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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812 rivista periodica a cura del museo storico in trento, www.museostorico.it - [email protected] IN QUESTO NUMERO Scompare il servizio militare obbligatorio anno settimo numero diciotto dicembre 2005 Volontario? Solo se pagato: disoccupazione e crisi economica trasformano il servizio civile in opportunità di lavoro di Senio Bonini Addio “Classi di ferro”! di Gian Piero Sciocchetti Il diritto di obiezione: breve cronologia per una storia del servizio civile in Italia nel secondo dopoguerra a cura di Rodolfo Taiani Fonti per la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile in Italia a cura di Patrizia Marchesoni e Caterina Tomasi “In caserma. Bozzetto trentino” (1895) di Erminio Zaniboni a cura di Quinto Antonelli Obbligo militare e senso della patria a cura di Rodolfo Taiani Servizio militare e servizio civile: interviste a Giuseppe Demattè e Dario Fortin di Paolo Piffer

IN QUESTO NUMERO Scompare il servizio militare obbligatoriofondazione.museostorico.it/index.php/content/...Formia, entra nell’Informagio-vani del Comune di Perugia. Si è laureato

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812

rivista periodica a cura del museo storico in trento, www.museostor ico. i t - info@museostor ico. i t

IN QUESTO NUMEROScompare il servizio militare obbligatorio

anno settimo numero diciotto dicembre 2005

Volontario? Solo se pagato:disoccupazione e crisi economica trasformano il servizio civile in opportunità di lavorodi Senio Bonini

Addio “Classi di ferro”!di Gian Piero Sciocchetti

Il diritto di obiezione:breve cronologia per una storia del servizio civile in Italia nel secondo dopoguerraa cura di Rodolfo Taiani

Fonti per la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile in Italiaa cura di Patrizia Marchesoni e Caterina Tomasi

“In caserma. Bozzetto trentino” (1895) di Erminio Zanibonia cura di Quinto Antonelli

Obbligo militare e senso della patriaa cura di Rodolfo Taiani

Servizio militare e servizio civile: interviste a Giuseppe Demattè e Dario Fortin di Paolo Piffer

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Perugia. Si scrive vo-lontariato, si legge la-voro. «Macché volonta-riato, sono disoccupato e ho bisogno di lavora-re»: la confessione che non t’aspetti. Il pen-siero va a quello spot che da mesi rimbalza sulla televisione pub-blica: «Una scelta che cambia la vita… la tua e degli altri», un inno all’impegno nel mondo del sociale. Ha appena letto il ban-do 2005 per la selezio-ne dei 36.085 volonta-ri che la presidenza del

Consiglio dei ministri si appre-sta ad arruolare. Mancano due giorni alla scadenza del con-corso e Piergiorgio, 27 anni, di Formia, entra nell’Informagio-vani del Comune di Perugia. Si è laureato in giurisprudenza un mese fa e in mente ha un

solo chiodo fisso: «Trovare la-voro». Di scuse non ne cerca: «Non lo faccio per gli altri, lo faccio per me, quei soldi mi servono». Si rivolge al perso-nale dello sportello ma dovrà attendere un po’, l’ufficio è pieno di ragazze e ragazzi arri-vati per lo stesso motivo.«Nelle ultime due settimane sono stati almeno 40 i ragazzi che ogni giorno hanno chiesto informazioni sul servizio civi-le volontario», spiega Fausta Rosignoli, operatrice dell’In-formagiovani. «È triste ma è la disoccupazione a spingerli verso questa strada». Piergiorgio è il simbolo di una generazione che arranca, fat-ta di laureati disoccupati con una sola certezza: non avere certezze. E che oggi vede nel volontariato un’opportunità di lavoro, anche a 430 euro al mese.L’identikit. «Al 90% sono lau-reati. Vengono dalle facoltà umanistiche: scienze della co-municazione, giurisprudenza, lettere. Del resto sono loro a faticare di più nella ricerca di un lavoro. Più le ragazze dei ragazzi». Fausta è quasi di-spiaciuta nel tratteggiare un quadro che, suo malgrado, finisce per svilire l’istituto del servizio civile volontario. «Da subito mettiamo in guardia i ragazzi: guardate che alla fine dei 12 mesi di servizio non vi assumeranno». Ma i ragazzi sembrano non preoccupar-sene. «Non è importante che mi assumano», confessa Ales-sia Cogoni, 25 anni. «Per me conta fare esperienze, acquisi-re nuove competenze dopo la laurea». L’ambito? Una sola ri-sposta: «Attinente al mio per-corso di studio». È di questa idea anche Elisa Arbau, lau-reata in scienze della comuni-cazione. Mentre sfoglia il rac-coglitore che elenca i progetti

disponibili in Umbria esclama: «Eccolo, comunicazione nelle sedi periferiche promosso dal Comune di Perugia». La moti-vazione: «Soldi, con quei 433 euro al mese riuscirei a man-tenermi». David Toni ha 26 anni, un passato da pizzaiolo, autista e magazziniere, oggi è disoc-cupato: «Deve trovare qualco-sa che tenga occupate le mie giornate». Storie diverse accomunate da un solo elemento, la ricerca di un impiego.I progetti. In Italia sono più di 4.000 i progetti approvati dalla presidenza del Consi-glio dei ministri, in Umbria sono 94 per un totale di 368 posti disponibili. Dall’Ufficio nazionale per il servizio civile si aspettano che le domande siano almeno il doppio degli impieghi banditi. Enti pubblici, associazioni, cooperative, circoli. Dall’as-sistenza ai disabili al lavo-ro negli uffici relazioni con il pubblico, dal servizio «ascolto agli anziani» alla collaborazio-ne con gli uffici delle pro loco. Un composito mosaico di op-portunità. Ma a confermare il sospetto che il servizio civile volontario sia considerato più un lavoro che un gesto d’al-truismo è lo stesso numero delle candidature pervenute agli enti coinvolti a due giorni dalla chiusura del bando. Le scartoffie surclassano le carezze, verrebbe da dire. Gettonatissimi gli impieghi negli uffici, snobbati i posti di assistenza alle categorie svantaggiate. «Ad oggi (lunedì 30 maggio, ndr) per 29 posti – spiega Mirko Rosibonci, re-sponsabile del servizio forma-zione del Comune di Perugia – abbiamo ricevuto almeno 200 candidature. Lo scor-so anno per 40 posti furono

Volontario? Solo se pagato:disoccupazione e crisi economica trasformano il servizio civile in opportunità di lavoro

di Senio Bonini La Commissione esaminatrice del premio “Francesco Gelmi di Caporiacco”, edizione 2005, ha assegnato all’Autore per questo testo il primo premio della “sezione articolo”

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265». Mentre Giuliano Cioni, presidente della sezione Um-bria dell’Unione italiana ciechi rivela: «Abbiamo bandito 4 posti d’assistenza per i nostri non vedenti ma non ci è anco-ra arrivata nessuna domanda. Ormai il servizio civile volon-tario è diventato una nuova forma d’ammortizzatore so-ciale». Il commento. Per Roberto Se-gatori, docente di sociologia

all’Università di Perugia, «la difficile congiuntura economi-ca ha portato a un uso distor-to del servizio civile volontario scavando una profonda discra-sia tra le aspettative dei giova-ni e il mondo del lavoro in cui tentano di farsi spazio». Critico anche Mario Bravi, segretario generale della Cgil Perugia: «Il rischio è quello di smarrire il confine tra volontariato e lavo-ro». Ma il direttore dell’Ufficio

nazionale per il servizio civi-le, Massimo Palombi, difen-de quella che considera una «scelta di vocazione, un’espe-rienza a 360 gradi, totalizzan-te», e soprattutto slegata «da interessi di parte». Elisa scar-tabella con minuzia il bando. Ignora i pareri discordanti che sull’argomento si affastellano. Si ferma, alza la testa e dice: «200 euro per l’affitto, il resto per me…».

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Addio “Classi di ferro”!

Ben pochi sono gli ita-liani che si sono accorti dell’entrata in vigore del decreto legge del 29 luglio 2004, comu-nemente denominato “Professionale 3”, che

ha sanzionato a partire dal 31 dicembre 2004 il termine del servizio militare di leva e la conseguente “Professionaliz-zazione” delle forze armate ita-liane. Con tale provvedimento legislativo sono stati chiamati a prestare servizio obbligatorio di leva per l’ultima volta solo i giovani nati entro il 1985. Tut-ti i nati dopo tale data o quelli che, per vari motivi, avevano usufruito di rinvii fino al 31 dicembre 2004, sono sta-ti esclusi definitivamente dal servizio militare di leva.Per porre rimedio all’inevitabi-le calo di forze alle armi, sono state create due nuove tipo-logie di Volontari, cioè il “Vo-lontario in ferma prefissata di 1 anno” (“VFP.1”) e il “Volon-tario in ferma prefissata di 4 anni” (“VFP.4”). Allo stato at-tuale potranno diventare VFP.1 i giovani di nazionalità italiana (uomini e donne) di età com-presa tra i 18 e i 25 anni. Tutti i volontari a ferma prefis-sata oltre ad ottenere una re-tribuzione maggiore di quella prevista per gli ex volontari a ferma annuale (“VFA”), han-

no la possibilità: di partecipare ai concorsi per VFP.4 con la certezza – terminati i 4 anni, o 2+2 anni – di transitare in servizio permanente effettivo; di partecipare alle selezioni per accedere alle carriere ini-ziali delle Forze di Polizia; di aderire al progetto “sbocchi occupazionali” se si desidera lasciare qualsiasi tipo di uni-forme.Quanto previsto dalla recente legge del luglio 2004 non è peraltro che il punto di arrivo di una lunga storia del-la quale forse non è superfluo offire qualche dato sintetico, in relazione soprattutto alla penisola italiana e ai territori austriaci.La prima entità italiana di tipo statuale a ricorrere alla leva obbligatoria delle mili-zie necessarie alla difesa dei propri territori di confine fu la Repubblica di Firenze. Nicolò Machiavelli, all’epoca respon-sabile della sezione diploma-tico-militare della cancelleria fiorentina, riuscì ad organizza-re tra il settembre 1505 ed il febbraio 1506 le milizie occor-renti per il presidio dei territori appenninici di confine dell’Alto Arno (Casentino) e del bacino medio-superiore della Sieve (Mugello).L’importanza politico-militare

dell’Ordinanza della Repubbli-ca di Firenze del 1506, con cui entrò in vigore la formazione della particolare milizia comu-nale e contadina, fu notevole perché permise ai piccoli stati di poter disporre di un piccolo dispositivo di difesa senza do-ver ricorrere alle costosissime milizie mercenarie svizzere o tedesche, tra l’altro considera-te inaffidabili, poiché ritenute sempre pronte ad abbandona-re il campo o a mettere a ferro e fuoco intere regioni in caso di ritardato pagamento del soldo pattuito. Un altro esempio di impiego delle milizie locali è quello at-tuato nella Contea Principesca del Tirolo, in cui l’imperatore Massimiliano I, nella duplice veste di Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico e di Conte del Tirolo, sottoscris-se con i Principi vescovi di Trento e di Bressanone il noto “Landlibell/Libello provinciale” del 24 giugno 1511, con cui fu costituita la confederazione di difesa dell’intero territorio a cavallo della displuviale alpina. In tale trattato vennero fissati i dettagli della “leva in massa”, formata da un contingente, var iab i le

di Gian Piero Sciocchetti

Trento, 1914. Partenza dei richiamati

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secondo i casi, da 5.000 fino a 20.000 uomini e i rispettivi oneri in caso di impiego. Dal XVI fino al termine del XIX secolo tutti gli stati europei ebbero modo di variare la pro-pria organizzazione difensiva mantenendo eserciti reclutati mediante la coscrizione ob-bligatoria e basati sui principi tecnico-militari della moderna arte militare derivata dal sem-pre più diffuso impiego delle armi da fuoco, dal progresso tecnologico e dalla maggiore potenzialità produttiva dell’in-dustria bellica. È nella secon-da metà dell’Ottocento che la coscrizione obbligatoria co-minciò a mostrare i propri limi-ti a causa dei lunghi tempi di mobilitazione, di armamento e d’equipaggiamento dei nuo-vi reparti e, soprattutto, della lentezza con cui le grandi uni-tà riuscivano a raggiungere le zone di schieramento previste. Quest’ultimo aspetto si eviden-ziò particolarmente nel 1870, quando l’Esercito prussiano riuscì con sorprendente veloci-tà a schierare le proprie truppe sul fronte occidentale, pronte

a marciare su Parigi, nonostante fosse stata la Francia a di-

chiarare per prima la guerra.

Dopo il 1871, tanto il Regio Esercito italiano quanto l’Im-periale e regio Esercito au-stroungarico furono così im-pegnati nella riorganizzazione dei propri apparati di difesa. Entrambi gli eserciti dovette-ro rivedere completamente i propri organici e le proprie pia-nificazioni operative, in modo da accorciare tangibilmente i lunghissimi tempi di mobi-litazione dovuti alla notevole estensione dei propri territori, all’inadeguatezza delle linee ferroviarie, alle continue mo-difiche territoriali nazionali. In Italia fu riorganizzato il siste-ma di mobilitazione generale con la creazione di nuovi Di-stretti militari in ogni provincia del Regno; in Austria-Ungheria furono invece delimitati i circo-li di reclutamento delle truppe appartenenti all’esercito comu-ne cui furono affidati l’organiz-zazione della leva, dell’adde-stramento delle truppe e della mobilitazione generale. L’Italia, per favorire la forma-zione di sentimenti nazionali tra le reclute provenienti dai vari territori della penisola, volle formare i nuovi reparti sparpagliando i coscritti in re-gioni lontane da quelle di re-clutamento, causando evidenti problemi psicologici dovuti a spaesamento e lontananza.Simili ma nello stesso tempo più tragici furono i risultati ot-tenuti da parte austroungarica nonostante che i circoli di re-clutamento coincidessero con la zona ove le reclute erano nate e vissute e che avrebbe-ro dovuto difendere in caso di conflitto. I principali proble-mi furono determinati dalla presenza, anche nello stesso territorio di reclutamento, di etnie e religioni assai diverse tra loro, per cui ogni reparto veniva costituito proporzional-mente alle varie etnie esistenti nella circoscrizione interessa-

ta. Per far fronte all’insorgere dei problemi linguistici tutti gli ufficiali di un reggimento avrebbero dovuto parlare il te-desco e la lingua più diffusa-mente parlata nello stesso, per cui nell’esercito austroungarico si finì con l’ubbidire a comandi dati esclusivamente in lingua tedesca nei reparti austriaci ed in lingua ungherese nei reggi-menti magiari. Per quanto ri-guarda i Trentini, essi prestaro-no servizio nei reparti tirolesi, di stanza nel Tirolo meridionale che dipendevano dal Comando del XIV Corpo d’Armata di In-nsbruck, ed erano inquadrati in reparti costituiti dal 40% da tirolesi di lingua italiana e ladina e dal 60% da tirolesi di lingua tedesca. L’organizzazio-ne del reclutamento italiano fece sì che quasi la totalità dei coscritti provenienti dall’Italia meridionale prestasse servizio nel Centro-Nord; per contro gran parte dei Settentrionali era destinata invece a reparti dell’Italia Centro-Meridionale ove la presenza militare risul-tava minore. Neppure il siste-ma di reclutamento adottato dall’esercito austrungarico fu privo di effetti negative. Que-ste emersero evidenti alla fine della Grande Guerra, quando molti paesi trentini non videro far ritorno a casa intere classi di propri figli, rimasti sui campi di battaglia della Galizia. Una conseguenza riconducibile alla crudeltà della guerra, ma an-che al fatto che i coscritti ori-ginari della stessa località, non parlando il tedesco, cercavano di essere inquadrati nell’ambi-to dello stesso plotone o della stessa compagnia per sfuggire l’isolamento e la solitudine. Spesso fu così sufficiente una raffica di mitraglia nemica nel corso di un attacco per deci-mare un’intera classe di co-scritti reclutati nel medesimo paese d’origine.

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Il diritto di obiezio-ne: breve cronologia per una storia del servizio civile in Italia nel secondo dopoguerra

a cura di Rodolfo Taiani

1948: il primo gen-naio entra in vigore la Costituzione italiana. L’articolo 52 prevede che «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servi-zio militare è obbliga-torio nei limiti e modi stabiliti dalla legge». Un emendamento

presentato da due deputati volto a introdurre il diritto all’obiezione di coscienza fu bocciato durante i lavori della Costituente.

1949: viene presentato il primo progetto di legge per il riconoscimento giuridico dell’obiezione, a firma dei deputati Calosso (socialista) e Giordani (democristiano). Nello stesso anno viene con-

dannato alla re-clusione il primo obiettore Pietro Pinna, proclama-tosi nonviolento: interviene in sua difesa, fra gli altri, anche Aldo Capitini (il filoso-fo perugino pro-motore, tra l’al-tro, della prima Marcia Perugia-Assisi nel 1961) cui si sommano le pressioni inter-nazionali eserci-tate sul governo italiano.

1955: don Primo Mazzolari pubbli-ca anonimo il suo Tu non uccidere.

1961: il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, convinto pa-cifista, fa proiettare il film Non uccidere del francese Claude Autant-Lara di fronte a decine di giornalisti e di uomini di cultura. Il gesto fu clamoroso poiché la visione del film, che narrava una vicenda di obie-zione di coscienza realmente accaduta in Francia nel 1948, era stata vietata dalla censu-ra.

1963: Ernesto Balducci, pub-blica l’articolo “La chiesa e la patria” in difesa del primo obiettore di coscienza cat-tolico, Giuseppe Gozzini, di Cinisello Balsamo. Per questo scritto Balducci viene proces-sato e subisce una condanna in seconda istanza a otto mesi di reclusione con la condizio-nale.

1965: nel corso di una as-semblea dell’11 febbraio, i cappellani militari della To-scana definiscono l’obiezione di coscienza un’”espressione di viltà”. Don Lorenzo Milani interviene in difesa del diritto ad obiettare ma, soprattutto, del diritto a non obbedire acriticamente. Per questa sua posizione Don Milani sarà pro-cessato. Il 15 febbraio 1966 i giudici romani assolvono Lo-renzo Milani e Luca Pavolini, direttore di “Rinascita” sulla quale fu pubblicato l’articolo incriminato, perché il fatto non costituisce reato. Don Lorenzo morirà prima del pro-cesso di appello in cui la corte sentenzierà la condanna per Pavolini a cinque mesi e dieci giorni mentre per il priore di Barbiana l’estinzione del reato per “morte del reo”.

1965: la Costituzione Gau-dium et spes del 1965, auspi-ca leggi giuste ed umane da parte degli Stati nei confronti degli obiettori.

1966: viene approvata la cosiddetta «legge Pedini» che consente il servizio volontario internazionale nei paesi del terzo mondo valido ai fini degli obblighi di leva.

1969: centinaia di giovani residenti nella valle del Belice, la zona siciliana distrutta dal terremoto del 1968, rifiutano di presentarsi in caserma per protesta nei confronti dello Stato. Nello stesso anno si costituisce la Lega per il rico-noscimento dell’obiezione di coscienza

1971: grazie alle pressioni dell’opinione pubblica, dei movimenti pacifisti e del Parti-to Radicale, il Senato approva un testo di legge sull’obie-zione che tuttavia non viene approvato dalla Camera per lo scioglimento anticipato del Parlamento.

1972: il 15 dicembre 1972 viene approvata la cosiddetta “legge Marcora” (dal nome del deputato democristiano firma-tario di una proposta). Per la prima volta nella legislazione italiana viene accolto il prin-cipio di respingere l’arruola-mento nelle Forze Armate in nome del rifiuto delle armi e di sostituire il servizio militare con un servizio civile.

1973: si costituisce la Lega obiettori di coscienza.

1976: nelle sale cinematogra-fiche italiane si proietta il film di Marco Bellocchio “Marcia trionfale”. Per la prima volta una pellicola si occupa di vita militare e lo fa adottando quasi un registro documen-tario, cui non sono estranei intenti di energica denuncia. Questo film, successivo di soli quattro anni all’approvazione della cosiddetta legge Marco-

1972: manifestazione di obiettori a Roma in occasione della discus-sione della nuova legge sull’obiezione

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ra sull’obiezione di coscienza, contribuì a rafforzare ulte-riormente lo schie-ramento critico nei confronti dell’obbli-go del servizio di leva.

Anni settanta/anni ottanta: la legge 772/72 incontra crescenti critiche: la legge, infatti, con-figura l’obiezione non come un diritto soggettivo ma come un “beneficio” con-cesso dallo Stato a determinate condi-zioni e con precise conseguenze. Da questa impostazio-ne di fondo deriva: il potere del mini-

stero della Difesa di respinge-re la domanda di obiezione, dietro parere di una commis-sione chiamata a indagare la sincerità delle motivazioni addotte dall’obiettore (com-missione subito ribattezzata dagli obiettori “tribunale delle coscienze”); la mancanza di tempi certi per l’espletamento delle formalità burocratiche da parte dell’Amministrazio-ne della Difesa; la durata del servizio civile di otto mesi più lunga del servizio militare, con un’evidente carattere punitivo nei confronti degli obiettori; la gestione del servizio civile affidata proprio al Ministero della difesa; una notevole di-sparità nelle pene previste per i reati contro il servizio di leva se commessi da obiettori di coscienza.

1985-1997: la Corte Costi-tuzionale interviene per ben otto volte con altrettante sentenze per dichiarare l’in-costituzionalità di varie parti della legge 772/72. La prima

storica sentenza è quella del 24 maggio 1985, n. 164, con la quale la Corte riconosce la pari dignità tra il servizio mi-litare e il servizio civile. Nel 1986, la Corte Costituzionale sancisce che l’obiettore in ser-vizio civile non è assoggetta-bile alla giurisdizione militare, bensì a quella ordinaria, in quanto l’obiettore ammesso al servizio civile perde lo status di militare. Infine, nel 1989 la Corte dichiara incostituzio-nale la maggiore durata (otto mesi in più) del servizio civile rispetto al servizio militare. In pratica, grazie a questa sen-tenza, dall’estate del 1989 il servizio civile dura quanto il servizio militare (12 mesi e, a partire dagli inizi del 1997, 10 mesi).

1992: il primo febbraio il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, rinvia al Parlamento la nuova legge sull’obiezione di coscienza, approvata dalle Camere il 16 gennaio, accompagnando-la con un lungo messaggio nel quale spiega i motivi per cui non promulga la legge. Il giorno successivo scioglie il Parlamento impedendo di fatto il riesame da parte delle Camere.

1998: il Parlamento approva finalmente la legge “Nuove norme in materia di obiezio-ne di coscienza”, che viene promulgata dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi

Scalfaro l’8 luglio e pubblica-ta, col numero di legge 230, sulla “Gazzetta Ufficiale” del 15 luglio.

2000: il Parlamento approva la legge n. 331 che reca “Nor-me per l’istituzione del servizio militare professionale”. La fine della leva obbligatoria è stabi-lita a partire dal 2007.

2001: il Parlamento approva la sospensione della leva con la legge n. 64 che prevede l’”Istituzione del servizio civile nazionale”. Grazie ad essa, dopo la sospensione della leva militare, i giovani potranno continuare a svolgere il servi-zio civile da volontari, mentre nel periodo transitorio anche le donne e i riformati alla leva possono accedervi.

2001: il 20 dicembre iniziano il servizio civile le prime ra-gazze volontarie.

2004: con la legge n. 226 del 23 agosto 2004, il Parla-mento stabilisce di anticipare la sospensione della leva obbligatoria al primo gennaio 2005. Nel dicembre 2004 hanno iniziato il loro servizio civile di 10 mesi gli ultimi obiettori di coscienza. Dal pri-mo gennaio 2005 il servizio civile diventa esclusivamente su base volontaria per ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 e i 28 anni che scelgano di partecipare ai progetti di Servizio civile nazionale.

Di spalle l’obiettore di coscienza cattolico Giuseppe Gozzini

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Fonti per la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio civile in Italia presso il Museo storico in Trento

a cura diPatrizia Marchesoni e Caterina Tomasi

Il Centro di documenta-zione Mauro Rostagno presso il Museo storico in Trento ha raccolto nel corso degli anni al-cuni fondi documentari di notevole interesse per la storia del movi-mento di opposizione al servizio militare di leva e il riconoscimen-to dell’obiezione di co-scienza. Si elencano di seguito quelli principali:

Fondo Lega obiettori di co-scienza, sede di TrentoLa Loc, organismo politico degli obiettori di coscienza antimilitaristi e non violenti, si propone di pubblicizzare l’obiezione di coscienza e la possibilità di prestare un ser-vizio sostitutivo civile in luogo del servizio militare di leva.L’archivio della sede trentina è andato costituendosi a par-tire dalla seconda metà degli anni settanta quando, appro-vata la legge sull’obiezione di coscienza, anche a Trento si organizzò un gruppo locale della Lega. Vi è raccolto anche il materiale del periodo 1976-1979 in cui Trento funzionò da sede nazionale. Il fondo, pervenuto al Museo nel 1989, è arricchito anche di una pic-

cola, ma significativa bibliote-ca specializzata.Lotta antimilitaristaSempre nel 1989 è pervenu-to al Museo, tramite Giorgio Giannini, l’archivio della rivista “Lotta antimilitarista” relativa-mente al periodo in cui ebbe sede a Roma (1980-1983). Il fondo comprende i registri degli abbonati, il carteggio redazionale e altri documenti amministrativi.

Andrea GaiNel 1995 il fondo della Lega degli obiettori di coscienza si è arricchito di nuovo materiale raccolto da Andrea Gai e relativo alla proposta di riforma della leg-ge sull’obiezione (1989-1991).Luigi FaggianiIl fondo raccoglie documenti e rassegne stampa sulle Forze armate e sul movimento dei Proletari in divisa negli anni settanta.

Pietro Pinna, primo obiettore del secondo dopoguerra ad essere condannato nel 1949 alla reclusione

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Modello di domanda per l’obiezione suggerito dalla Lega obiettori di coscienza

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Erminio Zaniboni, rac-conta in modo leggero nell’appendice del quo-tidiano liberale Alto Adi-ge (numeri del 22-23 e 23-24 ottobre 1895) il primo giorno del servizio militare, quando i co-scritti arrivano in gruppo a Trento. I nuovi, – le reclute – co-

minciavano, intanto, a pre-sentarsi. Arrivavano a frot-te, a quattro, a sei, dalla Valsugana, la più parte, e dai dintorni di Trento, stra-lunati, rauchi, naturalmen-te, in borghese, alla con-tadina: con un fazzoletto bianco al collo, spiegato in modo che si potesse leg-gere, ricamato in rosso, un Addio o un Non ti scordar di me; e con un’ampia fa-scia di lana rossa o verde, cinta intorno alla vita due o tre volte. Erano preceduti, scrive Zaniboni, dall’eco dei loro canti.Va là, va là sargente,Prepara la pagnoca;Che se soldà me toca Pagnoca magnerò.

Avean percorso, dall’alba, sempre cantando – e le vene della gola s’eran fatte gon-fie gonfie – le vie principali; avean svegliato mezzo mondo a Porta Aquila, in Via lunga, in Santa Maria. Eh! vole-vano farsi senti-re, loro! E questo era il ritornello preferito:E l’è ‘ndà via sol-dà.Chi sarà mai – che piangerà!Sarà la rizzolina?Ma i cori, sul piazzale della chiesa di S. Ma-

ria, davanti alla caserma, ammutolivano sempre. E allora era la volta dei sa-luti: saluti a chi rimaneva, a chi se n’andava. – Tan-te cose al sior curato, alla morosa; alla mamma poi... S’intenerivano, poveri gio-vani!Poi entravano in caserma ed erano accolti con saluti spaventosi dai soldati più anziani. Il capitano, ac-compagnato da un tenente e due sergenti, separava le reclute dalle riserve (Er-satzreservisten) e formava le fila in attesa della visita medica.Il capitano medico si pian-ta in mezzo alla sala. Si-lenzio perfetto.“Se c’è qualcheduno che ha difetti o è ammalato” – disse il medico in cattivo italiano – “si faccia avan-ti”.Quasi tutti si fecero avan-ti... Misericordia che ospe-dale!“Ohe! incominciamo sì? fermi tutti! fermi, digo!” – Ci volle del buono a ri-stabilire l’ordine. Ora, il capitano ed il medico li passavano in rassegna, ad uno ad uno.“Ha difetti, lei?”Oh sì e chi non ne aveva? La maggior parte avevano semplicemente la febbre. Il medico che conosceva i polli e la febbre, li guariva subito, con due parole; e avanti. Chi poi accusava una ferita al ginocchio, chi un’unghia incarnata, chi un reuma in quel sito. Uno di Telve aveva le buganse. – Pove-rino! te le daremo noi le buganse! – Si imparava, così, il nome di certe ma-lattie, non registrate, cre-do, da Galeno in poi: una scavessera via per la vita, un grop sul stomech (oh quello lo avevano tutti), un

campanel nela testa. Uno delle Giudicarie asseriva di avere el sanc entenprà (il sangue rappreso).Alla fine il medico, che non rideva mai, li passa tutti abili (Tauglich, tau-glich!). Dopo la visita era pronta l’uniforme e Zani-boni nota che i più si ve-stivano in silenzio:E c’era un non so che di pietoso, di delicato, di gen-tile nel silenzio di quei gio-vani, che dovean lasciare – chi sa per quanto tempo! – il loro vestito dalle feste, quell’abito che aveva rap-presentato una parte così importante nella conquista della morosa, sul piazzale della chiesa, dopo la mes-sa cantata, nel villaggio lontano.Poi si passava alla prima istruzione: l’attenti, il ri-poso, il saluto al superio-re. Finché non veniva l’ora del rancio, il primo rancio di caserma. Uno alla volta con la gamela. Poi ancora istruzione, fino all’imbru-nire.In un angolo del cortile, quattro o cinque reclute, sorprese forse dalla malin-conica dolcezza del primo tramonto in caserma; te-nute forse dalla nostalgia dei filò, di cui l’inverno imminente dovea parer loro così ricco di promesse – canticchiavano, a bassa voce, seri seri, guardando-si negli occhi, dondolando ritmicamente il capo:Meza pagnoca al giorno...Ohimè! –Poverino me!Son soldà!...Si udivano appena. Poi era un tenore che dava l’into-nazione in falsetto:Quando sarò in Boemia...E gli altri dietro:Vestito da soldatoTe manderò ‘l ritratoColo spadino in man.

“In caserma. Bozzetto trentino” (1895)di ErminioZaniboni

a cura di Quinto Antonelli

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L’abolizione del servizio militare di leva e l’orga-nizzazione di un eserci-to di professionisti, scel-ta seguita prima ancora che in Italia, anche in

Francia, ha avviato una di-scussione più generale sul concetto stesso di patria e sul significato di servizio reso alla nazione secondo quanto enunciato nel corso del secolo scorso in base sia ai principi costituziona-li, sia alle diverse normati-ve nazionali. Fra i contributi editi si se-gnala il volume di Eric Desmons, Mourir pour la patrie? (morire per la pa-tria?), pubblicato nel 2002 dalla Presses Universitai-res de France (118 pages, € 13,42). L’Autore, nato nel 1965, è uno studioso di diritto, scienze politiche e di filosofia e insegna di-ritto costituzionale, storia delle idee politiche e teo-ria dello Stato presso l’Uni-versità di Parigi XIII e l’Uni-versità di Parigi II. Quanto segue è la traduzione dal francese di una breve nota recensiva al volume, dal ti-tolo La patrie, une valeur qui n’a plus cours (La pa-tria, un valore fuori corso), scritta da Claude Michel Cluny e ospitata sul pe-riodico Lire nel dicembre

2001/gennaio 2002.

La recente abolizione del servizio militare in Francia è alla base, almeno in par-te, della riflessione di Eric Desmons sulle relazioni esistenti fra cittadino e di-fesa della città, ossia dello Stato. Furono i Greci i pri-mi a codificare questi rap-porti e quindi ad organiz-zare la guerra, ciò almeno secondo quanto è possibi-le sapere allo stato attuale delle conoscenze storiche.Il lettore può confrontare su questo tema lo studio pre-ciso di Victor Davis Han-son, Le modèle occiden-tal de la guerre (il modello occidentale della guerra), edito da Les Belles Lettres nel 1990. Il combattimen-to degli opliti, senza eroi-smo individuale, prefigura, a sua volta, le carneficine della prima guerra mondia-le. Ci sono massacri stra-tegicamente inutili che tro-varono giustificazione nel senso civico, esso stesso erede della fedeltà al Re (dunque alla monarchia).Poi con Hobbes, ritenendo che la persona venisse pri-ma di ogni altro obbligo – la vita è il bene più prezio-so, conserviamola – l’evo-luzione delle mentalità ten-de a un doppio rifiuto: dei

doveri di fronte alla patria, e dell’arruolamento milita-re, sia di carattere generale o professionale.La patria, constata l’au-tore, non è più un valo-re riconosciuto, lo Stato e l’eroe sono caduti in di-scredito. Ma a profitto di cosa? E come assicurare la difesa dell’entità euro-pea? Infatti, nel momento in cui ci si convince dell’ar-gomento, è l’idea stessa di cittadinanza a svanire pro-gressivamente. Il senso del dovere non è stato trasferi-to in qualcosa d’altro. L’Oc-cidente è diventato per-meabile ad ogni minaccia. L’avvertimento più che uti-le di Eric Desmons richiede dunque un seguito. Nep-pure il liberalismo fondato sulle virtù pacificatrici del commercio, ha potuto sra-dicare il rischio della guer-ra. E sapere come il pote-re pervenga ad ottenere la morte pro patria resta così la grande questione della politica. La storia insegna che, al di là degli onori, ciò che agisce è la promessa di una quota d’immortali-tà riservata a colui che va a morire in combattimen-to: il suo nome resterà e vivrà nel ricordo delle ge-nerazioni future. Ma l’epo-ca attuale non garantisce più questa condizione di dovere della memoria e la Repubblica onora un milite ignoto.Nell’era delle guerre d’an-nientamento chi potrebbe rimproverare all’individuo moderno, preoccupato an-zitutto della propria vita, di considerare con distacco la figura del cittadino-soldato ereditata dalla Rivoluzione francese e scegliere dun-que di non morire?

(Traduzione di Rodolfo Taiani)

Obbligo militaree senso della patria

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Servizio militare e servizio civile: due voci aconfronto

interviste a Giuseppe Demattè e a Dario Fortindi Paolo Piffer

Due personalità che par-tono da punti di vista diversi possono arrivare a conclusioni simili. Ce se ne può accorgere leg-gendo le interviste all’al-pino Giuseppe Demattè, per una vita dirigente del Comune di Trento, attualmente presidente dell’Ana ma anche del

Villaggio del fanciullo Sos e a Dario Fortin, coordinatore generale della cooperati-va sociale Villa Sant’Igna-zio. Infatti, entrambi, pur provenendo da esperienze differenti, ritengono fonda-mentale, per i giovani, un periodo formativo. Per De-mattè era il servizio di leva. Per Fortin potrebbe essere il servizio civile obbligato-rio.

Abolizione della Leva Ob-bligatoria: “Hanno vinto le mamme”A Trento, gli iscritti all’Ana sono 24.500. In tutto il

Trentino sono ben 269 i gruppi degli alpini, una diffusione capillare e pre-sente, propria di una ter-ra di montagna. Giuseppe Demattè è il presidente Ana del capoluogo. “Fac-ciamo subito una precisa-zione”, esordisce. “In Italia la leva è stata sospesa. Per abolirla si sarebbe dovuto cambiare la Costituzione”. E lei, a questa sospen-sione del servizio militare obbligatorio era favorevole o contrario? “Come Ana ci siamo sempre opposti e non per la considerazio-ne che il servizio militare serva come addestramen-to per la guerra”. Quindi, per quale motivo? “Per un aspetto culturale della leva. Riservare un periodo della propria vita a questo obbligo ci è sempre sem-brato importante, sia dal punto di vista fisico che dei rapporti umani. Vivere insieme tutta la giornata, passando momenti difficili ed altri meno, è rilevante per la formazione di un ragazzo. Inoltre, il fatto che il militare non sia più obbligatorio, ha compor-tato anche un problema che potremmo chiamare di carattere sanitario. Mi spiego. Con la visita medi-ca obbligatoria si aveva un quadro generale, su tutto il territorio nazionale, della salute dei ragazzi di 18/19 anni. Questo screening ora manca. D’altronde, è stata una decisione democratica presa dal nostro Parlamen-to. In definitiva, noi non ne abbiamo fatto “una malat-tia”. Ironizzando, si potreb-be dire che hanno vinto le mamme”. Da alpino, come giudica la formazione di un esercito professionista? “Sono pienamente convinto che sia necessario perché i progressi tecnologici com-

portano una grande prepa-razione e specializzazione anche tra le forze armate. I compiti a cui è chiamato l’Esercito sono ormai mol-teplici e gli interventi delle forze armate italiane si di-spiegano, come sappiamo, in vari teatri mondiali”. Cosa pensa dell’arruola-mento femminile? “Non va messo in discussione. Si tratta solo di organiz-zazione. Le donne sono assolutamente capaci, in tutti i settori”. In questa situazione mutata, qual è il futuro dell’Ana? “Direi che va fatta una premessa. Quello che ci auguriamo è che, dopo il periodo di fer-ma volontaria, chi ha fatto l’alpino si iscriva all’Ana. Perché lo dico? Perché nella legge è previsto che chi voglia arruolarsi nei carabinieri, nei vigili del fuoco, nella finanza e nella polizia debba aver fatto il servizio militare. In questo modo, in molti si prepara-no a passare ad altre armi facendo, in questo caso, l’alpino, e non si iscrivono all’Ana. Penso proprio che il gran numero di richieste di arruolamento dipenda anche da questo. Staremo a vedere come si evolverà la situazione”. Nella comu-nità trentina quali sono, e saranno, le funzioni e gli scopi dell’associazione? “Oltre a quelli originari e cioè ricordare e onorare i caduti, direi proprio che la collaborazione nel settore della protezione civile è, e sarà, molto importante. E poi ci auguriamo che sia-no sempre di più gli amici degli alpini che si iscrivono all’Ana anche perché, dato che ormai si va in pensione sempre più tardi, è neces-sario che per certi compiti di volontariato si abbiamo persone in buona forma

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fisica, ope-rativi. Infine, ma non certo per ultimo, il continuare ad essere sul ter-ritorio parte integrante del tessuto socia-le. In caso di emergenza, in molti pae-si gli alpini sono una delle risorse principali sul-le quali può fare sempre affidamento l’intera comu-nità. Siamo gente che si presta senza nulla chie-dere. Certo, l ’ invecchia-mento della

nostra base porterà qual-che problema. Si dovrà cercare, in campo naziona-le, modificando gli statuti, una soluzione per poter far iscrivere all’Ana anche chi l’alpino non l’ha fatto ma ne condivide spirito e obiettivi. In definitiva, an-che noi dobbiamo tener conto dei cambiamenti so-praggiunti in questi anni e cercare di adeguarci senza per questo snaturarci. Se ci riusciremo, l’Ana avrà ancora una lunga vita”.Servizio civile: “obbligatorio per tutti”Da quando c’è il servizio

civile – prima alternativo a quello militare, ora volon-tario – il variegato mondo del volontariato ha sempre “pescato” tra i ragazzi che alla naia preferivano un anno al servizio degli altri. Dario Fortin, coordinatore generale della cooperati-va sociale Villa S. Ignazio di Trento, primo ente, in regione, nel 1975, a sot-toscrivere la convenzione con il Ministero della dife-sa, racconta come stanno andando le cose. “Molto bene perché siamo stati tra i primi a credere in questa nuova progettualità e i ragazzi, se sollecitati, rispondono ottimamente. Attualmente, da noi stan-no facendo il servizio 6 ra-gazze. Nel corso degli anni sono arrivati in collina più di 200 adolescenti tra cui il sindaco Pacher. Diciamo che abbiamo preso tutto il “buono” della passata esperienza con gli obietto-ri di coscienza mettendoci ora al servizio del nuovo progetto di Servizio civile nazionale. Va però fatta una precisa-zione. In questo momento, solo gli enti più strutturati possono permettersi di es-sere accreditati. Comunque, la ‘qualità’ del-le ragazze e dei ragazzi che stanno facendo il servizio civile è elevata”. Per migliorare, cosa si do-vrebbe fare? “Un’idea in testa ce l’ho e

mi rendo conto che è an-che un po’ provocatoria. Io sarei per rendere il ser-vizio civile obbligatorio per tutti. D’altronde, la Costi-tuzione afferma che ogni ragazzo, ma noi estendia-mo il concetto anche alle ragazze, ha il dovere di di-fendere la patria. Un concetto, quest’ultimo, che la Corte costituziona-le ha allargato precisando che la difesa non è solo quella armata ma anche civile, sociale e del territo-rio inteso come ambiente, comunità e aiuto ai più deboli. Certo, il problema è che questa proposta deve es-sere praticabile e non im-possibile. Mi spiego. Devono essere le istituzioni e il privato sociale ad at-trezzarsi e investire soldi e risorse umane per dare la possibilità effettiva a tutti di svolgere al meglio il ser-vizio civile obbligatorio”. Il futuro, come lo vede? “Il problema grosso è che, mentre le organizzazio-ni maggiori riescono ad assolvere a questi nuovi compiti, quelle più piccole rischiano la chiusura, vista anche la riduzione genera-lizzata dei fondi per il set-tore sociale. In definitiva, il futuro è molto legato alle scelte che i governi, nazionale e locali, faranno. In questo senso, il Trentino può esse-re un progetto pilota”.

ALTRESTORIE - Periodico di informazioneDirettore responsabile: Sergio BenvenutiComitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo TaianiHanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Senio Bonini, Giuseppe Demattè, Dario Fortin, Gian Piero Sciocchetti, Caterina TomasiPeriodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132 ISSN-1720-6812Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN)

Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento

Via Torre d’Augusto, 35/4138100 TRENTOTel. 0461.230482 Fax [email protected]

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INFOMUSEO

NOVITÀ EDITORIALI DEL MUSEO STORICO IN TRENTO

Sergio Benvenuti (a cura di), Un volontario nella guerra d’Etio-pia: lettere di Silvio Tomasi al padre (1935-1937) (Quaderni di Archivio trentino, 10), pp 158, euro 14,50Il volume riporta 163 tra lettere e cartoline inviate dal sottotenente Silvio Tomasi di Trento al padre Adolfo nel corso della guerra di Abis-sinia (1935-1936) e nel periodo successivo, fino al maggio 1937, a poche settimane dal suo ritorno in patria. Questi scritti documentano con continuità ed efficacia non sol-tanto i fatti di guerra, ma anche la mentalità di un combattente volon-tario della borghesia trentina: uomo affettuosamente legato al padre al quale confida sinceramente i suoi stati d’animo, altalenanti tra l’entu-siasmo nazionale alimentato dall’in-tensa propaganda di guerra e il desi-derio realistico di ottenere, a guerra finita, un posto sicuro e un avanza-mento di carriera nell’esercito.Quella di Tomasi fu una vita breve, intensa, travolta nella spirale di vio-lenza della guerra coloniale e della successiva guerra mondiale, che lo vide per breve tempo sul fronte occidentale e poi in Russia: vita ter-minata tragicamente nel forno cre-matorio di un campo di concentra-mento nazista.

Rodolfo Taiani (a cura di), Una storia fatta a persona: contributi per un dizionario biografico tren-tino del XX secolo (Quaderni di Archivio trentino, 11), pp. 224, euro 16,00Nel volume sono raccolti dieci contributi relativi ad altrettanti personaggi trentini che vissero nel XX secolo. L’obiettivo è quello di contribuire nello sguardo d’insie-me a svelare legami, contiguità, discontinuità e concatenazioni in un tessuto di eventi assai più ricco e articolato di quanto i singoli sag-gi possano permettere di intuire o la delimitazione di un’area geogra-fica consentire.Il risultato complessivo non è omo-geneo, poiché diversi sono gli ap-procci seguiti dai vari autori. Non manca, tuttavia, unitarietà nella misura in cui ognuno d’essi appor-ta il proprio tassello di conoscenza alla lettura di un secolo contras-segnato da cambiamenti rivoluzio-nari e contraddizioni dirompenti. I ritratti proposti sono quelli di Piero Agostini, Gigino Battisti, Elsa Con-ci, Enrico Conci, Alfredo Degaspe-ri, Giuseppe e Vittorio Gozzer, Aldo Pantozzi, Flaminio Piccoli, Giovan-ni Pedrotti e Luigi Pigarelli.

Volti di un esodo (DVD, progetto me-moria, 3), euro 21,50 (regia: Loren-zo Pevarello; interviste: Elena Tonez-zer e Lorenzo Pevarello; consulenza storica: Elena Tonezzer ricerca ma-teriale d’archivio: Riccardo Pegoret-ti; segreteria di produzione: Matteo Gentilini; produttore esecutivo: Pa-trizia Marchesoni; durata: 51’). Le testimonianze che compongo-no il video costituiscono altrettanti frammenti di discorsi e memorie raccolti nel corso della campagna di venticinque interviste realizzate con alcuni di coloro che, all’indomani della seconda guerra mondiale, la-sciarono l’Istria e la Dalmazia, per trasferisi definitivamente fuori dai propri paesi d’origine. Molti fra loro arrivarono anche in Trentino-Alto Adige e sono i bambi-ni di allora, ormai diventati adulti, i testimoni che, a distanza di oltre cinquant’anni, raccontano le loro storie personali, le emozioni, la no-stalgia e il loro arrivo in una realtà geografica e sociale nuova, per tanti versi estranea, se non propriamente ostile.Il video è stato realizzato con il con-tributo della Provincia autonoma di Trento-Servizio attività culturali-Progetto memoria per il Trentino.

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(1895-1965). MATERIALI PER UNA BIOGRAFIASEMINARIO DI STUDITRENTO, 4 NOVEMBRE 2005

Elsa Conci (1895-1965): materiali per una biografiaIl Museo storico in Trento e l’Istituto Luigi Sturzo di Roma hanno organizzato con il sostegno della Provincia auto-noma di Trento-Servizio Attività culturali-Progetto me-moria per il Trentino un seminario di studi su Elsa Conci. Fabrizio Rasera (Tradizione politica e tradizione famiglia-re: dalle carte dell’Archivio Conci), Francesco Malgeri (Gli anni del centrismo), Cecilia Dau Novelli (Elsa Conci e il movimento femminile della Democrazia cristiana) e Maurizio Gentilini (Le fonti archivistiche per la storia del-la Democrazia cristiana) hanno animato l’incontro con-tribuendo a tratteggiare un primo profilo umano, politico ed intellettuale di un personaggio spesso costretto nel-l’ombra della più nota figura paterna. L’iniziativa è stato accompagnata da alcuni momenti di commemorazione ufficiale culminati nello scoprimento di una lapide sulla casa Conci in via SS. Trinità, 5 a Trento.

Le carte e i libri di Piero Agostini al Museo storico in TrentoNel corso della cerimonia di premia-zione della terza edizione del premio «Francesco Gelmi di Caporiacco», de-dicato a Piero Agostini, già direttore de l’Adige e de Il corriere di Brescia, il fi-glio del giornalista, Angelo Agostini, ha consegnato ufficialmente al direttore del Museo storico in Trento, Giuseppe Ferrandi, l’archi-vio del padre. L’operazione si inserisce nell’ambito della collaborazione fra Associazione Gelmi e Museo storico in Trento finalizzata al recupero, alla salvaguardia, e alla valorizzazione dei fondi documentari utili ad una storia della stampa periodica e del giornalismo in territorio trentino-tirolese nei secoli XVIII-XX e che ha già registra-to il deposito presso il Museo storico in Trento dell’archi-vio fotografico del giornale l’Adige e in precedenza della biblioteca stessa di Piero Agostini.

Dialogo sull’autonomia con Lorenzo DellaiIl Museo storico in Trento ha orga-nizzato il 21 ottobre 2005 un’ini-ziativa pubblica sul tema “Dialo-go sull’autonomia: radici storiche e presente”. L’incontro, introdotto da Giuseppe Ferrandi, ha tratto spunto dalla presentazione di Fa-bio Rugge del volume «Le radici dell’autonomia: conoscenza del territorio e intervento pubblico in Trentino (secc. XVIII-XX)» a cura di Luigi Blanco (Milano, Ange-li, 2005), per coinvolgere nel dibattito sul presente il presidente della Provincia Lorenzo Dellai e il qualificato pubblico intervenuto per l’occasione.

Era tutto Michelin: memoria di una fabbricaCon il marchio “Progetto Memoria per il Trentino” il Mu-seo storico in Trento e la Provincia autonoma di Trento hanno prodotto un documentario sullo stabilimento Michelin di Trento che nel 1930, in un’area lungo la sponda del fiume Adige, avviò l’attività produttiva per la fabbricazione di filati di cotone destinati alla confezione delle coperture dei pneumatici. Dopo quasi settant’anni nel 1997 l’attività venne chiusa: prima con lo smatella-mento dello stabilimento di viale San Severino e il suo trasferimento a Spini di Gardolo e poi con la recente definitiva chiusura anche di quest’ultimo.Il documentario, realizzato da Vincenzo Mancuso e Fran-cesco Tabarelli, è basato sulla raccolta di 35 testimo-nianze a operaie e operai, quadri e sindacalisti raccolte a cura del Museo storico tra il 2004 e il 2005 ed inoltre su documentazione filmica prodotta dal Sindacato Cisl negli anni sessata e settanta, ed ora depositata presso il Museo storico, e su materiali filmici provenienti dall’Ar-chivio del movimento operaio e democratico di Roma. Scorre nel video la storia della Michelin che per molti rappresentò la possibilità di lavoro e quindi alternativa all’emigrazione, e nello stesso tempo fu un luogo sim-bolo, memoria di un pezzo di storia sociale di Trento, perché da qui partirono molte battaglie sindacali che furono di esempio per altre realtà industriali trentine.Il documentario, della durata di 62’, è stato presentato per la prima volta a Trento, al Teatro San Marco il 19 dicembre 2005.

Scrivere agli ido-li: IX seminario dell’archivio della scrittura popolare Numerosi studio-si si sono confron-tati nell’ambito del nono seminario dell’Archivio del-la scrittura popo-lare sulla pratica di “scrivere agli ido-li” quando il disco a basso prezzo, la televisione, la radio, i juke-boxes portano dappertutto l’immagine e la voce dei nuovi giovani cantanti e sul ruolo centrale della televisione e della musica leggera nella costruzione della moderna cultura di massa (e del-le sue mitologie). In questo modo sono stati così tocca-ti la scrittura della gente comune (una scrittura di mas-sa, spontanea, trasversale), l’emergere di nuovi bisogni simbolici, l’irruzione del moderno in comunità tradizio-nali, il nuovo protagonismo dei giovani che trovano nel-la musica forme inedite di linguaggio e di identità. Il seminario è stato organizzato con la collaborazione del Laboratoire d’anthropologie et d’histoire de l’institution de la culture di Parigi (LAHIC) e dell’Alma Mater Studio-rum Università di Bologna, Polo Scientifico Didattico di Rimini, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Culture e tecniche del costume e della moda.

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1�ERA TUTTO MICHELIN

memorie di una fabbrica

un film documentario di Vincenzo Mancuso e Francesco Tabarelli