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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA
IIll rruuoolloo ddeellll’’eessppeerriieennzzaa
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RELATORE
Prof. Emanuele Sorace
CANDIDATO
Eleonora Gronchi
Anno Accademico 2006-2007
2
A mamma e babbo per il loro sostegno;
A mio fratello, il miglior scienziato smemorato;
A Dario perché c’è sempre stato.
3
Indice INTRODUZIONE
PRIMO CAPITOLO
RIFERIMENTI TEORICI: ALCUNI PEDAGOGISTI E LE LORO TEORIE
1. La teoria cognitiva di Piaget
1.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Piaget
2. La teoria storico-culturale di Vygotskij
2.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Vygotskij
3. L’attivismo di Dewey
3.1. Il ruolo e il significato dell’educazione
3.2. Le indagini personali del mondo
4. Due modelli a confronto: il modello di Howkins e quello di Guilford
5. Un progetto straniero per l’innovazione dell’insegnamento scientifico:
Karpuls e lo SCIS
SECONDO CAPITOLO
IL RUOLO DELL’ESPERIENZA NELL’INSEGNAMENTO SCIENTIFICO
1. Il gioco come il “fare esperienza”: due modi per conoscere il mondo
2. La teoria dell’esperienza di Dewey
3. Il laboratorio come luogo ideale in cui “usare” l’esperienza
4. L’importanza dell’esperienza nell’insegnamento delle scienze
5. La ludoteca scientifica di Pisa: basare la fisica sull’esperienza
6. Al di là dell’esperienza…
6.1. … dalla conoscenza di senso comune alla conoscenza scientifica
6.2. … il ruolo dell’insegnante
6.3. la motivazione come base per l’apprendimento
4
TERZO CAPITOLO
I PROGRAMMI MINISTERIALI DEL 1985 E LE INDICAZIONI NAZIONALI DEL 2003 A
CONFRONTO
1. Excursus storico
2. I Programmi Ministeriali del 1985
2.1. Fenomeni fisici e chimici
3. Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria
4. Confronto tra i Programmi e le Indicazioni Nazionali
QUARTO CAPITOLO
IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
1. Al tempo di Archimede: la Grecia ellenistica
1.1. la nascita della scienza
1.2. la rimozione della rivoluzione scientifica
1.3. Lo sviluppo delle scienze
1.4. Decadenza e fine della scienza
1.5. I rinascimenti
2. Il ruolo della Biblioteca di Alessandria nello sviluppo della cultura ellenistica
3. il grande Archimede
3.1. L’assedio di Siracusa e la morte di Archimede
3.2. Il ritrovamento della tomba
3.3. Le opere
4. Sui galleggianti: il principio di Archimede
4.1. La storia della corona
4.2. Le proposizioni del trattato
4.3. La dimostrazione pratica del principio di Archimede
4.4. Il principio di Archimede nel linguaggio matematico
4.5. Il galleggiamento dei corpi
4.6. Applicazioni pratiche della spinta di Archimede: sommergibili e navi, dirigibili e
aerostati
5. Il mito di Archimede da Cicerone a Walt Disney
5
QUINTO CAPITOLO
IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE IN UNA SCUOLA PRIMARIA
1. Introduzione
2. Piaget: riflessioni sul galleggiamento
3. Informazioni preliminari al progetto
3.1. Alcuni punti chiave del progetto
3.2. Il contesto della scuola
3.3. le conoscenze pregresse degli alunni
3.4. Ipotesi iniziale
3.5. Obiettivi
3.6. Spazi e tempi
3.7. Strategie
3.8. Strumenti e materiali
3.9. Prodotto finale
3.10. Verifica
4. Il progetto: incontro dopo incontro
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIE
ALLEGATI
6
Introduzione
Molti vedono la fisica come una materia pesante, difficile e in certi casi
anche odiosa. La fisica studiata sui libri, fatta di formule e definizioni imparate a
memoria è l’incubo di molti studenti che finiscono per ritenerla una materia
incomprensibile. C’è una soluzione? C’è qualcosa di diverso dall’uso del libro di
testo per far comprendere questa disciplina?
I bambini quando sono molto piccoli fanno tantissime domande: queste
domande hanno come tema principale il mondo che li circonda, vogliono
scoprire ciò che sta dietro all’apparente realtà, vogliono scoprire il perché di
quel comportamento… Perché allora finiscono per non amare la fisica? La fisica
indaga sulla realtà e fornisce molte informazioni sul mondo che ci circonda e
può dare risposte alle domande tanto insistenti di quei bambini.
Il processo “di odio” cresce comunque con l’età e con l’abbandono
dell’esperienza pratica e l’utilizzo sempre più preponderante di formule da
imparare sui libri di testo senza che l’insegnante mostri cosa ci sta dietro.
Finché i bambini sono piccoli l’insegnante mantiene vivo il legame con la realtà
che viene poi sostituito, almeno per quanto riguarda la mia esperienza
scolastica, dallo studio del libro di testo.
Su ciò verte tutta la mia tesi. Attraverso un progetto proposto a dei
bambini di una scuola primaria ho voluto verificare se l’esperienza, la pratica
laboratoriale, aiuta a capire concetti difficili. Niente libri quindi, né quaderni ma
solo esperimenti per far sì che ognuno possa confrontare le proprie ipotesi, la
propria conoscenza di senso comune, con la conoscenza scientifica attraverso
l’osservazione, la realizzazione di esprimenti in classe e la condivisione degli
stessi.
Il capire attraverso l’esperienza è una pratica abbastanza diffusa nella
scuola primaria: per apprendere il bambino ha bisogno di sperimentare in ogni
ambito disciplinare. La scienza si presta bene a questo tipo di lavoro.
7
Nel primo capitolo ho preso in esame alcuni degli autori del panorama
pedagogico. Conoscere queste teorie è stato importante, sia per aver ripreso la
concezione che essi hanno del bambino, sia per aver verificato il loro
contributo, ad esempio di Vygostkij e Piaget , sullo sviluppo dei concetti
scientifici. In questo primo capitolo, oltre a vedere anche la teoria di Dewey, ho
individuato due modelli, quello di Guilford e quello di Hawkins, che mi sono
serviti come base teorica per il percorso realizzato a scuola. Ho inserito tra tutti
questi autori anche il contributo di un progetto straniero di rinnovamento
dell’insegnamento delle scienze: il progetto SCIS di Karplus.
Nel secondo capitolo ho finalmente preso in considerazione dal punto di
vista teorico il concetto d’esperienza. Tra gli autori più illustri ho inserito proprio
Dewey: ho analizzato la sua teoria dell’esperienza che egli espone nel libro
Esperienza e educazione. Ho inoltre associato all’esperienza da un lato il
concetto di gioco come anticipatore della metodologia usata dai bambini per
conoscere ciò che li circonda e dall’altro il laboratorio come pratica scolastica
positiva, sebbene troppo trascurata dagli insegnanti. Spunto di riflessione per la
pratica laboratoriale è anche la Ludoteca scientifica a cui ho dedicato alcune
pagine. Nello stesso capitolo ho titolato un paragrafo al di là dell’esperienza.
Reputo importante che un insegnante valuti l’importanza dell’esperienza (non
solo nell’insegnamento scientifico) con particolare attenzione anche alla
motivazione dei bambini, ai loro interessi, alla conoscenza di senso comune
che loro hanno e che portano a scuola e al ruolo cruciale che ricopre
l’insegnante stesso.
Nel terzo capitolo ho preso in esame i Programmi Ministeriali del 1985 e
le Indicatori Nazionali del 2003. Il mio intento era quello di verificare lo spazio
che in entrambi i casi veniva dato alla scienza, in particolare alla fisica e
provare a trarre delle conclusioni tramite un confronto diretto tra i due.
8
Nel quarto capitolo sono arrivata finalmente a trattare il lato “fisico” della
mia ricerca: il principio di Archimede. Prima di tutto mi sono soffermata, grazie
alla lettura del libro di Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, sulla particolare
tesi portata avanti dallo stesso autore secondo cui la scienza è nata al tempo di
Archimede nella Grecia ellenistica ma di quel periodo di grande fioritura
scientifica molti ricordano solo alcuni sporadici personaggi e non il livello
altissimo di conoscenze scientifiche raggiunte. A dimostrazione di tale sviluppo
ho portato come modello la biblioteca di Alessandria che lo stesso Archimede
aveva frequentato per approfondire i suoi studi. Sempre nello stesso capitolo ho
brevemente ripercorso la leggendaria vita di Archimede come uomo e come
scienziato soprattutto: dalla lettura delle sue opere emerge una figura molto
moderna di scienziato che indaga il reale, che cerca di spiegare i fenomeni che
lo circondano attraverso un’indagine rigorosa. Ho illustrato quindi l’Archimede
interessato alla matematica, all’astronomia, alla geometria; l’Archimede
inventore e anche l’Archimede che si divertiva ad ideare giochi per gli altri.
Al principio di Archimede ho dedicato un paragrafo a parte. Ho illustrato
la famosa storia che si narra abbia portato lo scienziato alla scoperta del peso
specifico e del principio che regola il galleggiamento degli oggetti. Di seguito a
questa ho estrapolato quindi le proposizioni che lo spiegano e che in molti
hanno studiato a scuola, traducendole anche nel linguaggio matematico.
Attraverso queste proposizioni ho individuato i criteri per cui un oggetto
galleggia e un altro affonda e ho portato come esempi le applicazioni pratiche di
tali leggi. Per concludere il capitolo ho voluto ricordare come anche la Walt
Disney, nella versione italianizzata, abbia contribuito alla creazione nel nostro
immaginario, di un Archimede leggendario nel ruolo di inventore di oggetti
strani: sto parlando del personaggio dei cartoni animati Archimede Pitagorico.
Il quinto capitolo è la parte che mi ha impegnato maggiormente rispetto
alle altre, poiché non ho semplicemente raccolto del materiale ma ho dovuto
ideare un progetto sul principio di Archimede che fosse adatto ai bambini.
9
L’idea di questo progetto nasce da una mia curiosità: dopo aver studiato
fisica alla scuola superiore in modo piuttosto meccanico e mnemonico, mi sono
imbattuta nel corso di “Didattica della Fisica” che ho frequentato diversi anni fa,
nel quale la professoressa ci mostrava alcuni esperimenti per poterli riproporre
ai bambini. Questo fatto mi aveva molto colpito e più volte mi ero chiesta vuoi
vedere che puntando sull’esperienza e l’esperimento si riesce a far capire
questi concetti anche ai bambini?
A proposito lo slogan della Ludoteca scientifica dice:
“se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”.
Le modalità dell’insegnamento scientifico possono dunque essere riassunte in
tre tipologie diverse:
- la lezione frontale: l’insegnante spiega e il bambino ascolta… ma
dimentica
- il cattivo uso del laboratorio: l’insegnante svolge l’esperimento, il
bambino osserva e può in questo modo solo ricordare
- l’esperienza attiva: l’insegnante guida il bambino, non invade il suo fare,
il bambino conduce l’esperimento e … capisce!
È a quest’ultima categoria che io mi sono volutamente ispirata. L’ipotesi
fondante del progetto era voler dimostrare come attraverso degli incontri ben
graduati e calibrati sui bambini basati sul principio del fare, dell’esperienza è
possibile capire il principio di Archimede e rispondere alla domanda perché gli
oggetti galleggiano? Gli incontri svolti nel gruppo di bambini sono stati dieci; in
ognuno di essi i bambini erano protagonisti e svolgevano loro gli esperimenti,
non dimenticando mai di fissare alla fine le novità emerse. Molti bambini
sicuramente hanno tratto un grosso vantaggio da questo tipo di approccio.
10
Primo capitolo
RIFERIMENTI TEORICI: ALCUNI PEDAGOGISTI E LE LORO TEORIE
Più volte sia nella fase di elaborazione che nella fase di realizzazione e
poi nel corso della verifica del progetto, ho fatto ricorso alle teorie dei più
importanti pedagogisti. Avere sempre un riferimento teorico può essere utile per
conoscere chi ci sta di fronte. Gli autori che ho preso in esame hanno alcuni
punti in comune mentre su altri divergono soprattutto per quanto riguarda l’idea
di sviluppo del bambino e per quanto concerne la formazione dei concetti
scientifici.
Sebbene le teorie alle quali farò cenno si differenziano per molti motivi, esse
impongono riflessioni che possono avere effetti importanti sul piano
pedagogico-didattico:
- è confermata l'importanza dell'esperienza diretta
- Appare poi indispensabile una conoscenza del bambino: “per poter
graduare le proposte in base alle strutture, agli schemi o alle capacità già
in possesso del bambino, se si vuoi tener conto della teoria di Piaget, o,
per conoscere e intervenire nell'area dì sviluppo potenziale come vuole
la teoria di Vygotskji” 1.
1. La teoria cognitiva di Piaget
Un punto di riferimento nel panorama educativo è certamente Piaget
(1896-1980) con la sua teoria sullo sviluppo cognitivo del bambino egli ha
contribuito a dare agli studi un carattere scientifico e sperimentale. Egli si
dedicò dapprima alla biologia, occupandosi delle variazioni che in ambienti 1 C.G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi) 2000. pag. 121
11
diversi presentava un mollusco: si imbatté per la prima volta in quello che sarà
uno dei tanti temi da lui sviluppati ovvero l’adattamento degli individui a
condizioni ambientali mutevoli. Riflettendo su tale tema ipotizzò che
l’intelligenza rende possibili gli adattamenti rapidi, tiene conto dei problemi
improvvisi che si presentano e produce subito il comportamento adeguato.
Secondo Piaget l’intelligenza quindi è uno strumento adattivo molto potente
quando, nell’adulto è pienamente sviluppata. Ma come si forma nel bambino?
“A questo problema Piaget fu portato a riflettere anche dalla temporanea
collaborazione (1920) con l’Istituto A. Binet, di Parigi e da quella con l’Istituto
J.J. Rousseau, che E. Claparède, egli pure studioso dell’intelligenza, aveva
fondato a Ginevra per promuovere la ricerca scientifica sullo sviluppo del
bambino”2. L’intelligenza è già completamente presente nel bambino o
semplicemente si dispiega con la crescita? Si può considerare il prodotto
dell’accumularsi di molteplici esperienze o è il risultato di una particolare
interazione dell’organismo con l’ambiente? Piaget fu sostenitore di questa
ultima ipotesi, precisando nella sua teoria la modalità di questa interazione. Lo
sviluppo dell’intelligenza risulta essere un equilibrio dinamico tra processo di
assimilazione dei dati dell’esperienza a schemi mentali già presenti
nell’individuo in crescita e un processo di accomodamento, ovvero di
modificazione di tali schemi quando l’esperienza compiuta è troppo nuova e
contrasta con essi.
Un ulteriore concetto della teoria di Piaget utile per un insegnante è l’idea
che lui ha del conoscere. Secondo Piaget conoscere vuol dire agire su un
oggetto, trasformarlo e comprendere questo processo di trasformazione. La
conoscenza che lui descrive è quindi un’operazione, uno sperimentare, un
manipolare, è qualcosa che non si assume a priori in un certo momento e tutta
insieme, ma si elabora per tutto l’arco della vita. Da notare come sia possibile
rimandare questo suo pensiero al modo di insegnare scienze nella scuola di
base: i concetti scientifici si apprendono gradualmente, con l’esperienza e la
manipolazione e non con la memorizzazione. 2 A. FONZI (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo, Giunti, Firenze 2001, pag. 20
12
Egli condusse osservazioni sistematiche sui suoi tre figli utilizzando il
metodo osservativo definito quasi-sperimentale, poiché le osservazioni erano
spesso guidate da ipotesi e le condizioni in cui il bambino veniva posto erano
predisposte proprio in base a quelle ipotesi. Piaget quindi fu promotore di una
importante innovazione nel metodo d’indagine. Ha avuto anche il merito di aver
sostituito le indagini fondate su aneddoti o registrazioni di fatti, come avveniva
nella seconda metà dell’800, con indagini sistematiche basate su metodologie e
presupposti teorici rigorosi. Piaget si basa sull’osservazione che non si limita
soltanto ai comportamenti spontanei ma introduce delle modificazioni
sull’ambiente o stimoli.
Attraverso tale metodo di indagine Piaget è arrivato a concludere i suoi studi
sullo sviluppo dei bambini con la distinzione di esso in quattro stadi:
1. stadio senso motorio (dalla nascita ai 2 anni circa)
il bambino in questa fase inizia ad agire e sperimentare attraverso il suo
corpo l’ambiente circostante. Il bambino apprende toccando gli oggetti,
manipolandoli, esplorando fisicamente l’ambiente. Compie operazioni
dirette sulla realtà e attraverso di esse arriva a costruire alcuni semplici
schemi legati ad oggetti, allo spazio in cui vive, ecc.
2. stadio pre-operatorio (dai 2 ai-7 anni circa)
in questo stadio inizia a strutturarsi la funzione simbolica. Iniziano a
svilupparsi il linguaggio (il bambino diventa capace di usare le parole per
rappresentare oggetti e immagini in modo simbolico), il pensiero e le
prime rappresentazioni della realtà. In questo stadio si ha la ricostruzione
di tutto quello che è stato sviluppato a livello sensomotorio. Questo è lo
stadio del pensiero intuitivo, il bambino sa produrre immagini mentali, e
indica come attività caratteristiche che lo accompagnano il gioco
simbolico (uso uno scatolone come se fosse…), l’imitazione differita
(compiuta un po’ di tempo dopo che il modello è stato osservato) e il
linguaggio verbale (le parole servono per evocare realtà non presenti). In
questa fase il bambino viene definito egocentrico, tale termine non viene
usato da Piaget con un’accezione negativa ma come la tendenza a
13
interpretare il mondo esclusivamente nei termini del proprio punto di
vista. Il bambino non capisce che gli altri vedono gli oggetti in una
prospettiva diversa dalla sua.
3. stadio delle operazioni concrete (7-11 anni)
mi sembra giusto dedicare ampio spazio all’analisi di tale fase poiché il
progetto di didattica della fisica è stato da me condotto con bambini di
10-11 anni. Durante questo stadio di sviluppo, il bambino si impadronisce
delle nozioni astratte e logiche. Questa fase è particolarmente importante
da considerare nell’insegnamento scientifico e matematico. Il bambino è
in grado di compiere operazioni matematiche quali moltiplicazione,
divisione, sottrazione e somma. Durante tale periodo i bambini diventano
meno egocentrici: cominciano a decentrarsi, cioè ad uscire dalla visione
rigida della realtà propria del periodo precedente. La capacità di
decentrarsi si esprime anche nei giochi di gruppo, frequenti a questa età.
Il pensiero si caratterizza in questa fase con la reversibilità: questa
importante abilità consente di annullare una operazione mentalmente e
di compensarla con una seconda operazione, uguale e contraria. A tal
proposito per capire meglio posso citare un esperimento: per riconoscere
che il contenuto di due bottiglie di diversa forma (una stretta e alta e
l’altra larga e bassa), riempite entrambe con la medesima quantità
d’acqua, rimane lo stesso, occorre ripercorrere all’inverso il cammino: dai
due differenti livelli alla medesima quantità d’acqua con le quali sono
state riempite. Solo facendo questo cammino inverso è possibile capire
che le due bottiglie contengono la stessa quantità di liquido. La
reversibilità del pensiero può essere sia spaziale che temporale.
Classificare, scomporre il tutto in parti, sistemare una serie di oggetti
secondo altri valori, sono operazioni che si basano sulla possibilità di
trasformare il reale in sistemi coerenti e reversibili. Disporre una fila di
palline in ordine di grandezza, smontare e rimontare un oggetto sono
tutte operazioni possibili da questo stadio in poi.
14
4. stadio delle operazioni formali o ipotetiche deduttive (11- 15 anni)
In questo stadio il soggetto è in grado di ragionare su ipotesi e non solo
su oggetti, costruire nuove operazioni di logica delle classi e delle
relazioni, padroneggiando il pensiero astratto. Il pensiero diventa
totalmente indipendente dall’esperienza diretta: mentre nel periodo
precedente il bambino messo di fronte ad un problema era costretto a
compiere un certo numero di trasformazioni e cercava la conferma
nell’esperienza diretta, adesso si prescinde dalla realtà e opera per
ipotesi, prevede ecc.
1.1 La formazione dei concetti scientifici secondo Piaget
“Che cosa accade nella testa dei bambini o dei ragazzi quando cercano
di capire li mondo?, come arrivano a formarsi delle idee o dei concetti? quali
meccanismi entrano in funzione e secondo quali itinerari ciò avviene?”3 Piaget
(come molti altri del resto) vede nel rapporto mondo-bambino una grande
attività mentale di quest'ultimo come denota anche la suddivisione in stadi e le
caratteristiche che li differenziano. Egli dice che fino dai primi contatti di tipo
puramente percettivo, il bambino va formandosi schemi o strutture.
Quando, si trova di fronte nuovi “oggetti” il bambino ha due possibilità:
questi oggetti non si oppongono agli schemi che già lui possiede oppure se
questo avviene, il bambino accomoda i vecchi schemi secondo i nuovi “oggetti”
che ha incontrato. Il bambino ha la capacità di trasformare i propri schemi in
funzione dei nuovi incontri: è artefice della propria conoscenza e intelligenza.
Tra i fattori che intervengono sullo sviluppo cognitivo per Piaget, ho scelto
quelli più significativi secondo il mio progetto:
3C.G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. pag. 46
15
- la maturazione e la crescita organica: lo sviluppo naturale è determinato
da fattori biologici che ne costituiscono la condizione preliminare e
necessaria.
- L’esercizio o l’esperienza: l’esperienza è necessaria ma non sufficiente
dice Piaget. Egli distingue due tipi di esperienza: una fisica e l’altra
logico-matematica. Con la prima i bambini riescono a distinguere le
proprietà degli oggetti, a classificarli, a metterli in relazione sempre però
nel rispetto delle operazioni concrete. Quando questa fase viene
superata il bambino che ha undici anni, è in grado di lavorare non più
soltanto con oggetti concreti ma anche con le preposizioni., in modo
molto più astratto e ipotetico (è l’esperienza logico-matematica).
2. La teoria storico-culturale di Vygotskij
Il contributo di Vygotskij (1896-1934) è stato generalmente contrapposto
a quello di Piaget; le ragioni vanno ricercate nel loro modo antitetico di spiegare
lo sviluppo umano: mentre Piaget fa riferimento ad una forte influenza genetico-
biologica, Vygotskij dà importanza al contesto sociale e culturale.
Rispetto alla concezione di sviluppo di Piaget, Vygotskij critica in
particolare (Vigotskij dedicò un capitolo del libro Pensiero e linguaggio alla
critica delle ricerche piagettiane) il fatto che lo sviluppo del pensiero del
bambino è considerato come un processo scollegato totalmente da ciò che può
essere appreso dagli adulti, dagli insegnanti, ecc.
Secondo Piaget e collaboratori, la capacità di ragionamento e
l’intelligenza del bambino, le sue idee su ciò che lo circonda, le sue
interpretazioni sulle cause fisiche, la sua padronanza delle forme logiche sono
considerate come processi autonomi che non vengono influenzati in alcun
modo dall’apprendimento scientifico. Solo se lo sviluppo è ad un determinato
livello allora c’è un certo tipo di apprendimento: l’apprendimento quindi segue lo
sviluppo. Vygotskij ammette che l’apprendimento comincia molto prima rispetto
16
a quello scolastico; perciò il bambino quando entra a scuola può trovare
continuità con quello che ha imparato oppure discontinuità (vedere parte sulla
conoscenza di senso comune). Per far sì che l’apprendimento scolastico diventi
significativo e produca quindi effetti positivi, sarebbe allora necessario utilizzare
un concetto importante della teoria di Vygotskij: l’area di sviluppo prossimale.
Con essa si indica la differenza tra il livello di sviluppo di un individuo in un dato
momento e il suo livello potenziale non ancora espresso. Questo concetto può
essere così inteso: corrisponde ad esempio alla differenza tra il livello dei
compiti che il bambino è in grado di svolgere autonomamente e il livello di
compiti eseguibili con l’aiuto degli adulti. Il bambino lavorando con gli altri riesce
a fare cose che da solo altrimenti non sarebbe capace di fare. In una classe ci
sono allora tante aree di sviluppo prossimale, le une diverse dalle altre. Il
contesto familiare e quello scolastico hanno il compito di fornire al bambino i
cosiddetti artefatti cognitivi, cioè quegli strumenti che gli consentono di andare
al di là del proprio patrimonio genetico. L’autore dà enorme importanza
all’ambiente in cui è inserito un bambino perché determina il suo sviluppo.
Apprendimento e sviluppo sono dunque connessi ma tale connessione non è
assolutamente lineare. Si tratta di una dipendenza reciproca, dinamica e
complessa. Perciò muta l’idea tradizionale del rapporto tra apprendimento e
sviluppo: i due processi non coincidono e neppure l’apprendimento segue lo
sviluppo ma secondo Vygotskij avviene esattamente l’opposto il processo di
sviluppo segue quello di apprendimento. Diversamente dalla teoria di Piaget in
questo caso, un insegnamento fondato sul rispetto degli stadi di sviluppo di un
bambino non porta assolutamente a nessun miglioramento, a nessun
apprendimento nuovo e quindi di conseguenza a nessun sviluppo.
2.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Vygotskij
“Anche per Vygotskij vi è una differenza fra i concetti che il bambino si forma
nell'esperienza, quando la mente è lasciata libera di agire come vuole e i
17
concetti che assimila a scuola quando impartiamo nozioni sistematiche al
bambino, gli insegniamo molte cose ch'egli non può vedere o sperimentare
direttamente” 4. Fra i concetti che il bambino apprende, di particolare
importanza sono, per Vygotskij, quelli scientifici. “I concetti scientifici, con il loro
sistema gerarchico di interrelazioni, sembrano essere il mezzo nel quale la
consapevolezza e la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi
in altri concetti e in altre aree di pensiero. La coscienza riflessiva arriva al
bambino attraverso i concetti scientifici”5. Secondo Vygotskij, i concetti
spontanei e quelli scientifici si sviluppano a partire da direzioni opposte per poi
incontrarsi: i concetti spontanei, che hanno origine nell'esperienza, sono spesso
inconsapevoli, cioè il bambino può possedere un concetto ma non averne
coscienza; i concetti scientifici invece, in generale, vengono introdotti con una
definizione verbale e attraverso operazioni non spontanee. Ma lo stretto legame
fra i due tipi di concetti viene ancor più messo in evidenza quando egli afferma
che un concetto scientifico non può essere appreso se il concetto spontaneo
corrispondente non si è evoluto, con queste parole egli vuol dire che il concetto
quotidiano apre la strada a quello scientifico. Alla formazione dei concetti
secondo Vygotskij si arriva dopo essere passati da tre fasi fondamentali:
- la fase del "mucchio", quando il bambino mette in relazione a una parola,
un insieme di oggetti senza seguire alcun criterio
- Il modo di pensare per "complessi", quando un bambino riunisce oggetti
sulla base di effettivi rapporti fra di essi. Determinante in questa fase è il
ruolo dell’adulto: di questa categoria infatti fanno parte gli pseudo
concetti che il bambino acquisisce non dall’esperienza spontanea ma
dagli adulti che usano le parole e il bambino le impara.
- La terza fase è quella della formazione dei concetti veri e propri compare
necessariamente solo dopo che si è svolto per intero il modo di pensare
per complessi.
4 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. p. 47 5 L. S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio,. trad. it.., Giunti, Firenze 1954, p. 111
18
Dalle indagini dì Vygotskij risulta anche che molto spesso gli adolescenti,
sebbene siano in grado di formare concetti e operare con essi in una situazione
concreta, riescono con difficoltà a definirli e anche, una volta afferrato e
formulato il concetto a livello astratto, difficilmente riescono ad applicarlo a
situazioni concrete nuove, diverse da quelle originali. In tutto il processo di
concettualizzazione un ruolo estremamente importante è svolto dal linguaggio:
le operazioni intellettuali sono guidate dall'uso di parole che servono per
centrare l'attenzione, per astrarre certi tratti e simbolizzarli per mezzo di un
segno. Quindi è importante, in ambito scientifico puntualizzare molto sulle
parole specifiche per far acquisire i concetti sottostanti.
A tal proposito esiste una forte contrapposizione tra la teoria di Vygotskij
e quella di Piaget. Piaget sostiene che nel bambino il pensiero precede lo
sviluppo del linguaggio, inizialmente subordinato al pensiero e di tipo
egocentrico diventa solo dopo comunicativo e quindi sociale. Vygotskij invece si
oppone a questa teoria poiché afferma che la funzione primaria del linguaggio è
la comunicazione: il primissimo linguaggio che compare nel bambino è quello
sociale cioè frutto dell’interazione del bambino soprattutto con i genitori. Per
Vygotskij il pensiero è successivo al linguaggio poiché è il linguaggio che
determina il pensiero.
3. L’attivismo di Dewey
Gran parte della storia dell’Attivismo è sicuramente sotto il segno di
Dewey. Con il termine attivismo vengono racchiuse le esperienze delle scuole
nuove6, che vedono l’educazione non “come trasmissione di un sapere
oggettivo, ma come la formazione della personalità autonoma.”7 La critica alla
scuola tradizionale e l’idea di un’educazione centrata sull’alunno sono i pilastri
6 Termine usato e coniato per la prima volta da Pierre Bovet, direttore dell’istituto Rousseau nel 1917 7 U. AVALLE, Cultura pedagogica, Paravia, Torino 1997, p. 395
19
dell’Attivismo e del movimento delle scuole nuove. Ferriere8 individua le scuole
nuove come autentici laboratori di pedagogia pratica, strutturati come collegi
situati in campagna ma dotati di un’atmosfera familiare. In essi il lavoro
manuale si accompagna all’attenzione per l’educazione fisica e quindi alla vita
all’aria aperta. L’educazione deve basarsi sia sulla cultura generale sia sulla
specializzazione, fondarsi sull’interesse e sull’esperienza (vedi capitolo
successivo) e sull’attività personale. Se si ha come scopo la formazione
dell’uomo e del cittadino bisogna presupporre un’educazione che si basi sulla
considerazione psico-pedagogica dello sviluppo del bambino.
3.1. Il ruolo e il significato dell’educazione
L’educazione è secondo Dewey ricostruzione e riorganizzazione
continua dell’esperienza, allo stesso tempo personale e sociale.
In Il mio credo pedagogico (1987) Dewey sintetizza in cinque punti i fondamenti
della sua convinzione pedagogica:
- l'istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell'individuo al
patrimonio comune del genere umano:
- l'istruzione è un processo sociale e la scuola il fulcro di questo processo,
quindi è inerente alla vita e non preparatoria ad essa;
- il centro dei programmi di insegnamento è l'insieme delle attività del
bambino nel quadro sociale;
- il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo:
- l'istruzione è il fondamento del progresso sociale e politico.
La riflessione sulla didattica attraversa tutta l’opera di Dewey, a partire
dall’esperienza di Chicago per poi articolarsi attraverso vari scritti. Proprio la
scuola di Chicago è uno dei primi esempi di scuola attiva. La scuola qui è
connessa all’università per quella continuità tanto sostenuta da Dewey che
8 È ad opera di Adolphe Ferriere che viene fatto il primo tentativo di unificazione delle scuole nuove con la fondazione a Ginevra dell’Ufficio internazionale delle scuole nuove
20
vedeva teoria a pratica procedere parallelamente. Dewey si preoccupa di
articolare la scuola in livelli corrispondenti agli stadi di sviluppo psicologico del
bambino: dopo la scuola dell’infanzia il bambino frequenta la scuola primaria
dove il laboratorio è il metodo di lavoro più usato: gli allievi sono impegnati in
una pluralità di attività, come falegnameria, cucina, tessitura, attorno alle quali si
costruiscono le conoscenze linguistiche, geografiche, scientifiche…
3.2. Le indagini personali sul mondo
Nel testo “Logica, teoria dell’indagine” Dewey ci illustra il suo modo di
vedere il processo che sta alla base dell’esplorazione del mondo e dei problemi
che esso ci mette di fronte. Questo metodo assomiglia molto al metodo
sperimentale usato nelle scienze. L'attività rivolta alla conoscenza riguarda
l'uomo durante tutta la sua vita. “L'esistenza di indagini non è cosa che si possa
mettere in dubbio. Esse entrano in ogni ambito della vita e in ciascun aspetto di
ogni ambito. Gli uomini compiono delle disamine nella vita di ogni giorno; essi
rimuginano le cose intellettualmente: essi inferiscono e giudicano altrettanto
"naturalmente" come essi mietono e seminano, producono e scambiano
servizi”9 .
Questo lavoro intellettuale non è tipico dell'uomo adulto ma dell'uomo in
quanto tale. Anche i bambini compiono indagini, sebbene queste possano
risultare diverse da quelle degli adulti o degli scienziati. Si parte con una
situazione problematica: verrà fatto un lavoro di analisi da tale problema e da
qui si articoleranno le varie fasi:
- Situazione problematica: è una situazione confusa, non chiara. Il
bambino o l’adulto sente l’esigenza, ha un bisogno, una curiosità per fare
chiarezza
- Definizione del problema
9 J. DEWEY, Logica, teoria dell’indagine, Einaudi, Torino 1949, p.135
21
- Prima assunzione di informazioni. È anche il semplice guardarsi intorno
e recuperare dati dalla propria memoria
- Suggestioni: sono le idee che saltano alla mente, che si affacciano
spontaneamente
- Osservazione attenta e ricerca di informazioni: sono le osservazioni e
ricerche più mirate che mettono alla prova le suggestioni
- Idea-anticipazione-previsione-ipotesi: è la formulazione di un’ipotesi che
serva per risolvere il problema
- Verifica si controlla la veridicità dell’idea guida elaborata
Seguendo questa teoria dell'indagine, molti sono i motivi di riflessione per chi si
occupa di educazione scientifica: “C'è, intanto, un punto cruciale sul quale
conviene soffermarsi. Dewey stesso mette sull'avviso perché si distinguano i
falsi problemi, cioè quelli che non nascono da situazioni reali ma vengono
imposti o sono autoimposti. In entrambi i casi l'indagine può anche risolversi in
un lavoro diligente ma risulterà sterile e, avrà l'apparenza ma non la sostanza di
un'indagine scientifica”10 .
Pensando alla scuola e alla vita che i bambini vi trascorrono, viene da
chiedersi se e quando essi sono messi in condizioni di porsi dei problemi veri e
di perseguire le loro soluzioni. Indagare sul mondo e quindi incontrare problemi,
entrare in rapporto con esso, per cercare di capirlo è un’attività che i bimbi
fanno fino a quando possono. L'atteggiamento dei bambini, secondo Dewey è
molto vicino, all'atteggiamento dello spirito scientifico. Secondo me, nella scuola
difficilmente i bambini trovano stimoli o sostegni in modo da affinare e
sviluppare le loro capacità di indagine. Se le occasioni in cui mettere in pratica il
metodo, non ci sono, è del tutto illusorio ipotizzare che i bambini imparino a
pensare semplicemente perché gli viene chiesto o perché "spieghiamo" loro
come dovrebbero fare.
Dare rilievo al momento dell'esperienza diretta è significativo, non implica
che l'indagine debba rimanere al livello del fare, cioè a livelli pratici; può, anzi
10 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. p. 36
22
deve, secondo Dewey, svilupparsi in una ricerca teorica, cioè di ripensamento
dell'attività pratica stessa, di ampliamento e approfondimento delle conoscenze
che a essa sono connesse. Il rapporto fra teoria e pratica è uno dei temi
ricorrenti in Dewey ed è anche uno dei problemi che la nostra scuola secondo
la Hoffman non ha saputo risolvere.
4. Due modelli a confronto: il modello di Hawkins11 e quello di Guilford
“Oggi a me sembra che il problema del posto della scienza
nell’educazione abbia un’importanza particolare”, diceva Hawkins nel libro
Imparare a vedere.
I motivi per cui si potrebbe sostenere la validità di un'affermazione come questa
sono molti ma può essere interessante accennare almeno a uno di essi, preso
in esame dall'autore della frase citata. Educare alla scienza è visto dall’autore
come l’unica via per rendere le persone più critiche e partecipi ai processi del
pensiero. Secondo Hawkins, se pensiamo a ciò che accade nella scuola ci
rendiamo conto che raramente viene richiesta una partecipazione al processo
di apprendimento da parte degli studenti. Come già Dewey, egli ritiene
assolutamente importante che l’educazione alla scienza inizi con e
dall’esperienza diretta, concreta e significativa. A partire da questa convinzione
di base Hawkins elabora una sua proposta, un suo modello di intervento nella
scuola che egli stesso con i suoi collaboratori, ha sperimentato e messo a punto
in anni di ricerca.
Il modello si articola in tre fasi non assolutamente ordinate ma che possono
evolversi dall'una all'altra secondo strade diverse. Esse si distinguono per il tipo
di rapporti che si introducono tra bambini, materiali e insegnanti. Le tre fasi
sono contraddistinte da tre simboli, proprio per non dare a esse un ordine di
successione.
11 David Ramon Hawkins è nato nel 1927 ed è uno psichiatra americano
23
- La fase del tondo o del pasticciamento: è il momento dell'esplorazione
libera. Apparentemente può sembrare un momento destrutturato che può
portare al caos: Hawkins stesso chiarisce l'equivoco: le cose da dare ai
bambini vengono accuratamente pensate e predisposte dall’adulto in
relazione a un'ipotesi di lavoro, a dei contenuti di esperienza specifici;
anche l'ambiente, le condizioni di lavoro sono pensate e predisposte in
modo che le cose possano funzionare. In secondo luogo, l'adulto è una
presenza importante, così viene descritto dallo stesso autore “II nostro
ruolo fu semplicemente quello di andare qua e là, su e in giù, rendendoci
utili senza mai suggerire”12. Si tratta di una presenza adulta disponibile,
interessata attenta ma non invasiva o direttiva. Questo momento è molto
prezioso per entrambe le parti: per i docenti che hanno modo di
conoscere i bambini e i bambini dall’altra parte portano a scuola tutto
quello che hanno imparato. Vengono predisposti ambienti, materiali
tempi in base all’interesse del bambino. In un certo senso tale situazione
può essere definita non strutturata il che non è sinonimo di caotica. Il
caos e la confusione non stimolano il fare scoperte. Certamente
introdurre nella scuola una modalità del genere che permette ai bambini
di seguire percorsi propri significa elogiare le diversità e i diversi risultati
a cui ognuno può arrivare.
- La seconda fase è quella del lavoro multi-programmato. Secondo
Hawkins, in questa fase i bambini lavorano individualmente usando degli
schedari, comunque un materiale cartaceo su cui rielaborare le
esperienze del pasticciamento senza tempi e scadenze
- Un'ulteriore fase è quella del dibattito in classe. Questo momento può
comprendere anche la spiegazione verbale da parte dell'insegnante. È il
momento in cui si affrontano problemi teorici. Essi nascono
essenzialmente dalla discussione, dall'argomentazione, dallo scambio
tra bambini e insegnante. Anche Hawkins, pur riconoscendo l'importanza
12 D. HAWKINS, Imparare a vedere, Loescher, Torino, 1979, p. 87
24
fondamentale dell'esperienza concreta e dell'indagine diretta, ammette la
necessità di una teorizzazione finale.
Questo approccio mi è stato particolarmente utile nella realizzazione del mio
intervento nelle classi poiché in linea generale credo di aver rispettato
abbastanza l’idea dell’autore sull’insegnamento delle scienze. In particolare è la
fase del pasticciamento che secondo me manca di più nella scuola mentre
abbondano schede da completare e insegnanti che non smettono mai di
parlare. Ho cercato quindi di dare molta importanza alla fase dell’esperienza
curando particolarmente la partecipazione di tutti i bambini.
Mi sembra opportuno inserire anche un altro modello ovvero quello di
Guilford, perché mi ha aiutato nella fase di programmazione del progetto che ho
realizzato. Questo modello si basa essenzialmente su quattro proposizioni che
sottintendono quattro concetti importanti. Nell’insegnamento delle scienze esso
può risultare essere molto utile sul piano proprio della progettazione perché
secondo Guilford bisogna tener presente:
- Conoscenza e memoria: è la fase in cui il docente indaga sulle
conoscenze, i pre-requisiti, perché il nuovo sapere non sia astratto
rispetto al bagaglio già posseduto dagli allievi. Si deve far emergere
quello che i bambini già sanno poiché le nuove conoscenze si
acquistano solo se sono ben raccordate con le precedenti. Da
notare come questo elemento sia presente e molto sentito in tanti
autori. I pre-requisiti sono il punto dal quale partire.
- Pensiero divergente: in questa seconda fase è indispensabile
stimolare la scoperta di nuovi modi per risolvere problemi e far
esplorare nuove realtà attraverso anche l’uso del linguaggio quindi
di nuove parole, nuovi modi di descrivere, di fare esperienze.
Secondo Guilford il pensiero divergente è misurato da 3 indici:
- Fluidità: parametro quantitativo basato sull'abbondanza
delle idee prodotte
25
- Flessibilità: capacità di cambiare strategia ed elasticità nel
passare da un compito ad un altro che richiede un diverso
approccio
- Originalità: capacità di formulare soluzioni uniche e
personali che si discostano dalla maggioranza
- Pensiero convergente: si racchiudono in questa categoria i momenti
di analisi, di sistematizzazione delle conoscenze, di misura, di
esecuzione delle operazioni matematiche. Si sviluppano quindi
abilità operative logiche ed espressive; è il pensiero logico e
razionale. Consiste in un procedimento sequenziale e deduttivo,
nell'applicazione meccanica di regole apprese, nell'analisi metodica
di dati. Si adatta a problemi chiusi che prevedono un'unica
soluzione. È il pensiero che in larga predominanza viene sollecitato
dalla scuola.
- Pensiero critico: confronto tra ciò che si sa, con ciò che si sapeva.
Rappresenta il momento della riflessione su aspetti cruciali.
5. Un progetto straniero per l’innovazione dell’insegnamento scientifico: Karpuls e lo SCIS
Robert Karplus fondò il progetto SCIS (Science Curriculum Improvement
Study) negli anni ’60 negli USA. Il programma modificò profondamente la
direzione dell’insegnamento delle scienze negli anni ’70. Infatti, prima di allora,
nessun altro programma aveva focalizzato l’attenzione sul fare, risolvere
problemi sperimentali, nel portare oggetti, materiali e organismi viventi nelle
classi. E nessun altro programma educativo era riuscito prima a porre l’accento
sui processi della scienza, quali l’osservare, il misurare, il raccogliere dati,
analizzare le informazioni, interpretare fenomeni e valutare le diverse situazioni.
Gli studenti coinvolti nel programma, con entusiasmo e interesse, raggiunsero
anche obiettivi non del versante scientifico, come il potenziamento delle abilità
26
linguistiche e di comunicazione. Infatti Karplus e altri autori inventarono attività
che ruotavano intorno a pochi concetti che diventavano automaticamente
strumenti linguistici fondamentali e favorivano l’interazione tra bambini e
insegnanti. Ma l’obiettivo principale dello SCIS era l’alfabetizzazione scientifica,
intesa come il potenziamento di un insieme di atteggiamenti, concetti e
conoscenze procedurali che sono naturalmente presenti nel bambino e lo
rendono simile allo scienziato. Secondo tale concezione che condivido, nel
bambino sono infatti spontanee la curiosità verso ogni elemento dell’ambiente e
la tendenza a manipolare e organizzare tali elementi. La tendenza a garantire
un approfondimento delle tematiche disciplinari migliore di quello dei
preesistenti programmi, anche in questa organizzazione non contenutistica, è
sfociata nella produzione di un materiale ingente (più di mille pagine di schede,
consigli sull’uso dei materiali e suggerimenti operativi), non facilmente gestibile
dagli insegnanti. Nel nostro Paese non ha avuto molta diffusione ma
rappresenta un modello di intervento che ha molte affinità con quanto, ancora
oggi, viene suggerito da esperti e studiosi che si occupano di rinnovamento
dell'educazione scientifica nella scuola di base.
Per le discipline considerate (fisica e biologia) vengono individuati i concetti
che si ritengono fondamentali: quelle idee chiave che possono aiutare gli
studenti a orientarsi meglio nello studio e nella comprensione delle discipline in
oggetto. Quindi, vengono individuate delle esperienze significative adatte alle
diverse età e definite le procedure di intervento che si attuano sempre
attraverso tre momenti:
- Esplorazione: I bambini sono immersi in un contesto con dei materiali
appositamente scelti per favorire l’esplorazione spontanea, senza guida
né istruzioni precise. Il bambino prende confidenza con i nuovi materiali,
e tutti gli utilizzi di tale materiale offrono spunti per nuove idee. L’insieme
delle idee emerse costituisce il background per l’introduzione di nuovi
concetti. Durante l’attività di esplorazione si possono fare domande o
commenti per incoraggiare un ulteriore coinvolgimento nell’attività
stessa.
27
- Invenzione: l’apprendimento spontaneo è limitato dai preconcetti. Quindi
sarà l’insegnante a formulare i nuovi termini e concetti utili a interpretare
le osservazioni. In modo chiaro ed esplicito, ripetendo più volte i termini
appropriati proprio all’apparire del concetto. Quindi si incoraggiano gli
allievi a fare altri esempi che illustrino la nuova idea. Attraverso gli
esempi forniti dagli allievi l’insegnante capirà il livello di comprensione
dei concetti. Occorre tenere in mente che “l’invenzione” è solo l’inizio di
un processo esperienziale per il bambino. La conoscenza, la
comprensione e l’eventuale capacità di applicazione del concetto nella
vita di tutti i giorni deriveranno dall’esperienza che i bambini faranno
durante e dopo le attività di scoperta. Quindi si introducono nuovi
concetti per la soluzione dei nuovi problemi. Nel caso in cui il bambino
non riesce ad inventare, sarà l’insegnante che fornirà i concetti
necessari.
- Scoperta: è l’attività in cui il bambino trova una nuova applicazione del
concetto attraverso l’esperienza. Le attività di “scoperta” rafforzano il
concetto originario ed estendono il suo significato. Tali attività possono
essere progettate o essere già bagaglio dell’esperienza quotidiana dei
bambini. La padronanza dei concetti si conquista attraverso la pratica e
l’applicazione ripetuta dei concetti. Il processo ha natura ciclica perché
l’attività di scoperta permette sia di introdurre i concetti “inventati”
precedentemente, sia di iniziare a esplorare nuovi concetti.
Questo programma è veicolato e sostenuto da materiali predisposti sia per gli
insegnanti che per gli allievi: tali materiali guidano passo passo, lo svolgimento
delle attività in modo tale che vengano presentati i concetti chiave previsti, in un
determinato momento e ordine. La notevole strutturazione del progetto e la
preoccupazione esplicita di non fare troppo affidamento sulle capacità degli
insegnanti per la sua riuscita pedagogica, hanno portato a trascurare l’aspetto
creativo non solo dell’apprendimento ma anche dell’insegnamento.
28
Nonostante la bontà del progetto, e nonostante l’avvenuta commercializzazione
del materiale, lo SCIS è attualmente abbandonato, e le diverse ragioni del
fallimento possono essere ricondotte alla prima della lista:
1. Eccessiva complessità del materiale;
2. Insufficiente presenza di formatori capaci di padroneggiare tutti i
contenuti scientifici;
3. Non accettazione da parte degli insegnanti della scuola primaria per
l’impossibilità pratica di comprendere e insegnare-utilizzare
autonomamente il materiale.
29
Secondo capitolo
IL RUOLO DELL’ESPERIENZA NELL’INSEGNAMENTO SCIENTIFICO
La spinta a conoscere è sempre stata la più alta aspirazione dell'uomo:
conoscere e capire le ragioni, il senso della propria vita e di tutto ciò che lo
circonda. Fin dai tempi remoti, conoscere e capire ha significato toccare,
esplorare, fare. I pensieri nascevano intorno alle cose e dalle cose.
Ben presto a un'esplorazione casuale è subentrato un modo più elaborato,
mirato e preciso di conoscenza: un modo che passava comunque attraverso
l’esperienza e il fare.
1. Il gioco come il fare esperienze: due modi per conoscere il mondo
Il considerare l’esperienza e il fare un punto importante nella pratica
scolastica dell’insegnamento, soprattutto delle scienze, mi ha suggerito un
collegamento. Attraverso l’esperienza noi impariamo a conoscere il mondo ma
anche il bambino piccolo ancor prima di frequentare la scuola e anche durante,
ha da parte sua uno strumento formidabile di conoscenza del mondo che lo
circonda: il gioco. Nell'infanzia, giocare con l'acqua, con la terra, con gli
elementi naturali è sempre stata l'occupazione più entusiasmante e più ricca di
tutti gli apprendimenti, per tutti i bambini del mondo. Un bambino che gioca con
materiale non strutturato sta esplorando e allargando il suo mondo fantastico,
ma sta anche sperimentando conoscenze, sull'incontro tra quel materiale e il
suo corpo, che forse lo influenzeranno per tutta la vita. Dice Borin che “dal
risultato di questo incontro e dalla possibilità di reiterare esperienze simili, o
ancora più articolate e complesse, nasceranno la sua cultura personale, la sua
visione del mondo, si formeranno la sua immagine corporea e la sua peculiare
modalità di percepire la realtà: da questo incontro con la materia avranno inizio
30
i suoi investimenti emotivi che legheranno parti del suo corpo ad aspetti della
realtà vissuta”13
2. “La teoria dell’esperienza” di Dewey
Dopo una lettura attenta dei Programmi del 1985, delle Indicazioni
Nazionali del 2003 e delle scelte effettuate dall’Istituto Comprensivo dove ho
svolto il mio progetto ho individuato tra i tanti obiettivi uno in particolare che mi
ha veramente colpito: nell’insegnamento scientifico si deve puntare
sull’esperienza. Questa parola, in quel momento iniziale della mia ricerca di
materiale e della fase di progettazione del percorso da realizzare, non mi diceva
molto perciò ho deciso di andare a vedere se esistevano alcuni testi o autori
che mi potevano aiutare. Mi sono imbattuta quindi in John Dewey che aveva
scritto un libro Esperienza e educazione14, proprio in merito al tema che mi ha
interessata.
Tutte le letture che ho fatto sull’argomento mi hanno veramente aperto
un nuovo orizzonte da cui guardare le scienze e l’insegnamento scientifico:
nella scuola primaria è indispensabile basarsi sull’esperienza come modalità di
approccio alla conoscenza. Dewey affronta nel testo Esperienza ed educazione
alcuni concetti chiave molto attuali che mi sono serviti soprattutto nella fase di
progettazione del percorso sul galleggiamento.
Questo breve saggio, a carattere filosofico, è stato pubblicato nel 1938 e
appartiene quindi all'ultima fase della produzione di Dewey. Non contiene idee
nuove, né dal punto di vista filosofico che pedagogico. È piuttosto la sintesi
matura del pensiero dell'autore sul tema generale dell'educazione e delle
"scuole nuove", di cui Dewey era stato attivo sostenitore nei decenni
precedenti.
13 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma 2005, p.31 14 J. DEWEY, Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1993
31
Nel testo si sostiene che le linee ispiratrici delle scuole nuove sono
corrette, ma sono necessarie modifiche nella realizzazione del programma. In
Esperienza ed educazione Dewey contrappone in modo netto il proprio
pensiero filosofico a quello dei "conservatori", che pensano ad un ritorno alla
tradizione precedente alle scuole nuove, ma non risparmia critiche alla gestione
di queste.
Dewey contrappone già fin dal primo capitolo un’educazione di tipo
tradizionale e un’educazione progressiva. Secondo l’autore fra le due
impostazioni esiste un divario abissale: le scuole tradizionali impongono
programmi e metodo di apprendimenti che "rimangono estranei alle capacità
effettive dell'alunno", propongono un sapere statico, codificato una volta per
tutte e staccato dall'esperienza, e questo nel contesto di una società in cui "il
cambiamento è la regola e non l'eccezione". Dewey ci esorta “richiamate
all’immaginazione un’aula scolastica consueta, i suoi orari, i suoi sistemi di
classificazione, di esame e di promozione, le regole disciplinari.. se poi
contrapponete a ciò quello che accade in famiglia, per esempio comprenderete
che cosa si intende affermare quando si osserva che la scuola è un tipo di
istituzione completamente diversa dalle altre organizzazioni sociali”. Dewey
riferendosi alla scuola tradizionale usa una parola che di per sé racchiude già il
suo significato: trasmettere. “La materia dell’educazione consta di corpi di
notizie e di abilità che sono stati elaborati in passato e quindi il compito della
scuola è trasmetterli alla nuova generazione”. Egli aggiunge che secondo tale
tradizione spetta ai libri in particolar modo, il compito di rappresentare il sapere
e la saggezza del passato e agli insegnanti il ruolo di mediatori tra questi e i
bambini. Dopo aver esposto in breve le caratteristiche della scuola tradizionale,
così come ho tentato di riportare, ci avverte dicendo: “non ho fatto questa breve
esposizione con lo scopo di criticare la filosofia che sta alla base di questa
educazione. Il sorgere di ciò che si suol chiamare nuova educazione e scuola
progressiva è di per sé un effetto del disagio che suscita l’educazione
tradizionale”. La causa secondo Dewey dell’”insuccesso” della scuola
tradizionale è da imputare all’imposizione dall’alto e dal di fuori di norme,
32
programmi e regole di adulti su dei bambini. Il distacco secondo l’autore è così
grande che il programma e i metodi di apprendere e di comportarsi, che si
esigono rimangono estranei alle capacità effettive dell’alunno. Ed è qui che
Dewey usa per la prima volta la parola esperienza dicendo che tutto ciò, accade
perché essi vanno al di là dell’esperienza che il bambino possiede.
Inevitabilmente questa impostazione impedisce una attiva partecipazione del
bambino a ciò che gli viene insegnato, imparare significa acquisire ciò che è
incorporato nei libri e nelle teste degli adulti. Le scuole nuove propongono una
alternativa a tale impostazione. Esse, al contrario, dedicano grande attenzione
alle effettive capacità degli allievi, tentando di svilupparne le potenzialità, e
propongono un sapere legato all'esperienza e da questa risalgono
dinamicamente alle teorie.
Ma il problema vero è un altro: definiti i principi-guida per la scuola del
futuro, il problema è tradurli in pratica in modo efficace. Ad esempio: la vecchia
scuola si basava su una certa idea di organizzazione, gerarchica, centrata
sull'autorità; la nuova scuola non dovrà respingere l'idea di organizzazione, ma
dovrà porre il problema di come si possa costruire una buona ed efficiente
organizzazione scolastica partendo non dal principio di autorità, ma dalla
concreta esperienza, perché è attraverso quest'ultima che si impara. Il principio
di fondo è infatti che "c'è un'intima e necessaria relazione fra il processo
dell'esperienza effettiva e l'educazione".
Questo primo capitolo pone dunque il problema che sarà affrontato in
tutto il saggio: non è sufficiente affermare il principio che l'educazione debba
essere legata all'esperienza, respingendo il principio di autorità fine a se stesso
al fine di una vera educazione alla libertà; infatti una educazione che dichiara di
essere fondata sull'idea di libertà può essere tanto dogmatica quanto qualsiasi
altra. Di libertà l’autore parla nel quinto capitolo: nelle scuole tradizionali la
libertà era negata poiché i bambini dovevano stare immobili ai banchi ed era
concesso muoversi solo a certi “dati segni” dell’insegnante. In un contesto del
genere vengono accentuati passività e ricettività. La libertà crea le condizioni
per un’attività basata sull’esperienza.
33
È soprattutto nel secondo capitolo che ho trovato un importante
riferimento per il mio progetto. In questo capitolo Dewey precisa perché è
indispensabile una teoria dell'esperienza. Rifiutare l’educazione tradizionale
pone nuovi orizzonti e nuove difficoltà. Un punto fermo nella nuova educazione
viene individuato nel legame indissolubile tra esperienza e educazione. Però
Dewey ci avverte anche di non incorrere in una banale convinzione: “credere
che ogni educazione autentica proviene dall’esperienza non significa già che
tutte le esperienze siano genuinamente o parimenti educative. Esperienza e
educazione non devono equivalersi, ci sono difatti delle esperienze
diseducative”. Quindi solo un certo tipo di esperienza consente l'educazione. La
tesi è che vi sono due tipi di esperienze: alcune favoriscono l'acquisizione di
nuove esperienze in futuro e altre limitano tale possibilità. Tra queste ultime
possono essere catalogate quelle esperienze che recano qualche beneficio
immediato tuttavia promuovono “negligenza”; e quelle sconnesse tra di loro.
L’educazione tradizionale offre secondo Dewey molti di questi tipi di esperienze:
“è un grande errore credere, anche tacitamente, che l’aula tradizionale non
fosse un luogo dove gli alunni facessero esperienze”. In molti credono questo
ma sbagliano opponendo all’antica, la nuova educazione progressiva. Il punto
da mettere in risalto è un altro: le esperienze che venivano fatte facevano parte
della seconda categoria ovvero delle esperienze negative. Dewey infatti ci pone
tra i tanti che fa, un interrogativo che particolarmente mi ha colpito: ”Quanti
hanno trovato ciò che imparavano così estraneo alle situazioni della vita del
mondo?”. Il guaio delle scuole tradizionali non è l’assenza di esperienze bensì
l’assenza di collegamento con quella ulteriore. In conclusione quindi non basta
insistere sulla necessità dell’esperienza, tutto dipende dalla qualità
dell’esperienza in cui i bambini sono coinvolti. Dewey caratterizza la qualità con
due aspetti: “da un lato può essere immediatamente gradevole o sgradevole,
dall’altro essa esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori”. Il primo
aspetto probabilmente è di più immediata verificabilità mentre l’effetto della
seconda non lo si può conoscere subito. Qui gioca un importante ruolo il
docente che deve calibrare le esperienze proposte per ottenere sia il consenso
34
e il coinvolgimento dei bambini sia un collegamento con ulteriori esperienze che
verranno e che faranno crescere il bambino. Infatti dice Dewey, che come
nessun uomo vive e muore per se stesso così nessuna esperienza vive e
muore per se stessa ma ha bisogno di un continuum che sia ovviamente
programmato. L’educazione progressiva infatti non è improvvisazione. Dewey
proponeva la sua teoria dell’esperienza per dare un nuovo indirizzo alle scuole
verso il rispetto e l’armonia dei principi di crescita del bambino.
Dewey attribuisce all’insegnante un ruolo chiave: una delle principali
responsabilità dell’educatore è che egli non solo deve essere attento “al
principio generale della formazione dell'esperienza mediante le condizioni
circostanti, ma che riconosca pure in concreto quali sono le condizioni che
facilitano le esperienze conducenti alla crescenza. Sopra tutto, egli dovrebbe
conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per
estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a, promuovere esperienze dì
valore”. L’educazione tradizionale non aveva da affrontare questo problema;
poteva sottrarsi alla sua responsabilità. L’ambiente scolastico fatto di banchi, di
lavagne di un piccolo cortile pareva sufficiente. All’insegnante non veniva
chiesto di informarsi sul mondo che circondava i bambini, sulla vita fisica,
storica, economica… per utilizzarle a scopo educativo. Un sistema basato sul
nesso tra esperienza e educazione diceva Dewey deve invece prendere in
considerazione queste cose.
Qual è dunque la visione filosofica dell'esperienza che dobbiamo utilizzare
per la costruzione di un corretto concetto di educazione? Dobbiamo richiamare
tre principi:
- Principio di continuità. L'uomo attraverso l'esperienza crea abitudini, cioè
comportamenti che stabilmente gli consentono di interagire con il mondo.
In questo contesto "ogni esperienza fatta e subita modifica chi agisce e
subisce, e al tempo stesso questa modificazione influenza, lo vogliamo o
no, la qualità delle esperienze seguenti". Ne deriva il principio di
continuità: "Il principio di continuità dell'esperienza significa che ogni
esperienza riceve qualcosa da quelle che l'hanno preceduta e modifica
35
in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno". C'è quindi sempre
una qualche forma di continuità nell'esperienza: si tratta di fare in modo
che l'influenza di ciascuna esperienza sulle successive sia positiva,
favorisca cioè l'acquisizione di nuove esperienze qualitativamente di
grado più elevato.
- Principio di crescita (nel testo viene utilizzata la parola crescenza,
secondo una traduzione di quasi cinquant'anni fa). L'educazione è ben
riuscita quando la continuità dell'esperienza consente una crescita
effettiva dell'uomo, in termini di capacità di acquisizione di nuove
esperienze, di una migliore capacità di interagire positivamente col
mondo, imparando continuamente dall'esperienza. "Per esempio, un
ragazzo che impara a parlare ha una nuova facilità e un nuovo desiderio.
Ma egli ha anche ampliato le condizioni esterne dell'imparare ulteriore.
Quando impara a leggere, gli s'apre ad un tempo un nuovo ambiente
intorno a sé".
Naturalmente i due principi possono entrare in rotta di collisione: è
perfettamente possibile che la crescita si blocchi a causa del fatto che la
continuità ha determinato abitudini che bloccano, piuttosto che favorire,
l'acquisizione di nuove esperienze.
Compito dell'educatore è fare in modo che questo non avvenga. E'
questa una sua responsabilità, e Dewey si dichiara quindi contrario ad ogni
spontaneismo pedagogico ed a favore di una organizzazione del lavoro che dia
luogo ad una corretta programmazione delle esperienze. Naturalmente quanto
detto sin qui vale anche per l'educatore: egli stesso deve continuamente
imparare dall'esperienza ed è in nome della sua superiore esperienza che è
capace di guidare i bambini nel rispetto della loro libertà. All'insegnante "spetta
la responsabilità di creare le condizioni per un genere di esperienza presente
che abbia un effetto favorevole sul futuro". Non va dimenticato il fatto che
l'educazione è sempre anche una trasmissione di esperienze tra le generazioni,
e che noi viviamo in un mondo che è stato profondamente modificato dagli
uomini che ci hanno preceduto. Dewey si dimostra quindi contrario ad una
36
educazione che dimentichi il passato, ma anche ad un'educazione rivolta a far
rivivere il passato (come spesso accade nelle scuole tradizionali); è invece
favorevole ad una educazione che, attraverso l'esperienza del presente,
permetta di intenderlo attraverso il passato, orientando il giovane verso il futuro.
A questo proposito va allora enunciato il terzo principio.
- Principio di interazione. Le condizioni dell'esperienza sono sempre due:
una condizione esterna (oggetto), che può essere posta sotto il controllo
dell'educatore in una situazione strutturata come quella scolastica, ed
una interna (soggetto), di cui l'educatore deve tenere conto e che è molto
più difficile non solo da controllare ma anche da conoscere. "Qualsiasi
esperienza normale è un gioco reciproco di queste due serie di
condizioni. Prese insieme, e nella loro interazione, costituiscono quella
che io chiamo situazione". Naturalmente questo significa che se le
condizioni del soggetto e quelle dell'oggetto non sono in accordo si
produce una esperienza non educativa. Può dipendere tanto dal
soggetto quanto dall'oggetto. Non si può quindi definire a priori una
didattica che non tenga conto dell'identità dei soggetti e della loro
esperienza precedente. La responsabilità dell'educatore è allora quella di
creare situazioni di apprendimento che rispettino i principi di continuità e
di crescita, legando insieme passato, presente e futuro. Coniugare
nell'esperienza il soggetto e l'oggetto.
Dewey conclude il suo libro dedicando l’ultimo capitolo alla questione delle
discipline di studio. Per Dewey le discipline sono ambiti in cui si organizzano le
esperienze. Devono quindi essere trattate sempre in modo da avere come base
l'esperienza quotidiana dei bambini. Il materiale per gli insegnamenti ci
suggerisce Dewey, è da trovare proprio qui. Questo però è solo il primo passo.
In un secondo momento infatti, ciò che è stato sperimentato deve assumere
una forma diversa ovvero avvicinarsi sempre più alla forma organizzata in cui la
materia del sapere si presenta. Inevitabilmente poi i nuovi apprendimenti
devono sempre collegarsi con quelli già consueti nell’esperienza infantile: è
essenziale che i nuovi oggetti o eventi siano “intellettualmente riferiti a quelli
37
delle esperienze passate ma che da queste poi si vada oltre… egli deve
considerare quello che è già acquisito non già come un possesso statico, ma
come un mezzo ed uno strumento per aprire nuovi campi, Ì quali esigono nuovi
sforzi dai poteri dell'osservazione e dall'intelligente uso della memoria”.
Siccome gli studi della scuola tradizionale consistevano in argomenti che
venivano scelti e ordinati sulla base del giudizio degli adulti circa ciò che
sarebbe stato utile per i giovani nel futuro, il materiale da studiare era stabilito
senza tener conto dell'attuale esperienza di vita di chi imparava.
La materia del sapere organizzato dall’adulto non può quindi costituire il
punto di partenza bensì potrà essere solo il punto di arrivo dopo un lavoro
basato sull’esperienza. Le materie devono essere poste in maniera
problematica perché "i problemi sono lo stimolo a pensare". Dewey prende
esempio dallo studio delle materie scientifiche, per le quali difende il metodo
sperimentale. “Che le condizioni trovate nell'esperienza presente debbano
essere adoperate come fonti di problemi è una caratteristica che differenzia
l'educazione basata nell'esperienza dall'educazione tradizionale. In quest'ultima
difatti i problemi erano posti dal di fuori. Tuttavia la crescenza dipende dalla
presenza di difficoltà da superare mediante l'esercizio dell'intelligenza”.
Ancora una volta, fa parte della responsabilità dell'educatore tener
presenti due condizioni allo stesso tempo: in primo luogo, che il problema nasca
dalle condizioni dell'esperienza presente e si contenga entro il raggio della
capacità degli alunni; in secondo luogo, che esso sia di tal natura da suscitare
nell'educando una richiesta attiva di informazioni e da stimolarlo a produrne
nuove. I nuovi fatti e le nuove idee che si ottengono in tal modo diventano la
base per ulteriori esperienze che danno origine a nuovi problemi. Questo
processo viene definito da Dewey una spirale senza fine.
Dewey conclude il libro dicendo che l’unico modo che la sua teoria
dell’esperienza applicata ha di fallire, è che venga utilizzata in modo sbagliato
dagli insegnanti.
38
3. Il laboratorio come luogo ideale in cui “usare” l’esperienza
“Se ci fosse un modo per poter lasciare a casa quei corpi invadenti e
rumorosi si guadagnerebbe senz'altro molto tempo e si risparmierebbero tante
energie”.15 È con queste parole che Borin lancia un messaggio a molti
insegnanti: in realtà che il bambino ci sia tutto, a scuola, non ha importanza;
quello che conta tutto sommato dal punto di vista di molti insegnanti, è che ci
sia la sua testa. Questo secondo l’autore è il pensiero, inconfessato e
inconfessabile, che sottende tanti metodi d’insegnamento in uso ancora oggi.
Quando di fatto, non si dà spazio alla possibilità di esplorazione e dì
espressione del corpo, è esattamente come se si affermasse il principio che il
corpo a scuola non ci deve stare. Quando la scuola offre un unico canale
ovvero quello che prevede l'ascolto, lo sguardo, l'attenzione del pensiero e
l'immobilità del corpo, significa che l'esperienza tattile e quella motoria
rimangono escluse dal percorso educativo. Sembra che ci sia interesse soltanto
per le teste dei bambini mentre per quanto riguarda tutta la parte esplorativa e
conoscitiva dei loro sensi gli viene chiesto di attendere il momento, previsto nel
programma, in cui verrà presa in considerazione l'educazione motoria. Magari
qualche uscita in giardino, qualche gita, qualche ora in palestra e qualche
attività alternativa danno un tocco di attivismo alle giornate trascorse in aula
impegnando i bambini in attività tutte di testa. Non si tiene in considerazione il
fatto che il bambino apprende in un altro modo: quando è coivolto
nell’apprendimento con tutto se stesso. Il bambino apprende quando gioca e si
misura con le cose e con gli altri; apprende quando manipola e sperimenta,
quando l’oggetto della programmazione scolastica non è solo la sua testa.
Purtroppo però molto spesso a scuola i sensi che più vengono attivati nei
bambini sono: la vista e l’udito. In particolare di quest'ultimo la scuola si avvale
moltissimo, è attraverso l’udito che il sapere viene trasmesso dalla voce
dell’insegnate. Una volta avviato, il processo di "scolarizzazione" sembra non
poter più tornare indietro. 15 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.31
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A questo punto quindi è inevitabile farci una domanda: che fine ha fatto,
dove è andato, quel bambino che era stato costruito geneticamente come una
macchina per apprendere attraverso l’esperienza? Come ci consigliava anche
Dewey nel testo precedentemente analizzato, proviamo a entrare in una scuola
presa a caso e osserviamo la disposizione delle cose. Dalla disposizione dei
banchi, dalla posizione della cattedra, dai cartelloni attaccati al muro, dal
materiale contenuto nell’aula siamo in grado di dedurre lo stile dì insegnamento,
il valore che l’insegnante dà alle diverse attività, il tipo di educazione che
persegue. La stanza ci parla e si racconta. Da pochi elementi si può capire la
libertà concessa ai bambini di usare l’aula come se fosse uno spazio proprio,
luogo di conoscenza e apprendimento. Si percepisce facilmente perciò se la
stanza è impostata e intesa come uno spazio laboratoriale. Non è da
sottovalutare l’importanza di avere a disposizione una stanza come laboratorio
dove si possa fa lavorare mani e corpo e mente. I bambini hanno la necessità di
scoprire il mondo tramite il contatto delle proprie mani, perché quell’esperienza
così diretta e ravvicinata è l'unica che può fissare realmente la conoscenza
delle cose.
II fare, nella scuola, dovrebbe avere per oggetto la maggior quantità
possibile di cose. Fare significa interpretare la scuola come un laboratorio
permanente, come un luogo in cui materiali e idee sono fortemente e
continuamente in relazione. Questo concetto è molto vicino al fare e pensare
proposto nei Programmi Ministeriali del 1985, questo collegamento è facilmente
realizzabile se si accettano attività di laboratorio come viene sostenuto nelle
Indicazioni Nazionali, purtroppo però la realtà scolastica spesso è un’altra.
Abbracciare questo metodo attivo non rivela soltanto la volontà del docente di
rendere piacevole l'apprendimento, di semplificarlo e renderlo più comprensibile
e diretto. “Nella scuola cosa accade?” È così che inizia un paragrafo del libro
“La mano e la mente” di Borin: il fare, la manualità, l’esperienza spesso nella
scuola non trovano il degno spazio che meriterebbero. Ad esempio lo spazio
dei laboratori (portatori di esperienza) nell'ambito educativo e formativo
rappresenta un’occasione che spesso non viene colta fino in fondo. “Quello
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dell'esperienza laboratoriale è un terreno su cui malvolentieri si cimentano i
costruttori del pensiero pedagogico; è un terreno che, dopo il forte impulso
dell'attivismo, necessiterebbe di riflessioni”16. Secondo Borin l’uso del
laboratorio potrebbe essere la chiave di svolta: bisognerebbe iniziare a vedere il
laboratorio come punto centrale dell'apprendimento, la tecnica attraverso cui
coinvolgere e recuperare l’interesse del bambino. Purtroppo però si tende
ancora ad un modello trasmissivo della cultura che prescinde dall’esperienza
autonoma.
Il punto di partenza è sicuramente quello di chiarire una volta per tutte il
significato della pratica laboratoriale: “Anche laddove si parli di pratica dei
laboratori sarebbe interessante verificare, un po’ più da vicino, che cosa si
intenda effettivamente con questa espressione. Ho sentito più di una volta
definire laboratorio una situazione nella quale, semplicemente, si potevano
manipolare oggetti, strumenti o materiali, ma in un contesto di assoluta
dipendenza organizzativa e di pensiero dei bambini rispetto all’insegnante”17.
Aggiunge l’autore che se questo vuol dire fare laboratori allora nella scuola
italiana ne vengono fatti molti: se semplicemente mettere in mano un semplice
attrezzo, o materiale significa fare scuola attiva, si può dire che una buona
percentuale di insegnanti lo stanno già facendo.
Borin sostiene anche che il luogo prediletto in cui il laboratorio, come
forma di attività che consente la realizzazione dell’apprendimento tramite
l’esperienza, può realizzarsi è la scuola a tempo pieno: un tipo di scuola che
contiene in sé i presupposti di una formazione e di un apprendimento fondati
sulla costruzione del sapere in virtù dell’esperienza diretta. Costruire una
pedagogia basata sui laboratori però non vuol dire abbandonare i bambini a
loro stessi e a un’esplorazione caotica e inconcludente. Lavorare per laboratori
non significa neanche perdere tempo a elaborare e scoprire quello che i
bambini già hanno scoperto e quindi che già sanno. Il bambino si deve mettere
in gioco e per farlo servono attività che hanno una certa continuità, certi 16 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.58 17 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.59
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obiettivi, un certo metodo. Questa sicurezza può essere data soltanto dagli
insegnanti.
Borin aggiunge che dietro all’utilizzo errato delle attività laboratoriali ci
stanno alcune dimenticanze: “ci si dimentica del fatto che ciò che non viene
portato avanti con dedizione e convinzione è destinato ad essere imperfetto.
Forse ci si dimentica anche che l’esplorazione del mondo attraverso
l’esperienza tattile, incanalata in attività che ne facilitino lo svolgimento e la
comprensione, perde il suo significato se ridotto a un passatempo studiato per
rinforzare certi apprendimenti già proposti alla mente in una lezione frontale”18.
In questi casi ci si dimentica che ci rivolgiamo a bambini non lontani dall’età
nella quale ancora scoprivano il mondo giocando e attraverso il proprio corpo.
Come dice la Hoffman che dedica un intero libro alla didattica dei laboratori, è
“impossibile non rimanere affascinati per chi lavora nella scuola da quanto
diceva Dewey: egli vedeva l’introduzione dei laboratori nella scuola come
qualcosa che avrebbe potuto contribuire notevolmente a trasformare la scuola
della passività”19.
Per molte scuole il non avere un laboratorio di scienze rappresenta una
scusa per non trasformare niente nella didattica della disciplina e dall’altra parte
averlo non sempre è sinonimo di cambiamento. Spesso l’uso di laboratori
presenta delle difficoltà oggettive per le classi che ne devono usufruire. Ci sono
dei limiti di giorni, di orari, di organizzazione degli strumenti in un ambiente che
non è di una sola classe. Un grosso limite è proprio quest’ultimo: non è
possibile che ciascuna classe lasci in quell’ambiente le proprie tracce,
esperimenti in sospeso, appunti…
Se nella classe già si lavora secondo una didattica laboratoriale
improntata sul fare allora i bambini troveranno utile il luogo del laboratorio.
Accade spesso che nel laboratorio emergano capacità che in classe erano
rimaste nascoste perché in genere in laboratorio si va in gruppi, si manipolano
oggetti (anche se ciò non è sempre scontato). 18 Ibidem, p.61 19 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000.
42
4. L’importanza dell’esperienza nell’insegnamento delle scienze
Dall'osservazione e registrazione di attività scientifiche svolte per circa
dieci anni dalla Hoffmann con bambini della scuola primaria e particolarmente
del primo ciclo (sei-otto anni), risulta che essi, se posti in situazioni in cui hanno
la possibilità e sono stimolati a fare esperienze, ragionare, riflettere in maniera
autonoma e confrontarsi liberamente, non chiedono tanto il perché delle cose
che accadono ma piuttosto desiderano mettere alla prova la realtà , “voglio
vedere cosa succede se…”. C'è, quindi, un momento o un modo di rapportarsi
al mondo che la Hoffman definisce esplorativo: è sicuramente presente nei
bambini dell'età scolare ma probabilmente lo si può ritrovare anche prima
(basta pensare ai diversi giochi dei bambini piccoli o a come trattano gli stessi
giocattoli) e, sicuramente, continua a essere presente anche a livello adulto.
“Un tempo molto più lungo di quello comunemente consentito dovrebbe essere
dedicato a un lavoro esplorativo, chiamatelo gioco se volete, ma io lo chiamo
lavoro, libero e non guidato. Ai bambini verranno dati materiali ed
equipaggiamenti, cose, ed essi avranno il permesso di costruire, provare,
sondare e sperimentare senza che vi si sovrappongano domande e istruzioni.
Questa fase la chiamo fase zero del Pasticciamento...” 20.
Quando, dove, come, con che cosa è consentito “pasticciare” ai bambini
nella scuola? I bambini hanno poche possibilità a riguardo. La scuola dovrebbe
permettere, anzi, direi favorire il pasticciamento, e non solo perché questo
contatto con la realtà fisica è il presupposto per ogni effettiva conoscenza delle
cose e dei fenomeni, ma anche perché attraverso questo gioco-lavoro di
esplorazione i! bambino porta nella scuola lutto ciò che ha già imparato, il suo
modo di guardare al mondo, le sue capacità.
E allora, quando, dove e con che cosa possono pasticciare i bambini dal
momento in cui mettono piede in un'istituzione scolastica? Di fatto, nella
maggior parte dei casi, la situazione della scuola italiana si presenta come
suggerisce anche la Hoffmann: 20 . HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000.
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- difficilmente la realtà da esperire va al di là delle mura dell'aula o, nel
migliore dei casi, del cortile o del giardino;
- i materiali, le cose, messe a disposizione dei bambini consistono in
oggetti di cancelleria;
- l'acqua la si trova soltanto nei bagni e la si usa solo per lavarsi nei modi
e nei tempi stabiliti;
- la terra è vista come una insana occasione per sporcarsi;
- gli animali in classe non ci stanno
- arnesi quali forbici, chiodi, martelli ecc., sono visti quali occasioni inutili di
pericolo per i bambini;
- il fuoco... ma siamo matti!
- pile, calamite... a che servono?
- e potrei continuare.”
Il fare scienze in tali condizioni è pressoché impossibile: fortunatamente molte
cose dagli anni in cui scriveva la Hoffman sono cambiate. Essa sostiene che nel
tempo, per intere generazioni si è tramandato un approccio alla scienza di tipo
scolastico-libresco, dove certamente il fare esperienza non era considerato
molto necessario. Sui libri si trova scritto com'è fatto e come funziona il mondo.
Addirittura, nella scuola italiana passata, l’insegnamento delle scienze appariva
solo a partire dalla classe terza, cioè a partire dal momento in cui la scienza era
trattata nei sussidiari. Quale idea di scienza era nascosta dietro a questa
scelta? In questi ultimi anni si dice invece che l'educazione alla scienza deve
cominciare presto, fino dalla scuola dell'infanzia: che cosa è cambiato? Cosa
c’è dietro a questa scelta?
Si può pensare alla scienza in modi diversi dice la Hoffman e ce ne
suggerisce due che mi sembra hanno importanti ripercussioni sul piano della
didattica.
Come ho detto, c'è la scienza scritta sui libri. Possono essere manuali più o
meno complessi, adattati per bambini o per ragazzi ma, di fatto, essi sono
costruiti con il medesimo intento: “esporre i risultati ai quali la scienza è
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pervenuta e togliere, con gli esperimenti esemplari, ogni sorta di dubbio sulla
loro validità”21. Questa scienza, è la scienza codificata.
Ovviamente dal lato opposto del metodo libresco ci sta la scienza intesa come
esperienza: il bambino scopre e poi studia, il bambino prova per trarre delle
conclusioni, il bambino fa mentre pensa…
Già, il binomio fare-pensare sostenuto anche nei vecchi Programmi del
1985 dava molti spunti per un insegnamento volto all’esperienza: non è
possibile scindere le due cose.
Le posizioni degli insegnanti rispetto al fare vanno dall'estrema fiducia
nella capacità formativa alla completa svalutazione della stessa. Nel campo
dell'educazione scientifica, si va dal ritenere che basti far manipolare le cose ai
bambini perché essi si impadroniscano dì informazioni, alla posizione inversa,
per cui il fare e specialmente quello concreto e manipolativo, è visto solo come
una perdita di tempo e può essere utilmente sostituito dal parlare di o su le cose
che interessano. Anche nelle scuole dove si svolgono attività sperimentali, una
buona parte del lavoro scolastico relativo all'educazione scientifica si risolve nel
parlare di, sostiene l’autrice.
5. La ludoteca scientifica di Pisa: basare la fisica sull’esperienza
Come ho già detto, spesso nelle nostre scuole insegnare scienze
significa servirsi dei manuali, leggerli ad alta voce magari in classe.
L’insegnamento è soprattutto manualistico, poco sperimentale il più delle volte,
poco riflessivo in genere. La scienza e la fisica, a mio avviso andrebbero
vissute, ed è su questa idea che ho improntato il mio progetto: per capire
bisogna fare.
In particolare porto l’esempio della Ludoteca Scientifica di Pisa, non a
caso. Questa iniziativa che si ripete ogni anno, realizza a pieno la teoria 21 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000, p. 62
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dell’esperienza. Mi spiego meglio. I bambini seguiti da esperti possono
avvicinarsi alla fisica nel modo più naturale che esiste, attraverso l’esperimento.
Non a caso la parola esperimento ed esperienza hanno la solita radice iniziale.
Lo slogan della ludoteca è “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio
capisco”. Si mette un bell’accento anche qui sul fare a testimonianza della
veridicità di ciò che ho sostenuto fino ad adesso. A questo punto mi viene
naturale sottolineare in particolar modo le parole usate che sottendono
importanti concetti: se un bambino ascolta solamente la percentuale che quello
che ha sentito venga dimenticato velocemente o neppure sentito. Come ho già
detto parlare sulle scienze e sulla fisica non è molto produttivo. Che cosa
bisogna fare allora? Il secondo verbo usato è vedere: si sale di uno scalino,
tramite il vedere qualche concetto rimane nella nostra mente ma è solo
attraverso il fare che possiamo, che i bambini in particolare, possono veramente
capire e quindi definitivamente apprendere. Ciò avviene nella Ludoteca, da
notare anche la scelta emblematica del nome e dell’accostamento con la parola
scientifica, in modo naturale attraverso il laboratorio su cui non mi dilungherò
ancora visto che ho dedicato un intero paragrafo al valore di tale pratica.
La Ludoteca scientifica è una collezione di giochi (ciò spiega il nome) e
strumenti creati per riprodurre gli esperimenti che hanno fatto la storia della
scienza e degli scienziati. Attraverso il divertimento e il gioco i bambini
imparano a conoscere e a comprendere la scienza. Ogni visitatore si cimento
negli esperimenti, tenta di dare delle spiegazioni e comprende in profondità
quanto utili e importanti siano il sapere scientifico e le sue implicazioni ed
applicazioni nella nostra vita quotidiana. “La strada che la LuS propone per
conoscere la scienza è ispirata direttamente alla lezione di uno dei più grandi
scienziati dell'umanità, Galileo Galilei: è sciocchezza cercar filosofia che ci
mostri la verità di un effetto meglio che l'esperienza e gli occhi nostri". I giochi
che grandi e piccoli incontrano sono stati ideati per stimolare il gusto dell'
osservazione e dell'immaginazione, il desiderio di capire, il piacere di cercare e
trovare delle risposte sulla base dell'esperienza vissuta e delle deduzioni
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logiche. Gli strumenti sono dunque tutti semplici e divertenti, accessibili ma mai
banali.
6. Al di là dell’esperienza…
6.1… dalla conoscenza di senso comune alla conoscenza scientifica
Uno dei temi di base affrontato nel campo delle ricerche in didattica della
fisica in particolare, è quello relativo alla complessità del rapporto che si crea a
scuola fra la conoscenza individuale di ogni allievo e la conoscenza disciplinare
rispetto ai diversi fenomeni che sono oggetto di studio.
“Per conoscenza individuale intendiamo quell'insieme complesso di modi di
guardare, vedere, pensare, ecc, che ogni individuo possiede come eredità
culturale trasmessagli fin dall'infanzia e come costruzione personale per dare
senso alla realtà che lo circonda e per intervenire su di essa. Partendo
dall'assunto che la conoscenza scientifica viene costruita mediante continue
ristrutturazioni e strutturazioni di idee, concetti, schemi e strategie di
ragionamento, modi di guardare, vedere, fare, comunicare, ecc” 22
Con il termine educazione scientifica Tommasini intende quindi
quell'insieme, complesso, di attività volte alla costruzione di un sempre più
ampio sistema di interazione cognitiva del soggetto con il mondo che lo
circonda, a partire dai fenomeni dei quali egli ha esperienza quotidiana. In
questa prospettiva, compito specifico della scuola, da quella dell'infanzia alla
secondaria superiore, dovrebbe essere quello di organizzare ed attuare “attività
tali da sollecitare lo studente ad elaborare strategie cognitive sempre più
orientate a quelle peculiari della conoscenza disciplinare e,
contemporaneamente, ad acquisire la consapevolezza del loro significato e del
loro ruolo nel contesto della struttura della disciplina”23.
22 N. TOMMASINI, Educazione scientifica e cambiamento concettuale:un campo di ricerca nella didattica della fisica, pubblicato sul mensile “La didattica”, numero di dicembre 1994, p. 100 23 N. TOMMASINI, Educazione scientifica e cambiamento concettuale:un campo di ricerca nella didattica della fisica, pubblicato sul mensile “La didattica”, numero di dicembre 1994, p. 101
47
A questo riguardo appare emblematica la frase di David P. Ausubel che
sostiene che bisogna scoprire quello che l'allievo conosce già e organizzare di
conseguenza l’insegnamento. Tale operazione non è né facile né dì sicuro
successo e richiede strumenti e competenze appropriate, anche perché la
caratteristica di base delle idee spontanee degli studenti è quella che tali idee
sono estremanente tenaci e resistenti al cambiamento. Il contributo di D.
Ausebel è davvero importante: secondo la sua teoria di apprendimento
significativo ciascun individuo organizza e struttura la propria conoscenza,
organizzandola come una struttura di concetti specifici. In questo quadro
l’apprendimento si lega alle conoscenze già possedute dallo studente,
attraverso cui egli rielabora e organizza la realtà circostante. Inoltre l’autore
distinse un apprendimento meccanico e uno significativo. Attraverso
l’apprendimento significativo il discente può collegare conoscenze nuove a
concetti pertinenti, che egli già possiede nella sua struttura cognitiva, per
questo Ausubel affermò che il principio fondamentale dell’apprendimento era
“Scopri quello che l’allievo conosce già e organizza di conseguenza il tuo
insegnamento”24. Un altro aspetto su cui l’autore si sofferma è legato ai
preconcetti. Questi assumeranno una certa rilevanza, nello studio di una data
materia, in quanto verranno introdotti dagli alunni stessi nel compito di
apprendimento: il fatto che il bambino basi le nuove conoscenze su quelle che
già possiede, implica il fatto che possono essere preconcetti o concezioni
erronee. Lo studioso evidenzia questo problema nella consapevolezza di
quanto queste ipotesi potessero essere “… sorprendentemente tenaci e
resistenti all’eliminazione…” e di come il loro sussistere potesse essere
“determinante nell’acquisizione e ritenzione delle conoscenze in una data
materia”25. Basare i nuovi concetti su preconcetti limiterà nei bambini la
possibilità di un apprendimento significativo.
Un altro contributo fondamentale per chiarire ancora il ruolo del senso
comune nell’educazione scientifica di base emerge alla fine degli anni ’70 dal 24 D.P. AUSEBEL, Educazione processi cognitivi, Franco Angeli editore, Milano, 1983 25 ibid
48
“Gruppo Università-Scuola”26. Gli studiosi che componevano il gruppo avevano
individuato alcuni presupposti di base su cui l’educazione nella scuola italiana,
in particolare l’educazione scientifica si doveva basare:
- su obiettivi formativi di rinnovamento pedagogico e didattico capaci di
formare tutti su di un piano di effettiva uguaglianza e di garantire fin
dall’inizio del curricolo scolastico le acquisizioni più opportune per
favorire lo sviluppo d’individui capaci d’intervento autonomo e critico sulla
realtà.
- Su obiettivi che sviluppassero nei bambini un atteggiamento scientifico
attraverso l’indagine diretta e personale
Il gruppo di lavoro pose l’accento sulla necessità che la scuola potenziasse la
sua efficacia, fornendo a tutti strumenti cognitivi validi, per rendere un individuo
autonomo. La dimensione cognitiva venne identificata come il principale
interesse dell’azione educativa e la sua integrazione con altre dimensioni dello
sviluppo (ad esempio affettiva, ludica, sociale…) venne considerata come
principale guida metodologica.
Sulla base di tali premesse, il gruppo di lavoro si è soffermato a riflettere
sulla conoscenza e su i “…tre mondi corrispondenti a modi sostanzialmente
differenti di vivere l’esperienza tipicamente umana della conoscenza”,
esaminando inoltre “…le caratteristiche della conoscenza comune… e della
conoscenza scientifica” 27. Nella prospettiva da loro sostenuta, la conoscenza
comune assume un ruolo essenzialmente sociale: è l’esperienza in base alla
quale si acquisiscono competenze. Da essa attraverso i secoli, si è formata la
conoscenza scientifica: questa si differenzia per essere basata sul metodo
scientifico ossia sull’osservazione sistematica di fenomeni naturali che porta
alla formulazione di teorie verificate grazie all’esperienza. Questo passaggio è
avvenuto nei secoli nella mente di alcuni. Come osserva Guidoni28, il processo
di conoscenza nel bambino ripercorre il modo in cui si è sviluppata la scienza
26 Gruppo composto da ricercatori universitari di varia provenienza: fisici, biologi , pedagogisti e alcuni insegnanti di scuola primaria. 27 GRUPPO UNIVERSITÀ SCUOLA, L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze, 1979 28 Uno dei componenti del gruppo di lavoro Università-Scuola
49
stessa. Per capire meglio il significato di tale affermazione riporto questa
citazione utile per comprendere: “… molti studi, relativamente recenti, di
psicologia dello sviluppo tendono a metter in evidenza come, nei primissimi
anni di vita del bambino, ci si trovi di fronte a un’esperienza conoscitiva con
aspetti di tipo sostanzialmente magico, solo gradualmente e faticosamente
superati nell’interazione convergente con il conoscere adulto (attraverso il
linguaggio) e con i dati di fatto (attraverso esperienze sempre più articolate)” 29.
I bambini nei primi sei-sette anni di vita tendono a creare schemi e
rappresentazioni della realtà basate sull’immaginazione. I bambini spiegano i
fenomeni osservati e sperimentati attraverso concezioni magiche e irreali, solo
successivamente saranno in grado di rielaborare i fenomeni in uno schema
logico in maniera razionale e scientifica.
Per un insegnante, soprattutto di scienze, sarà importante aver presente
e saper distinguere nel processo di apprendimento tra conoscenza di senso
comune e conoscenze scientifiche. Come ho già detto precedentemente
quando il bambino entra a scuola ha già una propria conoscenza dei fenomeni
della realtà che lo circonda data dalla sua personale sperimentazione: le
esperienze che ha condotto hanno fatto si che egli fosse in grado di costruirsi
ed elaborarsi un proprio sapere. Questo bagaglio di conoscenze spesso sono
molto radicate in ogni bambino e spesso al momento di un avvio
all’insegnamento scientifico può succedere che entrino in collisione con le teorie
proposte dall’insegnamento scientifico e ne ostacolino un apprendimento
efficace. La conoscenza scientifica è determinata si dal bambino ma risente
anche dell’ambiente culturale in cui egli è inserito: in una classe quindi saranno
presenti diverse “conoscenze di senso comune”. In ambito didattico e educativo
è indispensabile per far si che queste conoscenze e le conoscenze scientifiche
si incontrino partire proprio dalle prime. La conoscenza comune dai più viene
considerata un gradino sotto la conoscenza scientifica come mancante di
qualcosa, esso costituisce il non scientifico, il non razionale.
29 GRUPPO UNIVERSITÀ SCUOLA, L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze, 1979
50
6.2… Il ruolo dell’insegnante
La figura dell’insegnante per un bambino ha una chiara valenza emotiva:
da entrambe le parti ci deve essere rispetto e collaborazione. Queste due
semplici parole rappresentano la base per iniziare un rapporto di fiducia e di
apprendimento. Il docente guida il bambino verso lo sviluppo attraverso ciò che
è e ciò che propone. Per raggiungere gli obiettivi prefissati deve innanzitutto
creare un buon ambiente d’apprendimento dove i bambini non si sentano
giudicati e siano messi in grado di portare se stessi senza paure. In classe ci
deve essere armonia. Solo su queste basi si potrà impostare un lavoro
disciplinare che conduca a ottimi risultati.
Nell’ambito poi dell’insegnamento scientifico si deve fare ancora maggior
attenzione nella parte progettuale: si deve tener conto delle conoscenze di
senso comune di ognuno e partire dall’esperienza per ampliare o correggere il
bagaglio conoscitivo dei bambini. Partire dall’esperienza e dalla conoscenza di
senso comune significa anche partire, o quanto meno cercare di farlo, dagli
interessi dei bambini, organizzare esperienze di laboratorio dove i bambini
fanno è compito dell’insegnante. In questo caso l’insegnante osserva, guida,
indirizza le attività per ottenere un apprendimento fruttuoso. L’insegnante non
deve incoraggiare la passività, né quella propria né quella dei suoi allievi:
l’insegnante non può pensare di strutturare delle attività lasciando liberi i
bambini di fare poiché anche nelle attività laboratoriali i bambini hanno bisogno
di una guida, di un punto di riferimento, di attività con un inizio e una fine, con
degli obiettivi da perseguire dove non c’è niente lasciato al caso.
Buona abitudine da parte degli insegnanti, è chiedersi sempre perché si
vuole sviluppare un certo argomento o si intende portare avanti un determinato
lavoro. che cosa vorrei rimanesse nei bambini dopo che abbiamo lavorato in
questo modo o abbiamo affrontato tale argomento? Perché penso sia
necessario procedere in questo modo?. È importante quindi che l’insegnante
51
abbia fin dall’inizio molto chiare le sue intenzioni, che sappia dove vuole
arrivare perché non c’è cosa più negativa di una programmazione inefficace...
Gli insegnanti spesso sono molto preoccupati di far acquisire nozioni
piuttosto che di far fare esperienze: tutto sembra ridursi a quattro cinque
argomenti che vengono inseriti nella programmazione. I tempi e la cura che si
dedica a essi è ridotta ai minimi termini, in particolare ciò si nota maggiormente
nell’insegnamento delle scienze a cui vengono dedicate soltanto due ore
settimanali. Questi pochi argomenti vengono poi ripresi dai libri di testo. Molti
autori che ho inserito nella bibliografia individuano una serie di limiti
all’insegnamento basato sui manuali. Il più volte l’insegnante non sceglie gli
argomenti adattandoli in base ai bambini che ha di fronte ma segue il libro di
testo. Il libro incute sempre un po’ di ansia negli insegnanti che hanno
l’esigenza a tutti i costi di svolgere un certo programma, certi argomenti
secondo scadenze e tempi determinati. Il docente facendo così induce a
banalizzare le scienze e a dare un’idea sbagliata delle stesse.
L’insegnante dovrebbe, a mia parere, selezionare gli argomenti da affrontare
con la classe che:
- sono essenziali rispetto alla disciplina
- sono particolarmente significativi per i bambini in quanto rispondono ai
loro interessi
- sono di estrema attualità
- sono adatti a tradursi in pasticciamenti (vedere teoria di Howkins)
- sono occasioni per discutere, confrontarsi, accrescere le proprie
conoscenze..
Non solo per un insegnante è importante nelle scienze la scelta dei contenuti
ma sicuramente anche quella del metodo. Tale scelta deve essere coerente
con gli obiettivi che si vogliono perseguire; perciò non c’è una scelta unica ma il
metodo con cui approcciarci a diversi argomenti può variare ogni volta: in un
caso sarà utile una lezione frontale, una attività a gruppi, un esperimento…
52
6.3…la motivazione come base per l’insegnamento
Nel testo Insegnamento scientifico nella scuola di base a cura del
Gruppo Scuola-Università si dedica un intero capitolo al tema della motivazione.
Anche nella parte dedicata al progetto riprenderò tale concetto perché mi
sembra indispensabile parlarne se si considera il processo di apprendimento.
“Spesso a livello pedagogico e didattico, c’è una notevole ambiguità nell’uso del
termine motivazione. Si parte infatti da una constatazione molto valida e molto
ovvia”30, ogni attività di apprendimento deve essere motivata, deve partire da un
bisogno, da un interesse perché possa tradursi in un vero apprendimento.
Gli studiosi hanno dato due possibili definizioni di motivazione: la
motivazione come fonte interna di energia, alimentata in vari modi, che sollecita
e mantiene viva l'attività di ricerca e di apprendimento; la motivazione come
punto di partenza di una indagine o di un qualche altro tipo di lavoro, e quindi lo
spunto, più o meno occasionale, da cui prende origine un’attività didattica di un
singolo o di un gruppo.
È utile sempre secondo il punto di vista degli autori, aggiungere anche un terzo
impiego del termine motivazione che talvolta viene confuso con gli altri due: la
motivazione intesa come atto di nascita di un problema, quindi come
problematizzazione.
Vediamo meglio ognuno di questi significati che il gruppo ha attribuito:
- la motivazione come problematizzazione: La capacità di porsi problemi,
la disposizione a sapersi interrogare, è indubbiamente indispensabile
perché possa prendere inizio un'attività di indagine, perché !e esperienze
che su di essa si fondano siano sensate. Questo principio già trovato
nella teoria dell’indagine di Dewey è uno degli aspetti più importanti nella
metodologia della ricerca, Dewey stesso individua l’origine di qualsiasi
indagine scientifica nella presenza di una situazione problematica
- la motivazione come punto di partenza: durante il tempo scolastico di
motivazioni come punti di partenza capita di incontrarne molti. Si tratta 30 AA. VV., L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 217
53
appunto di come cominciare un nuovo lavoro, e per fare questo possono
essere utilizzati spunti molto semplici senza tanto lavoro dietro come ad
esempio l’osservazione di un fenomeno in classe, l’ombra che si sposta,
l’acquario che è diventato verde. Di, queste motivazioni ce ne possono
essere molte durante il tempo scolastico, e talvolta saranno raccolte e
portate avanti dall’insegnante come veri spunti e veri punti di partenza
per ulteriori approfondimenti pratici e teorici. Però le attività non possono
sempre scaturire dalle motivazioni come punti di partenza spontanee e
fare dell’insegnante un semplice ricettore. Ciò può creare un grosso
pericolo: “lasciare in balia ancora di più i bambini dei condizionamenti
personali e ambientali già ricevuti” (Gruppo scuola università).
- la motivazione come energia psichica: è il caso in cui si parla di
motivazione, con una maggiore aderenza all'origine psicologica del
termine: “la motivazione, cioè, definisce l'energia psichica necessaria
affinché si voglia (e non solo si possa o si sappia) svolgere un'attività,
procedere in un apprendimento, impegnarsi in uno studio o in un lavoro”
(Gruppo Università scuola). Questo avviene quando si dice che
un’attività è motivata: i bambini siano impegnati con la giusta energia per
portarla avanti. Molte delle cose che noi facciamo sono motivate. Nel
contesto dell’insegnamento è certa la presenza di motivazioni, perché
queste ci sono sempre. È usuale per quanto riguarda il rapporto tra
motivazione e apprendimento distinguere tra motivazioni intrinseche e
motivazione estrinseche. Le ultime includono tutta la gamma di motivi,
esterni all'attività di apprendimento, che spingono però i bambini a
studiare, ad agire, ad apprendere: le motivazioni sociali (lo fanno gli altri
e voglio essere come loro); quelle affettive (cosi mamma e papa mi
vogliono bene); quelle legate alle ricompense esterne (il buon voto,
l'approvazione dell'insegnante, il passaggio alla scuola superiore, il
futuro accesso ad una migliore carriera professionale); quelle legate al
bisogno dell’autorealizzazione. e così via. In relazione all'apprendimento
motivazioni intrinseche, cioè interne alla stessa attività che si svolge,
54
sono quelle cosiddette cognitive: si osservano fenomeni perché si vuole
comprenderli, si studia perché si ha desiderio di conoscere di più, si gira
una nuova città con la curiosità di scoprirla. Curiosità, interesse a sapere,
desiderio di conoscere, aspirazione a divenire più competenti nella
manipolazione di strumenti manuali e intellettuali: tutto ciò rientra
nell’ambito delle motivazioni conoscitive, che hanno il vantaggio di non
dipendere dall'approvazione, dal premio, dall'intervento o dalla presenza
di altri, facendo in modo che l'attività conoscitiva (o espressiva, o
manipolativa o qualunque essa sia) sia fatta per se stessa, per quello
che è, per il gusto di farla, dì capire come stanno le cose.
Terzo capitolo
I PROGRAMMI MINISTERIALI DEL 1985 E LE INDICAZIONI NAZIONALI DEL 2003 A CONFRONTO
Il punto di riferimento per ogni insegnante è costituito dai Programmi. In
questo paragrafo analizzerò, grazie al supporto di alcuni testi, i due diversi
contributi dei Programmi Ministeriali del 1985 e le nuove Indicazioni Nazionali
per i Piani di Studio Individualizzati del 2003. Il mio obiettivo è quello di
individuare lo spazio, che in entrambi viene dedicato alle scienze, facendo
particolare attenzione agli elementi di fisica inseriti nel percorso.
1. Excursus storico
55
I Programmi del 1905, conseguenti alla Legge 8 luglio n°407 di
prolungamento dell’obbligo scolastico promossa dal ministro Orlando,
prevalentemente influenzati dal pensiero del filosofo Francesco Orestano,
prevedevano una prova d’esame per l’Attestato di Compimento del corso
elementare inferiore in terza classe, che comprendeva nell’ordine, come prove
scritte: componimento italiano, scrittura sotto dettato, calligrafia, problema di
aritmetica; come prove orali: lettura, spiegazione del passo letto, richiami alle
nozioni di grammatica, aritmetica, diritti e doveri e storia e geografia, unite nella
prova d’esame, ma separate come materie d’insegnamento e nella valutazione
all’interno della pagella; come prova pratica: lavori donneschi (per le scuole
femminili). Le “scienze”, non contemplate fra le prove d’esame, compaiono fra
le materie d’insegnamento solo nelle classi terminali, così accorpate: scienze
naturali e fisiche, igiene e nozioni varie.
La Riforma Gentile del 1923, opera interventi strutturali in tutto il sistema
scolastico, nei Programmi didattici per la scuola elementare, legati all’opera
pedagogica di Giuseppe Lombardo Radice, si registra un cambiamento che,
anche se all’apparenza di poco conto, di fatto sancisce la prima separazione
delle nozioni varie, impartite nelle classi prima, seconda e terza, da scienze
naturali, fisica e igiene, dizione a breve sostituita da scienze fisiche e naturali e
nozioni organiche d’igiene, materia d’insegnamento a partire dalla quarta
classe.
Nel periodo fascista il numero delle materie è incrementato ed è portato a
sedici voci, viene introdotta la cultura fascista abbinata alle nozioni varie nei
primi tre anni ed alla storia in quarta e quinta, niente varia per quanto riguarda
le scienze.
I Programmi del 1945, con il commissario per l’istruzione pubblica del
governo alleato Carleton Washburne, sono connotati dall’attivismo pedagogico
deweyano. Portatori di radicali cambiamenti rispetto alla scuola reale e, ,
distanti dalla tradizione culturale italiana, saranno oggetto di una strisciante
“neutralizzazione” e sostanzialmente disattesi. Le discipline vengono
drasticamente ridotte a nove, si possono leggere apprezzabili cambiamenti e
56
nell’ordine in cui sono trattate e nella loro denominazione e nel loro
abbinamento. Storia e geografia sono per la prima volta unite, in quanto viene
riconosciuta una loro intrinseca interdipendenza, è adottata la dizione
semplificata scienze e igiene conservando alla materia spazio autonomo,
purtroppo una sua valutazione in pagella è prevista solo a partire dalla classe
terza, scompaiono definitivamente le nozioni varie. I programmi Washburne
saranno sostituiti ad appena dieci anni dalla loro introduzione.
Al contrario il D.P.R. n° 503, programmi del 14 giugno del 1955, complice
la sostanziale non prescrittività che lo ha connotato come strumento flessibile a
disposizione dei docenti, vanta un’eccezionale longevità ed una pacifica
convivenza con il nuovo, introdotto negli anni in modo deciso anche se
parcellizzato. Le scienze perdono il loro status di disciplina singola e sotto la
dizione storia, geografia e scienze vengono a costituire la così detta terna delle
materie orali, impartite solo nel Secondo Ciclo; terza, quarta e quinta.
2. I Programmi Ministeriali del 1985
I Programmi Ministeriali per la scuola elementare del 1985, segnano una
svolta rilevante rispetto all'impianto culturale, fondamentalmente umanistico dei
precedenti. La contrapposizione fra le "due culture", quella umanistica e quella
scientifica, sembra superata. Nelle premesse generali si legge: "La scuola
elementare (...) realizza il suo compito specifico di alfabetizzazione culturale (...)
(promuovendo) l’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e un primo
livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità
d'indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale e artificiale".
Dopo una parte introduttiva in cui si esplicitano caratteristiche e fini della scuola
si descrivono i concetti di programmazione e valutazione e si prende in
considerazione l’esigenza del rispetto del potenziale del bambino, si passa alla
divisione dei diversi percorsi scolastici secondo la netta divisione per discipline.
57
Ciò che a me interessava, come precedentemente ho già spiegato, era
verificare quanto spazio viene dedicato alle scienze, quali attività vengono
proposte e se vengono fornite indicazioni pratiche.
Chi come me si è accostato alla lettura di vari autori che hanno scritto in
merito ai questi Programmi del 1985 si trova essenzialmente di fronte due
fazioni opposte. L’oggetto di discussione è una frase contenuta nel paragrafo i
Programmi che riporto di seguito: “per la prima volta, il programma prevede uno
spazio riservato all’insegnamento delle scienze, che consentirà una più
approfondita comprensione della realtà naturale ed umana e del mondo
tecnologico”. Alcuni autori tra cui Alberto Alberti31, sostengono che
l’affermazione secondo cui appunto in questi programmi per la prima volta è
riservato spazio alle scienze, non sia del tutto corretta. Per avvalorare la sua
tesi egli richiama alla memoria nel suo libro altri precedenti programmi “Senza
andare al 1888 e ai programmi del Ministro Borselli che già prevedevano ‘Fisica
e storia naturale’, ricordiamo che in quelli del 1945 figura un campo di
orientamento denominato Scienze e igiene e nei Programmi Ermini, unite alla
storia e geografia ci sono anche le scienze”32. Dall’altra però lo stesso Alberti,
riconosce che nel passato il titolo scienze compare di norma nel secondo ciclo
ed è sempre associato, più o meno ad altri oggetti di studio e aggiunge che “la
peculiarità di questo insegnamento non discende da un fondamento disciplinare
sicuro, non è ancorato ai concetti e ai metodi propri della scienza, ma si ispira
piuttosto alla dimensione psicologica dell’esplorazione e dell’avventura o tutt’al
più alla curiosità cognitiva episodica e a varie considerazioni di ordine pratico”33.
Alberti porta anche un esempio per spiegare meglio tale concetto. Egli dice che
il Ministro Baccelli nel 1894 riuniva insieme: tempo, corpo umano, spazio,
animali, piante, minerali, invenzioni, scoperte ecc., nello stesso capitolo
31 Alberto Alberti ha scritto numerosi saggi di pedagogia e di politica scolastica tra cui ad esempio La riforma della scuola elementare. Il modulo organizzativo (1990) 32 A. ALBERTI, Commento ai programmi della scuola elementare dopo la riforma, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 117 33 Ibid, p. 118
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speciale delle Nozioni varie, la cui trattazione era delegata al giudizio del
maestro.
Alberti finisce perciò per essere in parte d’accordo sull’affermazione
ricordata all’inizio perché i Programmi del 1985 costituiscono una svolta dal
punto di vista:
- formale, per cui le scienze vengono considerate una disciplina autonoma
e insegnate ad ogni livello di età
- sostanziale perché il discorso è saldamente radicato all’interno dei
principi che regolano la ricerca scientifica moderna
Il percorso che aveva portato la scuola italiana al riconoscimento del ruolo
chiave delle scienze, come ho presentato inizialmente, è stato lungo e non del
tutto omogeneo.
Il programma di Scienze individuato nei Programmi, merita per questo
una trattazione a parte. La struttura di tale parte è molto chiara ed esplicita. Si
inizia con un elenco di alcuni obiettivi fondamentali per poi arrivare agli obiettivi
e contenuti. Tale paragrafo a sua volta è diviso in altri sotto paragrafi che
corrispondono alle cinque categorie di attività elencate inizialmente e qui meglio
approfondite. La parte dedicata alle scienze si conclude con alcune indicazioni
didattiche.
Analizzando specificatamente il paragrafo che nei Programmi viene dedicato
alle scienze si riscontrano concetti particolarmente importanti e innovativi.
Innanzitutto si dice che la finalità generale dell’educazione scientifica è quella di
acquisire conoscenze e abilità che “ne arricchiscano la capacità di comprendere
e rapportarsi con il mondo e che, al termine della scuola dell’obbligo, lo (il
bambino) pongano in grado di riconoscere quale sia il ruolo della scienza nella
vita di ogni giorno e nella società odierna e quali siano le sue potenzialità e i
suoi limiti”. In questa parte introduttiva si indicano anche gli obiettivi
dell’educazione scientifica, definiti fondamentali:
- la prima categoria riguarda “gli atteggiamenti di base nei confronti del
mondo”. Il bambino deve sviluppare questi atteggiamenti di base nei
confronti del mondo che lo circonda ad esempio, il riuscire a porre
59
proprie domande, l’avere una certa intraprendenza inventiva soprattutto
per quanto riguarda la formulazione di ipotesi, il trovare criteri unitari per
la spiegazione di alcuni fenomeni, il considerare e rispettare le opinioni
altrui, confrontare le proprie idee con i fatti e trarre alcune conclusioni,
essere motivati all’osservazione e alla scoperta.
- Collegata alla prima, la seconda categoria riguarda le abilità cognitive. Il
bambino deve acquisire alcune abilità cognitive generali “quali, per
esempio, la capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi
costitutivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze e
schemi che consentono di prospettare soluzioni ed interpretazioni e, in
certi casi, di effettuare previsioni”. Inoltre a queste abilità se ne
aggiungono altre due non meno importanti: la capacità di formulare
semplici ragionamenti ipotetico-deduttivi e la capacità di distinguere ciò
che è certo da ciò che è probabile.
- La terza categoria evoca problemi di controllo razionale sulle stesse
procedure tecniche da impiegare, sullo svolgimento della ricerca, sulla
programmazione di itinerari sicuri fino ad arrivare all’impiego del
procedimento sperimentale. Perciò si richiede al bambino una crescente
padronanza di tecniche d’indagine tra cui quella di tipo osservativo sino
all’impiego del procedimento sperimentale in situazioni pratiche.
- Per ultimo viene indicato l’inscindibile rapporto tra il fare e il pensare che
le scienze devono portare avanti. Il fare viene inteso come “attività
concreta, manuale e osservativa”. Il fare perciò, viene considerato un
riferimento pressoché insostituibile di conoscenze. La realtà concreta
diventa il tribunale di verifica e scenario in cui si muovono le conoscenze
aprrese. Non serve un sapere astratto, la pura contemplazione del bello
e del vero ma serve una dimensione dell’impegno, in cui le conoscenze
vengono messe in gioco e messe alla prova
Tutti questi obiettivi, si dice nel testo dei Programmi Ministeriali, vanno
perseguiti innanzitutto con lo svolgimento di attività e l’acquisizione di
60
conoscenze che non esulano dal mondo e dai suoi aspetti fisici o biologici, nel
quale i bambini vivono.
In questa prima introduzione sembra essere sottolineata l’idea che ogni
“oggetto” può essere preso in considerazione e “studiato” ad ogni età. Ad ogni
livello di età, i bambini possono affrontare temi per i più considerati difficili
giungendo a gradi diversi di soluzione a analisi nel rispetto delle proprie
capacità e degli strumenti posseduti. Per questa ragione tra gli obiettivi
fondamentali dei Programmi non vengono riportate delle nozioni ma bensì delle
metodologie e dei comportamenti.
Da qui possiamo sottolineare l’importanza dei contenuti e delle attività; essi
non sono indifferenti al raggiungimento di quegli obiettivi. Infatti
successivamente il testo indica proprio, con un vero paragrafo gli obiettivi e i
contenuti che “devono prendere spunto da problemi relativi alla vita dei bambini
di ogni giorno”. Le attività di indagine nelle quali i bambini saranno coinvolti
serviranno ad acquisire conoscenze in merito:
- agli esseri viventi, compreso l'uomo, loro strutture e funzioni, nonché loro
interazioni e rapporti con l'ambiente;
- al mantenimento e alla difesa della salute;
- alla Terra e al suo posto nell'Universo;
- alla gestione delle risorse naturali;
- ai materiali e alle loro caratteristiche.
Alberti è molto critico e duro nei confronti di tale suddivisione. Egli afferma “il
paragrafo… si limita ad indicare sinteticamente, quasi come titoletti, sei oggetti
o campi di studio… successivamente, in poche righe accenna ad obiettivi
formativi sotto l’aspetto di procedimenti scientifici quali: osservare, misurare,
classificare, impostare relazioni, elaborare e interpretare dati, individuare e
separare variabili, e di capacità di farne consapevole impiego in situazioni
concrete, quindi passa a trattare delle attività raggruppate in cinque grandi
comparti tematici”34. Questa divisione in vari ambiti, si dice nel testo dei
34 A. ALBERTI, Commento ai programmi della scuola elementare dopo la riforma, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 120
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Programmi, facilita la loro utilizzazione da parte degli insegnanti, per poter
mettere a punto attività che verranno organizzate e svolte nelle classi con
diverso grado di approfondimento e in prospettiva interdisciplinare.
Alberti nel testo si sofferma anche nella spiegazione del perché di tale
impostazione “la singolarità di questa esposizione apparentemente squilibrata si
spiega probabilmente con il timore presente nella Commissione Fassino che
una eventuale lista di contenuti, poteva essere interpretata come una lista
obbligatoria e cioè come il reale curricolo di scienze, ufficialmente prescritto”.
Parlando di attività invece che di contenuti, si intende spostare l’attenzione
forse sul versante del fare e così “facilitare il compito degli insegnanti chiamati a
scegliere ad a organizzare, nella situazione concreta, gli argomenti costituenti il
curricolo da svolgere”35. Sembra si voglia fornire, come sostiene anche lo
stesso Alberti, un ventaglio di possibilità programmatorie molto ampio, come si
può vedere esaminando in breve i singoli punti proposti:
- ambienti e cicli naturali: questo raggruppamento suggerisce di fare
attività di esplorazione dell’ambiente naturale in cui si trova la scuola e in
collaborazione con geografia attività e osservazioni relative a fenomeni
geologici, qualità del terreno, alla situazione delle acque, al clima, alle
caratteristiche del paesaggio, alle piante, agli animali.
- Organismi. Piante, animali, uomo: in questo paragrafo vengono suggerite
attività di classificazione dei vari organismi. Dall’ osservazione
particolareggiata dei singoli esseri si arriva a distinguere le diverse parti
che compongono un essere vivente e i più evidenti rapporti tra struttura e
funzione. Così facendo I programmi invitano in una fase successiva a
mettere in risalto le caratteristiche comuni. Per quanto riguarda l’uomo
vengono proposte attività sull’anatomia e sui comportamenti. Importante
viene anche considerato il tema dell’ alimentazione.
- Uomo-natura: lo studio dell’intervento umano sull’ambiente è
strettamente collegato con i temi dell’area storico-geografica. Le attività
propongono in particolar modo l’osservazione delle modifiche dell’uomo 35 Ibid, p. 123
62
indotte sul paesaggio ad esempio le partiche agricole, industriali, gli
insediamenti. Si prendono in considerazione quindi sia aspetti negativi
sia quelli positivi offerti dalle nove tecnologie per la tutela dell’ambiente.
- Uomo-mondo della produzione. Si propone un progressivo
avvicinamento del bambino al mondo tecnologico, imparando a
conoscere prodotti e problemi annessi.
2.1 Fenomeni fisici e chimici
Questo paragrafo, che è il secondo dei cinque ambiti di studio proposti,
merita una trattazione a parte e più specifica perché in funzione del progetto
che ho realizzato a scuola, è quella che mi ha interessato maggiormente.
La fisica esplicitamente viene inserita nella vasta area delle scienze sotto il
titolo di fenomeni fisici. I nuovi programmi entrano particolarmente nel merito
dei fenomeni fisici quando propongono, concretamente e attivamente, l’esame:
- di singoli materiali
- del modo in cui si comportano quando si interviene su di essi
- di quel che succede quando si mettono insieme
- di problemi di separazione
- dei diversi stati della materia
- di giochi con specchi, luci, ombre, prismi
- di rumori e suoni
- di semplici circuiti elettrici
- di calamite
- di esperienze sul movimento e sull’equilibrio realizzate con oggetti di
forme diverse per affrontare i temi di velocità, variazione della medesima,
equilibrio, forza e baricentro
- del funzionamento di semplici apparecchi
A proposito di questo paragrafo c’è chi ne ha sottolineato la semplicità e
comprensibilità e la chiarezza con cui si rivolge ai docenti, limitando l’uso di
63
termini tecnici. Questo, secondo tali autori, non sembra essere il risultato di una
semplificazione ma l’invito ad uno stile di lavoro. “può essere divertente notare
che nel sottocapitolo viene citata nove volte la parola esperienze, cinque
osservazione e una sola volta concetti” 36. Anche nell’affrontare fisica e chimica,
i Programmi rinnovano l’impegno al fare, motivato nelle parti precedenti.
Nell’ultimo paragrafo dei Programmi vengono fornite alcune indicazioni
didattiche che posso riassumere in questo modo:
- gli argomenti anno per anno devono essere scelti dall’insegnante
tenendo presente gli interessi cognitivi, delle capacità di comprensione,
delle conoscenze già presenti negli alunni delle varie età e
dell’opportunità che l’ambiente offre;
- gli argomenti devono essere sviluppati partendo ogni volta da situazioni-
problema molto semplici che possono essere realizzate anche mettendo
gli alunni di fronte a oggetti, materiali e ambienti specifici, con l’obiettivo
di sviluppare “un sapere che cresce in modo organico e graduale,
durante tutto l'arco della scuola dell'obbligo”.
- Oltre alla semplicità si coglie l’importanza di fare esperienze pratiche che
siano attuabili, oltre che in appositi locali scolastici, nella classe che può
essere utilizzata come laboratorio, o attraverso attività di esplorazione
ambientale.
- I metodi di lavoro privilegiati sono: conversazioni, discussioni di gruppo,
approfondimenti e raccolte di informazioni su libri o con mezzi
audiovisivi, per ampliare il patrimonio di conoscenze dell'alunno anche
attraverso l'analisi di fatti della realtà che stanno al di là della sua diretta
esperienza.
- “La scelta dell'attività da svolgere nel corso dei vari anni viene lasciata
all'insegnante in sede di programmazione, salva restando, da un lato,
l'opportunità di ritornare (in certi casi più volte) in classi successive su
alcuni argomenti con diverso grado di approfondimento..” e dall’altro la
necessità che, per ciascuno dei temi, vengano svolte un numero 36 S. ALESSANDRI, Fenomeni fisici e chimici, Casa Editrice Valore Scuola, Roma 1993, p.21
64
sufficiente di attività tali da permettere all'alunno di familiarizzarsi con le
diverse metodologie di approccio alle discipline scientifiche.
- Si ribadisce il concetto di gradualità poiché nei primi due anni e in
particolare nella prima classe le attività saranno dedicate dapprima ad
una ricognizione delle conoscenze possedute dai fanciulli attraverso
esperienze guidate di gioco e di esplorazione, per farne patrimonio
comune del gruppo, su cui costruire il lavoro successivo.
- L'insegnante stimolerà e guiderà gli alunni ad osservare, descrivere e
confrontare gli elementi della realtà circostante (sassi, animali, piante,
utensili, suoli, forme, colori...) per individuarne somiglianze, differenze ed
interrelazioni.
- Queste osservazioni e ricerche contribuiscono ad arricchire il linguaggio,
a promuovere esercizi di misura, ad avviare all'uso di semplici tabelle ed
altre rappresentazioni (istogrammi, grafici, diagrammi a blocchi, ecc.).
- È compito dell’insegnante anche favorire collegamenti interdisciplinari.
- L’insegnante conduce gli alunni a riflettere sull'opportunità di muovere
dall'osservazione dei fatti alla formulazione di problemi ed ipotesi, e alla
raccolta di nuovi dati per il controllo di queste ultime.
- L’insegnante propone attività di costruzione di alcuni strumenti in linea
con il principio del “fare” e organizza escursioni per toccare con mano “la
scienza”
- Si propone anche lo studio della storia della scienza. “vi si troveranno
molti riferimenti a progressi che si sono verificati proprio in conseguenza
dell'accertata inadeguatezza di spiegazioni date in precedenza sulla
base di conoscenze e tecniche di indagini più limitate”.
Perciò i punti fondamentali su cui insistono i programmi sono due. Da un lato si
punta sulla concretezza operativa e la gradualità dei percorsi. Si parte sempre
dalle conoscenze dei bambini sulle quali impostare attività di gioco e
esplorazione almeno nei primi anni di scuola per costruire un patrimonio
comune di conoscenze. Da qui poi si radicano situazioni-problema molto
semplici durante le quali si continuerà ad osservare, descrivere e confrontare
65
elementi della realtà circostante. Importante risulta essere l’interesse degli
alunni per il mondo dei viventi, o per la manipolazione di oggetti. Nel rispetto di
tali interessi personali si costruiranno oggetti, si analizzeranno allevamenti
scolastici…si faranno escursioni guidate in aziende agricole, artigiane,
industriali e parchi. La seconda linea di fondo riguarda la scelta degli argomenti
e la loro organizzazione. Viene affidata agli insegnanti la responsabilità di
“operare scansioni e raggruppamenti nei contenuti” (Alberti) ma si indicano due
esigenze fondamentali: da un lato programmare attività distribuite su tutti i
campi individuati precedentemente e dall’altra si ripartiscono le varie attività nel
tempo dei cinque anni.
3. Le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria
L’impostazione strutturale delle Indicazioni Nazionali è totalmente diversa
da quella dei Programmi Ministeriali. Inizialmente nella parte introduttiva,
vengono trattate alcune caratteristiche della scuola primaria generali. Si dedica
molto spazio all’analisi degli obiettivi generali del processo formativo, degli
obiettivi specifici di apprendimento, degli obiettivi formativi, al piano di studio
personalizzato, al portfolio.
Nella seconda parte del documento vengono presi in considerazione gli
obiettivi specifici di apprendimento: vengono elencati distintamente per la
classe prima, per il primo biennio (seconda e terza), per il secondo biennio
(quarta e quinta) e distintamente anche per le varie discipline. Perciò nel caso
delle scienze per ogni diversa età vengono elencati diversi obiettivi da
raggiungere.
66
Al bambino che frequenta la scuola viene riconosciuto un ampio bagaglio
di conoscenze che ha maturato precedentemente in famiglia, nella scuola
dell’infanzia, nei rapporti con gli altri e con il mondo e per questo la scuola si
“propone di apprezzare questo patrimonio conoscitivo…e di dedicare
particolare attenzione alla sua considerazione, esplorazione e discussione
comune”. Il documento perciò, riconosce al bambino l’importanza delle sue
esperienze e scoperte pregresse. Partendo da queste considerazioni la scuola
ha il compito di stimolare il processo di acquisizione di conoscenze attraverso
l’azione-scoperta che è uno dei canali che il bambino ha usato magari
inconsapevolmente nelle esperienze passate.
Gli obiettivi del primo anno e anche del primo biennio vanno raggiunti, si
dice nel testo, a partire da problemi e attività ricavati dall’esperienza diretta dei
bambini e perciò potenzialmente motivanti. Come nei Programmi del 1985 si
punta sia sull’importanza di partire dall’esperienza dei bambini soprattutto nelle
prime classi e sulla motivazione e perciò sul loro reale interesse.
Tra i contenuti per la prima classe ad esempio troviamo l’identificazione e
descrizione di essere viventi e non, l’individuazione delle caratteristiche di un
oggetto e alcuni materiali e i primi confronti tra oggetti. Nella classe prima si
tratta quindi di osservare e identificare oggetti, arrivando da una descrizione
grafica e ad una verbale, “che è già il risultato di un'organizzazione mentale dei
particolari significativi dell'immagine”. Lo scopo è esplorare e decomporre nei
loro elementi situazioni molto semplici e familiari, partendo sempre dal vissuto
del fanciullo per valorizzare e orientare la sua curiosità naturale. Le
Raccomandazioni invitano anche gli insegnanti a organizzare occasioni per
aiutare i bambini a raccogliere dati su se stessi e sul mondo circostante, sui
quali lavorare in aula, ad esempio ordinarli in base alle loro caratteristiche,
rappresentarli con disegni e schemi.
Nella classe seconda si osservano oggetti e fenomeni, e si raccolgono
dati, arrivando a confronti e paragoni, avventurandosi in semplici esempi di
classificazione; in terza, poi, si potrà insistere sul racconto/resoconto di piccoli
studi che risolvono un problema o rispondono a dei quesiti, possibilmente
67
sollevati dagli allievi stessi. infatti già nel primo biennio si assiste ad una
evoluzione: aumentano contenuti e obiettivi da raggiungere e si fanno anche più
complessi. Si aggiunge lo studio delle grandezze, il tema dell’acqua, il
fenomeno della combustione, le piante, gli animali, la distinzione tra liquido
solido e gassoso nell’esperienza di ogni giorno ecc. per il biennio successivo si
apre le porte allo studio di molti più fenomeni fisici tra cui: il ciclo dell’acqua,
l’energia termica e elettiva nella vita quotidiana, la luce, l’ombra il fenomeno
della diffusione, riflessione, il suono, il calore, la temperatura, lo studio del
volume. Infatti nelle classi quarta e quinta gli allievi dovrebbero divenire
consapevoli della distinzione tra fatti, la loro interpretazione in termini di regole
e leggi (teoria), congetture, ipotesi senza solide radici nei fatti; parallelamente
dovrebbero comprendere i meccanismi di fenomeni semplici e sviluppare
qualche aspetto storico connesso, sia pur tenendo conto della gradualità con
cui i concetti di passato e di futuro emergono nella mente del bambino.
Nelle Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria, come si può notare,
sono stati introdotti esplicitamente argomenti propri delle scienze della natura
(fisica, chimica, biologia, geologia, astronomia.
Nelle Raccomandazioni, ovvero il testo orientativo che accompagna il
documento delle Indicazioni Nazionali per ulteriori approfondimenti per i
docenti, vengono esposte le motivazioni di tale scelta e viene offerta una serie
di riflessioni per il docente che si appresta a insegnare questa disciplina.
Si dice nel testo delle Raccomandazioni, di notevole aiuto, che la scienza
ha come scopo la conoscenza “ragionata” del mondo naturale e delle leggi che
lo governano. “Essa è un'esplorazione sistematica del mondo sensibile che si
arricchisce sempre più, ma risponde essenzialmente a interrogativi che si
pongono già i bambini nella prima infanzia riguardo alla natura e alle macchine:
“E’ realmente così?”, “Perché è così?”, “Perché, se avviene questo, avviene
quest'altro?”. Affrontare queste domande fa parte di quell'imparare a pensare e
a comunicare che è fine essenziale della Scuola Primaria”. Nelle
Raccomandazioni si sostiene che l’insegnamento della scienza in particolar
68
modo promuova nel bambino, fin dai primi anni di scuola, uno spirito critico e la
capacità di formulare il pensiero in modo preciso.
Nel corso degli anni che il bambino trascorrerà a scuola dovrà imparare a
conoscere e riconoscere i fatti che gli si presentano di fronte, formulare delle
domande in termini di causa ed effetto, trarre delle conclusioni e dubbi
logicamente corretti e con le parole giuste. “Questo modo di porsi di fronte alle
esperienze di ogni genere è condizione di libertà e di maturazione personale in
tutti i campi; spetta alla scuola garantire a tutti gli scolari il primo livello di
formazione in questo senso”.
L’avvio di un discorso scientifico acquista un’ulteriore funzione cioè
quella di promuovere nel bambino una riflessione critica sul mondo che lo
circonda e i fatti che vi accadono. Attraverso l’insegnamento delle scienze il
bambino acquista capacità critiche per poi trasformarle in competenze
personali. Nelle Raccomandazioni troviamo quindi esplicitata l’importanza che
riveste l’inserimento di questa disciplina nel percorso scolastico di un bambino.
Si partirà dai fatti familiari per i bambini applicando ad essi la terminologia
specifica sempre tenendo conto dell’età e delle possibilità per arrivare a far
proprio il modo di pensare scientifico. Per riuscire in questo, riveste particolare
importanza il ruolo dell’insegnante che deve programmare un percorso il più
efficace possibile tenendo presente i vari fattori che possono intervenire.
L’insegnante dovrà creare un ambiente cognitivo stimolante: i bambini avranno
la possibilità di lavorare attivamente sull’oggetto di studio nel rispetto di un clima
di ascolto. Il docente deve fidarsi dei suoi alunni responsabilizzandoli:
impostando lavori a gruppi, affidando ruoli ben precisi, permettendo loro
l’utilizzo di strumenti e materiali, rafforzando la loro autostima e autonomia.
Certamente il docente deve essere un buon osservatore e consulente nel
gestire il gruppo classe dove ognuno ha esigenze ed esperienze diverse. Deve
quindi abbandonare il ruolo di unico attore trasformandosi in un “attore non
protagonista”: raccoglie le opinioni, osservazioni, ipotesi dei bambini per
riproporle in un quadro completo delle attività; stimola i bambini a superare le
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proprie difficoltà, a considerare diverse variabili e altri punti di vista senza mai
suggerire la risposta giusta ma facendo emergere questa dalla discussione.
Viene data anche l’opportunità dell’utilizzo di laboratori: la classe può
venir divisa in gruppi di lavoro secondo le attitudini personali, i tempi di
assimilazione, gli interessi personali. “Se applicate con la dovuta attenzione,
queste misure consentiranno un'efficace cooperazione tra insegnante e allievi e
soprattutto la collaborazione fra allievi e allievi, senza appiattimento del livello
didattico e al tempo stesso con assoluto rispetto della pari dignità di tutti”.
Nelle Raccomandazioni si punta molto sull’importanza dell’utilizzo del
metodo scientifico e del laboratorio: “Ribadiamo che, per arrivare a formulare
interrogativi autenticamente scientifici, sia pure a livello molto elementare,
occorre un percorso che comincia col rilevare analogie e somiglianze, passa a
individuare delle regolarità, e giunge, infine, a enunciare possibili regole da
sottoporre a verifica. In questo approccio a un “mondo da interrogare” sembra
particolarmente opportuno trasmettere agli allievi almeno un'idea del metodo
sperimentale… Aprire le menti dei giovanissimi a queste cose non è compito
facile e non si dà un metodo universalmente valido”. Nei primi anni viene
consigliato l’utilizzo del gioco per arrivare alle prime classificazioni che poi
verranno sostituite con procedure più sistematiche. Si possono precisare come
attività a cui fare riferimento nell'insegnamento delle scienze:
- giochi del tipo “indovinare con domande a che cosa ha pensato un certo
giocatore”, formulando poi in breve la definizione così ottenuta;
- osservazioni critiche sulle cose classificando, paragonando e
confrontando le stesse;
- oggetti o grandezze, identificando somiglianze e differenze nel tempo e
nello spazio, prendendo atto delle regolarità e delle novità che si
presentano in natura;
- descrizioni di cose e processi, che, secondo tempi adeguati, andranno
dalla semplice figurazione alla formulazione verbale, che analizza e
interpreta l'immagine, e all'identificazione di relazioni logiche e
70
quantitative, usando ove possibile strumenti matematici elementari
(numeri, diagrammi, grafici, formule...);
- raccolta dei dati e loro ordinamento nella prospettiva di identificare
connessioni tra i molteplici aspetti di un fenomeno;
- ricerca di ipotesi di spiegazione di un fenomeno familiare da verificare
mediante misure, ulteriori osservazioni e/o appositi esperimenti;
- applicazione di tecniche d'indagine che abituano alla precisione
nell'osservazione e all'esecuzione di una procedura sperimentale;
- studio e uso di termini tecnici delle varie discipline, notando le differenze
dal linguaggio ordinario.
Viene suggerito che l'insegnamento proceda per via di esempi, esperimenti e
osservazioni dirette. La scelta di questi ausili deve essere particolarmente
curata; dovrà essere cioè calibrata tenendo conto di tre fattori:
- la situazione concreta di fronte a cui il docente si trova in classe o in
Laboratorio;
- il tempo disponibile per gli argomenti scientifici;
- la sua personale formazione scientifica.
“Quest'ultima è importante perché i momenti di maggior valenza formativa del
lavoro di chi insegna sono quelli in cui presenta argomenti che ha
profondamente capito e fatto propri, e che ritiene particolarmente interessanti;
in questi casi egli può davvero essere chiaro ed efficace, anche restando al
livello di sviluppo cognitivo dei suoi allievi”.
Emerge da tale lettura che ciascun allievo si senta protagonista
dell'apprendimento sia nei momenti che suscitano particolare interesse o
curiosità, sia nei momenti in cui occorre autodisciplina. Come si è detto, il punto
di partenza è la curiosità nei confronti del mondo naturale e della tecnica, perciò
il riferimento è all’esperienza concreta; lo sviluppo didattico conduce
all'acquisizione di capacità(cognitive e pratiche, man mano più complesse); ed
è per questo che è irrinunciabile la partecipazione attiva a tutte le fasi del
percorso didattico.
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4. Confronto tra i Programmi e le Indicazioni
Confrontando i due documenti a cui ho fatto riferimento, emergono senza
dubbio alcune somiglianze e alcune differenze per quanto riguarda la parte
dedicata alle scienze e al ruolo del bambino e dell’insegnante.
Dal mio punto di vista le differenze sono:
- nelle Indicazioni viene fatta una distinzione per età: i contenuti e gli
obiettivi vengono prescritti per la prima classe, per il primo biennio e per
il secondo mentre nei Programmi non c’è distinzione per classe
- l’insegnante in misura maggiore secondo i Programmi, ha il compito di
individuare le attività adatte per la propria classe visto che non viene
dato un preciso punto di riferimento di distinzione fra età.
- Nelle Indicazioni vengono forniti contenuti e obiettivi sottoforma di elenco
mentre nei Programmi si distinguono cinque ambiti su cui lavorare.
- Emerge, nelle Indicazioni, più immediatamente l’idea di gradualità
Dall’altra, invece le somiglianze e i punti di contatto che ho individuato sono:
- Il ruolo chiave giocato dalle preconoscenze ovvero quelle conoscenze
che il bambino porta con se sui banchi di scuola. È da queste per
entrambi i documenti che si deve partire per impostare un discorso
scientifico
- gli ambiti che coinvolgono il bambino riguardano in entrambi i casi lo
studio dell’uomo, degli animali, dell’ambiente e dei fenomeni del mondo.
- Ho riscontrato in entrambi i testi il rispetto del principio della gradualità.
Si partirà con lo studio di fenomeni o oggetti ecc, vicini al bambino per
poi allargare il raggio d’azione
- Il bambino deve essere protagonista quindi ogni insegnante dovrà
scegliere le attività in base anche ai suoi interessi
- Un punto di contatto è anche il bisogno indissolubile tra il fare e il
pensare. Si potranno apprendere nuove conoscenze solo se queste
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verranno “sperimentate” e vissute. Si propongono infatti attività di
laboratorio, di manipolazione e costruzione di oggetti e strumenti.
- Il docente in entrambi i documenti risulta avere un ruolo chiave
nell’impostazione e nella conduzione delle attività
- Ruolo chiave affidato all’acquisizione del metodo scientifico da applicare
anche nella vita
- I bambini devono essere messi in grado di poter discutere sulle cose,
mettendo eventualmente in discussione le proprie idee
- Si propongono attività laboratoriali e escursioni al di fuori dell’aula
Quarto capitolo
IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
1. Al tempo di Archimede: la Grecia ellenistica
Prima di iniziare a descrivere Archimede come scienziato e il suo
contributo allo studio dei principi dell’idrostatica reputo indispensabile
riassumere alcuni aspetti essenziali del periodo storico in cui egli è vissuto e ha
elaborato le sue idee. L’epoca in questione, l’età ellenistica, inizia
convenzionalmente con il 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno e
termina con la conquista romana dell’Egitto (battaglia di Azio del 31 a.C.).
Come è noto dopo la morte improvvisa di Alessandro, ci fu un duro e lungo
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scontro per la successione che si concluse con la divisione in tre grandi regni
del suo enorme impero: l’Egitto, con capitale la nuova città di Alessandria
fondata da Alessandro nel 331 a.C., retto dalla dinastia dei Tolomei che
governavano anche Cipro, Pirenaica, e dalla fine del III secolo a.C. anche
Fenicia e Palestina; lo stato dei Seleucidi, con capitale Antiochia, che
comprendeva la Siria, quasi tutta l’Asia minore, la Mesopotamia; lo stato degli
Antigonidi, comprendente la Macedonia e alcune città della Grecia. Vi erano poi
stati minori come quello di Pergamo in cui governava la dinastia degli Attalidi. In
questo periodo, durato circa un secolo, la civiltà ellenistica raggiunse il massimo
sviluppo. Questo progresso fu possibile anche grazie ad una ellenizzazione dei
territori conquistati, alla simbiosi della cultura greca con quella orientale, tramite
relazioni anche con India e Cina. L’intensificazione del commercio tra i vari stati
e le regioni orientali, la rifioritura dell’artigianato e l’incremento demografico
apportarono un benessere economico che favorì la crescita di nuovi
agglomerati urbani. Città come Alessandria, Antiochia di Siria, Pergamo e
Laodicea, diventarono non solo centri di produzione, veri e propri mercati
finanziari, ma anche di diffusione di cultura. L’urbanesimo fu infatti un fenomeno
tipico dell’età ellenistica, al quale si legò di conseguenza una progressiva
accentuazione dei privilegi della città rispetto alla campagna, dove si andavano
affermando i latifondisti. Il prestigio straordinario di Atene però non cessò in
breve tempo, questa città continuò ad essere il centro della vita filosofica: il
Liceo retto da Teofrasto37 e l'Accademia continuarono a svolgere la propria
attività, ad essi si aggiunsero poi la scuola stoica e quella epicurea.
Importanti cambiamenti vengono avvertiti anche sul piano della struttura
economico-sociale: “i regni ellenistici sperimenteranno nuove forme di
organizzazione statale, politica, giuridica, amministrativa, militare”38. L’aprirsi dei
37Teofrasto nasce a Lesbo e muore a Atene nel 287 a.C., fu discepolo di Aristotele a cui successe nella direzione del Liceo nel 322 a.C. Il suo nome era in realtà Tirtamo, ma fu Aristotele stesso a chiamarlo Teofrasto per la grazia e la soavità del suo eloquio. Sembra che l'attività di Teofrasto si sia estesa a tutti i campi della conoscenza contemporanea. nei suoi scritti sviluppò in maniera differenzte i temi comuni anche a Aristotele: tra la sue opere sono da ricordare: i due ampi trattati botanici, Storia della fisica, il trattato Sulle rocce… 38 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 69
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mercati a Oriente contribuisce all’ingigantimento del fenomeno della schiavitù:
tutto il processo produttivo poggerà per molti secoli sul lavoro degli schiavi.
Fu Azio nel 31 a.C., il teatro della cruenta fine dell’età ellenistica con lo scontro
tra Roma e Egitto. Al declino delle monarchie ellenistiche fece riscontro
l'espansione di Roma verso la Grecia e l'area del Mediterraneo orientale. In tal
modo la cultura ellenistica, che costituì una componente fondamentale della
civiltà romana e della successiva civiltà bizantina, continuò a permeare per
secoli l’Occidente.
1.1. La nascita della scienza
Nonostante i progressi nell’arte, letteratura, architettura, è probabilmente
alla scienza che spettò il privilegio nell'ambito della cultura ellenistica di
raggiungere le più alte vette toccate nel mondo antico. Tra i più decisi
sostenitori di questa linea di pensiero possiamo collocare Giulio Preti39 ma
soprattutto Lucio Russo40, con il suo volume “La rivoluzione dimenticata”41.
Attraverso questo sorprendente libro, Lucio Russo cerca di dimostrare che “la
nascita della scienza moderna va retrodatata di duemila anni, e che i due soli
scienziati dell’antichità noti al vasto pubblico, Euclide e Archimede, non furono
incerti e isolati precursori di una forma di pensiero che soltanto nel XVII secolo
d. C. sarebbe rigogliosamente fiorito”42. Della stessa opinione è Giulio Preti
affermano che “questa è l’epoca in cui si redigono quei trattati scientifici che
39 Giulio Preti (1911-1972), laureato in filosofia fu anche docente universitario al Magistero di Firenze.
40 Lucio Russo è nato a Venezia nel 1944, laureato in fisica è da considerare matematico, filologo, studioso di storia della scienza ellenistica. Ha accompagnato il suo insegnamento in diverse Università con la scrittura di testi con i quali ha suscitato critiche , consensi e condanne. Tra i suoi scritti ricordo, oltre al libro La Rivoluzione dimenticata, Segmenti e bastoncini (libro uscito nel 2000, è una dura critica al sistema scolastico italiano della Riforma Berlinguer che abbassava i livelli di competenza e rendeva l’insegnamento sempre più generico secondo gli standard americani), Flussi e riflussi: indagine sull'origine di una teoria scientifica(2003).
41 Pubblicato per la prima volta nel 1996 (finalista del premio Viareggio per la saggistica del 1997) è giunto nel 2006 alla terza edizione. 42 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 8
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saranno come il testamento della grecità e il patrimonio lasciato ai secoli
successivi”43.
In realtà secondo Russo questi due personaggi furono solo due esponenti di
spicco di una vasta schiera di raffinati e avanzatissimi scienziati: ad esempio
Erofilo44, fondatore della medicina scientifica, Eratostene45, il primo scienziato
che fornì una misura straordinariamente precisa della lunghezza del meridiano
terrestre, Aristarco di Samo46, ideatore dell’astronomia eliocentrica, Ctesibio47,
costruttore di strumenti meccanici e idraulici, dei quali se non per il nome si è
persa ogni traccia. Sono anche essi, tra i protagonisti di una rivoluzione
scientifica, vedi il titolo, giunta a livelli altissimi di elaborazione teorica e pratica
sperimentale pari agli studi di personaggi del calibro di Newton e Galileo. Tali
affermazioni hanno sollevato in me e per chiunque penso si appresti a leggere il
libro naturalmente sorpresa ma anche alcuni interrogativi:
- perché, se il livello scientifico raggiunto in questa epoca era davvero così
elevato, i romani con il loro senso pratico non hanno ereditato questo
grande patrimonio sviluppandolo e usufruendo delle grandi conquiste
teoriche e pratiche nei secoli successivi?
43 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 68 44 Erofilo (circa 335 a.C.-circa 280 a.C. ) fu noto come primo anatomista della storia e per essere stato, insieme ad Erasistrato il fondatore della grande scuola medica di Alessandria d'Egitto Egli fu il primo a basare le sue conclusioni sulla dissezione del corpo umano. Erofilo, avendo introdotto una terminologia nuova e convenzionale per individuare le strutture anatomiche da lui scoperte, ha un posto di rilievo anche nell'evoluzione delle concezioni linguistiche. Molti dei termini da lui introdotti sono ancora usati nella terminologia anatomica.
45 Eratostene di Cirene (Cirene 276 a.C.–Alessandria d'Egitto 194 a.C.) è stato un matematico, astronomo, geografo e poeta greco. Fu probabilmente l'intellettuale più versatile della sua epoca. Bibliotecario della Biblioteca di Alessandria, è oggi ricordato soprattutto per aver misurato per primo con grande precisione le dimensioni della Terra.
46 Aristarco da Samo (Samo 310 a.C.–230 a.C. circa) è stato un astronomo greco oltre che, filosofo e matematico greco, anticipò di quasi due millenni la concezione eliocentrica di Copernico. 47 Ctesibio di Alessandria (attivo dal 285 a.C. al 222 a.C.) noto come inventore e come matematico. La sua opera Sulla pneumatica sull'elasticità dell'aria, ora perduta, gli ha procurato il titolo di padre della pneumatica, in quanto a lui si devono il primo trattato scientifico sull'aria compressa e le sue utilizzazioni nelle pompe e perfino in un cannone. Ctesibio fu probabilmente il primo capo del Museo di Alessandria. Sfortunatamente, molto poco si sa della sua vita e delle sue opere.
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- perché gli innumerevoli studiosi impegnati a riportare alla luce ogni
traccia della cultura greco-romana hanno ignorato le testimonianza di
tale fenomeno culturale e sociale riducendolo in alcune occasioni alla
sporadica comparsa di qualche personaggio ingegnoso.
Con il libro Lucio Russo risponde, secondo la sua tesi che ho riportato ad inizio
del capitolo, sottolineando che la distruzione da parte dei romani degli stati
ellenistici, iniziata con la conquista di Siracusa e l’uccisione di Archimede nel
212 a. C. portò secoli di ignoranza. I romani si disinteressarono delle
conoscenze scientifiche anche per la mancanza di basi culturali per
comprenderle: molti di questi antichi libri capitarono nelle mani dei Romani che
però non riuscirono a seguire la logica delle argomentazioni, eliminavano i nessi
logici e li sostituivano con connessioni arbitrarie che puntavano a diffondere un
senso di meraviglia per catturare il lettore e per non metterlo in difficoltà con un
linguaggio troppo tecnico. Per capire questo fenomeno Lucio Russo fa molti
esempi tra i quali né ho scelto che illustra bene questo concetto. Egli si rifà ad
alcune fonti attendibili confrontando due autori che in epoche diverse affrontano
lo stesso argomento: Plinio48 dedicò molte pagine alla descrizione della vita
delle api, in tali pagine egli sostituisce completamente le complesse
argomentazioni della sua fonte ellenistica con una spiegazione quantomeno
originale e fantasiosa: “ogni cella è esagonale perché ognuna delle sei
zampette ha fatto un lato”. Pappo49 invece dà una spiegazione molto più
rigorosa e razionale interpretando infatti correttamente quei testi, secondo cui le
api risolvono un problema di ottimizzazione.
Un’altra causa del disinteresse dei romani è attribuibile anche secondo
l’idea di Giulio Preti, al fatto che le grandi innovazioni tecniche non servivano.
48 Conosciuto come Plinio il Vecchio (Como, 23 d.C.-odierna Castellammare di Stabia, 24 agosto 79 d.C.) fu scrittore, scienziato, naturalista, erudito, acuto osservatore e storico romano, amava descrivere le cose in diretta, dal vivo, un vero cronista dell'epoca, perse infatti la vita tra le esalazioni solfuree dell'eruzione vulcanica del Vesuvio, che distrusse Ercolano e Pompei, mentre provava ad osservare il fenomeno vulcanico più da vicino. 49 Pappo di Alessandria fu uno dei più importanti matematici del periodo tardo ellenistico. Vissuto in un periodo di decadenza degli studi geometrici, è stato sicuramente il maggior cultore della geometria dei suoi tempi. Della sua vita si conosce ben poco e anche le date della sua nascita e della sua morte sono assai incerte, Sembra accertata solo la data del 320. Si ritiene inoltre che fosse un insegnante.
77
Roma era una città parassita che viveva sul lavoro svolto dagli schiavi. Uno
degli aneddoti tramandato fino ad oggi da Svetonio spiega benissimo la
situazione: narra che l’imperatore Vespasiano si rifiutò di far installare un
paranco idraulico dicendo di non voler togliere il sostentamento al popolino
romano.
Perciò a causa di questo disinteresse da parte dei nuovi conquistatori la
maggior parte dei testi originari è andata perduta. Molte delle loro teorie e dei
risultati delle loro ricerche vennero ripresi, riprodotti e riassunti da autori
dell’epoca imperiale, molti dei quali purtroppo non avevano più la possibilità di
comprendere fino in fondo gli algoritmi e i ragionamenti che erano stati
impiegati né tanto meno ripetere gli esperimenti sui quali quei risultati si
basavano. Alcuni come già detto, trasformavano i testi cogliendo quelle
argomentazioni che più riuscivano a suscitare stupore, altri invece, come ad
esempio, nel II secolo d.C. il più celebre astronomo dell’antichità Tolomeo
utilizzarono dopo qualche secolo di cessazione dell’attività scientifica, i dati
osservativi di Ipparco50 e Aristarco, senza più essere in grado di ricalcolare i
valori dei parametri da essi utilizzati. Così come si può affermare che l’insieme
di viti, ingranaggi, eliche, stantuffi, ecc descritta da Erone vissuto nel I secolo
d.C. sia tratta da opere ellenistiche.
Russo conclude quindi che le testimonianze delle opere scomparse,
redatte molti secolo dopo e giunte fino a noi, risultano gravemente inadeguate
perché incomplete, approssimative e spesso male interpretate. Può essere che
i posteri abbiano selezionato quei testi privilegiando e quindi tramandando a
noi, solo quelle opere che erano scritte in un linguaggio per loro ancora
comprensibile.
Una conseguenza immediata di questa selezione è stata la rimozione
dell’ellenismo da parte della cultura moderna. Quello che è giunto fino a noi può
essere considerato solo la punta di un iceberg, una punta che può non essere
del tutto attendibile. Russo attribuisce anche delle colpe agli studiosi
dell’antichità che, appartenendo per la maggior parte all’area della cultura 50 Ipparco di Nicea (190 a.C.–120 a.C.) è stato un astronomo, matematico e geografo greco.
78
umanistica erano privi degli strumenti concettuali per analizzare i testi rimasti. I
moderni non fecero altro, almeno nella fase iniziale, che riappropriarsi delle
conoscenze che venivano alla luce dal ritrovamento di alcuni dei testi lasciati
dai greci ellenisti. Secondo Lucio Russo il più famoso tra gli intellettuali attratto
da queste novità è senza dubbio Leonardo da Vinci che riuscì a ripresentare
alcune delle idee contenute negli antichi testi. Tuttavia i disegni di Leonardo
raffiguravano in genere oggetti irrealizzabili ai suoi tempi perché mancava la
tecnologia corrispondente. Secondo l’autore non si trattava di una capacità di
anticipazione ma bensì l’origine di quei disegni era da ricercare in un’epoca in
cui la tecnologia era stata molto più avanzata.
Anche per Galileo e lo stesso Newton si possono rintracciare numerosi
legami con la scienza degli antichi scienziati. Galileo viene spesso
rappresentato come il fondatore di un metodo nuovo senza precedenti storici
mentre “va sottolineato che in Galileo l’obiettivo di recuperare la scienza
ellenistica è del tutto chiaro e esplicito. Egli è in grado di usare le tecniche
dimostrative euclidee e l’algebra geometrica mentre non riesce a comprendere
del tutto il cosiddetto metodo di esaustione”51
1.2 La rimozione della rivoluzione scientifica
Sappiamo oggi che la scienza svolge nella realtà in cui viviamo un ruolo
veramente importante che noi tutti le riconosciamo. Ciò ci fa credere che la sua
nascita venga considerata un nodo fondamentale nella storia dell’umanità. In
realtà l’importanza di tale argomento non è così facilmente riconosciuta. Nei libri
di storia antica non si parla di scienza ellenistica. È più facile, dice Russo,
trovare notizie su Archimede o Aristarco di Samo in un’opera del Rinascimento
che in un libro sulla civiltà classica, egli definisce tale atteggiamento “una forma
di rimozione dell’ellenismo”. L’Autore ci invita a pensare a tre dei maggiori
esponenti della cultura ellenistica: Euclide, Archimede e Erofilo. Cosa sappiamo 51 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 13
79
noi moderni di loro? Alcuni potranno dire di averne sentito parlare a scuola,
compresa io, ma…Di Erofilo praticamente non si sa nulla, ci sono pochissime
fonti che parlano della sua attività quale scienziato. Di Archimede ricordiamo
solo che faceva cose strane: correva nudo gridando Eureka!, immergeva
corone nell’acqua e disegnava figure geometriche mentre stavano per
ucciderlo. Con Euclide il processo è inverso: invece di respingerlo nella
leggenda e nell’aneddottica egli viene privato di ogni connotazione storica, si
guarda la geometria euclidea come se fosse un dato che da sempre
accompagna l’umanità.
Un altro meccanismo di rimozione della rivoluzione scientifica
nell’ellenismo consiste nell’attribuire le scoperte, scientifiche e tecnologiche, agli
Antichi senza specificare, quindi la scoperta del diametro della Terra è attribuita
agli antichi, gli antichi avevano scoperto il principio dell’idrostatica, nell’antichità
vi era stato un precursore di Copernico…
Diventa difficile inquadrare storicamente fatti e personaggi del III secolo a.C.
per la nostra profonda ignoranza di questo periodo che ha portato quasi alla
sua cancellazione dalla storia.
La tradizione ci ha conservato la storia della Grecia classica e
dell’ascesa di Roma ma del periodo intermedio c’è poca documentazione. Ciò è
dovuto al ritorno della civiltà ad uno stadio pre-scientifico e al fatto che quasi
tutti gli scritti dell’epoca ellenistica sono andati perduti. La gravità della
distruzione delle opere ellenistiche è stata negli anni sottovalutata. Si pensi
all’importanza del ritrovamento e recupero del libro di Archimede Sul metodo da
parte di Heiberg52 nel 1906. lo storico ritrovò, nascosta in una biblioteca di un
monastero ad Istanbul, una pergamena medievale contenente le copie delle
opere di Archimede. Due di esse erano fino ad allora sconosciute: uno era
proprio il testo Il metodo e l’altro era un frammento del trattato Stomachino.
La pergamena si presume fosse stata scritta nel X secolo a Costantinopoli. Nel
1204, i monaci, forse per la mancanza di carta vista la Quarta Crociata che 52 Il personaggio cui va il merito principale della resurrezione e della riscoperta di Archimede fu il danese Johan Ludvig Heiberg (1854-1928). Grazie a lui disponiamo non solo di molti importanti testi archimedei, ma anche di edizioni critiche delle opere di Euclide e di Apollonio di Perge.
80
aveva indebolito le risorse di Costantinopoli, avevano riutilizzato la pergamena
cancellando il testo del matematico e riciclando il libro come volume di
preghiere cristiane. Il palinsesto, così viene definito un documento la cui
superficie è stata erosa e riutilizzata, venne riportato alla luce da Heiberg che,
inizialmente con una lente d’ingrandimento riuscì a leggere il documento
sottostante. Prima che altri si potessero interessare a questo importante
ritrovamento, la pergamena venne rubata e di lei si persero le tracce per più di
otto decenni. Improvvisamente nel 1998, il palinsesto di Archimede è
ricomparso da una collezione privata e il proprietario la mise a disposizione
degli studiosi. Questo episodio dimostra come le opere e la conoscenza di un
autore siano vincolate da molti fattori.
In genere la selezione dei posteri privilegia le compilazioni, i libri che
usano un testo semplice (questo forse non era il caso del libro di Archimede):
abbiamo il manuale di Varrone sull’agricoltura e di Vitruvio sull’architettura ma
non le loro fonti ellenistiche, si è conservato il trattato di Erone sugli specchi ma
non quello che era stato scritto da Archimede sullo stesso argomento, forse di
non immediata spendibilità pratica.
Potremmo provare a giustificare la nostra ignoranza con il fatto che fino a
poco tempo fa non erano stati effettuati alcun tipo di scavi di centri dell’Egitto
tolemaico. Anche nel caso di Alessandria i resti sommersi della città hanno
iniziato ad essere esplorati solo nel 1995.
Forse deve far riflettere come alcune scelte possono far cambiare il
corso della storia e la nostra idea della storia e dei fatti accaduti, seppellire
l’importanza di alcuni personaggi per anni o anche per sempre.
1.3. Lo sviluppo delle scienze
Il particolare ambiente dell’età ellenistica creò i presupposti su cui
poterono fiorire e progredire le discipline particolari, dalla matematica alla
geografia, dall’astronomia alla biologia, dalla medicina alla botanica.
81
Tutto questo rigoglio delle discipline particolari si accompagna ad una forma di
divisione del lavoro e di professionalismo, che portò al fenomeno della
«specializzazione», alla divisione del sapere in una molteplicità di branche
coltivate con competenza da una serie di specialisti dei relativi campi
d'indagine. Questo processo portò anche alla netta separazione con la filosofia.
Mentre nell'età classica della cultura greca i grandi filosofi (vedi Platone ed
Aristotele) trattavano anche di matematica, fisica e scienze naturali, e lo
scienziato era sempre anche un filosofo, nell'età ellenistica i filosofi trascurano
le indagini scientifiche restringendo i loro interessi alle interpretazioni generali
dell'universo, della conoscenza e della morale, mentre gli scienziati
manifestano la propensione ad occuparsi di problemi specifici, al di fuori dal
discorso filosofico.
La scienza matematica
La scienza matematica nasce nel periodo ellenistico. Giulio Preti infatti
sostiene che la scienza che ad Alessandria raggiunse i più alti livelli fu la
matematica che lasciò in eredità ai posteri una cospicua quantità di metodi e
conoscenze.
Naturalmente la matematica non nacque dal nulla: viene riconosciuta
una prima fase lunghissima in cui si svilupparono le conoscenze babilonesi e
dell’Egitto faraonico ed una seconda fase che durò duecentocinquanta anni
risalente al periodo della Grecia classica. Nella pratica ellenistica della
matematica tre erano le attività considerate inseparabili per risolvere i problemi:
il ragionamento deduttivo, il calcolo e il disegno. Per il calcolo, i greci usavano
gli abbaci ma soprattutto il più utile strumento di calcolo era fornito dalla
geometria. Infatti ogni problema veniva posto in un linguaggio geometrico,
rappresentando i dati con lunghezze di segmenti. Gli strumenti usati erano
soprattutto riga e compasso, il loro uso offriva numerosi vantaggi: il margine di
errore era relativamente piccolo ed erano facilmente riproducibili.
82
Tra i tanti scienziati dimenticati, nella matematica e nella geometria il
primo posto spetta ad Euclide53 che con i suoi Elementi sistemò in maniera
rigorosa e sistematica il pensiero matematico greco, fornendo un impianto
scientifico durato nei secoli. “essi sono un compendio di tutta la geometria
elementare antica, disciplina in cui i secoli successivi avranno ben poco da
aggiungere”54 Altro nome illustre fu Apollonio di Perga55, di cui ci sono
pervenute le Sezioni coniche nelle quali, fra l’altro, creò i termini tecnici di
ellisse, parabola e iperbole. Matematico, oltre che ingegnere ed inventore, fu
anche Archimede su cui mi soffermerò più al lungo nel capitolo successivo. Le
sue scoperte nelle varie discipline, come gli studi sulla quadratura del cerchio e
i principi dell’idrostatica, e le applicazioni tecniche nell’ingegneria possono
essere considerati capolavori di prima grandezza nella storia della scienza. Fra
i matematici e ingegneri dell’età ellenistica va anche ricordato Erone di
Alessandria56.
La meccanica, l’idrostatica e pneumatica La meccanica, letteralmente la scienza delle macchine57, nel periodo
ellenistico assunse l’assetto caratteristico delle teorie scientifiche. Tra gli
scienziati più brillanti nello studio dei fenomeni meccanici ricopre un ruolo
importante Archimede con il suo studio della legge della leva e la ricerca di
baricentri di figure piane. Purtroppo è rimasto davvero poco degli scritti teorici
dell’epoca sull’argomento, in particolare di quelli di Archimede. Gli studiosi però
hanno potuto ricostruire alcune caratteristiche della meccanica del III secolo
a.C. integrando la lettura del trattato di Archimede sopravvissuto con le notizie
delle macchine effettivamente realizzate e la lettura di trattati posteriori di 53 Euclide di Alessandria fu un matematico greco, che visse molto probabilmente durante il regno di Tolomeo I (367 a.C. ca.-283 a.C.). Euclide è noto soprattutto come autore degli "Elementi", la più importante opera di geometria dell'antichità; tuttavia di lui si sa pochissimo. 54 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 71 55 Apollonio di Perga o Apollonio di Perge (262 a.C. ca. - 190 a.C. ca.) fu grande geometra e astronomo greco. Di lui sopravvivono solo due opere: Separazione di un rapporto e Coniche. 56 Erone di Alessandria, chiamato anche Erone il vecchio, è un matematico e ingegnere greco del I secolo. Al suo ingegno si devono molte invenzioni tra cui la macchina di Erone (porta automatica) e la pompa. Fu inoltre autore di testi di geometria. 57 L’etimo di macchina è la mola (macina).
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secoli. Ad esempio la collezione di Pappo e le opere di Erone, come La
meccanica, in cui descriveva macchine semplici come l’argano, la puleggia,
cunei, viti e la leva. Un problema meccanico dell’epoca può essere il seguente:
voglio sollevare un peso P a un’altezza h. invece di farlo direttamente si può
usare una macchina che sollevi il peso se agisco con una forza. Naturalmente
gli uomini avevano incontrato da sempre questo genere di problema e già dal
paleolitico si era riusciti a risolverlo. Ma il salto di qualità permesso dalla
scienza consiste nel fatto che si impara a calcolare teoricamente il vantaggio
meccanico e si ha quindi una progettazione teorica della macchina. Sappiamo
infatti da Pappo e da Plutarco che Archimede aveva risolto il problema di
sollevare un dato peso con una forza assegnata. Grazie forse ancora ad
Archimede fu introdotto per la prima volta l’elemento tecnologico che ancora
oggi usiamo per risolvere problemi dello stesso tipo: la ruota dentata. Anche
nell’idrostatica il contributo di Archimede supera tutti gli altri, mentre nella
pneumatica dobbiamo a Empedocle58 il primo chiaro riferimento al concetto di
pressione atmosferica. Le prime testimonianze certe sulla pneumatica, intesa
come scienza dei fluidi comprimibili la dobbiamo invece a Ctesibio di
Alessandria che scrisse due opere su questo argomento: una più teorica
Dimostrazioni pneumatiche e una di carattere applicativo. Purtroppo nessuna
delle opere di Ctesibio si è conservata perciò la nostra conoscenza di tale
antica scienza è basata essenzialmente sulla Pneumatica di Filone da Bisanzio
che fu continuatore di Ctesibio.
L’astronomia
“Accanto alle matematiche pure, l’altra grande scienza esatta in cui
eccelse il genio scientifico dell’età alessandrina fu l’astronomia”59.
Anche nel campo dell’astronomia si ebbero sensazionali scoperte. C’era
una sentita correlazione tra l’astronomia e l’astrologia non per nulla, astronomi
del calibro di Claudio Tolomeo scrissero anche manuali di astrologia. Da 58Empedocle, filosofo greco, ma anche scienziato, uomo politico, oratore, medico e taumaturgo, nacque ad Agrigento il 492 a.C. circa e morì probabilmente nel 430 a.C.. 59 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 78
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Archimede sappiamo che Aristarco di Samo, operante nella prima metà del III
sec. a.C., giunse a concepire un sistema eliocentrico, contemplante la terra che
gira sul suo asse e intorno al sole, una semplice ipotesi per quei tempi. Ebbe
anch’essa scarsa fortuna presso i posteri, con l’eccezione di Seleuco60, attivo
alla metà del II secolo a.C. Una tradizione scientifica troppo chiusa a nuove
idee e l’influenza della religione in questo campo, concorsero a decretare
l’insuccesso di questa rivoluzionaria teoria rispetto al sistema tolemaico,
formulato ufficialmente nel II sec. d. C. e destinato a resistere fino alla
rivoluzione copernicana. Di Aristarco ci rimane per tradizione diretta un trattato
Sulle dimensioni e le distanze del sole e della luna. Innegabile punto di
partenza per gli studi di Claudio Tolomeo – attivo in età romana - fu la
catalogazione di circa 850 stelle da parte di Ipparco di Nicea, uno dei più grandi
geografi del mondo antico.
Le scienze mediche
La novità essenziale della medicina ellenistica sia per Russo che per
Preti, dopo la liberazione della stessa dalle pratiche magico religiose, la
creazione dell’anatomia e della fisiologia basate sulla dissezione del corpo
umano a opera di Erofilo di Calcedone (attivo intorno al 300 a.C. e vissuto ad
Alessandria, dove diresse un’importante scuola medica) ed Erasistrato di Ceo,
suo allievo. Purtroppo però nessuno dei trattati dei due medici si è conservato
fino a noi: la tradizione ha privilegiato ancora una volta le opere ancora
comprensibili durante il medioevo. Erofilo viene in genere considerato il
fondatore dell'anatomia: escludendo le considerazioni "filosofiche" sul corpo
umano, sulla sua struttura e sulle sue finalità, e praticando ampiamente la
dissezione, Erofilo studiò a lungo l'anatomia del cervello, descrivendone
accuratamente le varie parti (il ventricolo, il calamo) e il sistema nervoso
centrale. Ciò lo portò a rigettare la tesi cardiocentrica aristotelica ed a
considerare il cervello come il centro del pensiero, della sensibilità e dei
60 Seleuco (Seleucia sul Tigri,190 a.C. –II secolo a.C.) è stato un filosofo e astronomo greco. È l'unico studioso noto che si dichiarò ufficialmente sostenitore della teoria eliocentrica di Aristarco.
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movimenti. La sua grande pratica di anatomico lo portò a distinguere fra vasi
sanguigni e nervi, tra tendini e nervi - distinzione ancora non ben chiara al suo
tempo - e, per i nervi, tra nervi sensori e nervi motori. Descrizioni accurate dette
pure dell'anatomia degli organi genitali, dell'occhio e delle varie parti
dell'intestino: ancora oggi sono in uso alcuni nomi da lui introdotti, come per
esempio il duodeno.
Egli diede contributi dello stesso livello descrivendo le cavità del cuore, le
valvole cardiache e il sistema respiratorio. Particolare attenzione Erofilo la
dedica allo studio dell’occhio, unico organo al quale sappiamo lui abbia
dedicato un trattato specifico. Lo stesso Lucio Russo commenta giustamente:
“si può immaginare che se uno studioso di anatomia o fisiologia potesse
leggere le opere di Erofilo proverebbe una sensazione in parte analoga a quella
che un matematico prova leggendo Euclide o Archimede, al di là delle
differenze con le conoscenze attuali, li riconoscerebbe come trattati della
propria disciplina”61. Erofilo fu il primo medico che descrisse i sintomi delle
malattie mentali e si occupò anche di medicina in senso stretto cioè di
patologia, diagnostica e terapeutica. L’avvicinarsi alla medicina scientifica
comunque non fu un fenomeno attribuibile solo a Erofilo, una personalità
isolata. Il moltiplicarsi delle conoscenze portò alla specializzazione dei medici e
alla fondazione di numerose scuole non solo ad Alessandria.
Il più grande degli allievi di Erofilo, Erasistrato di Ceo (310-250 a.C.
circa), continuò e perfezionò gli studi anatomici del maestro, ma fu soprattutto
un fisiologo e un patologo. Distinse il cervello dal cervelletto e studiò anche le
circonvoluzioni della corteccia cerebrale e, dopo averne notato la diversità nei
vari animali e nell'uomo, le mise in relazione con il grado d'intelligenza
dell'individuo. Probabilmente Erasistrato compì anche alcuni esperimenti di
fisiologia, distinguendo la diversità di funzione tra le radici anteriori dei nervi
spinali (che portano l'impulso motore ai muscoli) e quelle posteriori (che portano
al midollo gli stimoli ricevuti dalla periferia): intuì così una verità che sarà
dimostrata soltanto nel secolo scorso 61 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 171
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La tecnologia scientifica
Purtroppo le informazioni disponibili sulla tecnologia scientifica sono
davvero limitate, frammentarie e di non facile interpretazione nonostante le
notizie recuperate con gli ultimi scavi archeologici. Possiamo attribuire questo
fatto in parte allo scarso interesse per la tecnologia delle epoche successive in
cui furono selezionate le fonti attualmente disponibili. Un papiro ritrovato nel II
secolo a.C. contiene un elenco di uomini che avevano raggiunto il vertice della
fama in vari campi. Gli ambiti selezionati dall’anonimo scrittore furono:
legislatori, pittori, scultori, architetti e meccanici. Ciò dimostra il crescente
interesse per l’ingegneria meccanica: la nascita di tale scienza fu
accompagnata dallo sviluppo delle capacità di progettazione e realizzazione di
una svariata quantità di macchine diverse: poter usare una serie di nuovi
elementi tecnologici di base quali viti e ruote dentate e la possibilità di calcolare
teoricamente i vantaggi meccanici potenziarono enormemente questo ambito.
Anche la tecnologia militare subì un forte incremento qualitativo e quantitativo.
Fino ai giorni nostri è stata diffusa acriticamente l’idea che le macchine di
Archimede fossero l’unico esempio di impegno nella tecnologia militare. In
realtà queste vanno semplicemente inquadrate nell’ambito dei progressi
realizzati sin dall’inizio dell’epoca ellenistica: si progettarono e costruirono
catapulte, arieti, tanto che nella stessa epoca cambiò la tecnica di fortificazione
delle città. Anche nell’ingegneria navale si ebbero notevoli cambiamenti di cui
però non abbiamo molte fonti. Sappiamo però che vi fu una vera e propria gara
a costruire navi sempre più grandi. L’aumento delle dimensioni caratterizzò sia
le navi belliche, su cui si potevano collocare grandi catapulte che le navi
mercantili. La scarsa informazione che circonda l’ingegneria navale è in parte
causata forse dal fatto che ad esempio a Rodi, ma probabilmente anche in altre
città, era prevista la pena di morte per chi spiava nei cantieri navali.
Un’applicazione della tecnologia ellenistica alla navigazione fu la costruzione
del faro di Alessandria. Anche se non è direttamente dimostrabile l’intervento di
scienziati nella progettazione del faro non è certo casuale che il primo sia sorto
87
proprio in quella città. L’installazione del Faro, visibile da circa 47 km, fu
considerato così utile che sorsero altri fari in tutti i porti più importanti del mondo
ellenizzato. Anche l’ingegneria idraulica compiva in questo tempo, i primi passi
ciò è osservabile grazie ai ritrovamenti archeologici del XX secolo. Gli scienziati
si concentrarono molto sullo studio di tecnologie per il sollevamento dell’acqua:
la macchina più antica documentata risale al 2300 a.C. in Mesopotamia ma è in
epoca ellenistica che appaiono dispositivi completamente nuovi. Il mondo antico
non conoscerà progressi in questo settore nell’epoca successiva. Nelle nuove
macchine non solo l’acqua sollevata è nettamente maggiore ma soprattutto
l’azione necessaria viene automatizzata ovvero l’uomo viene sostituito con un
moto di rotazione continuo che può essere fatto da un animale o da un’altra
fonte naturale di energia, ad esempio il vento.
La più famosa documentazione scritta sulla tecnologia ellenistica è costituita
dalle opere di Erone, vissuto nel I secolo d.C. e definito da Preti “vero e proprio
ingegnere nel senso moderno del termine”62 L’uso spesso ludico della
tecnologia da parte di Erone, che ad esempio aveva costruito il primo
distributore automatico (introducendo una moneta la macchine versava una
quantità precisa di liquido) ha portato ad una interpretazione fuorviata della sua
testimonianza. Erone, visto per quello che appare oggi, ovvero un compilatore
privo di originalità, non può essere l’inventore di tutte quelle macchine che lui
descrive nei suoi libri. Alcuni indizi fanno credere che Erone descriva una
tecnologia antica che ai suoi tempi era già in parte andata perduta.
L’eccezionale trasmissione delle sue opere attraverso le civiltà pre-scientifiche
che si sono succedute, in parte è attribuibile all’aspetto ludico e stupefacente
dei dispositivi descritti. La rivoluzione scientifica europea si è basata in modo
essenziale sui dispositivi descritti nelle opere ellenistiche e in particolare quelle
di Erone.
1.4. Decadenza e fine della scienza 62 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 84
88
La scienza e più in generale la società ellenistica, dopo essersi
sviluppata in modo straordinario nel III secolo a.C. entrò in crisi nel secolo
successivo: non ci fu un incremento a livello scientifico delle conoscenza ma
soprattutto il metodo scientifico venne bandito. Le lunghe guerre tra Roma e gli
stati ellenistici costituirono forse l’ostacolo più serio dell’attività scientifica. “Dalla
metà del II secolo a.C. non esistevano quasi più centri culturali ellenistici. Per
qualche tempo aveva svolto un ruolo importante Rodi, ma il suo ruolo
economico nel II secolo a.C. fu drasticamente ridimensionato dai Romani che la
saccheggiarono nel 43 a.C. le guerre si concluserono infine nel 30 a.C. con la
conquista di Alessandria, che completò l’incorporazione di tutto il mondo
mediterraneo nel dominio di Roma”63.
La raffinata cultura di alcuni intellettuali romani fu resa possibile proprio
dal continuo contatto con la civiltà ellenistica attraverso quegli uomini deportati
come schiavi e i libri e le opere d’arte depredati. Occorsero però per questo
effetto diverse generazioni. Molte delle più importanti e fiorenti biblioteche
ellenistiche furono distrutte e incluse nel bottino di guerra. Libri, opere d’arte
confiscate, vennero usate per ornare le ville dei generali vincitori. La fine delle
biblioteche, che erano state per anni il punto di riferimento della cultura anche
scientifica, ebbe certamente un non trascurabile impatto ed effetto sulla crisi
della scienza così come la nuova moda diffusa presso i romani di comprare
quei Greci dotti e colti come schiavi da usare come lettori, pedagoghi e copisti
ma non come studiosi cui permettere di continuare la loro opera.
1.5. I rinascimenti
La sopravvivenza di una parte della cultura nata nell’era ellenistica è
attribuibile ad una serie di rinascimenti che in aree geografiche diverse
riaccesero in alcuni periodi diversi, l’interesse per le antiche conoscenze: 63 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 380
89
- il primo riguardò la ripresa degli studi avvenuta in epoca imperiale
- secondo risale alla prima metà del VI secolo d.C.
è importante dire che il livello di originalità di alcuni autori di tale epoca è
pressocchè nullo. Ad esempio il commento di Eutocio64 ad Archimede è per noi
“moderni” molto importante come unica fonte su diverse opere matematiche
ellenistiche ma non è originale.
- terzo il rinascimento islamico. L’Islam si interessa di scienza a partire dal
VIII secolo con la traduzione degli Elementi di Euclide. Agli islamici è
chiaro lo stretto legame tra scienza e tecnologia
Ma il rinascimento per antonomasia si fa iniziare nel Trecento quando alcuni
scritti greci provenienti da Costantinopoli giunsero in Italia. Gli intellettuali
rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche ma,
come bambini curiosi, erano attratti dai singoli risultati in particolare da quei
disegni di dissezioni anatomiche, dagli ingranaggi, dalla prospettiva,
dall’idraulica, dalla fusione di grosse statue di bronzo, dalle macchine belliche. Il
più famoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste novità fu Leonardo da Vinci.
Egli riuscì con il suo genio a trascendere la cultura del suo tempo e immergersi
creativamente in un lontano passato. Fu nel 1543 che Copernico riprese la
teoria eliocentrica di Aristarco per verificare il geocentrismo imperante. Si
accese l’interesse per lo studio dell’astronomia e della geografia matematica
ma non solo: nel cinquecento vi fu grande interesse anche per altri elementi
della cultura ellenistica come gli studi dell’anatomia.
Il problema più grande causato dai rinascimenti è dato dal fatto che ogni
recupero di antiche conoscenze aveva comportato una certa perdita di altre.
“L’assimilazione di antiche idee consiste infatti nel trasferirle nel linguaggio della
propria cultura riversandole in opere che tendono a sostituire quelle originali
che vengono spesso dimenticate”65 infatti ciascuno dei rinascimenti aveva
64 Eutocio di Ascalona fu un matematico greco vissuto nella prima età bizantina. Sappiamo poco della sua vita. Nato ad Ascalona verso il 480. Si pensa sia morto intorno al 540. Non conosciamo risultati originali di Eutocio. Di lui ci restano commentari ai primi quattro libri delle Coniche di Apollonio di Perga e alle seguenti opere di Archimede: Sull’equilibrio delle figure piane; Sulla sfera e il cilindro; Sulla misura del cerchio. 65 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 398
90
portato ad una parziale sostituzione di opere precedenti su particolari argomenti
tecnici con opere più moderne, in molti casi di livello inferiore, a volte limitando
la diffusione delle opere più antiche a volte provocandone la scomparsa
definitiva.
2. Il ruolo della biblioteca d’Alessandria nello sviluppo della cultura ellenistica
La scienza ellenistica viene spesso definita anche con l’espressione
“alessandrina” perché ebbe il suo centro principale ad Alessandria d’Egitto, polo
culturale di prima grandezza nel panorama del mondo allora conosciuto. La
città Alessandria d’Egitto fu fondata sulle coste del Mediterraneo per volere di
Alessandro Magno tra il 332 e il 331 a.C., fu la prima delle 32 città con questo
nome. “Di Alessandria si dice che formasse un rettangolo quasi perfetto, tra il
mare e il lago Mareotide. Di questo spazio un quarto era occupato dalla
reggia… già Alessandro l’aveva voluta grandiosa e poi ogni sovrano vi ha
aggiunto un nuovo edificio o un nuovo monumento” 66. Uno dei motivi di tale
supremazia fu certamente la politica dei primi Tolomei: particolarmente
importante fu l’opera di Tolomeo I Soter (che regnò dal 323 al 283) e Tolomeo II
Filadelfo (che regnò dal 283 al 246). Tolomeo I Soter fu il primo re dell’Egitto
ellenistico, la sua nomina è in parte dovuta alla grande amicizia che lo legava a
Alessandro Magno in quanto era stato per lunghi anni suo generale. Egli scelse
come suo erede non il figlio primogenito ma il figlio avuto con la seconda moglie
Berenice, proprio Tolomeo II il Filadelfo.
Nonostante la tradizione ne attribuisca il merito a Tolomeo II il Filadelfo,
fu Tolomeo I Soter colui che per primo sostenne e finanziò il progetto della 66 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 22
91
costruzione della biblioteca ad Alessandria, biblioteca che, nei disegni del
faraone, non solo doveva trasformarsi nel più importante centro di
aggregazione e documentazione per i saggi e i dotti del tempo, ma doveva
contenere all’interno delle sue mura la più grande collezione di libri mai vista
prima, trasformandosi in centro di raccolta di tutta la conoscenza umana. Il
progetto era ambizioso, ma non irrealizzabile se è vero che già sotto Ramses II,
circa mille anni prima, esisteva una biblioteca che raccoglieva qualcosa come
20.000 rotoli di papiro, una cifra esorbitante per l’epoca. I lavori per la
costruzione della nuova biblioteca iniziarono intorno al 290 a.C., sotto la
supervisione di Demetrio Falereo (350-285 a.C.), singolare personaggio
cerniera tra Atene e Alessandria: oratore, studioso di problemi etici filologici e
retorici, fu discepolo e amico di Teofrasto. Entrato nella cerchia del faraone, fu
in realtà proprio Demetrio l’ideatore e l’iniziatore della costruzione della
biblioteca, appoggiato da Tolomeo I e aiutato, nel suo lavoro di raccolta del
materiale, da un gran numero di filologi, scribi, dotti. Ogni tanto il re passava in
rassegna i rotoli, “quanti rotoli abbiamo?” chiedeva. E Demetrio lo aggiornava
sulle cifre. Avevano stabilito che, per raccogliere ad Alessandria i libri di tutti i
popoli della terra fossero necessari in tutto 500 mila rotoli. Demetrio scriveva al
suo sovrano dei resoconti, in uno di questi egli illustrava l’opportunità di
acquisire anche “i libri della legge giudaica”. A lui dunque si deve l’avvio della
traduzione in greco dell'Antico Testamento, la famosa Septuaginta o "Bibbia dei
Settanta".
Tolomeo II il Filadelfo fu il continuatore dell’opera iniziata dal padre e
colui che maggiormente contribuì all’ampliamento dell’archivio e dei testi
presenti nella biblioteca. Secondo Galeno, fu proprio il Filadelfo a creare il
cosiddetto “fondo delle navi”: in pratica, sempre secondo quanto riportato da
Galeno, il sovrano ordinò che tutti i libri presenti sulle navi che facevano scalo
ad Alessandria (Alessandria era un porto commerciale attivo e rinomato
all’epoca) venissero ricopiati, che gli originali fossero trattenuti e che ai
possessori fossero restituite le copie. Si attribuisce, inoltre, sempre a Tolomeo II
92
l’iniziativa di un appello a tutti i sovrani della terra perché inviassero ad
Alessandria qualunque opera in loro possesso su qualsiasi argomento.
Ad Alessandria, proprio tra le mura della biblioteca, si formò la rinomata
scuola di filologia che poté annoverare tra le sue fila i più famosi studiosi del
tempo: Zenodoto di Efeso, il primo bibliotecario a cui va il merito della divisione
in libri dell’opera di Omero e la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio
librario; Callimaco, che sotto Tolomeo II compilò i Pinakes, ossia i Cataloghi (in
120 libri) in cui ordinò i volumi per settori e generi letterari con ordinamento
alfabetico degli autori. I cataloghi di Callimaco non erano considerati una guida
ma potevano essere utili a chi già fosse esperto: epici, tragici, comici, medici,
storici, retori sono alcune delle categorie a cui si aggiungono le sei sezioni per
la poesia e le cinque per la prosa.
Dopo la direzione di Apollonio Rodio che abbandonò la carica
rifugiandosi a Rodi, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della
biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori,
contribuì alla crescita delle opere di ambito scientifico.
Fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di
Bisanzio ed Aristarco di Samotracia (la principale fonte della nostra tradizione
omerica) che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della
loro fortuna. “Classificavano, dividevano in libri, ricopiavano, annotavano,
mentre il materiale cresceva incessantemente, ed essi stessi coi loro poderosi
commenti contribuivano ad accrescerlo. Pochi, se non loro, conoscevano a
fondo la biblioteca in ogni sua arteria”67.
La biblioteca di Alessandria, si doveva ben guardare dal pericolo
costituito dalla nascita di una nuova biblioteca a Pergamo. Da quando era salito
al trono Eumene, il figlio di Arttalo, era incominciata la caccia ai libri in modi non
del tutto diversi da quelli particati dai Tolomei. La rivalità fra i due centri ebbe
conseguenze pesanti. Molti falsari entrarono in scena, offrivano testi antichi
contraffatti e nella maggioranza dei casi i bibliotecari, se il falso non era subito
evidente erano costretti ad accettare il testo per non avvantaggiare la biblioteca 67 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 46
93
rivale. Si trattava quindi di abili manipolazioni. La biblioteca di Alessandra e se
vogliamo anche quella di Pergamo, non solo, quindi, fu fondamentale come
luogo di raccolta e di tutela delle opere della letteratura originale greca, ma
anche come laboratorio di cura di quei testi. Insomma, nel giro di pochi anni
essa si trasformò in una vera e propria officina del sapere, in grado di
catalizzare l’attenzione dei nomi più noti del panorama culturale dell’epoca,
aprendo la strada a studi sempre più approfonditi e moderni e trasformando
Alessandria in un vero centro di cultura, alla pari se non superiore alla stessa
Atene.
Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed
incomplete e non permettono di far luce sulla data della distruzione definitiva
della biblioteca.
Il primo imputato della distruzione di alcuni libri fu Cesare: si narra che
nel 48 a.C., durante le guerre alessandrine che videro coinvolto Cesare e il suo
esercito, il patrimonio librario del Museum subì un primo, doloroso attacco. In
seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria un incendio si sviluppò nel porto
della città ed avrebbe danneggiato la biblioteca.
Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie dell'episodio, dieci, fra cui
lo stesso Cesare nella Guerra alessandrina, Cicerone, Strabone, Livio, Lucano,
Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa
all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri. Sette di questi forniscono
notizie dell'incidente come segue:
- Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri.
- Lucano :racconta nei particolari l’incendio dicendo che si trovavano nei
magazzini portuali per caso circa 40.000 rotoli librari
- Plutarco (c. 117) dice che il fuoco distrusse la grande Biblioteca.
- Aulo Gellio (123 - 169) riporta la notizia di 700.000 volumi bruciati.
- Dione Cassio (155 - 235) informa che furono incendiati i depositi
contenenti grano ed un gran numero di libri.
- Ammiano Marcellino (390) scrive di 70.000 volumi bruciati.
- Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri.
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Di tutte le fonti, Plutarco, nella "Vita di Cesare", è l'unico che parla della
distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare.
“Poiché è escluso che i depositi del museo si trovassero fuori della
reggia e addirittura fossero sistemati nel porto presso i magazzini di grano, è
superfluo osservare che dunque i rotoli andati in fumo non avessero nulla a che
fare con la biblioteca regia. Mai Orosio parafrasando Livio avrebbe detto che si
trovavano lì per caso. Erano dunque merci. Papiri forse destinati al ricco ed
esigente mercato estero”68.
La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nel corso
della guerra alessandrina sarebbe inficiata non solo dalla discrepanza delle
fonti, ma anche da altri indizi. Ci sono alcune fonti che fanno supporre che la
biblioteca fosse ancora in piedi in tempi più recenti dell'episodio narrato.
Puramente fantasiosa appare un'altra ipotesi, che ha attribuito la fine della
biblioteca alla conquista (pacifica) della città da parte degli arabi musulmani che
avrebbero infierito su quanto sopravvissuto all'attacco di Aureliano. Un
episodio, chiaramente aneddotico e del tutto inattendibile, vuole che il generale
Amr ibn al-Āṣ, incerto su che fare della biblioteca, abbia chiesto un parere al
califfo Omar, massima autorità dell'Islam. Il califfo avrebbe risposto all'incirca:
“In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del
Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono
presenti allora sono dannose e vanno distrutte”.69
È invece da ricordare che quella del Serapeo fu distrutta al di là di ogni
dubbio, dagli oltranzisti cristiani guidati dal vescovo Teofilo che intendevano
purgarla del suo sapere pagano.
Con il tempo il Museum e i palazzi ad esso annessi non furono più
ricostruiti e Alessandria iniziò a perdere il suo primato culturale sino a cadere
nel dimenticatoio. La biblioteca aveva rappresentato per secoli un polo di
attrazione e un centro di grandissimo interesse culturale ed era stata in grado di
unire le popolazioni del Mediterraneo sotto il comun denominatore del sapere e
68 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 84 69 Ibid p. 92
95
della conoscenza. Venuto meno questo suo ruolo, anche la città che la ospitava
perse il suo fascino e fu completamente dimenticata.
Oggi la biblioteca è stata ricostruita. I lavori sono iniziati nel 1995. Il
progetto è stato sponsorizzato dall'UNESCO - l'Organizzazione Culturale delle
Nazioni Unite e finanziato con donazioni arrivate da tutto il mondo sotto forma di
soldi, ma anche di libri. L'edificio è collocato, là dove un tempo sorgeva l'antica
Biblioteca. La Biblioteca possiede più di un milione di testi scientifici, un istituto
per il restauro dei libri antichi, una scuola d'informatica, sale per riunioni e
congressi, un parcheggio sotterraneo. I volumi del Sapere sono disposti su
undici piani, per una superficie di 45.000 mq. Quattro piani sono stati scavati nel
sottosuolo, mentre sette si innalzano verso il cielo. I testi tradizionali sono
conservati nei piani inferiori, nei piani superiori sono disposte le scienze
moderne, l'hight-tech e le discipline spaziali. E' importante rilevare la
disposizione dei volumi, che simboleggia l'incontro tra il passato e il presente,
tra storia antica e moderna, quest'ultima sempre in evoluzione. All'entrata due
musei attendono i visitatori: il primo è dedicato ai quindici reperti archeologici
scoperti durante la realizzazione delle fondazioni, l'altro museo è dedicato alle
scienze moderne e precisamente all'evoluzione tecnologica.
2. Il grande Archimede
Archimede occupa tra i grandi scienziati dell’età ellenistica che ho già
citato e in genere del passato certamente un posto di primo piano. L’anedottica
che ha sempre circondato la sua figura, congiunta alla scarsissima diffusione
delle sue opere, accomuna Archimede più ai personaggi del mito o della
leggenda piuttosto che ad altri pensatori. La conseguenza più importante di
questo fa si che venga ricordato come un personaggio leggendario al di fuori
della storia dimenticando che si tratta di uno scienziato di cui ci sono rimaste
alcune opere e i cui risultati continuano ad esserci trasmessi lungo tutto l’arco
dei nostri studi.
Non abbiamo notizie certe della vita di Archimede: l’unica data certa è
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quella della sua morte avvenuta durante la conquista di Siracusa, una delle più
grandi città del mediterraneo nel 212 a.C. Secondo il grammatico bizantino
Tzetze (XII secolo), avrebbe avuto 75 anni. Secondo la maggior parte degli
studiosi quindi nacque nel 287 a.C nel pieno sviluppo dell’epoca ellenistica.
Fu il più grande matematico dell'antichità classica e tra i maggiori
scienziati di tutti i tempi, definito ironicamente credo da Preti “divino”. Dotato di
un intuito prodigioso e audace, egli portava a compimento le sue scoperte
sottoponendole a una logica rigorosa. Mario Geymonat nel suo libro “Il grande
Archimede” dice, descrivendo la sua figura che “visse intensamente legato al
suo popolo e al suo tempo, tanto che il suo impegno nella vita civile ha favorito
la nascita e la conservazione di innumerevoli aneddoti su di lui”70. A oltre
duemila anni di distanza essi sono considerati racconti ancora piacevoli e pieni
di fascino che nel caso dell’insegnamento scientifico possono costituire oggetto
di narrazione ai bambini.. Emblematico, quello tramandatoci nel II secolo d.C.
dallo storico greco Plutarco: “non c'è ragione di non credere a quanto si dice di
Archimede, e cioè che viveva continuamente incantato da una Sirena a lui
familiare e domestica, al punto da scordarsi persino di mangiare e di curare il
proprio corpo. Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno
per lavarlo ed ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure
geometriche; e appena lo avevano spalmato di olio, tracciava sulle proprie
membra delle linee col dito”. Anche Antonio Favaro nel suo libro dedicato ad
Archimede con l’omonimo titolo afferma che egli ereditò dal padre Fidia che era
un astronomo l'amore per gli studi scientifici, “ai quali però, per giungere,
com'egli fece, a tanta altezza, dovette essere già dalla natura dotato di
eccezionali disposizioni” (Favaro 1923). Il padre prima e i maestri poi, lo
avviarono allo studio “delle matematiche” (Favaro 1923), in particolare verso la
geometria. Così come da Favaro riprende l’aneddoto per cui Archimede: “non
solamente progredisse fin da principio in modo straordinario, ma altresì che ne
fosse in così alto grado invaghito da trascurare per essa qualsiasi altra
occupazione” (Favaro 1923). Infatti, a nient’altro pensava se non a quei suoi 70 M. GEYMONAT, Il grande Archimede, Mario Teti Editore, Roma 2006, p.17
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studi, e ovunque si ritrovava altro non faceva che tirar linee e disegnare figure
geometriche, “dimenticando talora perfino di prender cibo e di seguire quelle
consuetudini che erano proprie degli uomini del suo tempo: ai bagni, per modo
di esempio, non andava se non condotto quasi per forza, e non si assoggettava
che a contraggenio alle unzioni che allora solevano praticarsi;eppure anche
allora andava tracciando linee e figure nella cenere del vicino focolare, ed unto
che fosse il suo corpo, seguitava sopra sé stesso a segnar figure col dito”
(Favaro 1923).
Non impiegò molto Archimede a imparare tutto ciò che a Siracusa
potesse essere appreso perciò le sue aspirazioni si rivolsero altrove: Archimede
andò a perfezionare i suoi studi ad Alessandria d'Egitto, la capitale intellettuale
dell’età ellenistica che attirava tutte le più brillanti menti dell’epoca. Qui egli si
recò verso il 243 a.C. quando in Egitto regnava Tolomeo Evergete. Da parte
sua Archimede rifiutò di stabilirsi in questo paese, ma ad Alessandria egli
divenne amico degli scienziati della generazione immediatamente successiva al
matematico Euclide.
Nelle introduzioni ai suoi scritti, Archimede, nomina frequentemente
alcuni di essi: Conone, Dositeo, Eratostene. Di Conone in particolare
Archimede fu scolaro e molto affezionato, tanto che “di lui deplora la morte
dichiarandolo il solo dei suoi amici che ancora gli fosse rimasto e lo elogia
considerandolo nelle matematiche il migliore” (Favaro 1923). Lo stesso
Archimede in merito ad alcune proprie opere, che aveva scritto delle quali non
conosciamo l’identità, dice: “Conone morì senza aver avuto il tempo di trovarne
le dimostrazioni ed ha lasciati questi teoremi nella loro oscurità, ma se egli
fosse vissuto le avrebbe indubbiamente trovate e con questa scoperta ed altre
molte avrebbe allargato il campo delle cognizioni geometriche”. Dopo la morte
di Conone71, si rivolse a Dositeo72, al quale dedicò il trattato Sulla sfera e il
71 Conone di Samo è stato matematico e astronomo greco vissuto nel III secolo a.C.. Per effettuare osservazioni astronomiche e meteorologiche, fece molti viaggi e si stablì in seguito ad Alessandria. Fu amico personale di Archimede che ne rimpianse la prematura scomparsa. 72 Dositeo di Pelusio fu un matematico e astronomo greco, allievo di Conone di Samo, attivo ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo a.C.
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cilindro e pure Spirali e Conoidi e sferoidi. C’è chi asserisce che Archimede fu in
relazione anche con Eratostene, il quale fu chiamato da Tolomeo Evergete ad
Alessandria per succedere al suo maestro Callimaco nella direzione della
Biblioteca. Egli veniva chiamato “Beta”, dalla seconda lettera dell’alfabeto
greco, perchè giudicato secondo soltanto a Platone, negli studi di grammatica e
di letteratura e non solo. Con questi colleghi Archimede scambiò lettere dalla
Sicilia, sottoponendo loro i propri lavori prima di stenderne la redazione
definitiva, perché li discutessero e gli suggerissero eventuali modificazioni e
perfezionamenti.
È molto probabile che Archimede, dopo quel suo primo viaggio in Egitto
dove aveva “compiuta la sua educazione matematica” (Favaro 1923), vi sia
tornato successivamente. Sono attribuibili a questo secondo viaggio le grandi
imprese di cui gli storici raccontano: da fonti arabe sappiamo che in Egitto
Archimede “costruì ponti e grandi arginature, queste per regolare le feconde
inondazioni del Nilo, quelli per mantenere le comunicazioni fra le città e le
borgate che dalle acque tracimate rimanevano divise e la invenzione più
meravigliosa quella della coclea che avvantaggiò gli Egiziani” (Favaro 1923). Fu
così che il genio di Archimede si rivelò in scoperte importantissime alcune delle
quali forse gli furono interamente assegnate dalla leggenda.
Archimede scriveva le sue opere nel dialetto dorico, allora parlato a
Siracusa (mentre ad Alessandria si usava l'attico), ma la lingua venne
rimaneggiata da chi le ha trasmesse nei secoli successivi. Va ricordato che le
opere di Archimede non avevano uno specifico intento didattico: egli tralascia le
minuzie e spesso affida al lettore alcuni passaggi del ragionamento molto
complessi. Certo lo scienziato siracusano non si accontentava di dare l'ultima
rifinitura a materie in tutto o in parte già note, ma si dedicava con passione a
scoperte e invenzioni innovatrici. Delle sue opere matematiche si dice che: “il
massimo ingegno sovrumano di colui che Galileo chiama “il mio maestro” e che
egli scrive d’aver superato tutti, rifulge in particolar modo nelle opere
Lo conosciamo soprattutto come corrispondente di Archimede di Siracusa, che dopo la morte di Conone gli invia diversi suoi lavori.
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matematiche, le quali non sono, come quelle di tanti altri geometri dell'antichità,
compilazioni o raccolte: egli è principalmente e soprattutto uno scopritore ed un
inventore, ed i lavori da lui lasciati contengono cose nuove per la massima
parte escogitate e trovate esclusivamente da lui” (Favaro 1923).
Più che raccogliere le sue ricerche in libri d'insieme, egli le distribuiva per
argomento in opuscoli o in lettere che indirizzava a famosi scienziati a cui era
legato da amicizia e che vivevano ad Alessandria. Questo suo modo di
procedere si può paragonare al fare ricerca di molti scienziati attuali che usano
articoli.
Archimede si interessò a vari ambiti della conoscenza, ma oltre per le
opere resta famoso per il suo metodo di esaustione: volendo dimostrare che
una certa area o un certo volume hanno un determinato valore, si presuppone
che abbia un valore maggiore o minore della figura che io immagino. Ciò è
molto vicino al concetto di limite. Le prime notevoli applicazioni del metodo di
esaustione erano state introdotte da Eudosso nel IV secolo a.c. e questo
metodo era stato accolto come un procedimento scientificamente legittimo
all'inizio del III secolo a.c. da Euclide (soprattutto nel XII libro degli Elementi),
ma chi ne fece le applicazioni più brillanti fu appunto Archimede, che riuscì a
dimostrare in questo modo risultati nuovi e inattesi, il che gli ha meritato
l'ammirazione indiscussa dei contemporanei e dei posteri, che hanno
giustamente ritenuto le sue scoperte come l'applicazione logicamente più
impeccabile di tale metodo.
Il siracusano spiegava con inequivocabile chiarezza come egli si valeva,
sì del metodo di esaustione per procurare alle proprie scoperte una base sicura,
ma ricorreva a metodi intuitivi (di carattere misto, matematico e meccanico)
nella fase inventiva. Questa capacità di avvalersi simultaneamente di due
metodi diversi dimostra sia l'agilità mentale del siracusano, sia il suo
atteggiamento nuovo di fronte alla ricerca, che egli considerava come qualcosa
di vivo, non un ammasso di vincoli e catene intersecando sempre pratica e
teoria
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3.1. L’assedio di Siracusa e la morte di Archimede
Sotto il sapiente regime di Gerone (amico fraterno di Archimede)
Siracusa aveva raggiunto un grado altissimo di sviluppo: il re da una parte
curava le arti della pace e dall’altra non dimenticava di munire la sua capitale in
modo che potesse resistere agli attacchi. Così la sua città oltre ad essere una
tra le più belle del tempo con monumenti e eleganti palazzi pubblici e privati,
era pure una fortezza formidabile. Queste valide opere di difesa, perfezionate
dalle assidue cure del re Gerone, vennero ben presto messe a dura prova:
l’ormai novantenne re morì dopo 54 anni di regno. A raccogliere la sua
successione fu chiamato il nipote, Ieronimo, appena quindicenne che appena
salito sul trono ruppe la tradizione del nonno che s'era mantenuto
costantemente fedele a Roma.
Alla difesa della città aveva pensato Archimede, il quale, mantenutosi
sempre estraneo alle lotte dei partiti, nel momento del supremo pericolo venne
in soccorso dei suoi concittadini con tutte le opere scaturite dal suo genio. Fu
convinto dai consiglieri di Siracusa: “a rivolgere un poco della sua tecnica dalle
cognizioni teoretiche alle cose concrete e a mescolare in qualche modo la
speculazione coi bisogni materiali, così da renderla più evidente ai profani...e a
preparare delle macchine sia da difesa, che da offesa, che potessero servire a
qualunque tipo di assedio l’assedio” (Plutarco, vita di Marcello cap. 14). I
particolari di questa memorabile difesa-assalto sono narrati da Polibio, dallo
stesso Plutarco e da Tito Livio. È da notare quindi, come questo fatto storico sia
rimasto e tramandato nel tempo: si narra di una guerra che vide come
principale protagonista uno scienziato.
Dalle fonti apprendiamo che per poter arrestare il nemico che investiva la
città Archimede aveva provveduto con particolare astuzia alla difesa di Siracusa
sia per terra che per mare: grazie anche alla conformazione del territorio su cui
era sorta Siracusa, Archimede progettò arceri, scorpioncini, catapulte che
mettevano fuori combattimento le navi e i soldati. Per un ulteriore difesa dagli
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attacchi via mare, Archimede progettò la cosiddetta “mano di ferro” descritta
soprattutto in Polibio.
Tra la serie di congegni studiati da Archimede per difendere la sua città
non si può non citare i famosi specchi ustori che sarebbero stati usati da
Archimede per deviare i raggi del sole e incendiare le navi di Marcello. Sulla
loro effettiva esistenza gli storici della scienza si mantengono scettici. Lo
scetticismo nasce anche dal fatto che nessuno degli storici già citati, cioè nè
Polibio, nè Plutarco, nè Tito Livio ne parlano; e di quelli che lo affermano, ad
esempio Galeno ne scrive come di cosa udita narrare. Nel terzo anno
dell'assedio: la guerra si concluse nel 212 a.C, la città venne perciò dichiarata
provincia romana e l'intera Sicilia venne annessa all'impero romano.
Archimede è legato a tale guerra non solo per aver messo a disposizione
il suo genio per la difesa della città ma anche per un altro motivo: egli venne
ucciso per mano di un soldato romano. Molti autori hanno scritto sulla sua
morte e perciò sono giunte a noi diverse versioni di tale avvenimento. Si narra
che mentre “venivano dati molti disgustosi esempi di furore e di cupidigia,
Archimede, pur nell'enorme scompiglio quale poteva esser quello suscitato nel
panico della città invasa, in mezzo al correre qua e là dei soldati intenti al
saccheggio, era tutto preso da figure geometriche che aveva tracciato nella
sabbia, fu ucciso da un soldato che ignorava chi egli fosse (Tito Livio, Ab urbe
condita). All'assalitore lo scienziato avrebbe gridato: "Non scompigliare i miei
cerchi!" (Noli turbare circulos meos), espressione divenuta proverbiale in
riferimento allo scienziato con la testa fra le nuvole.
Si narra anche che Marcello fosse grande ammiratore di Archimede per
come era riuscito a difendere con i suoi congegni la città, entrando trionfante a
Siracusa avesse ordinato di salvargli la vita (certamente faceva comodo da vivo
e non da morto). Tutte le fonti concordano nel dire che Marcello provasse
grande dolore dopo la morte di quel grandissimo genio e che ordinò che
venisse costruita una tomba degna del suo nome: fece incidere una iscrizione,
come si narrava fosse stato il suo volere, che rappresentava la scoperta di cui
Archimede andava molto orgoglioso. Dalle parole di Plutarco: “un cilindro
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contenente una sfera, scrivendovi la proporzione che passa tra il solido
contenente e quel contenuto” (Plutarco) morendo Archimede venne risparmiato
dal vedere lo scempio fatto della sua città dai barbari e crudeli vincitori.
Resta comunque il fatto che l'uccisione di Archimede fu una delle pagine
meno gloriose della storia di Roma.
3.2. Ritrovamento della tomba
Certo è che dopo la caduta di Siracusa, il grande matematico fu
dimenticato dagli stessi siracusani e la sua tomba cadde in abbandono Solo nel
75 a.C. Marco Tullio Cicerone, allora questore di Siracusa, riuscì a ritrovare la
tomba nascosta tra arbusti e cespugli, ma ancora sovrastata da quel cilindro e
da quella sfera, che Archimede aveva voluto come monumento funebre:
“quando ero questore scopersi il suo sepolcro, tutto circondato e rivestito di rovi
e pruni, di cui i siracusani ignoravano l’esistenza, anzi escludevano che ci
fosse… un giorno scrutava ogni angolo con lo sguardo e scorsi una collinetta
che non sporgeva molto dai cespugli, su cui stava l’effige di una sfera e di un
cilindro. Subito dissi ai Siracusani si trattasse proprio di quello che cercavo. Si
mandò mola gente con falci e il luogo fu ripulito e sgombrato… così una tra le
più celebri città della Grecia e una volta anche fra le più dotte avrebbe ignorato
l’esistenza del suo più geniale cittadino, se non glel’avesse fatta conoscere un
uomo di Arpino” (Cicerone). L'episodio è raccontato dallo stesso Cicerone in un
brano delle disputazioni Tuscolane.
Il gesto di Cicerone ha quasi il sapore di una riparazione da parte di un
romano per la morte del grande matematico. Gesto che comunque non potè far
rinascere quella scienza ellenistica della quale Archimede era stato il più
celebre esponente. Si sarebbero dovuti attendere quasi due millenni perché la
scienza e la tecnica tornassero a livelli paragonabili a quelli raggiunti nel III
secolo a.C.
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3.3. Le opere
I contributi noti di Archimede alla matematica, alla geometria e all’astronomia
Sull’equilibrio dei piani: è un’opera divisa in due libri distinti. Nel primo libro
Archimede inserisce i suoi studi sul principio della leva. Già da tempo gli uomini
avevano familiarizzato con l’uso della bilancia e di leve di diversa grandezza ma
Archimede ne illustra con il suo spirito matematico le proprietà con un
importante enunciato: “le grandezze sono in equilibrio se sospese a distanze
inversamente proporzionali ai pesi”. Archimede ha ben presente una bilancia e
cioè un asta sospesa e sostenuta nel suo punto medio, in posizione orizzontale
quando è in equilibrio sulla quale stanno applicati i pesi.
Si narra che re Gerone nel 240 a.C. fece costruire sotto la direzione dello
stesso Archimede la smisurata nave da donare all’Egitto segno della prosperità
del suo regno. “si narra dunque che tanto legname fu raccolto sull'Etna e
preparato per questo gran vascello quanto sarebbe bastato alla costruzione di
sessanta galere, e tutto il materiale metallico e quello occorrente per le vele e
per le gomene fu provveduto dall'Italia, dalla Spagna e dalla Gallia. Un esercito
di operai attendeva ai lavori. Portata nello spazio di sei mesi la costruzione alla
metà, dal cantiere all'asciutto nel quale si stava lavorando, dovette essere
trascinata in acqua ‘il tirar questa nave in mare essendo cosa molto
malagevole, il solo Archimede ve la trasse con pochi strumenti’. Era una vera e
propria città galleggiante con teatri, biblioteche, giardini... Con essa, ed altre
navi minori che le facevano corona, narrano gli storici che Gerone mandò in
Egitto sessantamila moggia di frumento, diecimila orci di salumi lavorati in
Sicilia, ventimila talenti di carne ed altrettanti di altre vettovaglie: il tutto,
compresa la nave che si chiamava Siracusa e che fu poi detta Alessandria, in
dono a Tolomeo Evergete” (Favaro 1923). Lasciando perdere il racconto quasi
fantastico che ne fa Favaro è lecito domandarsi come Archimede fece per
mettere in mare questa grandissima nave che era stata costruita a terra: era la
più grande nave costruita nell’Antichità. Mise semplicemente in pratica il
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principio citato in precedenza: con un complesso sistema di carriole, pulegge e
leve riuscì a portare lo scafo in mare usando pochissimi uomini. Si racconta che
egli stesso, stupito, avesse gridato con entusiasmo una delle frasi più celebri
della storia: “datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”. La frase è
ricordata dal matematico Pappo vissuto nel IV sec., da Simplicio e dal bizantino
Tzetze nel XII sec. Archimede aveva capito che si poteva ridurre la forza
necessaria a muovere un determinato peso semplicemente aumentando in
proporzione la distanza dal punto di applicazione, il fulcro. In astratto sarebbe
quindi possibile sollevare con una forza limitata un peso grandissimo come
quello della Terra purchè ci si possa appoggiare a un punto fisso esterno ad
essa. Su tali principi fondò la costruzione di celebri macchine ad uso civile e da
guerra che ebbero una grande utilità pratica.
Nel resto dei libri I e II, Archimede tratta la determinazione dei centri di
gravità di varie figure piane, come il parallelogramma “il centro di gravità di
qualunque parallelogramma è il punto nel quale si intersecano le diagonali”
(libro I, proposizione 10); il triangolo e il trapezio sempre nel libro I
rispettivamente nella proposizione 14 e 15.
L’intero secondo libro invece concentra l’attenzione sul centro di gravità
della parabola e comprende una dimostrazione attraverso il metodo di
esaustione.
Il concetto di baricentro come punto di applicazione di tutte le forze di un
solido era già conosciuto all’epoca, ma fu Archimede a darne una teoria
razionale e un’esplicita definizione di centro di gravità come abbiamo visto.
Stabilisce quindi che ogni oggetto ha un baricentro e che tramite la sua
conoscenza è possibile ottenere le migliori applicazioni della meccanica e della
statica, che sotto molti aspetti è divenuta una scienza.
Sulla misura del cerchio è un piccolo trattato probabilmente incompleto
legato a quello della sfera e del cilindro, in cui si parla dei rapporti tra cerchi e
triangoli, del rapporto tra il cerchio e il suo diametro, fornendo il valore del π con
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una precisione migliore di quella ottenuta dai matematici egiziani e babilonesi. Il
pi greco è il simbolo che indica il rapporto tra la circonferenza e il diametro o
raggio del cerchio. Esso risolve il problema della rettificazione della
circonferenza e della quadratura del cerchio. Nel primo dei tre teoremi
Archimede dichiarava: “ogni cerchio è uguale ad un triangolo rettangolo che ha
un cateto uguale al raggio e l’altro uguale alla circonferenza del cerchio”. La
breve ma densa opera è senza dubbio uno dei testi scientifici più appassionati
dell’antichità. La misurazione delle linee curve viene affrontata da Archimede
anche nella quadratura della parabola. La più famosa delle coniche.
Tra il primo e il secondo libro sull’equilibrio dei piani molti critici
inseriscono La quadratura della parabola, opera indirizzata a Dotiseo che viene
considerata come quella che mette più in luce l’intelligenza del grande
Siracusano. È il primo esempio di quadratura di una curva dopo quella del
cerchio. Egli ottenne questo risultato usando sempre il metodo di esaustione
con cui scoprì anche che l’area del segmento parabolico è uguale ai 4/3
dell’area di un triangolo avente la stessa base e uguale altezza della curva.
Questo è un trattato molto complesso: lo stesso Archimede afferma in una nota
autobiografica che aveva raggiunto questo risultato prima per via meccanica poi
per via geometrica.
Sulle spirali fu uno degli ultimi trattati di Archimede che è stato molto
ammirato (usa argomentazioni ampie, raffinate ed eleganti) ma poco letto
perché considerata un’opera assai difficile. La spirale è una curva piana,
caratterizzata da infiniti giri crescenti in progressione aritmetica intorno a un
punto. Questa curva non si riesce a costruire con il compasso: la si ottiene col
movimento di un vettore che aumenta di uno spazio costante a ogni rotazione di
un angolo dato. La spirale è definita in un piano da un punto (chiamato origine o
principio) che si muove di moto uni/orme lungo una retta, mentre questa ruota
di moto circolare uni/orme intorno al punto.
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Sembra che lo scienziato attribuisse importanza non tanto alla legittimità degli
oggetti di cui si andava occupando, bensì al fatto che essi, per quanto
complicati, si potessero misurare: più un oggetto gli appariva complesso, più la
sua intelligenza ne risultava stimolata:
Sui conoidi e sferoidi è un libro in cui Archimede parla dei conoidi e degli
sferoidi ottenuti dalla rotazione di ellissi, parabole e iperbole. Le loro proprietà
sono simili a quelle del cono e della sfera pertanto il trattato parla proprio di
queste figure, descrivendone i rapporti. Inoltre vi è descritta la procedura per
trovare l’area di un ellisse.
Sulla sfera e sul cilindro è diviso in due libri che all’origine erano forse
due pubblicazioni separate: il primo prevede la misura della superficie e del
volume della sfera e dei suoi diversi settori mentre il secondo espone una serie
di problemi che si presentano nel produrre e nel dividere una sfera secondo
precisi parametri. Su questi due libri, come pure sulla Misura del cerchio e
Sull'equilibrio dei piani, ci sono giunti anche degli ampi commenti di Eutocio,
uno dei maggiori matematici della tarda antichità, nato all'inizio del VI secolo
d.c. ad Ascalona in Palestina. Sono commenti pieni di notizie di storia della
matematica e ricchi di frammenti di lettere e richieste di informazioni scambiate
fra Archimede e i maggiori scienziati suoi contemporanei, che vivevano in quel
tempo ad Alessandria d'Egitto.
Da molti viene considerata l'opera scientifica più ampia e argomentata
che a noi sia giunta di Archimede e ha per oggetto corpi geometrici come sono
appunto la sfera e il cilindro. Ad essi gli antichi collegavano in modo particolare
l'immagine dello scienziato siracusano se è vero, come testimonia Cicerone
(nelle Discussioni Tusculane 5,64-66, citate qui al cap. lO), che sulla sua tomba
erano appunto state scolpite quelle due figure geometriche. Anche altri lavori di
Archimede giunti a noi erano motivati dal problema di misurare figure curvilinee
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(spirali, parabole, conoidi e sferoidi), ma questi ultimi sono oggetti in qualche
modo artificiali e comunque, allora, privi di una speciale simbologia: il cerchio e
la sfera avevano un significato particolare, matematico e filosofico, legato al
ruolo di queste figure nelle cosmologie dell'antichità.
Il trattato di Archimede parte da alcuni teoremi sul volume del cono e
della piramide già enunciati alla fine del V secolo a.c. da Democrito e dimostrati
nel IV secolo da Eudosso: ogni piramide è la terza parte del prisma avente
uguale base e uguale altezza, ed ogni cono è la terza parte del cilindro avente
uguale base e uguale altezza.
Ma Archimede seppe andare oltre con ragionamenti "infinitesimali"; egli
giunse in tal modo a determinare con esattezza l'area e il volume della sfera,
l'area del segmento di parabola, e a identificare i rispettivi centri di gravità.
La geometria antica fino a Euclide restringeva le proprie conoscenze alle
proprietà delle figure piane non curve: si conosceva come misurare la superficie
di un triangolo, di un parallelogrammo di un trapezio, ma si ignorava la misura
della circonferenza di un cerchio. Stessa situazione per i solidi, si sapeva
misurare il volume di un prisma, di una piramide, ma si ignorava il volume di
una sfera, di un cilindro e di un cono. Egli infatti per primo risolse il problema
della misurazione delle figure geometriche curve. Così ottenne: la superficie di
un cilindro, di un cono, della sfera, il volume di un cilindro, di un cono e di una
sfera. Inoltre trovò il rapporto tra una sfera e un cilindro inscritto. Archimede
immagina misura oggetti in effetti lontani dall’esperienza quotidiana.
Conseguentemente agli studi fatti da Archimede sulla sfera, alcune fonti
arabe citano pure un trattato Sulla costruzione della sfera, nel quale lo
scienziato siracusano avrebbe dato le istruzioni necessarie per fabbricare un
planetario del tipo di quello portato dal generale Marcello come bottino di guerra
a Roma. Molti parlano infatti di una Sfera nella quale egli “avrebbe così
esattamente imitato i moti celesti, e che da alcuni fra gli altri Cicerone, fu tenuta
per più meravigliosa della natura stessa” (Favaro). Coloro che la videro
riferiscono che in questo prototipo di planetario fossero rappresentati i
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movimenti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti allora conosciuti (Mercurio,
Venere, Marte, Giove, Saturno) e pure la formazione dell’eclisse.
Discussioni ci furono in merito al materiale con cui era stata fatta (vetro o
rame o entrambi?) e al modo in cui i movimenti erano stati prodotti. “Sesto
Empirico sembra ravvisarvi uno di quegli automi che non furono sconosciuti
all'antichità; il Cardano non ammette in via assoluta che la macchina fosse
mossa da contrappesi, e crede più verisimile che il movimento fosse
determinato dall'aria racchiusa, cosa questa assai più facile a dirsi che non a
spiegarsi; non esclude tuttavia che si trattasse d'un artifizio di ruote le quali si
dessero tra loro vicendevole moto, senza però dire di che genere fosse la forza
che lo determinava. Assai più probabile è che il moto fosse generato da un
meccanismo idraulico. Molto di più noi sapremmo a questo proposito se fosse
giunto insino a noi quel libro sulla Sferopea che, secondo Pappo e Proclo,
sarebbe stato scritto da Archimede e nel quale pare fosse principalmente
trattato della costruzione della sua sfera e di analoghi meccanismi. Ora, perchè
Archimede abbia potuto costruire quel congegno, che più propriamente si
direbbe oggi dì Planetario, non è dubbio ch'egli dovesse essere grandemente
versato nell'astronomia” (Favaro).
Potrebbero esserci un collegamento tra il planetario ideato da Archimede
e un altro congegno. Si tratta della macchina di Antikythera. Uno studio di
Nature73 illustra il funzionamento della macchina che risale al 65 a.C. e che
serviva a seguire i movimenti di Sole e Luna, predire le eclissi, tracciare il moto
dei pianeti, ecc. Questo raffinato meccanismo è stato ritrovato nel 1900 da
alcuni pescatori di spugne nel relitto naufragato di un’antica nave nel fondale
davanti all’isola di Antikythera, fra il Pelopponeso e Creta. Solo oggi i ricercatori
sono stati in grado di svelare il mistero della sua utilità. Secondo gli autori dello
studio, un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Mike Edmundus
73 Nature è una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche esistenti, forse in assoluto (insieme a Science) quella considerata di maggior prestigio nell'ambito della comunità scientifica internazionale. Viene pubblicata fin dal 4 novembre 1869. Essa in particolare pubblica articoli di ricerca riguardanti un ampio intervallo di campi scientifici.
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dell’università britannica di Cardiff. Grazie ai raggi x e ad una tac, essi hanno
stabilito con esattezza funzioni e pregio tecnologico svelando ad esempio la
questione dei due display uno anteriore (qui si trovavano le lancette che
segnavano il passaggio del Sole e della Luna nelle costellazioni dello Zodiaco,
oltre che indicazioni per le fasi lunari) e uno posteriore (attraverso alcune
lancette indicava il tempo in termini di cicli astronomici).
Nel breve trattato intitolato Arenario Archimede si ripromette di contare i granelli
di sabbia contenuti in una sfera che abbia come centro il Sole e come superficie
il cielo delle stelle fisse. Per ottenere questo risultato egli doveva trovare un
sistema di numerazione capace di esprimere numeri estremamente grandi, in
qualche modo equivalente all'attuale notazione esponenziale. In tal modo
Archimede dimostrò la possibilità di scrivere numeri altissimi, anche se
comunque minori dell' infinito, e giunse alla conclusione che: “È manifesto che
la quantità dei granelli di sabbia avente la grandezza uguale alla sfera delle
stelle fisse quale Aristarco la suppone, è minore di mille miriadi dei numeri
ottavi corrispondenti nel nostro sistema ad una unità seguita da ottantamila
milioni di milioni di zeri. Queste cose poi io, re Gelone [il figlio di Gerone II, al
quale Archimede dedica l' opera], ritengo che sembreranno incredibili ai molti
che siano imperiti nelle matematiche, ma che saranno credibili, mediante le
dimostrazioni, da coloro che sono versati nelle matematiche e che abbiano
meditato sulle distanze e sulle grandezze della Terra, del Sole, della Luna e di
tutto il cosmo: perciò ho ritenuto che fosse bene che tu conoscessi queste cose
(trad. di Frajese). Diversamente dalle altre, quest' opera non è dunque dedicata
a uno scienziato, ma a uno dei signori di Siracusa. Se il problema è di calcolare
il numero di granelli di sabbia necessari a riempire l'intero universo, Archimede
doveva calcolare la grandezza di questo spazio. Anche se l'autore intendeva
con l'Arenario dare un contributo all'aritmetica greca, l'opera risulta altrettanto
preziosa come documento dell'attività astronomica di Archimede. Non
sorprende naturalmente che egli si sia occupato di astronomia, anche se non
ha lasciato alcuna opera di carattere esclusivamente astronomico.
110
È attraverso quest’opera che siamo venuti a conoscenza del mestiere del
padre di Archimede che ci illustra anche quali erano gli strumenti pratici usati
per questi calcoli, cioè il regolo e un cilindro scorrevole:
Il libro dei lemmi è un altro libro che rientra nel campo della matematica e
della geometria. Il testo non è pervenuto originale ma attraverso una traduzione
araba che ne ha alterato sicuramente la forma originale. Il lemma è una
proposizione preparatoria destinata a provarne un’altra, che abbia relazione
diretta col soggetto trattato. Tra le proposizioni vi è quello famoso sulla
proprietà delle corde oltre ad una serie di teoremi e risoluzioni matematico-
geometriche.
Il metodo è un’opera ritrovata solamente nel 1906. In essa Archimede
descrive il suo metodo d’indagine preliminare che lo conduceva alle principali
scoperte matematiche. Vi sono dei passaggi, circa quindici preposizioni, scritti
sotto forma di lettera per Eratostene. Perciò Archimede per giungere ai suoi
risultati insieme a procedimenti matematici usa con originalità anche le
argomentazioni meccaniche, alle quali nega un valore assoluto, ma valuta
essenziali per fare nuove scoperte. È un modo veloce per raggiungere
rapidamente risultati matematici innovativi che però non dimentica di dimostrare
con rigore geometrico. Egli attribuisce quindi immenso valore alle intuizioni
meccaniche ma ritiene indispensabili le dimostrazioni rigorose. Quindi, egli
ricorreva alle misure dirette di figure geometriche per dimostrare
matematicamente la loro veridicità. Forse un matematico in genere si
vergognerebbe a divulgare che una sua scoperta è nata da misure dirette,
tuttavia lo stesso metodo lo adottò anche Newton il quale ritardò l’uscita di
molte scoperte matematiche onde trovare la forma rigorosa che nascondesse il
metodo archimedeo. Dunque per Archimede qualunque mezzo è utile per
giungere al suo risulato, purché poi esso venga davvero dimostrato.
111
Archimede e i giochi matematici
Archimede si occupò anche di questioni più "leggere". Gli piacevano
soprattutto i giochi matematici, e proprio a questi si possono ricondurre almeno
due opere brevi ma significative, composte forse negli anni giovanili: lo
Stomachion e il Problema bovino.
Dello Stomachion ci sono arrivati alcuni passi in traduzione araba e altri in
greco, questi ultimi conservati nel libro il Metodo. Stomachion era il nome di un
gioco, un po' simile al puzzle, forse già in uso prima di Archimede, adatto a
stimolare l'intelligenza dei bambini, a mettere alla prova la loro capacità di
pensare e di immaginare, a spronare la loro creatività. Era costituito da 14
piastrelle d'avorio diversamente tagliate in pezzi con forma di triangoli isosceli e
scaleni, quadrangoli e altri poligoni, e da essi con la fantasia e magari ripetendo
i pezzi si potevano comporre svariate figure: “un elefante enorme, un cinghiale
feroce, un' oca volante, un cacciatore alla posta, un cane che abbaia, e così
una torre e una quantità di altre immagini di questo genere, variate secondo la
destrezza del giocatore” (Geymonat 2006). Lo Stomachion, non sappiamo
come, arrivò in Cina nel periodo antico o nel medioevo, e da lì è tornato in
Europa a metà dell'Ottocento con il nome di Tangram o gioco cinese (costituito
però da 7 e non da 14 pezzi).
Si trattava dunque di una raffinata ricerca di geometria, e non solo un
semplice gioco, poiché con i pezzi si potevano elaborare numerose figure
geometriche.
Il Problema bovino è un problema aritmetico espresso con fine ironia venne
inviato al geografo alessandrino Eratostene. Essa rappresenta un problema a
otto incognite, e intende calcolare con precisione il numero dei buoi del Sole
che pascolano nelle pianure della Sicilia, divisi in modo preciso fra tori e vacche
e fra bianchi, neri, fulvi e screziati. Essi debbono soddisfare una serie di
proporzioni matematiche:
- i tori dal vello bianco siano pari a metà più un terzo dei tori neri, più tutti i
fulvi;
112
- i tori neri siano pari alla quarta parte più un quinto degli screziati e a tutti i
fulvi;
- i rimanenti screziati siano equivalenti alla sesta parte più un settimo dei
tori bianchi più tutti i fulvi.
- E altre complicate condizioni ancora.
Non sappiamo se Eratostene o altri scienziati di Alessandria abbiano risolto il
problema. Il linguaggio algebrico oggi corrente consente di risolvere il problema
attraverso un sistema di equazioni ad otto incognite: la soluzione minima
ottenibile con numeri interi, che misura dunque il numero totale di animali delle
mandrie del Sole, come ha provato il matematico CarI Amthor nel 188O, è un
numero composto da 206.541 cifre nel nostra notazione decimale. Un numero
così grande e complesso ci fa dubitare che Archimede, o Eratostene, a cui il
poemetto era destinato, abbiano risolto in concreto l'indovinello. II siracusano
aveva indubbiamente la capacità di concepire numeri enormi (basti pensare
all'Arenario, l'opera che abbiamo esaminato all'inizio di questo capitolo), ma non
vi è prova che li usasse con tale padronanza da riuscire a risolvere il problema,
sottostando a tutte le sue condizioni.
Archimede come inventore
Archimede costruì numerose macchine, come già visto alcune delle quali
usate nella battaglia di Siracusa. Egli però non ne “fa menzione poiché egli
seppur sospinto dalle richieste del re a costruirne diverse le considerava non
degne della nobiltà della scienza, eppure fu maggiormente con esse che egli
fece crescere la sua fama nel mondo antico” (Geymonat 2006). Costruì
carrucole, leve e piani inclinati che ebbero applicazione pratica nel varo di
grandi imbarcazioni nei cantieri navali siracusani. Questi mezzi riuscivano a
sollevare grandi pesi col minimo sforzo traendone un vantaggio immenso,
secondo la regola per cui l’applicazione di più pulegge per sollevare grandi pesi
effettua una demoltiplicazione dello sforzo applicato. Erone di Alessandria
113
descrive infatti in una delle sue opere una macchina ingegnosa inventata da
Archimede chiamata Elice. Il testo di Erone è mancante, ma Pappo ne lascia
una descrizione di questo meccanismo composto di ruote dentate mosse da
una vite senza fine; gli ingranaggi accoppiati alla vite senza fine comunicano il
movimento demoltiplicandone lo sforzo da applicare tramite la rotazione di una
manovella.
Oltre alla grande nave e al planetario già citati in precedenza, sembra che egli
avesse costruito una meridiana all’interno del tempio di Atena (l’odierna
cattedrale di Siracusa) dove stabilì la misura dell’equinozio, altri addirittura gli
attribuiscono la costruzione di un telescopio a riflessione. Tra le altre
realizzazioni di Archimede si ricorda l’organo idraulico, una macchina in grado
di comprimere l’aria e farla uscire a pressione.
Una delle invenzioni degne di nota è certamente la Coclea o Vite
d’Archimede, visibile anche al Museo della Scienza di Firenze. Durante la
costruzione della nave Siracusana, per mantenere asciutte le sue stive lo
scienziato avrebbe usato proprio questo strumento.
L’acqua entrava dalla base inferiore della vite inclinata e veniva solevata
dai giri della spirale. Il flusso dell’acqua era continuo, l’antico sistema delle
secchie poteva dirsi ormai abbandonato. Inoltre l’altezza fino alla quale l’acqua
poteva essere sollevata dipendeva dalla lunghezza e dall’inclinazione
dell’apparecchio. È stato calcolato da Vitruvio nel De Architettura che con una
coclea si potevano sollevare di 1 metro quasi duecento litri di acqua al minuto.
L’uso di questa vite viene menzionato già nel I secolo a.C. da Diodoro Siculo:
“quanti sfruttano le miniere in Spagna, quando scendono in profondità,
incontrano fiumi che scorrono sottoterra… estraggono l’acqua dei torrenti con le
cosiddette pompe che inventò Archimede di Siracusa quando giunse in Egitto;
trasportando le acque per mezzo di esse lungo una continua serie di gradini
fino all’imboccatura, asciugano il luogo dello scavo e lo rendono adatto allo
svolgimento dei lavori” (Geymonat 2006). Si racconta che questa invenzione
“avvantaggiò gli egiziani, i quali la usarono per alzare le acque e farle pervenire
là dove per soverchia elevazione del terreno, non arrivavano naturalmente le
114
inondazioni del Nilo, altri invece la usassero per prosciugare i terreni, i quali a
motivo della bassezza del loro livello, non potevano liberarsi dalle acque dopo
cessata l’alluvione” (Favaro 1923).
4. Sui galleggianti: il principio di Archimede
Dopo questa lunga premessa eccomi giunta finalmente a discutere
l’argomento centrale del mio lavoro. Il libro Sui galleggianti è forse l’esempio di
applicazione del genio di Archimede più famoso. Ma come arrivò Archimede
alla scoperta del principio per cui gli oggetti immersi in un liquido galleggiano o
affondano?
4.1. la storia della corona
Si racconta che il re Gerone fece commissionare ad un orafo siracusano
una corona d’oro da votare agli dei come ringraziamento per essere diventato
signore di Siracusa. Era stato Gerone stesso a fornire l’oro, e in breve tempo
ricevette l’oggetto, ma gli era giunta voce che l’orefice ne avesse rubato un pò.
Il re temeva che la quantità di oro fornitagli fosse in realtà stata usata solo in
parte per far posto ad un altro materiale, l’argento, notoriamente meno prezioso
senza però far cambiare colore al manufatto e senza mostrare con evidenza
l’imbroglio. Re Gerone quindi si rivolse a Archimede chiedendo di: “assumersi il
compito di riflettere su ciò per suo conto. E capitò che questi mentre si
prendeva pensiero di ciò, andasse nella stanza da bagno e là, mentre si calava
nella vasca, notasse che da questa si versava fuori una quantità d'acqua
equivalente al volume del suo corpo che vi prendeva posto. Ciò gli indicò la via
per risolvere il suo problema: non ebbe indugi, ma balzò fuori dalla vasca in
preda alla gioia e mentre, nudo com' era, si precipitava verso casa, annunciava
115
ad alta voce d'aver trovato quello che cercava. Infatti correndo continuava a
gridare, in greco, 'Éurekal Éurekal ('Ho trovato! Ho trovato! )”. Questo passo
tratto dall’opera De architectura dello scrittore latino Vitruvio, del I secolo a.c.
continua narrando perfettamente i passaggi che portarono Archimede alla
sensazionale scoperta della più importante legge dell’idrostatica. A partire da
questa fase iniziale della scoperta, fabbricò allora, si dice, due lingotti, ciascuno
dello stesso peso della corona, uno d'oro e l'altro d'argento. Dopo aver fatto ciò,
riempì d'acqua fino all'orlo un ampio recipiente, nel quale lasciò cadere il
lingotto d'argento. Fuoriuscì una quantità di acqua uguale al volume di esso che
affondò nel recipiente. Così, tolta la massa, versò di nuovo la quantità d'acqua
mancante, misurandola con un sestario [antica misura di capacità], in modo che
tornasse al livello precedente, fino all'orlo. Scoprì in questo modo il peso
dell'argento corrispondente a una quantità d'acqua determinata [appunto il peso
specifico]. Dopo questo esperimento, analogamente lasciò cadere il lingotto
d'oro nel recipiente colmo e dopo averla tolta e dopo aver aggiunto, seguendo
lo stesso procedimento, l'acqua mancante, misurandola scoprì che non
mancava altrettanta acqua, ma una quantità minore, cioè tanto meno quanto
meno volume ha una massa d'oro rispetto a una d'argento dello stesso peso (in
effetti il peso specifico dell'oro è assai maggiore di quello dell'argento). In
seguito, riempito il recipiente e lasciata cadere nella stessa acqua proprio la
corona, trovò che era traboccata più acqua per la corona che per la massa
d'oro dello stesso peso, e così, sviluppando un ragionamento a partire dal fatto
che mancava più acqua nel caso della corona che in quello del lingotto, portò
allo scoperto la presenza di argento mescolato all'oro, cogliendo sul fatto il furto
dell'orafo. Il peso specifico della corona era intermedio fra quello dell'oro e
quello dell'argento.
Anche il grande Galileo si interessò di tale scoperta dedicando proprio a
questo argomento un lavoro in volgare intitolato: “Discorso del sig. Galileo
Galilei intorno all’arteficio che usò Archimede nel scoprir il furto dell’oro della
corona di Hierone”
Come vedremo, Galileo tentò di trovare un modo alternativo per risolvere
116
il problema ma anche lui giunse all’utilizzo dell’acqua come secoli prima aveva
fatto Archimede. “Ben crederò io che spargendosi la fama dell'aver Archimede
ritrovato tal furto col mezzo dell'acqua, fosse poi da qualche scrittore di quei
tempi lasciata memoria di tal fatto; e che il medesimo, per aggiugner qualche
cosa a quel poco che per fama aveva inteso, dicesse Archimede essersi servito
dell'acqua nel modo che poi è stato dall'universal creduto. Ma il conoscer io che
tal modo era in tutto fallace e privo di quella esattezza che si richiede nelle cose
matematiche mi ha fatto più volte pensar in qual maniera col mezzo dell'acqua
si potesse esquisitamente trovare la mistione di due metalli, e finalmente, dopo
aver con diligenza riveduto quello che Archimede dimostra nei suoi libri delle
cose che stanno nell'acqua, ed in quelli delle cose che pesano egualmente, mi
è venuto un modo che esquisitissimamente risolve il nostro quesito, il qual
modo crederò io esser l'istesso che usasse Archimede, atteso che, oltre
all'esser esattissimo, dipende ancora da dimostrazioni trovate dall'istesso
Archimede” (Galileo).
4.2. Le proposizioni del trattato
Da questo fatto deriva l’osservazione scientifica più generale, il
cosiddetto principio di Archimede, per cui: “un corpo più pesante del liquido nel
quale lo si immerge, discenderà sul fondo, ma il suo peso, nel liquido, diminuirà
di tanto quanto pesa un volume di liquido uguale a quello del corpo”. Quindi
risulterà apparentemente più leggero del suo vero peso.
Questa proposizione è giunta fin sui banchi di scuola in una forma più
semplice: molti l’avranno imparata a memoria alle scuole superiori: “un corpo
immerso in un liquido riceve dal basso verso l'alto una spinta uguale al peso del
liquido spostato”. Inoltre: “le grandezze solide che entro il liquido vengono
portate verso l'alto, sono spinte secondo la verticale condotta per il loro centro
di gravità” (Galleggianti, libro I, alla fine della proposizione 7). Archimede quindi
non si era risparmiato ad applicare i suoi studi sui baricentri delle figure
117
geometriche: la spinta si applica al baricentro del corpo immerso, detto anche
centro di spinta, ed è diretta verso l’alto.
Sono notevoli le analogie ma anche le differenze fra il vivace aneddoto di
"Éureka" e l'analisi che Archimede compie del problema nel trattato, dove
"l'eccitazione della scoperta cede il posto alla fredda logica di una
dimostrazione geometrica". L’idrostatica di Archimede non si esaurisce soltanto
in quell’enunciato, come l’insegnamento scolastico in genere suggerisce. I
problemi che Archimede risolve con il trattato sono molti, tra cui il trovare le
linee di galleggiamento di solidi immersi in equilibrio in un liquido omogeneo e
soprattutto nello studiare la stabilità delle loro posizioni di equilibrio. Archimede
studia la stabilità dell’equilibrio al variare di due parametri: la forma e la densità
del solido.
Particolarmente interessante appare la proposizione 2 del libro I, dove lo
scienziato dimostra che “la superficie di ogni liquido che si trovi in riposo avrà la
figura di una sfera avente come centro lo stesso centro della Terra”. Quindi su
tutti i punti della terra il livello del mare è lo stesso, vale a dire dista ugualmente
dal centro. Questa proposizione in particolare verrà ingiustamente
disconosciuta per molto tempo e confermata soltanto quasi ai nostri giorni.
4.3. Dimostrazione pratica del principio di Archimede
Le navi riescono a galleggiare nel mare nonostante siano fatte di acciaio,
un materiale molto più denso dell'acqua. Questo comportamento si spiega con
il fatto che i liquidi tendono a sorreggere i corpi che vi sono immersi. Però, se
appoggiamo sull'acqua un blocco di acciaio, lo vediamo affondare rapidamente.
Che differenza c'è tra l'acciaio a cui è stata data la forma di nave e l'acciaio
compatto?
Per far luce su questo problema il mio vecchio libro di fisica ricorreva ad
un semplice esperimento. “A un piattello di una bilancia appendiamo due cilindri
di volume identico, uno pieno e uno cavo. Sull'altro piattello aggiungiamo delle
masse, in modo che la bilancia si mantenga in equilibrio. Se immergiamo il
118
cilindro pieno in una bacinella che contiene un liquido, la bilancia modifica
l'equilibrio e pende dalla parte opposta a quella dei cilindri. Ciò significa che il
liquido esercita sul cilindro immerso una forza diretta verso l'alto. Si tratta ora di
determinare quanto è grande questa forza. Riusciamo a ristabilire l'equilibrio di
partenza riempiendo il cilindro cavo dello stesso liquido contenuto nella
bacinella. La forza verso l'alto che il liquido esercita sul corpo immerso è quindi
eguale al peso dell'acqua contenuta nel cilindro cavo. Poiché i due cilindri
hanno lo stesso volume, concludiamo che la forza esercitata dal liquido è
uguale al peso dell'acqua che il cilindro immerso ha spostato” (Amaldi 2002). In
altri termini quindi siamo di nuovo giunti alle parole di Archimede, un corpo
immerso in un liquido riceve una spinta (una forza) verso l'alto eguale al peso
del liquido spostato.
4.4. Il principio di Archimede nel linguaggio matematico
Da un punto di vista matematico, la forza di Archimede può essere espressa nel
modo seguente:
S = PSliquido Vcorpo
Per cui S è la spinta di Archimede, PS è il peso specifico del liquido spostato e
v il volume del corpo che è uguale al volume del liquido spostato. Alcuni libri di
testo inseriscono anche g ovvero l’accelerazione di gravità.
Allo stesso modo, il peso del corpo è dato da:
P = PScorpo Vcorpo
Per cui P sta per il peso del corpo, PS per il peso specifico in questo caso
delll’oggetto e V indica il volume del corpo.
119
4.5. Galleggiamento dei corpi
È noto che alcuni corpi immersi in acqua galleggiano, come un pezzo di
sughero o di legno, mentre altri, come una sfera di ferro, affondano. Per
discutere i diversi casi di equilibrio per un corpo immerso in un liquido è
necessario confrontare le forze agenti: il peso P del corpo e la spinta S di
Archimede subita dal corpo completamente immerso. Nella figura sono
evidenziati i tre casi che possono presentarsi per una sfera immersa in un
liquido:
a) P> S: il corpo affonda;
b) P = S: il corpo è in equilibrio in ogni posizione;
c) p < S: il corpo galleggia.
Nel caso c) il corpo emerge dal liquido, diventando un galleggiante, per fare un
esempio, un pallone riesce a salire dal fondo del mare perché pesa meno di un
uguale volume di acqua. Un sasso, esempio appartenente alla categoria a)
invece affonda perché pesa di più della quantità d’acqua che sposta. Poiché il
peso del corpo e la spinta sono uguali al prodotto rispettivamente del peso
specifico Ps del corpo e del peso specifico PL del liquido per il volume del corpo
(uguale al volume del liquido spostato), per stabilire il tipo di equilibrio è
sufficiente confrontare i pesi specifici. Abbiamo perciò i seguenti tre casi:
a) Ps > PL: il corpo affonda;
b) Ps = PL: il corpo è in equilibrio;
c) Ps < PL: il corpo galleggia.
Un caso particolare di equilibrio è quello del ghiaccio in acqua. Il ghiaccio ha un
peso specifico che è circa i 92/100 di quello dell’acqua, per cui vi galleggia ma
in modo tale che la parte emersa è solo una piccola parte del volume effettivo.
Ho schematizzato in questi tre punti alcune osservazioni scaturite da questo
paragrafo:
120
1. Si può stabilire se un corpo galleggia o va a fondo in un determinato liquido
confrontando i rispettivi pesi specifici. Possiamo così scoprire perché il ghiaccio
galleggia nell’acqua come già ho spiegato. Si scopre anche perché un pezzo di
ferro va a fondo nell’acqua mentre galleggia nel mercurio. Una nave, che per la
maggior parte è fatta di acciaio e altri materiali più densi dell'acqua, non affonda
perché contiene enormi quantità di spazi vuoti e, grazie alla sua forma, sposta
tanta acqua da equilibrare il proprio grande peso. La densità media del
materiale della nave e dell'aria in essa contenuta, risulta così inferiore a quella
dell'acqua. Tuttavia, se si apre una falla sul fondo, essa si riempie d'acqua e
affonda. La densità del corpo umano è di poco inferiore a quella dell'acqua; per
questo motivo il corpo umano galleggia, ma restando in gran parte immerso. Il
sommozzatore che ha bisogno di lavorare ad una certa profondità senza dover
continuamente pinneggiare per mantenere la quota porta una cintura con dei
piombi (P=S). Se facciamo il bagno in un fiume o in un lago fatichiamo di più a
galleggiare perché l'acqua dolce ha un peso specifico inferiore a quella
dell'acqua salata.
2. Il principio di Archimede non vale solo se i corpi immersi sono solidi: questi
possono essere anche liquidi. Anche in questo caso vale la regola per cui i
liquidi purchè non siano miscibili, si stratificano dal basso verso l’alto in ordine
decrescente di peso specifico.
3. Il principio di Archimede vale anche nei gas nel senso che: "Un corpo
immerso in un gas riceve una spinta verso l'alto pari al peso del gas spostato";
tal caso la forza che spinge il corpo verso l’alto viene detta spinta aerostatica.
La maggior parte dei corpi, avendo un peso specifico molto superiore a quella
dell’aria, ricevono una spinta idrostatica praticamente trascurabile. Ad esempio
un palloncino costituito da un involucro di gomma (che ha un peso minimo)
riempito con elio che è un gas 7 volte meno denso dell'aria si muoverà verso
l’alto.
Quindi tutte le considerazioni fatte fin qui sui liquidi valgono anche per i gas,
121
con due importanti differenze:
- solo i corpi con peso specifico molto basso possono essere sollevati
dalla spinta. Da ciò si consegue che: la maggior parte dei corpi ha un
peso specifico maggiore di quello dell’aria e per questo cade; alcuni corpi
con peso specifico uguale a quello dell’aria galleggiano e infine i corpi
con peso specifico minore dell’aria vengono portati verso l’alto, come i
palloncini di elio e le mongolfiere.
- A differenza dei liquidi, il peso specifico dei gas non è costante, ma varia
in funzione della pressione.
4.6. Applicazioni pratiche della spinta di Archimede: Sommergibili e navi,
aerostati e dirigibili
Gli esempi più comuni dell’applicazione del principio di Archimede
riguardano i mezzi di trasporto citati nel titolo: sommergibili e navi se si parla di
mezzi per via mare e aerostati e dirigibili per il cielo. Sul principio di Archimede
si basa infatti la tecnologia navale e sommergibilistica e come vedremo non
solo.
Che può dire di non aver mai visto una nave? Le più grandi navi, come la
Queen Elisabeth 2, sono fatte d’acciaio e pesano decine di migliaia di
tonnellate. Come fanno allora a galleggiare se sono così pesanti? Il loro segreto
sta nella struttura. La chiglia di una nave occupa un grande volume, ma la sua
densità complessiva è minore della densità dell’acqua. Un’altra applicazione
importante del principio di Archimede si ha nella fase di costruzione della nave:
quando l’acqua è densa, le imbarcazioni sono più alte sul livello del mare.
L’acqua salata è più densa dell’acqua dolce, e l’acqua marina fredda è la più
densa di tutte. Perciò i costruttori disegnano sulla nave le cosiddette linee di
122
Plimsoll74 che indicano il carico massimo in acque diverse: una nave, caricata al
massimo nei mari freddi, rischia di affondare in mari più caldi o in un fiume.
Nei sommergibili il peso è variabile, per cui essi possono affondare o
galleggiare. Si tratta infatti di bastimenti completamente chiusi e circondati da
un doppio scafo, composto da diversi compartimenti. li sommergibile galleggia
se i compartimenti sono vuoti, mentre affonda se i compartimenti vengono
riempiti d'acqua. Se l'acqua viene espulsa per mezzo di opportune pompe, il
sommergibile ritorna a galleggiare.
Fu sensazionale l'impresa compiuta da Jacques Piccard che nel 1960,
con il batiscafo "Trieste", costruito dal padre Auguste, riuscì a raggiungere la
profondità di 11 000 m nella Fossa delle Marianne. L'impresa fu realizzata con
una sfera di acciaio molto robusta appesa a una batteria di galleggianti riempiti
di benzina e zavorra.
Un'altra importante applicazione del principio di Archimede si ha nei
palloni aerostatici, detti anche aerostati, che sfruttano la spinta di Archimede in
aria. Essi sono costituiti da un involucro esterno riempito di un gas più leggero
dell'aria, come l'idrogeno o l'elio, oppure anche aria calda. All'involucro è
appesa la navicella in cui si trovano gli strumenti di osservazione e la zavorra,
oltre agli aeronauti. Se il peso complessivo Pt è inferiore alla spinta S,
l'aerostato s'innalza per effetto della forza ascensionale. Con l'aumentare della
quota diminuisce la forza ascensionale perché l'aria diventa meno densa. A una
certa altezza la forza ascensionale si annulla e il pallone rimane a quota
costante. Per farlo ancora innalzare è necessario buttare della zavorra per far
diminuire il peso. Viceversa, per discendere, è necessario far uscire una certa
quantità di gas dall'involucro che, diminuendo di volume, fa diminuire anche la
spinta aerostatica.
Fra le imprese più significative, prima che le moderne tecniche di
aeronautica e di astronautica permettessero la conquista dello spazio, è da
ricordare quella dei fratelli Montgolfier, autori nel 1783 del primo lancio di un 74 Nome del personaggio che nella seconda metà del XIX secolo ottenne dal governo di Sua Maestà Britannica, appunto, che le massime immersioni ammesse venissero obbligatoriamente indicate sulle due fiancate delle navi
123
pallone ad aria calda, e l'altra di Auguste Piccard che, nel 1931 e 1932, compì
due ascensioni fino a 16500 metri di altezza, raggiungendo così per primo la
stratosfera. L'impresa di Piccard fu particolarmente significativa perché egli fu
praticamente l'inventore della cabina pressurizzata, necessaria per la
sopravvivenza dell'uomo in un ambiente, quello della stratosfera, in cui l'aria è
molto rarefatta. Un problema grandissimo rendeva pericoloso l’utilizzo del
pallone aerostatico: rimane in balìa del vento, in quanto non può essere diretto.
Per evitare tale inconveniente i palloni furono dotati di un motore di propulsione,
originando così, all'inizio del secolo scorso, i dirigibili. Fra le imprese compiute
con i dirigibili, alcune anche a carattere militare, ricordiamo quella del dirigibile
Norge, con il quale Nobile e Amundsen partendo da Roma raggiunsero l'Alaska
con tappe intermedie, e l'altra del "GrafZeppelin" che fu il primo aeromobile a
compiere il giro del mondo nel 1929.
5. Il mito di Archimede da Cicerone a Walt disney, e oltre…
Si può notare dalle pagine che ho dedicato alla vita di Archimede come
di lui sono stati narrati una serie di aneddoti a volte al di là del credibile. A
partire da Plutarco secondo cui Archimede sarebbe stato stregato da una
Sirena e che per questo si dimenticava di mangiare e di prendersi cura di sé.
Non appare certamente strano che Archimede sia stato considerato dalle
generazioni successive alla stregua di un mito, “fino al Rinascimento e persino
nel nostro secolo” (Geymonat 2004). La sua fama quindi non si fermò soltanto
al mondo greco ma venne ammirato anche dal mondo latino.”A lui allude con
ogni probabilità il poeta Virgilio in un passo un po’ criptico della terza bucolica”
(Geymonat). La fama di Archimede si mantenne anche nel tardo Medioevo ed è
per questo che a differenza di altri studiosi dell’era ellenistica fu tra i più
tramandati. Nel Rinascimento tra i suoi più grandi estimatori si annovera il
grande Galileo Galilei, il quale afferma di aver letto e studiato le opere di
Archimede con infinito stupore e lo cita esplicitamente più volte, qualificandolo a
124
seconda dei casi come superHumanus, inimitabilis, divinissimus. Soprattutto
per l’identica “inventività tecnica” (Geymonat 2004) Galileo si sentiva vicino ad
Archimede per l’utilizzazione della matematica nella vita pratica e quotidiana,
per le invenzioni fatte. I fondatori della scienza moderna fra Seicento e
Settecento ampliarono il ruolo attribuito ad Archimede proprio nel momento in
cui però l’attualità scientifica dei suoi scritti veniva meno superata da un Newton
ad esempio che comunque mostra rispetto per Archimede, lo elogia e lo
considera quasi un suo pari ma non sente il bisogno di confrontare “il suo
apparato dimostrativo con quello archimedeo” (Geymonat). Oggi il siracusano
viene considerato sia come modello dello scienziato ingegnere, sia come
scienziato teorico. Ma il rischio è che l’aneddottica intorno alla sua figura,
congiunta alla scarsa diffusione effettiva delle sue opere, accomunino
Archimede più ai personaggi del mito che ad altri grandi pensatori.
Così il matematico è trasmigrato felicemente nella fantasia dei giovani e
meno giovani in straordinari personaggi dei cartoni animati, come nella
fortunata serie russa in cui egli si incarica di spiegare e far amare ai bambini
molti teoremi di geometria. Ancora più fortunato e vitale sarà il personaggio di
Archimede Pitagorico: in origine Gyro Gearloose, fa parte della banda Disney,
creato da Carl Barks, è un personaggio dalle fattezze aquiline, alto e con la
capigliatura bionda, inventore pressoché a tutto campo. Ha come parenti il
nonno Cacciavite Pitagorico e suo padre Fulton Pitagorico che però appaiono in
pochissime storie.
Archimede, che esordisce in Paperino e l'amuleto del cugino Gastone,
edita in Italia sul 45 di Topolino, in USA sul 140 di Walt Disney's Comics and
Stories del Maggio 1952 (col titolo di Gladstone's Terrible Secret), deve il suo
nome molto probabilmente a Guido Martina, che volle omaggiare tanto il filosofo
e matematico greco Pitagora, quanto il matematico e fisico greco Archimede.
Questo, però, non è il primo nome assegnato al personaggio. Nelle prime
traduzioni, infatti, venne nominato anche come Giro Rotalibera e Giro Girolamo,
più assonanti al nome originale.
125
Nelle storie di Barks innumerevoli sono le sue invenzioni, a volte
assurde, a volte inutili, a volte avveniristiche, ma spesso con risvolti finali
catastrofici. Le sue invenzioni sono, comunque, molto ricercate dagli abitanti di
Paperopoli e soprattutto dall'illustre magnate Paperon de Paperoni, che cerca
sempre di sfruttarne il genio senza doverlo pagare. Razzi spaziali, nasi
elettronici per cercare tesori, dischi volanti personali: queste e molte altre
ancora sono alcune delle invenzioni che Archimede (il nome con cui è
preferibilmente chiamato dai suoi concittadini) realizza e vende nel suo
laboratorio, dopo che per anni è andato in giro per le strade della città a
vendere invenzioni di tutti i tipi su un carretto da venditore ambulante. Le prime
invenzioni di Archimede sono le scatole pensanti in Paperino e la macchina
soffiapensieri, Compagno quasi inseparabile del simpatico personaggio è Edi,
uno strano robot che non parla ma emette semplicemente dei bzzz ... bzzz il cui
significato solo Archimede riesce a comprendere. Anche in questo caso il nome
italiano dell'aiutante dell'inventore (in inglese chiamato semplicemente helper,
aiutante, appunto) evoca la figura di Thomas Alva Edison.
È da notare quindi come il personaggio di Archimede sia proprio a
misura di bambini: non è passato alla storia solo come il grande inventore di
macchine distruttrici ma come semplice inventore che aiuta gli altri per merito
del suo genio.
126
Quinto capitolo
IL PERCORSO DIDATTICO: IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE IN UNA SCUOLA PRIMARIA
1. Introduzione
A quanti bambini sarà capitato di giocare al mare con una barchetta,
quanti avranno osservato come è semplice sollevare una pietra quando questa
sta nell’acqua ecc, ma quanti di questi si saranno chiesti il perché? Forse
qualcuno di loro l’avrà fatto, ma non sarà riuscito a trovare una risposta e perciò
avrà chiesto agli amici o a qualche adulto senza riuscire ancora una volta a
soddisfare la propria curiosità. Riflettendo sulla realtà che ci circonda potremmo
trovare mille altri interrogativi come questi: i bambini sono molto bravi a farlo.
Con il percorso che ho realizzato ho tentato di dare una risposta ad una tra le
tante domande che alcuni dei bambini potevano essersi posti.
Dopo aver ricercato e studiato la parte fisica sul principio di Archimede
mi sono immersa nella ricerca di materiale che proponesse attività legate al
galleggiamento per bambini di una scuola primaria. Rispetto a tanti altri temi
127
non ho trovato molto: in alcuni progetti che avevo individuato, soprattutto su siti
internet, si proponevano pochi esperimenti che avevano come scopo, ad
esempio, di dividere gli oggetti che galleggiano da quelli che non galleggiano,
provare l’esistenza di una spinta su alcuni oggetti… Ho deciso quindi di
spingermi oltre anche perché potevo realizzare l’esperienza con bambini più
grandi. Ho deciso di individuare alcuni esperimenti chiave che, in successione
avrebbero condotto i bambini alla formulazione del principio di Archimede. Devo
ammettere che inizialmente i dubbi non sono mancati vista la complessità del
tema ma ero abbastanza fiduciosa considerato che, come suggeriscono molti
pedagogisti di cui ho parlato nel primo capitolo e che hanno fatto da retroterra
per il progetto, bisogna osare e non fermarsi alle conoscenze che i bambini già
possiedono. Ero certa che il mio progetto non faceva parte delle conoscenze di
senso comune dei bambini: chi di loro conosce il perché gli oggetti galleggiano
e cosa afferma il principio di Archimede?. Dunque il tema del galleggiamento mi
è sembrato un tema interessante e originale da proporre. Il motto che ho fatto
mio per questo progetto è “partire dall’esperienza e ritornare all’esperienza con
nuove chiavi interpretative”75. Infatti quando il bambino entra nella scuola
primaria, ha già sulle spalle sei anni di storia, fatta di esperienza, di cultura…
“Ha osservato e studiato molteplici aspetti del mondo fisico che lo circonda,
usando gli strumenti a sua disposizione: il corpo, il gioco…”76
2. Piaget: riflessioni sul galleggiamento L’autore fa riferimento all’attività del galleggiamento soprattutto come
pretesto per lo studio dell’evoluzione del pensiero in una situazione pratica.
Reputo il contributo di Piaget indispensabile per la mia iniziale fase di
progettazione. Conoscevo il principio, avevo organizzato le varie fasi del
progetto ma è grazie al contributo dell’autore che ho potuto avere un’idea più
75 DUPRÈ, (a cura di) l’educazione scientifica nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze 1991, p. 140 76 G. MAVIGLIA, Polveri e liquidi, Editoriale Scienza, Milano, 1996, p. 86
128
strettamente pedagogica del fenomeno, quanto meno un’interpretazione fra le
tante.
Piaget inizia il paragrafo (“il galleggiamento dei corpi e l’eliminazione
delle contraddizioni”) dedicato all’argomento che mi ha interessato individuando
le attività, gli esperimenti a cui i bambini da lui osservati erano stati chiamati a
svolgere: il bambino deve di fronte a oggetti diversi classificarli in base al
criterio galleggia o affonda; terminata questa classificazione deve indicare per
ogni oggetto la ragione della classificazione; dopo di che compie l’esperienza
verificando la sua previsione e riassume i risultati cercando la legge. In linea
generale anch’io ho usato la stessa impostazione durante i vari esperimenti:
ognuno fa un’ipotesi, compie l’esperienza, verifica la propria ipotesi traendo le
conclusioni. Ciò corrisponde al metodo sperimentale che anche Piaget
proponeva come metodo di ricerca.
Secondo Piaget il concetto di galleggiamento “non riguarda delle operazioni
tutte accessibili al livello delle operazioni concrete. Né la conservazione del
volume né la nozione di densità sono elaborate in modo sistematico prima del
livello III A (11-12 anni)”77. Del gruppo che ha partecipato al progetto
effettivamente, come illustrerò nella verifica, alcuni bambini hanno trovato delle
difficoltà nel capire il concetto di volume e soprattutto di peso specifico. Dice
Piaget che il tema, per i motivi già citati, è opportuno venga introdotto allo stadio
del passaggio dal pensiero concreto al pensiero formale. Dopo questa
premessa egli suddivide la raccolta delle esperienze dei bambini osservati
secondo stadi di età. C’è quindi il primo, il secondo e il terzo stadio. Per ogni
stadio sono previste delle sottocategorie.
- Il primo stadio.
I bambini di questo stadio hanno fino agli 8 anni di età. Secondo Piaget
questo primo livello è di grande interesse: questi bambini fanno uso di
interpretazioni del fenomeno contraddittorie, ancora elementari e
ingenue. Il presente stadio si suddivide in due sottostadi: nel primo i
bambini prevedono che un oggetto di cui hanno constatato il 77 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 22
129
galleggiamento o non galleggiamento conservi le sue proprietà ma non
riuscendo a dare una spiegazione, non ne estendono le proprietà a
oggetti analoghi. “Iea dice per esempio a proposito di un pezzo di legno,
che resta sopra, l’altro giorno l’ho gettato nell’acqua ed è restato sopra. -
Ma un momento dopo dice che il legno nuoterà dappertutto - E questo
(un pezzo di legno più piccolo)? - il legno piccolo affonderà”78. Questa
reazione dimostra che la classificazione è impossibile: per costruire le
classi degli oggetti che galleggiano e che non galleggiano, una prima
possibilità consiste nell’individuare una proprietà discriminante. Questi
bambini non ci riescono. Nel secondo sottostadio, il bambino prova a
classificare gli oggetti in galleggianti e non ma non giunge ad una
classificazione per tre motivi:
- ammettendo che cominci a cercare, egli non trova la legge e si
accontenta di spiegazioni diverse fra loro
- di fronte all’esperienza trova altre spiegazioni ed aggiunge così altre
divisioni alla classificazione, ma senza operare un riordinamento
completo
- alcune di queste classificazioni sono contraddittorie.
Sembra che l’esperienza in questo caso possa complicare le cose perché il
bambino prima aveva diviso in due gruppi gli oggetti e poi dopo aver
sperimentato, crea ulteriori sottocategorie per giustificare il comportamento da
lui non previsto degli oggetti. Alcune spiegazioni che il bambino osservato da
Piaget fornisce sono: gli oggetti che galleggiano sono quelli piccoli, quelli
leggeri, quelli piatti, quelli sottili mentre gli oggetti che affondano sono quelli
grossi, quelli pesanti, quelli che erano già andati a fondo. Questo tipo di
classificazione porta ben presto il bambino a delle contraddizioni. Ad esempio
non tutti gli oggetti pesanti vanno a fondo perciò un bambino, di un asse
ipotizza che affonderà perché è pesante mentre poi osserva che galleggia e
se la cava dicendo che c’è troppa acqua per riuscire ad andare a fondo. C’è
78 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 24
130
da fare una considerazione: l’esperienza in questo stadio non fa sparire
l’errore poiché i bambini trovano delle vie di fuga continuando sempre a
sostenere la propria ipotesi.
- Il secondo stadio. Livello A
Il bambino comincia a rinunciare alla spiegazione assoluta di peso
(oggetti leggeri galleggiano e oggetti pesanti affondano) per orientarsi
verso il concetto di densità e peso specifico. “Ker classifica gli oggetti
che galleggiano: legno, fiammiferi, trucioli, un coperchio di metallo; quelli
che affondano: una chiave, l’ago, la palla di legno pesante… dopo
l’esperienza inserisce una nuova categoria: oggetti che galleggiano e
che vanno a fondo a seconda che siano vuoti o pieni d’acqua.”79. Le
prime due classi sono definite dal concetto di leggero e di pesante ma “si
può osservare come Ker oscilli tra il vecchio senso assoluto ovvero i
piccoli chiodi leggeri e la grossa palla di legno pesante e il nuovo senso
relativo cioè il peso specifico: il sasso piccolo va a fondo?- si – ma è
leggero? – no, è pietra. – E il chiodo? – va giù perché è ferro”80. Il
bambino non considera più tutti gli oggetti piccoli automaticamente i più
leggeri e quelli grandi i più pesanti. È costretto a rivedere il concetto di
peso assoluto aprendo alla nozione di peso in funzione del volume e
della materia costituente l’oggetto. Secondo Piaget il bambino di questo
livello non è in grado di acquisire completamente la nozione di peso
specifico poiché non comprende ancora né la conservazione del peso,
né la conservazione del volume.
- Il secondo stadio. Livello B
Possono inserirsi in questa categoria i bambini di 9-10 anni: essi
acquisiscono la nozione di conservazione del peso mentre per quanto
riguarda il peso specifico non si limitano più a qualificare le diverse
materie in termini di peso semplice: il ferro è pesante, il legno è leggero,
79 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 30 80 . PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 30
131
ma introducono un nuovo tipo di spiegazione: gli oggetti con un elevato
peso specifico sono più “riempiti” degli altri. Non si tratta ancora una
relazione tra peso e volume dato che non comprendono ancora la
conservazione di quest’ultimo. Cosicché il bambino quando confronta il
peso dei corpi con quello dell’acqua, non mette in relazione il peso
dell’oggetto con il peso dell’acqua spostata, ma con il peso di tutta
l’acqua contenuta nel recipiente. Questa è la causa di un ultimo gruppo
di contraddizioni. “perché la palla e i pezzi di legno galleggiano? - perché
sono abbastanza leggere- e il coperchio che fa? – va a fondo perché non
c’è abbastanza acqua per tenerlo- e le pietre? – l’acqua non le può
portare ma può portare il legno”81. Questo bambino secondo Piaget
classifica gli oggetti in funzione del peso specifico e non del peso
assoluto e arriva anche a formulare un rapporto esplicito tra peso e
volume: l’ago è più pesante del pezzo di legno perché, dice il bambino,
se il legno fosse della stessa “grossezza” dell’ago, sarebbe più leggero. I
presupposti ci sono ma ancora non si riesce a formulare la legge
universale proprio perché non si confronta il peso dell’oggetto con il peso
dell’acqua spostata, ma con il peso dell’acqua del recipiente.
- Il terzo stadio
Come ho illustrato, il pensiero percorre un lungo cammino prima di
creare una spiegazione non contraddittoria e unica. Il bambino ha 11
anni e finalmente, è in grado di capire il concetto di conservazione del
volume ovvero l’ultimo ostacolo alla comprensione del fenomeno
galleggiamento e quindi del principio di Archimede. Mettere in relazione il
peso del corpo considerato e il peso dell’acqua spostata costituiva un
grosso impedimento che ho riscontrato anche nel gruppo con cui ho
lavorato: voleva dire immaginare una situazione, immaginare di poter
togliere l’oggetto immerso e al suo posto vedere uno spazio delimitato.
81 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 36
132
Posso affermare che non tutto il gruppo con cui ho portato avanti il progetto
era omogeneo: alcuni bambini più della metà vanno inseriti nell’ultima
categoria mentre altri si trovano al secondo stadio. Giustamente direi: l’età82
è un fattore importante ma certe volte viene superato dall’interesse e dalla
proprie capacità. Infatti alcuni bambini della classe quinta sono da collocare
nel secondo stadio mentre alcuni dei bambini di quarta vanno collocati nel
terzo stadio.
3. Informazioni preliminari al progetto
3.1. Alcuni punti chiave del progetto
Per la scienza in generale e per la fisica in particolare, l’esperimento è lo
strumento più importante per arrivare alla scoperta di leggi e alla formulazione
di teorie. Nell’attività scientifica che ho condotto, il termine esperimento è
risuonato molte volte in classe e gli stessi bambini appena mi vedevano
dicevano “C’è Eleonora, oggi si fa un altro esperimento!”. Gli esperimenti che
ho portato avanti erano molto “artigianali” così come gli strumenti ma i bambini
erano consapevoli che si stava facendo una “cosa seria”. Erano loro i
protagonisti, erano loro che sempre secondo la mia guida, facevano (per usare
un importante concetto della teoria di Dewey learning by doing) e imparavano.
Secondo me le scienze e in particolare la fisica vanno fatte e non raccontate.
Solo dopo aver fatto, posso capire i racconti di scienze (vedere slogan ludoteca
scientifica di Pisa). Prima di arrivare al progetto vero e proprio ecco alcuni punti
chiave che ho individuato anche in riferimento alla parte teorica.
- Partire dal bambino: nell’impostare la ricerca mi sono informata sulle
preconoscenze che i bambini possedevano. Ad esempio ho scoperto che i
bambini della classe quinta già conoscevano il concetto di volume e già
82 Il gruppo che ha partecipato al progetto, come evidenzierò successivamente, è composto dalla classe quarta e dalla classe quinta della scuola che mi ha ospitato.
133
avevano studiato alcune proprietà dell’acqua, quali i tre stati… Nessuno di
loro aveva mai studiato il fenomeno del galleggiamento perciò le idee che
loro avevano sul tema potevano essere sbagliate ma non per questo le ho
corrette bruscamente.
- da conoscenza di senso comune a conoscenza scientifica: nel primo e
secondo incontro i bambini spiegavano il fenomeno del galleggiamento
secondo il proprio bagaglio di esperienze. Nel primo incontro si
osservavano oggetti che galleggiano e oggetti che affondano: questa è
conoscenza di senso comune. Alla domanda successiva perché gli oggetti
galleggiano ognuno dava una diversa interpretazione a seconda delle
proprie conoscenze. Lentamente la conoscenza di senso comune è stata
messa da parte perché ad ogni incontro subentravano nuove informazioni
e nuovi stimoli che hanno condotto il bambino alla conoscenza scientifica
del fenomeno. Dovevo aiutare i bambini a mettere in gioco, attraverso il
lavoro di ricerca e sperimentazione, la conoscenza di base che
possedevano che come ho illustrato nel capitolo teorico è dura da
scardinare. Il passaggio è reso possibile anche dall’uso del metodo
scientifico per conoscere la realtà che ci sta attorno.
- La gradualità: non considero produttivo il passaggio brusco tra
conoscenza di senso comune e conoscenza scientifica perciò ho
impostato il percorso nel modo più graduale possibile perché non ero io
che dovevo fornire concetti ma erano i bambini che da soli, rispettando i
propri tempi, dovevano arrivare al cambiamento del loro punto di vista.
Certamente qualcuno ci è arrivato mentre qualcun altro forse aveva
bisogno di ancora più tempo. Il mio scopo, nel rispetto della gradualità
appunto, non era quello di trasformare le loro idee ma accompagnarli nel
processo di modifica fornendo occasioni per metterle alla prova. Intendo
la gradualità anche come modalità da me usata per strutturare le attività:
gli incontri sono tutti concatenati, si va dalla scoperta dell’esistenza di
134
alcuni oggetti che galleggiano e altri no (già i bambini lo sapevano infatti
in questa attività non ci sono stati problemi), alla scoperta di una spinta,
alla scoperta che questa spinta può essere minore o maggiore, alla
scoperta che la spinta è maggiore o minore del peso dell’oggetto, alla
scoperta della Legge di Archimede. Ogni incontro veniva chiuso con un
perché la cui risposta veniva data dall’esperimento dell’incontro
successivo. Penso che aver investito sull’uso di tale metodologia non mi
abbia contraddetta nei risultati ottenuti.
- La discussione come punto di forza: è capitato molte volte durante il
progetto che emergessero tesi diverse o ipotesi contrastanti su uno stesso
esperimento. I bambini sostenevano tesi semplici con una logica
elementare compresa da tutti i compagni, che avevano la possibilità di
replicare con la stessa logica e semplicità. Sono spesso i compagni che
hanno messo in luce i punti deboli di un’ipotesi di un bambino e in questo
scontro dialettico ci si può aiutare reciprocamente e maturare insieme
nuove idee. Inizialmente tutte le ipotesi venivano accettate poiché era il
bambino stesso che ne verificava la propria veridicità attraverso
l’esperimento.
- Learning by doing, usare gli esperimenti: riprendendo il concetto di Dewey
ho puntato sull’esperimento. Attraverso il fare e manipolare e il provare, i
bambini erano i protagonisti riuscendo a osservare il vero comportamento
degli oggetti. Alcuni esperimenti che ho realizzato forse non sono neppure
degni di essere chiamati tali per la loro banalità apparente. Il fare
esperimenti ai bambini piace molto perché si sentono coinvolti e vogliono
mettere alla prova gli oggetti e il mondo intorno a loro.
- L’adulto-animatore: ha un ruolo molto importante. Io stessa mi sentivo
investita di grande responsabilità. I bambini si aspettavano molto e per non
deluderli c’era un solo modo: dovevo conoscere, e ciò vale anche per altre
135
attività, innanzitutto l’argomento. Sulla conoscenza profonda
dell’argomento si possono instaurare esperienze interessanti: i bambini
sono convinti che tu sappia tutto e perciò pongono domande a cui puoi
rispondere solo se conosci l’oggetto di studio. Senza la tua conoscenza
non si può pretendere che i bambini imparino da te qualcosa ma può
accadere invece che l’esperienza sia disastrosa. L’adulto deve anche
organizzare la lezione e i contenuti nel miglior modo possibile adattando il
tutto ai bambini che si hanno di fronte. L’esperienza realizzata mi ha
insegnato che nulla deve essere lasciato al caso: l’animatore deve
impostare passo passo il lavoro, predisporre il materiale, provare a casa
l’efficacia degli esperimenti, condurre in aula l’esperimento nel migliore dei
modi, registrare le opinioni dei bambini, condurre le riflessioni. I compiti
quindi sono molti e molto è l’impegno richiesto.
- Il materiale come importante mezzo: predisporre il materiale è un
compito importante. Il mio obiettivo durante l’elaborazione di esso era
quello della chiarezza. Secondo me il materiale deve essere il più
semplice e il più immediato possibile. A seconda del caso mi sono
servita di cartelloni schematici e schede riassuntive. In entrambi ho
cercato di mettere le informazioni principali, niente di più niente di meno,
per far sì che di primo impatto il bambino avesse subito un immediato
riscontro. Ho puntato quindi molto anche sulla grafica e sull’impostazione
sia delle schede, realizzate al computer, sia dei cartelloni.
- Il linguaggio. un altro elemento da tenere presente è stato proprio
questo. Spesso i bambini dimostravano di aver capito o di saper
spiegare nella propria testa gli esperimenti ma di non riuscire a spiegarlo
a parole. C’è infatti chi magari se ne stava zitto non perché non avesse
capito ma perché non riusciva a spiegarsi. Molte volte sono risuonate in
classe queste parole “non so come spiegarmi!”. Spiegare dei fenomeni
fisici senza possedere un linguaggi appropriato, “scientifico” è
136
abbastanza difficile. Ho puntato molto quindi sull’uso dei termini corretti
tralasciando però una spiegazione della diversità tra peso e massa
perché ho reputato fosse inutile complicare le cose ulteriormente. Ho
cercato di usare termini tecnici ma che fossero chiari e dei quali i bambini
conoscessero il significato. Anche nei cartelloni e nelle schede ho
puntato ad una scelto precisa riguardo al linguaggio. poche frasi ma
chiare e concise.
3.2. Il contesto
La scuola primaria in cui ho svolto il percorso didattico fa parte di un
Istituto Comprensivo della Provincia di Pisa ed è dislocato in una zona collinare.
I bambini che hanno “collaborato” alla realizzazione del progetto sono stati in
tutto 19: 11 frequentano la classe quarta mentre 8 la quinta. La decisione di
estendere il progetto a due classi è stata presa in accordo con le insegnanti
della scuola per due ragioni: i bambini della classe quinta dove avrei dovuto
svolgere il progetto erano solo in 8 perciò la possibilità che durante gli incontri
tale numero scendesse era molto alta e il progetto ne avrebbe risentito; la
seconda invece riguardava l’interesse che la metà della classe quarta durante
gli anni trascorsi a scuola ha dimostrato avere per l’ambito scientifico. Alla fine
questo tipo di scelta si è rivelata molto positiva per il contributo che ognuno ha
dato nelle varie esperienze fatte, anche con qualche sorpresa. Fra questi 19
bambini, mi sembra giusto dirlo, ci sono anche due bambini appartenenti alle
due diverse classi che hanno un ritardo mentale lieve, uno è seguito
dall’insegnante di sostegno mentre l’altro è in fase di certificazione. Entrambi
hanno partecipato al progetto dimostrando grande coinvolgimento soprattutto
nella fase sperimentale, un po’ meno durante l’elaborazione dei dati.
3.3. Le conoscenze pregresse degli alunni
137
Le insegnanti dell’ambito scientifico hanno fin dalla prima iniziato a
sensibilizzare i bambini all’uso del metodo scientifico. Per tutti gli argomenti
affrontati i bambini osservavano, raccoglievano dati formulavano ipotesi,
elaboravano un esperimento per la verifica dell’ipotesi. Le insegnanti hanno
costantemente cercato di mostrare ai bambini l’importanza di tale procedura
nell’ambito della fisica e delle scienze soprattutto nella fase finale di raccolta
delle informazioni e dei dati attraverso schede, foto, ecc. I temi affrontati dalle
due classi sono pressappoco quelli individuati dalle Indicazioni Nazionali: in
classe si è parlato di piante, animali, essere viventi in generale, la terra, l’aria,
l’acqua. In particolar modo su quest’ultimo argomento si è svolto un progetto
che ha caratterizzato buona parte dello scorso anno scolastico. I bambini hanno
affrontato il tema del ciclo dell’acqua attraverso il fare esperimenti. Tra le
metodologie utilizzate in classe c’è proprio la sperimentazione per toccare con
mano e non fermarsi al sentito dire… in base all’argomento e all’esigenza
specifica le insegnanti alternano lezione frontale, lezione a gruppi ed
esperimenti che vengono condotti in classe durante le due ore settimanali di
scienze visto che la scuola non è dotata di un laboratorio scientifico.
3.4.. Ipotesi iniziale del progetto
Dopo essermi documentata sul ruolo che svolge il basare l’insegnamento
scientifico sull’esperienza ho messo alla prova tali considerazioni teoriche
attraverso il mio progetto. Volevo verificare che effettivamente attraverso
l’attività pratica, il fare, e la metodologia dell’esperimento i bambini possono
avvicinarsi a comprendere concetti fisici che regolano la vita di tutti i giorni.
Perciò è importante che il bambino sia in prima persona protagonista
dell’attività: vede, tocca, manipola oggetti e situazioni. Per realizzare ciò ho
utilizzato l’esperimento come modalità di insegnamento.
3.5.. Obiettivi del progetto
138
Prima di stendere gli obiettivi del mio progetto ho consultato il POF
dell’Istituto, il PECUP e la progettazione di Istituto per ambiti disciplinari
elaborata dagli insegnanti in merito alle scienze83. Successivamente a ciò ho
rivisto anche le conoscenze e abilità previste dalle Indicazioni Nazionali.
Gli obiettivi generali del processo formativo che l’Istituto Comprensivo ha
cercato di valorizzare e che mi hanno interessato in funzione del progetto sono:
la valorizzazione dell’esperienza del fanciullo, l’esplicitazione delle ideee e dei
valori presenti nell’esperienza e infine l’attenzione al confronto personale. Le
caratteristiche peculiari delle scienze che le insegnanti della scuola hanno
individuato in relazione agli obiettivi sono: l’acquisizione di conoscenze e abilità
utili per l’interpretazione, lo sviluppo delle capacità di utilizzare linguaggi propri
del metodo scientifico… le scienze inoltre sempre secondo il documento stilato
dalla scuola attivano atteggiamenti nei confronti del mondo che stimolano il
bambino a porre domande, osservare, porre attenzione alle relazioni esistenti,
ad analizzare le situazioni negli elementi costitutivi, a distinguere il certo dal
probabile…84
Dopo questa attenta analisi mi sono dedicata alla formulazione degli obiettivi
del progetto
Obiettivi formativi:
- Sviluppare la curiosità e il gusto della scoperta
- Favorire l’interesse e la motivazione sull’argomento
- Sviluppare la capacità di mettere in relazione eventi e fare confronti
- Partire dalle conoscenze che i bambini hanno della realtà, verificarle e
trasformarle
- Stimolare e risolvere situazioni problematiche attraverso la
sperimentazione
- Mettersi in gioco accettando eventuali errori compiuti nell’ipotesi.
- Risolvere problemi applicando conoscenze acquisite in contesti diversi
83 Vedere allegati 84 Vedere per la forma completa gli allegati
139
- Raggiungere attraverso il metodo scientifico e l’esperimento capacità,
competenze sempre più complesse
- Arrivare a generalizzare i risultati
- Indagare sul comportamento della natura
- Saper lavorare da soli o in gruppo
- Acquisire la capacità di formulare ipotesi e verificarle
- Acquisire una terminologia appropriata
- Rispettare le consegne
- Condividere i risultati
Obiettivi specifici di apprendimento
- Comprendere perchè alcuni corpi galleggiano e altri vanno a fondo
- Scoprire le condizioni che determinano il galleggiamento
- Intuire l’esistenza di una forza che “sostiene gli oggetti”
- Comprendere che la spinta è sempre presente anche nei corpi che non
galleggiano
- Capire che la spinta può essere minore, maggiore o uguale del peso del
corpo immerso e che hanno verso opposto
- Comprendere che la spinta è pari al peso del liquido spostato
- Comprendere l’analogia tra volume dell’oggetto e volume del liquido
spostato
- Acquisire il concetto di volume
- Acquisire il concetto di peso specifico
- Capire che gli oggetti con peso specifico galleggiano su quelli con peso
specifico/densità maggiore
- Capire che oggetti dello stesso materiale possono galleggiare e
affondare
- Capire l’importanza del volume di un oggetto per determinare il suo
galleggiamento
140
- Capire l’importanza del peso di un oggetto
- Capire l’importanza del peso specifico (legame tra peso e volume) per il
fenomeno del galleggiamento
- Capire che non tutti gli oggetti grandi galleggiano e non tutti quelli piccoli
affondano
- Conoscere il funzionamento di un sommergibile
- Estendere la legge di Archimede allo studio Della stratificazione dei
liquidi su liquidi
3.6. Spazi e tempi
Per questo progetto gli spazi usati sono stati: prevalentemente l’aula perché la
scuola non ha un laboratorio di scienze e l’aula computer. Secondo le attività
abbiamo rivoluzionato lo spazio, ad esempio per le attività in cerchio abbiamo
spostato i banchi a nostro piacimento.
Gli incontri sono stati in tutto dieci: per la maggior parte di essi ho utilizzato due
ore. Solo per un incontro mi sono servita di un’ora soltanto. Nella fase iniziale
naturalmente il calendario era molto approssimativo perché dovevo far
coincidere i tempi dei bambini con i tempi delle attività.
3.7.. Strategie
- Attività alternative rispetto alla lezione tradizionale
- Uso di metodologie che rendono la classe più attiva
- Lavori di gruppi a coppie o individuali
- Uso di: osservazione diretta dei fenomeni, attività pratico-
sperimentali, lezioni frontali e conversazioni
- Scoprire nuove tecniche di lavoro
- Discutere, interagire, rendere i bambini protagonisti delle attività
attraverso l’ascolto delle loro opinioni
- Suscitare l’interesse dei bambini per quello che si fa
141
- Utilizzo del messaggio sul computer dello scienziato anonimo e
l’indossare le casacche da scienziati come filo conduttore del
progetto per destare curiosità
- Responsabilizzare il bambino nei confronti del proprio materiale
3.8. Strumenti e materiali
- astuccio
- fogli bianchi
- fotocopie
- computer
- scanner
- macchina fotografica
- fotocopiatrice
- materiale reperito in biblioteca, libreria, internet
- fogli bianchi
- cartelloni
- immagini relative all’attività
- oggetti vari: fogli di alluminio, pongo, sasso, tappi, foglia, cera,
bottone, monete, biglie di vetro…
- elastici
- bicchieri di plastica
- bottiglie
- vasca grande trasparente
- bilancia a bracci
- liquidi diversi
3.9. Prodotto finale - Sottomarino
- Elaborati grafici, cartelloni
- Fascicolo con tutte gli elaborati da consegnare ad ogni bimbo
142
3.10. Verifica La verifica è avvenuta in itinere (per vedere ad ogni incontro e attività proposta
se i bambini hanno compreso i concetti) e alla fine, con una scheda da
completare con domande aperte e chiuse.
5. Il progetto: incontro dopo incontro
PRIMO INCONTRO
AAA cercasi apprendisti scienziati
Questo incontro è stato uno dei più importanti non tanto per i contenuti
ma piuttosto per motivare i bambini. Dovevo riuscire a catturare la loro
attenzione e curiosità per poter portare avanti un percorso fatto di molti incontri
dove imparare ma anche divertirsi. Credo di esserci riuscita nonostante i dubbi
iniziali.
Lo scienziato smemorato si rivolgeva direttamente ai bambini per la
prima volta: “ciao ragazzi, ho saputo che a scienze siete molto bravi perciò mi
dovete aiutare, ho un grosso problema. Una mattina mi sono svegliato e non
ricordavo più niente. Ricordo solo che ero un illustre scienziato ma mi sono
dimenticato che cosa studiavo, come lavoravo, di cosa mi occupavo... I miei
amici mi prendono in giro chiamandomi lo scienziato smemorato. Vi prego ho
assolutamente bisogno di voi. Sapreste dirmi cosa fa uno scienziato e cos’è la
scienza così forse qualcosa mi tornerà in mente. Adesso vi saluto, fate un
ottimo lavoro.”
A questo punto le facce dei bambini parlavano chiaro: forse non era uno
scherzo, come loro avevano inizialmente dubitato e lo scienziato aveva davvero
bisogno di loro. Ho fatto riascoltare il messaggio e ho detto ai bambini di fare
attenzione alle due domande che lo scienziato smemorato ci poneva: che cos’è
la scienza e chi è e cosa fa uno scienziato. Ho chiesto qual’era un modo per
143
poter fare arrivare le nostre risposte allo scienziato… c’è chi ha proposto di
scrivere una lettera… chi fare un video e chi inviare un CD con le voci
registrate. Ciò che mi interessava era un verifica delle idee dei bambini
sull’argomento.
Ecco le opinioni dei bambini:
Che cos’è la scienza??
- È un tipo di lavoro
- È far rivivere le persone
- Per me la scienza è studiare su delle cose
- È una cosa che ti fa studiare il corpo umano, gli animali
- Con la scienza si studia come va il mondo
- È una materia
- Si è studiato all’inizio dell’anno.
I bambini hanno trovato qualche difficoltà nel rispondere a questa domanda,
forse per colpa del registratore che circolava davanti a loro e molti, presi un po’
dall’emozione, hanno preferito non rispondere. Riflettendoci ho capito che forse
quella non era stata una buona tecnica visto che successivamente alla seconda
domanda hanno partecipato con più enfasi e il microfono davanti non ce
l’avevano. Mi sono chiesta e ho chiesto loro, se si erano fatti mai questa
domanda e in coro mi hanno detto di no. Le risposte date evidenziano quanto
sia influente la visione della scienza come disciplina di studio: la maggior parte
ha definito la scienza secondo gli argomenti trattati in classe con l’insegnante.
Chi è e cosa fa uno scienziato?
Forse questa domanda era considerata più facile e i bambini hanno espresso
molte opinioni: alcune un po’ stravaganti altre un po’ più pertinenti ma tutte
veramente sorprendenti. I bambini hanno scavato nella loro conoscenza, molti
hanno ripensato alla loro esperienza scolastica, altri a personaggi dei cartoni
animati. Ecco le opinioni dei bambini:
144
- Analizza le cose
- Analizza le impronte
- Trova animali sottoterra
- Ridà vita ai fossili
- Studia com’è nato il mondo
- Fa gli esperimenti
- Usa le lenti d’ingrandimento
- Studia tanti libri e poi fa gli esperimenti
- Fa le pozioni
- Fa gli antidoti per uccidere o per guarire le persone
- Studia tutte le cose di scienze
- Prevede il futuro
- Studia le forme di vita
- Costruisce le macchine
- Costruisce i robot
- Studia le origini del mondo
- È una persona anziana
- Può essere anche giovane
- Studia lo spazio
- Studia i pianeti
- Studia il sole la luna le stelle
- Studia le piante e gli animali
- Trova tutte le soluzioni ai problemi
- Studia tutte le cose che accadono sulla terra
- Studia tutto
Dalle opinioni emerge chiaro come molti di loro pensano allo scienziato
come a colui che si occupa della materia scienze (nell’opinione di un bambino è
chiara questa idea) che loro fanno a scuola. Infatti molti lo vedono studiare le
piante (in classe hanno seguito con un esperimento la crescita delle piante a
145
scienze), gli animali… ciò corrisponde infatti al programma di scienze. Altri lo
associano all’esperienza che hanno fatto con una tirocinante sull’astronomia.
Perciò molti lo vedono impegnato a studiare le stelle, lo spazio, i pianeti…Altri lo
collegano agli strumenti che lui usa per lavorare perciò pensano che lavori in un
laboratorio, che faccia esperimenti, che usi delle lenti… Altri, che hanno una
visione più completa, credono che lo scienziato si debba occupare di tutto
quello che ci circonda, di tutte le cose che accadono intorno a noi, e per fare ciò
ha bisogno di studiare e fare tanti esperimenti. Per i bambini con più fantasia lo
scienziato costruisce robot, fa rivivere i fossili, prevede il futuro…
Nel cartellone su cui ho riportato le opinioni dei bambini avevo disegnato
una figura di scienziato e avevo creato delle finestrelle con sotto alcune
informazioni utili per scoprire questa figura importante. “cosa ci sarà scritto qui
sotto?”, “le cose giuste” no le cose sbagliate. Chiamavo un bambino e gli facevo
leggere la frase e poi la commentavamo insieme.
- Grazie al suo lavoro la nostra esistenza è migliorata
146
È giusta o sbagliata secondo voi? Per tutti era un’affermazione giusta allora ho
chiesto di motivare la risposta: “perché hanno costruito cose utili, hanno fatto ad
esempio medicine, quelle cose hanno migliorato la nostra vita…”
Abbiamo scoperto quindi che il lavoro dello scienziato è un lavoro importante e
utile per tutti noi che non lo siamo.
- Studia il mondo e i fenomeni che in esso si verificano
Un po’ questo aspetto è emerso nelle opinioni iniziali espresse dai bambini.
Mi è venuto naturale chiedere che cosa sono i fenomeni? Molti hanno
scosso il capo ma lentamente sono emerse delle cose veramente
interessanti. I fenomeni per i bambini sono: “lo tzunami, un eclisse, una
valanga, se nevica o se piove, le stagioni, un meteorite che cade sulla terra,
un missile che viaggia nello spazio”.
Viste le loro opinioni ho pensato di intervenire buttando là uno stimolo.
“secondo voi una palla che rotola su un pavimento, il formarsi dell’ombra,
una macchina che viaggia, un oggetto che cade diversamente da un’altro
possono considerarsi fenomeni e essere studiati dallo scienziato?”
Ecco che ho fatto leggere la frase successiva:
- Non si occupa solo di cose difficili. C’è scienza anche nelle cose di tutti i
giorni
Con questo volevo iniziare a far riflettere i bambini sul fatto che lo scienziato
non deve per forza studiare cose strane per essere definito tale. Le cose
che lui studia appartengono alla realtà di tutti i giorni. Dalle loro opinioni
invece emerge una figura un po’ lontana dalla realtà influenzati forse da certi
cartoni animati che vengono trasmessi alla TV.
Lo scienziato come lavora? Alcuni di loro avevano accennato a laboratori,
esperimenti e certe lenti... ecco in aiuto la scoperta della prossima frase.
- La scienziato si pone delle domande e cerca di darsi delle risposte
147
Cerca infatti di scoprire il perché delle cose che ci circondano. Anche in
questa stanza se ci pensiamo possiamo trovare molti perché. “Ognuno di voi
avrebbe da fare una domanda, avrebbe una curiosità da far svelare ad uno
scienziato se fosse qui? Quali sono i vostri perché che vi vengono in
mente?”
- Perché una bottiglia cade
- Perché piove o nevica o c’è il sole qualche volta
- Perché arrivano le trombe d’aria
- Perché un vulcano erutta
- Perché ci sono i terremoti
- Perché il sole scalda
- Perché il sole brucia gli occhi
- Perché viene l’arcobaleno
- Perché vediamo i colori
- Perché le nuvole stanno in aria
- Perché il cielo è celeste
- Perché le persone crescono
- Perché in acqua si sta a galla
- Perché esiste l’ombra
- Perché sulla luna si sta sospesi in aria
- Perché tutti non hanno il solito colore dei capelli
- Perché i mattoni sono duri
- Perché c’è la gravità
- Perché l’acqua bagna
- Perché in acqua si affonda
- Coma fa l’acqua a bruciare
- Perché alcuni animali ci vedono di notte.
Questo gioco dei perché alla fine, è molto piaciuto ai bambini: hanno
potuto dare sfogo alle domande a cui avevano o non avevano mai
pensato. Sorprendentemente un bambino ha centrato proprio il concetto:
148
si è infatti chiesto il perché le cose galleggiano. Questa è stata una
sorpresa che ho sfruttato nel secondo incontro per riprendere il filo del
discorso. Qualche bambino alla fine ha detto che le domande forse che si
possono fare sono infinite perché infiniti sono i fenomeni da studiare.
- Usa il metodo scientifico
Fino ad adesso ci eravamo soffermati solo sul chi è uno scienziato e cosa
fa. Un altro aspetto importante è proprio quello del come lavora. Qualcuno
mi ha detto all’inizio che con il metodo scientifico “si usa la scienza” e
inoltre “che è il modo di fare dello scienziato” ma nessuno almeno
inizialmente è riuscito a darmi una spiegazione più precisa. Continuando a
leggere sono riaffiorati i concetti che i bambini già avevano studiato. Ecco
la spiegazione del significato di metodo scientifico secondo uno dei
bambini: “lo scienziato all’inizio guarda le cose che gli stanno intorno poi fa
un’ipotesi, cerca di spiegare con parole sue il perché delle cose, poi fatta
l’ipotesi fa un esperimento e se questo esperimento va bene ed è giusto
allora aveva ragione e la sua ipotesi era vera. Invece se l’esperimento va
male deve fare altre ipotesi, cambiare qualcosa e ripartire da capo”. Dopo
questa spiegazione pressoché perfetta abbiamo letto insieme la frase che
io avevo scritto.
- sa che in futuro la sua teoria potrebbe subire delle modifiche
Ecco alcune opinioni dei bambini su questa frase: “la sua teoria può in
futuro essere cambiata perché vengono scoperti nuove cose che
spiegano meglio quel fatto”, “viene corretto”, “la sua teoria comunque
non vuol dire che era sbagliata”, “si aggiunge qualcosa di nuovo”.
- Facendo esperimenti acquisisce nuove conoscenze se…
Acquisisce nuove conoscenze se “l’esperimento è riuscito mentre se
l’esperimento è andato male non c’è nessuna nuova conoscenza perché
149
lo deve fare in un certo modo”. I bambini hanno individuato il significato
che io volevo dare a quel se.
Quasi al termine di questo primo incontro ho puntato molto sull’importanza delle
regole. Sono infatti partita dalla loro quotidianità chiedendo “cos’è importante a
scuola?” c’è chi ha detto: avere
tutto il materiale, ascoltare la
maestra, stare attenti durante le
spiegazioni, fare le cose precisi.
Dagli stessi bambini è venuto
fuori che questo può essere
definito come un insieme di
regole. Per fare bene un’attività
servono delle regole e quindi
anche per diventare abili
apprendisti scienziati serve il
rispetto di alcune di esse.
Vediamo quali: abbiamo srotolato pian piano il cartellone che riportava le
regole. Ogni bambino ne leggeva una e cercava di darle una spiegazione.
- Non improvvisare gli esperimenti. “Vuol dire che avevi deciso di non farlo
poi lo fa dopo cinque minuti”, “fai l’esperimento appena ti viene in
mente”, “non lo devi iniziare appena ti viene in mente”. “Ma perché?”,
“Perché ti devi fare delle domande, perché serve prima un’ipotesi, devi
vedere se hai tutto l’occorrente perché se inizi e ad un certo punto ti
serve qualcosa come fai devi smettere per forza”.
- Procurati prima tutto il materiale: ogni apprendista scienziato deve avere
davanti a sé prima di iniziare l’esperimento tutto il materiale che gli serve.
150
- Informati sulla pericolosità dell’esperimento: “bisogna stare attenti se ci
sono sostanze pericolose”, “se uso l’acido devo stare di più attento alla
pelle”, “bisogna vedere se si usa l’alcool che può prendere fuoco”.
I bambini sono quindi consapevoli che realizzare un esperimento non è
una cosa da sottovalutare: a volte bisogna stare molto attenti alle nostre
azioni e a volte può essere necessario l’aiuto di una persona adulta. Mi
sembrava una regola importante visto che in molti libri per ragazzi
vengono proposti esperimenti certe volte un po’ troppo pericolosi.
- Osserva i particolari e registra i dati: “Perché è importante registrare i
dati?”. I bambini hanno risposto: “perché ti puoi dimenticare qualcosa alla
fine dell’esperimento e lo devi ricominciare da capo”, perché “così se
scrivi puoi vedere alla fine se ci sono state delle trasformazioni”,
“nell’esperimento di scienze delle piantine abbiamo sempre scritto ogni
settimana i cambiamenti e alla fine abbiamo visto le piante che da seme
sono cresciute e di quanto in ogni settimana”, perché “ci sono
esperimenti che durano poco e altri che durano tanto e quindi è
obbligatorio scrivere sennò ti dimentichi”, “per ricordarsi i dati si possono
fare anche le foto perché ci ricordiamo meglio le trasformazioni come
nelle foto delle piantine”.
Quindi è importante osservare, registrare e documentare con fotografie
ed è quello che ho fatto negli incontri successivi.
- Porta sempre a conclusione l’esperimento: la regola è di non farsi
distrarre da altre cose ma restare concentrati per portare a termine
l’esperimento.
- Metti tutto in ordine quando hai terminato e pulisci gli strumenti usati:
queste due regole sono importanti non per la riuscita dell’esperimento
ma per un educazione del bambino. ognuno deve essere responsabile
delle sue cose. Deve tenere in ordine e rimettere a posto il materiale
151
usato sicuramente dopo averlo ripulito per le volte che servirà in futuro e
per le altre persone che lo useranno.
- Non scoraggiarti se l’esperimento non riesce la prima volta controlla
piuttosto se hai rispettato tutte le consegne: non bisogna mai
scoraggiarsi. È questo il messaggio che volevo trasmettere con questa
regola ai bambini. Spesso fanno presto a stancarsi di una cosa
soprattutto se vedono che non riesce invece è lì che bisogna insistere.
Verificare se abbiamo rispettato il procedimento e le consegne è
fondamentale. Serve impegno perché “nessuno di voi è nato scienziato”
Alla fine di questo primo incontro ogni bambino ha realizzato un disegno: come
vi immaginate uno scienziato?. Ecco alcuni disegni prodotti dai bambini:
152
SECONDO INCONTRO
Galleggia o affonda??
Anche in questo incontro ho riproposto inizialmente il messaggio dello
scienziato smemorato. Quando la classe aveva finito di sistemarsi con i banchi
abbiamo iniziato l’attività. G. mi ha subito chiesto “allo scienziato gli è tornata un
po’ di memoria?” ho preso spunto da questa domanda proponendo di nuovo
l’ascolto del messaggio dello scienziato che recitava pressappoco così:
“ciao ragazzi, sono ancora io. L’aiuto che mi avete dato è stato davvero
prezioso. Ascoltando le vostre opinioni un po’ di memoria mi è tornata. Mi sono
ricordato che uno scienziato non può studiare tutti i fenomeni del mondo perciò
si specializza in un ambito.
Grazie ad una parola che ho sentito pronunciare nelle vostre conversazioni mi
sono ricordato che studio il fenomeno del galleggiamento. Ricordo però solo
questo e perciò mi serve ancora il vostro aiuto… mi fido di voi.”
Come avevo già notato nel primo incontro, appena finisce il messaggio, i
bambini restano un po’ in silenzio come se riascoltassero dentro di sé le parole
dello scienziato. Il mio compito era di riportarli a riflettere sulle parole che lo
scienziato Antonio ci ha rivolto. Questa volta c’erano molte cose su cui fare
attenzione. Grazie a questo CD ho potuto introdurre dei passaggi che altrimenti
sarebbero risultati troppo “didattici”. Già nel primo incontro era emerso dalle
parole di un bambino che uno dei perché che si poteva porre lo scienziato era
proprio perché nell’acqua si galleggia? Ho colto subito questa importante
opportunità facendo dire proprio allo scienziato che grazie a questa parola si è
almeno ricordato l’ambito di cui si occupa. C. è rimasto un po’ incredulo forse
del merito che gli è stato dato, ma tutti i bambini della classe glielo hanno
riconosciuto ed è scattato un bell’applauso.
I bambini non si sono tirati indietro di fronte a questo nuovo compito tranne
un bambino che ha chiesto “ma perché se vuole sapere tutte le cose invece di
mandarci il CD non viene qua?”. Certo, questa forse era la soluzione più rapida
153
ma… Abbiamo riflettuto sulla nuova richiesta che lo scienziato ci faceva e sulle
sue parole. Ecco cosa hanno detto i bambini:
- C’ha un altro problemino…
- lo scienziato c’ha detto che non si può occupare di tutto perché i
fenomeni sono tanti e anche i perché
- i perché possono essere infiniti…
Per rendere l’esperienza più significativa e sottolinearla come esperienza fuori
dalle righe (del quaderno) mi sono inventata questo espediente che poteva
rendere più giocoso l’apprendimento e far sentire il compito più vicino ai
bambini: abbiamo deciso che per diventare dei veri apprendisti scienziati
serviva senza ombra di dubbio una divisa. Per ogni incontro abbiamo indossato
una maglietta bianca con scritto davanti il nome del bambino e dietro in un
carattere grande “apprendista scienziato/a”. ai bambini è piaciuta molto questa
idea molte esclamazioni suonavano del tipo “fortissimo” “siamo degli apprendisti
per davvero”.
Un’altra parola però andava svelata. La scienziato parlava per la prima volta
di galleggiamento perciò per sondare le opinioni iniziali su questo concetto ho
fatto questa domanda esplicita: “cosa vuol dire galleggiare secondo te?”
- si galleggia sopra l’acqua
- che si sta a galla al mare
- vuol dire non andare a fondo
- che la forza di gravità ci tiene sopra l’acqua e non ci fa andare a fondo
- che si sta sulla superficie dell’acqua
- restare sopra l’acqua
- qualcosa che sta sopra l’acqua al mare
- stare precisi sul livello del mare… e anche del fiume.
Come si deduce dalle risposte i bambini hanno attinto dalla propria esperienza
osservativa: a chiunque è capitato di vedere cose che galleggiano, infatti in
molte delle risposte compare il concetto collegato al mare. Si deduce quindi che
i bambini hanno osservato molto spesso il fenomeno durante le vacanze al
mare e questo supera altre esperienze. Alcuni definiscono la parola attraverso il
154
suo contrario cioè galleggiare vuol dire stare a galla e perciò non andare a
fondo. Le risposte più frequenti comunque sono state: stare sopra l’acqua e non
andare a fondo. Colpisce certo la risposta data da F. che chiama in causa la
forza di gravità… Nonostante tutto i bambini in generale si sono fatti un’idea su
questo fenomeno attraverso l’esperienza e l’osservazione perciò chi più chi
meno non hanno avuto difficoltà a dare una risposta anzi sembravano un po’
infastiditi dalla domanda che ritenevano troppo banale forse.
Finalmente è giunto il momento di iniziare la parte più attiva del percorso. I
bambini da adesso in poi sono stati coinvolti direttamente negli esperimenti e
nelle attività. In questo primo esperimento, forse non è nemmeno giusto
considerarlo tale, i bambini hanno lavorato a coppie. Ho deciso durante i vari
incontri di alternare metodologie di lavoro diverse passando da lavori individuali
a lavori di gruppo, a lavori a coppie. Prima però di iniziare ho chiesto ai bambini
“cos’è per voi un esperimento?” per vedere quale fossero i loro pensieri in
merito.
- Serve per scoprire cose nuove
- Serve per scoprire le cose che non si sanno
- Trovo la risposta ad una domanda
- Lo fa lo scienziato
- Serve per scoprire qualcosa che non si sa
- Serve per vedere se l’ipotesi che ho è vera o falsa
- Serve per scoprire qualcosa che mi interessa
Solo un bambino è riuscito a dare la risposta “scientifica”, forse a qualcosa è
servito anche il primo incontro.
Mi sono fatta aiutare da due bambini e abbiamo portato la vasca con l’acqua
in classe. I bambini hanno subito iniziato a fare mille domande sul perché e che
cosa fosse. Successivamente ho messo sul tavolo dieci oggetti.
155
Ho chiamato il primo della fila e gli ho chiesto di sceglierne uno così hanno
fatto anche gli altri gruppi fino all’ultima scelta obbligata. Inizialmente ho chiesto
alle coppie a turno di:
- dire ad alta voce il nome dell’oggetto così che anche gli altri potessero
vedere e capire.
- Osservare l’oggetto e descriverne le proprietà al resto della classe con i
sensi chiamati in causa
Dopo questa prima analisi indispensabile a mio avviso ho distribuito una
scheda85da compilare dove veniva richiesto ai bambini di disegnare l’oggetto
scelto e di fare un’ipotesi sul
comportamento di questo una volta
immerso in acqua. Al momento che tutti
avevano scritto la propria ipotesi siamo
passati alla fase più importante
l’osservazione del comportamento
dell’oggetto e poi la sua verifica. è
arrivato così il momento tanto atteso.
Ogni coppia si è alzata dal proprio
banco ed è andata a immergere l’oggetto nella vasca e osservarne il
comportamento. Ognuno doveva descrivere la situazione ai compagni e dire ad
alta voce ipotesi e se questa era quindi vera o falsa. Una volta seduti di nuovo
al proprio banco dovevano
scrivere la verifica
dell’esperimento.
In questa fase ho puntato
molto sulla condivisione dei
risultati e dell’esperienza
cercando di coinvolgere tutti i
bambini sull’esperimento di
85 Vedere allegato numero 1
156
una coppia. Gli oggetti chiamati in causa erano: biglia, sasso, pezzo di
polistirolo, matita, bullone, spugna, moneta, fiore, foglia, bottone. Facendo un
bilancio: solo due bambini non hanno ipotizzato il comportamento giusto del
proprio oggetto che erano il fiore e il bottone (sono i due bambini che hanno
avuto difficoltà per tutto il percorso) mentre il bambino con difficoltà
nell’apprendimento e l’altro con ritardo nello sviluppo cognitivo hanno previsto
giustamente il comportamento del loro oggetto che era il bullone e matita
(questo era particolarmente difficile). Illuminante è stato un bambino che al
momento che ho sistemato gli oggetti sul tavolo ha detto “ma io li so già quelli
che galleggiano”. Questa attività iniziale quindi era molto semplice e intuitiva, mi
serviva semplicemente per mostrare ai bambini e mettere un punto fermo
iniziale sul fatto che esistano oggetti che galleggiano e altri che affondano.
Abbiamo terminato l’incontro fermando nella mente alcuni punti importanti sul
cartellone: alcuni oggetti galleggiano altri affondano.
Mentre mi stavo preparando per uscire i bambini hanno continuato a
sperimentare e ciò mi ha dato molta più soddisfazione rispetto al risultato
dell’esperimento, mettendo nella vasca e provando oggetti che trovavano in
classe… appuntino, penna, righello, gomma…. Facendo ipotesi e verificando.
TERZO INCONTRO
Volume e peso specifico
Appena sono entrata in classe i bambini mi hanno letteralmente
aggredito chiedendomi notizie sull’ormai noto scienziato smemorato. Devo dire
che questa idea, nata un po’ per caso solo come stimolo iniziale si è rivelata di
straordinaria importanza per lo snodarsi del lavoro.
In questo incontro lo scienziato si è rivolto ai bambini con un breve messaggio
(uno dei bambini ha detto “certo che questa volta lo scienziato non aveva tempo
da perdere”): “ciao ragazzi mi sono dimenticato di dirvi che per studiare il
157
fenomeno del galleggiamento bisogna conoscere alcune proprietà degli oggetti.
Buon lavoro.”
Effettivamente è stato un po’ sintetico ma gli input per la classe
certamente non sono mancati. Nell’incontro abbiamo trattato due concetti un po’
complessi che in linea generale non vengono affrontati nella scuola primaria
tranne in alcuni casi il concetto di volume calcolato per figure note. Il
trattamento di questi due concetti ha richiesto sicuramente molto più tempo del
previsto per vari motivi tra cui la difficoltà di comprensione in particolare del
peso specifico e del mio voler spiegare bene tali concetti (avevo organizzato
vari esperimenti per entrambi) per la loro indispensabilità nel capire la legge che
governa il galleggiamento.
Senza perdere tempo abbiamo iniziato subito con il primo esperimento
per andare a scoprire quella importante proprietà che forse non tutti conoscono.
Il volume
Per far capire, almeno spero, questo concetto ho programmato due
diversi esperimenti con un terzo che si è aggiunto mentre stavamo facendo
l’attività a causa di una domanda emersa dalla classe. Da tenere presente
anche Piaget e il fatto che l’acquisizione della conservazione del volume libera il
bambino che può comprendere il fenomeno del galleggiamento.
I bambini dovevano lavorare individualmente sulla scheda86 che io gli avevo
fornito:
Come sempre sono partita da una domanda, “se immergo una pietra in un
recipiente, cosa accade?” Ho chiesto ad ognuno di riflettere bene e formulare
un’ipotesi:
- la pietra affonda
- la pietra prende acqua 86 Vedere allegato secondo incontro
158
- la pietra va in fondo e ci resta
- l’acqua non regge la pietra e perciò questa affonda e ci resta e non ce la
fa a riportarla su
- io spero che il sasso può stare sotto
- il sasso messo in acqua affonda
- l’acqua non ce l’ha la forza per reggere la pietra
- il sasso va a fondo perché è peso
- il sasso affonda e l’acqua sale di livello
- il sasso ingombra nel recipiente e così l’acqua sale di livello
- succede che il sasso occupa uno spazio nel recipiente
Ho elencato in questo modo le risposte non a caso: possiamo dividere le
opinioni dei bambini in due gruppi. Da un lato ho messo il gruppo di quei
bambini che non sono riusciti ad andare oltre, visto che nell’incontro precedente
avevamo parlato di galleggiamento, secondo questi il compito si limitava solo
nel doversi chiedere cosa accadesse alla pietra tralasciando il comportamento
dell’acqua. Nel secondo gruppo ho inserito le opinioni complete. Questi bambini
hanno ricreato la situazione virtuale e hanno anche loro detto che la pietra
affonda ma hanno aggiunto un particolare importante: il livello dell’acqua sale.
In particolare un bambino non si è fermato a questo ma ha aggiunto il perché di
questo comportamento spiegando perfettamente il concetto a cui io volevo
arrivare con questo primo esperimento il livello dell’acqua si alza perché il
sasso occupa uno spazio nel recipiente. Mi ha fatto notare l’insegnante di
classe che i bambini che hanno dato la risposta completa sono quelli più grandi
e che nelle materie scientifiche incontrano minori difficoltà. Dopo questa
conversazione ho coinvolto un bambino nella gestione dell’esperimento: per
dare una risposta alla domanda dovevamo riempire d’acqua un recipiente.
Sono stati i bambini a preparare tutti i materiali e seguire le procedure, il mio
compito era quello di supervisionare. M. ha segnato il livello dell’acqua con un
pennarello sul recipiente. Ho cercato di coinvolgere più bambini possibile perciò
ho fatto in modo che per ogni esperimento le azioni fossero divise in tanti
159
compiti da delegare a tanti bambini. Ho consegnato ad S. infatti, la pietra che
doveva immergere.
Per notare maggiormente l’aumento del livello dell’acqua abbiamo immerso
lentamente questa pietra e verificato che più questa veniva immersa più il livello
dell’acqua saliva. Al momento che il bambino l’ha lasciata andare, la pietra si è
collocata sul fondo come aveva previsto tutta la classe e il livello dell’acqua si è
fermato al suo massimo. Abbiamo concluso con le parole di A. che ha detto “
che se metto qualsiasi cosa nell’acqua il livello dell’acqua aumenta”. Su questa
affermazione è nata un’interessante conversazione. Alcuni bambini hanno
criticato questa frase perché secondo loro non
tutti gli oggetti fanno alzare il livello dell’acqua:
quelli che affondano si e quelli che galleggiano
no. L’unico modo per fare luce sul
comportamento effettivo, quindi sulla verità o
falsità di questa distinzione, era fare una prova
160
e osservare il comportamento. I bambini sono andati a cercare alcuni oggetti
nell’aula e nel corridoio di cui avessero la certezza del loro galleggiamento. Li
abbiamo immersi in un recipiente e abbiamo notato con un po’ di incredulità di
alcuni che anche questi effettivamente spostano una certa quantità d’acqua se
pur minima e perciò il livello se pur di poco si alzava. Perché ho chiesto? Ecco
la risposta perfetta che chiunque insegnante si vuol sentire dire: “perché la
pietra è tanto ingombrante e perciò fa salire tanta acqua mentre le cose che
galleggiano stanno un po’ fuori dall’acqua e la parte in acqua è piccola perciò
ingombrano poco.” Ed un altro: “bisogna tenere di conto solo della parte che sta
in acqua, quella fuori non conta”.
Penso che questo argomento abbia stimolato nei bambini un nuovo
modo di vedere gli oggetti e la loro esperienza quotidiana, ho avuto prova di ciò
dagli interventi che ognuno ha fatto e di
uno in particolare: “questo esperimento si
fa anche quando si fa il bagno e si entra
nella vasca e si vede che il livello
dell’acqua sale perché ci entro a quel punto
dentro l’acqua ci sono io e l’acqua si deve
spostare.” “E se ci entrasse il tuo babbo?”
Ecco come i bambini possono rivalutare le loro esperienze alla luce delle
scoperte grazie a questa attività. È così che l’intera classe è arrivata a dirmi
giustamente che se nella vasca entra il babbo il livello si alzerà vistosamente,
certo dipende dal volume che occupa...
Con il secondo esperimento ho
cercato di dare un’ulteriore supporto al
concetto di volume che si stava
strutturando nei bambini. Sempre secondo
il mio principio che è giusto far partecipare
tutti ho fatto riempire d’acqua i due
recipienti fino all’orlo a due bambini diversi.
161
Altrettanti bambini hanno avuto il compito di immergere due pietre di
diversa dimensione mentre esigevo dal
resto della classe massima attenzione e
osservazione. Anche in questo caso
ognuno ha riportato sulla scheda di raccolta
data le ipotesi (ho sempre detto ai bambini
di non guardare a queste schede come a
delle verifiche o come a un compito noioso
ma solo come ad un indispensabile
strumento dello scienziato che deve
annotare tutto quello che accade in un
esperimento.)
Ecco il pensiero dei bambini in risposta alla
domanda “cosa accadrà se immergo la
pietra in un recipiente pieno fino all’orlo?”.
Ecco le ipotesi che si possono così
riassumere in poche frasi.
- L’acqua trabocca
- L’acqua esce
- L’acqua si versa
“E se ne immergo un’altra di diversa dimensione?”
Nel recipiente della pietra più grande è uscita più acqua perché la pietra
è più grande. Su questo non ci sono stati grossi problemi. Tutti si sono trovati
d’accordo sulle conclusioni: la pietra più grande fa uscire più acqua e che
l’acqua uscita rappresenta la grandezza della pietra ovvero il volume. Abbiamo
ripetuto e scritto che il volume è lo spazio occupato da un oggetto.
Alcuni bambini si sono ricordati di aver già sentito parlare di questa
parola a geometria ed in effetti la maestra ha aperto il libro alla pagina dove
questo concetto era vagamente accennato. Per avere un’ulteriore conferma
della diversità di volume delle due pietre abbiamo misurato con un recipiente
graduato la quantità d’acqua uscita: maggior quantità d’acqua corrisponde alla
162
pietra grande e minor quantità d’acqua corrisponde alla pietra piccola. Per
fissare meglio i concetti ho riassunto il tutto su un cartellone.
Il peso specifico
È forse dei due il concetto più complesso da spiegare ai bambini di una
quarta e da capire. Ho cercato quindi di semplificare al massimo rendendo la
spiegazione ai minimi termini per non confondere le idee.
Questa volta ci siamo serviti di vari oggetti. Abbiamo innanzitutto utilizzato
come contenitori di materiali gli ovetti di plastica vuoti anche se qualcuno
sorridendo mi ha detto che preferiva la cioccolata e qualcun altro la sorpresa.
Sul tavolo ho messo poi
dei sacchetti contenenti
alcuni materiali in particolar
modo : lana, zucchero, ferro
e sassi. Come quinto
materiale per complicare un
po’ le cose ho deciso di
considerare l’aria. A turno ho chiamato i bambini che hanno riempito gli ovetti
con il materiale prescelto. Il quinto ovetto ha creato un po’ di suspance: ho
chiesto “che cosa contiene questo ovetto?” solo un bambino mi ha risposto che
contiene aria. Ognuno ha scritto sopra il nome del contenuto. Io ho
163
semplicemente visionato che tutto procedesse al meglio ma sono stati i bambini
a fare tutto.
Questa volta attraverso un cartellone ho riprodotto le parti importanti di un
esperimento. Ho fatto scrivere ad un bambino il contenuto sugli ovetti disegnati
e ho chiesto a tutti le loro ipotesi in risposta alla domanda: “hanno tutti lo stesso
peso?”
- Non pesano allo stesso modo
- Pesa di più l’ovetto con il ferro
- L’ovetto con l’aria e lana sono leggeri uguali
Dopo questa fase di ascolto reciproco ho fatto girare di mano in mano gli ovetti
per provare a fare una stima per cercare di rispondere alla domanda. I bambini
hanno così fatto una prima verifica della loro ipotesi che poi è stata ancora di
più avvalorata dalla
misurazione con una bilancia.
Abbiamo così messo in ordine
decrescente i vari ovetti dal
più pesante al più leggero
compilando il cartellone. Alla
fine abbiamo tutti insieme
compilato le conclusioni
sempre sul cartellone usato
come supporto per questo
esperimento. Gli ovetti hanno
uguale volume e diverso peso
perché contengono materiali
diversi. Ho chiesto perciò: “gli
164
ovetti hanno uguale volume?” Nonostante l’incertezza iniziale i bambini hanno
capito che il volume è il solito mentre inizialmente qualcuno ha detto che il
volume dell’ovetto con il ferro è maggiore, confondendo volume e peso. Ho così
riportato i bambini a pensare alla situazione del recipiente d’acqua e provare a
immaginarsi l’immersione dei due ovetti. Esce la stessa quantità d’acqua? In
coro la risposta è stata si… quindi con un po’ di ragionamento e non
rispondendo superficialmente si può arrivare alle conclusioni giuste. L’altro
concetto è che gli ovetti hanno peso diverso. Infatti gli ovetti hanno uguale
volume e diverso peso ciò dipende dal materiale che contengono esistono
perciò materiali più pesanti di altri. È necessario confrontare oggetti con uguale
volume.
Siamo arrivati così alla nozione di peso specifico che ho illustrato ai bambini
con l’uso di una mappa:
- ogni materiale ha il suo peso specifico
- ecco alcuni esempi di pesi specifici
- è importante per capire alcuni fenomeni tra cui il galleggiamento
- la sua formula è P.S. = P/V
Ho messo anche la formula perché ho visto nei bambini molta curiosità e
attenzione nei riguardi di questo argomento perciò non credo di aver sbagliato
visto i feedback positivi che mi hanno inviato. Per spiegare la formula ho chiesto
165
ai bambini che cosa questa potesse voler dire: p sta per peso cioè considero il
peso dell’oggetto e per v volume dell’oggetto cioè lo spazio che occupa.
Alcuni più di altri hanno dimostrato di poter affrontare benissimo questo
argomento tanto da chiedermi
l’unità di misura e capire che il 3
come apice vuol dire al cubo cioè
considero un oggetto nelle tre
dimensioni.
Come seconda situazione che
permettesse un’ulteriore
chiarificazione del concetto di peso
specifico ho ipotizzato una serie di
domande che andavano risolte
osservando direttamente il
comportamento del materiale. La
prima domanda era: “per ottenere il peso del sasso…”
- Quanto ferro mi occorre?
- Quanto alluminio?
- Quanto polistirolo?
Per ognuna delle situazioni i bambini come al solito erano invitati a fare le loro
ipotesi che sono state riportate sul cartellone. Dopodichè i bambini si sono
avvicinati alla bilancia a bracci da me costruita e abbiamo pesato sasso e altri
materiali per verificare l’ipotesi.
Nel primo caso del confronto tra sasso e il ferro, i bambini hanno notato che di
ferro ne è bastato poco per equilibrare la bilancia qualcuno ha fatto osservare
alla classe che in poco spazio (volume) il ferro pesa tanto e io ho aggiunto che il
suo peso specifico è maggiore come già avevamo notato nel cartellone letto
precedentemente. Mentre per quanto riguarda l’alluminio abbiamo scoperto che
ne serviva tanto ma non quanto il polistirolo abbiamo così dedotto che per il
polistirolo serve tantissimo volume per ottenere lo stesso peso del sasso. Ho
chiesto quindi di fare una classifica dei pesi specifici dei tre materiali. Fino a qui
166
i bambini non hanno avuto grosse difficoltà. Durante queste prove di peso
soprattutto durante quella del polistirolo i bambini si sono dimostrati molto
riflessivi più di quanto io mi potessi aspettare. Sono scaturite infatti dalle loro
bocche parole molto interessanti. Ecco quelle che ho raccolto:
- i tre materiali allora hanno diverso peso specifico? Mi ha chiesto G alla
fine dei tre esperimenti prima che io potessi informarlo di tale cosa, ha
colto nel segno recependo il messaggio del cartellone riassuntivo dove
avevamo letto alcuni concetti importanti
- allora una cosa piccola può pesare quanto una cosa grande se è fatta
con un materiale diverso
- il polistirolo è tantissimo più leggero del ferro
- per il peso specifico allora non bisogna solo guardare al peso ma anche
al volume
- nel ferro in poco volume ci sta tanto peso mentre nel polistirolo è il
contrario perché mi serve tanto volume per far un piccolo peso.
Certamente non sono tutte rose e fiori come appare da queste frasi perché
queste appartengono solo ad alcuni bambini che si sono fin da subito distinti
come più predisposti a questi tipo di ragionamento. Ci sono stati inevitabilmente
alcuni che non sono mai intervenuti o se l’hanno fatto hanno sbagliato. Senza
dubbio in questo incontro i bambini che non sono abituati, per propria
predisposizione o per altro, a ragionare sulle cose sono stati abbastanza
penalizzati.
Per la difficoltà di questo concetto ho preparato alcune domande87 che
mi sono servite a verificare la positività del mio intervento e la percentuale di
bambini che hanno capito tale concetto. Ho utilizzato alcune domande che
volevano valutare il livello di comprensione raggiunto dai bambini. Ho scelto di
fare in questo modo perché reputo di straordinaria importanza il concetto di
peso specifico per capire la legge di Archimede, perciò volevo raggiungere un
buon livello di comprensione nella classe. D’altra parte ai bambini che non
87 Vedere allegato terzo incontro, il peso specifico
167
hanno capito questo sarà difficile capire i passaggi successivi. È per questo
motivo che ci ho insistito molto.
La verifica sul peso specifico
Le domande erano riferite al concetto di peso specifico basate sulle cose fatte
in classe. Per vedere meglio i risultati ho elaborato questi grafici che si
riferiscono alle due domande innanzitutto.
1. la prima domanda era: cosa occuperà secondo te maggior volume, i kg di
farina o 1 kg di segatura?
I bambini presenti in questo incontro erano 16, ma i due bambini con problemi
si sono rifiutati di fare la verifica perciò il campione è di 14 bambini, escludendo
tre assenti. Su 14 undici hanno dato la risposta corretta. Di quei tre che hanno
sbagliato ho scoperto dopo, che non sapevano cosa fosse la segatura perciò
ammetto di aver commesso un errore. Dando per scontato la conoscenza di
tale materiale li ho messi in difficoltà.
2. Infatti nel secondo quesito il numero di coloro che hanno commesso l’errore
è sceso a 2. Dal grafico questo è subito evidente. I bambini già in classe
avevano lavorato con ferro e lana perciò avevano già un’idea dei due materiali.
Le difficoltà sono diminuite.
1 kg di farina;
3
1 kg di segatura;
11
0
2
4
6
8
10
12
168
3. La terza domanda prevedeva di associare nel modo giusto 1 kg di ferro e 1
kg di polistirolo con il disegno corrispondente. Qui la percentuale degli errori è
aumentata perché la mia richiesta e il ragionamento sottinteso era diverso: si
doveva innanzitutto capire che i due oggetti avevano un peso uguale ma che
inevitabilmente per ottenere la stessa quantità di materiale occorre un volume
maggiore nel caso del polistirolo. Ecco cosa è emerso dalla rielaborazione che
ho fatto delle risposte:
Di nuovo sono riemersi i soliti quattro bambini che non hanno capito il concetto.
Colore che hanno sbagliato hanno collegato con la freccia in modo sbagliato.
4. nella quarta domanda chiedevo ai bambini di riconoscere quale materiale ha
il maggior peso specifico tra ferro e polistirolo.
1 kg di ferro; 12
1 kg di lana; 2
0
246
81012
risposta giusta;
10
risposta sbagliata;
4
0
2
4
6
8
10
169
Dalle risposte, mi sento di dividere in due gruppi la classe; risulta chiaro che
alcuni bambini hanno capito che cosa vuol dire peso specifico e come si utilizza
tale concetto mentre altri (circa 5) hanno difficoltà a riconoscerne l’importanza.
Certamente per apprendere tale concetto non credo bastino due semplici
esperimenti ma servirebbe un lavoro più mirato e sistematico prolungato nel
tempo.
QUARTO INCONTRO
esiste una spinta sugli oggetti
“Ciao ragazzi, l’aiuto che mi state dando è davvero prezioso. Un po’ di
memoria mi è tornata proprio grazie a voi. Fino a ora avete scoperto che alcuni
oggetti galleggiano e altri vanno a fondo… ma vi sieti chiesti il perché? Sento
che la risposta che troverete alla domanda sarà fondamentale. Tenetemi
aggiornato sulle vostre conquiste. A presto”. Anche in questo incontro la
scienziato smemorato si è rivolto con le precedenti parole ai bambini. Devo dire
che questa idea dello scienziato mi è servita molto in generale per riprendere i
concetti degli incontri precedenti. Anche in questo caso attraverso le parole
dello scienziato i bambini hanno di nuovo riflettuto sulle scoperte fatte
soprattutto nel secondo incontro, nel quale abbiamo appunto verificato che non
tutti gli oggetti immersi nell’acqua si comportano allo stesso modo. Così infatti
risposta giusta;
13
risposta sbagliata;
10
5
10
15
170
un bambino è intervenuto ricordando che “gli oggetti quelli in alto sono quelli
che galleggiano e quelli in basso sono quelli che affondano” un altro invece
“basta guardare il cartellone che abbiamo fatto con gli oggetti che ci abbiamo
attaccato, non sono tutti nello stesso posto”.
Dopo questa importante fase di consolidamento delle informazioni
ricevute in precedenza ho stimolato i bambini con una domanda che già era
stata proposta dallo scienziato smemorato nel CD. È giusto adesso fare un
passo in avanti e aggiungere un nuovo tassello alla conoscenza che i bambini
già possiedono sul fatto che alcuni oggetti galleggiano e altri vanno a fondo. È
arrivato il momento di chiederci il perché alcuni oggetti galleggiano e altri vanno
a fondo. In questa fase iniziale ho sondato le idee che la classe aveva,
analizzando le risposte. Ho chiesto ai bambini quindi di rispondere alla
domanda pensando alla loro quotidiana osservazione di tale fenomeno e alle
esperienze fatte negli incontri precedenti.
Ecco le risposte alla domanda perché alcuni oggetti galleggiano mentre altri
vanno a fondo?
- Perché alcuni pesano e altri sono leggeri
- Gli oggetti leggeri galleggiano mentre quelli pesanti vanno a fondo
- Un oggetto galleggia o affonda a seconda della quantità di materiale
dell’oggetto
- Perché ad esempio la matita è più leggera e allora galleggia
- Il sasso non può galleggiare perché è duro e peso
- Le cose galleggiano perché l’acqua sale
- alcuni materiali pesano più di altri e allora l’oggetto affonda
- le cose che non c’hanno niente dentro tipo quelle vuote galleggiano
meglio
- dipende dal materiale e dalla leggerezza
- gli oggetti secondo me galleggiano perché ad esempio se ci metti
nell’acqua una piuma, l’acqua ce la fa a tenerla sulla superficie mentre
se ci metti un sasso l’acqua non ce la fa a tenerla sulla superficie è
troppo peso e va a fondo
171
- perché la pressione dell’acqua fa galleggiare (alla domanda che cos’è la
pressione N. ha risposto “non lo so” mentre altri l’hanno spiegata così: è
la forza dell’acqua, è la forza di gravità nell’acqua, è l’acqua quando è
salata)
- un oggetto galleggia quando c’è la forza di gravità
- dipende dalla superficie dell’oggetto se è piatta o no ad esempio se
lancio un sasso piatto al fiume questo ci rimbalza (molti altri bambini al
sentire questa affermazione sono intervenuti facendo notare che all’inizio
il sasso si comporta in questo modo ma quando si ferma affonda. Questa
affermazione ha suscitato un’intensa discussione. Siamo arrivati alla
conclusione che i sassi, tutti, affondano anche quelli piccoli e la
discussione si è chiusa con l’affermazione di un bambino “certo, io i sassi
del mare o del fiume non li ho mai visti galleggiare”)
La spiegazione favorita soprattutto dai bambini di quarta è stata che il
galleggiare o affondare dipende dalla leggerezza o pesantezza dell’oggetto:
siamo ancora molto lontani dal riconoscere che questa grandezza non è
influente ma piuttosto che la risposta va ricercata da un’altra parte.
Per fare un passo avanti verso la conoscenza del fenomeno e dare la
risposta giusta alla domanda è necessario riuscire a capire che innanzitutto
sugli oggetti, sia quelli che affondano sia su quelli che galleggiano, c’è una
spinta. Questo incontro aveva proprio come obiettivo quello di far sperimentare
ai bambini l’esistenza di una certa forza, che “aiuta” gli oggetti a galleggiare o
nel caso opposto li fa affondare. Per riuscire nel mio intento ho allestito un
nuovo esperimento; è solo attraverso questa
tipologia di attività che i bambini possono
verificare l’esistenza di una spinta di cui ignorano
la presenza. Perciò mi è sembrato importante far
provare ad ogni bambino questa esperienza
anche se ci abbiamo messo molto tempo. Su di
un tavolo avevo collocato una bacinella piena
172
d’acqua. Gli oggetti che avevo selezionato erano: una tavoletta di legno e una
pietra. Ho fatto passare prima di tutto, di mano in mano i due oggetti sui quali si
sarebbe svolto il nostro esperimento. In questo modo i bambini hanno
osservato, manipolato sasso e tavoletta di legno descrivendone alcune
proprietà. Dopo questa fase iniziale a turno ogni bambino veniva chiamato
vicino alla bacinella dove diventava protagonista dell’esperimento descrivendo
ciò che provava. Chiedevo alla classe di:
- fare un’ipotesi sul comportamento dei due oggetti una volta in acqua
- immergere il sasso e la tavoletta di legno
- verificare l’ipotesi
- provare a spingere la tavoletta di legno sul fondo e ipotizzare il suo
comportamento successivo
- rispondere alla domanda perché la tavoletta resta sul fondo
- verificare la risposta
- riportare la tavoletta sul fondo e provare a lasciarla risalire lentamente…
che cosa succede?cosa sento con la mano?
- Rispondere quindi alla domanda che cosa riporta la tavoletta nel suo
posto naturale
- Fare lo stesso con il sasso
- Prevedere se il sasso galleggerà o affonderà
- Verificare l’ipotesi
- Provare a tirare fin sulla superficie il sasso
- Verificare che il sasso sembra più leggero in acqua rispetto a quando è
in aria
- Concludere che anche in questo caso c’è una spinta ma che questa è
piccolissima tanto che il sasso non ce la fa a galleggiare
Insieme con i bambini ho ricondotto queste due diverse situazioni a esperienze
che loro stessi potevano aver fatto durante la loro vita, i loro giochi. Molti
bambini della classe, soprattutto quelli di quarta, hanno ricollegato la situazione
della tavoletta di legno alle tante volte in cui si sono divertiti a voler metter a tutti
i costi sul fondo del mare un pallone. I bambini hanno perfettamente descritto
173
come anche in questa situazione, sentivano che c’era qualcosa di misterioso,
una spinta ho suggerito io, sempre per utilizzare un linguaggio appropriato, che
faceva addirittura uscire dall’acqua velocemente il palloncino e con grande
forza. Per il sasso è stato più facile molti l’hanno paragonato al caso in cui si
vuole tirare su nell’acqua una grande pietra o quando si solleva un’altra
persona. Sollevare una persona nell’acqua o fuori da essa non è proprio la
stessa cosa.
Ormai i bambini si sono abituati e hanno capito l’importanza del
registrare i dati e le informazioni scoperte dopo ogni esperimento fatto. A volte
possiamo utilizzare delle schede, in altre occasioni è più immediato e utile
l’utilizzo di un cartellone. Ed è proprio con questo che abbiamo registrato le
nuove scoperte.
in questa fase finale ho visto emergere l’interesse di tutti i bambini.
Nessuno di loro conosceva l’esistenza prima di adesso di questa forza. Questo
fatto ha catturato la loro attenzione e li ha resi più partecipi e motivati a seguire
le mie parole. Ho riportato tutto sul cartellone per fissare il nuovo concetto. Un
momento importante è stato il riuscire a mostrare con un disegno la differenza
della spinta nei due oggetti.
Sono stati i bambini a decidere che potevamo rappresentarla come un
freccia rivolta verso l’alto. Nel caso del legno la freccia è più grande o più lunga
mentre nel caso del sasso più corta o più stretta. Da questa idea collettiva ho
dedotto che il concetto era arrivato a destinazione: i bambini avevano capito
174
quale era il messaggio che volevo trasmettere. L’obiettivo di questo incontro è
stato raggiunto. Fino a questo momento la classe è rimasta unita: nel senso che
non ci sono discrepanze, i bambini riuscivano a seguire bene e apprendere
questi concetti che fino ad adesso non erano così difficili.
In questo incontro inoltre, sarà forse per l’interesse suscitato dalla
scoperta di questa spinta, ci sono stati alcuni bambini che mi hanno fatto
tantissime domande dimostrando un vero interesse. Volevano che il mistero gli
venisse svelato subito. Alcuni hanno riportato la situazione appresa per
spiegare eventi che avevano osservato nella loro vita quotidiana. Forse nella
mente dei bambini stava cambiando qualcosa, queste continue domande ad
alta voce (e magari alcune non dette ma solo pensate) mi hanno fatto riflettere.
Le attività, gli esperimenti stavano portando un cambiamento: i bambini sono
costretti a riflettere sulle nuove scoperte che magari contrastano con la loro
conoscenza comune del fenomeno. Forse queste domande non sono altro che
la manifestazione di un processo di cambiamento in atto. In queste fasi, il
bambino si chiede perché non riesce a darsi una spiegazione, fa nuove ipotesi
per verificare quelle vecchie. Ecco un esempio di questa situazione nel
pensiero di un bambino di quarta: “ ma perché allora il tronco riesce a
galleggiare se è più peso di un sasso e se ho un granellino di sabbia anche
questo va a fondo e un cubo gigante di polistirolo cosa fa? secondo me
galleggia” dopo una raffica di domande di questo tipo lo stesso bambino dice
con un tono di chi ha fatto un scoperta sensazionale “eh, secondo me allora
vuol dire che non si può dire che un oggetto galleggia perché è leggero… un
tronco non è mica leggero…una barca non è mica leggera e un sassolino che
affonda invece è leggero… una moneta affonda ed è leggera… ”. E., il bambino
che ha provato con queste domande a darsi una spiegazione è stata la
dimostrazione lampante di come questo incontro ha sconvolto un po’ la
conoscenza se non di tutti, della maggior parte dei bambini. E. è giunto ad una
sua conclusione supportata da alcune considerazioni che lui stesso ha fatto con
un ragionamento davvero eccellente basato sulla sperimentazione. Lui stesso
175
era fra quelli che avevano risposto alla domanda sul perché un oggetto
galleggia o affonda spiegando con i concetti di leggero o pesante.
Questi interrogativi sono un sintomo positivo secondo me perché
dimostrano interesse e voglia di scoprire e dare una spiegazione al mondo che
ci circonda… la scuola dovrebbe avere fra i tanti obiettivi proprio questo. È
giusto anche dall’altra parte, procedere per gradi visto che non tutti i bambini
riescono ad apprendere con la solita rapidità considerando anche la difficoltà
dell’argomento. Penso sia giusto, nel rispetto di chi impiega più tempo
nell’apprendere, non rispondere a tutte le domande che alcuni bambini (quelli
con un una velocità d’apprendimento maggiore) facevano visto che a queste
domande le risposte verranno fuori con gradualità negli incontri successivi.
QUINTO INCONTRO
Il principio di Archimede… finalmente!
Sulla stessa lunghezza d’onda dell’incontro precedente, anche questo si
è aperto con alcuni quesiti che i bambini avevano posto alla mia attenzione,
forse perché a casa hanno continuato a pensare alle scoperte che avevamo
fatto. E. esordisce dicendo che è arrivato alla spiegazione giusta e definitiva del
famoso perché. Egli dopo un’attenta è arrivato a dire che: “solo gli oggetti che
respirano galleggiano”… siamo ancora molto lontani ho pensato io. Gli ho
chiesto allora come era arrivato a questa conclusione: mi ha riposto che aveva
pensato a tutti gli oggetti. Gli ho chiesto quindi di fare alcuni esempi: i pesci
respirano e galleggiano, i nuotatori respirano e galleggiano, il tronco respira e
galleggia. Alt! La sua ipotesi non reggeva molto, e lui stesso l’ha abbandonata
quando alcuni bambini gli hanno fatto notare che ci sono oggetti che non
176
respirano ma che ugualmente galleggiano: per fargli cambiare idea molti hanno
fatto degli esempi quali la nave, una matita, il polistirolo… bastava rivedere gli
oggetti su cui avevamo lavorato nei primi incontri per affossare tale ipotesi. La
spiegazione quindi era da ricercare altrove e proprio in questo incontro siamo
giunti alla scoperta della spinta di Archimede.
Dopo essermi cimentata nella falegnameria, ho portato a scuola una bilancia
a bracci molto artigianale: non sapevo se i bambini ne avevano mai vista una,
perciò ho chiesto loro a che cosa potesse servire, tutti hanno detto che era una
bilancia e che con questa potevo confrontare due pesi uno attaccato da una
parte e uno dall’altra. Per rendere partecipi tutti ho chiamato per le diverse fasi
dell’esperimento i bambini a fare e condurre le varie azioni. Se l’attività veniva
svolta da un bambino, gli altri stavano molto più concentrati sull’esperimento.
177
Il bambino doveva attaccare il piatto di sinistra (ho usato come piatti dei
vasetti di yogurt legati con degli elastici e un fermaglio come gancio), al gancio
della bilancia. “Che cosa accade?” In coro hanno risposto che il vasetto di
sinistra poiché era pieno fino all’orlo di pongo era molto pesante e la bilancia
non era più in equilibrio. A sinistra della bilancia avevo appeso due vasetti una
attaccato all’altro con elastici e fermaglio: il primo era vuoto mentre il secondo
conteneva pongo. Allora ho chiesto come posso fare per far ritornare la bilancia
in equilibrio come nella situazione di partenza. Ecco alcune ipotesi fatte dai
bambini:
- metto un altro vasetto pieno di pongo attaccato al braccio di destra
- vuoto tutto
- metto due bicchieri vuoti…
- metto un altro materiale che abbia lo stesso peso nel vasetto di destra
così che di nuovo siano bilanciate
è proprio qui che volevo arrivare, questa ipotesi mi ha consentito di andare
avanti con la preparazione dell’esperimento vero e proprio. Un altro bambino ha
iniziato a riempire il vasetto di destra con le biglie… ma quante ne deve mettere
ho chiesto ai bambini?
- Una quantità tale da far ritornare le braccia parallele al tavolo
- Potrei pesare con un’altra bilancia prima le biglie e poi il pongo (gli ho
fatto notare che anche quella che stavamo usando era una bilancia)
C’è chi arrivati a questo punto ha anche osservato che forse il vasetto di biglie e
il vasetto di pongo non hanno la stesso peso preciso perché dalla parte sinistra
c’è il vasetto di plastica vuoto “che anche se pesa poco qualche grammo ce
l’ha”. Reputo questa un’ottima osservazione. Mi sembra giusto riportare anche
queste conversazioni perché dimostrano come attraverso gli esperimenti non si
discuteva solo di galleggiamento ma anche altri concetti scientifici entrano in
gioco.
178
Comunque i bambini erano convinti che non ce l’avrebbe mai fatta invece
piano piano il vasetto di sinistra si alzava, perché si stava appesantendo con
grande stupore dei bambini. La situazione di partenza era stata ripristinata.
Mi sono meravigliata delle tante osservazioni che sono emerse in questa fase
preliminare sull’uso apparentemente banale di tale bilancia.
Finalmente siamo arrivati al punto cruciale di tutto l’incontro: “che cosa accade
secondo voi, se immergo questo vasetto con il pongo della parte sinistra in un
recipiente pieno d’acqua?”
Facendo le ipotesi i bambini hanno dato spazio alla loro voglia di dare
inevitabilmente una spiegazione a tutto ciò che li circonda:
- va giù verso destra
- l’acqua spinge il vasetto e la bilancia pende verso destra
- va giù dalla parte dove sono le biglie
- va giù a destra perché c’è la spinta dell’acqua che muove l’equilibrio
- va giù a sinistra
- va a destra, la spinta è più forte
- va giù a destra perché è più carico
- a sinistra l’acqua spinge il pongo verso l’alto e quindi la bilancia si piega
verso destra
- il vasetto delle biglie va giù
- il vasetto di pongo affondo nel recipiente
Questi interventi dimostrano un livello di elaborazione e capacità logiche
diverse: molti, avendo assimilato le informazioni degli incontri precedenti hanno
tentati di rispondere in base a quelle. Più della metà ha dato la risposta giusta
cioè che il vasetto di destra sarebbe andato giù, ma in pochi hanno dato la
spiegazione completa dicendo che questo accadeva perché sul vasetto di
destra veniva esercitata una spinta da parte dell’acqua e questo non poteva
affondare perché era legato dall’elastico al braccio della bilancia. Per
convincere di ciò i bambini ho fatto dimostrare a colui che sosteneva che il
vasetto affondava che certamente il vasetto affonda se non è legato ma che
quello non era il caso che a noi ci interessava. Su 19 bambini presenti circa la
179
metà ha dato una spiegazione completa chiamando in causa l’azione esercitata
da questa misteriosa spinta che agisce sugli oggetti che si trovano immersi
nell’acqua.
Abbiamo verificato le ipotesi: effettivamente l’acqua esercita una spinta
sul vasetto di pongo che inevitabilmente si alza. i bambini hanno seguito questa
fase con molto interesse.
Arrivati a questo punto la situazione era la seguente:
- primo vasetto di sinistra: vuoto
- secondo vasetto di sinistra: contiene pongo
- vasetto di destra: contiene biglie
- l’acqua esercita una spinta sul recipiente di pongo che diventa
apparentemente più leggero
sempre procedendo per gradi la domanda successiva era: come posso fare per
ritornare alla situazione di partenza con le braccia della bilancia di nuovo
parallele al piano del tavolo mantenendo sempre il recipiente d’acqua?
- tolgo le biglie, il vasetto diventa più leggero e non pende più a destra
- nel vasetto vuoto ci metto un altro peso
- metto qualcosa nel primo bicchiere di sinistra
- Metto le biglie nel primo bicchiere di sinistra
- Metto un oggetto peso con le biglie
- Ci metto nel primo vasetto di sinistra e quello va giù
- Aggiungo un sasso a sinistra
- Metto qualcosa nel vasetto vuoto di sinistra che deve essere peso
quanto la spinta dell’acqua su l vasetto di pongo
- Metto ancora biglie nel vasetto di destra
- Metto qualcosa a destra e non a sinistra
Reputo tali interventi abbastanza positivi: in pochi hanno sbagliato dicendo che
dovevamo aggiungere qualcosa a destra. Fra quelli che hanno risposto giusto
c’è chi ha dato risposte più o meno complete: alcuni hanno semplicemente
risposto che si doveva aggiungere qualcosa (un sasso, le biglie) nel vasetto di
sinistra. Risposte corrette ovviamente ma certamente non completamente
180
esatte o quantomeno non uguali a quello dove io volevo arrivare. Un solo
bambino ha individuato il materiale corretto da inserire nel vasetto, l’acqua e
solo un altro ha dato la motivazione giusta: mettere qualcosa che abbia un peso
pari alla spinta dell’acqua sul vasetto di pongo. Forse due eccezioni ma che mi
hanno sicuramente dato una forte motivazione a continuare questo processo
verso la scoperta della spinta di Archimede.
Ho perciò chiamato a verificare la sua ipotesi G. che era stato l’unico a
proporre di riempire il vasetto con dell’acqua. Ma quanta ne doveva versare?
Tutti hanno individuato in questo caso la giusta quantità d’acqua necessaria per
ripristinare l’equilibrio iniziale: G. doveva riempire il vasetto fino all’orlo. Che
cosa è successo? Ho fatto notare ai bambini che mentre G. versava l’acqua nel
bicchiere le braccia della bilancia si spostavano fino a posizionarsi
parallelamente al piano del tavolo. Ma che cosa effettivamente era successo?
Versando l’acqua nel bicchiere ho azzerato la spinta che l’acqua dava al
vasetto di pongo. Abbiamo scoperto che la spinta verso l’alto è quindi uguale al
peso dell’acqua del primo
vasetto di sinistra. Perché?
Ovviamente la dimostrazione di
questo è data dal fatto che la
bilancia si è messa di nuovo
nella situazione di equilibrio
iniziale. La spinta è annullata
dal peso dell’acqua che è stata
versata nel primo vasetto.
“Perché posso dire e mettere
un uguale (vedi cartellone)?”
perché sono la stessa cosa,
qualcuno ha risposto.
Ammetto la complessità
di tale passaggio visto che
inevitabilmente coinvolge
181
aspetti importanti del pensiero, quali ad esempio la logica. Circa metà gruppo
vedevo che riusciva a seguire tali passaggi mentre la metà era assorta in altri
pensieri. La possibilità di fare tale esperimento pratico e vedere con i propri
occhi è stato sicuramente importante altrimenti forse nemmeno l’altra metà del
gruppo avrebbe potuto capire. Oltre al fare è stato importante anche l’uso del
cartellone sul quale avevo riassunto schematicamente i vari passaggi: l’ho
utilizzato come base per poter fornire ulteriori spiegazioni ai bambini e sul quale
loro stessi potevano fare affidamento. Ho ripetuto più volte questo passaggio
per aumentare la sicurezza di coloro che già l’avevano capito e riuscire a farci
arrivare anche gli altri.
Ho chiesto ai bambini un ulteriore sforzo. Sul cartellone avevo scritto questo:
il peso dell’acqua del primo vasetto di sinistra è uguale al peso dell’acqua
spostata dal secondo vasetto immerso nel recipiente d’acqua. In questa frase
c’era una parola che non avevamo mai ancora pronunciato perciò mi è
sembrato giusto vederne il significato che i bambini le attribuivano. Che cosa
poteva voler dire? Avvantaggiati dall’aver analizzato con vari esperimenti il
significato matematico di volume i bambini hanno sfruttato tale conoscenza per
rispondere:
- l’acqua spostata non è altro che lo spazio che il vasetto occupa se sta
immerso nell’acqua
- il vasetto occupa un certo volume perciò quando lo inserisco nel
recipiente una parte di acqua se ne deve andare e al suo posto
perfettamente ci va il vasetto. Il volume dell’acqua spostata e il volume
del vasetto sono identici.
Siamo davvero giunti alla scoperta della legge: su un altro cartellone ho
riportato la legge di Archimede.
182
Attraverso dei disegni ho cercato di scomporla e renderla più semplice tanto
che credo che i bambini l’abbiamo davvero capita:
- un corpo immerso in un liquido…: ho domandato loro se il liquido in
questione poteva essere solo l’acqua, loro mi hanno confermato di no e
mi hanno fatto alcuni esempi, alcol, olio, petrolio… ho colto l’occasione
per fornire loro un’altra informazione. Bisogna stare attenti perché al
variare del liquido nel quale un oggetto è immerso cambia anche il
comportamento dell’oggetto.
- …Riceve una spinta verso l’alto…: Spiegare questa parte di frase è stato
molto più semplice. I disegni volendo non sarebbero serviti perché i
bambini avevano capito fin da subito che la spinta da adesso conosciuto
con il nome di Spinta di Archimede è rivolta verso l’alto e non verso il
basso.
- …Uguale al peso del liquido spostato: e per comprendere questa ultima
parte è stato necessario tutto il lavoro di preparazione svolto in questo
incontro. Con un disegno ho voluto richiamare la diversità tra i vari
oggetti immersi secondo il criterio del liquido spostato. Facendo
individuare a voce da alcuni bambini quale era il liquido spostato nei tre
diversi casi.
Al termine ci sono state alcune esclamazioni dei bambini “ah, finalmente si è
capito” “ecco perché la nave galleggia” ecc.
183
Per verificare il livello di comprensione ho proposto questa attività: dividere il
foglio in un prima e un dopo e a piacere rappresentare e descrivere due
momenti significativi dell’esperimento. Rielaborando i risultati ho individuato tre
tipologie diverse di risposte:
- il gruppo dei bambini che ha catalogato nel prima il momento in cui
abbiamo appeso il vasetto vuoto e quello pieno al braccio di sinistra e
ovviamente la bilancia pendeva da questo lato mentre nel dopo hanno
riportato la fase in cui abbiamo pian piano riempito il vasetto di sinistra
con le biglie e i bracci della bilancia sono ritornati paralleli al tavolo.
- Il gruppo che ha messo nel prima il momento in cui abbiamo visto che
l’acqua agisce sul vasetto pieno di pongo con una spinta che trasforma
di nuovo la posizione delle braccia della bilancia mentre nel dopo hanno
descritto la situazione che si stabilizza di nuovo con il riempire il primo
vasetto di sinistra con l’acqua
- Il terzo gruppo di bambini ha fatto un po’ di confusione descrivendo non
proprio un prima e un dopo ma l’intero esperimento.
Ecco un esempio tratto dal lavoro svolto da M.
primo gruppo;
2
secondo gruppo;
12
terzo gruppo;
2
0
2
4
6
8
10
12
184
SESTO INCONTRO
Tra alluminio e pongo…
Insieme al precedente reputo anche questo incontro di fondamentale
importanza per fa capire ai bambini il perché alcune cose galleggiano e altre
affondano e renderli autonomi nel verificare il perché analizzando vari oggetti.
Per rendere l’argomento del giorno meno complesso del previsto ho preparato
una scheda88 da completare nella quale i bambini dopo aver svolto
l’esperimento riportavano direttamente passo passo le informazioni scoperte.
Vista la complessità del tema mi sembrava opportuno utilizzare un valido 88 Vedere allegati sesto incontro.
185
supporto per fissare immediatamente i concetti e non lasciarli campati in aria.
Con il pongo ho modellato due palline. Queste dovevano avere lo stesso peso e
per verificare che così fosse abbiamo utilizzato due tecniche: abbiamo pesato le
due palline prima con la bilancia a bracci e poi visto i dubbi di qualche bambino
ho fatto misurare i rispettivi pesi con una piccola bilancia. Effettivamente F. ha
constatato che le due palline era costituite dalla stessa quantità di materiale. A
questo punto le due palline sono state disegnate dai bambini nelle rispettive
caselle. Un bambino ha fatto notare immediatamente che “i disegni devono
essere precisi perché le due palline devono essere identiche”. Ecco inesorabile
una delle tante mie domande alle quali i bambini ormai erano abituati: “se
immergo la pallina dentro al recipiente pieno d’acqua cosa succede?” Tutti
hanno risposto senza esitare certamente affonderanno tutte e due. Abbiamo
provato e effettivamente le ipotesi della classe erano vere. In silenzio ogni
bambino ha completato le frasi sottostanti: le due palline hanno uguale peso e
uguale volume entrambe affondano perciò la spinta di Archimede non è grande.
Seguendo la scheda il secondo interrogativo metteva già in crisi la
compattezza della classe: “e se modello una pallina di pongo a forma di
barchetta?” Anche qui non ci sono stati grandi
problemi, tutti hanno detto che sicuramente la
barchetta di pongo avrebbe galleggiato. Ma la
parte più difficile deve ancora arrivare, che
cosa era cambiato per far si che la barchetta
potesse galleggiare? Arrivare a capire che il
volume era cambiato mentre il peso era
rimasto identico è stato un po’ faticoso. Sono
partita quindi da lontano visto che solo in
cinque avevano capito e risposto giusto. “quale
modo abbiamo scoperto essere utile per
verificare e confrontare i volumi?” tutti hanno detto che potevamo immergere i
due oggetti nell’acqua e vedere se usciva la stessa quantità d’acqua. La
barchetta faceva uscire molta più acqua della pallina di pongo perciò i bambini
186
hanno escluso che i due potessero avere un volume uguale. “ma quale pesa di
più?” ho chiesto, tutti tranne un bambino hanno risposto che pesano uguali,
“perché non abbiamo mai aggiunto altro pongo alla barchetta perciò è
impossibile che sia aumentato il peso”. Adesso quindi potevamo completare la
parte di scheda che ci interessava dopo aver disegnato le due diverse situazioni
nei riquadri: il volume è cambiato e così di conseguenza è cambiata anche la
quantità di acqua spostata dall’oggetto. Senza problemi particolari tutti i bambini
hanno capito che mentre la barchetta sposta tanta acqua, la pallina ne sposta
poca. Su questo concetto avevo lavorato molto nell’incontro precedente perciò i
bambini hanno fornito le risposte appropriate. “La barchetta quindi galleggia
perché riceve una grande spinta mentre per la pallina di pongo la spinta è
troppo piccola ma comunque c’è, non ha ragione M a dire che non c’è perché
l’abbiamo scoperto nell’incontri vecchi”, queste sono le parole di G. che
controbatteva all’affermazione di M che aveva detto che la pallina di pongo
affonda perché la spinta non c’era. Fortunatamente è stato l’unico che poi ha
ammesso l’errore.
A questo punto con l’utilizzo di una cartellone veramente schematico ho
fornito lo strumento per individuare il perché un oggetto galleggia e un altro va a
fondo. Secondo quanto ho riportato nel capitolo della parte teorica di fisica ho
individuato solo i due casi in cui gli oggetti si possono comportare. Il peso del
liquido spostato può essere maggiore o minore del peso dell’oggetto, nel nostro
caso è il peso della pallina di pongo. Ho chiarito se ci fossero ancora dei dubbi
che il peso del liquido è il peso dell’acqua. A questo punto per sapere in quale
caso siamo devo confrontare (questo concetto l’ho ripetuto all’infinito per farlo
entrare nella testa di tutti) il peso dell’oggetto e il peso del liquido spostato. Ad
un bambino ho fatto leggere il primo caso: se il peso del liquido spostato è
maggiore del peso dell’oggetto allora c’è una grande spinta e l’oggetto
galleggia. Ho chiesto a bambini di pensare ad una situazione: nel caso della
barchetta di pongo siccome essa galleggia il peso del liquido spostato è
maggiore del peso dell’oggetto. Se invece il peso del liquido spostato è minore
187
del peso dell’oggetto siamo nella situazione inversa in cui la forza sarà piccola e
l’oggetto affonda.
Dopo che ho visto i bambini più sicuri su questo siamo andati a completare
la parte conclusiva di tale esperimento sempre tenendo presente almeno in
questa fase iniziale il cartellone riassuntivo. A questo punto c’è chi ha avanzato
una proposta per sapere se l’oggetto ha maggior o minor peso del liquido
spostato. “poter pesare con la bilancia normale o quella a braccia l’oggetto poi
pesare l’acqua che sposta che ho raccolto, e fare un confronto forse con la
bilancia a bracci viene meglio”; questa proposta certamente è validissima in
alcuni casi sono in grado di fare una stima approssimativa. Quindi ha preso per
esempio un altro caso: “una spugna perché galleggia allora?” Circa metà classe
mostrava qualche dubbio ancora mentre l’altra metà rispondeva senza più
guardare il cartellone. Il peso della spugna è minore del peso dell’acqua che
sposta perciò essa galleggia. E per un sasso? Tutti erano d’accordo nel dire
che la situazione era inversa. E una nave perché galleggia?
- perché dentro è fatta non solo di ferro ma anche di altri materiali
- è fatta anche con altri materiali
- c’è ad esempio il legno
- perché è vuota
Quest’ultima osservazione ha sottolineato un’altra volta la capacità di alcuni
bambini di arrivare al centro del problema e dare la risposta più corretta. I
bambini hanno così scoperto che una nave è cava perciò il suo peso è
certamente minore del peso dell’acqua che sposta. Sono i costruttori di tali navi
che devono conoscere bene il principio di Archimede per non rischiare che la
nave affondi una volta calata in
mare.
Questo incontro prevedeva
anche un secondo esperimento.
Con l’alluminio ottengo una
pallina dello stesso volume di
quella di pongo. Giustamente i
188
bambini hanno osservato tale uguaglianza dicendo che però il peso era diverso
quella di alluminio era più leggera. Le due palline avendo lo stesso volume
spostano la stessa quantità d’acqua. Allora si comporteranno ugualmente una
volta immerse in acqua? La risposta ovviamente è negativa. La pallina
d’alluminio, nessuno aveva dubbi su questo, galleggia mentre la pallina di
pongo come abbiamo già visto affonda. Quindi anche se hanno lo stesso
volume non è detto che si comportino allo stesso modo. Spostano la stessa
quantità d’acqua ma l’importante è osservare e confrontare i due pesi: “certo
perché il peso dell’acqua è sempre lo stesso mentre il peso dei due oggetti
cambia”, ha osservato T. aggiungendo al suo ragionamento fatto ad alta voce
che “il peso della pallina di pongo è inferiore al peso dell’acqua che sposta
mentre il peso della pallina di pongo è maggiore del peso dell’acqua è per
questo che si comportano diversamente”. Certamente il bambino ha veramente
capito la Legge di Archimede mentre alcuni in particolare lo guardavano come
se stesse dicendo cose assurde. Il fatto è che alcuni bambini non riuscivano a
seguire i ragionamenti perciò inevitabilmente alcuni passaggi li hanno persi. Più
della metà ha capito il grande valore di questo incontro. “da adesso possiamo
essere in grado di spiegare il perché un oggetto galleggia. Se osservo un
oggetto galleggiare saprò perché ci riesce”. Abbiamo quindi ripreso il cartellone
fatto nel primo incontro dove avevamo disegnato alcuni oggetti che
galleggiavano e altri che affondavano e per ognuno i bambini hanno dato una
spiegazione del perché con le nuove informazioni: il bullone affonda perché “il
suo peso è maggiore del peso dell’acqua spostata quindi la spinta è minore”.
Ogni bambino ha completato la scheda sul confronto tra pallina di alluminio e
pallina di pongo autonomamente.
L’ultima scheda su cui ognuno doveva mettersi alla prova riguardava un aspetto
conclusivo del percorso:
- oggetti di materiali uguali possono comportarsi in diverso modo, alcuni
galleggiano e altri affondano
- non tutti gli oggetti grandi affondano e non tutti gli oggetti piccoli
galleggiano
189
- non tutti gli oggetti pesanti affondano non tutti gli oggetti leggeri
galleggiano
Ogni bambino doveva pensare ad un oggetto che rispondeva a quei requisiti e
disegnarlo nel posto giusto. Tra i disegni divisi per categoria ho trovato:
- esistono cose grandi che non affondano: tronco, barca, nave, barca a
vela
- esistono cose piccole che affondano: sabbia, tronco, granello di sabbia,
sassolino, ninfea
- esistono cose pesanti che galleggiano: barca, tronco, nave, soldo
- esistono cose leggere che affondano: pallina schiacciata di alluminio,
pallina di pongo, pallina di alluminio, una moneta, righello
- oggetti di materiali uguali possono sia galleggiare sia affondare: pallina e
barchetta di pongo, pallina di alluminio schiacciata e foglio di alluminio.
In questo elenco ho riportato gli esempi forniti dai bambini. Le parole
sottolineate corrispondono agli esempi errati. Questa attività voleva sfatare
l’idea che inizialmente era emersa nei bambini per cui un oggetto grande e
pesante affonderà mentre un oggetto leggero e piccolo galleggia. Ciò non è
sempre vero.
SETTIMO INCONTRO
La figura di Archimede
Al percorso ho aggiunto un incontro in collaborazione con l’insegnante di
italiano: abbiamo conosciuto la figura di Archimede quale scienziato e uomo. Ad
ogni bambino ho consegnato un foglio dove c’erano riportate alcune
informazioni. Sul cartellone avevo disegnato la sagoma di ogni foglio diverso.
Seguendo un ordine cronologico ogni bambino individuava il suo momento e
leggeva ad alta voce la sua parte e incollava nel posto giusto il foglio. I bambini
hanno scoperto la figura di Archimede analizzando il periodo in cui era vissuto, i
190
suoi studi nei vari ambiti della conoscenza, il suo difendere Siracusa dai nemici
con l’invenzione di alcune macchine da guerra.
Al termine citando ci siamo messi a guardare un cartone animato sulle gesta di
Archimede Pitagorico.
OTTAVO INCONTRO
Liquidi su liquidi?
Per evidenziare che anche nel caso dei liquidi, alcuni
sono in grado di galleggiare su altri, ho portato in classe
tre liquidi diversi: olio acqua e alcool. La scelta doveva
essere mirata a escludere i liquidi miscibili. Dopo aver
disposto le tre bottiglie piene dei rispettivi liquidi ho
chiesto ai bambini di fare un’ipotesi su come si poteva
comportare l’olio se viene versato nel contenitore dove ci
sta l’acqua. La classe non ha avuto dubbi: l’olio galleggia
sull’acqua. Questa risposta è stata data immediatamente
perché i bambini hanno molte volte osservato tale fenomeno sia a casa sia a
scuola. Abbiamo quindi continuato l’esperimento con un’ulteriore prova da fare:
“se verso nel recipiente l’alcool cosa accade? Dove si posiziona?” Le ipotesi dei
bambini sono molto diverse tra loro: rispetto quindi alla prima parte, questa
richiedeva un’ulteriore livello di conoscenza che i bambini non possedevano
perché forse non gli era mai capitato di fare tale osservazioni. La maggior parte
delle ipotesi sono sbagliate, tranne due bambini che hanno ipotizzato che
l’alcool avrebbe galleggiato sull’olio:
- l’olio si mischia con l’acqua
- l’alcool si mette sopra l’olio
- alcool sta in cima
- cambia il colore
- l’alcool si mescola con l’acqua
191
- l’olio si mescola con l’acqua
- lo spirito va a fondo
- l’acqua sale fino in cima e l’alcool va al posto che era dell’acqua
- l’olio va a fondo
- l’alcool va tra l’olio e l’acqua
- l’olio si mescola con l’alcool
Le ipotesi comprendono forse tutte le possibilità immaginabili perciò l’unico
modo per chiarire le idee ai bambini è stato quello di fare l’esperimento. I
bambini hanno verificato che la situazione non si stravolge più di tanto ma che
l’alcool si posiziona perfettamente in cima con un bell’effetto visivo. Perciò
l’alcool galleggia sull’olio e l’olio galleggia sull’acqua. Ad un certo punto un
bambino ha domandato: “ma se li verso in ordine diverso tipo prima l’alcool poi
l’olio e poi l’acqua cosa succede?” Abbiamo provato però bisogna stare attenti a
non far venire in contatto l’alcool con l’acqua perché sono miscibili.
La spiegazione a questa stratificazione dei liquidi c’è e va ricercata nel
concetto di peso specifico. I liquidi con peso specifico maggiore si posizionano
sul fondo e gli altri in ordine decrescente sopra. Quindi come ha osservato L.,
“vuol dire che l’acqua ha un peso specifico maggiore dell’olio e l’olio ne ha uno
maggiore dell’alcool”.
Era importante far notare che per far galleggiare un liquido su un altro
non è influente la quantità di liquido di quello che sta sotto.
Ho terminato l’incontro dando un semplice compito di verifica89 ai bambini:
dovevano da soli riassumere secondo lo schema seguito altre volte tale
esperimento; dovevano mettere la domanda di partenza, la loro ipotesi, lo
svolgimento dell’esperimento, la verifica della loro ipotesi e le conclusioni.
Correggendo gli elaborati ho notato forti differenze, il gruppo di bambini può
essere diviso in due gruppi:
- coloro che si sono ricordati e hanno rispettato e descritto l’esperimento in
modo completo
89 Vedere allegato, ottavo incontro
192
- coloro che dimenticandosi i vari passaggi hanno riportato in un unico
discorso l’esperimento dimenticando di mettere la domanda le ipotesi e
le conclusioni concentrandosi quindi molto di più sullo svolgimento
dell’esperimento.
NONO INCONTRO
Funzionamento del sommergibile che sfrutta la legge di Archimede
Ho voluto chiudere questo lungo percorso con una attività forse più pratica delle
altre: ogni bambino si sarebbe
costruito il proprio sommergibile. I
materiali usati sono di recupero. Ogni
bambino doveva avere
obbligatoriamente, altrimenti il
sommergibile “avrebbe fatto acqua”,
questi elementi:
- una bottiglia piccola di acqua
- un vasetto di Actimel o altra marca
- una tubo di gomma flessibile
- un tappo di bottiglia della misura dell’imboccatura del tubetto
- forbici appuntite
- nastro adesivo
i bambini domandavano in continuazione che cosa avrebbero realizzato con tali
materiali “da quattro soldi”. Ho chiesto di usare un po’ l’immaginazione. Ognuno
proponeva la costruzione dei più svariati strumenti ma nessuno aveva centrato
il bersaglio. Alla fine ho chiesto “chi di voi sa com’è fatto un sottomarino?” in
tanti hanno alzato la mano e altrettanti volevano andare alla lavagna a
disegnarlo; ho scelto A. che ha disegnato un grande sottomarino con tanto di
periscopio. Mi interessava molto questa parte argomentativa perché volevo
verificare le idee iniziali che loro avevano circa questo mezzo. Ma dove potevo
193
segnare il livello dell’acqua? A. ha posizionato il sottomarino immerso
completamente dentro l’acqua, giustamente direi, ma quello che io volevo
verificare era il loro riconoscere che il sottomarino è in grado di comportarsi a
seconda dell’esigenza in vari modi. A. ha capito dove volevo arrivare e ha
disegnato, mentre tutta la classe lo guardava attentissima, il livello in altri due
punti: il sottomarino è emerso dall’acqua, il sottomarino non sta proprio sul
fondo ma a metà strada. “Che cosa riesce a fare il sottomarino quindi?” Un
bambino è intervenuto dicendo: “il sottomarino non si comporta ad esempio
come la nave o una grande pietra, può galleggiare e può anche andare sul
fondo… fa come gli pare”. “Come riesce a fare ciò?”. Solo G ha alzato la mano
dicendo che dentro il sottomarino ci sono degli scompartimenti dove ci sta
l’acqua e “i marinai se vogliono la levano e la fanno entrare. È per questo che
cambia la sua posizione” . Mi sono davvero meravigliata, migliore spiegazione
di questa forse non riuscivo a darla neppure io, non c’era da aggiungere molto.
Quindi ho chiesto se “gli scomparti sono pieni d’acqua il sottomarino dove si
trova rispetto al livello del mare?” Tutti hanno risposto correttamente “in fondo al
mare”. Perché? Ecco M. il più motivato in assoluto per l’argomento intervenire
dicendo che dipende dal confronto tra il peso dell’oggetto che in quel caso era il
sottomarino e il peso dell’acqua che sposta: “se dentro ci fa stare l’acqua il peso
del sottomarino è maggiore del peso dell’acqua che sposta perciò affonda come
fa una pietra mentre se toglie l’acqua il suo peso diminuisce mentre il peso
dell’acqua spostata resta uguale perciò questo è più maggiore e il sottomarino
riceve una spinta d’Archimede più grande e galleggia.” Sentendo queste parole
certamente non ci credevo molto ma da questo bambino potevo aspettarmelo
visto che aveva grande capacità e un ancor più grande interesse per
l’argomento.
Quei diversi elementi che ogni bambino aveva sul banco quindi
prendevano un preciso significato. Dopo questa prima fase “teorica” siamo
passati all’azione. Ho richiesto ai bambini il maggior impegno attentivo possibile
perché i passaggi per la costruzione del sottomarino dovevano essere fatti e
superati all’unisono.
194
Le fasi di lavoro erano così divise:
- riempire la bottiglia d’acqua fino all’orlo e tapparla bene
- incastrare il tappo di bottiglia nell’apertura del tubetto di Actimel
- fissare con lo scooch il tubetto sopra la bottiglia sdraiata
- praticare un foro nel tubetto nella parte opposta del tappo di plastica
- praticare nella parte più lunga del tubetto tre fori abbastanza grandi
- incastrare nel foro grande del tubetto il tubo di gomma flessibile.
Una volta che tutti avevano finito la costruzione, siamo passati alla
sperimentazione del suo funzionamento. A turno i bambini immergevano in una
grossa bacinella piena d’acqua il proprio
sottomarino: il tubetto di Yogurt fungeva
da zavorra. Se il bambino aspirava l’aria
contenuta nel tubetto, questo si riempiva
di acqua e perciò andava a fondo mentre
se si soffiava l’acqua veniva espulsa fuori
dal tubetto e automaticamente si riempiva
di aria e riemergeva in superficie. I
bambini erano molto soddisfatti di tale
esperienza, ma alcuni sottomarini sono risultati inaffidabili: alcuni non riuscivano
ad andare sul fondo perché non tutte le bottiglie che i bambini avevano portato
a scuole erano adatte per il nostro lavoro. Ammetto che questo è stato un limite
per l’attività che forse non avevo tenuto di conto.
.
195
Al termine i bambini hanno insistito per poter portare a casa il proprio
capolavoro per sperimentare ancora il suo uso e “divertirsi nella vasca” come
hanno proposto in molti.
DECIMO INCONTRO
Il questionario finale90
Ho ritenuto opportuno in questo ultimo incontro conclusivo fare un bilancio
del progetto attraverso un questionario a cui ho sottoposto i bambini. Analizzerò
anche attraverso i grafici ciò che è emerso. I bambini sottoposti alla verifica
sono stati 15 escludendo due assenti e i due bambini con ritardo mentale. Il
questionario è composto da tre parti:
- domande a scelta multipla
- domande vero falso
- esercizio di completamento
nel primo gruppo le domande erano a scelta multipla, alcune fungevano da
distrattori, per un totale di sei domande.
- Prima domanda: per sapere se un oggetto galleggia o affonda cosa devo
confrontare?
Le possibilità di scelta erano quattro. La risposta esatta era la prima poiché
riportava esattamente il confronto tra i pesi, per formulare le altre invece ho
inserito e alternato il confronto di peso e volume per trarre in inganno i
bambini.
90 Vedere allegati
196
La maggioranza di risposte giuste è netta tranne un bambino che ha risposto
che si deve confrontare il peso dell’oggetto e il volume e ben tre che hanno
risposto che dobbiamo confrontare il volume dell’oggetto e il peso dell’acqua
spostata. In totale quindi le risposte negative sono state quattro. Questi quattro
bambini alterneranno per tutto il questionario risposte sbagliate a risposte giuste
evidenziando che il concetto non è stato appreso completamente.
- Seconda domanda: un oggetto galleggia perché?
I bambini dovevano indicare il caso in cui un corpo galleggia individuando che
ciò è dovuto al fatto che il peso dell’oggetto è minore del peso del liquido che
sposta. Tutti hanno risposto esattamente a tale domanda: tra questi
sicuramente ci saranno alcuni che hanno risposto per sentito dire e che
realmente non hanno capito poiché osservando anche le altre risposte
emergono chiaramente molte contraddizioni. Basti guardare alle risposte alla
domanda successiva.
confronto il peso dell'oggetto e il peso dell'acqua spostata;
11
confronto il peso dell'oggetto e il
volume dell'acqua spostata;
1
confronto il volume dell'oggetto e il
volume dell'acqua spostata;
0
confronto il volume dell'oggetto e il peso dell'acqua spostata;
3
0
2
4
6
8
10
12
197
- Terza domanda: un oggetto affonda perché?
Le contraddizioni emergono già a questo punto, forse per distrazione o non so
cosa due bambini ripropongono la stessa risposta data, per altro giustamente,
alla domanda precedente. La mia ipotesi è che prima di tutto non hanno capito
il principio di Archimede e automaticamente non si sono accorti della doppia
risposta uguale. È possibile comunque che siano stati distratti.
- Quarta domanda: con il Principio di Archimede posso spiegare?
il peso dell'oggetto è maggiore del
peso del liquido che sposta;
0
il peso dell'oggetto è
minore del peso del liquido che
sposta; 16
il peso dell'oggetto è
uguale al peso del liquido che
sposta; 0
0
2
4
6
8
10
12
14
16
il peso dell'oggetto è maggiore del
peso del liquido che sposta;
14 il peso dell'oggetto è
minore del peso del liquido che
sposta; 2
il peso dell'oggetto è
uguale al peso del liquido che
sposta; 0
02468
101214
198
A questa domanda non si può parlare di errore vero e proprio perché qui si
trattava di scegliere la risposta in assoluto più completa, che era la terza, molti
bambini si sono fermati alla seconda dimenticando che la legge di Archimede ci
aiuta si a spiegare il perché gli oggetti galleggiano ma anche perché vanno a
fondo. Pensavo che questa domanda fosse davvero banale mentre qualcuno
nel mio inganno ci è cascato, purtroppo.
- Quinta domanda: conoscere il principio di Archimede è importante per…
Ecco di nuovo che emergono i due bambini che non hanno capito e non hanno
seguito il progetto perché per sbagliare questa domanda bisogna non aver mai
ascoltato..
Sorprendentemente c’è stato chi ha avuto il coraggio di rispondere che il
principio di Archimede serve per studiare le stelle. Mah…
il perché gli oggetti
affondano; 0
il perché gli oggetti
galleggiano; 6
il perché gli oggetti
galleggiano o affondano;
10
0
2
4
6
8
10
199
- Sesta domanda: la legge di Archimede dice che…
i bambini dovevano selezionare la risposta completa. Anche qui qualcuno si è
fermato solo alla prima risposta che reputava giusta senza andare a fondo nella
lettura, visto che la risposta più completa era quella in cui si elencavano liquidi
diversi. Comunque considero anche la prima risposta giusta.
progettare missili spaziali;
0
costruire navi e altri tipi di
imbarcazioni; 14
studiare le stelle;
2
02468
101214
un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato ;
9
un corpo immerso in un liquido qualsiasi riceve una spinta
verso il basso uguale al peso del liquido spostato;
1
un corpo immerso in un liquido qualsiasi
(petro lio , acqua, o lio…) riceve una
spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato;
6
0
2
4
6
8
10
200
La seconda serie di domande prevedeva che i bambini scegliessero se
l’affermazione era vera oppure falsa.
DOMANDA
SCELTE
POSSIBILI
RISPOSTE.
BAMBINI
RISPOSTA
ESATTA
tutti gli oggetti leggeri galleggiano
VERO 1
FALSO 15 X
solo gli oggetti pesanti affondano
VERO 3
FALSO 13
X
per sapere se un oggetto galleggia
non mi interessa sapere se è leggero
o pesante
VERO 13
X
FALSO 3
per dire che un oggetto galleggia
devo considerare e confrontare il
peso dell’oggetto con il peso
dell’acqua del recipiente
VERO 4
FALSO 12
X
per dire che un oggetto galleggia
devo considerare e confrontare il
peso dell’oggetto con il peso
dell’acqua spostata
VERO 13 X
FALSO 3
lo spazio occupato da un oggetto
nell’acqua e l’acqua che sposta
VERO 7 X
FALSO 9
201
hanno lo stesso volume
posso misurare la quantità d’acqua
spostata da un oggetto con la
tecnica dell’immersione
VERO 6 X
FALSO 10
l’acqua galleggia sull’olio
VERO 6
FALSO 10 X
un liquido galleggia su un altro
liquido se ha il peso specifico
maggiore
VERO 8
FALSO 8 X
anche sul sasso che affonda c’è la
spinta
VERO 14 X
FALSO 2
Le domande che hanno messo in difficoltà i bambini sono state quelle sul
concetto di volume: solo in sette hanno riconosciuto che acqua spostata e
oggetto occupano lo stesso spazio; mentre in 10 ovvero più della metà non ha
riconosciuto vera l’affermazione che per misurare la quantità d’acqua spostata
posso usare la tecnica dell’immersione. In merito mi sono venute in mente
alcune spiegazioni quali ad esempio: l’aver affrontato tale argomento molte
settimane prima ha fatto si che i bambini potessero dimenticare visto che non
era stato più ripreso. Ciò che invece mi meraviglia è l’errore che molti hanno
fatto nel non riconoscere che acqua spostata e volume oggetto sono la stessa
cosa: mi aspettavo un margine di errore di 5 poiché questi sono i bambini che
secondo me non hanno proprio capito il Principio. C’è uno scarto quindi di due
202
bambini che forse non sono stati molto attenti visto che puntualmente ogni volta
riprendevo questo concetto.
Ulteriore fonte di errore è stata la domanda sui liquidi che galleggiano su altri: è
sorprendente notare come qualcuno abbia risposto che l’acqua galleggia
sull’olio: questi bambini non hanno osservato l’esperimento perché in classe
durante l’incontro dedicato ai liquidi abbiamo provato, prima di tutto a versare
l’olio sull’acqua e poi il contrario. Questi bambini sono rimasti dell’idea che l’olio
essendo denso “regge” l’acqua.
Da notare anche, il numero dei bambini che hanno ormai superato il concetto di
leggero-galleggia e pesante-affonda. Questo passo è stato possibile grazie
all’esperienza: i bambini hanno osservato che quella non poteva essere un
criterio universale. Infatti altrettanti bambini hanno risposto che per sapere se
un oggetto galleggia o affonda bisogna confrontare il peso dell’acqua spostata
e non quella del recipiente (12 risposte sbagliate contro 14 risposte giuste).
Dividerei alla fine, il gruppo che ha partecipato al progetto in tre categorie:
- i bambini che erano interessati e motivati a scoprire il perché gli oggetti
galleggiano, seguivano ciò che veniva detto, volevano compiere
esperimenti, partecipavano attivamente, facevano domande per mettere
alla prova la propria conoscenza. Sono coloro che hanno capito il
principio di Archimede
- nel secondo gruppo invece inserisco coloro che erano disinteressati
perché non capivano e non capivano perché erano disinteressati
- il gruppo di coloro che seguivano e cercavano di capire ma cadevano
ogni tanto in alcuni errori perché non avevano raggiunto il livello del
primo gruppo
La terza parte del questionario, come ho già detto prevedeva una serie di
esercizi di completamento. Il bambino doveva completare nella maniera
corretta la situazione considerata: le situazioni da analizzare erano quattro
perché quattro erano gli oggetti: un pezzo di polistirolo, una moneta, un
203
sassolino, un pezzo di legno. Secondo lo schema che precedentemente
avevamo già usato (non c’era niente di nuovo), il bambino doveva arrivare a
dire che l’oggetto messo in acqua galleggia oppure no secondo il procedimento
che noi avevamo adottato per scoprirlo. Si prende in considerazione il peso
dell’oggetto e peso dell’acqua spostata, si fa una stima e si mette un bel segno
di maggiore o minore fra i due. Una volta fatto questo il bambino secondo il
principio di Archimede, è in grado di dire che se il peso dell’oggetto è maggiore
del peso dell’acqua allora la spinta è piccola perciò l’oggetto affonda mentre se
il peso dell’oggetto è minore del peso dell’acqua spostata la spinta è grande e
l’oggetto galleggia. I bambini dovevano inserire un maggiore o minore, scrivere
se la spinta era grande o piccola e infine concludere con lo scrivere il
comportamento dell’oggetto. Prendendo in considerazione esercizio per
esercizio, nel caso del polistirolo c’è stato un solo bambino che ha commesso
un errore perchè ha scritto che il peso dell’acqua spostata è minore del peso
dell’oggetto e di conseguenza ha detto che la spinta è minore e però che
l’oggetto galleggia perché la realtà che magari ha osservato era evidente. Qui
compare una delle contraddizioni individuate da Piaget. Sempre lo stesso
bambino ha commesso errori simili negli altri quattro esercizi. Al secondo e al
terzo si sono aggiunti altri due bambini che hanno invertito e sostenuto che il
peso dell’acqua è maggiore del peso dell’oggetto (sia per quanto riguarda la
moneta sia per il sassolino), un altro bambino ha detto che l’oggetto moneta
galleggia e un altro che la spinta è grande.
Riassumendo: nel primo esercizio c’è stato un solo bambino che ha sbagliato,
nel secondo quattro bambini, nel terzo tre e nel quarto un solo bambino che è
quello del primo esercizio che si ripropone anche negli altri due. I bambini
quindi hanno ben assimilato questo concetto: è da notare comunque una cosa,
alcuni bambini che qui hanno svolto l’esercizio benissimo hanno trovato
difficoltà nelle domande delle due parti. Qui entrava in gioco il dover
immaginare e avere come punto di riferimento un oggetto reale, fare ipotesi su
una situazione concreta mentre rispondere alle domande era qualcosa di
astratto. Un’altra osservazione da fare riguarda la diversa difficoltà che i
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bambini hanno incontrato nel completare il caso di oggetti che galleggiano e
oggetti che affondano: i bambini che hanno sbagliato nel caso di oggetti che
galleggiano sono in un esercizio tre e in uno quattro, mentre per il caso di
oggetti che galleggiano c’è stato un solo un errore.
L’ultimo esercizio prevedeva di individuare un oggetto e per quello impostare lo
schema di analisi del galleggiamento. Gli oggetti scelti sono stati: spugna,
nave, barca, foglia, matita, un pomodoro, un pezzo di carta, un pezzo di nave.
Solo due bambini hanno invertito i pesi e sbagliato a scrivere grande o piccolo
per la spinta. Alcuni, in particolare due, sono incompleti e quindi non giudicabili.
205
Conclusioni
Con questo progetto posso dire davvero di aver messo alla prova le mie
capacità maturate durante tutto il percorso universitario. Con il progetto ho
legato i due aspetti importanti che emergono dall’impostazione del nostro corso
di laurea: da un lato la teoria e dall’altro la pratica. Per teoria in questo contesto
intendo ovviamente le conoscenze che ho maturato sul principio di Archimede.
Cosa fondamentale da fare prima di tutto è stata quella di capire bene
l’argomento per poter essere sicura dei concetti, per poter rispondere alle
eventuali domande dei bambini, per far loro apprendere questo difficile
argomento. Questa conoscenza che ho maturato la posso paragonare ai corsi
universitari che abbiamo seguito durante i quattro anni. Senza la conoscenza
sicura, a mio avviso, non si può essere bravi insegnanti. Dall’altro ovviamente,
serve anche la pratica; il poter realizzare il progetto in classe ha fatto sì che
potessi mettere in pratica tutto quello che avevo imparato durante il tirocinio. Il
fatto di tornare di nuovo in un’aula e proporre di nuovo delle attività da me
ideate mi ha fatto tornare alla mente i momenti trascorsi con i bambini durante
le ore del tirocinio diretto. In mezzo, tra teoria e pratica, inserisco la
metodologia, ovvero il modo di “insegnare” ai bambini attraverso l’esperienza.
Anche nel nostro corso di laurea ciò che univa tirocinio (la pratica) e i corsi (la
teoria) erano i laboratori.
Con il progetto credo di aver dato vita all’unione di questi tre aspetti e
credo anche che i risultati siano stati tutto sommato positivi.
La mia ipotesi iniziale, quello cioè che mi aveva dato forza e motivazione
a realizzare tale progetto, era verificare in che misura incide nell’apprendimento
di concetti scientifici, nel mio caso il concetto fisico ovvero il Principio di
Archimede, l’impostare attività mirate basate sul principio del fare esperienza.
Il fare esperienza, sperimentare con la proprie mani ha certamente dato una
marcia in più ai bambini, soprattutto a quelli che facevano più fatica a
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interessarsi alle discipline scientifiche. In alcuni di loro, la stessa insegnante di
classe mi ha fatto notare dei piccoli comportamenti: intervenivano più spesso,
provavano a dare delle risposte, formulavano dei ragionamenti… Fare le attività
come se fossero laboratori, oltre ad aver creato grande entusiasmo, ha
apportato notevoli vantaggi soprattutto in quei bambini che hanno maggiori
difficoltà: particolarmente in loro ho visto un cambiamento negli ultimi incontri
rispetto ai primi. Attraverso l’esperienza più di metà gruppo ha potuto capire e
rispondere alla domanda perché gli oggetti galleggiano?. Oltre all’esperienza
anche l’impostazione secondo la gradualità degli esperimenti ha dato un grosso
contributo.
Ritengo perciò verificata la mia ipotesi iniziale. Attraverso l’esperienza è
possibile arrivare a capire concetti fisici molto più facilmente e coloro che
traggono vantaggi da questa pratica sono soprattutto i bambini che
abitualmente incontrano maggiori difficoltà nell’apprendimento di concetti
scientifici. È vero anche che per alcuni lo sperimentare non basta. Alcuni
bambini del gruppo hanno dimostrato al termine del progetto di non aver capito
il principio di Archimede, mentre altri durante il percorso hanno dimostrato
incertezze in alcuni passaggi.
Concludo quindi dicendo che ovviamente l’esperienza aiuta il bambino a
comprendere la fisica, e le scienze in genere, ma per qualcuno ciò non basta.
Magari per quei bambini che hanno incontrato grosse difficoltà e per quelli che
hanno mostrato incertezze era necessario strutturare il lavoro in un altro modo.
Forse sarebbe stato necessario approfondire di più certi aspetti rispetto ad altri,
non dare alcuni concetti per scontato, renderli più partecipi durante le
conversazioni, motivarli maggiormente, diluire il progetto in un arco di tempo più
lungo. Le soluzioni o le alternative da proporre sarebbero state tante, forse io
stessa ho sbagliato in qualche punto del progetto, ma tutto sommato posso
ritenermi più che soddisfatta dei risultati ottenuti.
Non dimenticherò mai la gioia dei bambini, che traspariva dai loro occhi
nel vedere verificata la propria ipotesi o l’entusiasmo che mettevano nella
realizzazione degli esperimenti.
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