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XVI EDIZIONE CONCORSO SCOLASTICO NAZIONALE
“I giovani ricordano la Shoah”
Anno scolastico 2017-2018
Classi partecipanti
2a D – 2a G
ITT “G: Marconi” – Forlì Prof. Maurizio Gioiello – Prof. Roberto Valente
IL NOSTRO VIAGGIO DELLA MEMORIA
INDICE
Prefazione
1 - Il manifesto della razza e le leggi razziali (1938-1943).
Contestualizzazione ed analisi
2 - Conseguenze delle leggi razziali
con particolare attenzione agli ebrei di Forlì
3 - I testimoni raccontano
Conclusioni
Fonti e bibliografia
Il nostro viaggio della memoria
Itinerario tra i luoghi della memoria forlivesi
PREFAZIONE
Nel corso dello scorso anno scolastico, 2016-2017, noi alunni delle classi 1° D e 1° G
(attualmente divenute 2° D e 2° G) dell’ITT “G. Marconi” di Forlì abbiamo aderito al proget-
to denominato “Percorsi di approfondimento dei valori del 25 aprile”, promosso dal Comune
di Forlì.
In tale ambito sono state realizzate le seguenti iniziative:
2/2/2017
Salone comunale di Forlì, incontro con il rabbino capo di Ferrara e delle Romagne,
Luciano Caro, ed i ricercatori Franco D’Emilio e Paolo Poponessi, curatori della mo-
stra e del catalogo Stelle gialle;
3/3/2017
Aula magna dell’ITT “G. Marconi”, incontro con il partigiano Sergio Giammarchi e
la ricercatrice storica Elena Paoletti (Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Con-
temporanea di Forlì-Cesena);
10/3/2017
Itinerario pedestre tra i luoghi della memoria forlivesi: campo di concentramento,
giudecca ebraica, luoghi di detenzione e di eccidi di ebrei civili (settembre 1944);
16/3/2017
Aula magna dell’ITT “G. Marconi”, incontro con Luigi Casaglia e lo storico Mario
Proli (capo ufficio stampa del Comune di Forlì) per la presentazione del libro SS cel-
la n. 1, diario di Oreste Casaglia (padre di Luigi), noto avvocato forlivese recluso
presso l’Aussenkommando di Forlì nell’agosto del 1944;
1/4/2017
Aula Magna dell’ITT “G: Marconi”, incontro con lo scrittore Giuliano Pasini, autore
del libro Venti corpi nella neve (Roma, Timecrime, 2012);
26/4/2017
Uscita didattica a Tavolicci (FC), teatro della strage nazista del 22 luglio 1944;
Lettura del romanzo Il binocolo di Cesare, di Elio Scialla (di cui è stata realizzata,
individualmente, una scheda) per approfondire le tematiche inerenti il periodo della
seconda guerra mondiale.
Tali attività sono state compendiate in due pubblicazioni, “Il nostro viaggio della me-
moria” e “Itinerario tra i luoghi della memoria forlivesi”, che fanno parte integrante del pre-
sente lavoro e ne costituiscono l’appendice. Infatti, fin dall’incontro con il rabbino capo Lu-
ciano Caro abbiamo ascoltato una testimonianza toccante sulla percezione di sbalordimento
che gli ebrei avvertirono all’indomani della promulgazione delle leggi razziali. Perciò, quando
i nostri insegnanti ci hanno proposto di partecipare alla XVI edizione del concorso “I giovani
ricordano la Shoah”, abbiamo pensato di approfondire ulteriormente la nostra ricerca
sull’antisemitismo, inglobando le precedenti conoscenze con le specifiche tematiche proposte
dal bando.
Ciò è stato possibile anche grazie ad un convegno (svoltosi il 27 gennaio 2017 – Gior-
nata della Memoria – presso il nostro Istituto e organizzato in collaborazione con il Comune
di Forlì e la Fondazione Alfred Lewin) a cui hanno partecipato lo storico Mario Proli (capo
ufficio stampa del Comune di Forlì), il giornalista Gianni Saporetti (redattore della rivista
“Una città” e membro della Fondazione Alfred Lewin) e il ricercatore storico Francesco
Gioiello (autore del volume La Forlì ebraica – Una storia tra integrazione e Shoah, Forlì,
Edizioni Risguardi, 2015).
Il dott. Proli ha esposto nel suo intervento “L’origine e la diffusione
dell’antisemitismo”; Gianni Saporetti si è invece soffermato su una riflessione relativa a “La
discriminazione oggi”; infine, Francesco Gioiello ha parlato de “La Forlì ebraica tra integra-
zione e Shoah”.
Quest’ultima relazione, in particolare, ci è parsa molto utile per affrontare i temi del
presente concorso; abbiamo quindi nuovamente incontrato Francesco Gioiello e dal suo vo-
lume abbiamo tratto un ampio apparato documentale, che a volte abbiamo riportato fedelmen-
te, mentre in altri casi abbiamo invece rielaborato.
1
IL MANIFESTO DELLA RAZZA E LE LEGGI RAZZIALI
1938-1943
CONTESTUALIZZAZIONE ED ANALISI
Introduzione
Per quale motivo nacquero le leggi razziali di cui parla Primo Levi nel racconto “Ferro”,
tratto dalla raccolta “Sistema periodico”?
Il quesito è ancora oggetto di ricerca e di discussione, poiché esistono diverse interpre-
tazioni in merito.
Abbiamo analizzato, in proposito, la posizione di Renzo De Felice (Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988), secondo il quale Mussolini ed il regime fa-
scista sarebbero stati trascinati verso l’antisemitismo dall’alleato Hitler, non avendo mai, in
precedenza, evidenziato una propensione anti-giudaica.
Successivamente abbiamo preso in esame le considerazioni di Michele Sarfatti (Musso-
lini contro gli ebrei – Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Silvio Zamora-
ni Editore, 1994; Gli ebrei nell’Italia fascista – Vicende, identità, persecuzione, Torino, Ei-
naudi, 2000; La Shoah in Italia, Torino, Einaudi, 2005) che, attraverso un complesso ed am-
plissimo apparato documentale, avrebbe invece dimostrato come Mussolini avesse manifesta-
to fin dagli anni Venti opinioni fortemente avverse agli ebrei.
A nostro avviso, al termine della disanima, potrebbe essere corretta l’ipotesi secondo la
quale il regime fascista avrebbe intrapreso una politica razzista a partire dalla costituzione
dell’impero, vale a dire nel 1936. Da tale data, infatti, per evitare che si diffondesse un “me-
ticciato diffuso” (frutto delle unioni tra indigeni ed italiani conquistatori) vennero varate le
prime leggi atte a mantenere “pura” la presunta razza italica, il cui modello sarebbe stato da
ritrovare nello stesso Mussolini.
Col diffondersi di tale ideologia, vennero poi attaccati tutti coloro che non rientravano
nel suddetto stereotipo, segnatamente gli ebrei, i testimoni di Geova, gli zingari, gli omoses-
suali e i portatori di handicap.
1.1. Antigiudaismo e antisemitismo
Le leggi discriminanti i cittadini di religione ebraica sulla base d’asserzioni razziali fu-
rono introdotte in Italia nel 1938. Già dal 1937, però, la legge puniva i matrimoni tra cittadini
italiani e sudditi delle colonie dell’Africa orientale italiana (AOI) con la reclusione da uno a
cinque anni.
L’antisemitismo è una posizione ideologica, su basi falsamente razziali, ostile alle popo-
lazioni di religione ebraica. Ancora nella prima metà dell’Ottocento era invece definito “anti-
giudaismo”, e si basava sull’accusa di deicidio mossa dalla Chiesa cristiana.
Su tali questioni è intervenuto, fra gli altri, lo storico Valerio Marchetti, che ha proposto
la seguente periodizzazione:
«il tempo nel quale l’ostilità nei confronti degli ebrei è stata promossa dal cristianesimo prende
il nome di antigiudaismo (o, più correttamente, il nome di “antigiudaismo teologico”); il tempo
nel quale la discriminazione verso gli ebrei riceve uno statuto scientifico perché fondata
sull’idea di razza si denomina antisemitismo (o, più esattamente, si chiama “antisemitismo
scientifico”)»1.
1.2. Gli ebrei in Italia fino al 1922
Lo storico Michele Sarfatti ricorda che dal 1848 gli ebrei erano diventati cittadini, come
ebbe a dire Roberto D’Azeglio: «Ecco, gli umili, gli abbietti, i disprezzati israeliti sollevati al-
la dignità di cittadini»2. Riguardo invece al livello di istruzione, gli ebrei apparivano più colti
(gli analfabeti risultavano nel 1901 solo il 5,7% contro il 49,9% della media nazionale). Dal
punto di vista economico, erano più ricchi e perciò ebbero maggiore accesso al voto. Contem-
poraneamente allo svilupparsi della partecipazione alla vita politica e sociale, si registrò una
minore adesione al culto ebraico, sino a determinare un processo di secolarizzazione.
Nel primo ventennio del Novecento gli ebrei occuparono i vertici della società, ma
l’antisemitismo, ricorda ancora Sarfatti, era già presente nel nostro Paese, tanto che nel 1921
il fascista Giovanni Preziosi pubblicò la prima edizione italiana dei Protocolli dei savi anziani 1 V. Marchetti (a cura di), L’applicazione della legislazione antisemita in Emilia Romagna, Bologna, Il Nove,
1999, p. XVII, ora in F. Gioiello, La Forlì ebraica – Una storia tra integrazione e Shoah, Forlì, Edizioni Ri-
sguardi, 2015. 2 R. d’Azeglio, Agli elettori, in «Concordia», I, n. 80 (1° aprile 1848), p. 1, ora in F. Gioiello, La Forlì ebraica,
cit.
di Sion, cioè i falsi verbali di una riunione inventata che sarebbe stata tenuta da dirigenti
mondiali ebraici, in realtà mai esistiti, allo scopo di conquistare il mondo.
Di questo periodo storico si è occupato anche Renzo De Felice, il quale sottolinea inve-
ce come in Italia non ci fosse più stata una questione ebraica dal XVIII secolo; si era riscon-
trata, piuttosto, una assimilazione3, con addirittura conversioni religiose, abiure e dissociazio-
ni. Su questo aspetto, del resto, è sufficiente considerare il crescente numero (però assai diffi-
cili da quantificare) di matrimoni misti. Con tale termine si indicava l’unione tra due persone
che mantenevano comunque, anche dopo il matrimonio, le rispettive differenti fedi.
In poche parole, gli ebrei si italianizzarono, tanto che De Felice afferma: «Gli stessi fa-
scisti si videro costretti a riconoscere non solo l’inesistenza di un antisemitismo italiano ma,
al contrario, l’esistenza di una spiccata tendenza assimilazionista in atto dell’ebraismo italiano
[…]»4. Quindi prosegue riaffermando la sostanziale assenza di motivi antisemiti in Italia.
Dunque, per De Felice in Italia non vi furono mai eccitazione razziale e razzismo.
«L’ambiente italiano mal si prestava al sorgere e al diffondersi di un vero antisemitismo
di massa»5; anche nell’orientamento personale di Mussolini, sempre secondo De Felice, non
vi era prevenzione antisemita, ma, al massimo, un antisemitismo tradizionale che, per lungo
tempo, non ebbe carattere razzista né politico6.
1.3. Il periodo 1922-1936
Di diverso avviso appare, lo si è già detto, Sarfatti, secondo il quale l’antiebraismo vie-
ne da lontano: già con le leggi dei primi anni Venti (tra il 1923 e il 1924) venne varata una po-
litica di “particolare riguardo” verso il cattolicesimo, mentre a partire dal giugno 1929 al feb-
braio 1930 gli altri culti ammessi nel Regno vengono assoggettati a controlli e divieti7.
Addirittura nel 1923 Angelo Sacerdoti scrisse profeticamente: «È lecito ritenere che, fra
non molti anni, agli ebrei verrà ad essere precluso l’esercizio dell’insegnamento nelle pubbli-
che scuole»8.
Lo stesso De Felice sottolinea come fino al periodo 1926-1927 i rapporti tra fascismo ed
ebrei non furono buoni. Da qui derivarono reciproca diffidenza e, soprattutto, conferma della
3 R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988, p. 16.
4 R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 18.
5 Ivi, p. 67.
6 Ivi, p. 68.
7 M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 2000, p. 57.
8 Ivi, p. 58.
presenza di germi antisemiti nel fascismo. A mitigare ciò non bastò più, a un certo punto,
nemmeno la presenza di tanti ebrei tra i fascisti.
Dal 1926-1927 si va invece verso l’accordo. Dino Grandi (allora sottosegretario agli
Esteri), proprio nel 1926, ribadisce che «in Italia non esiste una questione ebraica»9. Nel nuo-
vo clima così creatosi si moltiplicarono le manifestazioni ebraiche di fedeltà all’Italia. Gli
ebrei si sentivano al sicuro.
A partire dal 1932 tutti i problemi Stato-ebrei parevano avviati alla risoluzione e non si
riscontrarono più accuse al fascismo di antisemitismo. Ma l’ascesa di Hitler al potere (30
gennaio 1933) ebbe ripercussioni in Italia: «l’ombra del nazismo incominciò infatti ad adden-
sarsi anche sulle teste degli ebrei italiani»10
. Lo stesso Sarfatti concorda su tale datazione:
l’inizio della persecuzione vera e propria è anche per lui databile al 30 gennaio 1933.
Nell’aprile dello stesso anno vennero emanate le prime leggi antiebraiche in Germania.
Intanto, nella prima metà del 1934, anche in Italia, in alcuni ambienti e pubblicazioni fascisti,
si andava riaffacciando l’antisemitismo, sia pure con limitati seguaci. I primi attacchi furono
lanciati da «Il Tevere» e «Il regime fascista» di Farinacci.
1.4. La politica persecutoria dei diritti: dal 1936 alle leggi razziali del 1938
Sarfatti sostiene che, tra il 1935 e il 1936, la questione ebraica per Mussolini non è più
rimandabile. Perciò egli decise «in piena autonomia rispetto alla realtà continentale […] di ri-
solverla dotando il regime e il paese di una moderna politica antiebraica. Il fascismo – sempre
a dire del Sarfatti – passò dalla persecuzione della parità e dell’autonomia dell’ebraismo alla
persecuzione dei singoli ebrei perché essi […] costituivano un gruppo il cui comportamento
era giudicato […] pericoloso, antagonistico, incoerente o anche inutile»11
.
Così, con una “transizione” si passò da un razzismo “coloniale” ad una politica razzisti-
ca “pura”12
.
Di diverso avviso è, su questo punto cruciale, Renzo De Felice, secondo il quale la que-
stione ebraica a cavallo del 1936 è da inserire nel rinnovato impulso antifascista (derivato dal-
9 Ivi, p. 92.
10 Ivi, p. 119.
11 M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 109
12 Ivi, p. 108.
la guerra di Spagna e dal malcontento esploso dopo l’alleanza con la Germania). Inoltre, «il
peso dei nazisti e della Germania fu determinante», sostiene ancora De Felice.
Perciò, dall’aprile del 1937 l’antisemitismo riprese forza per non fermarsi più fino al
194513
.
Così si giunse al primo episodio di discriminazione legislativa, che riguardò (agosto-
settembre 1937) i rabbini, esclusi, con l’avvallo del ministro dell’Educazione nazionale Bot-
tai, dal diritto automatico al prestito librario14
. Poi, tra fine 1937 e inizio 1938, prese avvio per
Sarfatti la nuova fase della persecuzione dei diritti15
, preliminare al varo della nuova normati-
va.
Il 14 febbraio, invece, vennero censiti gli ebrei nelle università, sia studenti che profes-
sori, italiani e stranieri.
Il 15 febbraio furono chiesti ai direttori generali e ai prefetti i nomi degli impiegati di
religione ebraica, da comunicare al ministero degli Interni.
Il 16 febbraio venne diffusa alla stampa l’Informazione diplomatica n. 14, prima dichia-
razione ufficiale del regime sulla questione antiebraica16
, Con essa Mussolini doveva smentire
un’intera campagna di stampa contro gli ebrei, che aveva colpito anche gli studenti universita-
ri stranieri.
Altri “contributi preparatori” alle leggi razziali furono forniti da Roberto Farinacci che,
in un articolo del 12 gennaio 1938, apparso su «Regime Fascista», aveva scritto: «Chiediamo
[…] che i 43 milioni di italiani cattolici abbiano in tutti i centri più delicati dello Stato […] i
propri legittimi rappresentanti […]. Essendo gli ebrei quasi la millesima parte della popola-
zione, bisognerebbe concludere che su mille posti uno spetterebbe agli ebrei, novecentono-
vantanove ai cattolici»17
. In effetti anche Sarfatti ricorda che gli ebrei, censiti nel 1931 e nel
1938, rappresentavano una minoranza esigua: probabilmente è realistico pensare che gli iscrit-
ti alle Comunità fossero 44-45.000. In sostanza gli ebrei d’Italia erano pari all’1,1 per mille
della popolazione complessiva residente. Per quanto riguarda invece gli ebrei stranieri resi-
denti nel nostro paese, essi provenivano da Grecia, Turchia, Austria, Ungheria, Germania,
Russia, Cecoslovacchia e Polonia.
13
R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 212. 14
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 137. 15
Ivi, p. 138. 16
Le informazioni diplomatiche (come spiega M. Sarfatti in Mussolini contro gli ebrei – Cronaca
dell’elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Silvio Zamorani Editore, 1994, p. 17) erano note relative a que-
stioni di politica internazionale: per esempio, la n. 15 sarebbe poi stata dedicata alla situazione austriaca. Servi-
vano a far conoscere in Italia e all’estero la posizione del regime fascista. 17
Ivi, p. 80.
Dunque, per Farinacci gli ebrei dovevano essere eliminati dai posti elevati di responsa-
bilità (Ministeri, Enti locali, organizzazioni economiche statali ed altro ancora).
Il 5 agosto iniziò le pubblicazioni il quindicinale «La difesa della razza», diretto da Te-
lesio Interlandi, primo periodico divulgativo specializzato sul tema. Infine il 22 agosto venne
effettuato un censimento speciale degli ebrei allo scopo di identificare i potenziali persegui-
tandi.
1.4.1. Il Manifesto degli scienziati razzisti
Prima di quest’ultimo, il 14 luglio 1938 apparve su «Il Giornale d’Italia» il documento
Il fascismo e i problemi della razza. Questo articolo anonimo, di cui si è occupato tra gli altri
Giorgio Israel18
, espone per la prima volta il razzismo fascista ed è firmato da un gruppo di
scienziati (tanto che poi venne in seguito denominato Manifesto degli scienziati razzisti), mol-
ti dei quali di secondo piano, come Guido Landra19
.
Il documento nacque dopo la stipula del “patto d’acciaio” tra Mussolini e Hitler, che
avrebbe – a dire di De Felice – determinato «l’azione di politiche razziali del tutto estranee
all’ideologia del fascismo». Israel è invece in disaccordo con tale interpretazione e sottolinea
come (a partire dagli ultimi trent’anni circa) essa sia stata messa in discussione20
; si è infatti
notato che in Italia esisteva «una politica razziale “autoctona” del fascismo che aveva connes-
sioni con le politiche demografiche ed eugenetiche praticate fin dagli anni venti»21
.
Mussolini, dunque, avrebbe usato il Manifesto per giustificare le scelte di tale politica
razziale attraverso un impianto tecnico scientifico; anzi, secondo Ciano fu lo stesso Mussolini
a scrivere il Manifesto: «Il duce mi annuncia la pubblicazione da parte del «Giornale d’Italia»
di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi sotto
l’egida della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui»22
.
Per Renzo De Felice, invece, Mussolini avrebbe operato alcuni interventi su un testo già pre-
disposto.
18
G. Israel, Il fascismo e i problemi della razza del luglio 1938, in M. Sarfatti (a cura di), «Israel», numero spe-
ciale in occasione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista, Firenze, Giuntina,
Vol. LXXIII – n. 2 – maggio-agosto 2007, pp. 103-118. 19
Ibid. Anche per Renzo De Felice il Manifesto costituì «la piattaforma scientifico-ideologica dell’antisemitismo
di Stato». (Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 279) 20
G. Israel, Il fascismo e i problemi della razza del luglio 1938, cit., p. 104. 21
Ivi, p. 105. 22
G. Ciano, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1990, p. 158, ora in G. Israel, Il fascismo e i problemi della raz-
za del luglio 1938, cit., p. 106.
Secondo Israel «appare evidente che Mussolini avesse deciso non meno di un anno pri-
ma della pubblicazione del Manifesto di avviare la politica razziale, che avesse optato per una
linea “scientifica” e che avesse incaricato il giovane Landra della redazione di un documento
contenente le linee teoriche portanti della nuova politica […]»23
.
Relativamente al contenuto, il documento è un decalogo di affermazioni, a partire da
«Le razze umane esistono», accompagnate da un commento che si distanzia, però, dal razzi-
smo germanico (per esempio si dice che esistono razze “differenti”, non “superiori” o “infe-
riori”). «Il concetto di razza è concetto puramente biologico», si legge poi, senza però spiegar-
lo. In sintesi, il Manifesto asserisce che esiste una “razza italiana”, il cui fondamento fisico è
il sangue. Quindi si tratta di una razza contraddistinta dalla “purezza del sangue” (e ciò costi-
tuisce un accostamento alla visione germanica), un concetto nuovo per il fascismo.
Nell’articolo si dice anche che non vi è intento persecutorio in ciò che viene sostenuto
(come invece era accaduto in Germania) ma si vuole soltanto additare agli italiani un modello
fisico e soprattutto psicologico di razza umana (concetto tra l’altro in contrasto col precedente
“puramente” biologico). Si giunge, così, al punto 9 del decalogo: «Gli ebrei non appartengono
alla razza italiana»; perciò (punto 10) «i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli
Italiani non devono essere alterati in nessun modo».
La reazione del mondo cattolico, ricorda ancora Israel, fu varia: «La Civiltà cattolica»
ne diede un giudizio entusiastico ma altri cattolici furono invece molto critici; in generale, pe-
rò, il Manifesto «non trovò in Vaticano sfavorevoli accoglienze»24
.
Qualche polemica venne anche dal campo fascista formato dagli stessi firmatari, per
esempio ad opera di Nicola Pende, che protestò per il contenuto del documento. Egli infatti
sosteneva che la razza «si riconosce più che dall’analisi delle forme corporee […], dal partico-
lare tipo di dinamismo e di vita produttiva e spirituale»25
. Avendo questa visione di Pende il
consenso della Chiesa, alla fine Mussolini concordò con lui.
È dunque corretto sostenere – per Israel – che ci sono stati diversi razzismi nel fasci-
smo. Ecco perché, in conclusione, il Manifesto non può essere pienamente rappresentativo
delle concezioni razziali prevalenti nel fascismo; non a caso, esso sarebbe poi stato addirittura
rivisto nell’aprile 1942. Solo questo nuovo testo avrebbe espresso l’originalità della concezio-
ne razziale fascista; in esso si legge che gli ebrei, «gruppo etnico disgregatore, hanno costitui-
23
G. Israel, Il fascismo e i problemi della razza del luglio 1938, cit., p. 107. 24
Ivi, p. 110. 25
Ivi, p. 112.
to sempre una esigua minoranza, che non solo non ha intaccata in alcun modo, ma nemmeno
sfiorata l’unità biologica e spirituale della razza italiana»26
.
1.4.2. Il censimento del 22 agosto 1938
Ritorniamo ora al censimento. Secondo Sarfatti ebbe uno scopo principale: «gli ebrei
d’Italia vennero accuratamente individuati, contati, schedati»27
. La documentazione raccolta
fu però incompleta; ma, per lo stesso Sarfatti, si può affermare che «di tutti coloro che venne-
ro censiti il 22 agosto 1938, coloro che dichiararono di appartenere all’ebraismo furono
46.65628
.
Gli altri scopi oltre a quello principale erano: aggiornare i dati del censimento del 1931,
prendere in considerazione gli ebrei come razza e non come religione, verificare i dati forniti
dalle Comunità considerati poco attendibili.
Inoltre, occorreva determinare i “benemeriti” e conoscere l’effettiva presenza ebraica
nelle singole articolazioni della società e, in particolare, nei comparti destinati ad essere “aria-
nizzati”. «In sintesi: il censimento era un’operazione preliminare delle persecuzioni, indispen-
sabile e non più rinviabile»29
.
Le “notizie generali” comprendevano paternità e maternità, condizione professionale e
posizione nella professione, eventuale residenza precedente. Oltre all’indicazione
dell’indirizzo, il foglio conteneva 31 quesiti per i censiti “presenti” e ulteriori 4 per gli “assen-
ti temporanei”. Infine, sul retro del foglio andavano indicati il “cognome e nome del capofa-
miglia o del capo convivenza” e l’indirizzo dell’abitazione. Una “avvertenza” ricordava che
«[…] deve considerarsi di razza ebrea colui che discenda anche da un solo genitore ebreo»30
.
Alla fine 70.826 furono i censiti, 58.412 i definiti di “razza ebraica” (cioè nati da alme-
no un genitore ebreo o ex ebreo, suddivisi in 48.032 italiani e 10.380 stranieri residenti in Ita-
lia da oltre sei mesi); di essi 46.656 (di cui 37.241 italiani e 9.415 stranieri) furono quelli che,
come già detto, dichiararono di essere effettivamente di “razza ebraica” (cioè iscritti ad una
Comunità, o che comunque avevano dichiarato di appartenere all’ebraismo) e i restanti 11.756
risultarono appartenere a varie categorie (le più numerose erano formate da quelli che si erano
26
Ivi, p. 115 e 118. 27
M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., p. 131. 28
Ivi, p. 138. 29
Ivi, p. 145. 30
Ivi, p. 150.
distaccati dall’ebraismo, circa 2.600, e da quelle dei figli non ebrei di matrimoni misti, pari a
poco più di 7.00031
). Tali dati rimasero segreti. Solo il 21 ottobre tutti i quotidiani riportarono
i dati completi delle persone considerate di razza ariana; il 6 novembre venne poi pubblicato
l’elenco dei cosiddetti discriminabili in base ai criteri indicati nella suddetta “Dichiarazione
della razza”; su oltre 15.000 domande, i discriminati furono 3.522.
Per ingigantire il problema, Mussolini disse sempre che gli ebrei in Italia erano 70.000
(«Non sono una grossa cifra. Ma è maggiore del previsto»32
). Inoltre, presa visione della mas-
siccia presenza ebraica in settori chiave, egli virò dalla politica della proporzione (un ebreo
ogni mille italiani nei ruoli più importanti dell’amministrazione) a quella del riconoscimento
delle benemerenze (che articolava gli ebrei per fasce qualitative: gli ebrei italiani con “meri-
ti”, altri ebrei italiani, ebrei stranieri). Ma il vero risultato del censimento, per Sarfatti, fu «il
primo rilevantissimo passo verso la persecuzione: identificare un proprio simile come diverso
e riservargli un trattamento particolare»33
.
Ma l’importanza del censimento del 1938 sta soprattutto nel fatto che, per la prima vol-
ta, gli ebrei sono censiti su “base razziale” e non più religiosa, isolando i “benemeriti” che
vengono inizialmente risparmiati.
Inoltre, il censimento è servito a identificare gli ebrei che sarebbero poi stati cacciati
dalla scuola con il decreto legge del 5 settembre 1938.
Si arrivò così alla vera e propria persecuzione, attuata attraverso le leggi approvate dal
Consiglio dei ministri a partire dal 1° e dal 2 settembre 1938 e poi ratificate dal re Vittorio
Emanuele III di Savoia e dalla Camera dei deputati il 14 dicembre 1938 (con approvazione
all’unanimità dei primi cinque decreti di settembre e novembre). Il 20 dicembre fu la volta del
Senato, che approvò a larghissima maggioranza (su 164 votanti i contrari furono 1034
).
1.4.3. Verso le leggi persecutorie: l’evoluzione della posizione di Mussolini
Renzo De Felice sostiene che il duce «pur non essendo esente da alcuni spunti elemen-
tari d’antisemitismo […] non può essere considerato per molti e molti anni un antisemita»,
almeno sino al 193735
.
31
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 147. 32
Ivi, p. 172-173. 33
Ivi, p. 176. 34
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascsita, cit., pp. 150 e 153. 35
R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 235.
Il cambiamento di Mussolini si deve per De Felice a varie cause. La prima «va ricercata
in alcune prese di posizione antifasciste ed antitaliane di singoli ebrei e di organizzazioni
ebraiche in occasione della guerra di Etiopia e, poi, di quella di Spagna»36
.
In secondo luogo, conquistata l’Etiopia, Mussolini volle dare agli italiani coscienza e
dignità razziali per evitare che si formasse un meticciato su larga scala: «Perché l’impero si
conservi bisogna che gli indigeni abbiano nettissimo, predominante il concetto della nostra
superiorità»37
. Ma, la svolta è da imputare essenzialmente alla nuova fase dei rapporti con la
Germania.
L’antisemitismo di Mussolini, però, non fu una mera traduzione in italiano della legisla-
zione nazista. Infatti, la legislazione razziale italiana ebbe ben precise caratteristiche e «non
può essere messa sullo stesso piano di quella tedesca»38
.
Secondo Sarfatti, invece, Mussolini era già antisemita “culturalmente” fin da quando era
ancora socialista39
; da questa iniziale posizione egli elaborò successivamente, dopo la metà
degli anni Trenta, la sua complessa politica contro gli ebrei. Per Sarfatti, a differenza di quan-
to abbiamo visto essere sostenuto da De Felice, la persecuzione dei diritti è quindi dettata da
motivazioni legate alla politica interna e non da ossequio nei confronti della Germania. Infatti,
essa ha finalità antiebraiche: la nuova politica intendeva eliminare gli ebrei dalla società e dal-
la nazione italiana, ovvero voleva rendere società e nazione del tutto ariane40
. Così, Mussolini
maturò la suddetta politica tra il 1935 e il 1936, in base al presunto concetto biologico di razza
esposto nel Manifesto.
Le leggi antiebraiche del fascismo non furono dunque casuali, sempre secondo Sarfatti,
ma «parte di un processo» e rivelano «il fortissimo ruolo personale di Mussolini» nella scelta
persecutoria. Egli infatti non ha semplicemente seguito Hitler nella politica antisemitica.
Per capire che Mussolini agì autonomamente basta considerare (è questa la tesi di Sar-
fatti) che egli divise la popolazione italiana in due gruppi, “ebrei” e “ariani”, mentre Hitler
creò tre gruppi: “ebrei puri”, “ebrei meticci” e “ariani”. Ciò non viene fatto per “salvare” un
maggior numero di ebrei, ma solo perché questo è «il frutto di un approccio alla questione
ebraica gelido, coerente, risoluto, non maniacale, avente lo scopo di mutare in tempi rapidi la
realtà preesistente senza creare profondi squilibri ai possessori di “sangue italiano”»41
.
36
Ivi, p. 237. 37
Ivi, p. 239. 38
Ivi, p. 253. 39
M. Sarfatti, La Shoah in Italia, Torino, Einaudi, 2005, p. 73. 40
Ivi, p. 78. 41
M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., p. 8.
1.4.4. Le leggi razziali
Veniamo ora all’analisi dettagliata dei principali provvedimenti legislativi antiebraici
del 193842
.
Annalisa Capristo43
si è occupata del regio decreto-legge del 5 settembre 1938, n. 1390,
riguardante la difesa della razza nella scuola fascista. L’autrice elenca inizialmente i dati nu-
merici della presenza di docenti ebrei nella scuola, pari al 7% dell’intero corpo insegnate (a
fronte della nota percentuale dell’1 per mille degli ebrei rispetto alla popolazione italiana
complessiva), con punte del 12% all’Università di Bologna. Quindi, ricorda che il decreto in
oggetto costituisce, in ordine cronologico, il primo atto ufficiale di esclusione degli ebrei dalla
comunità nazionale.
Le conseguenze del decreto furono laceranti e molti furono costretti a lasciare l’Italia;
tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado, inizialmente sospesi, vennero dispensati a partire
dal 14 dicembre 1938.
Per quanto riguarda invece gli studenti, dal 6 agosto il ministro Bottai vietò agli ebrei
stranieri di proseguire gli studi, salvo a quelli già iscritti nel 1937. Lo scopo del provvedimen-
to è evidente: si voleva abbassare il livello culturale degli ebrei.
Relativamente alla scuola elementare, fu concessa la creazione di scuole ebraiche sepa-
rate unicamente per rispettare la legge dell’obbligo scolastico; la dicitura "razza ebraica" do-
veva comparire anche nelle pagelle e nei diplomi.
Il regio decreto-legge del 5 settembre stabilì che «è considerato di razza ebraica colui
che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da
quella ebraica»44
. Una legge successiva, quella del 17 novembre 1938, n. 1728, avrebbe poi
stabilito che per poter essere considerati “non appartenenti alla razza ebraica”, i nati da ma-
trimonio misto avrebbero dovuto professare la religione cattolica ed aver ricevuto il battesimo
entro il 1 ottobre 1938.
I numeri complessivi delle espulsioni conseguenti l’applicazione della legge furono i
seguenti: 96 professori universitari ordinari e straordinari; 195 liberi docenti (ma le revoche
definitive delle libere docenze furono non meno di 207); 133 aiuti, assistenti e professori inca-
42
Per l’elenco completo dei provvedimenti legislativi antiebraici del 1938-1943 si veda M. Sarfatti, Le leggi
antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Torino, Einaudi, 2002, pp. 70-87. 43
A. Capristo, Il decreto legge del 7 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e
nelle accademie, in M. Sarfatti (a cura di), «Israel», numero speciale in occasione del 70° anniversario
dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista, Firenze, Giuntina, Vol. LXXIII – n. 2 – maggio-agosto
2007, pp. 131-167. 44
Il passo è tratto dall’art. 6 del RDL 1390/1938.
ricati; 672 membri di accademie; 5 insegnanti di conservatori e 7 di licei musicali; 279 inse-
gnanti di scuola media (di cui 173 insegnanti di licei ginnasi, scientifici, istituti magistrali rea-
li ed educandati e 106 delle scuole di istruzione tecnica); 1 ispettrice, 2 direttrici, 3 direttori e
poco più di 100 maestri per la scuola elementare; 4 direttrici di asilo nido; 2500 studenti di
scuola elementare, 4000 di scuola media inferiore e superiore e 2000 universitari45
.
Gli ebrei riuscirono comunque a riorganizzarsi, dando vita a 22 scuole elementari e 13
medie e commerciali, e ciò fu davvero importante perché essi mostrarono che avevano ancora
capacità di reazione.
Il secondo regio decreto-legge in ordine cronologico è quello del 7 settembre 1938, n.
1381, relativo ai provvedimenti adottati nei confronti degli ebrei stranieri, che vennero trattati
peggio che in Germania.
Espellere gli ebrei stranieri significava colpire i più deboli: entro sei mesi coloro che
erano in Italia da dopo il 1919 dovevano andarsene, tranne chi aveva il coniuge italiano oppu-
re chi aveva più di 65 anni.
Si cerca inoltre di esaltare l’orgoglio di razza: gli espulsi erano doppiamente da perse-
guire, perché ebrei e stranieri. A questo punto, a causa anche di una conseguente campagna di
stampa, la paura tra gli ebrei crebbe.
Il terzo regio decreto-legge qui preso in esame è quello del 17 novembre 1938, n. 1728,
che fu fondamentale in quanto conteneva la definizione giuridica di ebreo; inoltre, in esso si
stabilivano limiti e divieti in ogni ambito. In sostanza, esso dà concretezza al Manifesto, es-
sendo basato su una concezione prevalentemente biologico-razziale; la religione diviene dun-
que secondaria.
Il decreto prevedeva anche la possibilità (paradossalmente definita “discriminazione”),
per alcune “categorie” di ebrei, di evitare o limitare la persecuzione. In totale vennero accolte
2486 domande su 15 mila richieste, ma nessuna di esse interessò gli impiegati pubblici e i
bancari. Inoltre, venne ribadita la proibizione di contrarre matrimoni misti.
Il decreto conteneva anche le norme di espropriazione: in pratica, gli ebrei non potevano
più possedere nulla.
Dello stesso decreto si è occupato anche Sarfatti che, scendendo nel dettaglio, riporta il
sistema classificatorio definito dal provvedimento. In sostanza, esso prevedeva: 1) il figlio di
genitori di razza ebraica era di razza ebraica (a prescindere dalla religione professata); 2) il fi-
glio di genitori di razza ariana era classificato di razza ariana; 3) il figlio di padre ignoto rice-
45
A. Capristo, Il decreto legge del 7 settembre 1938, cit., pp. 155-164.
veva sempre la classificazione razziale della madre (sempre a prescindere dalla religione).
Quando invece la persona da classificare era nata da un’unione mista, venivano considerate
anzitutto le nazionalità dei genitori: 1) il figlio di un genitore italiano di razza ebraica e di un
genitore straniero di razza ariana era sempre classificato di razza ebraica; 2) il figlio di un ge-
nitore straniero di razza ebraica e di un genitore straniero di razza ariana veniva classificato di
razza ebraica (sino a metà del 1939); seguivano poi altre cervellotiche e assurde classificazio-
ni, qui omesse.
Venendo poi alla condizione generale dell’ebreo, venne riesumato il divieto per gli ebrei
di avere alle proprie dipendenze domestici non ebrei. Infine, i vari censimenti furono da que-
sto momento aggiornati, con autodenunce a questure, comuni e prefetture. Va detto anche che
il fascismo non introdusse l’obbligo per gli ebrei di indossare un segno distintivo; fu invece
impedito di vivere ebraicamente, per esempio vietando la macellazione di animali secondo
l’uso ebraico.
Per quanto concerne le finalità della persecuzione degli ebrei stranieri, il fascismo vole-
va eliminare gli ebrei dal territorio italiano. Per questo venne agevolato l’abbandono del Paese
con facili espatri: in totale, si riscontrarono 5424 emigrazioni fra il 1938 e il 1940, con mete
privilegiate la Palestina e le Americhe46
.
Il 6 ottobre vi era stata, invece, la pubblicazione della Dichiarazione sulla razza, che in-
troduceva la prima definizione articolata di “appartenente alla razza ebraica”.
Il regio decreto-legge del 22 dicembre 1938, n. 2111, è forse meno noto rispetto agli al-
tri ma ugualmente significativo. Con tale decreto (che soppresse un precedente decreto risa-
lente addirittura al 1848) gli ebrei vennero espulsi dalle Forze Armate del Regno d’Italia. Lo
scopo fu quello di escludere gli ebrei dalla “comunità virile”.
Paiono poi interessanti alcune intercettazioni telefoniche fra ebrei che commentano le
leggi razziali e sono state raccolte da Bruno Di Porto47
; qualcuno era sollevato perché si
aspettava di peggio, altri erano tristi e preoccupati, altri ancora consolavano, evitando il pes-
simismo. In generale, i provvedimenti furono giudicati dalla maggioranza non duri, forse per-
ché molti speravano di salvarsi con le “benemerenze”. Ovviamente non tutti, però, la pensa-
vano così: Alberto Calò, appena sentiti i provvedimenti disse ai familiari: «È un baratro che si
apre e non si sa dove ci porterà»48
.
46
Ivi, p. 178. 47
B. Di Porto, Gli ebrei italiani di fronte al 1938, in M. Sarfatti (a cura di), «Israel», numero speciale in occa-
sione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista, Firenze, Giuntina, Vol.
LXXIII – n. 2 – maggio-agosto 2007, pp. 249-276. 48
Ivi, p. 265.
Molti caddero nella malinconia o peggio, come già si è visto, nel suicidio. Famoso tra
gli altri è quello del sessantenne Angelo Fortunato Formiggini, editore dei Classici del ridere,
il quale, il 29 novembre 1938, lanciandosi dalla torre della Ghirlandina, nella sua Modena,
gridò per tre volte «Italia! Italia! Italia!»49
.
Altri invece furono forti e continuarono a lavorare con impegno e passione malgrado
tutto. Significativa, in conclusione, appare una considerazione di Primo Levi, che ebbe a dire:
«Se non ci fossero state le leggi razziali e il Lager, io probabilmente non sarei più ebreo, salvo
che per il cognome. Invece questa doppia esperienza, le leggi razziali e il Lager, mi hanno
stampato come si stampa una lamiera»50
.
Per Renzo De Felice i provvedimenti antisemiti non suscitarono alcuna simpatia, nono-
stante un’imponente campagna di stampa, nella maggioranza degli italiani51
.
La maggior parte degli ebrei italiani, secondo De Felice, fu però colta completamente di
sorpresa dalle leggi; essa infatti non poteva nemmeno concepire l’idea della persecuzione. È
Primo Levi che spiega la mancata fuga degli ebrei:
«Questo villaggio, o città, o regione, o nazione, è il mio, ci sono nato, ci dormono i miei avi. Ne
parlo la lingua, ne ho adottato i costumi e la cultura, a questa cultura ho forse anche contribuito.
Ne ho pagato i tributi, ne ho osservato le leggi. Ho combattuto le sue battaglie, senza curarmi se
fossero giuste o ingiuste: ho messo a rischio la mia vita per i suoi confini, alcuni miei amici o
parenti giacciono nei cimiteri di guerra, io stesso, in ossequio alla retorica corrente, mi sono di-
chiarato disposto a morire per la patria. Non la voglio né la posso lasciare: se morrò, morrò “in
patria”, sarà il mio modo di morire “per la patria”»52
.
1.5. Il periodo 1938-1943
Si giunge poi alla legge 29 giugno 1939, con la quale gli ebrei vennero espulsi dalle
professioni di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, avvocato, procuratore, ra-
gioniere, ingegnere, architetto, chimico e da altre numerose attività lavorative. Agli ebrei fu
anche vietato di far parte di associazioni culturali e ricreative, nonché di società sportive, sia
dilettantistiche che professionistiche. Infine, venne ribadito il divieto di possedere beni im-
mobili.
49
Ivi, p. 269. 50
Ivi, p. 272. 51
R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 309. 52
P. Levi, I sommersi e i salvati, in Id., Opere, Torino, Einaudi, 1997, vol. II, pp. 1120-21, ora in M. Sarfatti, La
Shoah in Italia, cit., p. 38.
Molti di coloro che persero il lavoro divennero indigenti; la maggiore miseria si riscon-
trò a Roma, ma è lecito affermare che l’impoverimento fu generale53
. Per gli ebrei fascisti la
tragedia fu ancora più difficile da sopportare, perché si sentirono “traditi” da Mussolini.
Con la legge 16 febbraio 1942, n. 426, venne assegnato al Comitato olimpico nazionale
italiano (Coni) l’obiettivo del «miglioramento fisico e morale della razza»; la legge 19 aprile
1942, n. 517, comportò invece l’esclusione degli ebrei dal campo dello spettacolo; vennero
vietati i testi di «autori di razza ebraica» ed anche la musica di compositori ebrei non venne
più eseguita in pubblico. Gli stessi musicisti, i pittori e gli scultori vennero esclusi dalle mo-
stre e dalle accademie oppure vennero censurati.
Le conseguenze delle persecuzioni furono drammatiche: tra gli ebrei si registrò un calo
della natalità, un aumento dei suicidi e gli iscritti alle Comunità ebraiche passarono da circa
45.000 nel gennaio 1938 a meno di 33.000 nel gennaio 194354
.
53
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 223. 54
Ivi, p. 211.
2
CONSEGUENZE DELLE LEGGI RAZZIALI
CON PARTICOLARE ATTENZIONE AGLI EBREI DI FORLÌ
2.1. Omosessualità e antisemitismo
Gli ebrei non furono certamente gli unici ad essere perseguitati dal regime fascista. Mi-
chele Sarfatti afferma in proposito:
«non vi fu solo la Shoah degli ebrei […] altri gruppi umani subirono devastazioni, eccidi, mas-
sacri di massa […] come gli zingari (si stima che gli uccisi siano stati più di 200 000, su una po-
polazione dei territori occupati non superiore al 1 000 000), o persone con handicap o giudicate
socialmente e razzialmente devianti, come gli omosessuali […]»55
.
Anche Valerio Marchetti ricorda che, nell’Italia fascista, vi furono infatti altre persecu-
zioni razziste, che riguardarono tutte le «componenti umane considerate inferiori»56
o «fuori
della norma».
In particolare, è possibile notare uno stretto legame che sembra sussistere tra omoses-
sualità ed antisemitismo, un pregiudizio già riscontrabile nel Basso Medioevo57
e ancora pre-
sente nella Francia di fine Ottocento dell’affaire Dreyfus. Gli ufficiali giudicanti erano infatti
certi della colpevolezza di Dreyfus in quanto ebreo in combutta con omosessuali e, forse, a
sua volta omosessuale.
«La Difesa della Razza» (“organo tecnico del razzismo italiano”, come venne definito
da Guido Landra) stigmatizzò a più riprese l’omosessualità maschile e femminile, anche se
nei confronti di quest’ultima si tentò, soprattutto, una cancellazione.
2.2. Saperi medico-psichiatrici nelle pratiche antisemite
55
M. Sarfatti, La Shoah in Italia, cit., p. 63. 56
V. Marchetti (a cura di), L’applicazione della legislazione antisemita in Emilia Romagna, cit., p. VII. 57
A. Toaff, Il vino e la carne, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 20.
Un ulteriore filone di indagine è poi costituito dalla immissione dei saperi medico-
psichiatrici nelle pratiche antisemite di tipo razzista, che determinò l’evoluzione del tradizio-
nale antigiudaismo in antisemitismo scientifico.
L’idea della razza preesisteva nel fascismo fin dal suo primo nascere. Già nel 1921
Mussolini aveva affermato: «I fascisti devono preoccuparsi della salute della razza», e poi nel
1923: «Il fascismo rappresenta il prodigio della razza italiana»; quindi, quattro anni più tardi,
annunciò: «La cura della salute fisica del popolo deve essere al primo posto»58
.
A tale riguardo, intervenne anche il forlivese Aldo Sacco, autore dell’articolo Tutela
della razza, comparso il 6 agosto 1938 su «La pagina del G.U.F.» de «Il Popolo di Roma-
gna»59
. In esso, tra l’altro si legge infatti che «Il Fascismo è stato, fin dal suo sorgere, inten-
samente preoccupato per i valori morali che scaturiscono dall’integrità biologica di una stir-
pe».
2.3. La posizione della Chiesa di fronte all’antisemitismo e alle leggi razziali
Dunque, il “diverso”, colui che opera “fuori della norma”, doveva essere segregato e
isolato; tale orientamento venne appoggiato anche dalla Chiesa.
Le accuse, oltre a quella tradizionale di deicidio, erano ricorrenti: “adoratori dell’oro”,
“sensibili sempre e solo al proprio interesse”, favorevoli alla “fermentazione delle idee bol-
sceviche”, a cui si aggiungeva quella dell’“uso di sangue cristiano nei riti pasquali ebraici”.
Sono riscontrabili radicati pregiudizi antiebraici anche nel clero più colto; per questo, vi
fu una posizione moderatamente critica nei confronti del Manifesto degli scienziati razzisti.
Ancora nel dicembre 1938 gli ebrei vennero descritti come responsabili delle loro disgrazie;
la soluzione teologica proposta era semplice: battesimo e conversione al cattolicesimo.
A tale proposito, va notato che una medesima presa di posizione era già stata indicata
nel periodico forlivese di impronta cattolica «Il Momento» che, nel n. 3 del 20 gennaio
193460
, così titolava il suo articolo di fondo: «L’intenzione Missionaria mensile: la Conver-
58
M. Bertani, Folli, psichiatri, ebrei al San Lazzaro di Reggio Emilia tra Ottocento e Novecento, in M. Sarfatti
(a cura di), «Israel», numero speciale in occasione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antie-
braica fascista, Firenze, Giuntina, Vol. LXXIII – n. 2 – maggio-agosto 2007, p. 13. 59
Il periodico è conservato presso l’Emeroteca Comunale di Forlì (Biblioteca A. Saffi). 60
Il periodico è conservato presso l’Emeroteca Comunale di Forlì (Biblioteca A. Saffi).
sione degli Ebrei». L’auspicio era che la preghiera, secondo le intenzioni del Papa e in nome
della carità, compisse il miracolo e facesse convertire gli ebrei in cattolici.
La mancata denuncia dell’antisemitismo è ravvisabile anche dalla lettura del «Bollettino
Ufficiale della diocesi di Forlì». Infatti, il vescovo forlivese Giuseppe Rolla nel n. 1-2 del
gennaio-febbraio 1937 condannò, in una Lettera Pastorale in occasione della S. Quaresima, il
comunismo, l’anarchia e il nazismo o razzismo tedesco (indicati come «terribile pericolo che
mira alla distruzione completa ed assoluta di tutta la civiltà latina e cristiana») ma non
l’antisemitismo.
Va anche detto che lo stesso monsignor Rolla avrebbe modificato, dopo l’8 settembre
1943, il proprio operato – e non fu, questo, un atteggiamento comune a tutti i prelati – utiliz-
zando proprio il «Bollettino» per invitare i sacerdoti della diocesi forlivese a prestare aiuto,
indistintamente, a chiunque ne avesse avuto bisogno (dunque, ebrei compresi).
Alberto Gagliardo61 ha sottolineato come nel «Bollettino Ufficiale della Diocesi di Ce-
sena» – dunque, a soli venti chilometri da Forlì – ancora nell’ottobre del 1939 si parlasse di
“perfidia giudaica” e di “giudei che annientarono Gesù sulla croce”.
Ovviamente, l’antigiudaismo cristiano non può di certo essere considerato causa della
Shoah. Tuttavia, qualche legame esiste, pur non essendoci – sostiene lo stesso Gagliardo –
rapporto di filiazione diretta tra l’eugenetica razziale del fascismo e quella “spirituale” prati-
cata per secoli dalla Chiesa.
2.4. La campagna di stampa antisemita a Forlì
A partire dal gennaio 1938, scrive Paola Saiani, anche a Forlì si scatenò una campagna
di stampa antisemita, conformemente ai mutati atteggiamenti politici di Mussolini nei con-
fronti degli ebrei62
. In realtà, le prime avvisaglie di antisemitismo risalivano, addirittura, a
quattro anni prima; infatti, su «Il Popolo di Romagna» del 3 aprile 193463
, nella rubrica Log-
gione (a firma La Maschera) anzitutto si faceva menzione del «timore del contagio,
dell’ebraica rivoluzione russa», poi si diceva di non voler generalizzare (perché la stessa ru-
brica aveva precedentemente difeso gli ebrei che avevano combattuto «bravamente allineati in
61
A. Gagliardo, Con un segno giallo sul petto, Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2010, pp. 15-16-17. 62
P. Saiani, Propaganda antiebraica ed eccidi a Forlì: 1938-1944, Forlì, «Bollettino 1990», 1990, p. 46. 63
Il periodico è conservato presso l’Emeroteca Comunale di Forlì (Biblioteca A. Saffi).
trincea, gomito a gomito» con i cattolici) ma era comunque un dato di fatto che fossero stati
arrestati «per antifascismo operante nel regno» dieci ebrei, oltre a «quel Levi Giuseppe ebreo,
il quale riparato oltre la sbarra di confine, inveì con le parole: 'Cani di Italiani vigliacchi'».
Dunque, conclude il pezzo, «Essi sono sudditi del regno di Giuda» e non certo italiani.
Interprete dei nuovi intendimenti del regime fu Pino Romualdi, all’epoca segretario del
G.U.F. di Forlì; egli, il 29 gennaio 1938, pubblicò su «Il Popolo di Romagna» un articolo as-
sai significativo, dal titolo Noi e gli ebrei, in cui si legge:
«Finalmente! In Italia ci si è sempre sgolati a dire – con la speranza di convincere – che il pro-
blema ebraico non solo non ci interessava, ma che nemmeno esisteva. Non siamo lontani dal
pensare che questa fosse una manovra dell’ebraismo. […] Il problema esiste e come, anche in
Italia. […] L’ebraismo non è solo una religione, ma un istinto di razza a vivere e dominare a
spese degli altri popoli. È una missione. Ogni ebreo ha un suo compito: dominare in ogni settore
ove agisca, emergere, impadronirsi dei centri nevralgici, legare a sé ogni autorità costituita,
comprometterla per agire tranquillamente e per più tranquillamente aiutare i fratelli a salire.
[…]»64
.
Dunque, anche il fascismo forlivese si era immediatamente allineato agli orientamenti
nazionali emersi a partire dal 1936, prima con l’annessione dell’AOI e la conseguente crea-
zione, il 9 maggio, dell’impero (che aveva generato un problema di purezza della razza – onde
evitare la «catastrofica piaga del meticciato»65
diffuso – nel cui orizzonte era poi entrata per
osmosi anche la questione ebraica) e poi con l’istituzione dell’asse Roma-Berlino (24 otto-
bre).
Sempre «Il Popolo di Romagna», commentando il Manifesto sulla razza emanato dagli
scienziati fascisti, nel luglio 1938 avrebbe poi affermato:
«Il comunicato intorno alla razza italiana degli studiosi, che ha chiamato i fascisti ad una difesa
integrale della razza, e le dichiarazioni del Segretario del Partito che hanno sottolineato il valore
di questo comunicato, ci lasciano sperare che ogni paura scompaia e che i dubbiosi e i troppo
pacifici lascino il campo a coloro che maggiormente credono nella fortuna della razza italiana e
fascista. È un formidabile passo che la Rivoluzione Fascista compie nel rinnovamento “ab imis”
del popolo italiano»66
.
Dal medesimo organo di stampa si apprende poi il perché del mancato interesse, sino a
quel momento, del fascismo verso la questione ebraica: ciò si doveva all’esiguo numero di
64
P. Saiani, Propaganda antiebraica ed eccidi a Forlì, cit., p. 45 e G. Iacuzzi, A. Gagliardo, Ebrei a Cesena,
Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2002, p. 32. 65
«Il Popolo di Romagna» 13 agosto 1938, ora in P. Saiani, Propaganda antiebraica ed eccidi a Forlì, cit.,
p. 46. 66
G. Iacuzzi, A. Gagliardo, Ebrei a Cesena, cit., p. 33.
ebrei presenti in Italia (a differenza di quanto si era invece riscontrato in Germania), che ave-
va reso il problema trascurabile. Ora, però, come si diceva poc’anzi,
«la precisazione dottrinaria nei riguardi della razza è sorta principalmente su di un altro piano;
nella forma categorica, assunta oggi, un fatto nuovo l’ha voluta: la creazione dell’Impero. La si-
tuazione, creata dal rapporto tra metropolitani, appartenenti alla razza superiore ariana, e sudditi
e coloniali, appartenenti a razze inferiori, ha imposto una presa di posizione ben netta. È infatti
un dato, di irrefutabile validità scientifica, che la progenie di elementi provenienti da razze di-
verse, di cui una inferiore, è psicologicamente menomata […] Tenendo presente quanto sopra, i
genitori che si rendono responsabili della nascita di un individuo decadente, non sono per nulla
meno colpevoli e perseguibili come tali delle consuete categorie di attentatori della specie. Oc-
corre, pertanto, creare in tutti gli italiani una coscienza di razza […] Di questa razza, nuova ed
antica, il – tipo – è Benito Mussolini»67
.
Inoltre, si aggiunge ancora:
«Ad alcuni il manifesto, pubblicato dai docenti fascisti, sotto l’egida del Ministero della cultura
popolare, è apparso una vera novità. È invece una conclusione. Il Fascismo è stato, fin dal suo
sorgere, intensivamente preoccupato per i valori che scaturiscono dall’integrità biologica di una
stirpe. I discorsi del Duce hanno sottolineato e prospettato, in varie circostanze, questo diretto
interesse dello Stato nei riguardi alla razza. Sono sorte istituzioni che, pur considerando aspetti
particolari del problema della stirpe oggi ricevono alla luce della recente dichiarazione,
un’organicità inaspettata e un raccoglimento delle loro finalità specifiche in una sola , centrale
direttiva. È su questo sfondo che si stagliano le mirabili provvisioni del Regime che sono:
l’opera per la maternità e l’infanzia, le colonie marine e montane, la G.I.L.»68
.
La campagna di stampa, finalizzata alla pubblica persecuzione, si fece sempre più dura,
polemica, spietata: «La pagina del G.U.F.» del 1° ottobre 1938 riporta, come titolo a tutta pa-
gina, i versi di Dante Uomini siate, e non pecore matte, sì che’l Giudeo tra voi di voi non ri-
da69
, che sarebbero poi diventati un vero e proprio slogan antisemitico, e che, non a caso,
vengono menzionati nella frase di Primo Levi proposta dal bando di concorso a cui il presente
scritto è finalizzato.
Fu di nuovo Romualdi ad esprimere disprezzo verso gli ebrei, pubblicando il seguente
annuncio:
«Ho istituito presso questo G.U.F. un Centro Razzista chiamandovi a far parte i camerati Sacco,
Brancaccio, Fusaroli, Balistrieri, Borghi, Santelmo, Gherardi D., Gherardi A., e Bedeschi. Il
centro si ripromette di portare un contributo di idee, di energie e di fede alla grande battaglia
razzista che il fascismo condurrà con intransigenza fino alle mete supreme, secondo il suo ini-
mitabile stile. Tutti coloro, universitari o no, che, come noi credono nella bellezza e nella bontà
del razzismo integrale, sono chiamati a collaborare»70
.
67
P. Saiani, Propaganda antiebraica ed eccidi a Forlì, cit., p. 46. 68
G. Iacuzzi, A. Gagliardo, Ebrei a Cesena, cit., p. 33. 69
Il periodico è conservato presso l’Emeroteca Comunale di Forlì (Biblioteca A. Saffi). 70
P. Saiani, Propaganda antiebraica ed eccidi a Forlì, cit., p. 47.
Unitamente a ciò, sempre Romualdi rincarò la dose con un successivo articolo, in cui si
legge:
«La storia della superiore intelligenza degli ebrei sta veramente da qualche tempo riempiendo le
tasche […]. Su che cosa consista questa presunta intelligenza ebraica lo dobbiamo ancora sape-
re, a meno che non si voglia continuare a confondere, come si è fino ad oggi confuso
l’intelligenza con l’astuzia, con l’arte dell’imbroglio e dello sfruttamento. […] Saper rubare e
vivere alle spalle degli altri è un’intelligenza che noi ci rifiutiamo di riconoscere per tale e che,
ad ogni buona ragione, riteniamo una dote negativa e deleterea al genere umano. […] Tutta la
cultura ebraica è essenzialmente negativa, scardinatrice di valori umani, rovinosa alle basi della
nostra società cristiana. Invano nelle opere d’arte ebraiche, anche in quelle dell’arte e della poe-
sia, trovereste un soffio di vita ideale, spirituale che vi purifichi e vi innalzi. Ogni cosa è vele-
no»71
.
Gli ebrei vennero inoltre attaccati richiamando, di nuovo, i (falsi) Protocolli di Sion, ma
non furono risparmiati nemmeno i cosiddetti “pietisti”, cioè coloro che avevano levato la pro-
pria voce contro l’indiscriminato antisemitismo. Conseguenza del clima così creatosi furono i
primi provvedimenti, malgrado ancora non esistessero norme che vietassero agli ebrei di par-
tecipare ad eventi o manifestazioni, che vennero comunicati dall’allora Prefetto di Forlì,
Oscar Uccelli, con una circolare del 22 agosto 1938; in essa si legge che occorre «tenere pre-
sente che gli inviti per conferenze di carattere scientifico o culturale, per discorsi, commemo-
razioni ecc. non debbano essere rivolti a persone che non siano di razza italiana»72
.
2.5. Il censimento del 22 agosto 1938 a Forlì e i suoi successivi aggiornamenti
La presenza ebraica a Forlì è accertata a partire dalla metà del XIII secolo ed è rimasta
costante malgrado le bolle papali di espulsione del XVI secolo. È però tra il XIX secolo e
l’inizio del XX che tale presenza divenne molto più significativa, non tanto dal punto di vista
numerico ma, piuttosto, da quello economico e sociale.
Un esempio di quanto appena affermato, attestante l’importanza e soprattutto la condi-
zione agiata dei nuovi insediamenti ebraici in città, si ritrova in un resoconto, intitolato Nozze
Del Vecchio - Sinigallia, redatto dal periodico «Critica Cittadina» relativo ad un matrimonio
ebraico, celebrato proprio a Forlì. In esso si legge:
«Domenica [24 marzo 1907, ndr] si celebrarono con molta distinzione e solennità le nozze della
vezzosissima signorina Ines Del Vecchio, col distinto sig. Goffredo Sinigallia, di Macerata. Già
fino dalla vigilia erano giunti in largo stuolo, per la lieta circostanza, congiunti ed amici degli
71
G. Iacuzzi, A. Gagliardo, Ebrei a Cesena, cit., p. 34. 72
Ivi, p. 37.
sposi e loro famiglie , ai quali l’ottimo ed egregio amico nostro Cav. Sabatino Del Vecchio, pa-
dre della sposa, offrì nella serata un sontuoso banchetto all’Hotel Masini. Allo champagne si fe-
ce eloquente interprete dei commensali l’egregio avv. cav. Samuele Coen, di Roma, porgendo
agli sposi ed alle famiglie loro l’espressione dei voti di felicità che sorgevano calorosi dal cuore
di tutti; a l’indovinato brindisi, rispose commosso il padre della sposa.
Domenica mattina, in Municipio, venne celebrato il matrimonio civile, personalmente dal Sin-
daco; indi, alle ore 11, in casa Del Vecchio, il Rabbino – giunto espressamente da Ancona – unì
la eletta coppia col rito ebraico. In entrambe le cerimonie furono testimoni per la sposa i signori
Achille Sanguinetti e Giuseppe Terni, e per lo sposo l’avv. cav. Samuele Coen ed il Sig. Giulio
Aiò.
L’appartamento Del Vecchio era letteralmente trasformato in una serra olezzante pel profumo
commisto dei fiori che, intessuti in ogni foggia, in mazzi , palme, corbeilles, o raccolti in vasi
d’ogni forma e dimensione, ornavano tutti i mobili e decoravano i salotti, lungo le pareti dei
quali erano stati disposti per mancanza di spazio sufficiente ad accoglierli altrimenti.
Mentre giungevano da ogni parte, ininterrottamente telegrammi augurali e venivano gustate le
dolcezze d’un ricco rinfresco, egregiamente servito dal Caffè della Posta, la sposa, elegantissima
nella splendida e bianca veste nuziale, che meglio ne faceva risaltare l’avvenenza e la grazia, ri-
cambiava gli auguri offrendo personalmente i confetti ai numerosissimi invitati che affollavano
l’appartamento e convergevano verso la sala totalmente occupata dai magnifici doni che forma-
vano una splendida esposizione ove la ricchezza rivaleggiava col buon gusto»73
.
Il cavalier Sabatino Del Vecchio (figlio di Benedetto Del Vecchio e fratello di Samuele,
anche lui commerciante) era infatti il titolare della ditta “Casa Del Vecchio”, un negozio di
tessuti ubicato in Via Mazzini n. 11. Si trovano varie tracce, in città, della sua attività lavora-
tiva e filantropica: egli, infatti, è già menzionato nell’elenco dei negozianti forlivesi pubblica-
to da Calzini e Mazzantini nel 1893; nel 1906, invece, figura assieme al fratello nella Lista
Generale degli Elettori Commerciali della Camera di Commercio ed Arti di Forlì. Infine, la
famiglia Del Vecchio viene ricordata anche in una lapide commemorativa (posta di fianco alla
volta di ingresso del Comune di Forlì e da noi vista direttamente nel corso dell’itinerario tra i
luoghi della memoria forlivesi) dei fondatori della locale sezione della Croce Rossa Italiana,
realizzata a Forlì per iniziativa del prof. Sante Solieri, nel 1913.
Nei suddetti nominativi dei soci fondatori è inserito pure Gustavo Saralvo (di cui si trat-
terà a lungo nel presente capitolo), un altro ebreo residente in città; suo zio Giuseppe Saralvo
– che risulta tra i presenti al matrimonio suddetto – era invece commerciante di tessuti con
negozio ubicato in piazza Vittorio Emanuele 8 (l’attuale piazza Saffi), come si evince dalla
già menzionata Lista Generale degli Elettori Commerciali della Camera di Commercio ed Arti
di Forlì per il 1906. Figlio di Simone Saralvo, Giuseppe era nato a Lugo il 13 febbraio 1862;
sposato con Ada Samaja (anch’ella nata a Lugo, il 16 marzo 1870), si era trasferito prima a
Cesena, quindi a Forlì nel 1891. In qualità di titolare e proprietario esclusivo aveva in seguito
presentato alla Camera di Commercio e Industria di Forlì, il 25 maggio 1911, una dichiara-
73
F. Gioiello, La Forlì ebraica, cit. pp. 38-39.
zione attestante l’apertura, risalente al maggio di due anni prima, di un esercizio di rivendita
all’ingrosso di stoffe per uomo, ubicato in via Torri n. 7.
Altri ebrei sicuramente operanti in città, sempre in qualità di negozianti, furono Giulio
Samaja, Remigio Levi e Samuele Del Vecchio, il già menzionato fratello di Sabatino. Proprio
quest’ultimo rilevò la ditta del congiunto, morto il 28 ottobre 1918, assieme alla sorella For-
tuna. Tali notizie, come quelle successive, si evincono dal registro n. 970, intestato a Sabatino
Del Vecchio, dell’Archivio storico Camera di Commercio Forlì-Cesena.
I due fratelli dopo meno di un anno (il 4 novembre 1919) informarono la Camera di
Commercio di aver cessato l’attività e di essersi ritirati dal commercio.
Anche per Giulio Samaja, figlio di Angelo e nativo di Lugo, è possibile ritrovare alcune
informazioni all’interno del registro conservato a suo nome presso la Camera di Commercio
di Forlì-Cesena, col n. 3351. Titolare di una merceria ubicata in Corso Vittorio Emanuele
(l’attuale Corso della Repubblica), il suo nome, come quelli di Giuseppe Saralvo e Sabatino
Del Vecchio, era però già compreso negli elenchi dei negozianti forlivesi pubblicato da Calzi-
ni e Mazzantini nel 1893.
Samaja cessò l’attività il 13 gennaio 1918, come formalizzato con una comunicazione
inviata alla Camera di Commercio in data 14 febbraio 1918. Il successivo 28 marzo fu un al-
tro ebreo, Ezio Jacchia, a rilevarne l’attività.
A sua volta, in data 16 ottobre 1918 l’ebreo cesenate Remo Jacchia (nato il 29 giugno
1871, figlio di Sabbatino e abitante in via Garibaldi) subentrò ad Ezio Jacchia, trasferendosi a
Forlì e rilevando la ditta di merceria.
Ad arricchire la presenza ebraica a Forlì, prima del 1910 giunsero in città anche i fratelli
Nissim e Leone Matatia. I due decisero di lasciare la Grecia (sebbene nati a Smirne, erano in
realtà cresciuti a Corfù) per avviare un negozio di pellicceria proprio nel forlivese, su invito di
un loro parente. Quest’ultimo gestiva un’attività similare a Bologna e, riscontrando grandi po-
tenzialità nel mercato di detto settore in zone limitrofe, convinse i congiunti a tentare
l’avventura. Evidentemente l’esperimento ebbe successo, poiché nel 1920 venne chiamato in
Italia anche Eliezer, fratello di Nissim e Leone, il quale fu mandato ad aprire un analogo eser-
cizio commerciale a Faenza.
Dunque, l’elemento ebraico era, al termine del primo trentennio del Novecento, di certo
integrato perfettamente nel tessuto sociale cittadino, senza che si riscontrassero frizioni di sor-
ta. Anche l’avvento del fascismo non fece registrare, almeno inizialmente, problemi correlati
agli ebrei. A tale riguardo, appare davvero significativo quanto compare nell’edizione origina-
le (agosto 1928) della guida di E. Casadei, Forlì e dintorni. Nelle ultime pagine della pubbli-
cazione vengono indicati i vari inserzionisti che avevano sostenuto con le loro pubblicità i co-
sti di stampa; nonostante l’opera riproducesse in apertura niente meno che la foto di Mussoli-
ni, tra gli sponsor compaiono, a confermare l’ipotesi di integrazione, i nomi dell’ebreo Geza
Molnar (con lo slogan “Premiati Brevettati Denti Molnar”, Forlì, Via A. Diaz, 30. Telefono
275) e quello di Ercole Galassi (“Eguaglianza Assicurazione contro i danni della grandine
fondata nel 1875”) coniugato con l’ebrea Giulia Del Vecchio, nonché quello della ditta di
manifatture all’ingrosso Parassiani & Guardigli (successori di Samuele e Fortunata Del Vec-
chio) e, infine, quello della Coop. Lavoranti Falegnami – Forlì (Via C. Cattaneo, 8 – Telefono
119 – Via M. Missirini) che, invece, sarebbe poi stata tragicamente protagonista della perse-
cuzione antiebraica cittadina.
La progressiva integrazione ebraica viene confermata anche dallo storico forlivese An-
tonio Mambelli, secondo il quale «nessuno ebbe mai a lagnarsi degli ebrei»74
. Ma l’Italia in
generale divenne un rifugio e un’opportunità per esercitare le professioni di medico, ingegne-
re e quant’altro per gli ebrei stranieri, il cui numero raggiunse nel 1938 le oltre 10.000 unità.
Forlì non fu da meno: nel piccolo insediamento ebraico cittadino si contano infatti me-
dici, ad esempio Geza Molnar e Giorgio Ban, ed ingegneri come Luigi Szego, giunti apposta
dall’estero per sfruttare settori professionali ancora largamente in espansione.
Il primo di essi in ordine di tempo a giungere in città fu il medico dentista Geza Molnar,
figlio di Filippo e di Ester Reiner; nato a Budapest il 31 ottobre 1892, venne chiamato in Italia
dal fratello Otto e prese domicilio a Forlì il 17 gennaio 1921. Iscritto al PNF dal 1926, sposò
Annunziata Gamberini; stante a quanto si legge nel fascicolo a lui riservato – e custodito pres-
so l’Archivio di Stato di Forlì – la sua condotta non diede mai luogo a rilievi, né morali né po-
litici75
.
L’ingegner Luigi Szego, nato in Ungheria il 29 maggio 1893, cattolico, giunse invece in
Italia l’8 settembre 1925, stabilendosi a Roma; si trasferì a Forlì il 13 giugno 1933. L’anno
successivo si sposò con Maria Maddalena Sonnati, anch’ella cattolica. I due ebbero tre figli
(Sergio, nato il 4 agosto 1931, Alberto Luigi, nato il 14 aprile 1933, e Eduardo Luigi, nato l’8
agosto 1934), tutti battezzati; Szego ottenne la cittadinanza italiana nell’aprile del 193876
.
Ugualmente documentata è la data dell’arrivo a Forlì del medico odontoiatra ungherese
Giorgio Ban, avvenuto il 27 ottobre 1936; egli era giunto in Italia, anche lui dall’Ungheria,
74 A. Mambelli, Diario degli avvenimenti di Forlì e Romagna dal 1939 al 1945, (a cura di Dino Mengozzi),
Manduria, Piero Lacaita Editore, 2003. 75
ASFo, Prefettura di Forlì, Archivio generale, anni 1938-1945, 1-13-5 (Ebrei), busta 1, fascicolo Ebrei,
discriminazioni, ora in F. Gioiello, La Forlì ebraica, cit., p. 47. 76
G. Caravita, Ebrei in Romagna, (1938-1945), Ravenna, Longo Editore, 1991.
all’età di 18 anni, quindi nel 1925 – proprio come Szego – essendo nato il 25 dicembre 1907,
e si era laureato in Italia, a Torino. Convertitosi prima dell’entrata in vigore delle leggi razzia-
li, sposò la cittadina italiana Anna Maria Cicognani (nata il 16 maggio 1908), di religione cat-
tolica, ed ebbe da lei due figli, entrambi battezzati77
, Laura (nata il 2 marzo 1940) e Stefano
(nato il 26 novembre 1941).
Veniamo ora al censimento del 22 agosto 1938.
Un telegramma “urgentissimo” giunse, da Roma, alla Prefettura di Forlì in data 20 ago-
sto 1938. Esso conteneva alcuni chiarimenti circa le modalità del censimento degli ebrei resi-
denti in Provincia. Per esempio, qualora un’intera famiglia si fosse trovata momentaneamente
fuori Comune (in agosto molti erano in ferie presso località balneari) il Podestà avrebbe dovu-
to «avvertire per telegrafo comune aut comuni dimora provvisoria perché censimento sia ivi
effettuato […]». Fu proprio questa la modalità che venne utilizzata per schedare la famiglia di
Nissim Matatia, come si ricorderà pellicciaio ebreo dimorante a Forlì con la moglie Matilde
ed i figli Roberto, Nino e Camelia; in vacanza al mare, essi vennero infatti censiti a Riccione,
dove i Matatia possedevano una villa addirittura confinante con quella di Mussolini78
, e non a
Forlì.
Si disse ufficialmente che il censimento fosse dovuto a motivi “di studio” e, forse per
questo, gli ebrei non ne colsero l’importanza, anzi collaborarono pienamente alla sua realizza-
zione.
Le famiglie ebree censite a Forlì furono inizialmente quattordici, come risulta da un do-
cumento firmato dal Prefetto Uccelli in data 26 agosto79
.
L’elenco completo dei capifamiglia è il seguente:
1) Sinigallia Saralvo Eufrosina, fu Davide, Forlì, Via Arnaldo da Brescia 5
2) Franceschelli Tomaso, di Nicola, Forlì, Via Garibaldi 42
3) Sabbadini Elda, fu Salomone, Forlì, Via Vittorio Emanuele 11
4) Masini Edgardo, fu Angelo, Forlì, Corso Vittorio Emanuele 41
5) Galassi Ercole, fu Achille, Forlì, Corso del Duomo 1
6) Monti-Cocchi Alessandro, fu Attilio, Forlì, San Martino Strada 214
77
Ivi, pp. 428-429. 78
Il pronipote di Nissim, Roberto Matatia, ha pubblicato in merito a questa particolarissima circostanza il
romanzo I vicini scomodi (Firenze, Giuntina, 2012). 79
F. Gioiello, La Forlì ebraica, cit., pp. 109-110.
7) Saralvo Gustavo, fu Davide, Forlì, Corso Vittorio Emanuele 46
8) Saralvo Renzo, fu Davide, Forlì, Via Filippo Corridoni 7
9) Molnar Geza, fu Filippo, Forlì, Via Melchiorre Missirini 4
10) Szego Luigi, di Erminio, Forlì, Viale Bologna 22
11) Klein Emerico, fu Samuele, Forlì, Corso Diaz 19
12) Balazs Ladislao, fu Luigi, Forlì, Via Vittorio Emanuele 97
13) De Luigi Giovanni, fu Alessandro, Forlì, Corso Diaz 63
14) Ban Giorgio, di Ugo, Forlì, Via Lazzarini 9
I nuclei familiari censiti divennero poi quindici con la denuncia effettuata da Pirani
Massimo (di Adolfo, residente a Forlì, ma di cui non si specifica l’indirizzo), «identificato in
ritardo», come si evince dalla comunicazione che il Podestà di Forlì inviò al Prefetto in data
29 agosto 193880
.
Negli anni successivi la Divisione III dei Servizi Demografici del Comune di Forlì
avrebbe poi provveduto ad aggiornare costantemente i Registri della Popolazione appartenen-
te alla razza ebraica; così, per esempio, il 28 gennaio 1941 al Questore e al Prefetto di Forlì
venne comunicato che
«a data 9 gennaio corr., il Sig. Diena Remigio di Arturo e di Sacerdote Lidia, nato a Milano il
13 marzo 1923, proveniente da Roma, di stato civile celibe, di professione studente, appartenen-
te a razza ebraica (atto N° 2959 del 6 febbraio 1939 = Roma), ha denunciato di prendere la sua
residenza in questo Comune presso la zia Sig.ra Diena Laura in De Luigi, abitante in via A.
Diaz N° 63»81
.
Una vera e propria revisione generale del censimento degli ebrei, attraverso la compila-
zione di nuove schede, sarebbe stato realizzato nel settembre 1942; per il futuro, a partire da
tale data, «Le variazioni che verranno a verificarsi tra la popolazione di razza ebraica o mista
residente nelle rispettive provincie saranno comunicate immancabilmente a questa Prefettura,
anche se negative, entro il giorno 2 di ciascun mese, tenute presenti le disposizioni di cui alle
precedenti circolari […]»82
.
Un successivo elenco (senza indicazione della data di compilazione ma di certo succes-
sivo al 26 novembre 1941, data di nascita di uno dei censiti compresi in detto elenco, vale a
80
Ivi, p. 110. 81
Ibid. 82
Ivi, p. 111.
dire Ban Stefano, e probabilmente del 1944 a dire di Paola Saiani) avrebbe poi riportato i no-
mi di tutti gli ebrei forlivesi, suddivisi in “famiglie miste” e “famiglie tutte ebraiche”83
:
ELENCO NOMINATIVO EBREI RESIDENTI NEL COMUNE DI FORLI’
APPARTENENTI A FAMIGLIE MISTE
N.
ord.
Cognome
e nome
Paternità Data di
nascita
Relazione di
parentela
Cittadinanza
e razza
Professione Indirizzo
1 Franceschelli
Tomaso
Nicola 7/5/1889 Capo famiglia Italiana-Ariana Ufficiale R.E. Garibaldi 42
2 Ascoli Rina fu Lionello 14/12/1899 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
3 Franceschelli
Nicola
Tomaso 28/11/1926 Figlio Italiana-Ariana Studente " "
4 Franceschelli
Marisa
Tomaso 8/2/1928 " Italiana-Ariana " " "
5 Ban Giorgio Ugo 25/12/1907 Capo famiglia Ungherese-Ebraica Medico Dent. G. Lazzarini 9
6 Cicognani Anna
Maria
Carlo 6/5/1908 Moglie Ungherese-Ariana Casalinga " "
7 Ban Laura Giorgio 2/3/1940 Figlia Ungherese-Ariana ----------------- " "
8 Ban Stefano Giorgio 26/11/1941 " Ungherese-Ariana ----------------- " "
9 Galassi Ercole fu Achille 14/5/1865 Capo Famiglia Italiana-Ariana Pensionato A. Beltramelli 4
10 Delvecchio Giulia fu Benedetto 5/6/1864 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
11 Galassi Corrado Ercole 16/4/1889 Figlio Italiana-Ariana Sordo-Muto " "
12 De Luigi Giovan-
ni
Alessandro 31/1/1884 Capo Famiglia Italiana-Ariana Impiegato A. Diaz 65
13 Diena Laura fu Angelo 27/2/1886 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
14 Diena Remigio Arturo 13/3/1923 Nipote Italiana-Ebraica Studente " "
15 Sarti Gustavo fu Domenico 30/1/1901 Capo Famiglia Italiana-Ariana Veterinario Bruni 4
16 Fiorentino Olga Arturo 29/4/1907 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
17 Sarti Fiorella Gustavo 5/2/1929 Figlia Italiana-Ariana Studentessa " "
18 Calibani Luigi Agesilao 22/7/1905 Capo Famiglia Italiana-Ariana Ufficiale R.E. Fulcieri Paolucci
6
19 Lanternari Bice Vito 15/9/1904 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
20 Calibani Maurizio Luigi 16/2/1937 Figlio Italiana-Ariana ----------------- " "
21 Klein Emerico fu Samuele 29/3/1908 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Medico Dent. Armando Diaz 19
22 Ricci Anna Ferruccio 18/1/1914 Moglie Italiana-Ariana Casalinga " "
23 Klein Marina Emerico 11/2/1941 Figlia Italiana-Ebraica ----------------- " "
24 Lami Gregorio Quinto 15/10/1904 Capo Famiglia Italiana-Ariana Medico Ch. Cucchiari 6
25 Molnar Frida fu Filippo 25/7/1902 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
26 Lami Claudio Gregorio 31/12/1930 Figlio Italiana-Ariana Studente " "
27 Molnar Gèza fu Filippo 31/10/1892 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Odontoiatra Missirini 4
28 Gamberini An-
nunziata
Domenico 1/5/1891 Moglie Italiana-Ariana Casalinga " "
29 Saralvo Gustavo Davide 28/5/1890 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Commerciante V. Emanuele 48
30 Mughini Clara fu Averardo 1/2/1899 Moglie Italiana-Ariana Casalinga " "
31 Saralvo Sergio Gustavo 12/5/1923 Figlio Italiana-Ariana Studente " "
32 Saralvo Rossana Gustavo 13/5/1925 " Italiana-Ariana Studentessa " "
33 Giannini Salvato-
re
fu Francesco 17/1/1874 Capo Famiglia Italiana-Ariana Benestante P. Maroncelli 4
34 Servi Dirce fu Giacobbe 16/4/1881 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
35 Giannini Clara Salvatore 29/5/1893 Figlia Italiana-Ariana Impiegata " "
83
Ivi, pp. 111-113
36 Szegö Luigi Erminio 29/5/1893 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Ingegnere I. Balbo 22
37 Sonnati Maria
Maddalena
fu Tommaso 17/10/1893 Moglie Italiana-Ariana Casalinga " "
38 Szegö Giorgio Luigi 4/8/1931 Figlio Italiana-Ariana Studente " "
39 Szegö Alberto
Luigi
Luigi 14/4/1933 " Italiana-Ariana Scolaro " "
40 Szegö Eduardo
Luigi
Luigi 8/8/1934 " Italiana-Ariana Scolaro " "
41 Masini Edgardo fu Angelo 14/4/1870 Capo Famiglia Italiana-Ariana Possidente V. Emanuele 41
42 Valenzin Annita fu Leone 3/7/1891 Moglie Italiana-Ebraica Casalinga " "
43 Masini Angelo Edgardo 17/5/1927 Figlio Italiana-Ariana Studente " "
ELENCO NOMINATIVO EBREI RESIDENTI NEL COMUNE DI FORLI’
APPARTENENTI A FAMIGLIE TUTTE EBRAICHE
1 Saralvo Renzo Davide 18/7/1891 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Commerciante P.za Morgagni
1
2 Sonnino Celeste Camillo 12/3/1901 Moglie Italiana-Ebraica Coadiuva il
marito
" "
3 Habib Elia Leone 30/11/1918 Capo Famiglia Italiana-Ebraica Benestante Ronco 64
4 Habib Fortunata Siam 27/9/1911 Moglie Italian-Ebraica Casalinga " "
5 Habib Arletta
Jenni
Elia 31/8/1942 Figlia Italiana-Ebraica ------------------- " "
In data 16 dicembre 1943, il Questore di Forlì avrebbe invece trasmesso al Capo della
Provincia il seguente elenco:
1) ASCOLI Rina di Leone e di Modigliana Elisa, nata a Ferrara il 14.12.1899, residen-
te a Forlì in via Garibaldi n° 42, casalinga – di nazionalità italiana e di razza ebrai-
ca. È coniugata col Tenente Colonnello Franceschelli Tommaso prigioniero di
guerra – di razza ariana e di nazionalità italiana. Ha due figli. Trattasi di famiglia
mista, per cui, in conformità alle disposizioni emanate dal Ministero dell’Interno –
Direzione Generale di Polizia – detta ebrea è sottoposta a vigilanza. Non possiede
beni patrimoniali ed abita in appartamento in fitto.
2) BAN Giorgio di Ugo e fu Feldeman Iolanda, nato a Budapest (Ungheria) il
25.12.1907, domiciliato a Forlì Via Lazzarini n° 9 – odontoiatra – di razza ebraica e
di nazionalità ungherese. È coniugato con la suddita italiana Cicognani Anna Maria
– ariana – ed ha due figli di tenera età. Da qualche tempo si è allontanato per ignota
destinazione e vuolsi siasi rifugiato in territorio elvetico. Sono state diramate le ri-
cerche per il fermo. La moglie è proprietaria dello stabile sito in via Lazzarini al ci-
vico n° 9 – nonché di una villa a S. Giorgio di Cesena requisita, giusta dichiarazio-
ne della medesima, dall’Autorità Militare Germanica per necessità belliche.
3) DIENA Laura fu Angelo e di Pugliesi Marcella, nata a Vercelli il 27.2.1886 – resi-
dente a Forlì Via Diaz 63 – casalinga, di nazionalità italiana e di razza ebraica. È
coniugata col suddito italiano De Luigi Giovanni – ariano – Direttore di questo Sta-
bilimento Bonavita. La predetta Signora è proprietaria della villa dalla medesima
abitata. Trattasi di famiglia mista, per cui – in conformità delle disposizioni emana-
te dal Ministero dell’Interno – è soltanto sottoposta a vigilanza.
4) DIENA Remigio di Arturo e fu Livia Sacerdote, nato a Milano il 13.3.1923, ospite
a Forlì presso la zia Diena Laura segnata al n° 3, odontoiatra – di nazionalità italia-
na di razza ebraica – celibe; non possiede beni di sorta in questa città. Da tempo si è
allontanato da questa città per ignota destinazione. Sono state pertanto diramate le
circolari per il fermo.
5) FIORENTINO Olga fu Arturo e di Tedeschi Emma, nata ad Imola il 29.4.1907, re-
sidente a Forlì in Via Bruni n° 4 – casalinga – di nazionalità italiana e di razza
ebraica. È coniugata con l’italiano Sarti Gustavo veterinario, ariano. Dal locale Uf-
ficio Imposte Dirette non si rilevano beni intestati a suo nome. Trattasi di famiglia
mista, per cui in conformità alle disposizioni impartite dal Ministero dell’Interno
viene vigilata.
6) FRANKEL Guglielmo di Iakob e di Krel Rosa, nato a Monasternjscke (Polonia) il
21.3.1905, già abitante a Forlì in Via Padulli n° 14 odontoiatra, con gabinetto denti-
stico a Bologna – di nazionalità polacca e di razza ebraica. A Forlì, come da accer-
tamenti eseguiti presso l’Ufficio di Imposte Dirette, non ha beni intestati a suo no-
me. A Bologna ha un appartamento in Via Ugo Reno n° 7. Sfollato da Bologna era
a Forlì ospite in casa del suocero Conti Giovanni. Si vuole che l’appartamento di
Bologna sia vuoto. Sono state diramate le ricerche per il fermo.
7) HABIB Elia di Leone e di Habib Irene nato a Tripoli il 30.11.1918, residente nella
frazione Ronco di questo Comune n° 64, di nazionalità italiana e di razza ebraica –
coniugato con l’ebrea:
8) HABIB Fortunata di Sion e di Scherer Jennj, nata a Parigi il 26.11.191184
– di na-
zionalità italiana. I predetti coniugi si sono allontanati per ignota destinazione e,
pertanto, sono state diramate le circolari per il fermo. L’appartamento lasciato dagli
stessi di proprietà del marchese Paolucci, è attualmente occupato dalla famiglia Ca-
stelli, sfollata da Tripoli.
9) KLEIN Imre di Samuele e fu Rosembluch Ester, nato a Eger il 29.5.190885
domici-
liato a Forlì Via Diaz n° 19 – odontoiatra – ebreo che acquistò la cittadinanza ita-
liana dopo aver contratto matrimonio con la suddita italiana-ariana Ricci Anna.
L’appartamento risulta di proprietà dei fratelli della moglie che l’abita con due figli
di tenera età. Dagli accertamenti eseguiti al locale Ufficio dell’Imposte Dirette non
si rilevano beni intestati a suo nome. Il 6 dicembre u. s. è stato fermato, in quanto
sono in corso gli accertamenti per conoscere se tuttora conservi la cittadinanza ita-
liana, perché – in tal caso – dovrebbe essere soltanto vigilato, avendo contratto ma-
trimonio con cittadina italiana-ariana e quindi da considerarsi appartenente a fami-
glia mista.
10) LANTERNARI Bice di Vito e di Sinigallia Pia, nata ad Ancona il 15.9.1904, resi-
dente a Forlì in Via Fulcieri n° 6 – casalinga – di nazionalità italiana e di razza
ebraica. È coniugata con Calibani Luigi – Ufficiale dell’Esercito, di razza ariana. Il
marito attualmente sarebbe in Germania ed il mobilio dell’appartamento, che ha in
affitto, sarebbe di proprietà del marito. Trattasi di famiglia mista per cui, in con-
formità delle disposizioni impartite dal Ministero dell’Interno, viene vigilata.
11) MOLNAR Frida fu Filippo e di Reiner Ester, nata a Budapest (Ungheria) il 23. 7.
190286
casalinga – residente a Forlì in Via Cucchiari n° 6 – di nazionalità italiana e
84
Si riscontra qui un errore nella data di nascita. Sappiamo infatti che Habib Fortunata era nata il 27 settembre
1911 e non il 26 novembre. 85
Si riscontra qui un errore nella data di nascita. Sappiamo infatti che Klein Emerico era nato il 29 marzo 1908 e
non il 29 maggio. 86
Si riscontra qui un errore nella data di nascita. Sappiamo infatti che Molnar Frida era nata il 25 luglio 1902 e
non il 23 luglio.
di razza ebraica. È coniugata con Lami Gregorio – medico condotto di nazionalità
italiana e di razza ariana. La Molnar è divisa dal marito ed ignorasi l’attuale suo
preciso recapito. Pertanto sono state diramate le ricerche per la vigilanza.
L’appartamento è occupato dal marito e da un figlio.
12) MOLNAR Geza fu Filippo e di Reiner Ester, nato a Budapest il 31. 10. 1892, resi-
dente a Forlì in Via Missirini n° 4 – odontoiatra di razza ebraica, che acquistò la cit-
tadinanza italiana dopo aver contratto matrimonio con l’italiana ariana Gamberini
Annunziata, casalinga. Ottenne la discriminazione e cioè poteva esercitare libera-
mente la sua attività professionale. I predetti coniugi, che possiedono
l’appartamento in Via Missirini n° 4 ed un podere di 11 ettari, si sono allontanati da
questa città per ignota destinazione. Sono state diramate le ricerche per il rintraccio
del Molnar e sono in corso gli accertamenti per conoscere se tuttora egli conservi la
cittadinanza italiana, perché in tal caso dovrebbe essere soltanto vigilato, avendo
contratto matrimonio con suddita italiana ariana e quindi da considerarsi famiglia
mista. L’appartamento dove abitano detti coniugi l’ha attualmente in custodia la Si-
gnora Gamberini Argia, sorella della moglie del Molnar, mentre il Gabinetto denti-
stico è a disposizione della Autorità Militare Germanica.
13) SARALVO Gustavo fu Davide e di Sinigallia Eufrosina, nato a Cesena il
10.3.189087
, residente a Forlì in Via Vittorio Emanuele n° 46 – negoziante di tessu-
ti, di nazionalità italiana di razza ebraica. È coniugato con l’italiana Mughini Clara
di razza ariana. Dal locale Ufficio Imposte Dirette non si rilevano beni intestati al
suo nome. L’appartamento preso in affitto da detta famiglia è abitato dalla moglie e
dai figli. Il Saralvo attualmente è assente da Forlì e si ignora il suo attuale recapito.
Trattasi di famiglia mista, per cui sono state diramate le ricerche per il rintraccio e
la vigilanza del Saralvo.
14) SARALVO Renzo fu Davide e di Sinigallia Eufrosina, nato a Cesena il 18.7.1891,
negoziante di tessuti, di nazionalità italiana e di razza ebraica, è coniugato con
l’ebrea italiana.
15) SONNINO Celeste di Camillo e di Astrologo Belladonna, nata a Roma il 12.3.1901
– casalinga. Dal locale Ufficio Imposte non si rilevano beni intestati a suo nome.
Sarebbero però proprietari di una casa sita in questa Via Bellonci n° 2. Sono in cor-
so ulteriori accertamenti in merito e si fa riserva di comunicarne l’esito. La mobilia
di casa di detti coniugi è sottoposta a sequestro da parte del Comm. Zaoli Giordano
proprietario dell’appartamento dove essi abitavano per crediti insoddisfatti. Gli
stessi poi si sono allontanati da questa città per ignota destinazione e, pertanto, so-
no state diramate le ricerche per il loro fermo.
16) SZEGO Luigi di Erminio e di Bak Elena, nato a Sopron (Ungheria) il 29.5.1893,
residente a Forlì Via Italo Balbo n° 24 – ingegnere ebreo che acquistò la cittadinan-
za italiana dopo aver contratto matrimonio con l’italiana ariana Sonnati Maria, ca-
salinga. Ottenne anche la discriminazione e cioè poteva esercitare liberamente la
sua attività professionale. Il 6 dicembre u. s. è stato fermato in quanto sono in corso
gli accertamenti per conoscere se tuttora conservi la cittadinanza italiana, perché –
in tal caso – dovrebbe essere soltanto vigilato, avendo contratto matrimonio con cit-
tadina italiana-ariana e quindi da considerarsi appartenente a famiglia mista. Non
87
Si riscontra qui un errore nella data di nascita. Sappiamo infatti che Saralvo Gustavo era nato il 25 maggio
1890 e non il 10 marzo.
posseggono beni di fortuna. La famiglia, che si compone della moglie e di due figli
di minore età, abitano in un appartamento preso in affitto.
17) SERVI Dirce fu Giacobbe e fu Sorani Virginia, nata a Pitigliano (Grosseto) il
16.4.1881 – residente a Forlì in Via Maroncelli n° 4 – casalinga – cittadina italiana
di razza ebraica. È coniugata con l’italiano ariano Giannini Salvatore. Dal locale
Ufficio Imposte Dirette non si rilevano beni intestati al suo nome. Trattasi di fami-
glia mista per cui in conformità alle disposizioni emanate dal Ministero dell’Interno
è soltanto vigilata.
18) VALENZIN Annita fu Leone e fu Alpron Elena, nata a Venezia il 3.7.1891, at-
tualmente abitante in Via Castellaccio di Ravenna e con domicilio a Forlì ed a Fi-
renze, possidente, di nazionalità italiana e di razza ebraica. È vedova del possidente
Comm. Masini Edgardo di razza ariana. Lo stabile sito in questo Corso Muti (già
Corso Vittorio Emanuele) n° 1 di proprietà del marito, è stato ceduto in affitto
all’Ente Economico dell’Agricoltura. Trattasi di famiglia mista per cui viene soltan-
to vigilata in conformità alle disposizioni Ministeriali.
L’ultimo «Elenco cittadini di razza ebraica della Provincia» sarebbe stato trasmesso dal
Questore di Forlì alla Prefettura Repubblicana (Ufficio Ragioneria) di Forlì, in data 20 aprile
1944. In esso non compare alcun nominativo nuovo rispetto a quelli che sono già stati citati88
.
2.6. Le conseguenze delle prime leggi razziali (R.D.L. 1390 e 1381)
Le conseguenze del varo delle leggi persecutorie furono immediate.
L’8 novembre 1939 sarebbe incorso nei rigori della legge in oggetto Nissim Matatia
che, come riporta una comunicazione della Questura di Forlì inviata al Prefetto, «è stato fer-
mato dalla R. Questura di Bologna il 31 ottobre u.s. per essere allontanato dal territorio nazio-
nale, come da tassativo ordine ministeriale. A mezzo di due agenti di quell’Ufficio sarà fatto
accompagnare a Brindisi, da dove a mezzo di aereo raggiungerà Atene. Il Matatia – com’è no-
to – ha qui un negozio di pellicceria in piazza Saffi»89
.
Per quanto riguarda invece il R.D.L. del 5 settembre 1938 n. 1390 (il primo approvato
in ordine cronologico), relativo ai provvedimenti adottati per la scuola – che prevedeva, come
si ricorderà, l’espulsione di studenti e insegnanti ebrei – le conseguenze, a Forlì, non furono
particolarmente rilevanti. Costituirono un’eccezione i figli di Nissim Matatia, Roberto, Nino e
Camelia, i quali, a seguito dei provvedimenti persecutori, dovettero abbandonare Forlì e tra-
88
Ivi, pp. 114-118. 89
Ivi, pp. 119-120
sferirsi a Bologna, dove frequentarono a partire dall’anno scolastico 1938-39 una scuola pri-
vata ebraica.
Paiono esemplari, per confermare tale asserzione, i casi di Ada Monti-Cocchi, Sergio
Saralvo e Nicola Franceschelli. La prima, ovviamente compresa negli elenchi riportati nel pa-
ragrafo precedente, essendo figlia del già menzionato Alessandro Monti-Cocchi (sesto capo-
famiglia identificato nel censimento del 22 agosto), risulta iscritta presso il locale Liceo Clas-
sico alla classe 1a sezione B nell’anno scolastico 1937-1938, ma la si ritrova poi regolarmente
iscritta in 2a nell’anno scolastico successivo, il 1938-1939, vale a dire quello dell’espulsione
degli ebrei dalla scuola90
. Ada avrebbe poi terminato il proprio corso di studi nel 1940, conse-
guendo il diploma di maturità classica.
Sergio Saralvo (figlio di Gustavo, settimo capofamiglia dell’ormai noto censimento) è
invece iscritto alla 4a Ginnasio sezione A nel 1937-1938 ed anche lui nel 1938-1939 frequenta
regolarmente la 5a Ginnasio
91; avrebbe poi concluso gli studi diplomandosi nell’anno scolasti-
co 1941-1942.
Infine Nicola Franceschelli (figlio di Tommaso, secondo capofamiglia registrato nel
censimento) risulta iscritto presso lo stesso Liceo Classico, nella sezione A, dal 1937-1938 al
1941-1942.
Alcuni importanti riflessi della legislazione persecutoria in oggetto si notano, invece,
nell’ambito dell’adozione dei libri di testo. Infatti, nella prima adunanza dell’anno scolastico
1938-39 del Collegio dei Professori del Liceo Classico forlivese, datata 16 novembre, relati-
vamente al punto all’ordine del giorno riguardante l’argomento sopracitato, si legge: «Il si-
gnor Preside dà notizia dei libri di testo che si sono recentemente adottati in sostituzione dei
testi di autori di razza ebraica, e precisamente: I ginnasio, in sostituzione di G. Gallico:
Grammatica italiana della lingua viva, si adotta F. Palazzi: Grammatica italiana moderna
[…]»92
.
Particolarmente interessanti appaiono poi le “Norme didattiche”: il Preside ricorda agli
insegnanti, sempre nella riunione del 16 novembre 1938,
«quali siano i loro doveri nell’ora presente della nostra patria, riguardo ai più vitali problemi del
momento come quello autarchico e quello razziale, creando nei giovani una salda coscienza im-
periale. Si tratterà il problema […] razziale mettendo in rilievo le energie e i meriti della nostra
stirpe attraverso lo studio della storia, della letteratura, della scienza, dell’arte»93
.
90
Ibid. 91
Ibid. 92
Ivi, p. 121. 93
Ibid.
Inoltre, nella «Adunanza ordinaria dei Proff. di Materie Letterarie e Lingua Italiana» te-
nutasi il 18 novembre 1938, «il Sig. Preside dà notizia di una circolare in cui si annuncia che
verrà inviato a tutte le Scuole un volume di cultura fascista dal titolo “Il primo libro del fasci-
sta”. Di tale volume si raccomanda agli insegnanti l’incarico di farne viva propaganda nella
propria classe».
Successivamente viene messo a verbale, al punto 5: «Si eviti di leggere e far studiare
brani di autori di razza ebraica»94
.
Infine, il 22 novembre 1939, nel verbale della prima adunanza ordinaria del Collegio dei
Professori, al punto 9 “Norme didattiche”, paragrafo γ, si trova un invito del Preside a «fare
costante riferimento, in ogni lezione e in tutte le materie, e a promuovere la fierezza della raz-
za»95
.
2.7. I cambiamenti nella vita quotidiana e le conseguenze del R.D.L. 1728
Dove non arrivavano le leggi, a turbare e a rendere a volte insopportabile la normale vi-
ta quotidiana giungevano gli “ordini superiori”. Si cercava, in poche parole, di emarginare gli
ebrei, isolandoli o costringendoli a lasciare l’Italia. Vero e proprio boicottaggio fu, ad esem-
pio, la decisione di non accordare licenze di apertura di negozi a richiedenti di razza ebraica.
Successivamente, a partire dal 5 aprile 1940 il divieto sarebbe stato esteso anche ai
commercianti ambulanti.
Le norme sarebbero state inasprite nel corso degli anni, sino ad arrivare al seguente
provvedimento del 18 aprile 1942: «il divieto di rilascio di licenze di esercizi pubblici» alle
«donne ariane coniugate con persone di razza ebraica» è esteso anche alla «donna ariana, co-
niugata ad ebreo, che chieda di essere nominata rappresentante di esercente ariano, potendosi
ravvisare, in detto caso, un espediente per ovviare al divieto in questione»96
.
Un ulteriore obbligo dettato dalla volontà di «protezione della razza», avente un eviden-
te sapore di vessazione, era stato l’obbligo di notifica all’Autorità di P.S. delle persone che
prendono alloggio negli alberghi, locande, camere ammobiliate, specificando, oltre alla na-
zionalità delle persone alloggiate, se queste siano o meno di razza ebraica.
94
Ibid. 95
Ibid. La sottolineatura è presente nel testo originale. 96
Ivi, p. 123.
Molto dura fu anche la posizione verso i matrimoni misti ancora da celebrare, che Mus-
solini vietò col R.D.L. 17 novembre 1938.
Dopo l’entrata in vigore di tale legge, le maglie si strinsero sempre più, finendo con il
serrarsi anche attorno alla forlivese Elda Sabbadini (vedova del più volte menzionato Giulio
Samaja). Il 3 dicembre 1938 il Prefetto, infatti, ricordò ai Podestà, con comunicazione “urgen-
tissima”, l’obbligo da parte degli ebrei di dichiarare la loro appartenenza alla razza ebraica,
che andava annotata nei registri di stato civile della popolazione; in caso di inadempimento,
erano previste delle sanzioni fino a lire duemila97
. Ecco perché, allora, il Commissario Prefet-
tizio si affrettò a comunicare che Sabbadini Elda era stata «invitata a presentare denuncia di
appartenenza alla razza ebraica»98
.
Qualche mese dopo, il 4 aprile 1939, la Sabbadini rientrò in città dopo un soggiorno a
Milano; il Questore scrisse subito al Prefetto per informare l’ufficio Razza che la donna in ta-
le periodo aveva tenuto «regolare condotta in genere. Vive sola in buone condizioni economi-
che […]. È socia perpetua della C.R.I.; non è iscritta al P.N.F. ma si è sempre dimostrata fa-
vorevole al Regime […]»99
. Sfuggire alla schedatura era ormai impossibile.
Sempre nell’ambito del R.D.L. 17 novembre 1938 n. 1728 rientra il divieto per gli ebrei
di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, salvo «nei casi di comprovato bi-
sogno di speciale assistenza per età avanzata o malferma salute, e quando non vi sia possibili-
tà di assistenza famigliare e sia impossibile ricorrere a prestazione di infermiere professiona-
li»100
. Il ministero dell’Interno, in data 4 febbraio 1939, avrebbe poi meglio specificato le
norme di applicazione dell’art. 12 del R. D. L. 17.11.1938 XVII n. 1728 comunicando a tutti i
Prefetti del Regno che
«debbono essere compresi nella categoria dei domestici, agli effetti del divieto di cui al citato
art. 12, coloro che prestano opera manuale al servizio delle famiglie ebraiche e cioè gli autisti, i
portieri alle esclusive dipendenze di proprietari e inquilini ebrei, i giardinieri, i mozzi di stalla, i
cocchieri, mentre nella suddetta categoria non debbono comprendersi i vaccari, i contadini, i
braccianti, le lavandaie, le sarte, le cucitrici di bianco, e gli operai in genere, tenuto conto del ca-
rattere della prestazione d’opera che è di salariati non domestici per le prime tre categorie, e di
artigiani per le altre»101
.
In data 10 dicembre 1938 il Podestà di Forlì scrisse al Prefetto per informarlo di aver
dato seguito alla sua precedente richiesta, del 1° dicembre 1938, di informare e diffidare tutti
97
Ibid. 98
Ivi, p. 124. 99
Ibid. 100
Ibid. 101
Ivi, p. 125.
gli ebrei censiti a Forlì a licenziare i domestici italiani ariani alle loro dipendenze.
Dall’accluso verbale si evince che vennero diffidati Ascoli Rina, Ban Giorgio, Del Vecchio
Giulia, Diena Laura, Ferro Maria, Molnar Geza, Molnar Frida, Saralvo Renzo, Saralvo Gu-
stavo, Sinigallia Eufrosina, Sonnino Celeste, Szego Luigi e Klein Emerico102
.
Non vennero diffidati, perché assenti da Forlì, Balazs Ladislao (trasferitosi all’estero),
Klein Barbara (anch’essa trasferitasi all’estero), Ada Pesaro e Elda Sabbadini (entrambe tra-
sferitesi a Milano). Anche Massimo Pirani, residente a Forlì ma dimorante a Bologna, non fu
diffidato, così come Annita Valenzin, residente a Forlì ma dimorante a Firenze103
.
A sua volta, il Prefetto informò il Questore di quanto trasmessogli dal Podestà; di ri-
mando, il Questore comunicò al Prefetto che «sono state autorizzate da me, a tenere domestici
italiani, di razza ariana, le seguenti persone, di origine ebraica residenti in questo capoluogo
esclusivamente per motivi di salute»: Ban Giorgio, Diena Laura, Fiorentino Olga, Klein Eme-
rico, Molnar Frida, Molnar Geza, Saralvo Gustavo, Sinigallia Eufrosina, Szego Luigi e Va-
lenzin Annita. Non vennero «autorizzati a tenere domestici ariani i seguenti coniugi entrambi
ebrei»: Saralvo Renzo e Sonnino Celeste.
2.8. Le discriminazioni
La vera “battaglia” degli ebrei venne però combattuta nel tentativo di ottenere la discri-
minazione, prevista dall’art. 10 nonché dall’art. 13, lett. h) del R.D.L. n. 1728. Ad inaugurare
la teoria di istanze, volte ad evitare i rigori legislativi previsti per gli ebrei, fu Laura Diena; il
17 dicembre 1938 il Prefetto Uccelli ne trasmise la domanda documentata al ministero
dell’Interno, per i provvedimenti di competenza, precisando poi quanto segue:
«la Sig.ra Laura Diena in De Luigi, nata a Vercelli il 26 febbraio 1886 dal fu Angelo Diena e
Marcella Pugliesi, di razza ebraica, domiciliata in Forlì, e convertitasi poi alla religione cattolica
e battezzata il 4 luglio 1936, moglie del T. Colonnello di Fanteria di complemento, decorato con
medaglia d’argento al valore Sig. Rag. Giovanni De Luigi, Direttore Generale della Soc. An.
Bonavita, di razza ariana e di religione cattolica, chiede che non siano applicate le disposizioni
di cui all’art. 10 della citata legge, per speciali benemerenze, avendo ricoperto la carica di Fidu-
ciaria Provinciale dei Fasci Femminili dal 15 Novembre 1928 all’8 Febbraio 1936; la carica di
Presidente di Patronato di Assistenza ai Corrigendi; la carica di membro prima e Vice-
Presidente poi dell’O.N. Maternità ed Infanzia; di membro del Comitato di Patronato per i libe-
rati dal carcere; di Presidente dell’O.N. Italia Redenta […]. Da parte mia data la notevole attivi-
102
Ibid. 103
Ibid.
tà svolta dalla Signora […] ritengo che l’istanza di cui trattasi, meriti di essere presa in benevola
considerazione.
La Sig.ra Laura Diena in De Luigi è persona di moralità e condotta, sotto ogni riguardo, inecce-
pibile»104
.
Laura Diena riuscì ad ottenere la discriminazione. Sorte contraria ebbe invece Luigi
Szego. I carteggi reperiti a lui riconducibili sono davvero numerosi, ad iniziare dalla domanda
di discriminazione presentata il 19 dicembre 1938; è il Prefetto Uccelli che inviò l’istanza al
ministero della Demorazza, aggiungendo ad essa le seguenti notizie:
«Figlio di genitori, entrambi di razza ebraica, ha ottenuto la cittadinanza italiana […] il 20 mag-
gio 1938, data in cui l’interessato prestò giuramento nelle mani del Sig. Podestà di Forlì. La di
lui moglie Sonnati Maria Maddalena […] è cittadina italiana di razza ariana e di religione catto-
lica. I figli dell’Ing. Szego sono tutti e tre nati in Italia (Cesena), e professano la religione catto-
lica […]»105
.
Poi, però, lo stesso Prefetto sottolineò come fosse
«da osservare che mentre è pienamente giustificata la richiesta dell’Ing. Szego per continuare a
rimanere nel Regno, avendo contratto matrimonio con una cittadina italiana […] non possa es-
sere presa in considerazione la sua richiesta di ottenere che gli sia restituita la cittadinanza ita-
liana […] e quella relativa al beneficio della discriminazione, poiché manca il titolo […]»;
tutto ciò malgrado egli si fosse «sempre dimostrato favorevole al Regime, ed entusiasta
del nostro Paese» e che abbia ricevuto il battesimo presso la chiesa arcipretale di Santa Maria
del Voto, ubicata presso il quartiere forlivese dei Romiti, il 30 novembre 1938106
.
A nulla valsero gli appelli inviati da Szego al ministero il 13 novembre 1939, in cui
chiedeva «che dopo 11 mesi di angosciosa attesa gli venga data finalmente una risposta solle-
cita». Egli aggiunse che, nel frattempo, erano
«intervenuti i seguenti fatti nuovi […] 1) La legge 29 giugno 1939 – XVII N° 1054, sulla disci-
plina delle professioni. L’effetto di tale legge fu che: a) il sottoscritto vide distruggersi rapida-
mente la sua posizione professionale al punto di aver dovuto cessarne l’esercizio e chiudere il
suo studio; B) alla fine del mese di gennaio p. venturo […] il sottoscritto, se non discriminato,
non avrà più la possibilità di guadagnare la vita per sé e per la sua famiglia […]. Infine, allega il
Certificato del suo battesimo, avvenuto il 30 novembre 1938 – XVII. Egli non aveva presentato
tale certificato prima, in quanto esso poteva sembrare semplicemente come un passo di dispera-
to opportunismo, mentre ora […] dovrebbe costituire una circostanza di importanza decisiva».
Di seguito, Szego raccontò poi
104
Ivi, pag. 127. 105
Ibid. 106
Ibid.
«le circostanza rispecchianti i suoi rapporti con la Nazione e lo Stato Italiani. […] Nell’agosto
del 1935 egli […] fece domanda per la concessione della cittadinanza italiana. […] Nel marzo
1938 gli fu comunicato […] che l’istruttoria […] era terminata con risultato favorevole, ma per
poter dar corso al relativo provvedimento, egli dovrà rinunciare alla cittadinanza ungherese.
Egli subito chiese ed ottenne lo svincolamento dalla cittadinanza ungherese, ed il 7 aprile 1938
[…] gli fu conferita la cittadinanza italiana […] quasi due mesi dopo le prime dichiarazioni uffi-
ciose circa la questione ebraica (la nota n. 14 dell’Informazione Diplomatica è del 16 febbraio
1938 XVI)107
. […] Col R. Decreto in data 27 dicembre 1938 – XVII, al sottoscritto fu revocata
la cittadinanza italiana. […] Il sottoscritto non ha potuto ancora ottenere neppure una parola di
risposta alle sue ripetute domande. Distrutta la sua professione […] segregato con la sua fami-
glia dal resto della società […] egli con la presente fa il suo ultimo appello al senso di umanità
di equità, e di giustizia di chi ha da decidere la sua sorte»108
.
Si tratta davvero di un grido di dolore; esso rimase, però, almeno in parte inascoltato. Il
27 gennaio 1940, a quasi due mesi e mezzo dalla sua supplica, la Demorazza informò con un
telegramma il Prefetto di Forlì che Luigi Szego «non dico non deve essere più considerato
ebreo straniero essendo in corso annullamento decreto col quale gli è stata revocata cittadi-
nanza»109
. Il provvedimento venne ufficialmente registrato il 30 maggio 1940 presso la Corte
dei Conti; invece, la sua domanda volta ad ottenere la «declaratoria della non appartenenza
alla razza ebraica», come si evince dal documento del ministero dell’Interno del 1° febbraio
1943 in relazione alla Prefettizia n. 11237 del 23 maggio 1942 non poté essere presa in esame
«non adducendo l’interessato alcun elemento comprovante, ai fini razziali, una situazione giu-
ridica difforme dalle risultanze degli atti di stato civile»110
.
Relativamente a Massimo Pirani, «con provvedimento Ministeriale N° 467-4825 in data
7 Aprile 1939 sono state dichiarate non applicabili le disposizioni degli articoli 10 e 13 lett. h
del R.D.L. 17/11/1938 N° 1728». Probabilmente, a suo favore giocò l’adesione della prima
ora al fascismo; infatti nella nota riservata-urgente del 3 gennaio 1939, inviata dal Prefetto di
Bologna a quello di Forlì, si legge che Pirani
«risulta di buona condotta morale e politica e di sentimenti favorevoli al Governo Nazionale. Il
1° Agosto 1921, all’età di 15 anni, si iscrisse all’avanguardia giovanile fascista passando, poi,
nel Partito al quale è rimasto iscritto fino alla data in cui furono emanati i provvedimenti razzia-
li. Durante la giornata del 28 Ottobre 1922 fu mobilitato e comandato di servizio in città fino al
giorno successivo, alle dipendenze dell’on. Pagliani Franz.»
107
L’importanza dell’Informazione Diplomatica n. 14, sulla quale a lungo ci si è soffermati nel capitolo prece-
dente, venne subito colta, dunque, anche dai protagonisti coevi, che ebbero percezione chiara di come essa mu-
tasse i rapporti sino ad allora esistenti tra regime ed ebrei. 108
Ivi, p. 128. 109
Ivi, p. 129. 110
Ibid.
Anche Giorgio Ban presentò domanda di discriminazione nel dicembre 1938; il ministe-
ro, prima di prendere decisioni in merito a tale richiesta, scrisse in data 8 marzo 1939 alla
Questura di Forlì, la quale rispose tramite comunicazione inviata al Prefetto il 14 marzo. In
essa si legge:
«[…] il soprascritto ebreo straniero ha risieduto a Forlì dal 27 ottobre 1936 al 15 febbraio u.s.,
epoca in cui si è trasferito a Cesena […] non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta in gene-
re. Egli ha abiurato la religione israelita, abbracciando quella cattolica ed il 10.10.1937 ha con-
tratto matrimonio religioso con Anna Maria Cicognani […]. Si vuole che il precennato Ban si
sia laureato in medicina presso la R. Università di Torino e che poi a Napoli abbia sostenuto gli
esami di stato. Risulta per altro, in via riservatissima, che egli, pur avendo abiurato la religione
israelita, il 5 ottobre 1938 si recò a Ferrara presso quella comunità ebraica, dove partecipò al di-
giuno per la festa del perdono, imposto dalle tavole religiose ebraiche. […] il nominato Ban
Giorgio che non consta abbia acquistato la cittadinanza italiana […] può continuare, previo be-
nestare ministeriale, a risiedere nel Regno, avendo contratto matrimonio con persona di cittadi-
nanza italiana»111
.
Inevitabilmente o quasi, in base ad un simile rapporto, il 9 aprile 1942 il ministero
dell’Interno comunicò laconicamente: «Questo Ministero non ritiene di dar corso alla conces-
sione di cittadinanza italiana a favore del suddito ungherese dr. Giorgio Ban medico chirurgo,
essendo risultato appartenere egli alla razza ebraica»112
.
Tale parere negativo sarebbe poi stato confermato, il 17 febbraio 1944, quando in un
Pro-Memoria vennero appuntate le seguenti considerazioni:
«Ban Giorgio […] è ammogliato con l’italiana-ariana Cicognani Maria, ma non può essere con-
siderato misto o appartenente a famiglia mista per usufruire delle agevolazioni cui al telegram-
ma ministeriale n° 57460/442 del 10.12.43 per le seguenti considerazioni: il Ban non avendo ot-
tenuto la cittadinanza italiana deve essere tuttora considerato straniero. La moglie ha pure ac-
quistato la cittadinanza ungherese per matrimonio. Per tale sua condizione egli – giusta disposi-
zione ministeriale cui al precitato telegramma – dovrebbe essere assegnato in un campo di con-
centramento qualora venisse rintracciato in quanto da parecchi mesi si è allontanato per ignota
destinazione»113
.
Riuscì ad ottenere la discriminazione, invece, Annita Valenzin, relativamente alla quale
la Questura di Forlì inviò queste informazioni (raccolte presso la Questura di Venezia) in data
13 dicembre 1939 al Prefetto: «[…] Al nome della Valenzin e dei di lei genitori non si riscon-
trano, in questi atti, precedenti sfavorevoli. […] appartiene a distinta e agiata famiglia di razza
ebraica, ma risulta battezzata nell’anno 1917. È di ottima condotta morale, civile e politica.
[…]»114
.
111
Ivi, p. 130. 112
Ibid. 113
Ibid. 114
Ivi, p. 131.
Eguale esito positivo ebbe anche la domanda di discriminazione avanzata da Geza Mol-
nar; a suo favore, infatti, si mosse in prima persona la sezione forlivese del P.N.F., nella per-
sona del vice segretario politico del Fascio di Combattimento di Forlì. Fu poi il Segretario Fe-
derale Vincenzo Nardi che, successivamente, trascrisse al Prefetto le seguenti informazioni:
«Il Dott. Molnar Geza fu Attilio risiede in questa città dal 23/3/1921, proveniente da Fiume. Du-
rante il periodo della sua permanenza in Forlì ha sempre tenuto ottima condotta morale, civile e
politica. È stato iscritto a questo Fascio dal 30.12.1926 al 19/12/1938 XVII°, data in cui gli fu
applicato il provvedimento della cessazione dell’appartenenza al P.N.F. “perché di razza ebrai-
ca”. Il Molnar, invitato presso questa Segreteria ha esibito diverse copie fotografiche di dichia-
razioni ed attestati di benemerenza rilasciategli dal Comando della 82^ Legione e
dall’Associazione Combattenti, per la sua opera di assistenza svolta in favore di militi e Com-
battenti. Ha inoltre presentato copia della lettera che trascrivo:
“Il Dott. Geza Molnar – del quale sono note l’acutezza degli studi, la generosità nel curare i po-
veri – ha esercitato nella mia Fiume di guerra la sua professione di dentista, meritando la grati-
tudine dei miei Legionari che all’arte sua ricorsero.
Prima di lasciare la città infelice, voglio io medesimo testimoniargli la mia riconoscenza e dargli
la mia lode.
Il 9 di Gennaio 1921” Il Comandante F.to Gabriele d’Annunzio
Il Molnar è insignito della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia»115
.
Il 18 settembre 1940 venne così concessa al Molnar la cittadinanza italiana, come si de-
duce da una comunicazione del ministero dell’Interno – datata 23 ottobre 1940 – alla Prefettu-
ra di Forlì. La notifica dell’avvenuta discriminazione, invece, giunse al ministero delle Finan-
ze e al Presidente dell’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare il 13 giugno 1941, sem-
pre da parte del ministero dell’Interno.
Emerico Klein, viceversa, non ottenne la discriminazione. Già le informazioni su di lui
riferite al Prefetto di Forlì, in data 22 maggio 1940, dal Segretario Federale Vincenzo Nardi,
lasciavano poco spazio alla speranza; infatti, si legge:
«Il medico-dentista Emerico Klein […] è cittadino ungherese, di razza e religione ebraica. Ha
sposato Anna Ricci fu Ferruccio. La cerimonia si svolse in chiesa per espresso desiderio della
sposa e di tutta la famiglia di quest’ultima (malgrado ciò il Klein è rimasto fedele alla propria
religione). Con la dote della moglie il Klein ha impiantato un gabinetto dentistico molto ben at-
trezzato, nella stessa casa della moglie, la quale è diventata di cittadinanza ungherese. Il Klein
lavora pure a Castrocaro ed a Terra del Sole. Il Klein venne a Forlì, chiamato dall’ebreo dentista
Geza Molnar; nel 1933-34 era poverissimo. Ha inoltre prestato la sua opera presso un dentista di
Cesena, anche questo ebreo. È pacifico che la sua sistemazione definitiva l’ha trovata sposando-
si. Ha pochi amici, oltre agli ebrei rimasti, tutte persone non molto ben viste per i loro preceden-
ti politici»116
.
115
Ibid. 116
Ivi, p.132.
Ulteriore parere negativo venne poi espresso dalla Questura di Forlì il 21 gennaio 1942,
a seguito di informazioni ancor più dettagliate sempre inviate al Prefetto:
«L’ebreo Klein […] dal 1926 al 1927 risiedette a Strasburgo, dove studiò presso quella Univer-
sità. Dall’anno 1927 all’anno 1932 dimorò a Modena, laureandosi in medicina […] dal luglio
1932 all’ottobre 1933 fu in Ungheria e cioè ad Eger, sua città natale. Fece poi ritorno a Modena
nel febbraio del 1934 […] nel marzo di detto anno giunse a Forlì e vi rimase fino al 1° aprile
1937 […]. Dopo l’aprile del 1937 contrasse matrimonio, col solo rito civile, con l’italiana di
razza ariana Ricci Anna ed il 3 dicembre 1938, dopo aver ottenuta al dispensa Pontificia per di-
versità di culto, in quanto egli professava e professa tuttora la religione israelitica, celebrò, nella
Santa Chiesa di Ravaldino, il matrimonio religioso […]. Non risulta che sia iscritto a partiti po-
litici e in Modena fu iscritto al G.U.F. […]. Non ha dato luogo a rilievi con la condotta morale e
politica e verso le Istituzioni del Regime si comporta bene […]. Il Klein non ha i requisiti ri-
chiesti dall’art. 14 del R.D.L. 17.11.38 per ottenere la discriminazione»117
.
Il colpo di grazia finale venne infine sferrato dalla Federazione dei Fasci di Combatti-
mento di Forlì che, il 24 febbraio XX [1942] scrisse al Prefetto:
«[…] circa l’ebreo Klein Emerico risulta che egli si astiene dal manifestare i propri sentimenti
né in pro né contro il Fascismo. Un Capo Nucleo assicura che il Klein gioca d’azzardo sia pure
con piccole somme118
. Penso che la discriminazione debba concedersi solo a chi dia garanzie si-
cure di rettitudine e, nel caso, anche di attaccamento alla patria adottiva e alle istituzioni che la
reggono, ma siccome ciò non risulta in maniera sicura, esprimo parere contrario. Il Segretario
Federale Avv. Paolo Maria Guarini»119
.
Molto più semplice si rivelò la pratica relativa a Maria Ferro in Monti Cocchi; il 21 giu-
gno 1940 il ministero dell’Interno comunicò al Prefetto di Forlì: «La istanza della Sig. Ferro
Maria in Monte-Cocchi120
fu Giuseppe tendente ad ottenere nei propri confronti il riconosci-
mento della non appartenenza alla razza ebraica è stata accolta, sentito il parere della Com-
missione di cui all’art. 26 del R.D.L. 17 novembre 1938 XVII n. 1728»121
.
Da ultimo, la Prefettura di Forlì espresse, il 18 luglio 1940, parere sfavorevole alla con-
cessione della discriminazione a Eufrosina Sinigallia (vedova Saralvo); ella
«Non ha dato luogo a rilievi nei riguardi morali civili e politici, ma non ha speciali benemerenze
nel campo patriottico o della beneficenza. […] Trattandosi di ebrea che professa in atto la reli-
gione israelitica e che è iscritta alla comunità ebraica di Ferrara, si è di avviso che manchi nei
suoi riguardi ogni titolo che possa giustificare la reclamata discriminazione».
117
Ivi, p. 133. 118
L’accusa rivolta agli ebrei di essere dediti al gioco d’azzardo era da tempo utilizzata per screditare gli stessi.
Basterà qui ricordare che anche Alfred Dreyfus, protagonista del famoso “affaire”, venne indicato quale giocato-
re d’azzardo e, addirittura, egli avrebbe tradito – secondo l’accusa – proprio per poter ottenere una cifra tale da
poter far fronte ai debiti di gioco accumulati. 119
Ibid. 120
Il cognome del coniuge di Maria Ferro è riportato erroneamente: la giusta dizione è infatti Monti Cocchi e
non Monte-Cocchi. 121
Ivi, p. 134.
Però, aggiunge ancora il Prefetto, «Il Segretario Federale, invece, […] esprime parere
favorevole all’accoglimento dell’istanza pel motivo che l’ebrea di che trattasi non ha mai
svolto azioni, né pronunziate parole contrarie al regime»122
.
Un’ulteriore restrizione nei confronti degli ebrei non discriminati venne enunciata da
una circolare urgente del 3 settembre 1939, emanata dal ministero della Guerra ed indirizzata
a tutti i Prefetti del Regno (a Forlì venne protocollata in data 18 settembre). Essa «in attesa
che vengano emanate apposite norme regolamentari per l’attuazione del R. decreto-legge 17
novembre 1938-XVII, n. 1728» (che prevedeva all’art 10, lett. a) il divieto per i cittadini di
razza ebraica di prestare servizio militare in pace e in guerra) informava tra l’altro, al punto 4,
che: «I cittadini appartenenti alla razza ebraica non discriminati, non sono tenuti a presentarsi
alla leva e ad essi quindi non deve essere inviato il precetto personale.» Il punto 5 invece reci-
tava: «I consigli e commissioni mobili di leva nei riguardi degli inscritti che risultino apparte-
nere alla razza ebraica e che non siano discriminati devono adottare la seguente decisione:
'non ammesso alla prestazione del servizio militare in applicazione dell’art. 10 del R. decreto-
legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728'»123
. Tale esclusione, come già si è detto precedente-
mente, tendeva ad escludere gli ebrei dalla sfera virile ma, inoltre, intendeva colpire lo spirito
di coloro che si erano sentiti parte integrante di una nazione la quale, ora, li allontanava vice-
versa da sé.
2.9. I nati da matrimonio misto
Altro punto davvero spinoso del R. D. Legge 17 novembre 1938, n. 1728 riguardò i nati
da matrimoni misti. La materia fu regolamentata dall’art. 8 lettera d), suddivisa in due commi;
non veniva «considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di
cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 11 ottobre 1938-XVI, apparteneva a religioni
diversa da quella ebraica».
Tutti i forlivesi nati da matrimoni misti ottennero, alla fine di un lungo iter, la certifica-
zione di non appartenenza alla razza ebraica e, dunque, la discriminazione, ma lo sviluppo
122
Ibid. 123
Ibid.
delle numerose pratiche d’accertamento fu assai diverso da caso a caso. Seguendo un rigoroso
ordine cronologico, in base alla data di presentazione della domanda per l’ottenimento della
suddetta certificazione, si incontra immediatamente il caso più intricato e, perciò, da tanti
punti di vista emblematico. Il 15 febbraio 1939 Gustavo Saralvo inviò alla Segreteria Ufficio
Anagrafe del Comune di Forlì la seguente lettera:
«Il sottoscritto Saralvo Gustavo di religione ebraica sposato con Clara Mughini di religione cat-
tolica si pregia informare quanto appresso:
Contrariamente alle dichiarazioni verbali e per iscritto da noi fatte, sono emerse in questo frat-
tempo nuove circostanze le quali hanno felicemente chiarito la posizione dei nostri figli Sergio e
Rossana nei riguardi religiosi.
All’atto del nostro matrimonio fu fra noi convenuto che nell’eventualità di figli nati, non fossero
battezzati né nell’una, né nell’altra religione lasciando in loro facoltà di scegliere raggiunta la
maggiore età, pur praticando nel frattempo la religione cattolica, per insegnamento della madre
e nelle scuole, col mio tacito consenso.
In questi giorni siamo stati informati invece che a nostra insaputa la nonna materna, alquanto re-
ligiosa, aveva battezzato i bambini fino dal settembre 1929 in un periodo in cui le erano stati af-
fidati a Marradi, dove essa risiede.
Mi sono recato personalmente da Monsignor Montuschi, Arciprete del luogo, il quale me ne ha
dato conferma, facendomi osservare la regolare trascrizione fatta a suo tempo nel libro dei bat-
tesimi e mi ha rilasciato le fedi di battesimo che qui allego, acciocché vengano fatte le dovute
correzioni a causa dell’errata dichiarazione rilasciata all’epoca del censimento.
Distinti ossequi Saralvo Gustavo»124
Evidentemente, non diedero credito a tale versione né la Prefettura né la Questura di
Forlì, poiché proprio quest’ultima il 5 dicembre 1941 avrebbe poi comunicato:
«Sul conto del soprascritto [Saralvo Sergio, figlio di Gustavo e di Mughini Clara, ndr.], nato da
matrimonio misto, qui abitante in Corso V. Emanuele n. 46, studente, […] questo ufficio con
nota n. 03304 in data 2 giugno detto anno [1940] riferì quanto segue:
'All’entrata in vigore delle disposizioni sulla difesa della razza non risultò che il Saralvo Sergio
fosse stato battezzato. Successivamente i genitori esibirono un certificato di battesimo, dal quale
risulta che fu battezzato il 29.3.1929 in una chiesa di Marradi, si vuole quella di S. Lorenzo. La
madre del Sergio ha dichiarato che tale sacramento fu impartito per iniziativa della nonna ma-
terna all’insaputa del padre del giovinetto che, a quanto sembra, era contrario al compimento di
tale rito. Fin qui il Sergio non ha ricevuto la Santa Cresima ed ha cominciato a frequentare le le-
zioni religiose presso il Liceo Ginnasio solo nell’anno 1939, dopo l’entrata in vigore delle leggi
razziali (1.10.1938). – Prima della pubblicazione delle leggi medesime il Sergio non prendeva
parte alle lezioni di religione e ciò per desiderio del padre.
Per dichiarazione del Saralvo Gustavo, padre del Sergio, egli nell’anno 1938 come tutti i suoi
congiunti, ebrei, erano iscritti alla comunità israelitica di Ferrara. –
Non è stato possibile accertare se il Sergio sia stato pure iscritto a detta comunità. Peraltro, per
dichiarazioni della madre del giovinetto, Mughini Clara, il Saralvo Gustavo avversa
l’avvicinamento dei figli alla religione cattolica, e per non urtare la suscettibilità del marito in
questo riguardo, essa Mughini dovette di nascosto far impartire la cresima alla figlia Rossana il
19.3.1939 (sempre dopo la pubblicazione delle leggi razziali) nei locali del Vescovado di For-
lì»125
.
124
Ivi, p. 135. 125
Ivi, p. 137.
Ma la questione non finì affatto qui: il 20 maggio 1942, sempre la Questura tornò sul
medesimo argomento, inviando alla Prefettura «le due copie integrali degli atti di battesimo di
Saralvo Sergio e Rossana, figli dell’ebreo Saralvo Gustavo, significando che detti germani
non risultano iscritti presso la Comunità israelitica di Ferrara, di cui – per suddivisione territo-
riale – fanno parte gli ebrei residenti in questa Provincia.» Poi, a sorpresa, ecco il colpo di
scena clamoroso:
«Con l’occasione – proseguiva infatti il Questore – si comunica che, durante il riservato control-
lo della corrispondenza postale, è stato esaminato il contenuto di una lettera scritta il 2.3.1942
spedita da Marradi, con la quale un Arciprete, la cui firma era illeggibile, in risposta ad una ri-
chiesta rivoltagli dall’ebreo Saralvo Gustavo, il quale doveva esibire al locale Municipio un atto
di battesimo della figlia Rossana, gli chiedeva quale data doveva segnare se quella del 13 feb-
braio 1939 che era la vera, oppure quella del 29 settembre 1929 che era quella convenuta tra il
Saralvo e detto Arciprete e chiedeva che gli fosse data una risposta che lo tranquillizzasse […].
A tale lettera […] il Saralvo rispose facendo presente che il certificato gli era pervenuto prima
che gli fosse recapitata la lettera anzicennata e che non comprendeva a che cosa volesse alludere
con quelle due date e che evidentemente egli confondeva la data del battesimo con quella del
certificato rilasciato in data 12.2.1939.
[…] Dal contenuto di detta lettera emerse che il Saralvo, o chi per esso, accordatosi col predetto
sacerdote, allo scopo di ottenere la discriminazione dei figli Sergio e Rossana, fecero apparire
che il Battesimo di costoro, che in realtà sarà stato impartito il 13.2.1939, era stato fatto invece
il 29.9.1929 e cioè prima dell’entrata in vigore delle Leggi razziali […] perché diversamente
non avrebbe potuto essere accordata la discriminazione dei due figli.
La R. Questura di Firenze, interessata di eseguire ulteriori indagini, […] ha fatto conoscere
quanto segue: '[…] l’Arma di Marradi si è rivolta all’Arciprete Montuschi […] il quale subito
faceva ricerca nel suo archivio e da un registro, che dava in visione, trovava che i suddetti Ser-
gio e Rossana Saralvo furono battezzati il 29.9.1929. […] Contestato al suddetto prelato il con-
tenuto della lettera scritta in data 2 marzo u.s. al Saralvo dichiarava di nulla ricordare del conte-
nuto data l’avanzata sua età e il continuo lavoro del suo Ufficio'»126
.
Malgrado il fitto carteggio – sul conto del quale ognuno può farsi un’opinione personale
– sembrasse aver smascherato un tentativo di mistificazione, il Commissario Prefettizio del
Comune di Forlì avrebbe infine rilasciato un certificato in cui si attestava che
«i nominati Sergio e Rossana Saralvo di Gustavo, nati (da padre ebreo e da madre ariana) […]
alla data del 1° ottobre 1938 appartenevano alla religione Cattolica, essendo stati battezzati a cu-
ra della madre, entrambi il 29 settembre 1929 nella Parrocchia di S. Lorenzo in Marradi (Firen-
ze). Eppertanto, ai sensi dell’art. 8 (ultimo comma) del R.D.L. 17 novembre 1938, N° 1728, i
predetti debbono considerarsi di razza ariana»127
.
Lo storico forlivese Mario Proli ha realizzato alcuni anni fa, sulla questione in oggetto,
un’intervista – rimasta inedita – alla figlia di Gustavo Saralvo, Rossana. Da essa emerge anzi-
126
Ivi, p. 138. 127
Ivi, p. 139.
tutto che fu il sacerdote insegnante religione presso il Liceo Classico di Forlì ad indirizzare la
famiglia Saralvo presso l’Arciprete di Marradi, il quale si sarebbe prestato a registrare i cert i-
ficati di battesimo di Sergio e Rossana in date anteriori all’entrata in vigore delle leggi razzia-
li. Inoltre, si viene anche a conoscenza del triste epilogo della vicenda, taciuto dalle carte uffi-
ciali. Commerciante di stoffe all’ingrosso, Gustavo Saralvo fu costretto a vendere tutto e a na-
scondersi, per sfuggire alle persecuzioni, con un cognome falso (probabilmente Bianchi) in
una clinica psichiatrica, dove rimase almeno un anno. Poi, all’inizio del 1944, si riunì alla fa-
miglia, nel frattempo sfollata a Marradi; fu proprio qui (dove era poi giunto di stanza un re-
parto di S.S.) che venne arrestato a causa di una delazione. Durante l’interrogatorio fu colpito
da un attacco cardiaco; venne chiamato un medico e le S.S. se ne andarono, per poi ritornare il
giorno successivo a prendere Gustavo Saralvo e portarlo in carcere, dove morì pochi giorni
dopo a causa di un altro attacco di cuore.
Proseguendo nell’ordine cronologico, da un elenco del Municipio di Forlì, stilato in data
22 marzo 1940, le persone nate da matrimonio misto residenti nel Comune risultano, compre-
si Sergio e Rossana Saralvo, quindici:
1) Franceschelli Nicola
2) Franceschelli Marisa
3) Galassi Corrado
4) Monti Cocchi Annina
5) Monti Cocchi Ada
6) Szego Giorgio
7) Szego Alberto Luigi
8) Szego Eduardo Luigi
9) Saralvo Sergio
10) Saralvo Rossana
11) Masini Angelo
12) Lami Claudio
13) Giannini Clara
14) Calibani Maurizio
15) Sarti Fiorella128
128
Ivi, p. 140.
Per ognuno di essi viene utilizzata, alla voce “Determinazione della razza”, la dicitura
«Nulla risulta nella scheda individuale anagrafica», vale a dire che per nessuno di loro era sta-
ta ancora accertata la razza di appartenenza (era invece obbligatorio, ai sensi della legge n.
1728, art. 9, indicare l’annotazione “di razza ebraica” nei casi accertati), essendo tutti conside-
rati ariani. Così, la Questura di Forlì si fece consegnare i certificati di battesimo degli interes-
sati – inviati il 10 maggio 1940 al Prefetto, che li aveva richiesti il 29 aprile129
– e il 20 giugno
1940 poté comunicare allo stesso Prefetto
«quanto risulta circa la posizione delle sottonotate persone, nate da matrimoni misti e battezza-
te:
1° - FRANCESCHELLI Nicola di Tommaso e di Ascoli Rina, nato a Ferrara il 28-II-1926,
battezzato, da anni pratica la religione cattolica e non ha mai fatto manifestazioni di
ebraismo;
2° - FRANCESCHELLI Marisa di Tommaso e di Ascoli Rina, nata a Ferrara l’8 febbraio
1928, come sopra;
3° - MONTI Cocchi Annina di Alessandro e di Ferro Maria, nata a Bologna il 20-4-1919, bat-
tezzata, partecipò alle lezioni religiose presso il locale Ginnasio e non fece mai manife-
stazioni di ebraismo (la madre è una studiosa che s’interessa di conoscere l’essenza delle
altre religioni);
4° - MONTI Cocchi Ada di Alessandro e di Ferro Maria, nata a Bologna il 23-9-1921, come
sopra;
5° - GALASSI Corrado di Ercole e di Del Vecchio Giulia, nato a Forlì il 16-4-1889, battezza-
to, non risulta che abbia fatto manifestazioni di ebraismo. Lo stesso, che è sordomuto, vi-
ve separato dalla moglie Cordas Bice di Augusto;
6° - SZEGO’ Giorgio di Luigi e di Sonnati Maria Maddalena, nato a Cesena il 4-8-1931, bat-
tezzato, non risulta che abbia fatto manifestazioni di ebraismo;
7° - SZEGO’ Alberto Luigi di Luigi e di Sonnati Maria Maddalena, nato a Cesena il 28-8-
1934, come sopra;
8° - SZEGO’ Eduardo Luigi nato a Cesena il 12-5-1923, come sopra;
9° - SARALVO Sergio di Gustavo e di Menghini Clara130
, nato a Forlì il 12-5-1923,
all’entrata in vigore delle disposizioni sulla difesa della razza non risulta che fosse stato
battezzato. Successivamente i genitori esibirono un certificato di battesimo che sarebbe
stato impartito il 29-3-1929 in una chiesa di Marradi, si vuole quella di S. Lorenzo. La
madre del Saralvo Sergio ha dichiarato che tale sacramento fu impartito per iniziativa del-
la di lei madre alla insaputa del padre del ragazzo che, quanto sembra, era contrario al
compimento di tale rito. Fin qui il predetto giovinetto non ha ricevuto la Cresima ed ha
cominciato a frequentare le lezioni religiose presso il Liceo Ginnasio solo nell’anno 1939,
dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali (1-10-1938), riportando la classifica comples-
siva sufficiente. Prima della pubblicazione delle predette leggi il ripetuto giovinetto non
prendeva parte alle lezioni religiose, e ciò per desiderio del padre.
10° - SARALVO Rossana di Gustavo e di Menghini Clara, nata a Forlì il 13-5-1925
all’insaputa del padre sarebbe stata battezzata il 29-3-1929 in una chiesa di Marradi, si
129
Ibid. 130
Il cognome risulta sbagliato, essendo Mughini la giusta dicitura.
vuole presso quella di S. Lorenzo e sempre all’insaputa del padre fu cresimata il 19-3-
1939 presso il locale Vescovado. Frequenta le scuole magistrali ed ha assistito alle lezioni
religiose anche prima della pubblicazione delle leggi razziali.
11° - MASINI Angelo di Edgardo e di Valenzini Anita131
, nato a Firenze il 17-5-1927, risiede
stabilmente a Firenze e sarebbe stato battezzato subito dopo la nascita nella chiesa di S.
Giovanni in Firenze. La Valenzini Anita ha abiurato la religione israelitica abbracciando
quella cattolica.
12° - LAMI Claudio di Eugenio132
e di Malnar Frida, nato a Forlì il 31-12-1930, trasferitosi a
Bologna Via Paradiso n° 7, sarebbe stato battezzato dopo la nascita e la madre ha abiurato
la religione israelita il 26-8-1930 abbracciando quella cattolica. Il predetto ha una imper-
fezione fisica per cui è minorato si vuole anche nelle facoltà mentali.
13° - GIANNINI Clara di Salvatore e di Servi Dirce, nata a San Sepolcro il 23-8-1917, impie-
gata presso i locali Sindacati dell’Industria, fu battezzata nella chiesa di S. Sepolcro nel
febbraio 1927.
14° - CALIBANI Maurizio di Luigi e di Lanternari Dirce, nato ad Ancona il 16-2-1937, fu bat-
tezzato nella chiesa di S. Cosimo in Ancona nel marzo 1937.
15° - CALIBANI Luciana di Luigi e di Lanternari Dirce, nata ad Ancona il 26-1-40, fu battez-
zata in Ancona il 31-1-1940.
16° - SARTI Fiorella di Gustavo e di Fiorentino Olga, nata Imola il 5-2-1929, sarebbe stata
battezzata in una chiesa di Imola; è iscritta alle organizzazioni della G.I.L.; ha frequentato
la 5^ classe elementare ed assistito alle lezioni religiose»133
.
Diversa ancora, infine, è la formula utilizzata (dal medesimo Commissario Prefettizio,
ma redatta da uffici diversi, cioè, questa volta, Div. III – Ufficio Anagrafe, in luogo del prece-
dente Divisione IIIa Servizi Demografici) per i fratelli Franceschelli che «non sono da consi-
derarsi di razza ebraica ai termini dell’art. 8 Lett. D secondo comma e pertanto non tenuti a
fare la dichiarazione di appartenenza alla razza ebraica»134
.
Ulteriori riflessi della Legge n. 1728 si ebbero nell’applicazione, questa volta, dell’art.
13, lettera c). In base a dette disposizioni, infatti, il 17 agosto 1939 la Questura di Forlì comu-
nicò al Prefetto
«che nei circoli cittadini esistenti in Forlì-Cesena e Rimini non risultano iscritti individui di ori-
gine ebraica. Peraltro presso le associazioni, di seguito elencate, di questa città risultano tuttora
iscritti i seguenti ebrei:
1° DIENA Laura in De Luigi
a. Federazione Prov. per la protezione della maternità;
b. Pia opera di Carità S. Pellegrino Laziosi;
c. Società Pro-Infanzia Anna Monti.
2° MOLNAR Geza
Federazione Prov. per la Protezione della Maternità.
131
Sia il cognome che il nome risultano sbagliati, essendo Valenzin Annita la giusta dicitura. 132
Si riscontra qui un errore: il nome del padre di Claudio Lami è Gregorio e non Eugenio. 133
Ivi, p. 142. 134
Ivi, p. 143.
3° SINIGALLIA Eufrosina
Società Pro-Infanzia Anna Monti
4° MATATIA Nessim
Società Pro-Infanzia Anna Monti
Il Matatia è stato censito, quale ebreo, a Bologna dove ha il domicilio.
5° SARALVO Gustavo fu Davide
Socio benemerito della locale Pubblica Assistenza “Dam n’man”»135
.
Il Prefetto non perse tempo e inviò alle varie associazioni la “preghiera”, «In conformità
delle note vigenti direttive in materia razziale» di voler invitare i soci appartenenti alla razza
ebraica «a dimettersi dal sodalizio»136
.
Fra le associazioni coinvolte si affrettò a svolgere il compito assegnatole l’Opera Pia
Pro Infanzia “Anna Monti”, che il 14 ottobre 1939 comunicò al Prefetto di Forlì che aveva
provveduto a radiare dall’elenco dei suoi soci «il signor Matatia Nessim, per le sue qualità di
ebreo, di origine straniera»137
.
Fu poi la volta, il 30 ottobre 1939, dell’Opera Nazionale per la Protezione della Mater-
nità e dell’Infanzia, che fece altrettanto nei confronti dei soci – in quanto risultati
«di razza ebraica:
1°) MOLNAR GEZA (Socio Annuale)
2°) GSEGO’ GIORGIO (Socio Giovanile)
[…] i suddetti nominativi sono stati radiati dal relativo ruolo dei Soci, non essendo compatibile
la presenza di elementi israeliti nella nostra organizzazione»138
.
Assai delicata, e per certi versi drammatica, fu anche l’applicazione della legge razziale
che prevedeva la cancellazione degli ebrei dai rispettivi albi professionali in cui erano inseriti;
ciò comportava – come si è già sottolineato a proposito della vicenda di Luigi Szego – la per-
dita del lavoro, la rovina economica e la conseguente impossibilità di mantenere il proprio
nucleo familiare.
Una delle due sole tracce di tale provvedimento (previsto dalla Legge 29 giugno n.
1054, «disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini appartenenti alla razza
ebraica») riscontrabile presso l’Archivio di Stato di Forlì riguarda proprio Szego; infatti, si
tratta della lettera con la quale il Segretario Provinciale del Sindacato Prov. Fasc. Ingegneri-
Forlì, ing. Pantoli Annibale, comunica «all’E. V. [il Prefetto, ndr.] che il Direttorio di questo
Sindacato nella sua riunione del 24 Febbraio 1940-XVIII […] ha deliberato la cancellazione
135
Ibid. Nel documento è sbagliato il nome di Matatia, che è Nissim e non Nessim. 136
Ibid. 137
Ibid. 138
Ivi, p. 145. Si noti che il cognome Gsegò è sbagliato, essendo la giusta dicitura Szego.
dall’Albo degli Ingegneri della Provincia di Forlì del sotto indicato professionista appartenen-
te alla razza ebraica, con decorrenza dalla fine del mese di Febbraio 1940-XVIII: Dott. Ing.
Szego Luigi di Erminio»139
.
Secondo e ultimo documento consultabile al riguardo è quello che la Confederazione
Fascista dei Professionisti ed Artisti inviò al Prefetto di Forlì per informarlo, in data 4 marzo
1940, «che i Sindacati Medici, Ingegneri, Farmacisti, hanno provveduto in tempo utile, alla
cancellazione dagli Albi degli iscritti di razza ebraica […]. I Sindacati Geometri, Avvocati,
Tecnici Agricoli, Ostetriche, Veterinari che hanno la tenuta dell’Albo professionale non han-
no fra gli iscritti professionisti di razza ebraica»140
.
Certamente di minore importanza, ma ugualmente significativo, appare, poi, un succes-
sivo provvedimento comunicato dalla Demorazza a tutti i Prefetti del Regno, riguardante
l’«Eliminazione dei nominativi ebraici dagli elenchi telefonici».
Gli ebrei, dunque, dovevano essere completamente cancellati, quasi come se non esi-
stessero.
Nuove limitazioni avrebbero riguardato in seguito gli ambiti più disparati: per esempio,
solo agli ebrei discriminati ed aventi famiglia ariana fu consentito di «esercitare le mansioni
di portiere o di custode»141
. Ma anche per i discriminati stava per svanire la speranza di supe-
rare indenni un periodo oscuro che si pensava, illusoriamente, sarebbe stato di breve durata; il
4 marzo 1941 il Questore Bertini proibì infatti, su disposizione del ministero, «agli ebrei, an-
che se discriminati, […] di prestare la loro opera in qualità di conducente presso Ditte eser-
centi servizi pubblici di trasporto»142
.
Il 18 aprile sarebbe poi stata ritirata «la licenza per la vendita di apparecchi radiorice-
venti […] agli appartenenti alla razza ebraica anche se discriminati»143
. Infine, sempre nel
1941, il 16 settembre sarebbe stato promulgato anche il «Divieto esercizio attività tipografica
ad appartenenti razza ebraica, anche se discriminati»144
, mentre la legge 19 aprile 1942, n.
517, avrebbe poi sancito la «Esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo»145
,
successivamente ribadita con un telegramma del 16 dicembre 1943.
139
Ivi, p. 146. 140
Ibid. 141
Ibid. 142
Ibid. 143
Ibid. 144
Ibid. 145
Ibid.
Ultima conseguenza della persecuzione dei diritti fu la “precettazione degli ebrei a sco-
po di lavoro.
Il 23 luglio 1942 il Consiglio e Ufficio Provinciale delle Corporazioni di Forlì informò,
dunque, la Prefettura che erano stati 27 gli ebrei (15 maschi e 12 femmine) che avevano pre-
sentato l’obbligatoria domanda di precettazione. Dei suddetti, i non precettabili, perché appar-
tenenti a famiglie miste, erano 19, perciò i precettabili erano 8 (di cui 5 maschi e 3 femmine),
nessuno dei quali disoccupato146
.
Il Prefetto di Forlì, come al solito, si mise immediatamente in moto e, il 3 ottobre dello
stesso 1942, il Consiglio e Ufficio Provinciale delle Corporazioni gli comunicò «che non ap-
pena esauriti gli accertamenti sanitari in corso, saranno avviati al lavoro i cinque ebrei maschi
precettabili […]. Detti ebrei saranno destinati ai lavori stradali in corso nel tratto Corniolo-
Campigna […]»147
.
Il 17 marzo 1943 il Consiglio e Ufficio Provinciale delle Corporazioni informò però la
Prefettura che «Dagli accertamenti sanitari predisposti nessuno dei cinque ebrei maschi pre-
cettabili anzidetti è risultato idoneo fisicamente e pertanto nessun ebreo, in Provincia, è stato
fino ad oggi avviato al lavoro»148
.
Ma il 25 giugno 1943 «per ordine di S. E. il Prefetto di Forlì i sottoscritti dottor Angelo
Gambardella Medico Provinciale Aggiunto e dottor Saverio Ventimiglia Ufficiale Sanitario di
Forlì» sottoposero
«a visita medica, per accertarne la idoneità alla mobilitazione civile del lavoro […]:
1) Diena Remigio di Arturo studente 1923
2) Fiorentini Olga fu Arturo casalinga 1907
3) Klein Emerigo fu Samuele medico 1908
4) Ban Giorgio di Ugo medico 1907
5) Giannini Clara di Salvatore impiegata 1907
Tutti i visitati sono stati dichiarati idonei. –
Le relazioni di visita per ciascuno sono allegate. –
I Saralvo si sono rifiutati di essere sottoposti alla visita ed hanno rilasciato la relativa dichiara-
zione con la motivazione del rifiuto. –
Gli Habib non si sono presentati alla visita medica»149
.
Dalle relazioni delle visite mediche (custodite presso la Fondazione A. Lewin) si evince
che la Giannini dichiarò «di essere ariana tanto vero che è iscritta al P.N.F. ed è impiegata
presso la Commissione Provinciale Esercenti Libera attività traffico presso il Sindacato Prov.
146
Ibid. 147
Ivi, p. 148. 148
Ibid. 149
Ibid.
Fascista Lavoratori Industria»150. Invece, la Fiorentini riferì di avere una bambina «di anni 14
– Si riserva di presentare all’ufficio d’Igiene comunale il certificato dello stato civile – e che è
abbisognevole di cure essendo affetta da esaurimento organico ed oligoemia – Si riserva di
presentare certificato medico – »151
.
I Saralvo fecero presente nella loro dichiarazione «che per legge sono considerati ariani
tanto vero che sono inscritti entrambi al P.N.F. l’uno alla R. Università di Bologna alla Facol-
tà di Medicina e l’altra all’Istituto Magistrale di Forlì»152
.
Elia Habib venne visitato quattro giorni più tardi, il 29 giugno, e fu trovato idoneo; in
tale occasione, egli dichiarò «che la moglie Fortunata non ha potuto venire in Ufficio perché
la bimba di 10 mesi è affetta da tonsillite acuta con temperatura a 39°»153
.
Il giorno seguente anche la donna fu poi sottoposta alla visita e definita «idonea al lavo-
ro. La signora ha dichiarato che allatta una bambina di 10 mesi»154
.
In base a queste indicazioni, il 2 luglio 1943 venne infine stilato un «elenco ebrei che
devono essere mobilitati», che comprendeva Diena Remigio, Ban Giorgio, Fiorentini Olga,
Habib Elia e Klein Emerico155
.
Ma l’ultima parola, anche in questo caso, spettò al ministero dell’Interno, che il 15 lu-
glio 1943 estese le precettazioni: infatti, anche «i misti saranno considerati come ebrei e quin-
di compresi nella mobilitazione […]»156
.
Il passo successivo, da lì a pochi giorni, sarebbe stato l’avvio della persecuzione delle
vite.
150
Ivi, p. 149. 151
Ibid. 152
Ibid. 153
Ibid. 154
Ibid. 155
Ibid. 156
Ibid.
3
I TESTIMONI RACCONTANO
Completata la fase di contestualizzazione, ricerca ed analisi, per meglio comprendere il
senso di esclusione, emarginazione, isolamento, diffidenza e sospetto – che si trasformò poco
a poco in odio – contenuto nelle affermazioni fatte da Primo Levi in “Ferro”, abbiamo pensato
di invitare e di incontrare nella nostra scuola i testimoni di cosiddetta seconda generazione,
vale a dire i figli o i nipoti dei perseguitati.
In tal modo, la ricerca non è rimasta basata solo sull’analisi di fonti scritte, ma è stata
anche vissuta direttamente e in modo più coinvolgente e significativo.
Il primo incontro ha avuto quale protagonista la signora Mara Zambelli, figlia di Rossa-
na Saralvo e nipote di Gustavo Saralvo (di cui si è ampiamente trattato nel capitolo preceden-
to). Le abbiamo posto numerose domande, volte a cercare di cogliere lo stato d’animo degli
ebrei forlivesi all’indomani dell’emanazione delle leggi razziali.
Successivamente abbiamo invece incontrato Roberto Matatia, pronipote di Nissim e ni-
pote di Beniamino Matatia (anch’essi più volte menzionati nella presente ricerca). A lui sono
stati volutamente rivolti quesiti analoghi a quelli posti alla signora Mara Zambelli, al fine di
valutare le eventuali diverse percezioni avvertite dai protagonisti che, pure, stavano vivendo
la medesima situazione.
3.1. Intervista a Mara Zambelli
Giovedì 26 ottobre 2017 ci siamo recati nell’Aula magna dell’Istituto per incontrare la
sig.ra Mara Zambelli (figlia della sopravvissuta ebrea Rossana Saralvo) alla quale abbiamo
rivolto diverse domande, preparate nei giorni precedenti, riguardanti l’argomento oggetto del
concorso: “I giovani incontrano la Shoah”.
Non è stato possibile intervistare la sig.ra Saralvo, in quanto la stessa, ormai novanta-
duenne, è alle prese con problemi di salute. Durante il colloquio anche gli insegnati presenti
sono intervenuti, apportando riflessioni e formulando domande.
La signora Zambelli ha esposto i tragici fatti avvenuti a partire dalla promulgazione del-
le leggi razziali, quando la madre era un’adolescente; ci ha ricordato che, per evitare che ciò
riaccada, bisogna conoscere la Storia e sconfiggere l’ignoranza. Infatti, secondo la sig.ra Mara
le più grandi atrocità nascono proprio dall’ignoranza dell’uomo che crede che ci siano religio-
ni e razze migliori o peggiori di altre.
Dopo un’introduzione fatta dal prof. Gioiello, abbiamo incominciato a porre le nostre
domande alla signora Zambelli.
1. Gli Ebrei erano integrati nella società forlivese prima della promulgazione delle
leggi razziali?
Prima delle leggi del 1938 non c’erano stati grandi problemi: gli ebrei forlivesi erano
perfettamente integrati nel tessuto sociale ed economico cittadino; a Forlì, però, a differenza
di quanto accaduto a Lugo o Bologna, non esisteva una comunità chiusa di ebrei.
2. Cosa successe loro una volta promulgate queste leggi?
Con la promulgazione delle leggi razziali la vita degli ebrei mutò profondamente: tutti
praticamente persero il lavoro, i legami sociali, i diritti fondamentali, gli averi e, soprattutto,
la dignità; da molti furono visti come “diversi”, come una minaccia per lo Stato e per la socie-
tà. All’inizio gli stessi ebrei non erano particolarmente preoccupati, ma con l’avanzare del
tempo iniziarono a provare terrore: furono costretti a scappare o a nascondersi per sopravvive-
re e solo i più ricchi riuscirono a fuggire all’estero. Mia madre, allora tredicenne, divenne so-
spettosa e sospettata, suo babbo (cioè mio nonno) perse il lavoro, e in seguito morì di infarto
durante un interrogatorio delle SS che lo avevano arrestato, e tutta la famiglia fu costretta a
trasferirsi una volta denunciata, scappando da un podere all’altro, con il terrore di esse scoper-
ta e deportata.
3. Cosa ha scatenato l’antisemitismo?
Tutto scaturisce, in generale, dall’ignoranza degli uomini, che, senza ragionare, seguono
le ideologie di persone folli; in quel periodo tanti uomini “normali”, anche persone colte, si
lasciarono trasportare da orribili ed illogici pensieri, che venivano loro inculcati
dall’incessante propaganda; tale “bombardamento” ideologico screditava gli ebrei sotto ogni
punto di vista, facendo credere agli “altri” che la razza ariana fosse l’unica pura e, per questo,
destinata a dominare, mentre quella ebraica fosse nettamente inferiore e, quindi, destinata ad
essere cancellata dalla faccia della terra. Tantissimi uomini hanno creduto a questi stereotipi e
hanno perseguitato ciecamente gli ebrei. I veri uomini sono coloro che credono nei propri
ideali, senza farsi influenzare dalle idee di altre persone; tuttavia, ci sono pochi veri uomini,
ieri come oggi: quanti, infatti, quotidianamente si lasciano ancora influenzare da altri e consi-
derano, per esempio, gli immigrati come persone sporche, pericolose e nulla facenti?
4. Come si sono comportati gli ebrei dopo l’emanazione delle leggi razziali?
Nonostante l’odio di molti, gli ebrei hanno continuato ad aiutarsi reciprocamente, per
quanto possibile, perché erano persone molto orgogliose, unite, forti d’animo e profondamen-
te legate alla propria religione. Tali legami sono rimasti sia durante il periodo che ha precedu-
to il secondo conflitto mondiale, sia durante gli anni della guerra e dell’occupazione nazifa-
scista dell’Italia.
5. Secondo lei la propaganda fascista è riuscita a convincere gli ebrei che fossero dav-
vero esseri diversi?
Assolutamente no.
6. Cosa le è rimasto più impresso di ciò che le ha raccontato sua madre?
Lo smembramento della famiglia. Durante il periodo delle persecuzioni moltissimi ebrei
sono stati deportati nei campi di concentramento o immediatamente uccisi: questo causò la
divisione all’interno delle varie famiglie. Una volta finita la guerra, gli ebrei, sopravvissuti ad
anni di sofferenze e di paure, sono rimasti senza nessun avere e soprattutto senza alcun lega-
me: tanti non avevano più i genitori o fratelli o figli o nonni, e furono, in tutti i sensi, costretti
a ricominciare daccapo la loro vita.
7. Per sua madre è stato difficile raccontare la propria triste esperienza?
No, non è stato difficile raccontare tali sofferenze e paure, ha avvertito sì il peso di que-
sti ricordi, ma non ha provato mai vergogna: raccontare per lei è stato una specie di liberazio-
ne e ha ricordato quanto avvenuto anche con un pizzico di ironia che deriva dall’orgoglio che
hanno gli ebrei.
L’incontro è stato davvero interessante, in quanto abbiamo avuto la possibilità di svol-
gere una lezione particolare e di imparare sul “campo”, in modo diretto e più vero la Storia:
abbiamo, infatti, avuto l’opportunità di formulare noi le domande e di ascoltare, ancora una
volta dal vivo, la narrazione di avvenimenti, accaduti durante la prima metà del Novecento,
raccontati da chi li tramanda attraverso i ricordi dei loro parenti.
3.2. Intervista a Roberto Matatia
Giovedì 9 novembre 2017 abbiamo incontrato lo
scrittore Roberto Matatia, autore del romanzo I vicini
scomodi.
Il professor Gioiello, durante una breve
introduzione, ha rimarcato le differenze tra la storia della
signora Saralvo (da noi precedentemente incontrata),
appartenente ad una famiglia “mista”, ed il destino della
famiglia ebrea dei Matatia: tali differenze sono state poi
confermate dalle risposte del signor Matatia, che sono
state molto diverse da quelle fornite dalla signora Saralvo.
Lo scrittore ha iniziato il suo discorso narrando, in estrema sintesi, la storia dei tre fra-
telli Matatia e delle loro famiglie: di origine greca, intorno agli anni Venti del secolo scorso si
stabilirono tra Faenza e Forlì, integrandosi pienamente nel contesto socio-economico e cultu-
rale del territorio romagnolo. Diventati benestanti grazie al duro lavoro (a Forlì, in piazza Saf-
fi, possedevano una pellicceria talmente importante da essere definiti pellicciai del regime),
comprarono una casa a Riccione intorno agli anni Trenta; Mussolini acquistò nel 1934 una
villa proprio confinante a quella dei Matatia. I rapporti tra questi ultimi e il capo del fascismo
furono stretti e durarono per alcuni anni e nulla, allora, faceva presagire pericoli. Viceversa,
nell’estate del 1937, Nissim Matatia fu chiamato dalla questura di Bologna ed invitato a ven-
dere la casa di Riccione, che fu successivamente ceduta con l’entrata in vigore delle leggi raz-
ziali del 1938.
Da quell’anno la loro vita mutò profondamente ed i destini dei tre fratelli si separarono:
il nonno di Roberto fuggì in Bolivia, Leone si trasferì in Svizzera, mentre Nissim rimase con
la moglie e i suoi tre figli a Forlì, convinto che i buoni rapporti creati con i fascisti gli avreb-
bero salvato la vita, mettendolo al riparo da persecuzioni ed attacchi. Purtroppo sbagliò a fare
i conti. Ai figli di Nissim, infatti, non fu consentito di frequentare le scuole (andarono in un
Istituto privato per ebrei a Bologna) e la famiglia perse tutti gli averi, oltre che i diritti civili e
politici. Infine, venne poi deportati e uccisi ad Auschwitz.
A questo abbiamo formulato all’autore le domande che seguono; alcune di esse sono le
stesse rivolte precedentemente alla signora Zambelli.
1. Qual è stata la reazione degli ebrei all’emanazione delle leggi razziali?
All’inizio gli ebrei italiani non percepirono la gravità della situazione e non furono spa-
ventati o intimoriti, in quanto in Italia, a differenza di quanto accadeva in Germania,
l’antisemitismo si affermò in modo più graduale ed i fascisti evitarono di cadere negli eccessi
violenti che caratterizzarono la repressione tedesca nei confronti della razza ebraica.
Tanti ebrei pensavano, visti i loro rapporti con i fascisti ed i cittadini italiani, che tutto
sarebbe rientrato rapidamente e che le norme sarebbero state applicate “all’italiana”, come si
suole dire. Non fu così, anzi l’applicazione graduale delle leggi non consentì agli ebrei di ren-
dersi conto della gravità che fu percepita soltanto quando alla fine fu loro tolto tutto.
Altri, forse più paurosi o previdenti, fuggirono all’estero, percependo quasi immediata-
mente il grave pericolo: mio nonno, infatti, riparò all’estero, Nissim fu invece attendista e,
come detto, pagò caramente la sua attesa. Tanti ebrei non poterono fuggire, perché non ave-
vano i mezzi economici; a rimetterci furono proprio coloro che, non avendo né denaro né oro,
non poterono comprare la loro salvezza.
Tuttavia, anche chi non pensava che sarebbero scaturite gravi conseguenze dall’entrata
in vigore delle leggi incominciò a percepire un certo distacco di quanti, fino a poco prima,
erano stati amici, confidenti, compagni o semplicemente vicini di casa: gli ebrei incomincia-
rono a diventare “uomini di nebbia”, trasparenti, incominciarono a non essere più visti. Men-
tre per la famiglia Saralvo fu come vivere sospesi in una specie di limbo, per noi Matatia fu
subito buio: è vera purtroppo la scritta “INDIFFERENZA” che compare alla stazione di Mi-
lano, al “binario 21”.
2. Cosa ha scatenato l’antisemitismo?
L’odio antiebraico è vecchio come il mondo, ma cambia la matrice per la quale si viene
odiati: prima l’antisemitismo era di carattere religioso, in quanto gli ebrei sono stati conside-
rati il popolo colpevole della morte di Cristo. Nel ʼ900 sì basò invece su presunte differenze
razziali: infatti, in quel periodo in Germania spopolava una pseudo-scienza, chiamata "euge-
netica", che parlava di popoli e di razze inferiori, di uomini predisposti naturalmente ad essere
cattivi, usurai, inferiori, ad essere una non-razza.
Hitler e Mussolini fecero di questa pseudo-scienza uno strumento politico che consenti-
va loro di ottenere consenso dal popolo, attraverso un “effetto aggregante”; si scaricava infatti
la colpa della crisi economica su un nemico comune, gli ebrei appunto, contro cui accanirsi.
In Italia, tale atteggiamento persecutorio non nacque per seguire Hitler, ma era già presente
nelle menti di molti italiani prima delle leggi razziali, basta pensare ai discorsi e agli avveni-
menti che videro protagonisti i nostri connazionali nelle conquiste coloniali.
Tuttavia, l’atteggiamento della maggior parte degli italiani cambiò nei confronti degli
ebrei dopo l’8 settembre 1943, quando fu intrapresa la lotta di liberazione.
Infine, per venire all’attualità, l’antisemitismo appare oggi di matrice antisionista.
3. Secondo lei la propaganda fascista è riuscita a convincere gli ebrei che fossero dav-
vero esseri diversi?
A causa della propaganda fascista gli ebrei iniziarono a pensare di essere diversi,sia
perché essa fu martellante, sia perché gli stessi ebrei erano molto attenti a cogliere ogni atteg-
giamento discriminatorio e iniziarono a sentirsi sempre meno importanti e umani.
4. Perché ha scritto il romanzo I vicini scomodi?
Per un motivo personale, intimo. Volevo far
conoscere le nostre radici ai miei figli che sono nati
in una famiglia mista (papà ebreo, mamma cattolica);
il ritrovamento casuale delle lettere di Camelia e la
volontà di educare i giovani a non commettere gli
stessi errori e crimini sono stati due altri ottimi moti-
vi: facendo conoscere la storia, le sofferenze e le
umiliazioni di tanti ebrei spero, infatti, si possa evita-
re il ripresentarsi di tali tragedie. Naturalmente, ogni
volta che si raccontano questi fatti si riaprono però
ferite dolorose.
5. Nello scrivere il romanzo cosa le è maggiormente rimasto impresso nella mente?
La mole imponente dei documenti e la mania che ci fu, sia tra i tedeschi che tra gli ita-
liani, di catalogare, segnare puntigliosamente ogni cosa, con una precisione disarmante. Per
esempio, ho trovato un documento dove si certifica che il 30 novembre Nissim Matatia fu li-
berato dagli italiani: in realtà venne consegnato alle SS.
Inoltre, mi ha colpito l’aiuto che tanti ebrei hanno ricevuto in Italia; in percentuale, il
numero di ebrei deportati dall’Italia (circa settemila) fu minore rispetto a quello della Polonia,
sia perché si iniziò più tardi a perseguitarli, sia perché, appunto, molti furono aiutati dagli ita-
liani che consegnarono documenti falsi e tessere annonarie o li nascosero nelle loro case.
6. Quanto tempo è stato necessario per far sì che gli ebrei tornassero ad essere consi-
derati uguali, e quando gli ebrei hanno pensato di nuovo di essere diventati uguali
agli altri? Secondo lei il risentimento contro gli ebrei è presente ancora oggi?
Tante persone dopo la guerra cercarono di fare il possibile per reintegrare nella società
gli ebrei, anche se il dolore non permise subito a questi ultimi di sentirsi nuovamente uguali
agli altri. Ciò non consentì loro di reintegrarsi immediatamente, fu necessario un lungo perio-
do di sofferenze. Alcuni, tuttavia, non si sentono ancora uguali! Anche oggi continuano gli at-
tacchi discriminatori nei confronti degli ebrei e tanti vengono colpiti, anche per scherzo, attra-
verso battute, scritte infamanti, ed altro ancora (basti pensare a quanti ebrei francesi sono fug-
giti in Israele).
Sono ancora tanti coloro che provano un grande risentimento contro gli ebrei: io stesso,
quando ero un adolescente e studiavo in un collegio a Bologna, venivo deriso solo perché
avevo la stella di David sulla maglia.
7. Cosa ha portato la sua famiglia a rientrare in Italia?
Molti sono andati a vivere in Israele, ma il paese non ha sempre offerto pace, tranquilli-
tà e lavoro; difatti il mio papà è andato nel 1956 in Israele e poi ha deciso di ritornare in Italia,
sperando di riuscire a ricostruirsi una vita.
Alla fine, però, solo mio padre è rimasto in Italia, mentre gli altri familiari si sono tra-
sferiti definitivamente nello stato di Israele.
8. Per gli ebrei è stato difficile raccontare il proprio passato?
Per alcuni è stato molto difficile, in quanto tutto quello che successe avvenne con vio-
lenza e volgarità inaudite. Penso che non esistano parole per descrivere un tale orrore.
Anche per me è stato assai difficile raccontare, sebbene io non abbia vissuto queste tra-
gedie in prima persona. Penso spesso alla storia della mia famiglia, ai miei familiari e provo
ad immaginare quanto sarebbe stata diversa la loro vita senza le crudeltà del nazifascismo.
Queste due testimonianze sono state molto interessanti e utili per approfondire le nostre
conoscenze sulle vicende accadute durante il periodo antecedente la seconda guerra mondiale
nella nostra città, e sulle sofferenze e le umiliazioni provate dalle famiglie ebree.
I due incontri, inoltre, sono stati molto importanti per farci capire che tutte le persone al
mondo meritano pari diritti e opportunità, anche se spesso questo purtroppo non accade. Infat-
ti, una frase particolarmente significativa e profonda pronunciata da Matatia è stata: “Al mon-
do non ci sono razze, ma ci sono razzisti”.
CONCLUSIONI
Giunti al termine di questo impegnativo lavoro – che avrà un’appendice il prossimo
aprile, allorquando noi alunni delle classi 2° D e 2° G visiteremo due luoghi simbolo della
memoria, cioè il campo di concentramento della prima guerra mondiale per militari italiani di
Sigmundsherberg e il campo di concentramento di Mauthausen, per porre a confronto le due
tipologie di lager – il nostro auspicio è di aver compreso che ogni giorno, e non soltanto il 27
gennaio di ogni anno, deve essere dedicato alla memoria.
Spetta a noi, infatti, vigilare per impedire che quanto già accaduto si ripresenti, magari
celato sotto una qualsiasi forma di discriminazione.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
FONTI
1. ARCHIVI
1.1. ASFo – Archivio di Stato di Forlì
1.2. Archivio Fondazione Alfred Lewin
1.3. Archivio storico Camera di Commercio Forlì-Cesena
2. FONTI EDITE
2.1. Emeroteca comunale di Forlì
3. FONTI ORALI
3.1. Interviste a
Roberto Matatia
Mara Zambelli
BIBLIOGRAFIA
BERTANI Mauro, Folli, psichiatri, ebrei al San Lazzaro di Reggio Emilia tra Ottocento e
Novecento, in L’applicazione della legislazione antisemita in Emilia Romagna (a cura
di Valerio Marchetti), Bologna, Il Nove, 1999
CAPRISTO Annalisa, Il decreto legge del 7 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e nelle accademie, in «Israel», numero speciale in occasio-
ne del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista, (a cura
di Michele Sarfatti), Firenze, Giuntina, Vol. LXXIII – n. 2 – maggio-agosto 2007
CARAVITA Gregorio, Ebrei in Romagna (1938-1945) Dalle leggi razziali allo sterminio, Ravenna, Longo Editore, 1991
CASADEI Ettore, Forlì e dintorni, Forlì, Società Tipografica Forlivese, 1928
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DI PORTO Bruno, Gli ebrei italiani di fronte al 1938, in «Israel», numero speciale in oc-casione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista (a
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Comune di Forlì – Istituto Storico della Resistenza di Forlì-Cesena
Anno Scolastico 2016 – 2017
PROGETTO
PERCORSO DI APPROFONDIMENTO DEI VALORI DEL 25 APRILE
Il nostro viaggio della memoria
Istituto Tecnico Industriale Statale “Marconi” di Forlì
Classe I G – I D
INTRODUZIONE
Quest’anno scolastico abbiamo partecipato, come classe I G dell’ITIS
“Marconi” di Forlì, al progetto “Percorso di approfondimento sui valori del 25
Aprile”, il quale ci ha consentito di visitare i luoghi forlivesi legati alle vicende
del secondo conflitto mondiale e di conoscere gli avvenimenti e di personaggi
che hanno reso possibile la liberazione dell'Italia dall’occupazione nazifascista;
ci ha, inoltre,permesso di approfondire la storia della persecuzione ebraica in
Italia.
Il progetto, un vero e proprio “viaggio nella memoria”,si è articolato nelle
seguenti tappe:
1. Il 2 febbraio 2017 nel Salone comunale di Forlì, la classe ha incontrato il
rabbino capo di Ferrara, Luciano Caro, l’assessore allo sport del
Comune di Forlì, Sara Samorì, Paolo Poponessi e Franco D’Emilio;
questi ultimi sono stati i curatori della mostra “Stelle Gialle” e autori del
catalogo che porta lo stesso titolo. In questa uscita la classe ha
appreso,attraverso i racconti in prima persona del rabbino, molte notizie
sulla Seconda guerra mondiale e su come gli ebrei si sentissero a loro
agio nel nostro paese prima dell’emanazione delle leggi razziali e su
come abbiano poi sofferto a causa delle discriminazioni e delle
deportazioni nei campi di sterminio.
2. Abbiamo letto il romanzo storico-realistico “Il binocolo di Cesare”, scritto
da Elio Scialla: il testo è inerente al progetto, perché nel libro vengono
evidenziati i temi delle lotte sociali e partigiane al tempo della Seconda
guerra mondiale,dei disagi prodotti dalla guerra e di come al tempo i
ragazzi non godessero delle gioie dell’adolescenza. Giovanni, il nonno
del protagonista, è un oppositore dell'occupazione nazifascista e decide
di aiutare i partigiani che sulle montagne piemontesi opponevano
resistenza ai tedeschi; lo stesso fa il giovane protagonista, Cesare,
pronto a dare il suo contributo per liberare l’Italia, anche a costo di
rinunciare all’amore della sua ragazza.
3. Questi temi sono stati poi approfonditi nell'incontro tenutosi a scuola il 3
marzo 2017 con il partigiano Sergio Giammarchi, accompagnato dalla
ricercatrice storica Elena Paoletti. Abbiamo potuto rafforzare le nostre
conoscenze su quell'epoca, grazie al racconto delle vicende, vissute in
prima persona dal partigiano al tempo del 1943, quando l'unica ragione
di vita per tanti giovani (ma anche di adulti ed anziani)era di ritrovare la
tanto attesa libertà, anche al prezzo di perdere la propria giovinezza per
colpa della guerra. Quest’ultima, secondo lo stesso Giammarchi, è la
rovina delle famiglie, perché la guerra non guarda in faccia nessuno.
4. Il 10 marzo 2017, grazie anche alle ricerche del professor Gioiello,
abbiamo visitato i luoghi forlivesi della memoria, legati alla storia degli
ebrei nella nostra città; abbiamo visitato piazza Saffi, dove c’era il
negozio di pellicceria di Roberto Matatia, e l'ex albergo commercio,
campo di concentramento provinciale, oggi stabile nel numero 79 di
Corso Diaz, luogo dove vennero reclusi almeno 14 Ebrei;
successivamente siamo passati per via Porta Merlonia e via Sara Levi
Nathan, dove erano presenti antiche comunità ebraiche (la giudecca) e
per via Sant'Antonio Vecchio – Calcavinazza (il ghetto degli ebrei
forlivesi); infine, abbiamo visitato il palazzo del provveditorato (ex-
brefotrofio) nel quale, durante l’occupazione nazifascista, vennero
rinchiusi gli oppositori politici; prima di ritornare a scuola siamo passati
anche per le carceri di Forlì, dove vennero rinchiusi tanti prigionieri
ebrei.
5. Il 16 marzo 2017, in aula magna, abbiamo incontrato Luigi Casaglia e lo
storico Mario Proli. Quest’ultimo ci ha presentato il contesto storico negli
anni del Secondo conflitto mondiale, mentre Luigi Casaglia ha
presentato il libro “SS cella n°1”, che è il diario di suo padre Oreste.
Oreste Casaglia era un noto avvocato forlivese,che credeva fortemente
nei valori della patria, del diritto e della giustizia e che per questo ha
deciso di difendere, a rischio della sua stessa vita, i partigiani accusati in
contumacia. Per questo è stato imprigionato, interrogato e torturato
nell’ex brefotrofio di Forlì; dopo essere stato liberato nel 1945, è morto
un anno dopo a causa delle torture subite.
6. Altra tappa del nostro viaggio è stata la lettura del romanzo giallo “Venti
corpi nella neve” di Giuliano Pasini. La storia, ambientata nel 1995 a
Case Rosse, ha come protagonista il commissario Roberto Serra che
per risolvere un caso di omicidio deve rivangare gli avvenimenti tragici,
ancora un eccidio compiuto dai tedeschi contro cittadini italiani indifesi,
accaduti in quel piccolo paesino durante la Seconda guerra mondiale.
7. Concluderemo il nostro viaggio nella memoria il 26 Aprile 2017 con
l’uscita didattica a Tavolicci, dove il 22 luglio 1944 vennero trucidati 64
civili.
Per quanto riguarda la relazione, insieme al professor Valente, abbiamo
deciso di strutturare le varie attività, prendendo spunto dalla trama del
romanzo “Incontro con l'Autore” di Elio Scialla, letto nel corso del primo
quadrimestre: ci siamo divisi in piccoli gruppi, costituiti da due o tre alunni; ad
ogni gruppo è stato assegnato dal prof. Valente un compito, come relazionare
su una determinata attività o esperienza svolta, scattare foto o preparare
domande da rivolgere agli esperti durante gli incontri; ogni relazione è stata
poi, in classe,letta e rivista, grazie anche alle riflessioni degli altri studenti, per
poi essere riscritta in “bella copia”. Anche le varie fotografie sono state scelte
di comune accordo. Infine, tre alunni hanno raccolto il materiale prodotto e
hanno scritto l’introduzione.
Questo progetto ha rafforzato le nostre conoscenze sulla Seconda guerra
mondiale e sulla storia degli Ebrei, sul modo di operare dei nazifascisti e
sull’amore per la patria che avevano i partigiani; in più è stato molto
interessante, perché ci ha permesso di capire più a fondo la storia della nostra
città, e di studiare Storia “sul campo”.
Ringraziamo in modo particolare il professor Valente,che ci ha consentito di
partecipare a questo progetto e che ci ha guidato nelle varie tappe del “viaggio
della memoria”, il professor Gioiello, che ci ha accompagnato nella visita dei
luoghi di Forlì, legati alla storia degli ebrei, e che ci fa fornito preziose
informazioni e documenti; il provveditore Di Forlì, che ci ha permesso di
visitare le celle sotterranee del provveditorato (ex brefotrofio) e la Dirigente
scolastica che ci ha consentito di incontrare a scuola il partigiano Giammarchi
e Luigi Casaglia.
1 – INCONTRO CON IL RABBINO CAPO LUCIANO CARO
Giovedì 2 Febbraio 2017, assieme ad altri studenti dell’ITIS Marconi, abbiamo
partecipato, nel salone comunale di
Forlì, ad un incontro organizzato col
rabbino capo di Ferrara, Luciano Ca-
ro.
All’incontro erano presenti anche
l’assessore agli Eventi Istituzionali e
Manifestazioni Pubbliche, Sara Samo-
rì, ed i curatori della mostra documen-
taria itinerante “Stelle Gialle”, Paolo Poponessi e Franco D’Emilio, che hanno
anche pubblicato il testo “Stelle Gialle, Ebrei della provincia forlivese nella not-
te fascista”: si tratta di un catalogo, realizzato dopo la suddetta mostra, che si
è tenuta a Forlì nel 2015, riguardante i tristi avvenimenti legati agli ebrei della
provincia forlivese, al tempo delle leggi razziali del 1938 e delle deportazioni
avvenute durante la Seconda guerra mondiale.
“Stelle Gialle” è un importante oggetto di studio e di informazione per noi ra-
gazzi delle scuole e contiene documenti e fotografie, provenienti dall’archivio
di stato di Forlì-Cesena e dal centro di cultura ebraica, riguardanti la storia del-
la persecuzione ebraica italiana, nello specifico di quella forlivese.
In particolare, vengono analizzati il fascismo e le leggi razziali che portarono e
aggravarono l’antisemitismo e il rifiuto del diverso.
Per prima ha preso la parola Sara Samorì che ha introdotto l’argomento; poi la
parola è passata a Franco D’Emilio che ci ha spiegato come questo catalogo
sia di immensa importanza per i seguenti motivi:
è uno strumento di conoscenza
è una testimonianza di avvenimenti che non vanno dimenticati
è una prova che le accuse anti-ebraiche siano infondate
è un “documento” che confuta il negazionismo”
è un testo che dimostra che anche gli Italiani hanno avuto un ruolo de-
terminante nella persecuzione e nello sterminio degli Ebrei
è utile per far sì che razzismo e antisemitismo non si ripetano più nella
storia.
Franco D’Emilio ha concluso, ringraziando le persone che hanno collaborato
alla realizzazione del documentario Stelle Gialle.
La parola è poi passata a Paolo Poponessi che ha rimarcato quanto questa
mostra e questo catalogo siano serviti anche per far comprendere che lo stato
italiano ed i cittadini italiani si siano resi colpevoli di persecuzioni contro gli
Ebrei; inizialmente, dal 1938 al 1943, con la “persecuzione dei diritti”, attra-
verso la quale gli ebrei furono allontanati dalle scuole, furono espulsi dai posti
pubblici, fu vietato loro di svolgere il servizio militare e di possedere beni: le di-
scriminazioni al popolo Italiano e all’opinione pubblica vennero fatte credere
come “un semplice incidente” e tanti cittadini italiani si opposero agli ebrei. Poi,
dopo il 1943, con la “persecuzione delle vite”, attraverso deportazioni e ster-
mini. Fu una fase di grande disagio durante la quale gli italiani si schierano
contro altri italiani: infatti, molti ebrei sono stati uccisi all’interno dello stato ita-
liano.
Infine, è stata la volta del rabbino ca-
po; lo stesso ha iniziato il suo inter-
vento dicendo che per gli ebrei il gior-
no della memoria non è uno, ma lo
sono tutti i giorni, per chi è sopravvis-
suto alla guerra e allo sterminio; ha
rimarcato che tutte le mostre e le te-
stimonianze di oggi non servono per dare la colpa a qualcuno, ma per far ri-
cordare ciò che è accaduto durante la Seconda guerra mondiale, perché ciò
non riaccada mai più.
Ci ha raccontato, inoltre, come prima del 1938 gli ebrei si considerassero più
italiani degli italiani, abitando le “nostre” terre da più di 2000 anni (avevano di-
viso il nome Italia in 3 parti che, messe insieme significano in ebraico “isola
della bella rugiada”); solo quando, nel 1938, uscirono le leggi razziali e i loro
diritti vennero limitati da un giorno all’altro, rimasero sbalorditi e non riuscirono
a crederci.
Diventarono pericolosi agli occhi degli italiani che pensavano che essi potes-
sero sabotare il paese e non furono più considerati cittadini. Vennero cacciati
dalle scuole, dalle loro residenze con mille scuse o pretesti (per esempio, se
abitavano in una casa che aveva una finestra che dava sul mare) e poi depor-
tati e sterminati selvaggiamente, soprattutto ad Auschwitz.Molti ebrei vennero
uccisi in seguito a denunce fatte da italiani in cambio di denaro, mentre altri si
sono salvati grazie proprio agli italiani che li ospitavano a loro rischio e perico-
lo.
Le leggi razziali dichiaravano che una sola razza era privilegiata e doveva go-
vernare, mentre tutte le altre, di “serie B”, dovevano essere eliminate.
Il piano del nazismo, ritenuto diabolico dal rabbino, prevedeva lo sterminio de-
gli ebrei come un “esperimento” per testare un metodo rapido ed efficace per
eliminare intere popolazioni. Se la Seconda guerra mondiale fosse stata vinta
dai tedeschi, sarebbe arrivato anche il momento dello sterminio degli italiani
(prima quelli del sud e poi quelli del nord).
Nel campo di sterminio di Auschwitz sono morte circa 1,5 milioni di persone; si
contavano circa 20.000 uccisioni al giorno di “oggetti”, perché le persone
ebree venivano considerate peggio di oggetti. Le vittime ebree italiane am-
montarono a circa 9000, tra cui anche anziani e bambini di pochi giorni. Chi è
sopravvissuto vive con un senso di grande rimorso e infelicità nei confronti di
tutti quelli che invece sono morti.
Il rabbino capo ha concluso il suo intervento suggerendo ai ragazzi di pensare
e ragionare con la propria testa e di non farsi condizionare troppo dagli altri,
perché le grandi dittature della storia hanno governato sull’ignoranza del popo-
lo e cioè sull’incapacità di discriminare tra ciò che è giusto e ciò che è sbaglia-
to.
La classe ha partecipato con molta attenzione alla manifestazione dimostran-
do interesse, prendendo appunti, scattando foto e apprendendo direttamente
dalla voce di un sopravvissuto la reale storia di quei tempi duri di guerra.
2 – IL BINOCOLO DI CESARE
“Il Binocolo di Cesare” è un romanzo realistico di Elio Scialla, scrittore che è
stato preside di una scuola media del Piemonte ed autore di numerosi romanzi
di diverso genere.
Il romanzo parla della vita di un adolescente di nome
Cesare Dalmastro che durante la Seconda guerra
mondiale deve lasciare la città di Torino e i suoi geni-
tori per andare a vivere nella casa di campagna del
nonno a Carassone, nella periferia di Mondovì, perché
la guerra aveva reso complicata la vita di tutti i cittadini
a Torino a causa dei bombardamenti.
Appena arrivato, con l’aiuto del nonno, decise di iscriversi alla scuola media:
non volle frequentare una scuola d’avviamento,bensì una che gli permettesse
poi di iscriversi al liceo; l’iscrizione fu vivamente sconsigliata dal preside della
scuola di Mondovì, il quale riteneva che un “figlio” di operai non potesse fre-
quentare proficuamente un liceo.
Cesare iniziò a seguire le lezioni dopo qualche settimana, perché la scuola
impiegò del tempo per formare una classe costituita dai ragazzi cosiddetti
“sfollati”, cioè che erano stati costretti ad abbandonare la propria città a causa
della guerra. Durante i primi giorni di scuola Cesare conobbe un ragazzo di
nome Luigi che diventò il suo migliore amico: nella classe i due non si relazio-
navano molto con gli altri compagni, ad eccezione di due ragazze sedute da-
vanti a loro: Angela e Nerina. Durante la sua esperienza a Mondovì spesso
Cesare si ritrovò solo a custodire la casa del nonno, dovendo anche curare
l’orto e gli animali, perché il nonno, ex soldato della Prima guerra mondiale,
andava in soccorso dei partigiani che combattevano per la liberazione
dell’Italia dai tedeschi.
Durante le lunghe assenze del nonno, Cesare riceveva diverse sue lettere
tramite una conoscente. Nelle lettere il nonno parlava della dura vita che face-
vano i partigiani in montagna, i quali erano “soldati” che non facevano parte di
un esercito, ma di un movimento di resistenza contro i soldati tedeschi, e che
per sopravvivere si facevano ospitare dalle persone che vivevano nei paraggi,
mangiando il poco che queste potevano offrire loro.
Durante l’estate Cesare passava il tempo a fare lunghe uscite in bici con Luigi,
Angela e Nerina, con la quale, frattanto, era nato un sentimento più forte
dell’amicizia che li ha uniti per diverse settimane.
Mentre il nonno era ancora in montagna,una sera Cesare fece conoscenza di
Giuseppe Barale e di Jonathan, due partigiani conoscenti del nonno; questi
erano venuti a cercare nonno Giovanni per avere da lui un rifugio e per orga-
nizzare la lotta partigiana e preparare l’insurrezione generale;vista l’assenza
del nonno, Cesare trovò ai due un posto dove rifugiarsi, un luogo nascosto, vi-
cino alla casa di un amico del nonno, scoperto in una delle tante passeggiate
fatte con Luigi. I due lo ringraziarono e gli ordinarono di non dire a nessuno del
loro nascondiglio. Questo segreto, che Cesare mantenne gelosamente,causò
un litigio tra lui e Nerina, provocando la fine della loro storia d’amore.
Barale e Jonathan, quando arrivò il giorno in cui dovettero tornare nel loro
gruppo di partigiani in montagna, diedero a
Cesare un binocolo col compito di tenere
d’occhio il viadotto che era situato vicino
alla casa del nonno, perché i tedeschi,
probabilmente,lo avrebbero distrutto du-
rante la loro ritirata, per rendere difficoltosa
l’avanzata degli alleati; Cesare li salutò,
pronto a svolgere il suo compito; purtroppo
l’insurrezione non ci fu il giorno seguente e
Cesare dovette aspettare più di un mese per vedere i primi segnali della ritira-
ta tedesca. Quando i tedeschi finirono i preparativi per la ritirata, durante il
cuore della notte, distrussero il viadotto con una grande esplosione che fece
svegliare Cesare,il quale corse subito a controllare la situazione. Il giorno se-
guente ci fu l’insurrezione generale ed i partigiani, insieme agli alleati, passa-
rono per le strade di Mondovì, festeggiando la fine della guerra e la liberazione
dell’Italia; Cesare accorse in città per trovare il nonno, ma ricevette il compito
da un partigiano: andare a comunicare alla ragazza che lo stesso partigiano
era vivo; Cesare accettò senza fiatare e partì con la sua bicicletta; dopo aver
svolto anche quest’ultimo compito, tornò di fretta a casa dal nonno, per rive-
derlo finalmente.
Durante l’estate Jonathan, con la sua jeep, andò a trovare Cesare ed il nonno
e portò loro della carne in scatola, che mangiarono insieme mentre parlavano.
Cesare passò il resto dell’estate dal nonno, senza rivedere più i sui amici che
erano tornati a Torino con le proprie famiglie.
Tornato,quindi, in bicicletta, a Torino, decise di andare,sempre con la sua
amata bicicletta, ad iscriversi al liceo classico; quando arrivò, scoprì che Bara-
le era diventato il preside del liceo e che i suoi amici si erano tutti iscritti in
quella scuola e che lo avevano iscritto nella loro stessa classe: quindi, l’anno
successivo si sarebbero rivisti.
Questo romanzo spiega molto bene la vita di un adolescente al tempo della
guerra: Cesare, infatti, trascorre i lunghi mesi del conflitto, affrontando respon-
sabilmente ed autonomamente le problematiche della scuola, la gestione della
casa del nonno, il supporto ai partigiani ed il rapporto amoroso con Nerina. Il
romanzo mette in evidenza i temi dell’amicizia, della solidarietà,dei disagi pro-
dotti dalla guerra, ma anche quelli fondamentali delle lotte sociali e di quelle
partigiane: queste ultime tematiche si collegano all’incontro fatto a scuola l’11
Marzo 2017 con il partigiano Sergio Giammarchi, che ha messo proprio in evi-
denza la dura vita dei ragazzi a quel tempo: essi perdevano la loro giovinezza
per colpa della guerra e del regime nazifascista, e, da partigiani, lottavano in
prima linea per la libertà dell’Italia, dovendosi però nascondere in montagna e
vivendo e combattendo grazie anche all’aiuto della popolazione che abitava
nei dintorni.
3 – INCONTRO CON IL PARTIGIANO SERGIO GIAMMARCHI
Il giorno 3 Marzo 2017 abbiamo partecipato ad un incontro, nell’aula 42-43 del
nostro istituto, con il partigiano Sergio Giammarchi e con la dott.ssa Elena
Paoletti, collaboratrice dell’Istituto Storico per la Storia della Resistenza di
Forlì-Cesena.
La ricercatrice Paoletti ci ha illustrato sinteticamente la storia del Fascismo,
dalla presa del potere di Mussolini alla caduta del nazifascismo in Italia. Il suo
discorso si è soffermato sia sull'obbedienza al Duce (anche i bambini, ad
esempio, erano costretti al giuramento di fedeltà a Mussolini) sia sulla
costruzione dell’uomo nuovo,
attraverso l’educazione dei
giovani affidata a
organizzazioni collaterali
(Balilla, tanto per fare un
esempio) sia sull’importanza
della parola guerra: già da
bambini si veniva educati al
combattimento.
Poi ha illustrato gli avvenimenti del luglio del 1943 (sbarco in Sicilia degli
alleati), soffermandosi, in particolare, sul 25 luglio 1943, quando cadde il
fascismo (il re fece arrestare Mussolini e affidò il governo a Badoglio) e
mettendo in evidenza che da quella data fino all’8 Settembre (circa 40 giorni)
gli italiani assaporarono la libertà, dopo anni di dittatura; successivamente
all’armistizio ci furono la liberazione di Mussolini e la nascita della Repubblica
di Salò, con l’Italia divisa in due. Infine, la dott.ssa ha evidenziato l'impegno
degli italiani per contrastare l'occupazione nazifascista, a partire dall’8
Settembre del 1943, e si è soffermata sulla Resistenza italiana, caratterizzata
da scioperi, da manifestazioni di protesta, dalla stampa clandestina e dalla
contropropaganda clandestina, dal boicottaggio (economico, del lavoro e
dell'esercito), dal sabotaggio (danneggiamento di strutture), dal sostegno ai
partigiani; a partire dall'8 Settembre del 1943 sono nate organizzazioni anti-
fasciste: nelle città ci furono piccoli gruppi di persone, mentre in montagnasi
ebbero vere e proprie brigate. Il 9 settembre dello stesso anno venne istituito il
CLN (Comitato di liberazione nazionale).
La parola è poi passata al partigiano Sergio Giammarchi, che è nato il 24
maggio del 1926 e ha vissuto direttamente il periodo fascista, la Seconda
guerra mondiale e la Resistenza. Dopo la quinta elementare, pur volendo, non
ha potuto proseguire gli studi,
perché la sua famiglia non era
benestante e fu costretto a
lavorare dallo zio per poche
lire a settimana.
Il partigiano si è soffermato
sulla parola guerra: ha
raccontato di come l’Italia sia stata in guerra consecutivamente dal
1936/37fino al 1945: prima in Africa, poi in Spagna, per appoggiare il dittatore
Franco, poi in Albania, in Francia per poi arrivare alla gelida guerra in Russia,
dove fu ancora più evidente il divario di equipaggiamento tra i soldati italiani e
quelli sovietici: l'Italia aveva armi più arretrate, solo i moschetti, mentre i russi
avevano i “parabelli” e mortai.
I bambini venivano “preparati” a combattere già da piccoli; a tal proposito ha
raccontato l’esperienza vissuta a 11 anni, quando frequentava la quinta
elementare:un giorno, lui e la sua classe, vestiti da balilla e muniti di cucchiai e
moschetti, furono condotti dalla scuola elementare (oggi De Amicis) a piedi nel
bosco di Ladino; qui le classi partecipanti vennero divise in due squadre, una
bianca e una rossa, e gli alunni compirono manovre militari di diverso genere;
alla fine dell'esercitazione arrivò l'esercito per fornire agli studenti il cibo che fu
mangiato con il cucchiaio in gavette! Poi tornarono a scuola, dopo aver
percorso a piedi, a soli 11 anni ed in meno di una giornata, più di 25 chilometri.
Ha ricordato, inoltre, che ha visto parecchie violenze fatte dai fascisti e dai
nazifascisti: agli oppositori del regime veniva fatto bere olio di ricino, alle
donne venivano tagliati i
capelli e, se portavano il
rossetto, le loro labbra
venivano ricoperte di catrame.
Durante l’occupazione tedesca
la vita divenne più pesante, il
regime più duro e violento – Il
popolo perdona, il perdonato non perdona il popolo – ed il numero di
oppositori e di renitenti alla leva crebbe fortemente: a Forlì il primo antifascista
ad essere ucciso fu Fabbri il 20 Settembre del 1943. Un'altra data importante
fu il 14 gennaio del 1944, quando venne instaurata la pena di morte con il
“Bando Graziani” per i renitenti alle lega della Repubblica Sociale Italiana.
Giammarchi ha raccontato anche un’altra esperienza significativa e dolorosa:
vide morire a Forlì cinque ragazzi che si erano trattenuti in piazza Saffi, anche
dopo la sua chiusura: lo stesso giorno vennero scoperti e condotti in tribunale,
dove vennero condannati a morte, senza praticamente processo; vennero poi
caricati su di un camion e portati in un vicolo ceco per scontare la condanna: i
cinque vennero fucilati da dei soldati italiani, obbligati dagli stessi tedeschi.
Sergio capì che ora di opporsi alle violenze ed al regime nazifascista: “Se
dovevamo morire, saremmo morti in Romagna”, ci ha detto. Giammarchi
divenne partigiano e assieme a suoi due compagni, Casadei e Mambelli, creò
un’associazione di resistenza chiamata “Giovine Italia” che poi confluì nella
Brigata Corbari. In seguito, ha ricordato il pomeriggio del 18 agosto del1944
quando furono appesi i cadaveri di quattro partigiani, suoi amici, in piazza
Saffi: Adriano Casadei, Silvio Corbari, Iris Versari e Arturo Spazzoli.
Il partigiano alla fine ha detto che la guerra è brutta, che non guarda in faccia a
nessuno, che è la rovina di tante incolpevoli famiglie; sono i guerrafondai che
vogliono la guerra, in ogni momento,per arricchirsi e per acquisire potere: il
popolo non c’entra, non la vuole, ma la subisce; a tal proposito, ha ricordato
due avvenimenti con protagonista Casadei: trattò bene un prigioniero tedesco
che, in un’altra occasione, gli risparmiò poi la vita. Ha specificato, dopo una
domanda di un alunno, che, a differenza dei tedeschi, loro non hanno mai
ucciso una persona a sangue freddo: combattevano per la liberazione
dell’Italia, e di conseguenza, per difendere l’Italia, uccidevano; nel suo gruppo
formato da 137 componenti, furono uccisi dai tedeschi 58 compagni. Ha
sottolineato che sono stati sempre in prima linea,non sono mai scappati,
semmai ritirati per poi poter riattaccare. Infine, ha fatto un appello a noi giovani
a rifuggire dalla guerra e dall’odio ed a cercare di risolvere tutte le nostre
controversie con il dialogo e con la parola.
Secondo noi quest'esperienza è stata molto significativa: ci è servita per
rafforzare le nostre conoscenze su questo periodo storico, caratterizzato da
difficoltà, violenze, povertà e disagi; per capire la forza di volontà di ogni
italiano nel proteggere la patria, a costo anche della propria vita. Ci ha aiutato
a comprendere, inoltre, come i ragazzi della nostra età di allora abbiano
vissuto dolorose e difficili esperienze, a volte davanti ai propri occhi, e con che
forza e motivazione siano riusciti a reagire, opponendo resistenza, per un
grande ideale.
4 – VISITA DEI LUOGHI DELLA MEMORIA FORLIVESI
Il giorno 10 Marzo 2017, accompagnati dai professori Maurizio Gioiello e Va-
lente Roberto, abbiamo visitato i luoghi della memoria forlivesi; in particolare,
ci siamo soffermati nei posti dove gli ebrei hanno vissuto e patito, per cono-
scere storie ed avvenimenti accaduti a Forlì al tempo del ventennio fascista e
dell’occupazione nazifascista.
La prima tappa del nostro “viaggio” nella me-
moria è stata Piazza Saffi n. 3. Abbiamo visto
quello che un tempo era un negozio di pellic-
ceria, (oggi è presente una profumeria che
conserva il portone originale in legno), che
aveva come proprietari i fratelli ebrei Matatia.
Nissim e suo figlio Roberto furono arrestati ed
inviati nel campo di sterminio di Auschwitz do-
ve morirono; la stessa orribile sorte colpì an-
che gli altri componenti della famiglia di Nissim
Matatia: Matilde, Camelia e Nino.
Gli ebrei erano riusciti perfettamente ad inte-
grarsi nella società italiana ed in quella forlivese: ne sono prove a Forlì le pre-
senze della ditta Saralvo, in via delle Torri,
ed il negozio Del Vecchio, che si trovava in
corso Vittorio Emanuele, oggi corso della
Repubblica. Abbiamo anche osservato una
delle lapidi presenti nell’atrio del palazzo
comunale (piazza XC Pacifici), dove com-
paiono i nomi di alcuni ebrei tra i soci fon-
datori e finanziatori della Croce Rossa. I
docenti, inoltre, ci hanno mostrato le copie
di alcuni documenti(vedere l’allegato “Itine-
rario tra i luoghi della memoria forlivesi”, a
cura del prof. Gioiello), in cui è possibile rintracciare i nomi di ben 15 famiglie
ebree residenti a Forlì nell’estate del 1938.
Ci siamo poi spostati in corso Diaz, fermandoci nei pressi dell’ex Albergo
Commercio, dove alla fine del 1943 venne allestito il campo di concentramen-
to provvisorio provinciale.
Nel campo finirono almeno 14 ebrei: uomini, ragazzi (Nino e Camelia, i due fi-
gli di Nissim Matatia) e donne, alcune anche anziane (le quattro sorelle Forti),
quasi tutti poi finiti ad Auschwitz. Nell’allegato suddetto è possibile vedere la
copia della fattura di 400 lire per la costruzione nell’edificio del divisorio in le-
gno, che separava 10 stanze dalle altre; i lavori, mai pagati, furono effettuati
dalla Cooperativa Lavoranti Falegnami di Forlì.
Percorrendo corso Diaz abbiamo incontrato altre strade che rimandano alla
storia degli ebrei a Forlì. Gli ebrei forlivesi, prima della bolla papale del 1555 di
Papa Paolo IV che di fatto li ghettizzava, vivevano in una “giudecca”, che altro
non era che un gruppo di strade nelle quali gli ebrei si insediavano sponta-
neamente. La giudecca comprendeva le attuali via Porta Merloria, via Sara
Levi Nathan e via Caterina Sforza. Con la bolla gli ebrei furono costretti a
trasferirsi nella strada Calcavinazza (oggi Sant’Antonio Vecchio). Successi-
vamente, nel 1593, con la bolla papale di Clemente VIII, gli ebrei furono espul-
si; in realtà a Forlì la comunità ebraica continuò ad essere presente, come at-
testano vari documenti.
Con l’arrivo di Mussolini al potere e con la promulgazione delle leggi razziali la
comunità ebraica fu attaccata nuovamente e duramente: doveva sparire dalla
faccia della terra, perché considerata inferiore a quella ariana. Dovevano es-
sere cancellati non solo gli individui, ma anche tutti gli edifici o nomi che face-
vano risalire a tale etnia; questo accadde anche a Forlì: la vecchia via dei Giu-
dei, oggi via Sara Levi Nathan, prese il nome di via 23 Luglio 1938, a seguito
di un discorso antisemita tenuto da Mussolini a Forlì in tale data.
Dopo aver percorso via Sara Levi Nathan e Caterina Sforza, dove si trovava il
cimitero degli ebrei, ci siamo recati all’ex Brefotrofio, oggi sede dell’Ufficio
Scolastico Provinciale di Forlì-
Cesena, situato in via Salinatore n.
24. L’edificio fu fatto costruire negli
anni venti dai fascisti per il manteni-
mento dei figli illegittimi abbandonati;
successivamente venne utilizzato da
tedeschi per imprigionare e torturare
gli oppositori politici.
Nella struttura furono trasferiti 23 dei 60 poliziotti responsabili a Roma
dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e nelle quattro celle del sotterraneo vennero
reclusi, in condizioni estreme, fino a 50 prigionieri, tra gli altri Oreste Casaglia,
il cui figlio Luigi abbiamo avuto il privilegio di conoscere a scuola. Prima di en-
trare nell’edificio, i docenti ci hanno letto alcuni passi tratti dal diario “SS – Cel-
la n. 1” di Oreste Casaglia, nei quali vengono descritte le dure condizioni di vi-
ta dei prigionieri politici. Successivamente, al primo piano dell’edificio, abbia-
mo incontrato il Provveditore, al quale abbiamo illustrato le tappe del nostro
viaggio della memoria; il Provveditore ha fatto un breve discorso che ci ha col-
pito molto: ci ha invitati ad agire, in quanto noi siamo il futuro e spetta a noi
costruire un mondo migliore, servendoci delle lezioni del passato; poi ci ha
gentilmente consentito di scendere nel seminterrato e di visitare alcune stan-
ze, che nel 1944 erano state adibite a celle di reclusione. Quindi, alcuni di noi,
accompagnati dai professori, sono scesi nel seminterrato (dove oggi è presen-
te un archivio) e hanno potuto osservare le celle “ampie” 2 metri per 3, dove
furono stipati fino a 12 prigionieri politici.
stanze hanno una minuscola finestra in alto e sono davvero piccole: le finestre
nel 1944 vennero murate per i due terzi e protette da una muro paraschegge
in modo che potessero entrare poca luce ed aria; nei mesi d’estate molte per-
sone soffocavano, data la quasi inesistente presenza di ossigeno che, tra
l’altro, andava divisa tra dodici individui; all’interno le condizioni di vita erano
pessime: ci siamo chiesti come effettivamente potessero vivere in quelle con-
dizioni tanti prigionieri, senza avere il minimo per sopravvivere.
Ultima tappa del nostro viaggio nella memoria dei luoghi forlivesi è stato il car-
cere della Rocca. Durante gli anni del nazifascismo era la sede di transito di
detenuti destinati poi verso i campi di lavoro o di concentramento. In esso fu-
rono rinchiusi fino a 71 ebrei. Il professore Gioiello, all’esterno della Rocca, ci
ha letto alcuni passi davvero toccanti, tratti dal diario di Suor Pierina Silvetti,
che svolse opera di assistenza dei carcerati; la stessa suora ricorda l’eccidio di
7 donne ebree avvenuto il 17 Settembre 1944 all’aeroporto di Forlì.
A tal proposito, gli insegnanti ci hanno raccontato (non abbiamo potuto visitare
i luoghi per mancanza di tempo) di altri eccidi avvenuti all’interno
dell’aeroporto, in fosse scavate dall’esplosione di bombe: in totale ci furono
quattro massacri, tra il Giugno e il Settembre del 1944, nei quali complessiva-
mente furono uccise 52 persone, di cui ben 19 ebrei.
Il nostro viaggio nella memoria è stato davvero interessante, in quanto ci ha
consentito di “fare” storia dal vivo, sul campo, e di leggere (ad ogni tappa) e di
toccare con mano documenti con i
quali si ricostruisce la Storia;
l’esperienza ha catturato la nostra
attenzione, anche perché abbiamo
trattato storie, argomenti e fatti
accaduti nel nostro territorio; ci
siamo anche immedesimati nelle
sofferenze dei poveri ebrei che
hanno pagato a caro prezzo, con
atroci sofferenze e spesso con la morte, colpe non loro, a causa della follia di
menti malate: “L’antisemitismo non è mai lo scopo, è sempre e soltanto il
mezzo, la misura di contraddizioni senza via d’uscita. L’antisemitismo è lo
specchio dei difetti del singolo, della società civile e del sistema statale. Dimmi
di che cosa accusi gli ebrei, e ti dirò quali colpe hai”.( Vasily Grossmann).
5 – INCONTRO CON LUIGI CASAGLIA
Il giorno 16 marzo abbiamo partecipato, nell’aula magna del nostro istituto, ad
un incontro con Luigi Casaglia che una decina di anni fa ha pubblicato, con il
titolo di SS cella n. 1, il diario di suo padre Oreste Casaglia; questi fu un noto
avvocato forlivese, recluso ingiustamente per alcuni mesi dai nazifascisti nei
sotterranei dell’ex brefotrofio di For-
lì. All’incontro ha partecipato anche
lo storico Mario Proli che ci ha pre-
sentato, in sintesi, il contesto storico
degli anni del Secondo conflitto
mondiale; ci ha illustrato i motivi per
i quali la Germania divenne nazista
e ci ha introdotto la figura di Oreste Casaglia.
Oreste Casaglia, nato nel 1896, è stato un famoso avvocato antifascista di
Forlì, che ha avuto nella sua vita professionale rapporti con persone importan-
ti; all’età di circa cinquant’anni, durante gli anni della guerra, ha deciso di di-
fendere di fronte al Tribunale Speciale i partigiani accusati in contumacia, a ri-
schio della propria vita, in quanto credeva fortemente nei valori della patria, del
diritto e della giustizia. Accusato ingiustamente dai fascisti, è stato recluso dal-
le SS come oppositore politico, a partire dal 15 Agosto 1944, nell’ex brefotrofio
di Forlì, in una delle celle 2 metri per 3 (che abbiamo avuto modo di visitare
nel nostro “viaggio” nella memoria), in condizioni disumane. Fu scarcerato al-
cuni mesi dopo, ma morì nel 1946 per le sofferenze patite durante la detenzio-
ne. Ad Oreste Casaglia è stata dedicata una via di Forlì, quella che dal parco
urbano Franco Agosto conduce ai Musei di San Domenico.
Luigi Casaglia, quando ha preso la parola, ci ha mostrato l’immagine di un fo-
gliettino scritto con il sangue da suo padre, durante la prigionia: non avendo
una penna, Oreste decise di prendere una piccola scheggia di legno dalla por-
ta che chiudeva la sua cella, di incidersi un dito e con il sangue di scrivere un
messaggio da consegnare fuori dalla prigione; c’era scritto: “qui ci uccidono
tutti”. Quindi, Luigi Casaglia ci ha raccontato la vita del padre e si è soffermato
sul giorno di Ferragosto del 1944; i suoi ricordi erano nitidi: mentre lui leggeva
un libro nel giardino della casa a Villa Grappa, vide arrivare degli uomini in
borghese che arrestarono suo padre; Luigi pianse nel vedere allontanarsi suo
padre: Oreste Casaglia fu messo su una macchina grigia e fu portato in prigio-
ne nell’ex-brefotrofio, perché era stata trovata una lettera anonima che lo ac-
cusava, indirizzata ai fascisti e da questi poi passata alle S.S. Venne rinchiuso
in una cella di dimensioni ridotte in cui vi era una piccola finestra, parzialmente
murata e protetta da un muro antischegge, dalla quale passava poca aria; nel-
la cella non c’era nessun arredo, veniva servito un unico “pasto” (una broda-
glia) al giorno, non era presente un medico, i prigionieri non avevano la possi-
bilità di incontrare i propri familiari né di prendere l’ora d’aria; avevano a dispo-
sizione appena un’ora nella quale provvedere (in cinquanta!) ai bisogni corpo-
rali e all’igiene personale; in sostanza, i reclusi vivevano in condizioni molto
dure e difficili: tale trattamento veniva utilizzato dai tedeschi per indebolire le
forze e fiaccare l’animo dei prigionieri, in modo che gli stessi potessero essere
più deboli durante gli interrogatori e più facilmente potessero confessare e da-
re alle SS le informazioni utili. Gli interrogatori avvenivano cinque o sei giorni
dopo l’arresto ed erano preceduti ed accompagnati da grandi torture e violen-
ze. Dalla prigione si usciva o per morire, con fucilazione o impiccagione, o per
essere deportati in Germania. Mentre i prigionieri “vivevano”, o meglio soprav-
vivevano, nei sotterranei dell’edificio,
nell’ala opposta dello stesso i soldati
delle SS organizzavano feste e face-
vano baldoria fino a tarda notte.
Nella cella con Oreste ci furono an-
che un comunista, Giovanni Golfarelli
(gli vennero bruciati i piedi), il cui no-
me fu tenuto nascosto per proteggere
la sua famiglia, ed un carabiniere che poi venne deportato in Germania, dove,
per fortuna, riuscì a salvarsi.
Nell’ex brefotrofio erano presenti 23 dei 60 soldati responsabili della strage
delle Fosse Ardeatine; tra di essi c’era anche il vice di Kappler: furono inviati a
Forlì, ci ha detto Luigi, per con-
trollare e combattere i partigiani
che erano presenti nei territori di
Forlì, Ravenna e Pesaro. Ci ha
mostrato, inoltre, le foto dei ven-
titré soldati tedeschi e ci ha illu-
strato brevemente i mestieri che
essi svolgevano prima della guerra: erano tutte persone normalissime che si
erano poi trasformate in belve feroci. I 23 sono morti tutti di morte naturale in-
torno agli anni ’80, ad eccezione di uno che fu ucciso a Bologna nel 1945.
Nella prigione ad Oreste Casaglia vennero fatti tre interrogatori; nel primo
c’era il maresciallo con un nervo di bue e lui si offrì di buttare la spazzatura al
fiume; nel secondo gli chiesero informazioni sul suo patrimonio familiare: Ore-
ste pensò di andare incontro alla morte, perché la confisca dei beni era l’ultimo
passo prima della pena di morte; proprio tra i due interrogatori, in una delle
uscite dalla prigione per buttare l’immondizia, Casaglia scrisse e consegnò il
biglietto di cui abbiamo parlato prima. Ricevute le notizie, tanti si misero in mo-
to per salvarlo; infatti, nel terzo interrogatorio l’inquisitore divenne molto ami-
chevole: gli amici e parenti comprarono con una colletta un paio di scarpe ed
una borsetta in pelle di coccodrillo per l’amante del capitano delle SS, che era
solita frequentare la profumeria Zanotti di Forlì. Oreste non fu deportato per un
supplemento di indagini; successivamente, grazie anche all’aiuto del vescovo
di Forlì, venne liberato, perché le SS si resero conto che era innocente; fu libe-
rato una sera di Ottobre del 1945, quasi in segreto, in quanto i fascisti non
erano contenti della sua liberazione; nonostante la sua innocenza si dovette
nascondere prima in un ospedale di Faenza e poi dietro l’altare in legno di una
chiesa nelle campagne faentine. Dopo qualche anno morì a causa delle soffe-
renze patite.
Luigi Casaglia ha concluso il racconto ponendosi una domanda fondamentale:
come è possibile che l’uomo sia capace di compiere tutto ciò? Come è possi-
bile che uomini normali diventino delle belve feroci, responsabili delle più
grandi violenze? Secondo Luigi tutto è partito da Adolf Hitler: egli visse in una
famiglia nella quale il padre picchiava tutti i componenti; poi Adolf rimase da
solo e divenne uno straccione; nel 1914 volle arruolarsi nell’esercito tedesco
ma si prese una “sgasata” e finì in ospedale; si risvegliò quasi cieco; successi-
vamente pensò di essere il messia di un’entità superiore. In seguito, si circon-
dò di psicopatici come lui e così in lui aumentò la follia; purtroppo inculcò le
sue idee ai tedeschi, anche ai bambini, fin dalle elementari, così da attrarre
giovani per la guerra. Casaglia ritiene che nell’uomo ci sia l’istinto di essere
migliore e superiore agli altri; il nazismo inculcava proprio questa idea nella
mente di tutti; inoltre, era necessaria anche la presenza di un colpevole: gli
ebrei vennero considerati come capro espiatorio.
Luigi Casaglia ha terminato il discorso dicendoci di fare attenzione al nostro fu-
turo, a chi ci dice bugie ed a chi dà la colpa dei problemi e delle difficoltà agli
altri, perché in questo modo si possono ricreare situazioni già viste in passato;
ci ha fatto notare che possono nascere persone intelligenti e acculturate come
Einstein e Mozart, ma anche individui psicopatici come Hitler.
Prima di salutarci, chiudendo l’incontro, Mario Proli ci ha detto che Luigi Casa-
glia è come un agricoltore: ha trovato le memorie del padre e, pubblicandole,
le ha coltivate, rese vive, messe a disposizione di tutti per non dimenticare.
L’incontro in aula magna è stato costruttivo e molto interessante, anche per-
ché Luigi Casaglia ha saputo esprimere al meglio le memorie del padre, fa-
cendoci rivivere momenti difficili della nostra storia.
6 – VENTI CORPI NELLA NEVE
Giuliano Pasini, scrittore e blogger italiano, nato nel 1974 sull'Appennino
Emiliano, scrive un romanzo thriller con riferimenti storici alle stragi compiute
dalle truppe nazi-fasciste tra il 29 settembre ed il 5 ottobre 1944
nell'Appennino Bolognese, intitolato: “Venti corpi nella neve”.
Il protagonista è Roberto Serra, un commissario in servizio in un piccolo paese
sulle colline dell'Appennino emiliano, chiamato Case Rosse.
Bisogna premettere che fin da bambino Serra aveva il “dono” di cadere in una
specie di stato ipnotico, attraverso il quale riusciva ad “entrare” nelle menti
delle persone coinvolte in un assassinio ed a provare i loro sentimenti e
pensieri; gli psicologi chiamavano “danza” tale capacità di Roberto. Lo stesso
aveva scoperto di avere, o acquistato, questo dono, il giorno in cui furono
assassinati dalla mafia i suoi genitori: ragazzino, era stato presente quando i
sicari si avvicinarono in moto alla loro auto e freddarono, prima il padre, con
un colpo ravvicinato alla testa, poi la madre, facendole esplodere il cervello.
Lui rimase miracolosamente illeso, ma profondamente segnato da questo
evento per tutta la vita. Crescendo aveva intrapreso la carriera del padre nelle
Forze dell'ordine ed era stato arruolato in un reparto speciale, che sfruttava il
suo dono per indagare sui casi più difficili. Ogni volta che Serra studiava un
caso si lasciava coinvolgere dall'indagine e dai suoi protagonisti: poteva
entrare nella mente dell'assassino, carpirne i pensieri; oppure era la vittima a
chiamarlo, a costringerlo a “danzare”, a soffrire le sue pene. Inoltre, Roberto,
oltre a vivere le sofferenze della vittima, sentiva forte in sé la responsabilità di
fare giustizia al martire; per questo si gettava a capofitto nell'indagine e non si
dava pace, finché non fosse riuscito a catturare i responsabili. La sua non era
vita. Per questo motivo si era ritirato a Case Rosse, per cercare un po' di pace
e provare a vivere una vita normale. Ma era tutto inutile, il destino lo inseguiva
ovunque.
Case Rosse, 1995. L’anno si apre con tre omicidi: vengono trovati i cadaveri di
un uomo, di sua moglie e della loro figlia di nove anni, in mezzo a un campo, il
Prà Grande, ribattezzato Monte della Libertà. Per Serra è l’inizio di una nuova
indagine. La famiglia è stata brutalmente uccisa con colpi di arma da fuoco
sparati a una distanza così ravvicinata da aver quasi fatto esplodere i loro visi.
È un’esecuzione, non c’è dubbio.
Nell’indagare su un omicidio così efferato, Serra si sente colpito, travolto: torna
a “danzare”. Questa volta è la bimba a chiamarlo. Gli trasmette le sue
emozioni: prima la felicità di indossare una nuova gonna per l'occasione della
festa di capodanno da trascorrere con i genitori, poi, immediatamente dopo, la
paura ed il terrore, la voce stridula di un estraneo che irrompe in casa, che li
costringe ad inginocchiarsi, che li minaccia con un fucile, ed infine gli spari. Il
commissario sente l'obbligo di smascherare il colpevole per fare riposare in
pace la famiglia massacrata. Come sua abitudine, non avrà pace finché non ci
riuscirà e, assieme al collega Manzini, tenterà di risolvere il caso.
Per Serra si rivelerà un’indagine tra il presente e quel che è accaduto in un
passato che sembrava dimenticato, ben nascosto sotto la neve di Case
Rosse, ma ancora troppo vivido nelle memorie degli abitanti: una rappresaglia,
avvenuta esattamente cinquant’anni prima, aveva messo fine alla vita di venti
abitanti del paese, delle quali tredici facevano parte della famiglia del capo
della Brigata partigiana Y, Sfregio, ucciso anche lui nella rappresaglia.
Il protagonista, così come il lettore, per risolvere il caso ha bisogno di capire
ed analizzare il contesto storico degli avvenimenti di cinquant'anni prima.
Roberto Serra, grazie all'aiuto ricevuto dallo scrittore e storico Virgilio
Aldrovandi, che aveva documentato nel libro “Arrivano i lupi” gli episodi della
resistenza partigiana nelle colline bolognesi, viene a conoscenza dei dettagli
dell'eccidio del Prà Grande avvenuto il 1 Gennaio 1945.
Protagonisti di questa parte del romanzo, ambientata alla fine del 1944, sono
Francesco Ferri, detto Sfregio, il partigiano a capo della brigata Y, ed Enrico
Zanarini, detto il Boia dell'Appenino, prima repubblichino poi componente delle
SS. Sfregio, insieme ad alcuni dei suoi compagni, organizzò una missione per
distruggere alcune attrezzature militari nemiche e per liberare il cadavere di un
vecchio appeso nella piazza del paese, ma i partigiani commisero un errore
fatale, quello di uccidere due soldati tedeschi. La conseguenza di tutto questo
fu la rappresaglia di quaranta civili inermi, fatti ostaggi per ottenere la resa e la
cattura dello stesso Sfregio che era stato riconosciuto e denunciato da un
compaesano fedele ai nazifascisti: questo traditore della patria è Berto
Guerzoni, il contadino assassinato dallo stesso omicida della famiglia ritrovata
morta nel 1995 al Prà Grand. Sfregio si consegnò al Boia, nel vano tentativo di
salvare la propria famiglia; fu, invece, costretto ad assistere, insieme ad altri
dieci abitanti del paese, all'uccisione della moglie, del figlio e degli altri
componenti della sua famiglia, prima che venisse anch'egli brutalmente
assassinato. L'unico della famiglia Ferri rimasto vivo fu Valerio, il figlioletto
minore di tre anni, salvato dai compagni partigiani di Sfregio e adottato da uno
di loro.
La famiglia assassinata cinquant'anni dopo, su cui indaga Serra, risulta la
discendente di quella del Boia dell'Appennino. Questo conferma che
l'esecuzione, avvenuta cinquant'anni dopo l’eccidio, è un atto di vendetta.
Il commissario Serra scoprirà che l'assassino è il collega Valerio Manzini, che
aveva assunto il cognome del padre adottivo, ma altro non è che l'unico
superstite della famiglia Ferri: cioè il figlioletto Valerio, cresciuto dal compagno
partigiano del padre, il Professore, che gli aveva impresso nella mente
l'ossessione di fare giustizia ai familiari martirizzati. Giustizia che non aveva
avuto alla fine della guerra, perché il Boia, fuggito in Sud America, non era mai
stato arrestato e incriminato per i delitti e le atrocità commesse.
Il romanzo si conclude con Serra che si trova faccia a faccia con l'assassino;
mentre cerca di avvicinarsi a lui, cade nello stato di ipnosi, immedesimandosi
nel collega. Sente le grida e i lamenti e rivive il dolore e le sofferenze inflitte ai
martiri dai nazifascisti: comprende così che un essere umano non può vivere
con quelle “voci” che tutti i giorni gli martellano pesantemente la testa,
chiedendogli vendetta. Accade poi che, mentre Serra si trova inginocchiato
davanti a Manzini e con la pistola puntata in fronte, nella mente dell'assassino
compaiono due voci ben distinte che gli dicono che tutto quello che stava
facendo era inutile. Il commissario Serra, che in quel momento era nella testa
del collega ormai impazzito, riconosce la voce dei suoi genitori. Manzini ormai
stremato, decide di ricongiungersi alla famiglia e, puntandosi al petto la pistola,
porge fine alla sua vita e alla missione comandatagli dai martiri.
Serra, pur provando infinita pietà per il collega Manzini, non lo giustifica e non
gli perdona l'efferato atto di violenza nei confronti di una famiglia innocente e
di una bambina di solo nove anni: è diventato anch'egli un boia. Diverso
sarebbe stato se avesse rivolto il suo odio e la sua vendetta solo verso i diretti
responsabili del martirio della sua famiglia: Enrico Zanarini ed il vile e servile
Guarzoni. Hanno forse diritto di continuare a vivere persone capaci di tanta
crudeltà? Eliminarli significherebbe solo fare un favore all'umanità intera. Ci
verrebbe da pensare che forse era con questo spirito che, alla fine della
guerra, chi aveva sofferto tanto, appostato sul ponte di Gualdo, aspettava il
ritorno dei fascisti traditori.
Enrico Zanarini è realmente esistito, mentre gli altri personaggi e le vicende
del libro sono frutto dell’immaginazione dello scrittore; lo sfondo storico è
ricostruito in modo realistico, in quanto le rappresaglie nazifasciste a scapito di
inermi civili sono realmente accadute in tutto l'Appennino tosco-emiliano e
romagnolo durante gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Ricordiamo,
per esempio, quello di Boschi di Ciano (vicino Zocca), avvenuto nel mese di
luglio del 1944 con protagonista Enrico Zanarini, al quale probabilmente lo
scrittore si ispira.
Possiamo, inoltre, ricordare la strage di Monte Sole, più nota come strage di
Marzabotto, così ben documentata nel film L'uomo che verrà, del 2009, diretto
da Giorgio Diritti e ambientato nel 1944, nel quale vengono raccontati gli
eventi antecedenti la strage con gli occhi di una bimba di otto anni. Le SS,
appoggiate da reparti di soldati dell'esercito, misero in atto feroci rastrellamenti
sulle colline dell'Appennino: interi casolari vennero incendiati; vecchi, donne e
bambini vennero trucidati, dopo esser stati raccolti nei cimiteri e nelle chiese.
Tutto questo fu messo in atto per rappresaglia nei confronti delle azioni di
resistenza delle Brigate partigiane, che in quei luoghi operavano, e dell’opera
dei civili che appoggiavano o semplicemente non denunciavano i Partigiani.
Più vicino a noi, possiamo ricordare la strage del Carnaio del 25 luglio 1944,
con la fucilazione di quasi 30 civili (10 per ogni soldato tedesco ucciso dai
partigiani), dopo i rastrellamenti e la devastazione delle case coloniche.
PROGETTO
“PERCORSI DI APPROFONDIMENTO
DEI VALORI DEL 25 APRILE”
ITINERARIO TRA I LUOGHI
DELLA MEMORIA FORLIVESI
CLASSI 1a D – 1a G
MARZO 2017
Punto 1 – Piazza Saffi Qui si trovava il cuore pulsante del potere politico e dell’apparato amministrativo-burocratico. Nel palazzo comunale erano ospitate, da destra a sinistra volgendo le spalle a San Mercuria-le, le sedi della Prefettura, della Questura, dell’Amministrazione Podestarile e dei Servizi Demografici. Tra questi ultimi determinante fu la Divisione III, che a partire dalla primavera 1938 aumentò progressivamente le proprie competenze. Fu la Divisione III ad occuparsi del censimento degli ebrei del 22 agosto 1938, e fu sempre lei, nel corso degli anni, a tenere aggiornati gli elenchi in cui comparivano i nominativi degli ebrei forlivesi. L’apparato burocratico responsabile della persecuzione dei diritti era assai articolato: il Pre-fetto riceveva gli ordini da Roma, quindi li passava al Questore e la Podestà; quest’ultimo li girava alla Divisione III. Prima ancora dell’entrata in vigore delle leggi razziali, la macchina burocratica si era messa in moto. Anzitutto il censimento e nella stessa data l’impossibilità per gli ebrei di tenere confe-renze, poi la privazione di licenze per negozi. Quindi, approvate le leggi razziali (espulsione dalle scuole, espulsione dall’Italia per gli ebrei privi di cittadinanza, ricorso alla discrimina-zione), il divieto di tenere domestici ariani, la cacciata da tutti i circoli cittadini e dagli albi professionali, la proibizione di praticare professioni nel settore spettacolo e, addirittura, l’eliminazione dei nominativi dagli elenchi telefonici e la confisca dei beni. In piazza Saffi, all’attuale civico n. 3, a partire dagli anni Venti ebbe la propria sede la pellic-ceria dei fratelli Nissim e Leone Matatia, ebrei di Corfù che si erano trasferiti in Italia. Quegli spazi ospitano oggi una profumeria che ancora conserva il portone originale in legno della pellicceria. Considerati i pellicciai del regime, i Matatia costituivano un esempio di integrazione, ma l’emanazione delle leggi razziali mutò completamente la loro condizione. Leone fuggì in Sviz-zera mentre Nissim venne espulso dall’Italia ed i suoi figli furono allontanati dalle scuole sta-tali. Rientrato clandestinamente, venne arrestato e inviato ad Auschwitz, dove morì insieme al figlio Roberto. Stessa sorte subirono la moglie e gli altri due figli, Camelia e Nino (deceduto in seguito alle privazioni patite nel campo di sterminio). Altri commercianti ebrei esercitavano la loro professione in centro, tra via delle Torri – dove era ubicata la ditta Saralvo – e corso Vittorio Emanuele, attuale corso della Repubblica, in cui si trovava la ditta Del Vecchio. Dimostrazione ulteriore dell’integrazione ebraica è la presenza dei nominativi Saralvo, Jac-chia e Del Vecchio tra i soci fondatori e benemeriti della Croce Rossa, attestata dalle lapidi che si trovano in piazzetta XC Pacifici.
Mappa Palazzo Comunale Ubicazione di Prefettura, Questura, Podestà e Divisione III
Censimento 22 agosto 1938 Elenco delle 15 famiglie ebree residenti a Forlì
Elenco aggiornato delle famiglie ebree residenti a Forlì (1944)
Alla Divisione III sono destinati i Servizi Demografici
Nissim Matatia è espulso dall’Italia (8/11/1939)
Da destra, Camelia e Nino Matatia
Nissim e Roberto Matatia
Luigi Szego è cancellato dall’albo degli ingegneri della provincia di Forlì (29/2/1940)
I nominativi ebraici vengono cancellati dagli elenchi telefonici (20 giugno 1941)
Il capo Provincia ordina il sequestro dei beni degli ebrei (6/1/1944)
Punto 2 – Albergo Commercio Presso l’ex Albergo Commercio venne allestito il campo di concentramento provvisorio pro-vinciale nel dicembre 1943. La struttura era nata nel 1940 sulla preesistente “Osteria d’e’Canô”, nello stabile oggi corri-spondente al n. 79 di Corso Diaz. Il proprietario aveva fatto erigere un sopraelevato otte-nendo una dotazione di 29 camere. Con l’avvento della Repubblica Sociale Italiana l’albergo venne requisito dai tedeschi; quindi, su indicazione del ministro Buffarini Guidi fu utilizzato come campo di concentramento in cui rinchiudere gli ebrei. Un divisorio in legno, costruito dalla Cooperativa Falegnami, separò 10 stanze dalle altre per destinarle a luogo di reclusione. Nel campo di concentramento, chiuso nel marzo del 1944, furono reclusi almeno 14 ebrei, tra i quali i fratelli Nino e Camelia Matatia, le sorelle Anna, Lina, Elda e Lucia Forti, le sorelle Dina e Diana Jacchia, Abraham HildeFunny e Zora Hirschler. Non esistono registri con l’indicazione dei nomi dei reclusi, poi inviati nei campi di sterminio.
Punto 2 – Albergo Commercio - Lettura da S. Gioiello – L. Zambelli, Amarcörd, piò ʼd quarant’én fa …, Forlì, Cassa Rurale ed Artigiana di Forlì, 1995 «Primi ad essere rinchiusi nel provvisorio campo di concentramento furono i fratelli Camelia e Nino Matatia, forlivesi di nascita, di 17 e 19 anni, arrestati a Savignano il 4 dicembre e in seguito trasferiti al carcere di San Vittore a Milano, dal quale il 30 gennaio 1944 vennero pre-levati e deportati ad Auschwitz. Camelia vi morì. Nino fu liberato all’arrivo delle Divisioni A l-leate. Ad essi, il 17 dicembre 1943 fecero seguito le sorelle Anna, Lina, Elda e Lucia Forti (58, 60, 62 e 64 anni) abitanti a Lugo – qui era presente la maggiore comunità ebraica di Roma-gna – e arrestate a Cesena. Furono trasferite alle carceri di Ravenna e, poi, a quelle di Milano per essere deportate ad Auschwitz col convoglio sul quale erano stati caricati i fratelli Mata-tia. Giunte a destinazione il 6 febbraio 1944, Anna, Lina, Elda e Lucia furono uccise. Identica sorte subivano quello stesso giorno le sorelle Dina (59 anni) e Diana (62 anni) Jachia, nate a Lugo e residenti in Forlì; arrestate assieme alle Forti, vennero recluse al “Commercio” e con-dotte verso una identica fine. L’ultima, presumibile presenza al campo di concentramento di Forlì fu quella di Zora Hirschler, nata in Jugoslavia, arrestata a Bologna il 3 gennaio 1944, tra-dotta a Forlì e, successivamente, al campo di Fossoli, a breve distanza da Carpi, tristemente noto come “l’anticamera della morte”. Rinchiusi per giorni in 30 baracche, gli internati ven i-vano periodicamente deportati in Germania, stipati in carri merci chiusi. Grida di disperazio-ne, urla di rabbia, lamenti e pianti di bimbi accompagnavano l’intero viaggio che non durava mai meno di una settimana. Zora Hirschler giunse ad Auschwitz nei primi giorni di marzo 1944. È probabile che attorno a questa stessa data il campo di concentramento provvisorio di corso Diaz sia stato rimosso».
Ordine di istituzione dei campi di concentramento provinciali (2 dicembre 1943)
Fattura del divisorio costruito nel campo di concentramento realizzato nell’Albergo Commercio
L’Albergo Commercio ospita militari a tutto il 29/2/1944
Punto 3 – Via Porta Merlonia Una fiorente ed integrata presenza ebraica si registra a Forlì già alla metà del XIII secolo. Gli Statuti Cittadini contengono a partire dal 1359 riferimenti alla comunità ebraica cittadina (banchieri, medici, commercianti di stoffe, tavernieri e manovali) che divenne tanto impor-tante da ospitare nel 1418 un congresso di tutte le comunità ebraiche dell’Italia settentrio-nale. A Forlì non sorse mai un vero e proprio ghetto; è preferibile parlare di giudecca, vale a dire un gruppo di strade nelle quali gli ebrei si concentravano spontaneamente. Vari documenti identificano nella contrada Burgimerlonum la sede della giudecca forlivese, che dunque comprendeva le attuali vie Porta Merlonia, Sara Levi Nathan e Caterina Sforza (dove si trova-va il campo dei giudei, cioè il cimitero). È acclarata l’esistenza di vari banchi di pegno gestiti dagli ebrei fin dal 1414; ad essi ricorre-vano tutte le classi sociali. Tale attività sarebbe scomparsa con l’affermazione del Monte di Pietà, nel 1584.
Punto 4 – Via Sara Levi Nathan La via dei Giudei, oggi via Sara Levi Nathan, era il cuore della giudecca. Qui sorgeva la sina-goga, all’interno di una casa che risulta, in un atto notarile del 1466, di proprietà di Manuele di Aliuzio, ebreo di Ancona ma abitante a Forlì. Estremamente modesta e semplice, essa ospitava al proprio interno una cappella con broccati, sete, lampade d’argento, vasi e libri. Della sinagoga posta nel borgo Ravaldino si parla anche in alcuni documenti risalenti al XVI secolo; essi rappresentano la dimostrazione dell’integrazione tra ebrei e cristiani, poiché fu per concessione del vescovo di Forlì che il fabbricato poté infatti continuare ad ospitare tale destinazione d’uso per decenni. La via dei Giudei avrebbe cambiato denominazione il 13 settembre 1938, quando per ordine di Mussolini stesso venne chiamata via 30 luglio XVI; in ossequio alla nuova politica razziale che si andava affermando in Italia era necessario cancellare ogni riferimento all’ebraismo.
Documento del XVI Secolo (Archivio di Stato) attestante la presenza di una sinagoga nel borgo Ravaldino
Punto 5 – Via Sant’Antonio Vecchio - Calcavinazza La bolla papale del 1555 “Cum nimis absurdum” di Papa Paolo IV Carafa impose agli ebrei la segregazione, l’impossibilità di possedere immobili ed il marchio infamante (come la rotella gialla sul mantello). I Consigli Generali Segreti del comune di Forlì, nella seduta del 28 dicembre 1555 ipotizzaro-no di conseguenza una ghettizzazione degli ebrei, o quanto meno un loro spostamento in un’altra zona della città. Venne scelta una “stratam” che il popolo chiamava Calcavinazza, fa-cente parte della contrada Sant’Antonio Grande (confinante con la contrada Burgimerlo-num). Essa comprendeva le attuali vie Sant’Antonio Vecchio, Primavera e Campostrino. Gli ebrei si opposero, ma alla fine dovettero trasferirsi. Il ghetto, fosse reale o semplicemente percepito come tale dalla popolazione, venne così realizzato. Nel 1593 la bolla papale di Clemente VIII sancì l’espulsione degli ebrei ma in rea l-tà, come attestano vari documenti, a Forlì la presenza ebraica proseguì.
Calcavinazza è situata in contrada Sant’Antonio Grande (sec. XVI, Archivio di Stato)
Mappa di Forlì (sec. XVI)
Attestazione della presenza di un ghetto a Forlì (sec. XVI)
Punto 6 – Ex Brefotrofio Ubicato in viale Salinatore n. 24, il Brefotrofio era stato fatto costruire dal regime fascista tra il 1925 e il 1928, allo scopo di unificare il servizio di mantenimento dei figli illegittimi abban-donati. Dalla fine del 1943, per volontà dei tedeschi occupanti, venne preposto alla reclusio-ne e alla tortura. All’esterno dell’edificio è oggi visibile una lapide che ricorda l’insediamento in detto luogo di Gestapo, Kripo e SD (la polizia segreta di Hitler), che avevano il compito di concretizzare la caccia all’ebreo, nonché la repressione dell’antifascismo e del movimento partigiano. Da questo carcere vennero prelevate molte persone per essere fucilate o impiccate; proprio qui, ad esempio, erano detenute alcune delle vittime delle stragi dell’aeroporto avvenute nel settembre 1944. Vennero trasferiti a Forlì 23 dei 60 poliziotti precedentemente di stanza a Roma – responsa-bili tra l’altro delle torture di via Tasso e dell’eccidio delle Fosse Ardeatine – costretti ad ab-bandonare la capitale a causa dell’arrivo, il 4 giugno 1944 delle truppe alleate. Li comandava Karl Schutz. Il Brefotrofio venne scelto come carcere perché sorgeva in un luogo isolato, che garantiva la clausura assoluta dei prigionieri ma, soprattutto, impediva che le grida dei torturati venisse-ro udite. Negli scantinati furono ricavate quattro piccole celle, nelle quali vennero stipati si-no a 50 prigionieri; ai detenuti era lasciato solo l’indispensabile per sopravvivere. Al piano superiore vi era il comando delle SS e della SD, oltre a degli uffici e ad una stanza per gli interrogatori e le torture. Nella cappella sconsacrata gli ufficiali si abbandonavano, specie il sabato notte, a festeggiamenti che risuonavano nelle celle sottostanti. L’ex Brefotrofio venne abbandonato dai nazisti in ritirata alla fine del settembre 1944.
Punto 6 – Ex Brefotrofio – Lettura dal diario “SS - Cella n° 1”, di Oreste Casaglia «Le celle erano larghe poco più di tre metri e poiché vi venivano ammucchiati fino a 12 pri-gionieri, l’aria si consumava tanto che, specialmente nelle ore calde, alcuni erano presi da soffocazione. Le finestre di esse, infatti, poste in alto a livello del piano giardino, erano state murate per tre quarti ed erano coperte, al di fuori, da un alto muro elevato a pochi centime-tri da queste. Erano completamente vuote. Solo corredo: una ciotola, un cucchiaio di legno ed una mezza coperta a grandi quadri proveniente dal Carcere giudiziale, che faceva pensa-re, sdrucita e bucherellata com’era, all’infinita schiera di corpi affranti che aveva avvolto. Quando entrai, erano seduti per terra quattro prigionieri, i quali alla mia apparizione sorsero in piedi circondandomi con premuroso interesse. Erano un prete, spogliato della veste tala-re, un comunista forlivese, un partigiano veneto e un carabiniere calabrese. Ci presentammo stringendoci la mano con effusione. ‘Come si sta qui?’ domandai. Il comunista, senza parlare sollevò un lembo della camicia scoprendo il dorso. Era solcato da vaste e profonde ecchimo-si: segni evidenti di una flagellazione recente. *…+». «Sulle 10 – di un mattino verso la fine di agosto, si legge ancora nel diario di Casaglia – il no-me del comunista, deformato dalla pronuncia tedesca echeggiò nel corridoio. Egli si sollevò penosamente; accorsi e lo aiutai ad alzarsi. ‘Ci siamo – disse abbracciandomi – mi bastone-ranno ancora’. Tornò dopo una mezz’ora: era più pallido del solito, ma il passo era fermo; il volto chiuso in un atteggiamento di dura fermezza. Cadde la spranga sulla porta chiusa ed allora egli barcollò: ‘Non ne posso più – disse – ma non ho parlato’. Sollevò ancora una volta la camicia: sul dorso martoriato, nuovi e più grossi solchi si erano aggiunti ai vecchi. Giacque sul fianco guardando la fotografia dei suoi, che aveva salvato, nascondendola nella fodera del vestito». Giunse il momento supremo. «La notte era trascorsa in un tormentoso dormiveglia; la durezza del suolo mi ammaccava le ossa. Il comunista si lamentava, di tanto in tanto nel sonno: forse per il dolore delle vaste piaghe, forse sognando la sua sposa, i suoi piccoli. Appena sorto il sole, la porta s’aprì ed un tedesco pronunziò il nome del comunista. Gettai uno sguardo nel corridoio: non v’erano altri prigionieri. Nel fondo, tre soldati tedeschi in elmetto, armati di fucile mitragliatore, attende-vano. Compresi. Sul tragico silenzio del carcere batteva l’ala della morte. Mi avvicinai allo sventurato e gli tesi la mano. Egli sapeva già. Mi abbracciò e mi disse: ‘Se uscirai, dirai a mia madre che l’ultimo pensiero sarà per lei, per mia moglie e per i bambini. Dì ai miei compagni che muoio nella mia fede’. Si volse agli altri e poiché il tedesco si spazientiva li salutò col ge-sto: addio, ragazzi; buona fortuna a tutti. La sua figura curva e dolente scomparve nel vano della porta. Questa si richiuse nella nostra desolata tristezza come una pietra sepolcrale».
Dopo 17 giorni di detenzione, grazie all’intervento del vescovo di Forlì, mons. Giuseppe Rol-la, Oreste Casaglia riottenne la libertà.
Punto 7 – Carcere della Rocca Il carcere della Rocca, gestito da personale italiano, aveva invece la propria sede (allora co-me oggi) presso l’antica rocca di Caterina Sforza, edificata nel 1360; durante il secondo con-flitto mondiale divenne il perno del sistema carcerario forlivese, che comprendeva diversi edifici e caserme della città, tra cui le “Casermette” in Viale Roma e la Caserma della Guardia Nazionale Repubblicana in Corso Garibaldi. Capace di ospitare 300 detenuti, nel 1944 giunse a raccoglierne sino a 1000, provenienti da varie regioni d’Italia, in transito verso i campi di lavoro obbligatorio oppure verso quelli di concentramento di Fossoli e di altre località del Nord, per essere poi avviati ai campi di ster-minio. Secondo Gregorio Caravita, vi transitarono 71 ebrei (di cui 44 maschi e 27 femmine) tra i 3 ed i 67 anni, e 5 rom cattolici di Lubjana. Ad essi si aggiunsero slavi, albanesi, opposi-tori politici, prigionieri militari, delinquenti comuni e accusati di reati annonari, vale a dire coloro che praticavano il “mercato nero”. Molti furono i casi pietosi di ebrei cosiddetti “transitanti”, quelli cioè per i quali il carcere de l-la Rocca fu soltanto una tappa di un viaggio doloroso e drammatico.
Punto 7 – Carcere della Rocca - Lettura dal diario di Suor Pierina Silvetti, che nel carcere della Rocca svolse opera di assistenza carce-raria. «Con la discesa delle truppe tedesche in Italia, l’8 settembre 1943, cominciò per noi un vero calvario. Agli albori della primavera 1944 avemmo l’incarcerazione di tantissimi innocenti, tra cui molti sacerdoti, tutti rei di soli atti di carità *…+. Tra la lunga, interminabile, teoria di infelici, ci furono accompagnati una sera una ventina di ebrei tra donne e ragazzi, rastrellati per le vie di Roma e diretti in Germania. Noi non aveva-mo più neppure posto e non sapevamo come sistemarli; in più erano tutti affamati. Distendemmo della paglia nel piccolo atrio della maternità e demmo loro delle coperte. Il più brutto era il non avere niente per la loro fame! Mi ricordai che la mattina ci era stato recapi-tato un litro di latte senza sapere da chi e che non avevamo osato toccare perché ci sembra-va impossibile fosse proprio per noi. Un litro di latte, a quell’epoca, era sbalorditivo! Dopo averlo bollito, lo avevamo messo in fresco, pensando che sarebbe saltato fuori il padrone. Ci venne l’idea di darlo ai bambini, poi ne subentrò subito un’altra che attuammo: Suor Elvira preparò un recipiente di surrogato, vi mischiò quel latte e lo servimmo col poco pane che avevamo; fu qui che vedemmo il miracolo! Pane e caffè latte bastarono per tutti, tutti si sa-ziarono e si addormentarono. Al mattino, i tedeschi li ripresero tutti, e chissà mai quale sarà stata la loro sorte». Sempre suor Pierina riferì anche l’episodio tragico dell’uccisione di 7 donne ebree avvenuta il 17 settembre 1944, nel secondo eccidio dell’aeroporto. «Ci restavano ancora sette ebree, mogli o parenti degli uccisi [nella strage del 5 settembre, ndr.], a loro non dicemmo la verità sui loro cari, ma che erano stati fatti partire per la Ger-mania, ove fra breve li avrebbero raggiunti. Credevamo davvero che le donne sarebbero sta-te risparmiate, perché un ufficiale delle SS ci aveva assicurato che le avrebbero rimpatriate. Le preparammo quindi a partire dando loro cibo ed una quantità di mele. La mattina del 17 settembre avemmo l’ordine di preparare le donne per la partenza, erano cariche di roba, le volli accompagnare, ma quando fui in giardino mi ferì la già nota allucinante visione: camio-nette, mitra! Mi feci forza, vidi le vittime salire sulle auto, senza poter far nulla. A queste le-garono le mani, ma lasciarono che si portassero dietro i loro fagotti; una nel salire inciampò ed un pacchetto si ruppe lasciando correre via tutte le mele, io mi precipitai a raccoglierle, i tedeschi mi lasciarono fare, anzi lasciarono pure che le riconsegnassi. Questa clemenza mi dette speranza e seguii il corteo più sollevata, ma quando vidi le macchine piegare sulla sini-stra, invece che andare dritte per la via del Comando, la speranza si frantumò e mi sommer-se un’onda di desolazione. Poche ore più tardi sapemmo la terribile realtà; erano state fuci-late come gli altri, alle “Casermette”, nelle buche prodotte dalle bombe. Scaricai la mia indi-gnazione su di un ufficiale delle SS, il più umano di tutti perché cattolico e dal quale avevo avuto tanti consensi, anche con suo grave rischio e pericolo. Egli parlava l’italiano come noi, così gli potei dire tutto quello che avevo nel cuore; lo vidi impallidire e mi rispose: Noi fac-ciamo la guerra».
Punto 8 – Aeroporto Teatro degli eccidi del settembre 1944 fu l’aeroporto. Vennero giustiziate dalle SS ben 52 persone. Lo storico forlivese Antonio Mambelli annotò in data 5 settembre 1944: «L’aeroporto ha visto oggi il più grande eccidio che si ricordi in questa guerra da noi, il mas-sacro di ebrei, di cittadini forlivesi, romagnoli e di altre regioni. Condotti con le mani dietro la schiena legate, uomini e donne, sull’orlo delle buche prodotte dalle bombe nel campo, dopo averli fatti scendere uno ad uno dall’autofurgone e aver disposto all’intorno un cordone di guardia nazionale repubblicana per la vigilanza, sono stati uccisi con un colpo alla testa e spinti nei crateri. Solo un contadino della Grotta ha testimoniato la scena, dietro a una fine-stra di casa sua». Successivamente lo stesso Mambelli, il 17 settembre 1944, scrisse: «I tedeschi fucilano all’aeroporto sui margini dei crateri prodotti dalle bombe sette donne ebree, congiunte degli infelici che le hanno precedute nella morte il 5 corr. *…+». Gli eccidi in totale furono quattro: il 29 giugno (10 giustiziati), il 5 settembre (20 fucilati, di cui 10 ebrei), il 17 settembre (7 donne, tutte ebree, uccise) e il 27 settembre (15 uccisi, di cui probabilmente 2 ebrei), per un totale, come precisato poc’anzi, di 52 vittime, delle quali 19 ebrei (12 maschi e 7 femmine). Questi sono i nomi degli uccisi:
Strage 29 giugno: Nello Agusani, Domenico Babini, Giulio Benigni, Nello Buzzi, Colombo Lolli, Francesco Mezzoli, Emilio Ravaglia, Costante Ricci, Francesco Taroni e Giovanni Ta-scelli.
Strage 5 settembre: Pellegrina Del Turco Rosselli in Paulucci De Calboli, Vincenzo Lega, Arthur Amsterdam, Israel Isidoro Amsterdam, Bernhard Brumer, Israel Goldberg, Gotte-smann Georg, Alfred Lewin, Joseph Loewsztein, Karl Joseph Paecht, Ludwig Stiassny, Jo-seph Tiemann, Edoardo Cecere, Rosina Tacconi, Rosa Tomasetti Piselli, Maria Vergari, Palma Vergari, Alfredo Petrucci, Pietro Alfezzi e Francesco Arienzo.
Strage 17 settembre: Sara Amgyfel Riwka, Selma Sara Amsterdam, Jenny Eugenia Ham-merschmidt, Sara Jalka Richter, Elena Rosenbaum, Lea Lisa Rosenbaum e Maria Ro-senzweig.
Strage 27 settembre: Gaddo Morpurgo, Adamo Giorgioni, Ernesto Bulgarelli, Chino Bella-gamba, Sigfrido Giunchi, una donna tuttora ignota, Asa Joshua Kahn, Giovanni Maretti, Enrico Ranieri, Giovanni Gurioli, Vincenzo Gurioli, Alessandro Palli, Francesco Berretti, Al-fredo Pirone e Francesco Faccani.
I particolari della loro eliminazione sono stati resi noti dalle dichiarazioni di un soldato tede-sco pentito, Pohl Herbert.
Sulla strage del 5 settembre, due testimoni oculari avrebbero poi rilasciato ai Carabinieri, il successivo 5 maggio 1945, dichiarazioni assai significative, qui di seguito riportate integral-mente. «Io sottoscritta Brunelli Bruna di Costantino e di ignota, nata il 25-8-1925 a Castellaccio (For-lì) e residente a Ronco, via Gnocchi n. 217 dichiaro che militari della S.S. tedesca verso le ore 20 del giorno 5 o 6 settembre 1944, hanno ucciso numero che non so precisare, di uomini e donne in una buca di bomba di aereo che dista circa 150 metri dalla mia abitazione. Li ho vi-sti arrivare su macchine italiane. I civili avevano le mani legate dietro la schiena. Ho udito delle detonazioni di colpi d’arma da fuoco e delle grida. Non ho altro da aggiungere ed in fe-de di quanto sopra mi sottoscrivo». «Io sottoscritta Andrini Carolina fu Francesco e fu Bonoli Caterina, nata a Grisignano (Forlì) il 7-9-1889 e residente a Ronco via Gnocchi n. 215 dichiaro di aver visto la mattina del 5 o 6 settembre 1944 verso le ore 5, dalla mia abitazione, scendere da automobili italiane dei civili con le mani legate dietro la schiena, che accompagnati dai tedeschi, in una buca di bomba di aereo di grosso calibro, dove venivano uccisi a colpi di arma da fuoco. Ho udito le detonazio-ni e delle grida. La mia abitazione dista circa 200 metri da dove è avvenuto il fatto. In fede di quanto sopra mi sottoscrivo». Un testimone oculare rilasciò invece questa dichiarazione in merito alla strage del 27 set-tembre: «La mattina del 25 (più probabilmente del 27 settembre) ero al QG e vidi alcuni dei nostri veicoli fermi fuori. C’era il consueto gruppo delle fucilazioni, inclusi Grueb, Bodenstein, Wesemann. *…+ Essi avevano armi automatiche Breda e anche picconi e pale. Non mi fu det-to niente di ciò che era accaduto, ma da quello che vidi e da ciò che Grueb aveva detto la notte precedente, conclusi che tutti i nostri prigionieri erano stati uccisi». Le stragi dell’aeroporto, cadute nell’oblio, sono rimaste impunite. Solo dagli anni Novanta vennero riaperte le indagini, ma nel 2003 fu accertato che nessuno degli uccisori era più in vita per cui i fascicoli vennero definitivamente archiviati “per estinzione del reato per morte del reo”.
La tomba degli ebrei realizzata nel cimitero monumentale di Forlì