bisogni e di quotarle per l’ottenimento di un guadagno economico.

Questo è –banalizzando la nostra riflessione- il passaggio che a volte viene

fatto dall’educazione alla terapia poiché quest’ultima pratica è la più

remunerativa e sarebbe considerata a pelle come la “più seria”, “più ufficiale”

maggiormente tangibile nei risultati rispetto alla prima.

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Riconoscendo il valore delle grandi e validissime Scuole che propongono una

seria formazione nella Riabilitazione, desidero limitarmi solamente nel

considerare quanto queste realtà rivolgano prettamente i loro servizi a coloro

che hanno una formazione in ambiente riabilitativo (terapisti, medici, ecc).

Ma veniamo al sodo di questo nostro e-book.

Il tema dell’Equitazione Integrata riguarda un tipo di intervento educativo

ancora poco conosciuto dove l’aspetto relazionale con l’operatore, il contesto

del gruppo e la mediazione con il cavallo divengono i mezzi fondamentali per

l’ottenimento di importanti risultati basati su progetti educativi individualizzati,

attraverso una progressione tecnica che segua necessariamente i tempi del

singolo utente.

Non si vuole pretendere di inventare nuovi ambiti di intervento, o di proporre

nuove tecniche rivoluzionarie.

Personalmente ho iniziato il mio percorso formativo con una tra le

migliori scuole di specializzazione in Riabilitazione Equestre Italiane,

successivamente sono approdato un po’ per caso nel mondo dello sport nel

Terzo Settore, acquisendo una buona base anche su questo fronte.

Relativamente alle mie esperienze professionali ho potuto notare quanto alcune

aree del Sociale non venissero considerate e come l’aspetto Educativo fosse

tenuto ai margini di molti, troppi interventi.

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Parallelamente le richieste che mi pervenivamo per fornire la mia consulenza

risentivano di esigenze basate su quest’ultimo aspetto, e sempre più le richieste

di collaborazioni giungevano da Realtà che proponevano educazione, non

terapia.... Da queste basi, per rispondere a necessità ancora irrisolte è nata

prima l’equitazione ricreativa (solo rivolta a disabili) e successivamente una

nuova e più moderna sua evoluzione: l’Equitazione Integrata (aperta anche ad

altri strati del rischio di emarginazione sociale).

Le basi che muovono l’azione di quest’ultima sono fondate su questo semplice

ma efficace assunto:

“Il Terzo Settore non è un mondo a parte ma parte del mondo”

E’ il Sociale nel suo complesso al centro delle azioni educative

dell’Equitazione Integrata, dove le diverse abilità risultano il target più

influente; sempre più si affacciano nuove utenze provenienti dagli strati deboli

della popolazione, a rischio di esclusione: le cosiddette “nuove povertà”.

Proprio perché il Sociale è “parte del mondo”, ci si rivolge anche ai cosiddetti

normodotati, senza però aver la presta di insegnare “la vera equitazione”.

Lo scritto è strutturato in più parti; nella prima vengono affrontate una

serie di considerazioni inerenti l’handicap, evidenziando gli aspetti sociali,

relazionali e di necessità all’inclusione che influenzano il percorso di vita di

una Persona portatrice di disabilità o a rischio di emarginazione per arrivare ad

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una reale integrazione sociale. L’ideologia che sta alla base di ogni intervento

rieducativo deve prendere in considerazione il soggetto nella sua globalità

attraverso esperienze ricche di significato: in tal modo si agisce su tutto il

sistema relazionale, dalla famiglia fino all’intera società.

Successivamente viene trattato il valore della comunicazione e della

mediazione animale nelle attività assistite a fine educativo, con alcuni accenni

alle origini della rieducazione equestre ed i differenti ambiti di intervento.

La naturale conclusione di questo scritto punterà l’attenzione sulla relazione

educativa che si va a determinare in un contesto “alternativo” come quello

all’aria aperta attraverso il nobile animale. Verrà posta particolare attenzione

ad alcune nuove azioni volte alla mediazione culturale: un progetto di

conoscenza tra le nuove diversità e di inclusione particolarmente efficace,

sicuramente nuovo.

L’aspetto interessante e allo stesso tempo sorprendente delle attività

equestri integrate è che possa risultare estremamente diverso rispetto ai

tradizionali percorsi rieducativi.

L’equitazione integrata permette l’ottenimento di evidenti risultati solo se

vengono mantenute le apparenze ludico-ricreative e se verrà praticata in un

ambiente disteso e non rigido, fatto di obiettivi, metodologie appropriate e

verifiche periodiche.

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Creare le condizioni attraverso le quali l’equitazione integrata possa divenire

un momento di “gioco” e di conoscenza è alla base dell’intervento stesso in

quanto il gioco è fondamentale per l’uomo, a maggiore ragione per i più

giovani.

La finalità ultima di un intervento di tipo educativo in equitazione

integrata è sempre quello di generalizzare le competenze, ovvero di acquisire

abitudini sociali spendibili nella vita di tutti i giorni: si cerca la Persona,

composta di una parte abile ed una parte non abile, non certo l’atleta! Questa è

la grande differenza che distingue l’azione delle attività assistite (nelle quali

l’Equitazione Integrata di EQUITABILE® rientra) dalle attività finalizzate

all’aspetto sportivo-agonistico vero e proprio.

In questa breve panoramica è evidente come l’equitazione integrata rientri in

un ambito di intervento ben distinto dalle azioni della Riabilitazione Equestre e

dello sport agonistico pur mantenendone validi alcuni fondamentali principi,

finalizzando il tutto alla maggiore ricerca di competenze in un pieno benessere

per la Persona e per gli animali coinvolti.

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Handicap, società e riabilitazione

Con il termine di handicap si fa riferimento ad una vasta gamma di situazioni

che possono rendere svantaggiata una persona in rapporto con le altre.

Spesso le condizioni di handicap e di disadattamento vengono

involontariamente e impropriamente sovrapposte, esse dovrebbero però

rimanere due realtà distinte, infatti, la prima tende a coincidere con la seconda

ma non la esaurisce.

Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, l’handicap è uno svantaggio

che impedisce, al soggetto che ne è portatore, di svolgere all’interno del gruppo

di appartenenza un proprio ruolo, e di soddisfare le aspettative correlate al suo

sesso, alla sua età, e alla sua condizione sociale.

La definizione della condizione di persona handicappata rimane comunque

cosa non scontata, perché implica l’analisi di varie e complesse problematiche.

Ad esempio l’handicap è il riflesso di conseguenze culturali, sociali,

economiche ed ambientali che derivano all’individuo dalla disabilità; va

sottolineato come essa faccia riferimento a due ordini di parametri, quello

biologico e quello sociale.

Rispetto al primo parametro di tipo medico-biologico, la persona portatrice di

handicap si caratterizza per un danno da cui deriva una menomazione, più o

meno stabile, delle condizioni fisiche (sensoriali e/o motorie) e/o psicofisiche

del soggetto.

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Circa il parametro di tipo sociale, la persona handicappata si distingue in

quanto oggetto di un processo di emarginazione.

Ciascuna delle due connotazioni, se considerate singolarmente, non sono

sufficienti a definire concretamente la condizione di handicap che rimane

vincolata all’esistenza di entrambe.

Il rischio spesso ricorrente è che la persona con handicap non sia considerata

come portatrice di una menomazione, ma come una persona menomata nel suo

complesso, estendendo a tutta la persona l'inferiorità che è solo di una singola

funzione.

A questo pregiudizio può seguire l'idea di

una complessiva inferiorità del soggetto con

handicap legittimandone una sua

emarginazione.

Lo svantaggio non sarebbe determinato dalla disabilità in sé, ma dal fatto che la

società non tiene in debita considerazione i bisogni delle persone diversabili e

non permette loro di valorizzare le loro capacità.

In una nuova e più attuale classificazione viene modificata drasticamente la

terminologia sulla base di nuovi presupposti:

• a livello fisico si usa ancora il termine menomazione (impairment);

• a livello della persona nel suo complesso, disabilità è stato sostituito

con "limitazione all'attività personale" (activity)

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• a livello della società, handicap è stato variato con "restrizioni alla

partecipazione sociale" (participation).

Una volta chiarito il concetto di handicap, e cosa definisce la condizione della

persona che ne è portatrice, rimane da chiedersi in che modo la società si

rapporta con essa.

La difficoltà dell’ambiente fisico, peraltro frutto dell’organizzazione

sociale, e l’atteggiamento degli individui e dei gruppi nei confronti

dell’handicap, possono unificarsi con il termine di “barriere” .

Negli ultimi decenni si è dedicata molta attenzione al problema

dell’handicap in una prospettiva di reale integrazione, intesa come processo

volto a valorizzare l’identità dei singoli in riferimento ad un contesto più

ampio.

In precedenza l’handicap era stato considerato una malattia da curare oppure

una incurabilità da assistere all’interno di istituzioni specializzate di carattere

diurno o residenziale.

Successivamente, attraverso un movimento culturale che si contrapponeva alle

tendenze emarginanti e stigmatizzanti, si è andati verso una filosofia egualitaria

che, seppure lodevole sul piano della coscienza civile, lasciava irrisolti molti

problemi reali.

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La persona con handicap è una presenza “problematica”: se da un lato è titolare

di pieni diritti, dall’altro si discosta profondamente dalle aspettative sociali così

da apparire estranea e diversa.

Il tessuto sociale non ha ancora imparato da accettare le disabilità (soprattutto

quelle più invalidanti o che influenzano la sfera cognitiva e mentale); la

risposta del perché è quasi scontata: l’handicap è per la società l’immagine

stessa della sconfitta, in quanto il dis-abile (ovvero non-abile), la persona non

potrà mai seguire e assecondare appieno quelli che sono i miti che la società

moderna ci propone.

Una piccola –apparente- divagazione ci porta a considerare quanto

possa essere paragonata simile la persona “diversa” solo perché di diversa

cultura o etnia, e di come la nostra società italiana, ancora molto, troppo

provinciale, tenda ad emarginare questi soggetti rendendoli i moderni

“handicap indotti”.

Il processo di continuo e reciproco confronto tra l’handicappato e il “sano” (il

diverso vs. il normale) non sempre riesce a conseguire il fine dell’integrazione;

tutta l’organizzazione della nostra società infatti è fatta per i “sani” ed il

disabile è spesso visto come eterno bambino che necessita di cure per tutta la

sua esistenza.

Da ciò risulta evidente come vengano “minati” quei diritti e quei valori che

sono alla base della società moderna e che ne reggono l’equilibrio; la parità dei

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diritti civili, il diritto all’istruzione e la lavoro, la possibilità di un’autonomia

economica, il diritto ad una propria identità unica e soggettiva...

Curare, allevare, istruire sono comportamenti che esprimono le

posizioni progressive della nostra società nei confronti dell’handicappato, ma

quando ci troviamo di fronte ad insormontabili difficoltà e prendiamo

coscienza che siamo impotenti a colmare la differenza, tutto crolla e spesso si

abbandona il soggetto disabile limitandosi ad accettarlo così com’è. Non a caso

si assiste a maggiori interventi terapeutici-riabilitativi in soggetti in età

evolutiva, fino al punto che la vita del giovane disabile è invasa dalla presenza

della riabilitazione.

Il bambino è per definizione “recuperabile” ed è proprio per questo che spesso

si assiste ad un intervento terapeutico nei primi anni di vita. Il disabile vede il

suo percorso evolutivo attorniato solo da figure in camice bianco che gli fanno

richieste sempre più pressanti.

Trattare il discorso relativo l’integrazione della persona handicappata nel

tessuto sociale, ha permesso di valutare i problemi con ottiche nuove

rispettando l’individualità del soggetto che si trova alla costante ricerca di

equilibrio tra il suo modo di rapportarsi alla realtà e il proprio corpo.

Tale prospettiva vede il soggetto disabile in un’ottica globale, di esperienze

ricche di significato per sé che vanno ad agire su tutto il sistema relazionale

comprendente la famiglia fino all’intera società.

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L’integrazione sociale della persona disabile ha visto come massima

espressione quella relativa il diritto al lavoro.

Intorno agli anni settanta, quando il sistema dei servizi specializzati per

l’handicap quali scuole speciali, laboratori protetti, centri medici

psicopedagogici, viene messo in discussione e violentemente attaccato, parole

come integrazione e socializzazione cominciano ad assumere un’importanza

fondamentale.

La critica che viene mossa alle istituzioni si riversa sulla concezione della

riabilitazione che punta sul versante tecnico sanitario, escludendo quello

sociale.

Socializzazione che ha come mezzo e come fine l’inserimento nei luoghi e

nelle istituzioni della vita quotidiana, le quali devono, per tale scopo,

modificarsi per potersi così adeguare ad accogliere chi prima era escluso e

vissuto come diverso.

L’inserimento delle persone diversabili all’interno del mondo del lavoro, è

vista come massima espressione di integrazione sociale, e sicuramente lo è.

Ma cosa fare per tutta quella fascia di disabili gravi e gravissimi che terminato

il percorso scolastico non possono essere inseriti nel sistema lavorativo?.

A tal fine esistono servizi che rivestono grande importanza quali: l’assistenza

domiciliare, le comunità alloggio, i centri residenziali e quelli socio-educativi,

CDD, ecc.

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Queste realtà hanno lo scopo di continuare un processo educativo (finché

esistono i presupposti in termini di disponibilità all’apprendimento del

soggetto, dopodichè si passa al mero assistenzialismo) volto a sviluppare

autonomie in riferimento alla “cura personale”, alla capacità di stare con gli

altri in modo adeguato e nel rispetto della situazione secondo le regole del

vivere civile.

Rispettare le differenze senza pretendere di eliminarle, creare le basi

attraverso le quali un soggetto disabile possa interagire con il mondo esterno,

con le persone e con le cose permette di porre lo stesso in una situazione di

scambio attraverso l’uso di strumenti e facoltà.

In altri termini il disabile è tale soprattutto nel suo rapporto con l’ambiente,

quando si manifesta l’incontro-scontro con gli ostacoli che l’ambiente fisico e

sociale presenta.

L’intervento rieducativo deve uscire dall’ottica di confronto ugualitario per

dirigersi verso un rapporto globale tra individuo ed ambiente; per crescere e

cambiare si ha bisogno di emozioni, affetti, movimenti e contatti con gli altri e

con le cose.

Il punto di partenza dell’intervento rieducativo è la considerazione che esistono

in ogni individuo delle capacità residue che vanno potenziate e sviluppate, da

ciò è possibile sperimentare le proprie competenze ed arrivare alla conquista di

un’autonomia che non sia nonostante l’handicap ma in relazione con esso.

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In ogni approccio di tipo rieducativo viene data massima rilevanza ad

un’indipendenza sociale, capace di indurre nel disabile la massima autonomia,

integrazione e capacità di giudizio.

Le azioni devono essere programmate in un’ottica di sperimentazione

nell’ambiente reale, permettendo al disabile di prendere coscienza del proprio

handicap e di poter lavorare in relazione ad esso.

Se al contrario l’intervento riabilitativo non è attuato nell’ottica di un ambiente

reale si rischia un fallimento, generando false aspettative di recupero con

mancata accettazione del danno; da questa non accettazione può derivare un

disadattamento sociale fino a forme di auto emarginazione.

A maggiore ragione un modo corretto di gestire il rapporto rieducativo consiste

nell’operare in un ambiente naturale, lontano da ospedali, permettendo

l’aumento della motivazione e gratificazione immediata con conseguente

memorizzazione di ciò che si è appreso.

L’uso di mezzi e ambienti con caratteristiche ludiche può risultare di aiuto e

dare notevoli risultati anche per ciò che concerne la sfera emotiva-relazionale

attraverso una maggiore interazione.

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La relazione educativa

Ogni intervento pedagogico finalizzato al raggiungimento di obiettivi è

strettamente collegato e dipendente dalla modalità relazionale tra educatore ed

utente.

L’instaurarsi di significative relazioni interpersonali, e la qualità della relazione

sono caratteristiche fondamentali per una buona riuscita di un progetto

educativo.

Attraverso l’interazione e la comunicazione, si viene ad instaurarsi un rapporto

educativo in direzione di un reale cambiamento.

Le qualità dell’interazione riguardano comportamenti quali: empatia,

collaborazione, contatto, cooperazione, incoraggiamento e supporto.

Attraverso queste qualità, viene a crearsi un clima inter-umano positivo, le

persone in interazione possono sviluppare ed acquisire sentimenti di fiducia

nell’essere accettate dagli altri e di ricevere, quando è necessario un eventuale

supporto.

Nella relazione educativa, il comportamento relazionale dell’educatore va

considerato interdipendente con gli aspetti metodologici dell’agire pedagogico

(obiettivi, regole, atteggiamenti educativi), va dato rilievo sia agli aspetti

affettivi che operativi.

Non è sufficiente affermare che l’educatore è chiamato ad agire solo

mettendosi in relazione: il momento relazionale va colmato da contenuti

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riguardanti il fare, conoscere, esplorare ecc., che non servono solo all’utente

ma anche all’educatore come momento di autoanalisi personale o di gruppo

con il resto dell’équipe.

Come già accennato l’aspetto affettivo svolge un ruolo fondamentale nei

processi di apprendimento.

Vivere con il proprio utente un percorso formativo basato sulla fiducia,

produce la spinta e rappresenta la molla al cambiamento; tale cambiamento è

visto come parziale abbandono di conoscenze, certezze, modi di agire per

affrontare un campo nuovo, incerto e instabile, in questo senso la fiducia

diventa particolarmente efficace.

E’ importante sottolineare come nella relazione spesso giochino fattori emotivi

negativi alla relazione stessa. Il “buon educatore” è in grado di gestire al

meglio ed in modo “distaccato” le proprie emozioni lasciando il tempo

necessario all’altro di apprendere senza sostituirsi, predisponendo un contesto

adeguato, protetto, aperto all’esplorazione, fornendo la capacità di poter

decidere autonomamente senza per questo sentirsi abbandonato e preda di

angoscia per il cambiamento richiesto.

Oltre all’aspetto affettivo, anche i contenuti operativi dell’agire assumono

importanza all’interno di una relazione educativa.

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Elementi quali obiettivi, contenuti, metodi, strumenti e risorse danno forma

all’agire dell’educatore in una piena consapevolezza del ruolo all’interno della

relazione stessa.

L’educatore per essere tale deve costantemente “mettersi in gioco” quando le

persone nella comunicazione interagiscono in modo trasparente e autentico le

relazioni stesse sono facilitate.

E’ importante sottolineare che nel sociale la relazione è sempre una relazione

di aiuto, di sostegno appunto.

Per poter decidere l’aiuto più opportuno è bene considerare la situazione in cui

l’aiuto viene dato valutando attentamente le attese a cui si intende rispondere.

L’intervento infatti deve essere tale da giustificare la nostra interferenza nella

vita di un’altra persona, si instaura così una relazione che dipende da quello

che si decide e da quello che si riceve.

Le attività svolte attraverso la mediazione animale

Universalmente conosciuta come Pet Therapy o terapia con gli animali è nata

in America nel 1953 da un incontro casuale tra un bambino autistico ed il cane

del suo psichiatra.

L’animale forniva al bambino la possibilità di uno scambio affettivo e di gioco

che rendeva più gradito l’incontro terapeutico.

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Attraverso la sperimentazione di questo metodo, si è potuto notare come il

comportamento che si instaura tra esseri umani e animali si basi sulle stesse

stimolazioni che si riscontrano tra individui della stessa specie (tenendo

presente che gli animali non essendo in grado di esprimere giudizi permettono

una maggiore libertà comportamentale), da ciò la possibilità di utilizzare

l’animale come mediatore emozionale.

Le ricerche in corso a vari livelli nel campo della Pet Therapy mostrano varie

modalità in cui l’animale agisce positivamente sull’uomo. Il più importante

meccanismo di azione tra l’uomo e l’animale è di tipo affettivo, agendo di

riflesso come rilassante e tranquillante; da ciò si determina una serie di risposte

che sono opposte rispetto alle risposte causate dallo stress.

Un intenso rapporto uomo-animale rappresenta uno stimolo psicologico che

coinvolge il comportamento sociale e i meccanismi di relazione quali elementi

caratteriali e aspetti cognitivi.

Altro aspetto molto importante nella Pet Therapy riguarda l’elemento ludico.

L’interazione con l’animale si svolge spesso sotto forma di gioco, rinforzando

la relazione e permettendo di stabilire un vero e proprio dialogo.

Altro meccanismo fondamentale, riguarda l’assumersi di responsabilità nel

farsi carico di un animale, delle sue esigenze e del suo benessere; tutto ciò

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permette la presa di coscienza del proprio valore, delle proprie responsabilità,

dei propri doveri favorendo quindi la maturazione psicologica.

L’animale offre la possibilità di stabilire una relazione e di uscire

dall’isolamento: interagire con lui porta ad allargare la gamma delle emozioni e

delle relazioni.

L’utilizzo degli animali nel processo rieducativo facilita il passaggio da un

atteggiamento di chiusura ad uno di apertura, con conseguente miglioramento

delle funzioni fisiche, sociali, emotive delle persone.

Da quanto sopra esposto risulta evidente l’importanza del rapporto uomo-

animale in questi ambiti di intervento, rivelando emozioni e desideri di

comunicazione e dando forma a relazioni ricche affettivamente.

La Pet Therapy (sarebbe più giusto parlare di Attività, Educazione o Terapie

Assistite con la mediazione animale – A.A.A.-A.A.E.-A.A.T.) è un metodo che

comprende una vasta gamma di stimoli i cui risultati non sono condizionati da

continue e ossessive richieste ai soggetti.

Essendo un metodo “naturale”, tale attività prevede ambienti naturali, si crea

così una netta rottura rispetto l’idea di riabilitazione legata ad ospedali o case

di cura.

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Le persone che praticano le attività integrate sono spesso reduci da esperienze

riabilitative ospedalizzanti, ritrovare un ambiente naturale quale una casa o un

maneggio (a seconda dell’animale utilizzato) permette ed aiuta a sentirsi a

proprio agio, comportandosi più liberamente e fidandosi maggiormente degli

operatori.

Nel campo dell’handicap e soprattutto con persone che presentano problemi

psichici, si assiste spesso a continue richieste che di frequente superano le loro

capacità di risposta; tutto ciò può portare a perdita di autostima e

demotivazione, poiché un semplice gesto quotidiano, per chi presenta gravi

patologie, può risultare di difficile esecuzione.

Con la mediazione degli animali tutto ciò non succede, viene data importanza

alla spontaneità della relazione, all’aspetto ludico e motivante indotto dalla

vicinanza degli animali, dal fatto che questi accettano gli individui così come

sono senza chiedere nulla in cambio.

Sport e Handicap

L’attività sportiva svolta dalle persone diversabili, si caratterizza per delle

finalità e delle metodiche coincidenti con le finalità dichiarate del SSN: infatti,

all’Art. 1 della 833, il SSN viene definito “…costituito dal complesso delle

funzioni…dei servizi e delle attività destinati alla promozione…ed al recupero

della salute fisica e psichica…senza distinzioni individuali…” ; oltre a ciò, “è

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assicurato il collegamento…con i servizi, che svolgono nel settore sociale

attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui…”.

Nella Legge n° 595 del 23/10/85 veniva ribadita la valenza terapeutica dello

sport: nell’Art. 2 venivano definiti gli obiettivi generali del piano sanitario

nazionale, tra cui venivano identificati in via prioritaria gli interventi diretti

“…alla tutela delle attività sportive, relativamente agli aspetti preventivi e

terapeutici per la salvaguardia dei giovani nell’età formativa…”.

Lo sport non è solo un mezzo educativo e preventivo, può essere un valido

strumento diagnostico e riabilitativo. Infatti un intervento o meglio progetto

educativo, prevede l’attività ludico-motoria come mezzo di supporto.

Alcune attività come il nuoto, la ginnastica, l’equitazione, sono ormai

strumenti efficaci per gli educatori ed operatori che lavorano nel campo delle

diverse abilità.

L’attività motoria offre la possibilità di prendere coscienza di se stessi, delle

proprie possibilità e limiti, facendo costante riferimento a regole stabilite e

accettate , strettamente riferite alla realtà.

Gli effetti positivi dello sport possono riguardare sia gli aspetti individuali di

personalità, che i rapporti interpersonali come presa di coscienza delle proprie

possibilità.

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Alcune ricerche svolte nell’ambito dello sport dimostrano come un’attività

motoria possa elevare il livello di autostima, aumentare il senso di sicurezza

personale e della capacità di sopportare uno stato di frustrazione.

A livello psicologico, l’esercizio fisico sia per lo sportivo normodotato che per

il disabile, è associato alla riduzione degli stati d’ansia, è un antidoto contro lo

stress e permette di costruire l’immagine del sé.

In tanti anni di lavoro nel campo delle diverse abilità, ho potuto riscontrare in

più circostanze come l’aspetto motorio o dello sport in generale abbia rivestito

un importante ruolo all’interno dei progetti educativi di ogni singolo utente.

Trattare il tema dello sport rimanda automaticamente all’importanza del

significato psicologico del termine competizione.

Il mettersi alla prova e confrontarsi con l’altro è presente in quasi tutte le

attività dell’uomo, ma è anche una componente naturale e insopprimibile della

pratica sportiva che, a certi livelli diventa agonismo vero e proprio.

La psicologia dello sport ci insegna che competitività e gioco sono le due

motivazioni primarie dello sport. Nello sport confluiscono le normali spinte

istintuali, in qualsiasi attività sportiva si cerca un equilibrio tra istinti aggressivi

e libidici.

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Lo sport agonistico svolge quindi una funzione necessaria ad un completo

processo educativo della personalità.

Tutto ciò è maggiormente valido quando ci riferiamo a soggetti disabili, che

nell’affrontare la realtà quotidiana mettono in campo energie molto grandi,

devono più degli altri canalizzare la propria aggressività per evitare che venga

rivolta verso se stessi, con effetti negativi quali isolamento e difficoltà di

rapporti con sé e gli altri.

Attraverso lo sport si possono compensare tensioni, desideri, frustrazioni, fino

a scaricare nell’atto agonistico l’aggressività accumulatasi.

Quando nella “competizione sportiva” l’handicap non viene negato, si ricrea il

“mondo di regole” a sé, particolarmente positivo per il disabile che nella vita

extrasportiva è in condizione di disuguaglianza.

Nello sport il disabile trova vari aspetti psicologici validi; sa di misurarsi con

avversari al proprio livello oltre che con se stesso, inoltre l’impegno che gli è

richiesto è alla sua portata.

Da ciò si hanno diverse conseguenze, come l’eliminazione del senso di

isolamento, la diminuzione di quello di inferiorità e la riappropriazione,

particolarmente avvertibile nell’equitazione, da parte del disabile della sua

realtà psicofisica con i propri limiti, ma anche con le proprie potenzialità

positive.

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Ecco perché, forse, investire in una filosofia di questo tipo potrebbe migliorare

la qualità della vita di soggetti disabili con un conseguente risparmio

economico futuro per la Società: lo sport costituisce un insostituibile strumento

di prevenzione delle patologie degenerative connesse con la sedentarietà e alla

ridotta stimolazione cognitivo - relazionale e, qualora praticato da una persona

diversabile, travalica i confini delle attività ludico - sociali del tempo libero,

per sconfinare in una valenza terapeutica, che anche la medicina sportiva

moderna ha rivelato indispensabile.

La riabilitazione equestre

L’utilizzo del cavallo nella riabilitazione fa parte di una serie di interventi che

rientrano nel campo delle attività assistite.

Il rapporto tra uomo e cavallo si è instaurato molti secoli fa e nel tempo si è

sempre più consolidato.

Fino ad alcuni decenni fa, i cavalli ricoprivano ruoli di grande utilità ed

importanza: venivano utilizzati nel lavoro dei campi, come mezzi di

locomozione e di trasporto. Con l’epoca moderna inizia a diffondersi il loro

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utilizzo negli sport equestri, nel trekking, nel tempo libero ed anche nella

riabilitazione. Per quest’ultimo compito, è bene sapere che il cavallo è stato

impiegato per molti secoli a fini terapeutici: Ippocrate (478 – 370 a.C.)

prescrive l’equitazione come rimedio contro l’insonnia, Asclepiade (124 – 40

a.C.) la prescrive come trattamento curativo contro l’epilessia.

L’uso del cavallo come strumento terapeutico parte dai greci, e

successivamente si estende ai romani, francesi e tedeschi. Dalla metà del XVII

secolo e per tutto il XVIII questo tipo di terapia viene prescritto per disturbi e

patologie diverse.

Precursore dell’attività sportiva per disabili fu il dott. Ludwig Guttmann,

definito da Papa Giovanni XXIII “il De Coubertin dei disabili”, che nel Luglio

del 1944 presso l’ospedale di Stoke Mandeville (GB) iniziò all’attività sportiva

una decina di soggetti ex soldati delle forze armate britanniche resi disabili per

cause belliche.

Il seme era stato posto. Da quella iniziativa locale, attraverso una serie

esperienze seguenti si è giunti all’istituzione delle Paraolimpiadi, da citare

ROMA 1960 dove si posero le basi per effettuare regolarmente le

Paraolimpiadi in concomitanza e nello stesso paese delle Olimpiadi.

Bisogna però ricordare che nella nostra storia equestre alle Olimpiadi del 1952

e 1956 Lis Hartl vinse la medaglia d’argento nel Dressage; l’amazzone danese

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era stata colpita da una grave forma di poliomielite: era disabile….. ma aveva

vinto concorrendo in categoria con gli sportivi cosiddetti normodotati.

La riabilitazione equestre si divide in tre fasi fondamentali, che non sono

statiche bensì plastiche e il cui confine non è netto, proprio a causa del tipo di

relazione che viene ad instaurarsi.

Avremo così:

• l’IPPOTERAPIA: per un’efficace rieducazione posturale-propriocettiva, si

sfruttano le qualità dinamiche del passo del cavallo utilizzato senza sella;

• la RIEDUCAZIONE EQUESTRE ed il VOLTEGGIO: in questa fase si

utilizzano sia la sella che le redini e la persona viene avviata alla

conduzione del cavallo, al fine di perseguire obiettivi rieducativi di tipo

cognitivo-prassici. Il volteggio è rivolto soprattutto a soggetti con problemi

cognitivi e comportamentali; si propone di migliorare il rispetto delle

regole, le sequenze spazio-temporali e la collaborazione nel gruppo.

• PRESPORTIVA: rivolta a soggetti che, avendo acquisito autonomia col

cavallo, sono in grado di interagire col gruppo. Le finalità sono

principalmente di tipo cognitivo e relazionale.

Nel praticare la rieducazione per mezzo del cavallo bisogna sempre tenere in

considerazione la persona che ci è di fronte, le sue capacità, il suo interesse per

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l’attività, i sui bisogni, non dobbiamo necessariamente porci come obiettivo

finale l’arrivo alla fase dello sport agonistico, quello che a noi interessa non è

formare dei cavalieri abili nella tecnica equestre, bensì stimolare l’individuo

allo sviluppo nel suo complesso per diventare il più possibile efficace nella

società.

Qual è il compito del Tecnico equestre dal punto di vista educativo?

L’attività con il cavallo ha lo scopo di fornire a soggetti con difficoltà uno

strumento in grado di esaltare una particolare capacità gestionale, quella cioè di

controllare un essere particolarmente responsivo.

Non è più una persona disabile a dover rispondere alle richieste provenienti

dall’ambiente, a giocare un ruolo tendenzialmente passivo; sul cavallo è lei ad

acquisire crescente controllo dell’animale, col quale è possibile instaurare un

rapporto emotivamente significativo.

Il ruolo dell’Operatore è quindi quello di assicurare un buon livello di relazione

e di sviluppare un ambiente adattivo ed educativo.

In questo ambito gli stili di relazione possono influenzare direttamente il

rapporto tra operatore ed utente; essi si distinguono in:

• Prescrittivo: sostituisce l’autodeterminazione e non favorisce il

problem solving;

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• Punitivo: provoca ansia con conseguente possibilità di instaurarsi di

comportamenti problema;

• Socratico: favorisce autodeterminazione ed autonomia; è lo stile

educativo per eccellenza, quello che conduce ad una vera crescita della

personalità e sviluppa le competenze.

È evidente quale è il migliore stile relazionale dal punto di vista educativo....

Corre l’obbligo, a questo punto, di accennare brevemente all’assertività; con

questo termine si intende manifestare i propri sentimenti ed emozioni in

maniera sincera ed adeguata. La comunicazione assertiva può essere sia

verbale che non verbale; essa vuol dire dimostrare per noi stessi lo stesso

rispetto che portiamo agli altri.

L’assertività:

• Consente di agire nel nostro maggior interesse;

• Aiuta ad affermare le nostre opinioni senza scatenare ansia ed a

esprimere le nostre emozioni in maniera sincera;

• Rende possibile affermare i nostri diritti personali senza negare quelli

degli altri;

La comunicazione assertiva non significa ottenere ciò che vogliamo, significa

comunicare basando l’interazione sul rispetto reciproco.

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Lavorare con una persona disabile può far scaturire emozioni: talvolta la

relazione può risultare difficoltosa, in quanto la comunicazione di un soggetto

con ritardo è più diretta e priva di filtri: ciò può essere vissuto dall’operatore

come un’aggressione o un senso di rifiuto sviluppando in lui sensi di colpa.

Quando si entra in relazione con una persona con disagio, di qualsiasi tipo

possa essere, si avverte il bisogno di erigere delle difese per evitare paure o

ansie: ciò può provocare delle barriere che compromettono la comunicazione.

Il comportamento assertivo diviene così l’unico modo per affrontare ogni

situazione vista come “problematica” in modo efficace e costruttivo.

L’equitazione Integrata come risposta al rischio di dispersione scolastica

Sulla attualissima spinta socio-culturale di una modernità fatta di apparenza, di

falsi miti e di mode spesso a rischio di deviazioni pericolose per alcuni soggetti

particolarmente “deboli”, si crede determinante una risposta forte ed unitaria

delle due Istituzioni cardine volte all’”Educazione alla Vita” delle nuove

generazioni: la Famiglia e la Scuola.

Una solida alleanza tra queste due entità è l’unica risposta per arginare il

dilagante problema che affligge molti giovani: il rischio di dispersione

scolastica.

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È evidente che questo fenomeno sia la risultante di una serie di fattori alla base

dei quali l’identità ed il valore della Persona Umana sono troppo spesso vissuti

come irreali ed irrilevanti.

Il bullismo, una certa intolleranza verso le diversità in genere, il fenomeno

delle dipendenze da alcolici e droghe ed una troppo spinta libertà nel

commettere reati anche a sfondo sessuale completano il quadro di un universo

alquanto patologico, sicuramente sintomatico.

Troppo spesso la famiglia demanda ad altri la responsabilità dell’educazione

dei propri figli; troppo spesso la Scuola riceve questo carico di responsabilità

certamente superiore al suo Ruolo Istituzionale, quasi sempre con mezzi e

risorse insufficienti e con la sola capacità e volontà dei Dirigenti ed Insegnanti

a tentare di arginare il problema.

In questa sezione vorremmo fornire alcuni brevi spunti di risposta a

questo tema delicato, ben sicuri che l’antidoto è da ricercarsi in tavoli di lavoro

allargati ed in un contesto di sinergie in rete che coinvolga tutti gli strati della

società (dalla politica, all’economia, al mondo del lavoro e dell’educazione)

con iniziative volte alla risoluzione dalla base di questi problemi.

Innanzitutto e come ipotesi introduttiva è necessario chiedersi se l’attuale

assetto programmatico e le offerte didattiche della Scuola Pubblica sono in

linea con le necessità delle attuali generazioni: certamente la risposta è

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affermativa ma il nodo fondamentale sul quale è necessario riprendere contatto

con una Società in costante evoluzione verte sull’attualità formativa e

metodologica di contenuti validi ma da riproporre in modalità – probabilmente-

differenti.

Proprio dalla Storia possiamo recuperare una metodologia pedagogica

“innovativa”, segno che le risposte alle difficoltà attuali sono già ampliamente

state adottate nel passato con risultati apprezzabili: il riferimento va alla

“Scuola Rinnovata” di Giuseppina Pizzigoni nel 1889.

Il principio cardine di questa metodologia verte nel porsi in prima linea

nell’operare cambiamenti organizzativi e metodologici, combattendo un

verbalismo spesso intriso di molta teoria e poca pratica (la differenza tra il

nostro sistema scolastico e quello americano ad esempio) e superare l’impianto

dogmatico utilizzato per trasmettere il sapere.

La Pizzigoni, facendo leva sul ruolo dell’esperienza diretta ed interattiva in un

processo di apprendimento globale, sostiene con forza l’idea di una scuola

aperta al mondo ed all’esperienza che ne può scaturire.

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Il ruolo del cavallo nell’educazione alla pluralità

È certamente riduttivo descrivere in poche righe l’importanza

formativa che si va a creare nel giovane che interagisce con un’animale.

I documentari televisivi e le pubblicazioni di tipo naturalistico, così seguite dal

grande pubblico sono l’evidenza del fascino che gli animali suscitano in grandi

e piccoli; questo probabilmente a causa di una certa difficoltà o impossibilità

nel poter ammirare un animale vivo o nel suo ambiente naturale.

Con questo sunto si vogliono affrontare alcuni aspetti del valore

educativo che il rapporto diretto del giovane con animali domestici può

infondere in una personalità in fase di maturazione evolutiva.

Attenzione e accudimento sono le parole chiave in una relazione attiva e

propositiva a contatto con l’animale: se l’interlocutore è un bambino o per un

soggetto disabile questi aspetti acquistano un valore aggiunto soprattutto sul

fronte della maturazione di una personalità in fase di sviluppo e della presa di

coscienza di un’identità responsabile e di servizio.

Pensiamo a tutte quelle attività rivolte al benessere, all’alimentazione, alla

pulizia ed alla salute dell’animale… ; dedicargli comunque tempo fornisce un

carico esperenziale di grande valore e responsabilità!

E’ questo forse l’unico ambito che può rendere per la prima volta un soggetto

consapevole che un altro essere è dipendente da lui e quindi la sua presenza

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gioca un ruolo attivo e determinante per la sopravvivenza ed il benessere di

qualcun altro.

Se il rapporto con l’animale mostra questi importanti aspetti di equilibrio, per il

bambino esso assume soprattutto il significato di un’importantissima

esperienza sul piano della comunicazione e in particolare della relazione.

Nel rapporto con l’animale, da un lato, diventa basilare da parte della

persona saper cogliere i messaggi dell’altro attraverso l’osservazione, la

decodifica e la mediazione di un operatore specializzato al fine di produrre una

risposta coerente e positiva con la comunicazione in atto.

Il significato più generale di tutto ciò conduce, tuttavia, verso l’attenzione e il

rispetto per l’altro, per il diverso da sé, per la sua indole e i suoi

comportamenti, il suo carattere, senza cadere nel tranello di antropomorfizzare

certi comportamenti animali parallelizzandoli eccessivamente alla natura

umana.

L’animale e la relazione con esso diviene quindi un importante ponte

relazionale tra il giovane allievo, il gruppo-classe e l’adulto educatore-

mediatore.

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Quando l’animale è un cavallo le cose si amplificano enormemente proprio per

la caratteristica del nobile animale di poter portare sul suo dorso: questa è la

grande differenza che il nobile animale può determinare e che sviluppa

l’aspetto più prettamente di pet therapy!

Le fantasie umane che il cavallo richiama sono però destinate ad un

ridimensionamento di quella che è la realtà.

Se si pensa al senso di libertà ed alla forza espressa dal nobile animale, quando

si monta in sella ci si proietta verso un Sé grandioso, con importanti spunti per

la stimolazione di una personale autostima e di una propositività latente.

Si pensi ai monumenti equestri (l’uomo a cavallo quale simbolo dell’educatore

capace di infondere la vitalità verso la cultura, il paladino dei più deboli, il

cultore delle scienze e delle arti), al mito del cavallo alato (come simbolo

dell’andare oltre le capacità umane), il centauro (allegoria della forza animale,

dell’istintualità cieca e trasgressiva unita alla ragione umana fatta di regole,

certamente dipendente da un pensiero compiuto ), il cavallo di Zorro….

Nel reale confronto tra cavallo e cavaliere si creano meccanismi di

riassestamento di un immaginario che spesso non corrisponde al vero: spesso il

cavallo prende iniziative autonome, si ribella a certi comandi, esprime a suo

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modo una sua soggettiva presenza che non può essere sempre e solo

sottomessa; spesso reagisce a stimoli esterni con i propri meccanismi di difesa

come la fuga: in queste situazioni il Sé grandioso immaginato viene contrastato

da un se meschino (figuriamoci di fronte ad una caduta…) tanto da porre molti

dubbi se continuare l’attività equestre o mollare il colpo!

Un giusto bilanciamento di esperienze positive e negative, opportunamente

gestite e sviluppate con un educatore equestre - e certamente in situazioni

protette e sicure - permette il raggiungimento di un equilibrio nella personalità

del cavaliere e della sua personalità.

Le attività di Equitazione Integrata conduce così alla consapevolezza di Sé ed

alla successiva accettazione delle proprie soggettive sfaccettature di personalità

e di quelle degli altri; questo è il presupposto per la creazione di un gioco di

ruoli attivamente vissuto nella piena potenzialità e costruttività nel gruppo-

classe allargato.

Cosa viene proposto in tali progetti?

� Attività Assistite dagli Animali ed integrate (specificamente equestri) tra

alunno disabile e gruppo-classe;

� Iniziative di Pet Education e fattoria didattica per l’avvicinamento al piccolo e

grande animale ed alla conoscenza delle filiere agroalimentari;

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� Iniziative di educazione ambientale (Progetto “Insieme in Carrozza”) rivolto

alle scuole dell’obbligo dove bambini normodotati e diversabili partecipano alle

lezioni naturalistiche con laboratori interattivi finalizzati alla presa di coscienza

sulle problematiche ambientali;

� “Liberiamo la Principessa”: giochi con/a cavallo per abbattere i pregiudizi

verso le diversità in genere;

� laboratorio di attività didattiche “Un nonno in maneggio” per l’educazione alle

tradizioni locali ed antichi mestieri, ponte tra storia e radici familiari;

� Progetto “il Cavallo a Scuola” dove viene svolta una particolare attività didattica

nelle aree dove il cavallo è determinante (il cavallo nella storia, nell’arte, nelle

tradizioni locali, della cinematografia, il cavallo nell’immaginario personale).

Se vogliamo “minimizzare” questi tipi di interventi chiamandoli solamente

“sport” (ossia quell’attività motoria finalizzata al fortificare il corpo e svagare

la mente) perderemmo una grossa area di intervento dove, come abbiamo visto,

l’animale diventa il collante relazionale e lo stimolo per “mettersi in gioco” ed

imparare facendo.

Per concludere, è questa una sintetica spiegazione del perché crediamo in

questo particolare approccio di tipo essenzialmente educativo, e perchè le

nostre attività sono definite “Equitazione Integrata”: perché rispondono

appieno ai dettami dell’Anno Europeo 2003 delle Persone Disabili e del 2004,

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Anno Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport, oltre a quanto espresso in

modo estremamente chiaro l’UNESCO a varie riprese:

“la necessità di associare l’attività sportiva ai programmi di

istruzione, nella misura in cui questa attività contribuisce alla formazione

integrale del cittadino, al suo sviluppo fisico e allo sviluppo delle abitudini

sociali”.

CONCLUSIONI

Nella vita di ogni giorno capita spesso di accorgerci come, in maniera implicita

ed esplicita, sia vietato essere infermi o “socialmente infermi”; in tal caso

l’unico diritto riconosciuto è quello all’assistenza, una posizione poco o tanto

passiva. Si è oggetto d’attenzione, se va bene...

C’è la terapia, l’istituto, l’assistenza pubblica, ma non si vede riconosciuta per

sé alcuna capacità di costruire, agire, creare, giudicare. L’unica parte che è

riconosciuta socialmente interessante è, in maniera paradossale, quella malata,

proprio perché e nei confronti di essa che la società può affermarsi e dimostrare

la sua forza, con la terapia e l’assistenza. Il resto delle energie della persona

con problemi non è preso in considerazione in maniera neppure lontanamente

paragonabile.

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Questo fatto diventa evidente in una situazione come quella del bambino

disabile: bimbo, quindi, e per di più handicappato. Cosa è in grado di fare?

Cosa è preso in considerazione di questa persona? Giusto il suo handicap, che

va studiato, esaminato, curato. Ma intorno ad esso c’è una persona, un

organismo, una libertà che, per quanto misteriosamente, vive. Perché non

valorizzare tutto questo?

Le attività assistite e mediate dall’animale possono essere un tentativo di

risposta a queste domande.

L’intervento equestre richiede un’influenza meno diretta dell’operatore sul

bambino, per cui questa è una delle ragioni della grande motivazione che

suscita questo animale, utile per raggiungere il massimo del potenziale del

bambino.

Ci sono poi altre ragioni per cui i disabili praticano con piacere la l’equitazione

integrata: chi è in carrozzina può attraverso il cavallo andare dove vuole senza

dipendere da un’altra persona, può trasmettere la sua volontà all’animale ed

inoltre trovare in lui un compagno che non fa differenze e richieste particolari.

Attraverso la mediazione animale insomma, la persona “debole” trova una

positiva situazione di liberazione; attraverso una passione, un piacere comune

vi è anche la possibilità di creare uno spunto di conoscenza con il mondo dei

normodotati, ponendo le basi per un inizio di inclusione.

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Altra caratteristica di queste attività è il lato rasserenante, ludico e giocoso:

camici e ospedali sono lontani dai maneggi, al contrario delle terapie ufficiali,

questa viene attesa sempre con gioia.

Se si fa riferimento agli aspetti psicologici della personalità, lo sport aiuta a

scaricare le tensioni e ad incanalare l’aggressività, ad acquisire una maggiore

padronanza, un più sviluppato autocontrollo e dominio delle reazioni, a

sviluppare le capacità di previsione e quindi l’intelligenza, a rafforzare il senso

di sicurezza.

L’equitazione integrata non è e non sarà mai una semplice scuola di

equitazione: essa è l’insieme di azioni educative svolte in equipe che usufruisce

dei mezzi di questa disciplina sportiva per il raggiungimento di un’autonomia

in relazione al disagio.

Da ciò deriva il concetto che questa tecnica non pone come sua meta il

conseguimento, da parte del cavaliere, di una pura abilità equestre, ma ricerca

un miglioramento, una modificazione dello stato fisico e mentale del

praticante.

Le varie forme di riabilitazione equestre non sono una bacchetta magica pronta

a risolvere tutti i problemi: si può affermare che essa rimane una terapia di

supporto, spesso d’appoggio ad altre ufficialmente riconosciute dagli organi

istituzionali della sanità.

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E’ indubbiamente valida soprattutto ai fini di un maggior adattamento nelle

attività di relazione. E ciò, tenuto conto che per espletarla non sono necessarie

nuove dispendiose strutture, ma si usufruisce di quelle già esistenti, con la sola

accortezza di avere personale specializzato nel particolare ambito di intervento.

Epilogo

Se siete giunti fino a questo punto probabilmente siete particolarmente

sensibili agli argomenti descritti.

Non avevamo certamente la pretesa di essere esaustivi in queste poche pagine,

tantomento di fornire tecniche o metodologie specifiche poiché risulterebbero

estremamente generaliste, tanto da farci passare come i “tuttologi” di cui il

mondo -e quello equestre in particolare- è pieno.

Non vogliamo correre il rischio di apparire come i migliori nel campo, come

spesso si pubblicizzano altre realtà del panorama equestre per disabili;

desideriamo umilmente ed in maniera realistica affermare che attraverso

l’Equitazione Integrata vi è la possibilità di iniziare ad intraprendere una nuova

avventura nel Sociale, senza temere di essere inferiori ai terapisti o agli

istruttori sportivi, acquisendo una buona base di operatività tecnica con un

valido supporto anche sul fronte gestionale, burocratico ed assicurativo.

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Molte informazioni pratiche potranno essere ricercate all’interno del sito

www.equitabile.it , le parti prettamente tecniche ed operative vengono

promosse all’interno dei nostri corsi di formazione specifica.

Certamente questo è l’indispensabile punto di partenza per affacciarsi a queste

attività socialmente utili che, per essere proposte nel modo più completo e

professionale possibile devono necessariamente prevedere una continua voglia

di conoscere e di acquisire nuove competenze, sia sul fronte equestre che su

quello del Sociale.

Solo così si può tendere a diventare un autorevole professionista.

Se predisposti in questa direzione di servizio nel Sociale, l’invito è quello di

mettersi in gioco, magari supportati da un gruppo di lavoro i cui tecnici non

sono solo “teorici formatori” appesantiti nel corpo e nell’animo da anni di

inattività pratica, ma operatori del settore che quotidianamente camminano

sulla sabbia di un maneggio, a contatto di persone “deboli” in sella per educare,

ex docere, tirare fuori!

Grazie per l’attenzione

www.equitabile.it