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IL NOSTRO FUTURO NON È UNO SLOGAN | le nostre rivendicazioni 1

Il nostro futuro non è uno slogan! #14N Sciopero studentesco

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Le rivendicazioni delle studentesse e degli studenti nello sciopero sociale, verso lo sciopero generale

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IL NOSTRO FUTURO NON È UNO SLOGAN

Siamo le studentesse e gli studenti che il 10 ottobre, in più di 100 piazze italiane, sono entrati in scena per prendere parola, smascherare il teatrino della politica e aprire uno spazio di reale al-ternativa contro la Buona Scuola renziana e l’orizzonte di precarietà che pervade luoghi della formazione e mondo del lavoro. Il 25 ottobre abbiamo partecipato alla manifestazione nazionale della CGIL, nella quale oltre un milione di lavoratori hanno dimostrato la disponibilità ad opporsi al disegno di definitiva precarizzazione del mondo del lavoro.

Mentre Renzi basa la propria azione politica su slogan retorici e tenta di svuotare il conflitto so-ciale del suo potenziale di trasformazione (“è finito il tempo in cui le piazze fermano un Governo”), il crescente dissenso incontra reazioni repressive scomposte, esemplificate a pieno dalle manganellate contro il corteo degli operai dell’Ast di Terni, in piena continuità con quanto subito negli anni dai movimenti: è questa la democraticità e la capacità di ascolto del Governo.

Come studentesse e studenti mettiamo perciò a disposizione la nostra mobilitazione per con-nettere le istanze e i bisogni di studenti, lavoratori subordinati, precari, autonomi e disoccupati. Il 14 novembre sarà la prima occasione per praticare uno sciopero sociale capace di dare pieno protagonismo a questo mondo, spesso senza rappresentanza e senza diritto di sciopero, esten-dendo la portata dello sciopero generale dei metalmeccanici indetto dalla FIOM e di quello dei sindacati di base, con lo sguardo rivolto alla prospettiva dello sciopero generale confederale che è sempre più una necessità storica e che costituirà un’occasione importante di confronto e con-taminazione reciproca.

Il 14 intendiamo costruire una giornata di mobilitazione di 24 ore, nella quale mettere in campo in forme inedite uno sciopero studentesco che parta dalle nostre condizioni materiali, dalle no-stre aspettative e dai nostri bisogni. Viviamo quotidianamente il peso dei crescenti costi dell’i-struzione secondaria e universitaria, l’attacco al diritto allo studio e alla possibilità per tutte e tutti di formarsi, il ricatto di lavori sottopagati, in nero e senza tutele per sostenere i nostri studi.

Costruiamo lo sciopero della formazione per una reale presa di coscienza dell’autoritarismo cui ci allenano in scuole ed università; per ribaltare l’unidirezionalità della didattica attuale e farci riappropriare a partire dalle aule di un desiderio di autonomia individuale e collettiva; per ren-dere concreta la realizzazione di uno spazio di produzione artistica e culturale al di fuori delle logiche del copyright e della SIAE; per svelare i meccanismi di controllo e valorizzazione econo-mica che infestano il web; per invertire il processo di espulsione di massa dai luoghi della for-mazione, resosi sempre più intenso in questi anni e per raggiungere, aggregare, organizzare questa nuova categoria di ‘esclusi’; per una relazione diversa tra saperi e lavoro, in particolare nei percorsi ‘alti’ del sistema formativo, lì dove la formazione professionalizzante si intreccia sempre più spesso con forme di sfruttamento e di precarizzazione del lavoro, senza una reale possibilità che sia proprio la conoscenza a trasformare i modelli di produzione e di sviluppo esi-

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stenti; per mettere profondamente in discussione la normalità di un accesso alle professioni che passa da prestazioni di lavoro non retribuite, da un ingresso nel mercato del lavoro senza alcun sostegno al reddito e sottoposto a un costante ricatto.

Scenderemo in piazza con pratiche di portata generale, dai blocchi della circolazione e dei flussi alla liberazione dai dispositivi proprietari ed escludenti dei prodotti della cultura, del pensiero e della ricerca, per una loro fruizione pubblica e accessibile a tutti. Il 14 novembre, in prossimità del 17, data storica per i movimenti studenteschi in quanto giornata internazionale per il diritto allo studio, sarà un importante banco di prova, una fondamentale data di accumulo per concre-tizzare lo sciopero studentesco dentro lo sciopero sociale e verso lo sciopero generale.

Il nostro futuro non è uno slogan, non può essere usato per occultare il progressivo peggiora-mento delle condizioni materiali che ci viene imposto. Il 14 novembre riprenderemo parola con le nostre rivendicazioni e le nostre parole d’ordine: conoscenza, reddito, lavoro contro la preca-rietà, per riaprire una fase di protagonismo dei soggetti sociali nel determinare il cambiamento a partire dai bisogni e dalle aspirazioni di ciascuno.

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Scuola, Università e Ricerca sono tre pilastri cruciali per un’uscita dalla crisi che, oltre a risolle-vare le condizioni materiali, si ponga l’obiettivo di aggredire nel profondo gli elementi di sistema che ne sono stati la causa. Ciò che va messo in profonda discussione sono le diseguaglianze so-ciali - a partire dalla possibilità di formarsi - e un sistema produttivo basato su uno scarso tasso di innovazione e un mercato del lavoro dequalificato.

Eppure, il quadro che abbiamo di fronte è frutto di politiche portate avanti tanto dai Governi di centrodestra quanto da quelli di centrosinistra che hanno progressivamente trasformato i luoghi della formazione da vettori dell’emancipazione e della mobilità sociale a luoghi di esclusione e di conservazione delle diseguaglianze.

I costi dell’istruzione risultano sempre più alti, a partire dalla scuola dell’obbligo la cui gratuità non esiste più nei fatti; al tempo stesso, le tasse unviersitarie sono tra le più alte d’Europa (solo Regno Unito ed Olanda registrano rette superiori) e i duri colpi inferti al sistema di diritto allo studio - già di per sé residuale rispetto a quanto avviene in altri Paesi - producono ormai da anni la vergognosa figura dello studente idoneo non beneficiario, ovvero uno studente con basso reddito che ha diritto alla borsa di studio ma non la riceve per mancanza di risorse: un unicuum in tutta Europa.

#labuonascuola è, in realtà, la scuola precaria: nulla viene previsto sul fronte del diritto allo stu-dio e della lotta alla dispersione scolastica, mentre si sceglie di aprire le porte agli interessi del-le imprese private e si rafforza la gestione autoritaria degli istituti da parte dei Dirigenti Scolasti-ci. Al contempo, sia nel Decreto Sblocca Italia che nella Legge di Stabilità sono previsti ulteriori tagli alle borse di studio (-50.000 in tutta Italia) al Fondo di Finanziamento Ordinario delle uni-versità e al Fondo per l’autonomia scolastica delle scuole. La retorica del Governo che punta sull’istruzione si infrange contro i numeri e i provvedimenti di questi mesi.

Infine, rispetto alla ricerca l’unico provvedimento rintracciabile è un credito d’imposta per inve-stimenti privati nel settore. Siamo molto distanti da un rifinanziamento consistente della ricerca pubblica e dalla definizione di una strategia complessiva su innovazione, ricerca e sviluppo. Vo-gliamo un ripensamento del ruolo del Pubblico nella programmazione industriale e delle linee di sviluppo del Paese, aprendo una nuova stagione in cui consocenza e ricerca possano rappre-sentare la leva per innovare i processi produttivi, avviare una concversione ecologica del model-lo produttivo e crare buona occupazione in settori di interesse collettivo.

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Il 14 novembre scioperiamo contro:

• l’articolo 42 dello Sblocca Italia che determina l’inserimento dei 150 milioni di euro del Fondo Integrativo Statale per le borse di studio nel Patto di Stabi-lità Interno, sancendo di fatto il colpo di grazia al diritto allo studio universi-tario;

• i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario degli atenei, al Piano associati, al Fondo Ordinario Enti di Ricerca e al Fondo Speciale per la Ricerca Applicata disposti dal Ddl Stbilità;

• l’ulteriore sottrazione di risorse al Fondo istituito dalla legge 440/97 per “l’arricchimento e l’ampiamento dell’offerte formativa”, precludendo qual-siasi spazio residuo per l’autonomia finanziaria delle scuole;

• il definanziamento dei fondi per la formazione continua a sostegno dei pro-getti di reinserimento in canali formativi e di aggiornamento professionale

Il 14 novembre scioperiamo per:

• la gratuità dell’istruzione e l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni;

• un piano straordinario per l’edilizia scolastica: non possiamo più rimandare il reperimento di 17 miliardi di euro per la messa in sicurezza, l’ammoder-namento, la sostenibilità ecologica, l’ampiamento delle nostre strutture sco-lastiche;

• risorse aggiuntive per il fondo Miglioramento Offerta Formativa (MOF) delle scuole: almeno 746 milioni di € aggiuntivi per tornare al finanziamento ini-ziale del fondo, eroso progressivamente;

• il rifinanziamento dell’Università e della Ricerca, reintegrando completa-mente i tagli predisposti dalla legge 133/08;

• investimenti pubbici in Ricerca e Sviluppo (attualmente 1,23% del PIL contro l’indicazione europea del 3%) e politiche industriali per l’innovazione dei pro-cessi e delle filiere produttive verso la trasformazione del modello di svilup-po in forme sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale

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Il falso mito per cui una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro condurrebbe a un aumento dell’occupazione è stato smentito dai risultati degli ultimi vent’anni di politiche di precarizzazio-ne. Molti dei nostri coetanei sono infatti già parte di quel 44,2% di disoccupazione giovanile che da molti è indicato come un dato allarmante, senza che però siano messe in campo quelle mi-sure strutturali che da anni rivendichiamo. La precarietà è il problema e non la soluzione alla crisi.

Il Jobs Act, una legge delega in bianco approvata a colpi di fiducia al Senato, è in perfetta conti-nuità con le politiche dei Governi precedenti. Lo smantellamento definitivo dell’articolo 18, a conclusione di un processo iniziato dalla Riforma Fornero di due anni fa, l’abolizione di altre norme di civiltà come il divieto di controllo a distanza dei lavoratori, l’introduzione del deman-sionamento, segnano un ritorno al passato che estende la precarietà, in forme diverse, a tutti i lavoratori, non agevolando affatto la nostra generazione. Il contratto unico a tutele progressive tanto sbandierato dal Governo non sostituirà nessun’altra forma contrattuale affiancandosi a quelle già esistenti e decretando definitivamente il passaggio della precarietà contrattuale da eccezione a norma del mercato del lavoro. La cosiddetta universalizzazione delle forme di wel-fare non coinvolgerà affatto chi è alla ricerca di un primo impiego, i cosiddetti falsi autonomi, i soggetti in formazione e tanti altri.

Siamo parte della prima generazione dal Dopoguerra che vive condizioni materiali peggiori di quelle dei propri genitori, ma non solo. Anche le nostre aspettative di realizzazione personale e di contributo collettivo allo sviluppo materiale e immateriale della società si infrangono contro un mondo del lavoro non solo precario e senza tutele, ma anche incapace di rispondere ai biso-gni del nostro presente e alle aspirazioni per il nostro futuro.

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Il 14 novembre scioperiamo contro:

• la liberalizzazione del contratto a tempo determinato mediante le norme sull’acausalità del rinnovo e sul numero possibile di rinnovi inserite nel De-creto Poletti;

• l’attacco ai diritti rappresentato dalla Jobs Act con la cancellazione dell’arti-colo 18, la maggiore possibilità di demansionare i dipendenti e l’allentamen-to dei vincoli sul controllo a distanza dei lavoratori;

• la gestione della Youth Guarantee, presentata come intervento risolutivo per NEET e giovani inoccuapati, ma che in realtà ha prodotto un sostanziale nul-la di fatto con poche offerte di occupazione (per lo più precarie) e scarsissimi investimenti nel reinserimento formativo e nella formazione continua.

Il 14 novembre scioperiamo per:

• una drastica riduzione delle forme contrattuali, eliminando una volta per tutte i dispositivi della precarietà e del lavoro atipico;

• l’estensione dei diritti e delle tutele a tutte le forme di lavoro, risolvendo in termini positivi la sempre meno effettiva divisione fra lavoratori di serie A e di serie B;

• l’introduzione di un salario minimo europeo che metta al bando il lavoro sottopagato, la povertà da lavoro e il dumping salariale;

• la riduzione dell’orario di lavoro e l’abolizione degli straordinari;

• un piano di investimenti pubblici che orienti le nuove forme e i nuovi obiettivi della produzione industriale verso la giustizia ambientale e sociale e per un piano di piccole opere sul territorio.

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I dati sulla disoccupazione generale e giovanile, la dilagante espansione di forme contrattuali atipiche e precarie, il crescente numero di NEET, l’aumento della povertà relativa e assoluta nel Paese impongono un ripensamento del nostro sistema di welfare.

Negli ultimi anni infatti la spesa sociale ha subito non solo una progressiva contrazione, metten-do drammaticamente in crisi strumenti tradizionali di previdenza e sostegno sociale quali pen-sioni, diritto allo studio, assistenza a disabili e malati cronici, cassa integrazione, ma anche una profonda mutazione dal punto di vista qualitativo. Non possiamo limitarci alla difesa di un welfa-re novecentesco e di stampo familistico, rivendichiamo con decisione forme innovative di welfa-re universale come base della cittadinanza e dell’autodeterminazione degli individui.

Nell’immaginario costruito da Renzi, queste istanze di profondo cambiamento sono state pre-sentate come assunte nell’azione di governo: nei fatti, però, sia ne #labuonascuola che nella bozza di riforma del Terzo Settore la strada è quella della finanziarizzazione delle politiche so-ciali. Anziché rifinanziare modelli di welfare innovativi e partecipati si appalta tutto al privato, con la previsione di remunerare il capitale investito. Rispetto al Jobs Act invece la riunificazione degli ammortizzatori sociali e la loro estensione con la Nuova Aspi è presentata come introdu-zione di un welfare moderno e universale: i 2 mld di € per finanziare questa misura tuttavia non includono affatto lavoratori autonomi e chi è in fase di inserimento nel mercato del lavoro, né possono coprire più di 230.000 precari a fronte dei milioni di persone che si trovano in questa condizione.

La realtà che abbiamo di fronte è segnata da un welfare povero, marginale, sempre più sovrap-ponibile a un modello di workfare strettamente connesso al lavoro e all’accettazione della prima offerta di occupazione rintracciabile sul mercato. E’ una prospettiva che favorisce il riprodursi del ricatto, del lavoro sottopagato e gratuito come forma di esperienza che fa curriculum, della mancata valorizzazione delle competenze e delle consocenze acquisite durante i nostri percorsi formativi. Tale prospettiva, infine, esclude totalmente la necessità di garantire autonomia sociale ai soggetti in formazione, anche attraverso l’erogazione di forme di reddito dirette e indirette: i tassi di abbandono scolastico e l’espulsione di massa avvenuta nelle nostre università nel corso degli ultimi anni sottolineano ulteriormente che il problema della precarietà, in Italia, è innanzi-tutto un problema di accesso alla conoscenza e di valorizzazione sociale dei saperi.

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Il 14 novembre scioperiamo contro:

• la riduzione degli ammortizzatori sociali a misure di workfare che facilitano in prospettiva demansionamenti, sfruttamento, basse retribuzioni;

• la finanziarizzazione e la remunerazione del capitale investito per il raggiun-gimento degli obiettivi sociali, che prevede l’esternalizzazione delle misure di welfare a imprese private;

• la previsione al ribasso dei Livelli Essenziali delle Prestazioni per il diritto allo studio universitario e l’assenza di una Legge Quadro nazionale sul dirit-to allo studio per gli studenti medi.

Il 14 novembre scioperiamo per:

• il rifinanziamento della spesa sociale per il contrasto e la progressiva elimi-nazione della povertà;

• l’introduzione di un welfare studentesco capace di abbattere drasticamente la disperione scolastica, fra le più alte d’Europa, coprendo i costi del tra-sporto, dei libri di testo e dei materiali scolastici;

• l’introduzione di un reddito di base, pari almeno al 60% del reddito mediano del Paese e da modulare in base alle diverse fasi della propria vita: forma-zione, ingresso nel mercato del lavoro, disoccuapzione, genitorialità, pensio-ne, ecc;

• maggiori tutele e sostegno al reddito nei periodi di inattività per i lavoratori autonomi a basso reddito;

• una politica complessiva sulla genitorialità, superando le misure spot, estemporanee ed escludenti come gli 80€ alle neo-mamme.

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