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E non è certamente in omaggio ad una bolsa retorica etico-moralistica che agganciamo il
filo rosso dell’excursus su Gino Rossini a quell’ancoraggio esistenziale: si interrompono
prematuramente gli studi per “impossibilità finanziaria della famiglia” (senza,
evidentemente, che ciò impedisca un alto livello di acculturazione), si inizia a lavorare
(disponibili, senza troppe protese e senza rifiuti della precarietà, ad accettare tutte le
opportunità), si affronta, in contrasto con l’afflato pacifista, la prova tremenda del fronte, si
ritorna alla vita civile imperniata nella testimonianza politica, nel lavoro (“pur avendo
sempre tribolato, con la mia attività e con la mia condotta modesta e con l’aiuto di
mia moglie (insegnante di scuola elementare) ho provveduto fino ad ora ai miei
molteplici impegni, senza incorrere in dissesti né fallimenti “), nella famiglia, nei
doveri che essa sottende (in primis, il lavoro che fornisce “la possibilità di mantenere la
mia famiglia “ ), nell’ amore per il proprio lavoro (purtroppo, allora come oggi, “privilegio di
pochi”), che costituisce, come suggeriva Levi, la migliore approssimazione concreta alla
felicità in terra.
I fermenti insiti nei primi approcci cospirativi, cui si é fatto cenno più sopra, avevano preso
slancio già dal mattino del 26 luglio 1943, quando all’improvvisato incontro presso lo studio
dell’Ing. Vialli a Palazzo Barbò in Via Ugolani Dati per la costituzione del Comitato
Antifascista Provinciale intervennero spontaneamente, come ricorda nel suo libro “La
Resistenza cremonese” il Dr Armando Parlato, i socialisti Gino Rossini, Mario Coppetti,
Piero Pressinotti, Piero Bettoni, Emilio Zanoni, il fioraio Rosolino Tambani e l’operaio della
Cavalli e Poli Piero Zanacchi.
Già nei quarantacinque giorni badogliani i socialisti cremonesi si misero all’opera per
ricostruire il loro partito, che, parallelamente alle vicende nazionali, anche a Cremona
risulterà dalla convergenza tra il MUP (Movimento di Unità Proletaria di Basso) ed il PSI, di
cui erano promotori Giovanni Sidoli, Gino Rossini, Piero Pressinotti, Mario Coppetti, Emilio
Zanoni, il primo sindaco socialista (1915-1918) Attilio Botti, l’Avv. Gaetano Ferragni e
l’Avv. Giuseppe Gandolfi.
Di particolare significato appare la testimonianza con cui R. Franzi su l’EdP n° 38 del 26
gennaio 1946 (“L’agonia del fascismo a Cremona”) ricostruisce una sua missione in
territorio cremonese, l’incontro con l’On. Miglioli, di fatto detenuto da uno scherano di
Farinacci, dopo essere stato arrestato a Parigi e imprigionato in Germania. “ (…) è stato
nella proprietà del fascista assassino Maggi (parente di Farinacci ed uno dei più indiziati
dell’assassinio di Attilio Boldori) che il nostro compagno Pressinotti – segretario provinciale
del PSI – incontrò per la prima volta alla fine di luglio del 1944 l’on. Guido Miglioli (colà in
pratica confinato dal ras sotto la sua “alta protezione”). L’incontro era stato provocato dal
nostro compagno Gino Rossini su richiesta dello stesso Miglioli. La guardia del corpo – un
agente ausiliario di P.S. – era come al solito in giro per i campi. La conversazione tra il
nostro segretario e l’ex deputato di Soresina si svolge cordiale e senza un programma
prestabilito. Miglioli parla a lungo con la vivacità che gli è caratteristica saltando da un
argomento all’altro e costellando la sua esposizione con aneddoti pittoreschi e curiosi. Egli
insiste però sulla necessità di mantenere fra i partiti e i movimenti di massa un
orientamento rivoluzionario. Dopo due ore il nostro Rossi (nome di Pressinotti nel periodo
clandestino) riesce finalmente a comprendere la ragione vera di questo colloquio: Miglioli
vuole sapere che cosa ci sia di vero nella notizia che gli è giunta dalle solite “persone
fidate” circa un attentato che si starebbe preparando contro Farinacci. Egli se ne dimostra
preoccupatissimo perché ne paventa le conseguenze per gli antifascisti. Rossi non sa
nulla. Non può avere sull’argomento alcuna indicazione. E ciò è ovvio. Comunque egli
assicura il suo interlocutore che nel caso avesse sentore di qualcosa si affretterebbe ad
avvertire i compagni e gli amici più esposti e quindi anche e soprattutto Miglioli (…)”.
La circostanza del rigetto dell’ipotesi di Farinacci era già stata testimoniata, in modo più
circostanziato, da Gino Rossini nell’articolo, titolato “23 aprile 1945” pubblicato da l‘EdP
nell’edizione n° 104 del 26 aprile 1947, quando precisa:
“ (…) Alle ore 15 puntuale all’appuntamento, ho in consegna le proposte di Farinacci che
presenterò al C.L.N. Esso è riunito al completo. Lette non sono neanche discusse.
L’uomo già vinto e ormai finito vuole ancora imporre: voglio…esigo…voglio.
Ma neanche per sogno. Risposta: resa incondizionata.
Alle ore 19 una telefonata annunciava a Farinacci, livido ed impaurito, che il C.L.N. aveva
respinto le sue richieste.
Ma la giornata mi doveva serbare altra grande emozione. Arrivato verso le 20,30 a casa
vengo avvisato che Pressinotti mi attende a Cavatigozzi. Egli è venuto da Milano in
bicicletta per portare la notizia che colà l’insurrezione è scoppiata dalla mattina.
Con l’amico Olmo mi porto a Cavatigozzi ad abbracciare il mio caro compagno che
nell’agosto del 1944 aveva dovuto allontanarsi perché ricercato dalla Villa Merli e tutti e tre
rientriamo in città. Arrivati al trenino, scorgiamo una decina di vagoni di brigate nere che
partono verso Soncino.
La mattina dopo sarà insurrezione e Cremona riconquisterà la sua libertà con il sangue, il
valore, il sacrificio dei suoi figli migliori.”
Affidiamo, a questo punto, la ricostruzione dell’insurrezione ad Emilio Zanoni, che, in
occasione delle celebrazioni del Decennale, scriverà (l’EdP n° 8 del 25 aprile 1954 – “Il
contributo dei Matteottini nella lotta di Liberazione Nazionale”):
“ (…) 24 aprile sede clandestina del Partito. Da Soresina, da Annicco, da località del centro
cremonese affluivano i Comandanti delle nostre formazioni per chiedere istruzioni (Angelo Ricca di
Soresina, Pierino Bozzetti di Annicco).
L’ordine era chiaro e preciso. Insorgere in tutte le località, ostacolare con tutti i mezzi la ritirata
delle orde tedesche. E fu il sottoscritto che comunicò al C.L.N. la decisione del nostro Partito e
l’incitamento all’azione (seduta CLN – mattino 25 aprile in casa del Sindaco Gino Rossini).
Emilio Zanoni: “Il 24 aprile 1945 ero a una riunione dell’Esecutivo clandestino del partito in casa di
Gino Rossini. Aspettavamo notizie dalla Direzione Alta Italia che doveva comunicarci l’ordine
dell’insurrezione generale. Arrivò la staffetta da Milano e recava le disposizioni del Comitato
Nazionale (el Negher Gianluppi con l’ordine insurrezionale firmato da Basso e Morandi - nda).
D’altro canto, la fuga generale, oltre il Po, dei fascisti e dei tedeschi lasciava prevedere la prossima
fine. Ci lasciammo con l’intesa di riunire il C.L.N. presso la sede dell’Associazione Mutilati di
guerra. Lì, all’indomani, per incarico del partito comunicai al C.L.N. che il P.S.I. non intendeva
arrivare a compromessi con i fascisti quali li aveva trasmessi l’On. Miglioli. Nel pomeriggio da Via
Bertesi, ove si era stabilito l’Esecutivo dl Partito, assistetti all’inizio della lotta contro i tedeschi e del
disarmo dei fascisti superstiti”.
Già, le epurazioni!
Ne fece un quadro, deciso ma, tutto sommato, sereno, quale poteva esser frutto solo di un animo
limpido, Gino Rossini sul numero de L’EdP del 6 ottobre 1945, sotto il titolo “Epurazione”:
“Riprendiamo il tema dell’epurazione. Sono stati colpiti in genere insegnanti, levatrici, stradini,
messi comunali, facchini, procaccia, agenti daziari, ecc.
Perché nel maggior numero dei casi reiscritti (al partito fascista repubblicano, dopo esserlo stati
fino al 25 luglio al PNF – n.d.a.).
Giustissimo. Però, per giustizia, avrebbero dovuto essere colpiti tutti i reiscritti. Invece molti di
questi restano ai loro posti, anzi beneficiano di avanzamenti.
Hanno trovato la maniera ed il modo di dimostrare che sono stati forzati alla reiscrizione, come se
molti delle categorie di cui sopra l’avessero cercata volontariamente.
Noi sappiamo che molti hanno dovuto cedere alle imposizioni del segretario comunale o del
Podestà o del feroce segretario politico; lo hanno anche dichiarato per iscritto, dell’imposizione
avuta; ma non sono stati assolti; e per molti è venuto il momento doloroso, della sospensione, del
trasferimento, del licenziamento.
Naturalmente il lavoro delle Commissioni Provinciali di Epurazione è stato improbo e difficile; e
queste Commissioni si sono trovate in una situazione quasi eguale a quella del povero Don
Abbondio: fare o non fare.
Certo che adoperando uno stesso metro, indipendente da dichiarazioni, non vogliamo dire da
raccomandazioni, di gente che davanti alla odierna loro situazione personale, tutto osano pur di
salvarsi.
I reiscritti, tutti i reiscritti dovevano essere trattati alla stessa misura.
Oggi invece vediamo che elementi epurati con il trattamento economico della disposizione N. 35
da mesi ricevono stipendi dalle 10-12 mila lire mensili (corrispondenti ad attuali euro 300 – nda)
tenendo le mani in tasca, ed altri che epurati da mesi, non sanno, e sono i più miseri, dove voltarsi
per trovare la possibilità di campare la loro vita, sempre modesta.
Ma ciò non conta, anzi ci porta lontano dal tema. Cosa fare oggi per rimediare?
Vi è una cosa sola, umana e necessaria. Chi ha avuto la sospensione pura e semplice, dopo mesi
di tormento, di sofferenze, di bisogno, sia ripreso al proprio posto, semprechè si tratti di elementi
da riconquistare come dissero Parri, Nenni e Sereni.
Sarà riportata così nelle case di molti la serenità e la pace e si potrà marciare nella concordia
verso la ricostruzione.
Coloro che sono epurati ma che hanno una situazione economica migliore, derivata non solo dallo
stipendio regolare, ma da disoneste azioni di lucro rese possibili dalla libertà avuta nelle diverse
amministrazioni che erano loro affidate senza controllo sufficiente, restino ancora assenti e ciò per
una questione essenzialmente morale.
Siano allontanati i reiscritti che mercé l’appoggio di elementi a loro affezionati, anche appartenenti
ai movimenti antifascisti che li hanno raccomandati e che così facendo hanno compiuto opera di
immoralità politica, sono riusciti a ricoprire ancora i loro posti od hanno fatto addirittura carriera.
Siano allontanati tutti coloro che durante la Repubblichina hanno fatto propaganda e costretto
moltissimi a ritirare la tessera della reiscrizione senza guardare in faccia nessuno e colpendo in
modo speciale quelli che sono più in alto nella scala sociale, e nei posti di impiego e di
responsabilità.
Sia riveduta la posizione dei fascisti che, pur essendo stati considerati squadristi solo per ottenere
un vilissimo premio in contanti (forse ne avevano di bisogno) glielo si potrà far rimborsare a favore
degli ex prigionieri, non hanno compiuto gesta settarie e non possono dunque essere considerati
faziosi.
Sia insomma su un terreno umano che ogni persona che è incappata nelle disposizioni, venga
considerata e diciamo processata.
Ma lontano dagli animi ogni risentimento, ogni volontà di offendere o di persecuzione per odii o per
vendette che qualche volta non riveste tale gravità ma però risente di invidia e di egoismo, di
gelosia personale.
Sarebbe il caso di dire: chi è senza peccato lanci la prima pietra.
Se vogliamo abbassare il sipario sopra una pagina drammatica e dolorosa della nostra storia, se
vogliamo riportare a galla gli onesti ed i meritevoli, riprendere il nostro cammino verso una meta
migliore in cui gli italiani si possano ritrovare fratelli e contribuire tutti alla nuova storia che
luminosamente intravediamo e ci attende, facciamo giustizia, vera giustizia.
E sarà gioia per tutti.
E chi oserà, in un tentativo disperato, quanto inutile, di riprendere quota e diciamo degli
irresponsabili e degli esaltati, a turbare il cammino di questa Italia democratica, lavoratrice, cui
fanno dedizione assoluta tutti i combattenti e i reduci che tanto hanno sofferto, in uno con gli eroici
partigiani, non potrà chieder per se stesso nessuna pietà, in quanto andrà contro ai diritti del
popolo che ha ormai tracciato il suo cammino e che non permetterà a nessuno, dopo la sua prova
di generosità e di comprensione, di mettersi attraverso la strada che percorre per ostacolargli il
raggiungimento della sua meta gloriosa e definitiva”
Gino Rossini aveva espresso tale convincimento all’indomani del Congresso del C.L.N. Alta Italia,
svoltosi a Milano il 31 agosto 1945, quando indirizzò una lettera aperta ad Emilio Sereni, che
venne pubblicata in prima pagina, a testimonianza della piena condivisione del gruppo dirigente
della federazione socialista, de L’EdP dell’8 settembre 1945, sotto il titolo “Bravo Sereni!”:
“(…) Questi podestà, gerarchi, segretari politici et similia, che svolgevano opera di costrizione oltre
che di propaganda, avendo il coltello per le mani, sono i responsabili della grave situazione politica
creata a tutti coloro che dipendevano dagli Enti che i sunnominati controllavano e dirigevano.
E poi aggiungiamo il clima di terrore instaurato nelle nostre campagne nel periodo 8 settembre
1943-25 aprile 1945, dalle diverse milizie poliziesche, nere e tedesche, per vedere se potevamo
pretendere che tutti, specie queste categorie di umili che si trovavano controllati, direi sorvegliati
da -quella brava gente- avessero la forza spirituale e morale di resistere alle pressioni che su essi
venivano fatte ogni momento. (…)
Caro Sereni, mentre tu parli ed inviti ad indulgere, riconoscendo la necessità di -ricuperarli- alla
nuova situazione sociale e politica per non gettare una quantità non trascurabile, di poveri diavoli,
nella miseria e nelle sofferenze, e perciò li ritieni ancora degni di stare vicini agli altri lavoratori
nella nobile ed umana missione del lavoro, le diverse Commissioni di Epurazione, continuando ad
interpretare alla lettera le disposizioni, avute ed a volte contraddittorie, affondano sempre più il
doloroso bisturi in questa massa di poveri cristi.
E per quelli che stanno all’apice dei diversi complessi industriali e commerciali, alle direzioni di Enti
ed Istituti di ogni specie, che hanno collaborato durante il periodo repubblichino, vi sono le
disposizioni speciali, le raccomandazioni, le amicizie, e non vi è la maniera di epurarli. (…) Il mio
pensiero andava al caso di una povera levatrice comunale che ha assistito per trent’anni in un
piccolo paese tante madri, nell’ora dolorosa e felice di un parto; al caso di una povera maestra di
villaggio che ha vissuto una vita tribolata, con poche centinaia di lire mensili; al caso del postino
che per tanti anni a piedi ed in bicicletta per i viottoli infangati e sotto l’acqua e la neve e sotto il
solleone portava in giro, casolare per casolare, le povere lettere di molti soldati dirette ai genitori in
attesa; a tanti, insomma, di questi poveri relitti, e se vogliamo e se mi è permesso senza offendere,
derelitti, colpiti dall’epurazione implacabile perché hanno ritirato la tessera repubblichina. (…)
Severità, come tu stesso e Parri avete detto, per quelli che stanno in alto, per i più responsabili per
i delitti materiali, per i furti commessi, le immoralità compiute; assoluzione e generosità per tutti gli
altri che intendete –di recuperare-.
E se tutti assieme, voi caro Sereni al centro e noi qui nelle nostre provincie, concorreremo a
questa azione di ricupero da tutti riconosciuta necessaria ed impellente, contribuiremo alla
pacificazione ed alla ricostruzione.”
Per il vero, in controtendenza con la venatura buonista dei vari Rossini e Caporali, qualche epurato
sembrava cadere in piedi, se si considera il tenore del trafiletto “Bosco ex Parmigiano” del 12
ottobre 1946:
“Sicuro che la moglie del portalettere epurato va riaffermando che sarà sempre fascista.
Alle nostre compagne non sfuggirà certo la sua frase, nemmeno alle mamme dei partigiani e
nemmeno al contadino Marabotti di Grontorto, il quale di quattro figli internati e richiamati nessuno
fece ritorno (...)”
Caporali, con la sua analisi che, nella sostanza politica, poco si discostava dalla posizione
“buonistica” di Rossini (in perfetta buonafede e forse perché, a differenza dell’esule Caporali,
aveva vissuto a contatto delle miserie del conformismo, ineludibile ed imperante anche a livello di
masse, nei rapporti con un regime tentacolare) mise il dito nella piaga della percezione popolare di
una svolta e di una procedura, che, anziché sanare delle ingiustizie, le amplificavano.
Traiamo tale impressione dall’analisi delle pagine dell’Eco, che, per quanto impostate
cronologicamente e non tematicamente, e quindi quasi alla rinfusa si potrebbe dire, fanno
emergere il senso di sconcerto, di delusione e di frustrazione di fronte, se non ad un totale
fallimento della bonifica dell’apparato pubblico e privato dall’influenza inerziale e dal peso di una
classe dirigente in essi allignata, sicuramente ad un incongruo epilogo.
Un’operazione che aveva in sé, andrebbe aggiunto, intrinseche finalità pedagogiche rispetto agli
indirizzi che avrebbero dovuto informare, sul piano etico-politico, il nuovo scenario.
Come constatarono i Rossini, i Pressinotti, i Caporali ed i vari “amici del popolo”, “Patecchio”, “Il
Pippo” (e chi più ne ha più ne metta per inseguire la penna di Zanoni celata sotto mille
pseudonimi), una volta scampato il pericolo di rimanere tra i due fuochi dei contendenti, di finire
sotto le forche caudine di un attento esame dei trascorsi sotto il ventennio, di vedere compromessi
le proprie attività imprenditoriali ed i propri patrimoni, ci si ricordò del “pericolo rosso” e, grazie ad
una catena di S. Antonio di complicità ispirate dalla reciproca conoscenza degli imbarazzanti
percorsi, si allestirono le contromisure.
Si doveva, prima, andare di “bianchetto”, per negare od attenuare le responsabilità, poi badare a
difendere coi denti, contro ogni ragionevole evidenza, i favori dispensati dal regime e, scemando la
forza del “vento del Nord”, anche applicarsi a ritorcere, contro i vincitori, per una primavera o, al
più, per un’estate, le misure che erano state concepite per neutralizzare i pericoli di influenza dei
vinti sul quadro in definizione.
Che si andava delineando con l’ostilità manifesta, in crescendo rossiniano, degli eserciti alleati
occupanti.
Questo dramma venne affrontato da Gino Rossini, combattente invalido della precedente guerra e
presidente dell’Associazione Mutilati, quindi, bene addentro nella problematica, anche nei suoi
risvolti psicologici, il quale sul n.° 16 de L’EdP scrisse “Cominciano a ritornare gli ex prigionieri.
Abbiamo parlato con quelli ritornati dalla Germania; erano stati presi l’8 settembre 1943 e giorni
successivi in Grecia, in Jugoslavia, in Albania, perché appartenenti a reparti dell’esercito che non
avevano creduto di passare con i tedeschi. Hanno sofferto fame, vergogna, bastonature; sono in
condizioni fisiche deplorevoli; e con il morale abbattuto.
Sono ritornati alle oro case ed hanno trovato i loro famigliari nell’indigenza; hanno cercato lavoro e
non ne hanno trovato; hanno chiesto soccorso ai diversi Comitati e ben poco hanno potuto
ottenere. Così dicevano alcuni di loro nella visita che ci hanno fatto! E sono solo i primi che
arrivano.
Dovranno ritornare a migliaia.
Si calcola che la sola provincia di Cremona attenda il ritorno dai sei ai settemila ex prigionieri. Da
quelli rimasti in Abissinia, in Egitto, in Sicilia, in bassa Italia, a quelli e sono moltissimi, rimasti in
Russia. (…) Il Partito Socialista vuole essere vicino agli ex prigionieri, a questi sfortunati quanto
valorosi figli del popolo, che hanno dovuto combattere battaglie contro altri popoli, verso i quali non
si sentivano nemici.
Andiamo loro incontro con fraterna solidarietà, aiutandoli, facendo del nostro meglio e
rassicurandoli, se ve ne fosse bisogno, che loro non sono meno di noi, ma che anzi li consideriamo
senza distinzione e senza differenziazioni dei nostri fra i migliori, per i sacrifici, i patimenti, le
amarezze che hanno sostenuto, provato e sofferto”.
Ma non v’era d’affrontare la situazione solo dei prigionieri, che stavano tornando; perché una gran
massa di ex combattenti era già tornata, costituendo una massa di pressione, che aveva in
comune con i “civili” terribili problematiche, cui si assommavano i risvolti psicologici, derivanti da
lunghi anni di servizio militare, dall’umiliazione della sconfitta, dall’inattività forzata.
Anche di questa situazione si fece carico Gino Rossini, quando su L’EdP n° 20/1945 segnalava:
“(…) Smobilitati dagli Alleati, tornano ora alle loro case assillati da necessità e da bisogno di
lavoro, problemi che hanno comunque in comune con gli ex internati, con i prigionieri, con i reduci
in genere.
Il nostro Partito saluta con sentimenti fraterni questi combattenti, assicurando il suo appoggio
morale e materiale e dichiarando che si interesserà vivamente perché a tutti sia trovato un lavoro e
nulla lascerà di intentato presso le competenti Autorità perché diano il loro concorso nella
sistemazione di coloro che tanto hanno sacrificato ed osato per la Patria e che ancor oggi
intendono, in veste di lavoratori, contribuire alla sua ripresa ed alla sua ricostruzione (…)”.
Ma prima della transvolata si ha tracciata della “consulenza” alleata in una riflessione di Gino
Rossini, titolata “Allegria di carnevale” sul n° 41 de L’EdP del 16 febbraio 1946:
“Forse per i bambini sarà Carnevale!
Per gli uomini non é possibile, specie per quelli che hanno molte responsabilità sul groppone.
De Gasperi, dopo il telegramma ricevuto dal Presidente dell’U.N.R.R.A. Signori Lehmann, deve
aver poca voglia di divertirsi anche se ne avesse il tempo!
Quindici giorni fa i giornali pubblicavano che all’Italia da ogni parte del mondo sarebbero venuti
rifornimenti e aiuti e precisavano che ben 35 milioni di quintali di grano sarebbero stati scaricati nei
nostri porti.
Cosa é avvenuto di preciso noi non lo sappiamo: ma qualcosa di grave certamente, se
d’improvviso tutto questo grano che doveva arrivare se lo terranno le diverse nazioni produttrici!
Scrive Lehmann a De Gasperi: ‘E’ mio dovere mettervi in guardia sul fatto che le derrate disponibili
per i prossimi mesi saranno grandemente ridotte in confronto ai quantitativi che si speravano
disponibili per essere spediti in Italia.
Pertanto ho fiducia che sia voi che il vostro Governo continuerete a prendere tutti i provvedimenti
possibili per assicurare che tutti i viveri disponibili per il vostro paese siano controllati con il
massimo rigore. In considerazione dell’attuale situazione alimentare sarebbe opportuno, secondo
me, ridurre il consumo al minimo livello ecc ecc’.
E più oltre nella bella gentile e gradita letterina Lehmann scrive ancora: ‘L’essenziale é di
assicurare che la popolazione sia tenuta in vita fino al prossimo raccolto’.
Vi sembra, compagni lavoratori, che vi sia poco da stare allegri per il carnevale dopo quanto e
stato annunciato da Lehmann?
E tu, compagno contadino, che mi tieni il broncio perché sospeso le mie visite quindicinali e non
vuoi credere che ne è stato motivo il freddo intenso di Gennaio, cosa ne dici?
E tu, padre di famiglia, la cui tua preoccupazione é sfamare la tua numerosa prole? e voi, modesti
impiegati, insegnanti, professionisti, pensionati, che già stentate la vita in varie indigenze,
sofferenze rinunce, sacrifici, cosa ne dite?
Ah! ho capito, ed avete ragione: bisogna rimediarvi.
Allora la vostra risposta la passiamo a tutte le Autorità, ricordando loro che fin da principio
avevamo segnalato la gravità della situazione e che precisamente il 27 ottobre 1945, su questo
stesso giornale in un articolo ‘Peggio di prima’, per rimediarvi, si proponeva:
1. – Stabilire un quantitativo minimo, ma assolutamente indispensabile di pane, di generi da
minestra, di companatico.
2. – Imporre a chi deve consegnare carne, frumento, riso, grassi, burro, formaggi ecc, la
consegna, nelle quantità che esorbita dalle loro necessità aziendali.
3. – Imporre i prezzi di vendita su tutto quanto é alimento ed articoli di prima necessità.
Cosa é avvenuto invece?
Noi, cittadini di una provincia disciplinata, abbiamo consegnato il frumento e la farina che facevano
difetto alle altre provincie, abbiamo mangiato pane nero, vorrei dire immangiabile; nella altre
provincie che lo hanno ricevuto da noi si é mangiato bianco senza tante economie; poi abbiamo
permesso il mercato nero perché non é stato possibile costituire quelle squadre annonarie, in ogni
comune, che sarebbero state invece necessarissime e che avevamo suggerito.
Così tutti hanno fatto i loro comodi e continuano a farli, ed i prezzi sono stati lanciati ad una
disperata corsa al rialzo che non sappiamo dove arriverà.
Ma non recriminiamo; vediamo di rimediarvi a meno che non sia troppo tardi perché allora sarebbe
la ripetizione della favola che dice: ‘quando i buoi sono scappati si chiude la stalla’.
E visto che gli italiani tra loro non si intendono e non accettano consigli, accettiamo quelli del
Signor Lehmann se non vogliamo vedere presto gente che muore di fame e scioperi e tumulti e
devastazioni da parte dei lavoratori che non avranno da alimentarsi.
‘Prendete tutti i provvedimenti possibili per assicurare che tutti i viveri disponibili per il nostro paese
siano controllati con il massimo rigore’
Lo impone la situazione.
E coloro che optavano per il ritorno ad un regime liberistico, attendano ancora per carità di patria
dato che non siamo nell’abbondanza, ma alla soglia di un periodo acuto di carestia.
‘Ridurre il consumo al minimo livello’.
Il tesseramento é già così insufficiente che non permetterà altre riduzioni; comunque se in certi
settori sociali si consuma, bisogna anche qui imporre la decenza e l’impero ed il rispetto della
legge.
‘’L’essenziale, dice Lehmann, é di assicurare che la popolazione sia tenuta in vita fino al prossimo
raccolto’.
La chiusa della sua lettera é abbastanza chiara e palesa la gravità e la drammaticità del momento.
Occorre l’immediato intervento di tutte le Autorità da quelle centrali a quelle periferiche per poter
controllare le rimanenze di tutti i generi alimentari; far saltar fuori questo grano, la farina, il burro, il
formaggio, se son nascosti, se sono imboscati.
Casa per casa se occorre, ma verificare con meticolosità e diligenza, per evitare che la
popolazione non possa essere tenuta in vita fino al prossimo raccolto.
E stangare con esemplari e drastici provvedimenti quelli che allettati da forti, ma immorali guadagni
cercassero di passare oltre la provincia, i loro prodotti non denunciati e non consegnati agli
ammassi.
A estremi mali, estremi rimedi; e ciò in difesa e per il diritto alla vita delle classi lavoratrici e di tutta
la popolazione”
Anche gli aiuti internazionali, infatti, sembravano non seguire una strada egualitaria perorata da
Gino Rossini, se in una noterella del n° 68 del 10 agosto 1946, titolata Est modus in rebus, L’EdP
annotava:
“(…) L’opera dell’UNRRA è senza dubbio meritoria, ma anche in questo caso, che il “ben di Dio”,
che proviene dall’Unrra in questi tempi calamitosi, serva esclusivamente a soccorrere i poveri e gli
indigenti! A quanto pare, invece, i rifornimenti dell’Unrra sono stati favoriti alla Casa di Cura di S.
Camillo e alla Casa di Cura Ancelle della Carità. Ogni commento è superfluo, perché è a
conoscenza di chiunque come le degenze dei predetti istituti siano molto ma molto pepate (lire
mille circa giornaliere) e come sulla specifica finale vengano anche segnati i pensieri del degente.
Insomma si tratta di luoghi di cura per ricchi signori, giacché i “poveri cristi” devono accontentarsi
di farsi ricoverare all’ospedale…”
La clamorosa notizia sarà oggetto di una precisazione, ovviamente di smentita, da parte del
Prefetto, dott. Speciale, correttamente pubblicata su L’EdP del 24 agosto 1946, sia pure con l’aria
di volerla confermare:
“Con riferimento al trafiletto ‘Est modus in rebus’ apparso su L’Eco del Popolo del 10 corr. si
precisa quanto segue.
a) le ordinarie distribuzioni di viveri UNRRA sono fatte da Enti ed Istituti che hanno per fine
precipuo l’assistenza a bambini poveri. E’ ovvio, quindi, che nessuna assegnazione sia mai stata
fatta alla Casa di Cura di S. Camillo ed a quella delle Ancelle di Carità;
b) dall’unica distribuzione straordinaria di materiale UNRRA già effettuata -quella dei
medicinali- le predette case di cura sono state escluse;
c) nel paino di distribuzione straordinaria di teleria UNRRA non ancora attuato perché la
merce non é ancora giunta, le ripetute Case di Cura hanno avuto una assegnazione a pagamento
di metri duecento ciascuna prelevati sulle rimanenze disponibili dopo aver sottisfatto integralmente
le richieste degli Enti ammessi alla distribuzione medesima. Il piano di distribuzione é stato
predisposto ed approvato da una speciale commissione.
IL PREFETTO – Speciale”
Pacatamente, com’era solito, ma autorevolmente e con determinazione e chiarezza d’argomenti,
interverrà Gino Rossini, non ancora Sindaco, ma da sempre uno dei più ascoltati leaders del rinato
socialismo cremonese, con una nota, stringata ma efficace, apparsa sull’edizione n° 38 del 26
gennaio 1946 e titolata “Solidarietà nazionale”.
“ Si è parlato e scritto di Solidarietà Nazionale. Si riteneva che tutti i cittadini avrebbero concorso in
quest’opera tanto necessaria, a favore di Istituti, Enti, persone con quella generosità necessaria
per affrontare doverosamente tutti quei bisogni che la guerra ha portati e lasciati in eredità. Ma
dopo dieci mesi, ci troviamo in una critica situazione.
Asili che non possono funzionare; patronato scolastico che è senza mezzi; le cucine del popolo
che hanno i giorni contati; reduci che si trovano ancora disoccupati ed i sussidi che non sono
ancora sufficienti per procurare la legna e gli indispensabili alimenti; ospedali che non possono
ricoverare gli ammalati e via dicendo.
Le classi abbienti non hanno risposto con quella generosità tanto conclamata alla vigilia
dell’insurrezione, quando tutti tremebondi per la preoccupazione della guerra che sarebbe passata
da queste contrade, erano decisi a sacrificare tutto pur di avere salva la pelle. Tutto è stato
salvato dall’insurrezione ed oggi che tutto ha avuto salvato, dimentica la grazia ricevuta. Mio caro
amico Parietti (Prefetto della Liberazione, nominato dal CLN e revocato il 20 agosto 1945 dal
GMA - nda)!
Ti vedo nella tua preoccupazione e ti sento nelle tue esclamazioni; a te si rivolgono tutti coloro che
hanno bisogno di aiuto; ti dibatti nelle disponibilità sempre più esigue di un bilancio fallimentare,
dove l’uscita minaccia di superare l’entrata.
E tu mi devi dar ragione quando a te, Prefetto, proponevo di imporre un’aliquota sul capitale mobile
ed immobile della nostra provincia, nella minima misura di un due per cento che non avrebbe
colpito il capitale, ma solo inciso sull’interesse del capitale in un’annata di lavoro. Avremmo allora
raccolto circa 400/500 milioni (attualizzati, per quanto una mera operazione aritmetica possa avere
un relativo significato, corrisponderebbero a 15 milioni di euro)che in questi duri mesi di inverno
sarebbero stati sufficienti ad affrontare le necessità di tutti.
Ma la proposta di imposizione è stata scartata. Oggi, come neve al sole, tutti i buoni propositi pre-
insurrezionali, sono stati dimenticati e chi più ha meno da. Gli operai di molti stabilimenti, gli
impiegati di molti uffici hanno generosamente offerto una giornata di lavoro ed il loro gesto è
veramente lodevole. Cosa hanno offerto i grandi agrari, i grandi industriali, i borsaneristi di classe, i
grandi complessi bancari? Cifre irrisorie in genere; qualche lodevole eccezione alla quale
rendiamo il nostro ringraziamento. Ma la maggioranza?
Noi siamo concordi che la maggioranza non ha ancora risposto ed in caso diverso lo ha fatto in
modo molto irrisorio.
E giorno verrà, quando la pazienza sarà al culmine della sopportazione e quando le famiglie non
potranno più sopportare il morso del freddo, della fame, della miseria, della morte in agguato,
coloro che non hanno voluto capire, pagheranno per il loro egoismo che i nostri manifesti, i nostri
scritti, la nostra propaganda pacifica, serena, cristiana non hanno potuto scuotere e vincere”.
Ne fece un quadro realistico Gino Rossini con l’articolo “L’odissea dei sinistrati”, pubblicato su
L’Eco del 15 settembre 1945:
“A seguito dei bombardamenti per molte tranquille famiglie venne la catastrofe. Case, negozi,
appartamenti, suppellettili, ruinato, frantumato.
La pietà dei parenti, degli amici, vide il momentaneo riparo dalle intemperie; la vita fu una
tribolazione; ben pochi gli aiuti; ed il poco che fu possibile salvare, in questi mesi, fu liquidato per
poter sopravvivere.
(…) I sinistrati speravano di poter un giorno ritornare alla loro casa e poco a poco rifarsi la loro
vita; ai loro negozi, ai loro modesti commerci per il guadagno di un pane: fruttivendoli, barbieri,
calzolai; piccoli commercianti ed artigiani che da anni vivevano in un modesto e tranquillo angolo di
pochi metri quadrati, avevano la loro clientela abituale, avevano il loro povero sole.
Invece no. Cosa è successo? Il Genio Civile, giustamente a suo tempo ha rilasciato dichiarazioni
che le case bombardate erano inabitabili, ed allora i sinistrati furono sollevati dal pagare l’affitto ai
proprietari.
Ora questi che hanno fatto rimettere all’ordine gli stabili, non credono loro dovere riaffittare ai
sinistrati; ma vi è di più. In alcuni casi è avvenuto che il proprietario all’epoca del bombardamento,
ha venduto il fabbricato ad altri. I nuovi proprietari che hanno curato il riattamento dei locali, non
tengono più conto di precedenti inquilini sinistrati e si può dire mettono all’asta appartamenti e
negozi al maggior offerente.
Si dice che la legge dà loro ragione. Allora abbasso la legge, quando è insufficiente, quando è
ingiusta, quando fa a pugni coi sentimenti, con la ragione con l’umanità.
E abbasso questi speculatori che non ascoltano alcuna voce che sorge implorante dal cuore, che
fanno orecchie da mercanti, alla richiesta di pietà di chi ha avuto danni e lutti ed ancora ha di fronte
a sé l’incubo del domani e la miseria presente. (…)
Se la legge non può, perché insufficiente o non adatta ai tempi, devono potere il cuore e il buon
senso.
E le autorità devono non applicare la legge quando zoppica in questi casi desolati, ma devono
prestarsi con tutta energia a far comprendere che questo non è il momento delle speculazioni ed
intervenire per prestare aiuto al più debole ed al più bisognoso”
Queste “strane” idee in testa, saranno utili a Gino Rossini, quando, qualche mese dopo, assumerà
l’incarico alla guida dell’amministrazione municipale, in cui le trasfonderà.
Non ne era risparmiato anche chi, lavorando nei campi e potendo rimediare meglio all’imperativo
quotidiano di conciliare il pranzo con la cena, era più degli altri esposto alla contaminazione da tbc,
che pure non faceva sconti nei centri urbani, come non ne aveva fatti a molti reduci.
Compresi i non pochi della prima guerra mondiale, che, come Gino Rossini, se la trascinava
fatalmente fino a morirne giovanissimo.
Un’impressione che sicuramente andrebbe meglio approfondita; ma che, per l’economia del
ragionamento che si vuole svolgere, appare suffragata dal valore di due episodi, marginali ma non
insignificanti: i ripetuti interventi di Attilio Boldori, che nella primavera del ’21 difese la Giunta
successiva a quella Pozzoli (1920-21) dagli attacchi fascisti, strumentalmente indirizzati a
divaricare la sinistra, e l’afflato particolarmente affettuoso con cui il 12 novembre del ’21 “Lotta dei
Comunisti” stigmatizzò l’agguato a Gino Rossini “il nostro carissimo e valoroso compagno di fede
che, dopo aver sofferto ingiustamente il carcere, fu assalito e percosso da un branco di manigoldi”.
Più avanti, nel 1948, vedremo che quella giusta rivendicazione, tendente a consentire l’agibilità
delle istituzioni locali, dell’associazionismo sindacale e dei partiti popolari, in contrapposizione ad
una pretesa elitaria e sostanzialmente antipopolare, troverà, in casa socialista, un clamorosa ed
autorevole eccezione: quella di Gino Rossini.
Ma, bisognerebbe dire, si trattava quasi di un ‘sanfrancesco’.
“Martello sull’incudine” passerà ben presto il testimone a “Passaggio livello”, che continuò, pur
spaziando su altri terreni di confronto, il simpatico ‘teatrino’ polemico, sostanzialmente, tra il
direttore de L’Eco, Zanoni (alias Tancredi, alias Patecchio), supportati come si è visto da qualche
intellettuale socialista, e gli eminenti leaders (l’Avv. Cappi, che diventerà deputato costituente,
segretario nazionale della DC e presidente della Corte Costituzionale, e l’Avv. Rizzi, che rileverà
da Gino Rossini la funzione di Sindaco del Capoluogo).
Il responso delle urne, infatti, era stato:
Lista socialista 13.210
Lista democristiana 13.016
Lista comunista 9. 117
Lista Alleanza repubblicana 1.393
Lista Democratici Italiani 1.377
Lista Liberali 1.218
Con un terzo dei voti il P.S.I. diventava il primo partito della città, sia pure distanziato di pochissimo
dalla D.C., mentre il PCI si collocava nella terza posizione per consensi.
Quattordici furono gli eletti: Caporali Ernesto, Rossini Gino, Ferragni Gaetano, Boldori Comunardo,
Chiappari Ferruccio, Verzeletti Arturo, Granata Carlo, Fezzi Pietro, Calatroni Bruno, Zappieri Ugo,
Maggi Dismo, Sgarbazzini Ferruccio, Brugnelli Ettore, Gamba Davide.
L’EdP del 13 Aprile 1946 annuncia nel taglio centrale della prima pagina: “ CREMONA
SOCIALISTA E DEMOCRATICA Col compagno Gino Rossini entrano in Comune il lavoro e la
democrazia”:
“Martedì sera (9 aprile – nda) il nostro Comune ha vissuto un’ora di vera democrazia che ha
richiamato alla memoria gli eventi memorabili delle libertà comunali del Rinascimento e l’era che
dal riscatto dal prepotere assolutista è giunta fino all’infausto affermarsi del fascismo.
I consiglieri comunali, eletti nelle elezioni di domenica 24 marzo, hanno preso ufficialmente
possesso dei seggi loro assegnati e, come primo atto della loro amministrazione, hanno proceduto
all’elezione e all’investitura del nuovo sindaco e dei sei assessori effettivi più due supplenti.
Il pubblico assiepava l’aula da qualche ora, quando, poco dopo le 21, cominciano ad affluire i nuovi
reggitori del Comune.
Il Salone dei Quadri sgombrato dal prosaico obbrobrio delle impalcature che delimitavano gli uffici
annonari, è tornato al suo antico splendore, con i suoi grandiosi affreschi, con la sua vastità atta ad
accogliere le assemblee del popolo.
Di fronte ai seggi consigliari si erge un palco con un microfono su cui prendono posto il sindaco
uscente avocato Calabroni ed il consigliere Caporali.
In prima fila, dinnanzi ai seggi, siedono i componenti del C.L.N. cittadino, con a capo l’Avv. Frosi e
il presidente della Deputazione Provinciale Avv. Zelioli.
Ecco, ha inizio il solenne atto della rinata vita cittadina.
Il segretario del Comune procede all’appello dei consiglieri.
Risultano assenti giustificati: Rizzi Ottorino e Zappieri.
Gli oratori
Prende quindi la parola il Sindaco uscente, avvocato Calatroni, che restituisce i poteri al C.LN.
Egli dice:
‘Restituisco il mandato che la Città di Cremona ha conferito alla nostra amministrazione nel fatidico
25 aprile, che noi eseguito fino ad oggi per circa un anno e che la benevolenza della popolazione
ci ha permesso di esplicare nel modo migliore.
Chiedo scusa a voi tutti, egregi colleghi, se ho dovuto convocarvi in un locale per così dire
provvisorio, ma voi sapete che la vera aula del Consiglio era stata distrutta dai fascisti circa venti
anni fa.
Però ho pensato che, se anche ho dovuto convocarvi in una stanza come questa, il simbolo della
democrazia sarebbe stato ugualmente salvato perché quando si pensa e si agisce
democraticamente si può raggiungere ovunque i bene supremo.
Il saluto del consiglio della liberazione
Porto a voi tutti il saluto della vecchia Giunta che ha testé dimesso il suo mandato e chiederò al
nuovo Sindaco, che fra poco verrà eletto, di fare un a breve esposizione di quel poco che la
Giunta fa e da cui prenderà le mosse per poter proseguire sul cammino democratico per il bene
del nostro Comune.
Porto a voi anche il compiacimento del popolo cremonese che dopo venticinque anni vede
finalmente radunarsi un consiglio comunale liberamente eletto.
E’ questo un grande compiacimento e anche un augurio per il domani, perché noi siamo alla vigilia
di grandi avvenimenti, della Costituente.
Dell’amministrazione passata per forza di cose la nostra Giunta non può fare in questo periodo
nessuna particolare osservazione perché ha dovuto percorrere ancora la vecchia strada fascista.
Dopo la Costituente, l’Amministrazione comunale potrà amministrare il Comune senza nessun
controllo prefettizio e di formule.
E’ questo l’augurio che io faccio a nome di Cremona Libera, che ha gioito particolarmente dopo la
vittoria democratica riportata nella città di Milano che è stata tale da costituire caparra sicura della
più grande vittoria democratica del 2 giugno.”
Al termine del suo discorso, salutato dagli applausi degli astanti, l’avv. Calabroni, secondo le
consuetudini, cede la parola al consigliere che di diritto è presidente della assemblea avendo
riportato il maggior numero di voti alle le elezioni: il consigliere Caporali.
Questi prende la parola e pronuncia un discorso del quale diamo le parti principali.
Discorso del compagno Caporali
‘Colleghe e colleghi, compagni ed amici!
Sono commosso per l’onore che mi è stato conferito dalla cittadinanza di presiedere questa prima
assemblea del riconquistato Comune libero della nostra città, e ne sono fiero perché sento che con
gli uomini del mio partito e dei partiti fratelli noi abbiamo combattuto sempre durante questo
venticinquennio di iattura e di vergogna il fascismo traditore e dilapidatore della città.
La libertà trionfa, la libertà che il popolo italiano ha saputo conquistare attraverso questo quarto di
secolo, di dolore, di sofferenza, di lagrime, di sangue.
Bisogna ricostruire il Comune e col Comune bisogna ricostruire la Patria.
Ed è per questo che io vorrei augurarmi che la nuova amministrazione eletta stasera abbia il
consenso di tutti coloro che sono stati eletti; vorrei augurarmi che tutte quante le fazioni politiche
comprendano la necessità della maggioranza e della minoranza, per fare in modo che gli interessi
obiettivi e morali della nostra popolazione siano difesi e tutelati.
Molti problemi urgono: vi sono quelli materiali del salario e della vita di ogni giorno, quelli delle
abitazioni del popolo, della protezione dell’infanzia e della vecchiaia.
Il problema grave che urge più di tutti è quello della disoccupazione.
Noi abbiamo detto agli elettori che nella situazione attuale finanziaria del Comune e dello Stato
non era possibile promettere miracoli e che si può soltanto dare alla popolazione la sensazione
che gli eletti di stasera faranno tutto il possibile perché la condizione dei meno abbienti sia
migliorata.
Noi abbiamo sempre detto che in questo momento doloroso del nostro Paese, di cui sono
responsabili le forze del capitalismo e della reazione, è necessaria la penitenza.
Fino ad oggi la penitenza l’hanno fatta le classi lavoratrici, viene il momento in cui la penitenza
debbono farla le classi abbienti.
Ed è questo il compito che il nuovo Comune deve assolvere nel limite delle leggi e delle sue
possibilità.
Abbiamo grandi doveri verso la popolazione della nostra città, doveri di onestà, di saggia
amministrazione, di civismo, dopo il periodo della dittatura che ha disonorato e venduto l’Italia.
Abbiamo dei doveri di civismo, ma occorre una cosa: che il fascismo sia distrutto nelle cose, nelle
anime e nei cervelli; è necessaria un’operazione di rieducazione, di disintossicazione, è necessario
dare alla gente il gusto del lavoro e del lavoro ben fatto.
Faccio un appello all’unità nel senso augusto della parola, l’unità di tutti gli spiriti al di là delle
nostre concezioni politiche, filosofiche o dottrinarie.
Faccio appello all’unità perché soltanto in questo modo noi potremo dare all’Italia un regime
veramente democratico: la libertà, la pace e il benessere.’
Espletata formalmente la proba di alfabetismo degli eletti, viene concessa la parola al Consigliere
Avv. Squintani, che porta ai colleghi il saluto della Democrazia Cristiana ed espone la posizione
dei 14 consiglieri democristiani nei confronti del nuovo Consiglio comunale.
Bernamonti per il Partito Comunista
La parola, subito dopo, viene concessa al Consigliere Bernamonti.
Egli dice:
‘Cittadini, noi ritorniamo su questi banchi dopo tanti anni di forzata assenza, dopo tanti anni della
oscura reazione con lo stesso animo, con lo stesso spirito col quale li abbiamo forzatamente
abbandonati.
La cittadinanza, gli amici e gli avversari ci sono stati testimoni in passato della obiettività con la
quale abbiamo sempre dato la nostra opera al Comune.
Mi associo alle nobili parole del compagno avvocato Calatroni, del compagno Ernesto Caporali e
dell’amico avvocato Squintani.
Il Partito socialista ed il Partito comunista hanno lasciato il Comune con le mani vuote, pulite ed
altrettanto non si può dire dei successori fascisti.
Con lo stesso spirito noi torniamo qui.’
Terminati i discorsi, il Presidente dell’assemblea invita quindi i colleghi a procedere all’elezione del
nuovo sindaco.
Si procede alle operazioni di scrutinio, dal quale risulta eletto, per 22 voti, il consigliere socialista
ROSSINI GINO.
Riportano un voto ciascuno i consiglieri Avv. Ferragni e Avv. Calatroni. Schede bianche: 14.
Proclamato nella persona di Gino Rossini il nuovo Sindaco di Cremona, si procede alla nomina dei
sei assessori effettivi che risultano eletti nelle persone dei consiglieri: Avv. Bruno Calatroni
(socialista), voti 23; Ettore Brugnelli (socialista), voti 22; Dante Bernamonti (comunista), voti 22;
Dott. Stefano Pugnoli (comunista) , voti 22; Carlo Granata (socialista), voti 22; Valentino Giudici
(comunista) voti 22.
Ed ecco il risultati dell’elezione dei due assessori supplenti: dottor Ferruccio Chiappari (socialista)
voti 22 e Orsini Mario (comunista) voti 22.
Le massime cariche comunali sono così assegnate.
Il Sindaco nuovo eletto sale sul palco per pronunciare il suo saluto al popolo e ai colleghi
consiglieri.
Parla il nuovo Sindaco
Ecco il testo del discorso pronunciato da Gino Rossini:
‘Signori Consiglieri, Cittadini di Cremona!
Il Partito Socialista, cui ho l’onore di appartenere, ringrazia, ringrazia la cittadinanza per la prova
superba del 24 marzo che ha portato il nostro Partito all’avanguardia degli altri Partiti, ringrazia
tutta la popolazione cremonese, che è scattata e si è portata alle urne per dire la propria volontà
facendo affermare il Partito, in nome del quale sono caduti Giacomo Matteotti ed Attilio Boldori.
In questa sala, questa sera, aleggiano gli spiriti di tutti i nostri martiri, di tutti i martiri caduti in
questo ventennio di oppressione.
Tutti i martiri caduti durante l’insurrezione appartenevano a tutti i partiti, appartenevano a tutto il
nostro popolo, appartenevano ad ogni classe sociale, ma con nelle pupille la visione dell’Italia
libera ed indipendente osarono andare al combattimento e caddero da eroi per la nostra libertà, o
popolo di Cremona.
Con loro, altre migliaia di uomini sono caduti nei campi di concentramento in Germania, nelle
trincee della battaglia, nei gruppi di combattimento che assieme agli alleati collaborarono per
schiantare la resistenza tedesca, mentre i partigiani della montagna e della pianura scattavano
come un sol uomo contro lo schieramento tedesco.
Vedo qui in mezzo a voi tutti i compagni della vigilia, del C.L.N., dei Partiti che hanno contribuito a
questa vittoria.
A quasi di distanza fra pochi giorni, il popolo cremonese verrà chiamato a festeggiare questa
libertà, questa liberazione e sarà un osanna ed un riconoscimento per tutti i Caduti.
Io vi invito a ricordare questi giovani, questi nostri figlioli che hanno che hanno saputo fare
olocausto della loro giovinezza, del loro sangue per dare a noi tutti quella libertà che tanto avevano
agognato.
Oggi, dopo questo supremo sacrificio, Cremona ha il suo libero Comune, oggi qui vi sono i liberi
cittadini cremonesi voluti dal vostro suffragio, dai vostri voti.
Ma vi è ancora un dovere: portare oltre i caduti delle lotte partigiane, delle lotte della guerra che
tanto hanno insanguinato questa Patria.’
Rossini passa quindi a commemorare i compagni scomparsi: Garibotti, Boldori, Chiappari, Botti,
Pozzoli.
Porge inoltre un saluto all’amico Calatroni che, designato dal C.L.N, assolse la sua delicata attività
per un anno disinteressatamente e con tutta la sua passione, cosa questa che tuttavia non lo ha
mai salvato da critiche e da calunnie.
Rossini prosegue dicendo:
‘Io saluto tutti i miei compagni socialisti e i compagni comunisti che sono qui presenti consiglieri
comunali; saluto i consiglieri delle minoranze, i consiglieri dei partiti che sono rappresentati qui, a
quali noi promettiamo quella collaborazione con la concordia, con quella fraternità che l’avv.
Squintani ha auspicato poc’anzi nella sua bella relazione.
Io mi auguro che nel lavoro che andiamo a svolgere, questa atmosfera di fraternità, di concordia
possa lungamente durare fino all’esaurimento della nostra opera, duri sempre in tutti i momenti in
cui saremo chiamati a concorrere con la nostra opera, con la nostra fatica a reggere le sorti del
Comune, perché solo così noi potremo concorrere al bene della cittadinanza. Che tanto attende
dalla nostra fatica e dal nostro lavoro.
Noi ci mettiamo all’opera, guardiamo le miserie immense di questa popolazione, le conosciamo
perché siamo parte integrante di questa popolazione lavoratrice che tanto ha sofferto prima col
fascismo, poi con la guerra, poi con la venuta dei tedeschi qui in questa nostra città, in questo
nostro Comune; sappiamo quale somma di sacrifici questo popolo ha vissuto; sappiamo quale
enorme somma di bisogni di esigenze il popolo cremonese ancora sopporta, e noi per non tradire
questo nostro popolo dovremo dare tutta la nostra attività con passione e disinteresse al di sopra
di ogni tendenza di partito, al di sopra di ogni idea politica; qui noi saremo i fratelli maggiori di
questi nostri lavoratori che attendono da noi tanti e tanti aiuti, tanto interessamento.
Ringrazio tutti i Consiglieri della dimostrazione di fiducia che hanno avuto sul mio nominativo,
nominativo di uomo di lavoro, e vi prometto che questa fiducia non andrà delusa e daremo tutta la
nostra opera pur sapendo già quale gigantesco compito ci aspetti.
Lo faremo col cuore; è l’unica arma che il popolo ci riconosce, lo faremo con entusiasmo, lo faremo
con la passione, lo faremo con onestà soprattutto.
Amici Consiglieri, con questi propositi accingiamoci al lavoro che ci attende, con questi propositi la
cittadinanza abbia fiducia che qui vi sono quaranta galantuomini disposti a tutto dare per il popolo
cremonese.’
Un caloroso applauso degli astanti fa eco alle ultime parole del neo-sindaco”
Ma, oltre agli applausi, Rossini ‘incassò’, cosa non meno importante, anche un messaggio aperto
di Tancredi, intitolato “Lettera al compagno Sindaco”:
“Caro Rossini, meritatamente la maggioranza del Consiglio Comunale di Cremona ti ha elevato
alla carica di primo magistrato della nostra città.
Dopo la dura parentesi fascista, con l’amministrazione socialista da te degnamente rappresentata,
entrano in comune il lavoro e la democrazia.
Entra il lavoro perché tu hai duramente lavorato per tutta la vita; entra la democrazia perché il tuo
nobile animo è aperto ad ogni libera manifestazione dello spirito.
E’ stata l’altra sera la vittoria proletaria, la vittoria del nostro partito ma è stata anche la particolare
vittoria del nostro piccolo gruppo di compagni ed amici.
Per chi come noi, in periodo clandestino, ha assistito al tuo lavoro profondo e pericoloso, per chi
come noi ha accompagnato con trepidazione il sorgere di questa giovinetta libertà, è stata l’altra
sera una degna ricompensa e un meritato guiderdone.
E un po’ l’abbiamo tenuta a battesimo noi questa libera amministrazione comunale nello studio di
Bruno e a casa tua dove si davano tocchi alla preparazione insurrezionale.
Caro Gino, ti vedo ancora quando venivi alle riunioni e slacciando la giacca traevi fuori quei
pacchetti di banconote che sapevi raccogliere fra i simpatizzanti per le urgenti necessità del partito
e per la lotta antifascista.
Oggi il tuo compito è ancora pressappoco lo stesso.
Sei alla testa della amministrazione comunale e devi dar lavoro e pane a quanti (e sono molti) ne
sono privi.
Lo sai che non ti invidiamo per il duro lavoro che devi compiere, sai anzi che molte preoccupazioni
nutriamo per il buon andamento delle cose comunali ma tu non ignori certamente che tutto il
Partito Socialista è dietro di te e ti darà tutto l’appoggio necessario.
Si è ripresa così la tradizione di Cremona socialista e democratica.
Al valente, modesto e carissimo compagno Calatroni tu subentri, non per un cambio di guardia, ma
per completare e rafforzare la sua attività che non verrà meno.
Oggi i compagni ti salutano Sindaco e primo magistrato della città e nella loro cordiale stretta di
mano è la stessa simpatia, lo stesso slancio di fraternità che vi era nel duro periodo di lotta”.
I “convenevoli”, anche si trattava chiaramente di dichiarazioni di intento politico, ebbero un
momento significativo nell’intervista rilasciata al giornale socialista l’11 maggio:
“ ‘Siedi, siedi’: così mi invita il compagno Rossini che ho voluto visitare nel suo ampio Gabinetto di
lavoro.
Certamente è stanco. Inizio l’intervista:
‘Caro Sindaco, come va?’.
- Oggi, giovedì, ho ricevuto una sessantina di persone, alcune commissioni, firmato e letto tutte
quelle pratiche.
E adesso, pregandoti di far presto (Rossini non fa tanti complimenti), vorrei andare a cena; se vedi
l’orologio segna le 20,30, caro mio –
Capisco che scherza, ma riconosco che ha ragione; gli offro una sigaretta, un po’ di fumo il suo
vizio, e mi permetto alcune domande:
‘Dimmi, Gino, ma cosa viene a fare tutta questa gente dal Sindaco’
- Viene a chiedere lavoro, assistenza, ed anche qualche immediato aiuto; ma, più che altro, lavoro
‘E tu cosa puoi fare?
- Se avessi lavoro, glielo darei, e se avessi del denaro, farei altrettanto. Se tu vedessi e sentissi
quante miserie, quanti dolori, quanti casi veramente disperati; e quante lagrime da parte di
mamme che fanno fatica dal male che hanno addosso e che pensano di ritornare ale loro casupole
dove dormono in terra coi loro bambini macilenti, con qualche soccorso che io Sindaco dovrei loro
dare per permettere la compera del pane! -
(Rossini si è dimenticato di avere fame e quando attacca su questo tema si accende). Continua:
- Non avrei creduto a così enorme miseria; e vorrei avere i mezzi per lenirla; quando dispongo di
qualche centinaio di lire e lo consegno a chi ne ha bisogno, dovresti vedere la felicità ritornare su
quei visi smunti e tribolati! –
‘ E dove vai a prendere queste piccole somme?’
- Me l’ha insegnato quel mago di Calatroni. Quando mi vien chiesta la firma di qualche permesso
di ballo, fuori i soldi, naturalmente offerta volontaria; e qualche cosetta ho messo da parte,
naturalmente in mano all’Economo e quando capisco di dover intervenire a favore di qualcuno che
chiede, firmo un biglietto e l’Economo consegna la cifra segnata. Ma ce ne vorrebbero di biglietti
da mille! –
‘ E lavori da eseguirsi, niente? Le strade orribili, le case indecenti…’
- Calma, calma, per le case si è già pensato e presto saranno affrontati i relativi lavori; si continua
la costruzione della Casa a San Bernardo, tutto a debito, è già stato appaltato un primo lotto di
lavori per le fognature; fra breve alcuni lavori si inizieranno; per le case che tu dici indecenti, ho già
un piano da mettere in esecuzione; per adesso però vi è un altro problema che mi preoccupa –
‘ Quale? ‘
- Quello dell’alimentazione. Però abbiamo già fatto un’importante riunione presso il signor Prefetto
che pure segue attentamente il problema e ci siamo accordati –
‘ Così avremo da mangiare fino alla saldatura? –
- Se coloro che detengono grano, faranno il loro dovere, senz’altro potremo mangiare; se non lo
consegneranno, lo si andrà a prendere, con le buone e con le cattive.
Il popolo cremonese, i lavoratori cremonesi non devono essere alla mercé degli speculatori e degli
accaparratori. Lotta serrata e decisa contro questi nemici del popolo. –
‘ Approvo perfettamente ‘
- E son sicuro che avrò vicino in questa azione tutte le forze dei partiti e delle organizzazioni
sindacali. Non intendo partire subito in quarta facendo atti di forza; adopererò, come è mio
sistema, la persuasione; insufficiente od inutile questa, passerò ad altri sistemi.
E’ una dura battaglia che dobbiamo vincere, se desideriamo la calma nella nostra città. Vorrei che
tutti comprendessero che non si può continuare all’infinito, con la disoccupazione, con la fame, con
la disperazione in molte famiglie. Viene il giorno in cui ci si stanca ed allora si butta all’aria il
cappello –
‘Ci sono molti disoccupati nel Comune?’
- Oltre tremila; e fra questi moltissimi reduci ritornati da sei, otto, dieci mesi alle loro case che non
hanno ancora trovato dove occuparsi.
Mi ricorda la situazione del 1919, anche allora i reduci si trovavano allo sbaraglio; però questa
volta il Prefetto ha emanato un coraggioso ed opportuno Decreto in osservanza del quale qualche
centinaio di reduci, partigiani, combattenti potranno essere sistemati presso le aziende private
Qualche cosa si è fatto, molto si potrebbe fare se coloro che molto posseggono facessero lavorare
con costruzioni, nuovi stabilimenti, potenziamento di quelli che vi sono e che agonizzano, tanto che
si è preoccupati che non si possano tirar avanti un pezzo con le attuali maestranze.
Si dice già che il lavoro è poco, che vi è la crisi di produzione, dati gli alti costi della mano d’opera
e la scarsa richiesta di prodotti ecc. ecc. –
‘ Insomma è tutta questione d’argent?’
-Proprio così. Chi ha denaro, fatto bene o fatto male, lo tiene troppo egoisticamente custodito e
non pensa al male che sta facendo a se stesso – “
Il clima dell’insediamento del primo Consiglio Comunale democratico e del nuovo Sindaco,
assediati da problemi enormi, appare inattualizzabile per l’enorme divario di scenari, ma
soprattutto per il divario di ‘stile’ dei rapporti politici.
Si era ancora, infatti, sostanzialmente in un quadro di rapporti ciellennisti; fatto che non aveva
impedito, in campagna elettorale, una evidente e decisa contrapposizione tra sinistre e moderati.
Ma, con l’elezione di una giunta autosufficiente (con la significativa astensione del gruppo
democristiano, che, per segnare una discontinuità politica, avrebbe potuto votare un candidato-
sindaco di bandiera) si andava profilando, anche a livello locale, nella scia delle distinzioni sui
grandi temi nazionali ed internazionali, un destino separato fra le tre grandi componenti della
Resistenza.
L’iniziale assetto di governo comunale, scaturito da quella seduta, sarà modificato, allo scopo di
associare il gruppo democratico-cristiano alla gestione del Municipio.
Il 30 luglio, infatti, a seguito delle dimissioni degli assessori Ing. Ettore Brugnelli (socialista) e
Valentino Giudici (comunista), sarebbero stati eletti l’Ing. Luigi Leggeri ai Lavori Pubblici e l’Avv.
Antonio Squintani ai Servizi Demografici e razionamento consumi; entrambi della D.C.
Comunque, fu con grande rispetto, con piena condivisione di principi universali, sul piano etico e
della solidarietà, del primato di quell’investitura, di quel motivo, per cui i quaranta consiglieri neo-
eletti, quella sera, furono nel non ancora splendente Salone dei Quadri: il buon governo!
C’era anche, diciamolo pure, un eccesso d’enfasi, se non di retorica, specie nel riferimento
all’anteprima, costituita dall’epopea insurrezionale; ma le ferite erano ancora aperte ed i destini
democratici ed emancipatori non ancora ben tracciati e consolidati.
Soprattutto, si profilava un vistoso divario tra la grande massa di problemi aperti, di ogni tipo, e la
penuria di risorse, tra la necessità di dare ordine all’azione amministrazione e la tabula rasa dei
riferimenti istituzionali ed ordinamentali, che non fossero, per esemplificazione, il rifiuto della
continuità, anche esile, col regime trapassato.
Ma la macchina si mise in moto.
E col trascorrere del tempo… anche la dinamica di accentuazione delle distinzioni, non attenuate
neppure dalla successiva accettazione del gruppo democristiano di assumere responsabilità di
giunta.
Un evento questo che, apparentemente indirizzato a ricomporre l’unità antifascista, nella realtà
lasciò aperto, sotterraneamente, un contenzioso politico di fondo.
Che ritornò in emersione nell’estate-autunno del 1947, a qualche mese dalla scissione socialista di
gennaio ed alla vigilia delle elezioni politiche dell’anno dopo.
Della situazione di sofferenza diede notizia l’Eco del 5 settembre 1947 con “I veri motivi della crisi
del Comune di Cremona”:
“Si è voluto in questo periodo parlare da parte di varia stampa parlare di crisi comunale.
Abbiamo proprio ora attraversato quel periodo dell’anno in cui i giornali sono di solito a secco di
notizie.
Una volta chi faceva le spese era il serpente di remare. Ora è la crisi comunale.
In realtà non vi è stata nessuna crisi, me sussisteva veramente uno spasmodico desiderio che una
crisi si potesse creare.
Infatti ben sappiamo come a certa gente dispiacciano certe conquiste ottenute dalle sinistre e che
il fascismo non ha potuto distruggere tanto erano solide.
Vogliamo parlare delle aziende municipalizzate, che fondate dalle amministrazioni attorno alla
prima guerra mondiale costituiscono ancora oggi il più bell’ornamento del Comune di Cremona.
Sappiamo perfino come un membro non di sinistra della commissione per la centrale del latte
abbia più volte auspicato che tale industria abbia al più presto a passare di mano di privati
capitalisti.
E’ questo il desiderio di tutti quegli elementi reazionari i quali hanno per ben tre volte tentato di
privare la città di Cremona del latte quotidiano e che, per fortuna, non sono riusciti nel loro intento
per il contegno fermo dell’amministrazione.
Ma ben altre sono le nostalgie!
La Ditta Trazza non si rassegna di aver perduto la gestione della imposta di consumo di Cremona!
Altri appaltatori minori rimpiangono i lucri perduti.
Le lacrime di costoro vengono raccolte da chi ha interesse a farli risollevare.
Ed allora si approfitta del mese di agosto per inventare una crisi comunale, covando la speranza
che, chissà, intorbidando le acque, si possa arrivare alla nomina di un commissario prefettizio il
quale cerchi nuovamente di distruggere in pochi mesi l’opera ormai biennale di un’amministrazione
popolare”.
“I veri motivi”, non volendo farsi depistare, correrebbero apparentemente sul filo di piccole beghe
da ballatoio, mentre denunciano un incipiente iato, concettuale e metodologico, nell’affrontare
problematiche di impostazione amministrativa fra sinistre e montante centrismo; come è facile
avvertire dall’Eco dell’11 ottobre 1947 con “La crisi Comunale a Cremona”:
“Tutti sono a conoscenza della crisi determinatasi nell’Amministrazione Comunale perché i
quotidiani cittadini trattano ampiamente da qualche settimana l’argomento.
L’azione della Democrazia Cristiana contro il Sindaco e gli assessori socialisti e comunisti
palesatasi all’inizio, dove ricusò di assumere quella responsabilità che le derivava dai tredicimila
voti ottenuti, assunse, dopo la partecipazione nella Giunta, forme sempre più riprovevoli.
In questi ultimi mesi la politica ‘del doppio binario’ partecipazione nella Giunta ed opposizione nel
Consiglio e sulla stampa, assunse forme provocatorie, favorite dal consenso tacito (o concordato)
di quel gruppo di consiglieri che si era formato dopo il Congresso di Roma del Partito Socialista.
Essa arrivò alle insinuazioni, alle calunnie, anche se queste erano poste in forme abile, attraverso
articoli e comunicati stesi da mano abituata a prosa contorta ed involuta.
Di inevitabili incidenti accaduti nel corso dell’amministrazione, contrattempi verificatisi durante il
lavoro dei nostri compagni, tentò servirsene la D.C. per orientare l’opinione pubblica in senso
sfavorevole.
Quest’azione culminò nell’ordine del giorno del gruppo Consigliare della D.C. apparso sui giornali
cittadini in data 2 ottobre.
Era la goccia che faceva traboccare il vaso.
I Gruppi Socialista e Comunista incaricarono l’on. Bernamonti e l’avv. Calatroni di rendere edotta la
cittadinanza, sulla pubblica piazza, dei tentativi fatti ripetutamente dalla D.C. per infrangere l’unità
democratica comunale.
Questi oratori assolsero ottimamente il loro compito, e le loro dichiarazioni furono sottolineati da
applausi intensi della folla, l’onestà cristallina dei compagni accusati ed il loro commovente spirito
di sacrificio tutto dedito al bene dei nostri cittadini.
Non mancarono di accennare all’egoismo dei ceti abbienti che tentano paralizzare le iniziative, i
provvedimenti del Comune e contro i quali la D.C. (in omaggio all’interclassismo) non prese mai
una posizione chiara e forte di lotta.
Non dimenticarono che gli ingiusti attacchi portati dai democristiani ai nostri amministratori
potevano far parte di una manovra tendente a creare la gestione commissariale nel Comune di
Cremona.
Rivolsero un appello a coloro i quali, mesi fa, abbandonarono il nostro Partito, perché sentano
nell’ora grave il loro dovere di rappresentanti nominati dal popolo per la difesa delle istituzioni
democratiche.
E siamo arrivati alla riunione del Consiglio Comunale del 7 ottobre.
E’ un avvenimento che, per mancanza di tempo e brevità di spazio, non ci è consentito di illustrare
proporzionatamente alla sua importanza.
Possiamo dire che da parte nostra la questione è stata trattata sino in fondo, senza reticenza e
senza sottintesi, come la situazione lo richiedeva.
Udimmo la voce accorata, anche sdegnata, di certi punti, del compagno Rossini tracciare a linee
generali i motivi che hanno animato la mozione di protesta presentata dagli amministratori socialisti
e comunisti.
Sentimmo tutta l’elevatezza del suo sentire, tutto il dolore di questo grande cuore.
Ma perché, udimmo chiedere rivolto particolarmente al responsabile della D.C., dopo le lotte
combattute assieme per la libertà, dopo le sofferenze e i rischi comuni, volete oggi forse per
inconfessabili scopi elettorali rompere questa democrazia, attentare a questa libertà?
Alle parole del Sindaco, applaudite vivamente dal numeroso pubblico stazionante nell’aula e nella
piazza, seguì la lucida esposizione dell’assessore Dott. Pugnoli dalla quale emerse tutta l’onestà e
la correttezza della nostra giunta.
Bruno Calatroni, con il suo intervento successivo, portò a conoscenza dell’opinione pubblica quali
potrebbero essere le ragioni che animano elementi, nominati dalla D.C. e legati agli interessi dei
produttori latte, nell’azione negativa sin qui condotta, nei confronti della Centrale del Latte.
Informò poi circa la causa intentata dalla Coop. L’Agnello (composta da soci democristiani) al
Comune di Cremona, tendente ad occupare i locali oggi usufruiti dalla Mensa Comunale.
Il consigliere Cabrini trattò diffusamente l’Ente Comunale di Consumo, elogiando l’attività svolta e i
risultati ottenuti, e precisando nel contempo che la Commissione Amministratrice è stata
inflessibile nei confronti di un dipendente che commise irregolarità.
Inflessibilità che forse non è riscontrabile in tutti i settori politici, se è vero quanto si dice e cioè che
l’avv. Rizzi avrebbe difeso davanti alla Giunta Provinciale Amministrativa i dipendenti comunali
Guzzi e Losio promossi a suo tempo al grado superiore per meriti fascisti.
Il consigliere Verzeletti manifestò tutto il suo sdegno perla speculazione tentata su pretese
irregolarità dell’operaio Priori nell’esplicazione dell’incarico affidatogli nel Panificio Comunale.
Rivolse un forte richiamo, per le responsabilità assunte di fronte agli elettori, al gruppo
saragattiano.
L’assessore Orsini tenne a precisare quali furono i motivi che impedirono il riconoscimento, da
parte del Comando Alleato, al 25 aprile 1945, della nomina del sig. Telò Mario quale assessore
designato dalla D.C.
Terminato nel pubblico gli applausi ai nostri compagni e le mormorazioni nei confronti della parte
avversa si alzò a parlare a nome del suo gruppo l’avv. Rizzi.
Poca cosa, misere cose, argomenti triti e ritriti esposti, seppure con abilità di leguleio con un certo
livore.
Quando poi intervenne il Telò che l’austero ambiente del Salone dei Quadri fosse tramutato in un
locale dove (forse per abitudine contratta dall’ex assessore) di solito la gente è usa fare
pettegolezzo, parlare di cose sciocche.
Evidente ristrettezza di pensiero.
La seduta venne poi tolta, poco ci resta da dire.
Noi attendiamo con fermezza gli eventi e terminiamo con le parole del compagno Rossini:
‘Signori consiglieri democristiani, saragattiani, indipendenti, noi abbiamo assunto le nostre
responsabilità, assumetele voi in pari misura’ “.
Chiuse le schermaglie con un sostanziale pareggio, non si potrebbe certamente dire che la
valentia ed il prestigio indiscusso del Sindaco Rossini potessero far premio a lungo sul primato
delle sinistre; conquistato nelle urne, ma progressivamente minato sia dall’erosione, costituita dal
passaggio della metà dei quattordici socialisti eletti nelle file saragattiane, che dai richiami dagli
scenario nazionale ed internazionale, che riflettevano conseguenze anche a livello di
amministrazione periferica.
Ciò non è, anche a distanza di più di mezzo secolo, troppo elegante, nel comportamento della
fazione centrista, ma coloro che miravano ad un ‘ribaltone’ cominciarono a far conto sulla
declinante salute di Gino Rossini, affetto dalla prima guerra mondiale da tbc; cui venne
diagnosticata, in quei mesi, una neoplasia polmonare.
Già dall’incrocio dei guantoni, per riferirci al Comune Capoluogo da sempre la realtà più
significativa della realtà istituzionale locale, il cambio di fase si esplicitò, curiosamente per un
contesto abituato a scontri a viso aperto, con modalità anticipatrici delle pratiche ‘ribaltonistiche’
dei tempi attuali.
Rispetto alla odierna situazione, però, bisognerebbe precisare che non vigeva il ‘maggioritario’ ed
era alle viste una prassi, destinata, come vedremo, a consolidarsi nel tempo, di cambi in corsa di
mandato.
D’altro lato, c’era stata di mezzo una scissione nel P.S.I. che aveva lasciato sul terreno metà degli
eletti, gravitanti tendenzialmente su una maggioranza centrista, e sarebbe sopravvenuto il risultato
delle politiche del 1948, in qualche modo legittimante un mutamento di equilibri.
Tutti questi fatti si intrecciavano, bisogna pur dirlo, con la salute declinante, di Rossini, che, di ciò
consapevole e, per di più motivato da un’incomparabile correttezza politico-istituzionale, ad un
certo punto, si risolse alle dimissioni.
Affidate, in data 10 febbraio 1948, ad una lettera indirizzata al Consiglio Comunale:
“Circa due anni or sono, la fiducia dei cittadini cremonesi e dei compagni Consiglieri Socialisti e
Comunisti, mi riservava l’onore della elezione a Sindaco di Cremona.
In tutto questo tempo, ritengo di aver dimostrato il mio più intenso e più affettuoso interessamento
per la cittadinanza, specie per le categorie dei cittadini meno abbienti, spinto da un intimo
sentimento di fraterna solidarietà e dalla perfetta conoscenza dello stato di miserevole condizione
di numerose famiglie.
Ora però, amici Consiglieri, mi trovo nella situazione di lasciare il mio posto, causa la necessità
urgentissima di curare la mia salute e ciò a seguito del male che nuovamente mi ha colpito (ben tre
volte in questi ultimi dodici mesi) e preoccupato della stagione invernale che mi costringe a più
forte, assoluto riguardo se non voglio ancora aumentare il pericolo di un più grave pericolo di male
e l’acuirsi dei dolorosi disturbi propri della mia invalidità di guerra.
Vi prego pertanto compagni ed amici del Consiglio Comunale di accettare le mie dimissioni da
Sindaco e dicendomi lieto della fatica che fino ad ora sostenuto a favore dei miei concittadini e
della mia città, vogliate gradire i miei più cordiali saluti ed i ringraziamenti più sentiti per la preziosa
vostra collaborazione svolta per il bene della Amministrazione Comunale e della nostra cara Città”.
La decisione di Rossini aprì una fase di incertezza, in teoria non proficua per la gestione
comunale; ma ebbe, sicuramente, il merito di costringere tutti a mettere le carte in tavola per
superare quelle incertezze, da cui la Civica Amministrazione avrebbe tratto maggior nocumento.
Ai primi di maggio il quotidiano annunciava “Il Sindaco recede dalle proprie dimissioni”:
”Abbiamo tempo fa annunciato che il Sindaco aveva intenzione di dimettersi per regioni di salute, e
di questa sua volontà aveva fatto partecipi numerosi conoscenti e alcuni compagni di giunta.
Senonché in questi ultimi giorni, e specialmente durante il breve periodo in cui egli è rimasto a
Cremona (ora è tornato all’Ospedale Civile di Brescia per riprendere quella cura, che gli auguriamo
vivamente possa ristabilirlo completamente) egli è stato avvicinato da numerosi amici, i quali,
prospettandogli la situazione locale, lo anno esortato a voler ripensare alla cosa.
E Gino Rossini, che ha sempre dato prova di spirito di sacrificio e di alto attaccamento al dovere,
ha dichiarato ieri di restare al posto che da due anni ricopre con alta dignità.
Ieri sera il Consiglio Comunale, in seduta segreta, ha determinato di applicare anche nel nostro
Comune la legge che consente che al Sindaco venga assegnata una indennità di carica.
Per svolgere la propria attività di primo magistrato cittadino, Rossini ha dovuto trascurare i propri
affari che ne hanno subito un grave danno. (Andrebbe precisato quel “ha dovuto trascurare i propri
affari che ne hanno subito un grave danno, che a distanza di oltre cinquant’anni potrebbe
suggerire a posteri disinformati l’dea del risultato di un’oziosa neghittosità, subentrata nel Sindaco
socialista come assuefazione al palazzo.
In realtà Rossini, mantenendo fede ad un rigore calvinista, si risolse, nel timore di suscitare
compiacenti rapporti di lavoro, in cui potessero allignare aspettative di favoritismi, decise di
dimezzare la propria clientela – nda)
Egli è sempre vissuto del suo lavoro modesto e assiduo: perdere mezza giornata in Comune,
significa per lui perdere metà del proprio guadagno, indispensabile per far fronte alle più modeste
necessità famigliari.
Da qui la decisione unanime di tutto il Consiglio (decisione presa fra gli applausi dell’assemblea) di
accordare al Sindaco una indennità mensile di carica di L. 40.000 (attualizzabili in 500 euro d’oggi
– nda).
Senonché il Consiglio si troverà di fronte ad una difficoltà: quella di far accettare a Rossini questa
indennità che, ripetiamo, è ormai percepita da quasi tutti i Sindaci italiani, compresi quelli dei
piccoli paesi.
Infatti, egli ha scritto al Vicesindaco dott. Pugnoli nei termini seguenti: ‘Ho visto che in data 11 corr.
Hai diramato invito ai Consiglieri per una seduta straordinaria per trattare un ordine del giorno che
al comma n. 2 dice –Indennità di carica al Sindaco-
Mi oppongo, con un netto rifiuto.
Pubblicamente e sulla stampa fu detto e scritto più volte che Sindaco ed Assessori prestavano
disinteressatamente la loro opera ed io non intendo venir meno a queste dichiarazioni’.
Mentre additiamo alla cittadinanza lo spirito di disinteresse di Gino Rossini, ci auguriamo che egli
voglia comprendere come il Comune non intende corrispondergli un emolumento, ma
semplicemente rimborsargli in parte quel ch’egli, impegnato dai doveri della sua carica, non può
più guadagnare.
Una volta i Sindaci erano persone facoltose che potevano dedicare tutta la loro attività al Comune
senza nulla perdere. Adesso gli amministratori sono dei professionisti, dei lavoratori per i quali una
interruzione della attività può significare il disagio.
Rossini accolga questa indennità con lo stesso animo con il quale la città gliel’offre.
All’inizio della seduta consiliare di ieri, è venuta a galla la questione della eventuale crisi di giunta.
I rappresentanti della D.C. hanno fatto rilevare che la Giunta, nella sua composizione attuale, non
rispecchia più il pensiero degli elettori, espresso nelle elezioni del 18 aprile; da qui la necessità di
giungere ad una rinnovazione della compagine.
Dopo una discussione ampia e vivace, è stato stabilito di giungere a degli accordi tra i
rappresentanti delle varie correnti, accordi che saranno discussi in una prossima seduta pubblica”
Gli accordi, menzionati dal quotidiano, si riferivano al tentativo, esperito da una commissione
consiliare, di riposizionare le forze in Giunta, principiando dall’accettazione delle dimissioni di
Rossini, che sarebbe stato sostituito dal socialdemocratico Ingegner Brugnelli.
Il quale, nel giro di pochi giorni, declinò l’offerta, rimettendo in discussione tutto l’impianto
dell’accordo.
Fatto questo che indusse il Sindaco a confermare la sua risoluzione, nell’indubbio intento di
favorire una svolta positiva.
Di cui diede notizia, il 17 maggio 1948, il quotidiano locale, che, pur continuando ad essere, come
veniva svillaneggiato dalle sinistre, il ‘giornale degli agrari fascisti’, dimostrava, nei confronti
dell’evoluzione degli eventi politico-amministrativi e, soprattutto, della vicenda umana di Rossini,
una esemplare correttezza, quasi un rispettoso pudore.
Ed ecco l’annuncio: “Le dimissioni del Sindaco sono irrevocabili ”:
“Gino Rossini è ancora degente all’Ospedale di Brescia, ove è sottoposto a cure amorose.
Egli spera di poter tornare presto a Cremona completamente guarito.
Noi glielo auguriamo di cuore.
Abbiamo avuto occasione di incontrarlo a Brescia. Il suo morale appariva sollevato.
Gli abbiamo domandato qualche notizia sulle cose del Comune.
Rossini ci ha parlato della indennità che il Consiglio Comunale all’unanimità ha deliberato a suo
favore.
Egli è irremovibile nell’idea di non accettarla. Anzi non riesce nemmeno a comprendere come un
sindaco possa accettare un emolumento per svolgere le funzioni che la cittadinanza gli ha affidato.
‘Ad ogni modo – ci ha detto – la cosa mi riguarda assai relativamente: ormai ho presentato le
dimissioni. E questa volta sono irrevocabili.
Come è noto ai nostri lettori, Rossini aveva rassegnato le dimissioni qualche tempo fa; poi, dietro
insistenze dei suoi compagni di partito, aveva deciso di recedere sperando che questa sua
decisione avrebbe agevolato un amichevole componimento della vertenza sulla composizione
della Giunta.
‘Le mie speranze sono andate deluse –ci ha detto Rossini – Vedo che i rappresentanti dei vari
gruppi consiliari non riescono ad intendersi, a trovare una via media che possa conciliare gli
interessi della città con quelli dei partiti.
Per conto mio non ritiro più le dimissioni: faccio voti che la situazione possa schiarirsi e che il
Consiglio possa giungere alla nomina del mio successore nella persona di un uomo che abbia
veramente a cuore gli interessi della città, al di sopra di ogni interesse di partito.
Sarebbe assai bene che l’accordo potesse essere raggiunto, onde evitare un regime
commissariale che non farebbe che arenare il programma di ricostruzione deciso dall’attuale
amministrazione’ “.
D’altro lato, l’iniziativa politica della D.C. per un radicale cambio di vertice premeva, fino al punto di
metter i piedi nel piatto con la richiesta formale di dimissioni del Sindaco Rossini.
Al proposito, si riporta la cronaca del La Provincia del giorno 8 ottobre 1948, relativa alla seduta
del Consiglio del giorno prima, cronaca che pone la centralità dell’intervento del democristiano
Avv. Rizzi:
“Se le sue richieste saranno accolte, continuerà a collaborare; altrimenti si metterà sul piede di una
opposizione costruttiva e non demolitrice.
Quali sono i punti controversi?
Il fatto che a fianco del Sindaco Rossini vi è, strettamente unito, l’assessore Calatroni, il quale è un
altro sindaco.
La D.C. non crede tollerabile tale diarchia.
Vi è debolezza nella realizzazioni delle deliberazioni di Giunta; vi è inframmettenza politica
nell’amministrazione comunale, tanto è vero ch’egli in più di un’occasione ebbe a protestare
perché l’on. Pressinotti veniva invitato a partecipare a certe sedute, ripetendo così il deprecato
sistema di farinacciana memoria.
Quale il modo di riparare alla crisi?
Con la sostituzione di alcuni uomini.
Il Sindaco Rossini, per esempio, pur avendo dato prova di costante generosità, secondo la D.C.
dovrebbe essere sostituito.
Per gli altri, si potrebbe giungere ad accordi opportuni.”
La cartina di tornasole delle reali intenzioni dei vari partiti per la normalizzazione scattò con la
seduta del 17 ottobre, apertasi con l’adempimento dell’elezione del primo cittadino, carica, cui,
inaspettatamente, assurse, con 18 voti (presumibilmente 14 dc, 3 saragattiani ed un voto del
gruppo comunista), il capogruppo democristiano Avv. Ottorino Rizzi.
L’attribuzione del voto determinante ad un componente del gruppo comunista non è frutto di
illazione postuma, bensì dell’ammissione di “Lotta di Popolo”, che, dopo aver titolato, forse non
troppo elegantemente, “La banda demo-saragattiana si è procacciata il Sindaco”, scrisse: “Fra
questi diciotto voti, vi è quello del noto Marabotti, trafuga del nostro Partito, nella cui lista è stato
eletto, che se non fosse completamente privo di sensibilità politica avrebbe dovuto dimettersi fin
dal gennaio 1947 (…)”.
D’altro lato, che sullo svolgimento della seduta consigliare aleggiasse qualche tinta inconsueta, per
un trend comportamentale abitualmente cavalleresco, oltre alla constata assenza di quattro
consiglieri della sinistra (in aggiunta al traghettato Marabotti), è dimostrato dal paradigmatico titolo
de La Provincia “L’Avv. Rizzi eletto sindaco con 4 voti di maggioranza – Un colpo a sorpresa
condotto con abilità e concluso magistralmente”.
Un’ulteriore curiosità si aggiunse ad un clima non propriamente solare: “La giunta social-
comunista, eletta dal popolo, rimarrà com’è suo dovere al proprio posto in Comune”, come
annunciò il settimanale della Federazione Comunista e come, in realtà, avvenne; completando, in
tal modo, il paradosso, di una giunta da separati in casa.
Una settimana dopo (il 26 ottobre), moriva, nella generale costernazione della città, Gino Rossini.
Un destino di morte prematura che coglierà anche il suo successore, Ottorino Rizzi, scomparso
improvvisamente a Roma, meno di quattro anni dopo il 6 febbraio 1952.
Con Rizzi, che risultò confermato nel successivo turno elettorale , era cambiato un ciclo di alleanze
politiche, che portò al vertice comunale il centrismo.
Ma il governo cittadino di Cremona, per il bilanciamento dei due fronti contrapposti, si prospetterà
sempre problematico, dovendo la storia amministrativa attraversare più di un deserto
commissariale.
6.3 – “E’ nata la Repubblica Democratica Popolare Italiana” (dal proclama del Sindaco di
Cremona)
Fortunatamente quei diari annotarono anche lo stato d’animo di Pietro Nenni, sicuramente
rivelatore di quello del popolo socialista, di fronte alle ansie della vigilia ed il prorompente
entusiasmo del risultato:
“( 2 giugno) Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti… Giornata
storica, perché è quella del referendum istituzionale e della elezione della Costituente… E’
comunque in ogni caso la ‘mia’ giornata.
Ad essa è legata l’opera mia di capo del partito e di ministro.
L’articolo che ho scritto stamani per l’Avanti! Si intitola ‘Una pagina si chiude’. E’ vero per il paese.
E vorrei che fosse vero per me…
( 8 giugno ) Delusione! Stasera non c’è stata la proclamazione dei risultati del referendum. Sono
però arrivati tutti i verbali per cui verosimilmente la proclamazione dovrebbe avvenire domani
mattina…
( 11 giugno ) Anche la giornata odierna si è chiusa alle due del mattino senza che sia stata trovata
la base del compromesso tra governo e corona.
Ognuno sta sulle sue posizioni. Dopo tre laboriosi Consigli dei ministri credo di aver trovato la via
d’uscita chiedendo di anticipare a sabato la convocazione dell’Assemblea Costituente…All’ultima
ora il Quirinale ci fa sapere che è alla ricerca di una formula di transizione da comunicare domani
alle undici. S può tirare in lungo quanto si vuole. Ma ciò che è deciso è deciso.
( 13 giugno ) E’ finita come doveva finire. Il re è partito alle sedici da Ciampino per Lisbona. Tardi,
nella serata, il ‘Giornale della Sera’, ha pubblicato il suo proclama di commiato.
E’ un documento fortemente ed inutilmente polemico.
L’ex sovrano dice di cedere al sopruso.
Con questo proclama il legittimismo che poteva assumere gli aspetti seducenti del sentimentalismo
e del romanticismo risorgimentale rischia di assumere quello, del resto assai meno pericoloso,
della delusione e del rancore.
Comunque, è finita e finita bene”
Le emozioni del capo del P.S.I. erano sicuramente le stesse dei milioni di socialisti che avevano
vissuto una vigilia di ansiosa attesa.
Messa fra parentesi da un simpatico “scoop giornalistico”, una sorta di exit-poll fai da te, realizzato
dalla fervida fantasia di un giornalista de L’EdP, il cui anonimato ed il cui stile rendono facilmente
sospetta la penna di Emilio Zanoni.
La sensazionale indiscrezione, pubblicata sulla terza pagina del n° 58/46, titolata “Messaggio di
Umberto II” suonava come sfottente commiato al Luogotenente:
“ Siamo ben lieti di fornire in anticipo, anche rispetto ai quotidiani più accreditati, il messaggio di
congedo, rivolto agli italiani, da S.M. Umbertolo il secondo (Dio ci salvi dal terzo!).
Umbertolo II re d’Italia (né per grazia di Dio né per volontà della nazione)
Italiani!
Sappiamo che un profondo dolore vi attanaglia per la nostra partenza.
Se fossimo difatti partiti qualche anno or sono sarebbe stato meglio per tutti.
Partiamo oggi, ad ogni modo, coll’intima persuasione (come dicemmo nel messaggio al duce del
10 luglio – XVIII) di aver compiuto il nostro dovere.
L’obiettivo nostro era di far tabula rasa della vita civile e nessun italiano degno di questo nome può
negare che ciò sia avvenuto.
Siamo andati incontro al popolo colle baionette spianate.
Dove sorgevano città abbiamo fatto sorgere ampie sale da ballo pei divertimenti popolari.
Colla distruzione delle fabbriche abbiamo realizzato a favore delle classi lavoratrici il beneficio non
solo della riduzione delle ore di lavoro, ma dell’integrale abolizione del lavoro.
Abbiamo incoraggiato il commercio coll’introduzione della borsa nera, l’autarchia inducendo gli
italiani a brucare l’erba dei fossati, l’industria creando migliaia di cavalieri della stessa.
Abbiamo infine realizzata quell’unità nazionale, che era nei voti dei padri del Risorgimento,
creando l’unanimità del disprezzo nei nostri confronti.
Oggi il nostro compito è terminato.
I nostri risparmi sulla lista civile (nessuno vorrà dimenticare la capacità risparmiatrice del mio
grande padre) sono al sicuro all’estero.
L’argenteria è già impacchettata, lasciamo qui in Italia le false monete della collezione del genitore.
Lasciamo i castelli che non possiamo portare altrove, lasciamo infine nel popolo il rammarico della
nostra partenza.
Il popolo ci vide difatti partire colle lacrime agli occhi perché sperava vederci sul banco delle Assise
così come vi ha visto i nostri complici minori.
Italiani!
Ci aspetta l’esilio.
Ma Casa Savoia oltre che le vie del disonore conosce pur anche quelle dell’esilio.
Questo non ci spaventa di per sé stesso, perché ovunque possiamo crearci un nido ‘dorato’; ci
spaventa solo perché non potremo più far denari e trovare altrove un popolo così pronto a farsi
tosare, come è stato il popolo italiano.
Ai corazzieri, ai moschettieri del duce, divenuti ora i nostri fedeli tutti i nostri saluti.
Risaliamo senza speranza le valli che avevamo disceso con orgogliosa sicurezza e come il nostro
grande avo, Umberto Biancamano, ce ne laviamo le mani dell’avvenire d’Italia.
DAL QUIRINALE”
L’incertezza dei numeri e delle modalità di trapasso durò a lungo e, per effetto della resistenza dei
circoli monarchici a prendere atto del risultato, riverberò una piega preoccupante nei rapporti
politici e nella serena convivenza del popolo italiano in un passaggio nevralgico.
Al punto tale, che, fino alla partenza per l’esilio del re sconfitto, la “Calma ovunque”, registrata dal
“Fronte Democratico” del 6 giugno, fu contrappuntata dai “Gravi incidenti in tutta l’Italia
Meridionale” del 13 giugno sullo stesso quotidiano.
Come è noto, per quanto il divario dei consensi tra le due opposte opzioni non fosse stato
tennistico, le conclusioni sul piano strettamente aritmetico non avrebbero dovuto francamente
indurre a strascichi: Repubblica 12.672.000 pari al 54%; Monarchia 10.688.000 pari al 46%.
Il rapporto di forze si era rivelato più favorevole nel responso provinciale: Repubblica 144.888 pari
al 65,22%; Monarchia 34,78%.
Al di là del puro dato numerico, la Repubblica aveva vinto, in provincia di Cremona, in tutti i
principali Comuni ed in quasi tutti quelli medi e piccoli nelle zone soresinese, cremonese e
casalasca.
Anche nella zona cremasca aveva prevalso; ma con una sacca di 15 comuni minori, in cui, in un
rapporto quasi bilanciato, la monarchia aveva sopravanzato sia pure di poco la Repubblica:
Moscazzano, Castelgabbiano, Chieve, Camisano, Credera Rubbiano, Montodine, Palazzo
Pignano, Ripalta Cremasca, Trescore Cremasco, Vaiano, Capergnanica, Casale Cremasco-
Vidolasco, Dovera, Monte Cremasco, Ripalta Arpina.
Questa sacca, potremmo dire di resistenza, dimostrava due cose: la scesa in campo
dell’organizzazione ecclesiastica, già a partire dal referendum istituzionale, e la posa delle
fondamenta, nel circondario cremasco, della Vandea Bianca scudocrociata.
I risultati furono celebrati, con composta soddisfazione popolare.
Annunciava, infatti, il “Fronte Democratico” di martedì 11 giugno: “Oggi il popolo di Cremona e
provincia celebra la vittoria repubblicana”:
“Le manifestazioni popolari per la celebrazione della vittoria repubblicana che domenica sono state
rinviate, avranno luogo oggi, avendo la Suprema Corte di Cassazione confermato, con la sua
proclamazione avvenuta ieri alle ore 18, i risultati del referendum favorevoli alla Repubblica. (…)
La giornata di oggi, 11 giugno 1946, è stata dichiarata festiva a tutti gli effetti civili per solennizzare
la proclamazione dei risultati del referendum istituzionale (…).”
Nell’edizione successiva del 13 il quotidiano del C.L.N. scriveva: “Il popolo di Cremona e provincia
ha celebrato martedì la nascita della Repubblica”:
“ Malgrado la pioggia, una grande massa di popolo si è riversata martedì mattina in piazza del
Duomo per partecipare alla celebrazione della nascita della Repubblica Democratica Popolare
Italiana.
Dopo brevi parole del Sindaco, che ha invitato tutti alla concordia, hanno parlato i rappresentanti
dei vari partiti e delle Associazioni cittadine.
Vittorio Dotti per il P.R.I., ricordate le date del 10 giugno 1940, dichiarazione di guerra, e 10
giugno 1946, nascita della Repubblica Italiana, ha affermato che la nuova conquista sarà in
avvenire difesa col sacrificio della vita da tutti coloro che militano nel Partito Repubblicano Italiano.
Hanno poi parlato Fiorino Soldi per il Fronte della Gioventù, l’on. Ernesto Caporali per la Camera
dei Deputati, il prof. Franco Catalano per il Partito d’Azione, l’on. Dante Bernamonti per il Partito
Comunista, l’on. Pressinotti per il Partito Socialista.
Frequenti ovazioni hanno accompagnato le parole degli oratori.
Anche nei più importanti centri della provincia si sono svolte con lo stesso entusiasmo, in serata, le
stesse manifestazioni: così a Casalmaggiore, Crema, Ostiano, Casalbuttano, Soresina.
Nello stesso giorno il Sindaco aveva indirizzato ai cittadini il seguente proclama:
‘ Cittadini!
E’ nata la Repubblica Democratica Popolare Italiana.
I sogni dei grandi spiriti del nostro Risorgimento è ora una splendida realtà.
Sulle basi, rese incrollabili dalla concorde volontà di rinascita di tutti gli italiani, non potrà non
germinare e svilupparsi l’auspicata nuova civiltà del lavoro nella quale si comporranno in sintesi
felice le aspirazioni legittime della coscienza nazionale.
Cittadini!
Il vostro Comune, sicuro interprete del generale sentimento della cittadinanza, associa la sua voce
al coro del giubilo nazionale proclamandosi mallevadore della fedeltà di Cremona alle nuove
istituzioni.
Viva la Repubblica Democratica Popolare Italiana.
Il Sindaco Rossini ‘ “
Approssimandosi la data della manifestazione, L’Eco riportò in prima pagina la fotografia del
monumento tombale (ovviamente con i mezzi tecnici dell’epoca).
Il numero 127-LVIII dell’organo socialista annunciò ufficialmente la costituzione di un Comitato
d’Onore, presieduto dall’On. Pietro Nenni e composto dall’On. Grazia Verenini, vicepresidente,
dall’On. Pressinotti, deputato e segretario provinciale del PSI, dal Rag. Gino Rossini, Sindaco di
Cremona (succeduto al Sindaco della Liberazione Avv. Bruno Calatroni), dall’On. Dante
Bernamonti, deputato del PCI e fondatore della cooperazione, da Antonio Stagnati, sindaco di
Palvareto (poi, S. Giovanni in Croce in seguito alla furia parcellizzatrice che spazzò una delle
poche riforme apprezzabili del fascismo, quella dell’aggregazione dei piccoli comuni finitimi) che fu
epicentro dell’azione cooperativistica del martire, da Alfredo Bottoli di Casalmaggiore - deputato
provinciale, da Angelo Boldori e da Franco Donati di Crema (negli anni sessanta sarà assessore
provinciale e vicesindaco di Crema).
Ma al di fuori di una didattica, apparentemente indipendente, v’è da dire che, nel breve volgere, si
incaricheranno i successivi pronunciamenti, quasi tutti di delegittimazione se non addirittura di
scomunica, del riformismo, ad indicare la direzione di marcia del socialismo cremonese.
In clamorosa controtendenza con il precedente percorso, inequivocabilmente contrassegnato dalla
cultura riformista dei Bissolati, Boldori, Garibotti, il cui pensiero aveva permeato il percorso
socialista fino all’avvento del fascismo e che, come il senso della testimonianza dei Caporali,
Calatroni, Rossini ed altri aveva lasciato intendere, avrebbe potuto ispirare la rinascita.
Anzi, una rinascita, che per la vastità del movimento organizzato e del consenso elettorale
acquisito, avrebbe dovuto consigliare al gruppo dirigente socialista di stare ben lontani
dall’approdo ‘rivoluzionario’.
Esecutivo Provinciale – Pressinotti Piero, segretario provinciale; Rossini Gino, ispettore provinciale
(organizzazione); Frasi Ottorino, sindacale (operai); Caporali Ernesto, sindacale (contadini);
Zanoni Emilio, stampa e propaganda; Boldori Comunardo, cooperative; Fezzi Arideo, ufficio attività
pubbliche; Corbari Stefano, ufficio economico agrario; Bigli Livio, ufficio assistenza; Coppetti Mario,
giovanile; Eva Omedeo Secchi, femminile; Sidoli Giovanni, segretario amministrativo.
Comitato Direttivo:
Pressinotti Piero, Rossini Gino, Caporali Ernesto, Zanoni Emilio, Boldori Comunardo, Frassi
Ottorino, Fezzi Arideo, Corbari Stefano, Bigli Livio, Coppetti Mario, Omedeo Sechi Eva, Sidoli
Giovanni – Cremona -; Boffelli Francesco, Solenghi Egidio, Cappagli Attilio – Crema -, Ricca
Angelo, Maestroni Mario – Soresina-, Salvatori Guglielmo, Pizzighettone – Bozzetti Pierino,
Annicco – Cottarelli Alessandro, Vescovato – Stagnati Giuseppe, Palvareto- Regina Ramponi,
Casalmaggiore – Maiori Angelo.
Consiglio Provinciale Probiviri:
Botti Attilio, Cremona (effettivo); Rossoni Giovanni, Cremona (effettivo); Graziani Gino, Crema
(effettivo); Ing. Mascheroni Antonio, Soresina (supplente); Azioni Oreste, Casalmaggiore
(supplente).
La notizia che la Direzione del nostro Partito sta per sottoporre all’esame della Direzione del
Partito Comunista il testo del nuovo Patto d’Unità d’Azione, crediamo abbia soddisfatto i compagni
estensori della mozione.
Rimaniamo tutti noi, fedeli e tenaci assertori dell’unità proletaria, in attesa di conoscere gli elementi
costitutivi di tale patto, bene sperando che le aspirazioni della classe lavoratrice non vengano
deluse.
A. MAJORI
VERZELETTI
ROSSINI “
Gli “auspici” della Federazione Socialista, rivelatori della “tendenza” bassiana della medesima (per
cui non è arbitrario ritenere che l’istanza fosse in qualche modo suggerita da qualche autorevole
dirigente centrale, interessato a premere sugli equilibri interni) furono ben presto esauditi.
Due settimane dopo, infatti, fu reso pubblico il testo dell’accordo siglato dai vertici comunista e
socialista:
“Il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria ed il Partito Comunista Italiano, interpreti delle
aspirazioni unitarie e degli interessi dei lavoratori;
convengono – nella loro piena indipendenza ed autonomia – sulla necessità di precisare e
rafforzare il patto di unità d’azione esistente fra i due partiti.
Obiettivi del Patto di unità d’azione sono:
1 – la liquidazione di ogni residuo fascista e di ogni tentativo di rinascita del vecchio regime,
2 – la difesa ed il consolidamento della Repubblica democratica e delle pubbliche libertà;
3 – la riforma industriale basata sulla realizzazione di un piano organico di ricostruzione e di
rinnovamento industriale; la nazionalizzazione delle industrie monopolistiche, delle grandi banche
e dei servizi pubblici; l’istituzione dei Consigli di Gestione;
4 – la riforma agraria basata sulla liquidazione del latifondo e della grande proprietà fondiaria con
l’incremento delle forze cooperative di produzione e di trasformazione dei prodotti agrari, il
miglioramento dei contratti agrari e l’assistenza da darsi a tutte le forme di coltivazione diretta della
terra;
5 – il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori del braccio e della mente mediante la
difesa del salario, degli stipendi, delle pensioni, dei sussidi e il loro adeguamento al costo della vita
ed il miglioramento delle effettive condizioni economiche generali del Paese;
6 – la difesa della personalità e della dignità umana dei lavoratori con una legislazione sociale che
garantisca a tutti il lavoro, assicurando il minimo indispensabile per vivere, la casa, la scuola,
l’assistenza medica e la previdenza contro le malattie, gli infortuni e la vecchiaia;
7 – la difesa del valore reale del guadagno dei lavoratori, delle pensioni e dei piccoli redditi
mediante la difesa della lira da realizzarsi con la tassazione rigorosa dei redditi delle classi
abbienti, l’imposta straordinaria sul patrimonio, la riforma tributaria e l’incremento di tutte le attività
produttive della nazione.
8 – la pace con una politica estera che permettendoci di riacquistare al più presto possibile
l’indipendenza politica ed economica della Nazione, e cioè libertà di produrre, di commerciare e di
emigrare, si basi sul principio della organizzazione internazionale, della sicurezza collettiva e della
solidarietà fra i popoli e fra le associazioni operaie democratiche di tutti i paesi.
A questo scopo si impegnano di consultarsi periodicamente su tutte le questioni di interesse
comune.
In particolare si impegnano di consultarsi e di cercare l’accordo preventivamente:
1 – per tutta l’azione governativa, parlamentare e comunale;
2 – quando si profilino e si verifichino crisi governative;
3 – ogniqualvolta uno dei Partiti ritenga opportuno promuovere agitazioni comuni a base nazionale
o d’importanza nazionale anche se localizzate nelle loro manifestazioni;
4 – nell’azione sindacale e cooperativa per studiare e adottare i provvedimenti atti a coordinare
nell’interesse generale delle classi lavoratrici, l’azione decisa dalle rispettive organizzazioni;
5 – per l’elezione dei dirigenti sindacali per le quali, in omaggio alla democrazia e al principio
dell’unità sindacale, gli attivisti sindacali dei due Partiti dovranno farsi promotori di liste composte di
organizzatori che godono la fiducia degli organizzati e di provata capacità sindacale;
6 – nelle campagne elettorali, sia politiche che amministrative, per far sì che i due Partiti si
presentino sempre con programma concordato nei suoi punti essenziali e da difendere di comune
accordo contro gli attacchi di tutti gli avversari.
ORGANI DEL PATTO
Organi e mezzi del Patto per l’applicazione delle suddette clausole sono i seguenti:
1 – per lo studio, il coordinamento e la decisione su tutti i problemi sarà creata una Giunta d’Intesa
Centrale composta di tre membri della Direzione del Partito Socialista e tre della Direzione del
Partito Comunista oltre ai due Segretari
2 – l’azione parlamentare sarà coordinare da una Giunta Esecutiva composta di tre deputati
socialisti e tre comunisti e dei segretari dei due Partiti che si riunirà tutte le volte che sia richiesto
da una delle due delegazioni
3 – l’azione governativa sarà coordinata in riunioni di ministri e di sottosegretari socialisti e
comunisti e socialista alla presenza dei segretari dei due Partiti
4 – localmente saranno create Giunte Esecutive d’Intesa, a giurisdizione provinciale e comunale,
composte da tre membri di ciascun partito di cui uno socialista e uno comunista, che saranno
investiti delle funzioni di segretari per l’attuazione delle deliberazioni
CONCLUSIONI
1 – tutti i comunisti e tutti i socialisti sono tenuti all’osservanza leale delle deliberazioni prese e
sono chiamati ad applicarle nell’interesse superiore delle classi lavoratrici;
2 – socialisti e comunisti devono sentirsi lealmente solidali nella loro azione di classe considerando
che un attacco portato contro uno dei due partiti e contro il Patto di Unità d’Azione nuoce
all’interesse, al prestigio ed alla compagine dei due Partiti;
3 – il mancato raggiungimento di accordi su un determinato problemi rende ai due Partiti, per
quanto concerne il problema stesso, la loro rispettiva libertà d’azione ma non determina la
decadenza del Patto che rimane in vigore finché non sia disdetto da una delle due parti
Riteniamo quindi che il Partito Socialista debba proseguire nella sua politica di cui il Patto d’Unità
d’Azione resta lo strumento fondamentale e l’intesa dei tre partiti di massa un mezzo atto a
combattere efficacemente la reazione, poiché la solidarietà è la sola capace di affratellare il
proletariato nella realizzazione di una vera democrazia”
La mozione era appoggiata dalla stragrande maggioranza del gruppo dirigente provinciale:
Pressinotti, Caporali, Rossini, Zanoni, Bigli, Verzeletti, Maiori , Corbani, Boldori Comunardo,
Ghisolfi, Malinverno, Cappagli, Garzini.
La seduta, esaurita la parte più propriamente inaugurale, viene ripresa al pomeriggio sotto la
presidenza del compagno Cappagli.
Gino Rossini per la parte organizzativa illustra la situazione generale e quella particolare del
Cremonese. In tutta la provincia funzionano 145 sezioni con un totale di 14 mila iscritti maschi, più
di 5 mila donne e 2 mila giovani mlitanti nella Federazione Giovanile
Comitato Direttivo: Pressinotti Piero, Rossini Gino, Caporali Ernesto, Zanoni Emilio, Boldori
Comunardo, Verzeletti Arturo, Majori Angelo, Corbari Stefano, Bigli Livio, Severina Rossi,
Malinverno Rodrigo, Granata Carlo Calatroni Bruno, Gamba Davide Annibale, Signori Mario,
Cappagli Attilio,Garzini Gino, Cremascoli Elia, Fiameni Alfredo, Moroni Lorenzo, Ricca Carlo,
Salvadori Guglielmo, Bozzetti Pierino, Castagnoli Giuseppe, Stagnati Antonio.
Parla poi brevemente Lelio Basso della Direzione del Partito che segnala l’azione e le mete da
raggiungere”.
“SINISTRA DAL GOVERNO AL POTERE”:
Il 25° Congresso del Partito Socialista Italiano adunato in Roma nei giorni 9-13 gennaio 1947:
considerando aperta nel Paese dal 1943 non soltanto una crisi del sistema politico, ma della
società capitalistica nel suo insieme;
salutando nella vittoria repubblicana del 2 giugno 1946, della quale il Partito Socialista fu uno degli
elementi essenziali, la rottura definitiva con gli istituti che portarono il Paese alla rovina e la prima
decisa affermazione della volontà di rinnovamento che anima il popolo;
riferendosi al principio affermato nel programma del Partito fin dal suo Congresso costitutivo del
1892, che la conquista del potere politico è il mezzo attraverso il quale la classe lavoratrice
perviene alla propria emancipazione e liberando se stessa libera tutta l’umanità;
nella convinzione tratta dall’esperienza che la coalizione governativa formatasi dopo il 2 giugno in
base al responso delle elettrici e degli elettori, non ha in sé tutti gli elementi di vitalità e forza per
garantire la difesa repubblicana e per attuare il piano di riforme sociali necessarie alla rinascita del
Paese e che, in ogni caso, tale coalizione esaurirà il suo mandato assieme all’assemblea
costituente col voto prossimo del nuovo statuto dell’Italia repubblicana;
pone, in vista delle prossime elezioni politiche, come obiettivo della sua azione, la conquista
democratica della maggioranza dei suffragi per l’attuazione di un vasto programma di ricostruzione
che investe la struttura stessa della società.
Nella fase attuale della lotta politica e di classe sono condizioni essenziali della vittoria dei
lavoratori:
un forte Partito Socialista, garante del contenuto democratico della lotta dei lavoratori per la loro
emancipazione e solidale con le forze socialiste d’Europa e del mondo;
l’unità d’azione fra socialisti e comunisti;
il fronte unico di tutte le forze popolari e conseguentemente democratiche.
Il Congresso di Roma, riconfermando la funzione autonoma del Partito Socialista, affermata nel
precedente congresso di Firenze, approva il Patto d’Unità d’Azione sanzionato il 25 ottobre 1946
dal voto unanime delle direzioni dei due partiti, Socialista e Comunista, e ravvisa nei blocchi del
popolo che hanno affrontato le forze conservatrici e neofascista a Roma, nelle province meridionali
ed in Sicilia, una affermazione concreta della politica unitaria che il Partito Socialista persegue con
sforzi instancabili, fino dal 1934.
Il 25° Congresso dà mandato agli organi direttivi del Partito di iniziare senz’altro attraverso tutto il
Paese la propaganda e l’azione sulla base del programma comune elaborato nell’ottobre scorso, in
vista degli obiettivi seguenti:
difesa e consolidamento della Repubblica democratica e delle pubbliche libertà ed attuazione di
forme concrete di democrazia e di lavoro;
sviluppo organico di una nuova economia pianificata e controllata;
nazionalizzazione delle industrie monopolistiche;
difesa della lira con la tassazione rigorosa del reddito per coprire le spese ordinarie del bilancio e
l’imposta straordinaria sul patrimonio per il finanziamento della ricostruzione;
difesa della personalità e della dignità umana del lavoratore con una legislazione sociale ed
annonaria che garantisca a tutti il minimo vitale, il lavoro, la scuola, la casa, l’assistenza medica, le
assicurazioni contro le malattie, gli infortuni e la vecchiaia;
la pace con una politica estera che mantenga la nazione fuori dalle competizioni imperialistiche e
ne fondi la indipendenza politica ed economica sul principio della organizzazione internazionale,
della sicurezza collettiva, dell’assistenza fra i popoli, della libertà di emigrazione e di scambi
commerciali, della equa ripartizione delle materie prime.
In particolare il Congresso domanda agli organi direttivi di considerare quale primo dovere del
Partito – attraverso l’azione nel governo, nel parlamento, nei sindacati, nelle cooperative – lo
sviluppo nel Mezzogiorno e nelle isole dello spirito democratico dei contadini e degli altri lavoratori,
risolvendo la questione meridionale che è problema di bonifiche, di riscatto delle terre,
d’industrializzazione, di elettrificazione, di strade, di scuole, acquedotti, abitazioni, ospedali, di
autonomia amministrativa, di lotta a fondo contro le vecchie classi borghesi ed agrarie.
Un’organizzazione moderna della classe lavoratrice non potendo assolvere il proprio compito che
attraverso una democratica, forte e disciplinata struttura che renda impossibili le manifestazioni
individualistiche e di gruppo che dal Congresso di Firenze hanno ostacolato lo sviluppo del Partito,
il 25° Congresso afferma le inderogabili necessità di una direzione omogenea che, sulla base del
nuovo Statuto e nel rispetto della libertà di discussione e di critica, convogli tutti i compagni
nell’azione decisa dal Congresso ed affronti con le misure più energiche qualsiasi tentativo di
disgregazione.
Il Congresso reclama il divieto di frazioni permanenti e si pronuncia per una struttura organizzativa
che coordini l’attività del Partito in tutti i campi ( governativo, parlamentare, comunale, sindacale,
cooperativo, ecc ) che assicuri un collegamento costante del centro con la periferia, che si ramifichi
nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici, nei villaggi, ovunque i lavoratori lottano perla difesa dei
propri interessi, suscitando sempre nuove energie della base, creando nuovi quadri politici e
sindacali, tratti dalla classe lavoratrice, legando sempre più il Partito a tutti i ceti in lotta contro lo
sfruttamento, in modo di fare progressivamente di ogni lavoratore un simpatizzante, di ogni
simpatizzante un iscritto, di ogni iscritto un militante attivo, capace di subordinare tutto alla vita e
allo sviluppo del Partito.
Il Congresso reputa necessario a questo fino una Scuola di Partito per l’insegnamento del
marxismo ed il rinvigorimento del Centro Studi.
Esso auspica che, per dare più efficacia al lavoro della Direzione, questa debba formare nel
proprio seno un organo esecutivo al quale non possono partecipare i compagni che abbiano
incarichi di governo.
Il 25° Congresso adunato in Roma rivolge a tutti i compagni, a tutti i lavoratori e le lavoratrici del
braccio e della mente, a tutti i democratici sinceri e conseguenti, un appello all’unità.
La storia pone il problema della conquista democratica del potere da parte dei lavoratori. Come è
da cinquant’anni alla testa di tutte le lotte per la libertà, per la democrazia, per il pane e per il
lavoro, così il Partito Socialista sarà alla testa del popolo nella battaglia decisiva per consolidare la
Repubblica e rendere effettive e concrete la libertà e la democrazia, mercé la socializzazione dei
mezzi di lavoro e la gestione sociale della produzione.
Archenti Ildebrando, Araldi Umberto, Bavelloni Vitaliano, Bernardi Augusto, Bigli Livio, Boldori
Comunardo, Bottoli Alfredo, Bozzetti Pierino, Cappagli Attilio, Cazzulani Tullio, Cerquetti Fulvio,
Corbari Stefano, Ferragni Gaetano, Fiameni Alfredo, Ghiselli Arnaldo, Ghisolfi Carlo, Gamba
Annibale, Magnani Enrico, Majori Angelo, Malinverno Rodrigo, Moroni Lorenzo, Padova Rienzo,
Pressinotti Pietro, Ramponi Regina, Ricca Carlo, Rossi Severina, Rossignoli Carlo, Rossini Gino,
Stagnati Antonio, Vaiani Umberto, Viganotti Pietro, Verzeletti Arturo, Zana Nino, Zaniboni Ernesto,
Italo Panzi.
Romeo Soldi per il Materialismo Storico
La mia azione nel Partito in questo momento è stata dettata più dal concetto di cercare di
persuadersi reciprocamente e vedere cioè se c’è qualche errore in qualche direzione e
correggerlo.
Noi socialisti dobbiamo fare questo perché siamo tutti come una famiglia.
Se invece noi ci impuntiamo e facciamo una questione più di prevalenza politica che di
dichiarazione di idee è chiaro che allora si formano i partiti, le tendenze e uno cerca di sopraffare
l’altro e il Partito se ne va perché tutti hanno il pregiudizio di far prevalere una determinata
tendenza e non guardano più alla questione pratica.
Ho intitolato la mia mozione Materialismo Storico proprio in un momento in cui leggevo un
opuscolo di Carlo Marx, intitolato ‘Il 18° Brumaio’.
Ricordato che nel giugno 1848 le masse lavoratrici insorsero contro la monarchia e si
impadronirono del potere e stabilirono quelle famose officine nazionali le quali potevano dare
lavoro a tutti quelli che volevano e grandi programmi erano fatti per vedere di dare delle riforme
economiche alle masse lavoratrici.
Però, Marx osservava che non tanto bisogna guardare alle immaginazioni o alle chimere dei vari
partiti, ma bisogna guardare alla realtà di quello che fanno e Marx analizza minutamente la
trasformazione della vita politica francese dal momento in cui le masse operaie erano riuscite a
conquistare il potere al momento nel quale l’hanno perduto definitivamente.
Ora dobbiamo entrare nel campo della trasformazione economica.
E qui entriamo nella parte diremo così tecnica.
Ora si cerca una trasformazione di ricchezza.
Essa è fatta dalle masse che devono reagire”
Ora non v’è chi non veda in siffatti relazioni, se non proprio un apporto inadeguato all’importanza
dei temi congressuali, certamente un taglio di illustrazione, per alcuni versi, si potrebbe dire, fuori
tema.
Evidentemente perché il risultato dei rapporti di forza era largamente acquisito ed il Congresso
soddisfaceva, in gran parte, ad una liturgia d’ufficio.
Se ne ha percezione anche dal tenore dei numerosi interventi.
Di cui, in ogni caso, diamo conto anche se sommariamente.
Dopo il contributo del deputato socialista mantovano Dugoni, si snodò infatti una lunga teoria di
interventi: la replica alla sessione mattutina di Cappagli e, poi, Elia Cremascoli (‘Siamo in periodo
rivoluzionario’), il ‘contadino’ Bolzanini (‘Giuro davanti a Dio e al popolo: chi tradirà la causa del
Partito sarà un traditori verso gli operai’), Gino Carnevali (per la eliminazione dei pesi morti del
partito), Majori (illustra l’attività organizzativa), Ghisolfi (relaziona sul movimento giovanile),
Verzeletti (per il lavoro sindacale), Boldori (per le cooperative), Delvaro Rossi (per i contadini),
Sidoli (per l’amministrazione), Bernardi (per il Collegio Sindacale), Emilio Zanoni (per la stampa e
propaganda), Severina Rossi (illustra l’attività del movimento femminile socialista), Nino Zana di
Cremona, Serina di Crema, Garzini di Crema, Bernardi Augusto di Casalmaggiore, Carlo
Rossignoli di Crema, Cabrini Giuseppe di Cremona, Zaniboni di Crema, Franco Cappelletti di
Cremona, Giuseppe Goi di Cremona, Ferroni di Castelleone, Bozzetti Pierino di Annicco.
Clamorosamente (o sinistramente) fu negata la parola al deputato Ernesto Caporali, che l’aveva
chiesta per fatto personale. Brutto indice di un’emarginazione ormai incipiente.
Ed, infine, la proclamazione dei voti espressi:
Mozione di sinistra : 22.593
Mozione Concentrazione Socialista: 1.400
Dichiarazione Romita: 160.
Per riassumere: avevano votato 24.153 iscritti su 29.000 pari all’83%; la mozione di sinistra aveva
conseguito il 94% dei consensi, acquisendo sei dei sette delegati all’Assemblea Nazionale:
Pressinotti Piero, Majori Angelo, Verzeletti Arturo, Cremascoli Elia, Magnani Enrico, Cappagli
Attilio; Fezzi Arideo avrebbe rappresentato la minoranza.
Il Congresso Provinciale fronteggiò anche gli adempimenti di nomina dei nuovi organi:
DIRETTIVO PROVINCIALE: Rossignoli Carlo, Cremascoli Elia, Ferroni Luigi, Ricca Carlo, Moroni
Lorenzo,Bozzetti Pierino, Salvatori Guglielmo, Boldori Comunardo, Bruneri Giuseppe, Bottoli
Alfredo, Carnevali Luigi, Cappagli Attilo, Bernardi Augusto, Morini Mario, Verzeletti Arturo, Majori
Angelo, Pressinotti Piero, Rossini Gino, Bigli Livio, Malinverno Rodrigo, Zana Nino, Rossi Ugo,
Gamba Annibale, Piccioni Luigi, Zanoni Emilio, Stocchero Ugo, Ferragni Gaetano, Delvaro Rossi
Angelo, Fezzi Arideo, Serina Enrico, Orio Guido, Ghisolfi Carlo, Rossi Severina.
COLLEGIO PROBIVIRI: Gerosa Carlo, Cadenazzi Ernesto, Ronca Ferruccio, Musoni Achille,
Brugnelli Ettore.
REVISORI DEI CONTI: Baroni Piero, Mazzolari Luigi, Petrini Galliano.