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Inizio del lavoro per il prossimo libro. Dali scrive, in ... Cerchio/Opera Omnia 23 Volumi... · Il volume, che non è mai stato ... Il Cerchio Firenze 77 . 3 ... “vero” si chiama

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Inizio del lavoro per il prossimo libro. Dali scrive, in ufficio, la seguente presentazione.

Scritto per “Dai mondi invisibili”; nel libro risulta modificato.1

Ai lettori.

Certamente molti si chiederanno che utilità può avere un altro libro sui fenomeni medianici dopo

tante opere analoghe, fra le quali non poche che si propongono di trattare la materia da un punto di

vista scientificamente rigoroso e perciò più adatto ai tempi nei quali viviamo, anche se in realtà la

scienza ufficiale ignora questo campo di indagine. Il fatto è che leggendo quelle opere, mentre si

torna inevitabilmente a fenomeni ormai noti, accaduti nella migliore delle ipotesi decine di anni fa, ci si

rende conto che esse finiscono col togliere ai fatti quella spontaneità e quel contenuto umano che

probabilmente ne costituivano la vera ragione. D’essere, in cambio di una produzione che non va

oltre una narrazione distaccata e fredda, fine a se stessa.

Tanto vale, allora raccontare i fatti come sono accaduti, con tutte quelle annotazioni umane

necessarie a focalizzarli, lasciando che si facciano giustizia da soli, certi che i nostri lettori non hanno

bisogno di qualcuno che giudichi per loro.

Un’altra ragione che ci ha spinto a raccontare questo caso di medianità si è determinata

osservando che generalmente le medianità sono tipiche: infatti è raro che fenomeni fisici si

accompagnino a comunicazioni intellettive di un certo rilievo o viceversa. Qui, invece, siamo di fronte

ad una medianità a larghissimo spettro e che tale si mantiene nel tempo.

Pensiamo che l’aspetto poliedrico del fenomeno debba essere segnalato ed abbia la possibilità di

interessare più persone.

Quanto il lettore può trovare qui è una parte di quello che abbiamo osservato ed ascoltato in

trent’anni di sedute.

Le annotazioni, presentazioni, riassunti scritti in corsivo sono opera nostra: tutto ciò che è scritto

nel normale corpo di stampa è stato ripreso direttamente e letteralmente dalle registrazioni sonore

delle comunicazioni medianiche.

Tanti sono i fatti ed i messaggi che per ragioni di spazio non abbiamo potuto includere nel

presente volume.

Tra l’altro non vi sono comprese le esperienze strettamente personali che ciascuno di noi ha

avuto; quelle che colpiscono e più convincono dell’esistenza di una realtà tale e quale i nostri

interlocutori ce la prospettano.

E nella parte che tratta dei messaggi ricevuti, la selezione è andata a discapito soprattutto dei

concetti meno accessibili: quelli che illustrano come la realtà che ci appare proteiforme sia in effetti

unica ed immutabile.

Tutto ciò è, invece, gradualmente e dettagliatamente esposto in una raccolta delle comunicazioni

che abbiamo intitolato “Sintesi”. Il volume, che non è mai stato in vendita, potrà essere stampato se

1 Nota apposta sul ciclostilato della signora Nella Bonora.

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interesserà ad un certo numero di persone.

Questo perché intendiamo che al di là dell’interesse al fenomeno, il messaggio recato dai

comunicanti possa essere utile per il suo valore intrinseco che non è certo da sottovalutare.

Può sembrare strano che in un’epoca di razionalità e di concretezza si scriva di cose che non

sembrano utili per la società. Siamo convinti che l’eccessiva razionalità che non lasci posto

all’elemento umano finisca col divenire crudele e col soffocare i portati dell’uomo se il singolo non

prende coscienza di se stesso e di ciò che può rappresentare nella collettività.

I messaggi dei nostri misteriosi interlocutori hanno tutti quest’ultimo fine di affrancare l’uomo dalla

propria ignoranza, dalla paura dell’ignoto, dall’erronea visione di se stesso al centro di una realtà

caotica ed apparentemente senza scopo.

La possibilità di ritrovare il senso di ciò che siamo e che facciamo, non già affermando che il

valore di tutto sta in una vita oltre l’umana, ma comprendendo l’importanza del presente e perciò della

nostra attuale esistenza, crediamo renda degno di attenzione qualunque messaggio dato con questo

scopo.

Circa il raggiungimento di questo intento e quindi l’utilità della pubblicazione, siamo consapevoli

che la nostra fatica di selezionare e sintetizzare trent’anni di sedute non può essere immune da difetti,

ma siamo confortati dalle parole dei nostri interlocutori e cioè che se questo libro fosse utile anche ad

uno solo dei lettori, ciò basterebbe a giustificarlo.

Non ci resta altro da dire se non augurare una buona lettura.

Il Cerchio Firenze 77

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19 Dicembre 1974

La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.

Eccoci nuovamente riuniti. Riuniti – noi confidiamo – nella ricerca della verità, animati da uno

spirito di analisi, da una volontà di approfondire, di vedere il vero. Voi siete consapevoli che questo

“vero” si chiama “insieme di punti di passaggio” che di volta in volta aprono nuovi orizzonti. È come

colui che è intento a camminare lungo un sentiero e di tanto in tanto si volge indietro a guardare i

luoghi che ha lasciato; così voi, di tanto in tanto, ripensate a quello che credevate prima di avere

raggiunta ed ampliata una verità e quasi – da quella che dovrebbe essere stata superata – siete tratti

indietro, quasi come se un senso di nostalgia vi impedisse di abbandonare il vecchio punto di vista, di

lasciare l’approdo che fu di salvezza ieri, di tentare nuove strade, nuove mete, di azzardare cammini

ulteriori. Ma noi siamo qua per questo. Non per incitarvi a rimanere cristallizzati sulle vostre

convinzioni, su ciò che credete, ma per distruggere giorno per giorno ciò che voi credete. Questo

significa “nascere ogni giorno”. Questo significa “rinnovarsi costantemente”. E come potrebbe essere

diversamente? Cristallizzarsi è morire, segnare il passo, chiamare il dolore perché rompa la

cristallizzazione, perché doni comprensione, quella che manca. Ecco perché vi diciamo: «Siate nuovi

ogni giorno…», ecco perché siamo qua.

Abbiate dunque il coraggio di lasciare quei concetti che possono essere stati, per voi, di conforto

ai quali vi aggrappate per valorizzare la vostra sofferenza, la vostra vita, che costituiscono – credete –

sangue del vostro sangue, carne della vostra carne. Siate pronti a ricevere il nuovo, liberi, pensando

che questo è il vostro preciso dovere, è quello che dovete fare. È lo scopo delle nostre riunioni.

È giusto che voi facciate il punto per chiarire le idee, ma quando si fa il punto, si fa un bilancio, si

tirano le somme come si usa dire, bisogna avere coraggio; non affezionarsi a niente, vedere – direi

cinicamente – che cosa alla luce delle nuove analisi, delle nuove posizioni raggiunte, è ancora valido

e che cosa è superato. Quello che c’è di bello e che può agevolarvi è che ciò che è superato non lo è

in senso assoluto. Intendo dire che non vi è mai contraddizione fra ciò che vi diciamo

successivamente e ciò che vi avevamo detto , ma sempre e solo ampliamento, approfondimento.

Quindi non si tratta, in definitiva, di rifiutare “in toto” certe verità che noi vi avevamo dette – a meno

che voi non le aveste mal comprese – si tratta di approfondirle, di vederle da una nuova luce più

ampliata. Certo che se un concetto è stato da voi mal compreso – perché questo può accadere –

allora, se è stato svisato, occorre abbandonarlo nell’approfondimento perché se ne scopre la falsità, il

senso falsato. Ma quando così non è, ciò che voi venite a conoscere vi amplia ciò che conoscevate

ed il quadro che si presenta di fronte ai vostri occhi deve sempre di più lasciarvi stupiti ed ammirati.

Questo è ciò che possiamo fare allo stato attuale delle vostre conoscenze. Un giorno questo quadro,

sempre più precisato, sempre più completo, non desterà più stupore ed ammirazione, ma sarà

capace di far fluire in voi stessi spontaneamente il “sentire”. Stato interiore chiamato in molti modi

(non ha importanza) ma che non può essere descritto: solo sperimentato.

Vi lascio momentaneamente.

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Pace a voi.

Dali

Manifestazione della mamma di Evo de Ciutiis.

Alberico. Alberico fu il mio nome, ma il mondo mi conobbe come Carlo Eugenio de Focauld. Non

si ha idea di come possa essere complesso il reale nel quale viviamo. Per tanti secoli gli uomini si

sono scervellati a pensare come poteva essere l’altro mondo; chi lo immaginava nelle profondità della

terra, chi nelle altezze celesti e nessuno, per le loro deficienti conoscenze, poteva immaginare che

tutto esiste compenetrato. Questa è un’affermazione in senso assoluto perché quanti mondi esistono

assieme! Avete mai meditato questa verità? Pensate: il vostro mondo è tanto vasto, il vostro

personale. E quello di chi vi sta accanto è un altro mondo altrettanto vasto come il vostro e quanti

sono i mondi che sono l’uno appresso all’altro! Quante forme di esistenza! Le forme vegetali, le forme

animali, le forme umane. Ed ogni specie conta milioni e milioni di mondi individuali, di sfere che

contengono realtà soggettive: microcosmi. E pure noi stessi come uomini siamo più mondi. Pochi

come me, nell’ultima incarnazione, hanno sperimentato questa verità, pochi. Un mondo che

improvvisamente cambia totalmente fisionomia, eppure chi mi conosceva continuava a chiamarmi

con lo stesso nome. Per questo scelsi il silenzio convinto che, forse, al punto attuale della nostra

esistenza in effetti fra noi non c’è comunicazione. Noi crediamo di conoscere i nostri simili, ma non è

così. Solo in un futuro, in una futura forma di esistere di noi stessi conosceremo il nostro prossimo.

Allora, non ora.

Vi lascio ma spero di tornare. Pace.

Charles-Eugène de Focauld

Salve a voi.

Sono belle queste conversazioni quando interessano la maggior parte di voi, quando diventano

generali. C’è solo una risposta: in assoluto non esiste che l’Assoluto. Tutto il resto, che non sia

Assoluto, non può che essere relativo e quindi illusorio allo stesso modo.

Interessante anche l’altra domanda, quella che ha rivolto la figlia Anna, perché apre la strada a

nuovi approfondimenti, in particolar modo su quel piano di esistenza che da tempo cerchiamo di

prospettare alla vostra immaginazione. Immaginazione!

Quando Dio cacciò Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre dopo aver condannato l’intero genere

umano alla fatica e al dolore, fu colto dal dubbio di essere stato un tantino severo e pensò di

rimediare facendo agli uomini un dono. Egli disse: «Quando i giorni vi attenderanno l’uno dopo l’altro

con il loro carico di fatica e di monotonia, quando umiliati dai potenti sarete costretti a servirli, ad

imbandire le loro tavole cibandovi delle briciole che da esse cadranno, quando chinerete la testa nella

pronta condiscendenza di chi può permettersi solo di assentire, quando vi percuoteranno e voi

dovrete sorridere perché non potrete fare altro, ecco allora io vi manderò in soccorso

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l’immaginazione». Immaginazione! Magica facoltà. È il sale della Terra, il colore del mondo. Che

cos’è la vita senza l’immaginazione? Una realtà senza poesia, un sonno senza sogni, la morte. Chi

potrebbe sopportare una vita di fatica e di stenti se non potesse immaginare di essere un Re? Chi

resisterebbe alle situazioni più disperate e senza via d’uscita, se non potesse evadere sul filo della

fantasia con l’immaginazione? Eccola l’amica dell’uomo, colei che lo riscatta da un’esistenza brutale e

lo cinge del serto dei poeti! È lei che abbellisce la vita, lei che nutre l’arte e crea le civiltà, perché è

potere creativo. Che cos’è il genio se non immaginazione controllata dalla ragione? Gli uomini privi di

immaginazione non compiono mai nulla di bello perché non sanno andare oltre la pochezza del loro

essere.

Ma tanta benedizione non poteva essere data all’uomo se non avesse potuto trasformarsi in una

droga pericolosa. L’immaginazione è come una lente che ingigantisce la visione di chi vi guarda

attraverso; se la si usa abitualmente non si sa più distinguere la realtà concreta dalla fantasia. E chi la

adopera senza controllo, è come se cavalcasse un indomito cavallo senza redini e senza speroni.

Tutto ciò che essa immagina lo crea e ciò che è creato esiste anche se solo nella mente. In questo

modo rende credibile ciò che non lo è e per questo molte delle cosiddette tragedie della gelosia in

effetti non sono che tragedie dell’immaginazione. Se con essa guardate i vostri simili, potete farne dei

Santi o degli assassini e quando la associate al richiamo sessuale che qualcuno esercita su di voi,

cadete perdutamente innamorati. Chi può dire la vera grandezza di Carlo Magno o di Giulio Cesare? I

divi divengono idolatrati quando riescono a colpire l’immaginazione delle folle.

Immaginare è sinonimo di inventare ed inventare può voler dire ideare o mentire. Qual è la regola

esatta per usare l’immaginazione? L’immaginazione non va adoperata nei confronti dei propri simili

né delle relazioni che con essi si hanno perché potrebbe trarre in inganno: ma è preziosa nella

comprensione della realtà. Sì, perché l’immaginazione non appartiene alla fantasia, ha fini pratici.

L’animale che trova sbarrata la strada che lo conduce al cibo, muore di fame se non immagina un

percorso diverso. Quale delle scienze applicate e perfino delle scoperte scientifiche non dobbiamo

all’immaginazione? Voi vivete in un’epoca di grande progresso scientifico, eppure siete dei

rinunciatari nei confronti dell’immaginazione. La creatività dell’uomo medio di questa civiltà sta nel

seguire la moda, nell’imitare le azioni altrui; perfino il lavoro non è che una ripetizione meccanica di

operazioni che nulla lascia all’inventiva del singolo. Beati coloro che possono abbellire la loro

esistenza con qualcosa che viene da loro stessi, dalla loro creatività intesa non come operosità ma

come inventiva! Tuttavia molte volte anche chi ha questa possibilità non la mette in atto proprio per

mancanza d’immaginazione. L’immaginazione è una facoltà superiore della mente che vi aiuta ad

ipotizzare una realtà nella quale i fatti che accadono nel mondo che vi circonda trovano una logica

collocazione, ma soprattutto una convincente spiegazione. Una siffatta realtà è sempre stata

ipotizzata, ma nessuno ha mai saputo vederla nella sua interezza perché nessuno ha mai saputo

immaginare nella misura necessaria.

Quando noi vi parliamo di questa verità da noi conosciuta per esperienza diretta, contiamo sulla

vostra immaginazione. Questa sola può essere mediatrice di un colloquio fra noi e voi. Mediatrice

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della comprensione del mondo nel quale vivete, mondo in cui nulla veramente è come appare. Noi

stimoliamo la vostra immaginazione, ma questo non significa che vi invitiamo a fantasticare.

Fantasticare è cavalcare l’ippogrifo dei poeti senza tener conto dell’orientamento. Immaginare è

congetturare, ideare, partendo da dati concreti. Il vostro mondo non è che immaginazione della realtà

che vi circonda, perfino la visione ottica è immaginazione. Voi ricostruite nella vostra mente gli oggetti

con l’immaginazione. Senza l’immaginazione la percezione degli stimoli luminosi non si tradurrebbe in

immagini e non vi sarebbe comunicazione a meno che non vi fosse “comunione”. Attraverso

all’immaginazione voi vedete. Le immagini, dal cervello fisico, passano al corpo astrale, da qui nella

mente in cui sono ricostruite con l’immaginazione: da qui la comunicazione. Dal grossolano al sottile,

dunque.

Mentre con l’intuizione la via è opposta. Nell’intuizione è la comunione della parte più sottile del

vostro essere con una realtà che vi dà la consapevolezza di essa.

Se dunque noi dobbiamo parlare dell’esistenza successiva a quella attuale, noi dobbiamo parlare

di intuizione. Ma solo un uso controllato e ragionevole dell’immaginazione può aprirci a questa

esistenza successiva.

E con questo – avendo detto la cosa per voi più importante – posso terminare il mio panegirico

sull’immaginazione.

Pace a voi.

Kempis

Per più popoli una prova dolorosa di lutti e sangue. Pregate.

Entità Ignota

Prima di lasciarvi e darvi appuntamento fra un mese, se avete delle domande da rivolgerci,

cercherò di rispondervi.

Partecipante – Vorrei sapere che differenza c’è fra Scintilla Divina – cioè l’Assoluto – nell’uomo, e la

Scintilla Divina – cioè l’Assoluto – in Cristo.

Dali – Nessuna, assolutamente. Infatti noi abbiamo chiamato queste Scintille Divine un illusorio

frazionamento dell’Assoluto. Quando parla – ammesso che ciò sia possibile – la Scintilla Divina, parla

l’Assoluto. Parla per tutti nello stesso modo, parlerebbe per tutti nello stesso modo.

Partecipante – Scusa, vorrei sapere, per quella che è la possibilità di comunicazione dei mondi, di

“sentire” sul piano akasico; è una comunicazione intuitiva?

Dali – Certo. Kempis ha lasciato alla vostra immaginazione la risposta, ma chiaro. Comunque questo

argomento sarà ancora approfondito, se a voi interessa.

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Partecipante - …

Dali – Posso solo assicurarti il mio aiuto ed esortarti a non fantasticare. Cioè non pensare che sia più

brutto di quanto in realtà sia o possa essere. Non so se sono stato sufficientemente chiaro.

Partecipante – … Sul Cristo, emanato da Dio, senza necessità di reincarnazione… Anche negli

uomini la Scintilla Divina non si può reincarnare… Questo non capisco…

Dali – Appunto, dovete tenere presente ciò che era detto in passato, anche da noi, in una forma

velata e che costituiva una verità punto di passaggio – delle quali prima vi parlavo – come quella della

nascita virginea di Cristo e della Sua evoluzione raggiunta in modo diverso dalla vostra. Questo

volevamo significare. Approfondendo, oggi voi sapete: cioè la manifestazione della divinità che è in

ognuno di noi, nella persona umana Gesù. Certo che l’Assoluto non ha bisogno di reincarnazione, è

chiaro questo. Ma quando la figlia Zoe si reincarna, si reincarna tutto l’individuo Zoe il quale

s’incentra, fa capo, ad un illusorio frazionamento dell’Assoluto o Scintilla Divina. Allo stesso modo è

avvenuto per la personalità Gesù che ha seguito varie incarnazioni. Spesso, o direi più volte, nelle

incarnazioni umane di questa personalità che una volta si è chiamata Gesù, un’altra volta si è

chiamata Ananda, un’altra volta si è chiamata Koot-Hoomi – e in modo ancora diverso si chiamerà –

si è manifestata la Scintilla Divina sulla quale questa individualità gravita. Quindi non vi è evoluzione

della Scintilla Divina, ma unicamente della personalità che ha mutato tutte queste vesti terrene.

Partecipante – Stasera è stato detto qualcosa sull’agopuntura. Io vorrei chiedere dell’ipnoterapia.

Può essere utile o vi sono delle controindicazioni significative?

Dali – L’argomento è molto vasto, non si può trattare in poche parole. Può essere utile se fatto in

modo giusto. Del resto quello che vi ha detto Alan conferma quello che io vi dico. Naturalmente ogni

cosa poi può dare dei danni se non è fatta in modo giusto. Il principio è buono, resta a vedere come si

attua questo principio.

Partecipante – Scusa, cosa mi puoi dire di Baha’H’llah?

Dali – Sono tutte Entità che presiedono e portano presso certi popoli, certe sotto razze, certe razze,

messaggi nuovi di spiritualità. Certo io non intendo formulare un giudizio su questa personalità e

sull’insegnamento. Certo che visto da differenti posizioni, può sembrare strano quello che viene

insegnato. Può sembrare a volte molto bello, molto profondo, molto adatto anche alla nostra

mentalità; altre volte può semrare ridicolo, ma tutto deve essere ricondotto ad un giudizio di quei

popoli, di quelle nazioni, di quelle mentalità per cui ciò che può sembrarci ridicolo può in effetti invece

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costituire un grandissimo passo avanti per quelle genti.

Partecipante – Ci è stato parlato questa sera del “linguaggio”. Puoi darci un chiarimento su quello

che è stato detto? Su quella che è la funzione del linguaggio, o quella che può essere la necessità di

una scelta. Comunicare o no?

Dali – Vedete, anche qui vi sarebbe tanto da dire. Noi consigliamo sempre a comprendere gli altri,

anche se questa comprensione può essere dolorosa, può contrastare con i nostri punti di vista, con

ciò che noi crediamo. Noi consigliamo sempre di comprendere gli altri intendendo, per “comprendere”

non un acquiescenza passiva di ciò che gli altri credono, un accontentare le loro pretese per portare il

buon per la pace, non questo. Comprendere veramente gli altri, perché parlano, pensano in quel

modo. Comprendere vuol dire amare, vuol dire anche, cioè, cercare – se loro non sono nel giusto, se

errano – cercare di portarli verso la giustizia, verso la verità. Si potrebbe obiettare a questo, e

chiedere qual è la giustizia e qual è la verità. Non parliamo di giustizia e di verità assolute, ma quelle

che ai nostri occhi, agli occhi dell’uomo onesto, retto, di buon senso appaiono tali. Sono tutti punti di

passaggio – dovete comprendere questo – ma sono necessari. Allora comprendere gli altri significa

“vedersi negli altri” e cercare di farsi amare dagli altri, perché è molto più importante comprendere che

essere compresi: è importante amare più che essere amati. Ma molte volte, quando si ama

veramente, si è anche amati perché si riesce a farci comprendere ed a comprendere…

Tante altre cose vi sarebbero da dire in senso generale, in senso particolare, ma a suo tempo

non ci mancherà l’occasione. Vi benedico.

Partecipante – Scusa, per Valeria, questa bambina… Posso dare una speranza?

Dali – Ogni cosa al momento giusto. Certo, a suo tempo.

Partecipante – …

Dali – Parlatene assieme. Intendo dire questo: siamo ben lieti di aiutare anche altre creature più

bisognose dal lato affettivo. Ma quante potremmo aiutarne? Vorrei che voi ci deste una mano in

questo senso. Non rimettete tutto a noi. È l’ora che anche voi agiate.

Partecipante – Scusa, sentendo Entità che si manifestano attraverso altri medium noto una

differenza. Quello che mi fa più impressione è sentire che ci sono evoluzioni anche senza la vita,

senza l’incarnazione. Cosa intendono dire con questo? Forse gli Spiriti Elementari?

Dali – Bisognerebbe domandarlo a loro…

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Partecipante – Posso chiedere come sta Carlo Vigo?

Dali – Oh, una creatura di animo così sensibile e sottile, e spirituale, non può che stare molto bene!

Partecipante – Grazie.

Dali – Vi benedico tutti.

Partecipante – …

Dali – Direi di no. Vi benedico e vi abbraccio tutti. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Cercate da queste riunioni di trasfondere in voi la forza che esiste: sintonizzatevi con queste

forze, figli! Le porterete con voi, vi assicuro.

Pace a tutti voi.

Dali

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16 Gennaio 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Il nostro saluto e la nostra benedizione vi seguono

costantemente, o figli.

Voi siete qua riuniti, o cari, veramente in modo fraterno, veramente nel nome della verità, della

comprensione di cose che sfuggono normalmente agli uomini. Su questo lato non conosciuto della

realtà che sta di fronte agli uomini, tante cose si sono dette, tante congetture si sono fatte, ed era

inevitabile che anche chi avesse avuto delle intuizioni, le più possibili, le più vicine alla realtà di ciò

che è, al momento poi di tradurle in parole ne facesse delle visioni soggettive, delle esposizioni viziate

da imprecisioni.

Noi certo non siamo alieni da queste imprecisioni perché la realtà di ciò che è può essere solo

sperimentata: nel momento che la si traduce in parole non è più quella. Ciò non di meno ci sforziamo

di arrivare in modo più preciso possibile, o a commettere il minor errore. Ma se il nostro compito fosse

quello unicamente di esporre, senza interessarci di quanto voi ci seguite, sarebbe ben sterile, ben

fredda la nostra opera. Noi vogliamo che quello che vi diciamo sia da voi recepito, sia tradotto in voi

stessi, diventi parte di voi stessi, o figli. Altrimenti, come tante volte vi abbiamo detto, le nostre non

sarebbero che parole, che suoni, forse gradevoli a sentirsi, ma non varrebbero certamente lo scopo

per il quale sono dette.

Oh figli, questa sera vi è stato parlato di un mezzo, dalla figlia Tina, che serve ad aiutare le

creature. Voi avete fatto anche l’ipotesi che questo mezzo possa diventare un sistema per dare delle

cattive abitudini, ma questo non ha nessuna importanza; quello che conta non è, non si può misurare

dal risultato. L’aiuto che si può dare non è tanto importante per il risultato, non è prezioso per quello,

figli cari, ma è prezioso perché discende dall’intima intenzione che ha chi aiuta. Quella è la cosa

preziosa e meravigliosa. Così possiate voi avere nell’intimo vostro il desiderio di essere d’aiuto agli

altri. Questo è importante. Cominciate, come ho visto, ad essere voi stessi parte di quello che noi

facciamo; cominciate a diffondere attorno a voi quello che avete ricevuto. Fate sorgere nell’intimo

vostro questa volontà, questo desiderio, questo è importante.

Io vi auguro con tutto il cuore che questo piccolo fiore che vediamo germogliare in tutti voi, “il

desiderio di essere utili ad altri”, possa non essere soffocato dagli affanni della vita di ogni giorno.

Ricordate, figli, (ormai queste sembrano frasi appartenenti alla retorica), basta l’essenziale, il

sufficiente per vivere; non createvi delle preoccupazioni per vivere meglio, per volere di più, per

accumulare di più, per apparire di più, se queste possono distruggere la vostra tranquillità e questo

fiore di cui ora vi parlavo.

Vi benedico e abbraccio tutti.

Dali

Il mio nome fu Domenico Biondi, ma in vero ero nero come un corvo. Certo io non so perché

vengo qua da voi, ma quello che ho da dire penso che possa interessare. Io fui un profondo

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ricercatore dei meccanismi biologici del corpo umano. Biologici in generale, ma, in particolare,

istologici del corpo umano. Ecco, il desiderio di conoscere ch’io avevo fu così forte per me che

quando lasciai il mondo dei viventi volli continuare a studiare per approfondire quello che avevo

intuito. Quante volte i ricercatori sono prossimi alla verità eppure se la lasciano sfuggire! Oggi fervono

approfondite ricerche su virus e su malattie che gli uomini temono perfino a nominare. Ebbene, vi è

una sostanza così semplice, alla portata di tutti, conosciuta dalla scienza, che è nemica di gran parte

dei virus e quindi può essere preziosa nelle forme tumorali che da questi virus vengono.2 Si tratta

dell’emetina, a voi forse sconosciuta ma esiste: tre milligrammi in dieci centimetri cubi di soluzione

fisiologica per endovena sono la dose giusta che fa soccombere tanti virus, specie anche le forme

infettive virulente. Per l’altra malattia che ho nominato occorrono esposizioni prolungate, ma una via

positiva può essere quella. Chissà se il mio dire può portare aiuto a qualcuno!

Vi saluto, ricercatori dell’ignoto!

Domenico Biondi3

Salve a voi!

Voi forse credete che io risponda alle vostre domande! Sarebbe troppo facile; comunque

apprezziamo molto gli sforzi della vostra immaginazione e debbo dire – pur facendo delle riserve sullo

spostamento in avanti o in alto dei problemi – che non vi siete distaccati molto da ciò che è. Ma le

risposte che voi aspettate, dovete essere voi stessi a richiamarle. Dovete, in altre parole, essere un

pochino più pronti a riceverle.

Questo discorso non vale per ciò che avete detto a proposito della libertà. Bene l’inizio di ciò che

ha detto il figlio Gilberto su questo argomento. La conclusione è stata un po’ più nebulosa, ma

siccome di questo argomento abbiamo parlato tante volte, prima unicamente per dimostrare qualcosa

sul libero arbitrio, dopo per parlare delle varianti abbiamo dovuto riprendere l’argomento della libertà,

dei tipi di libertà di cui gode l’individuo; siccome, appunto, ne abbiamo parlato tante volte non è il caso

di insistere. Basterà una semplice rilettura di questi due punti per rinfrescarvi le idee.

Desideriamo, invece, dire qualcosa d’altro sul “mondo degli individui”, sul piano akasico. Ma per

parlare di questo piano occorre cambiare del tutto prospettiva, occorre entrare – come ormai vi siete

accorti – in un nuovo ordine di idee. Noi lo abbiamo chiamato “piano degli individui”, e questa

definizione venuta così per comodo, certamente è più precisa di quanto ci si potesse aspettare. Non è

il piano degli uomini: il piano degli uomini, possiamo dire – o i piani degli uomini – finiscono con il

piano mentale. Ciò che rimane al di sopra è puro “sentire”. Intendo dire che se voi poteste comprare

una sola fra due macchine per tornare nel passato, l’una capace di farvi vedere la civiltà dei mondi

trascorsi nella loro manifestazione esteriore, l’altra invece di farvi capire i pensieri segreti degli abitanti

2 Vedi su questo argomento il chiarimento di Dali, venuto nella riunione del 27 Febbraio 1975.

3 Domenico Biondi (1855-1914): medico e chirurgo di Calvizzano (Napoli), professore di patologia

chirurgica a Bologna; autore della tecnica istologica di un nuovo metodo di colorazione (reattivo del B.).

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di questi mondi, molto probabilmente voi scegliereste la prima e la vostra scelta sarebbe saggia,

perché per sapere che cosa si agitava negli uomini, o si agita negli uomini di altre civiltà o di altre

società, basta immaginare quali sono i problemi dei vostri simili. Infatti fra una civiltà e l’altra i valori

sociali possono essere diversi, ma il modo di ogni uomo di agitarsi fra questi valori è sempre analogo.

Il vostro problema può essere quello di salvaguardare l’onore vostro controllando, sorvegliando la

fedeltà del vostro compagno o della vostra compagna; mentre l’onore di un appartenente ad un’altra

civiltà può stare nell’essere massimamente ospitali, donando anche l’intimità dei propri famigliari. Ma

il senso di tutto questo non cambia: i problemi del primo simile che vi passa accanto – anche se in

termini diversi – sono essenzialmente gli stessi di un appartenente alla civiltà romana o greca o

egiziana. Allora, sul filo di questo ragionamento, noi potremmo concludere che l’evoluzione non

esiste, o se esiste si riduce alla mutazione di valori sociali del tutto discutibili. I conflitti infatti che

agitano gli uomini, sia del singolo, che delle nazioni, esistono da sempre; cambiano le ragioni – o

meglio i pretesti – che li fanno scoppiare, ma si è ancora lontani dalla convivenza pacifica, dalla

reciproca comprensione che l’evoluzione spirituale avrebbe dovuto conferire agli uomini. Se questa è

la vostra opinione, voi siete simili – in questo giudizio – a chi ad esempio osservando una scuola e

vedendola sempre frequentata, dica: «Ma gli uomini non imparano mai, sono sempre a scuola! E

soprattutto non crescono mai!». Così la Terra è per chi non ha costituito la propria coscienza

individuale; per chi può percepire unicamente attraverso alle fantasmagoriche immagini dei mondi

grossolani. Chi ha raggiunto il “sentire” di coscienza lascia la Terra, lascia la regione dei fotogrammi,

la ruota delle nascite e delle morti, perché sperimenta un nuovo stato di esistere in cui si può “sentire”

senza necessità di stimoli esterni.

Ho detto “esterni” perché questi stimoli, anche quando si chiamano “desideri” o “pensieri”

appartengono ad un mondo che è dell’uomo, ma che non è l’uomo, a meno che noi non siamo il

nostro mondo. Chi può dirlo, fratelli?

Chi ha raggiunto il fluire spontaneo del “sentire”, può essere chiuso in una stanza buia e vivere lo

stesso, perché “sentire” è “vivere”.

Vedete, lo stato di Essenza, Beatitudine, Esistenza del quale parlano più volentieri gli orientali

degli occidentali, si raggiunge nella quiete interiore, nel silenzio interiore, quando si domano gli stimoli

fisici, i desideri, nella quiete del pensiero. Nel distacco dal mondo dei fotogrammi, diciamo noi. Ma più

esatto sarebbe dire che quando il mondo dei fotogrammi ha insegnato all’uomo tutto quello che

doveva insegnare, allora il “sentire” comincia a fluire spontaneamente e l’individuo sperimenta una

nuova fase della sua esistenza in cui è puro “sentire”. Questa è la verità. Il contrario di ciò non può

essere che l’errore. Cioè: errato sarebbe fuggire il mondo prima che questo avesse forgiato

l’individuo, credendo di trovare nell’isolamento quel “sentire” di cui prima vi parlavo.

Ecco, ho detto “isolamento”. Che forse allora questa esistenza successiva all’individuo, che ha

come conseguenza l’abbandono della ruota delle nascite e delle morti, è un’esistenza del tutto

interiore, lontana da quella degli altri? Hum! Quando voi siete nel mondo vedete dei vostri simili,

comunicate con loro, credete di poter influire nella loro esistenza – figlio Francesco – vi illudete di

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poterli aiutare. Poi vi è detto che questa non è la Realtà, che quel contatto che credete di avere con i

vostri simili, non è immediato, che le esperienze che nascono dall’interesse comune di più uomini,

sono vissute singolarmente in modo asincrono. Certo questo vi dà un senso di solitudine. Adesso noi

vi diciamo che l’esistenza futura vostra è un’esistenza lontana da quel mondo nel quale, anche se

illusoria, esiste qualcosa che dà l’idea della vicinanza con altre creature. E questo senso di solitudine

si può far drammatico. Ma è giusto tutto ciò?

Quando voi sperimentate l’esistenza di puro “sentire” in cui ogni “sentire” succede all’altro

spontaneamente, senza necessità di stimoli del mondo grossolano – le esperienze fisiche, astrali e

mentali – voi “sentite” di essere in sintonia con tutto l’Emanato. Poco a poco entrate in Comunione

con tutti gli esseri esistenti divenendo partecipi del loro “sentire”. Raggiungete la certezza di essere

“uno” con “loro”. E questo è più di una sensazione di vicinanza che un’immagine oggi può darvi. Ed il

senso di solitudine che provate nel venire a conoscenza della non contemporaneità del “sentire” è

giusto? Se voi foste dei Santi fra selvaggi, guardandoli sapreste e stareste osservando delle creature

in una fase primitiva della loro esistenza, creature che nel loro presente, al pari di voi “sentono” come

Santi. Ciò non di meno le amereste perché farebbero parte di quella porzione dell’esistente che Dio vi

ha dato da sperimentare. Sì, fratelli. Ognuno di noi è identificabile con il “suo mondo”, al di là

dell’illusorio scorrere, divenire, della separatività, dell’io e non-io. Possiate capire che cosa intendo

significare.

Pace a voi.

Kempis

Creature nostre, possiate comprendere la forza che queste riunioni possono far scendere in voi.

Possiate riconoscere questa verità perché nella comprensione di ciò voi diventate ricettacolo di

queste forze.

Ecco, anch’io sono fra voi ed i vostri Fratelli Maggiori sono qui con me. Volgete il vostro pensiero,

il vostro sentimento a noi, siate certi di poter ricevere queste energie sottili che permettono la nostra

comunicazione con voi. Prendetele, attingete a queste, attingete e donate a chi ne ha bisogno. Io

vengo per dirvi poco, le mie parole sono povere, ma il mio amore per voi è grande!

Teresa

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.

Partecipante – Per quelli di Brescia… se voi voleste, quando, dove e come, di tu.

Dali – Noi certamente non possiamo continuare ad invitare creature a queste riunioni, è vero? Ma se

qualcuno di voi vuole, per una volta, cedere il posto a questi che vengono così di rado, credo che

sarebbe la soluzione più semplice.

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Partecipante – Ma… a questo genere di sedute?

Dali – Vedrò che cosa possiamo fare.

Partecipante – E poi io penso di esprimere il “sentire”, il sentimento di ognuno di noi nel porgervi un

profondo ringraziamento dal nostro piccolo cuore per tutto l’amore che voi avete riversato su di noi e

per tutto il bene che Voi tutti avete fatto per noi. Anche per i giovani, le ultime leve che sono venute,

ma specialmente per gli anziani che da molti anni sono qua. Grazie!

Dali – Ti ringrazio di queste parole, figlio caro. Così doveva essere. Noi non abbiamo fatto niente che

non fosse scritto. Adesso sta a voi. Il più bel ringraziamento credo sia quello di vedervi fare agli altri

qualcosa che sia… abbia trovato qui ispirazione. Vi benedico, cari figli.

Partecipante – A quando, Dali?

Dali – Fra un mese.

Partecipante – Possiamo, nel frattempo, se qualche altra creatura chiede un aiuto spirituale, fare una

riunione affettiva, non per noi, per le altre?

Dali – Certo. Noi rispondiamo sempre alla vostra invocazione quando si tratta di portare luce a delle

creature. Ma che questo sia fatto veramente per portare conforto e chiarezza.

Vi benedico ed abbraccio tutti. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

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Relazione e descrizione di un apporto. Serata del 16 Gennaio 1975

Lilli si è avvicinata a me con una certa riluttanza scherzosa e infantile.

Ha detto di essere sollecitata con insistenza da una monaca a consegnare qualcosa a uno dei

presenti.

Alla domanda se si trattasse di Teresa, ha risposto che non era Teresa a sollecitarla, ma un’altra

monaca, molto importante anch’essa.

Mentre mi si stava avvicinando, ho sentito il rumore di un oggetto metallico che cadeva sul

pavimento.

Qualcuno l’ha raccolto; non ho capito bene se è stata la stessa Lilli.

Poi Lilli mi ha sfiorato il volto con le mani, quasi per una carezza, infine mi ha cercato una mano e

mi ha fatto scivolare nel palmo un oggetto, abbastanza pesante, di forma ellissoidale.

Sul momento, nel buio, ho pensato a un vecchio orologio da taschino, oppure a una miniatura

racchiusa in un contenitore metallico.

Quando si è accesa la luce, ho visto che si trattava di un reliquiario.

L’ho aperto: conteneva diverse reliquie, disposte secondo un ordine che richiama vagamente il

disegno del Giglio di Firenze e separate tra loro da una delicata filigrana in oro.

Dalla “descrizione” disegnata a penna nel sottocoperchio si ricava una data – il 1784 – e il nome

dei Santi a cui appartengono le reliquie: per lo più si tratta di Santi nati o vissuti a Firenze e in

Toscana.

L’oggetto sembrerebbe provenire da un convento fiorentino. Per tutta la sera e anche il giorno di

poi emanava un odore particolarissimo e pungente di polvere, di aromi, di fiori secchi: odore che non

ha mai perduto del tutto e che è pure rimasto attaccato alle mie mani per molte ore.

L. G.

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Con il Loro aiuto, come sempre, è stato stampato “ANALISI: PER UN MONDO MIGLIORE”.

Giorno di San Sebastiano (20 Gennaio). Infinitamente ringraziamo.

13 Febbraio 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Un saluto ed una benedizione a voi, o figli.

Forse può darsi che, questo nostro parlare sia ritenuto monotono, che noi torniamo un po’ troppo

spesso su certi argomenti, ma pure non possiamo far di meno perché, in mezzo alla congerie delle

parole, dei discorsi, molto spesso l’uomo perde il senso della Realtà.

Ancora una volta desidero parlarvi di quale è lo scopo per il quale noi siamo fra voi. Non c’era

bisogno che noi venissimo a parlarvi di altruismo, di amore verso i vostri fratelli, di aiuto da dare agli

altri – solamente di questo – per quanto si riferisce alla vostra condotta nei confronti di voi stessi e dei

vostri simili. Né importava che le nostre comunicazioni parlassero di un Dio, di quelli… di quei tanti

che appartengono alle varie prospettazioni fatte dagli uomini, anche delle più alte, delle più intuite.

Per tutto ciò si sono spese tante parole e, alla fine, gli uomini si sono confusi e non comprendono più,

e forse, non credono più.

La ragione per la quale siamo venuti fra voi e tutt’ora rispondiamo alle vostre invocazioni, risiede

principalmente in due aspetti del fenomeno… L’uno, come ho detto, nei riguardi di voi stessi: è un

aspetto che investe ciò che voi dovete essere, voi intimamente e voi nei confronti dei vostri simili. A

questo tipo di messaggio risponde esaurientemente tutto ciò che principalmente è stato detto da

Claudio. Voi sapete qual è il vostro dovere: comprendere voi stessi con tutto quello che segue. Prima

di tendere a migliorare il mondo nel quale siete, portare chiarezza in voi stessi, senza che questa

vostra azione sia ispirata da ambizioni di qualunque genere, anche mascherate da non-ambizioni.

L’altro aspetto al quale rispondiamo con questi incontri è quello di una nuova visione della Realtà:

una visione – se potessimo definirla in termini umani – del tutto originale nel senso che non è stata

mai appresa né comunicata, fra uomini, perché rivela l’esistenza di qualcosa che è profondamente

diverso da come appare. Parlo di Dio perché la Realtà è Dio. Lui solo esiste in Realtà. In tanti secoli

di umana speculazione gli uomini si sono fatti un’infinità di immagini di Dio: le più… alte, le più

ispirate, ancora oggi ne fanno un Essere perfetto, eterno, infinito e via dicendo, il quale – ad un certo

punto di un tempo che non esiste, e se si riesce a dire questo è già molto – “crea” il mondo, “crea”

l’esistenza. Anche questa può essere un’immagine valida fino a un certo punto, un’ipotesi di lavoro

che può essere ritenuta valevole sino a che ci interessiamo di problemi che non riguardano

direttamente la natura di Dio ma delle sfere dell’Emanato. Ma viene un momento, figli cari, in cui

questa immagine deve essere sottoposta ad una verifica ed è quello che noi, poco a poco, facciamo:

distruggere questo tipo di rappresentazione di Dio – e quindi della Realtà – per costruirne una nuova

che certamente ancora non è l’ultima – la Realtà è eguale a se stessa e basta – ma una nuova che ci

permetta di andare avanti insieme nella comprensione. Quindi ogni giorno voi dovete abituarvi a

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vedere il nuovo, ad accoglierlo.

E come è possibile questo? Generalmente l’uomo, quando ascolta un nuovo messaggio, lo

confronta con ciò che crede e se non è in armonia con quelle che sono le sue convinzioni, lo rifiuta.

Molto spesso è una questione di pigrizia. Ora per comprendere occorre non essere pigri, essere

pronti a rifare nuovamente, non una ma cento, ma mille volte, il ragionamento base. Occorre

dimenticare ciò che sappiamo fino a questo momento per poter penetrare nella nuova idea, in ciò che

viene a noi presentato. Sino a che si resta ancorati a quello che si credeva o si crede, non si potrà

mai comprendere, in pieno, un nuovo messaggio.

Cercate di non cadere in questo errore, figli, come cadono molti simili a voi che si riuniscono e si

raggruppano. C’è sempre tanto da sapere. E per sapere l’ulteriore occorre non essere affezionati a

quello fhe fino ad allora si è conosciuto. Per poter veramente penetrare il nuovo occorre essere liberi

e duttili nella mente. Tenete presente tutto ciò.

Vi amo e vi benedico. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

La voce dell’Entità che si presenta è rotta, affannosa, esprime uno stato di sofferenza e quasi di

esaltazione psichica che trasmette a noi la sofferenza che la domina.

Gli appunti. Ecco. Certo. Dove stanno i miei appunti? Non dirglielo, non dirglielo perché se glielo

dico mi uccidono. Li ho nascosti, li ho nascosti sotto il piano della scrivania al giornale e li ho messi lì,

lì sotto nella busta, nella busta arancione. Non a casa, al giornale. Ma io ho detto “a casa” perché se li

trovano mi ammazzano. Hai capito?

Domanda – Ma chi sei?

Risposta – Mauro, Mauro de Mauro.

Mauro de Mauro4

Sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di stare concentrati.

Manifestazioni di luci, poi la Guida si avvicina a Gilberto dicendo: «Per il figlio Gilberto…», e nella

mano stessa di lui si materializza un apporto costituito da…

Michel – Lo vedi?

Gilberto – Sì.

4 Vedi nella riunione del 30 Maggio 1974, la nota riguardante la manifestazione di Enrico Mattei.

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Michel – Così, per tutto il resto della vita.

Michel

Pace a voi.

Un modo sicuro per tramandare la verità al di là dei periodi di oscurantismo è quello di

mascherarla in un gioco o trasformarla in una favola. Il Tarocco e la mitologia sono esempi eloquenti

di questa affermazione. I simboli, le idee universali ed assolute passano oltre, fra le mani degli

ignoranti e dei severi censori e giungono ad illuminare il cammino dei posteri che sono pronti ad

intenderle. Tenetelo presente voi che deridete le credenze degli antichi! Quelle favole possono

contenere una sapienza alla quale voi ancora non siete pervenuti.

Prometeo ruba il fuoco sacro agli Dei e per questo la sua condanna è di avere il fegato

perennemente divorato da un rapace, ma alla fine è ammesso all’Olimpo. L’idea, il significato di

questa favola, bene si adatta all’esistenza dell’uomo; l’uomo, che a differenza di altri esseri del Creato

possiede l’intelletto, paga cara questa sua ricchezza: il prezzo dell’intelletto è il dolore ed in effetti si

può dire che il novanta per cento della sofferenza che patisce l’uomo scaturisca dalla sua mente.

Togliete quel dieci per cento causato dal corpo, ed il resto è tortura inflitta dalla mente creatrice dell’io

e dei suoi inestinguibili conflitti. Uhm! Più che la materia, un sogno ha il potere di farci soffrire!

Dimmi, fratello, perché soffri? Perché i tuoi meriti non sono riconosciuti? Perché non sei il primo

in senso assoluto, o se sei il primo temi di perdere il primato? Sei incompreso? Non sei amato? Sei

tradito? Sei sfortunato – vedi – la tua sofferenza fa parte di quel noventa per cento di cui ti dicevo: stai

pagando lo scotto di possedere una mente.

La nostra segretaria che siede alla sinistra dello strumento che in fatto di dizione può dire una

parola autorevole, in cuor suo mi rimproverava perché non davo a sufficienza, non rendevo a

sufficienza il senso interrogativo delle frasi pronunciate. Ci sono riuscito questa volta?

Infatti la causa della sofferenza umana non sta negli eventi che rendono diversa la vita da come

l’uomo la vorrebbe, è risaputo: accontentandolo l’umano non lo si rende felice per più di un fiat. La

sua mente lo condurrà su nuovi terreni di contesa ed inquietudine. Allora, se gran parte della

sofferenza che ci amareggia viene dalla mente, meglio sarebbe non possederla e vivere

nell’incoscienza di sé. La mente è un mezzo della nostra evoluzione che ci apre ad una fase

successiva della nostra esistenza: quella di coscienza-sentimento, ma dobbiamo imparare ad usare

bene questo mezzo, a non essere sua preda; dobbiamo dissolvere l’errata immagine che crea in noi

della separatività, dobbiamo riuscire a percepire al di là del dualismo io non-io di cui ci fa schiavi! Se

nella possibilità che abbiamo di percepire e concepire il mondo in cui siamo immersi esiste questo

errore fondamentale di parallasse per cui crediamo diviso ciò che non lo è, allora tutte le nostre

convinzioni che si basano su questa possibilità, sono errate. Riflettete: con queste poche parole la

cultura, la civiltà, la storia sono liquidate, ridotte a farneticazioni, brancolamenti di chi non sa

intendere e capire la Realtà. Incomprensioni, sospetti, gelosie, brama di possesso, onore offeso e

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vendicato, farse e tragedie si sono fondate e si fondano su miraggi creati dalla mente che l’uomo non

ha imparato a far funzionare correttamente. Povera umanità! Quante lacrime inutili allora! Partendo

da questo allarmante presupposto che noi siamo vittime di noi stessi perché diamo importanza a ciò

che non ne ha, allora viene spontanea una domanda: perché Dio ci lascia nell’errore, ci fa soffrire per

situazioni che non hanno nessun riscontro reale? Ci fa sbranare gli uni gli altri per questioni che

nessun riscontro hanno nella Realtà? Non voglio valorizzare il dolore, ma vi domando: in assoluto ha

senso una scala di valori? Tutto ciò che non è Assoluto è egualmente relativo ed acquista valore solo

se lo si riferisce a qualcuno, ed il valore che acquista non è lo stesso se lo si riferisce a qualcuno, ed il

valore che acquista non è lo stesso se lo si riferisce a qualcun altro. Allora esiste una scala di valori

diversa per ciascuno di noi, in cui trova posto ogni esperienza da ciascuno vissuta e sono vissute

anche quelle che sarebbe più proprio definire “immaginate”. Ecco la chiave di volta del problema:

fisicamente concreta o più immaginata che concreta, una situazione è sempre illusoria nei confronti

dell’Assoluto ed è sempre reale e produttiva nei confronti di chi vi è immerso. E come potrebbe

esistere una differenza fra una situazione fisica concreta ed una più immaginata che concreta, dal

momento che lo stesso piano fisico non esiste oggettivamente se non come comun denominatore

delle nostre innumerevoli percezioni soggettive? È così tutto il Cosmo, è l’elemento comune dei nostri

sogni. Ma non è importante che le nostre convinzioni e i nostri sogni siano più o meno aderenti a

questa parvenza di oggettività perché siano produttivi di esperienze; non solo, ma ogni tipo di

esperienza è valido. L’esperienza del Santo vale quella della prostituta, perché, lo ripeto, ciascuno ha

una sua scala di valori inconfondibile con quella degli altri.

Se le cose stanno così, allora siamo sempre nel giusto, anche quando crediamo nell’assurdo

perché anche questo ci dà esperienza e quindi un progresso: e se noi progrediamo, qualunque tipo di

esperienza noi abbiamo, che senso ha allora tendere a migliorare noi stessi? Possiamo tenere

un’esistenza basata unicamente sui sensi, sicuri del nostro progresso. In ultima analisi è così e voi lo

sapete: nessuno regredisce. Ma se guardiamo all’economia individuale, l’interesse di ciascuno è

quello di capire senza soffrire, di usare la mente senza pagare lo scotto. Questo non solo è possibile,

ma rappresenta quello che voi dovete fare. Se un uomo fosse convinto che lavarsi tutti i giorni fosse

un Comandamento di Dio, ciò che lui deve fare, quella sarebbe la sua realtà: ma quando avesse

imparato a tener fede ai suoi principi, a comandare a se stesso, allora sarebbe il momento di capire

che la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge. Il momento d’imparare ad usare la mente

senza rimanere prigioniero dei fantasmi da essa creati.

Non crediate che l’uso non corretto della mente da parte dell’uomo sia un errore del “piano

divino”, anzi, ne fa parte: i miraggi della mente sono mezzi adatti all’immaturità dell’uomo attraverso ai

quali progredisce. In conclusione: le situazioni nelle quali l’uomo è posto in forza della sua mente, per

quanto irreali possano essere, costituiscono l’humus in cui affondano le radici della coscienza; ma c’è

un momento dell’esistenza individuale in cui queste radici debbono penetrare più in profondità alla

ricerca di nuove situazioni che scaturiscono da un nuovo modo di vedere il mondo, una nuova visione

che non avvenga più in funzione dell’io e del non-io, ed in cui non vi sia spazio per i fantasmi creati

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dalla mente.

Noi vogliamo aiutarvi nell’opera di rinnovamento che siete chiamati ad intraprendere prima di

tutto in voi stessi: aiutarvi a distruggere – superandola – la visione del mondo che avete, che fate in

funzione della separatività. Per questo, come novelli iconoclasti, produrremo delle lacerazioni qua e là

sul tessuto delle vostre convinzioni, dei vostri sogni.

Kempis

Teresa – Non è vero che Dio abbia bisogno dell’uomo e che usare violenza in nome di Dio sia una

giusta cosa. Egli vuole il nostro progresso ed il progresso non può essere imposto.

Alan – Non è vero che sia censurabile chi è lontano da Dio. Nessuno può essere lontano da Dio. È

censurabile chi si serve delle cose sacre agli uomini per soddisfare la sua avidità.

Kempis - Non è vero che la vita terrena debba essere fuggita per farsi meriti in cielo ed onorare Dio.

L’Inferno – se esiste – non sarebbe abbastanza profondo per accogliere degnamente chi così avesse

vissuto.

Dali – Non è vero che il bene ed il male siano oggettivi e che rappresentino la misura del vostro

progresso o del vostro ristagno, figli. Solo chi si pone al centro del dualismo bene e male per salvarsi

si perderà. A costui è preferibile un perverso perché per la legge di azione-reazione, quanto grande

sarà stata la perversione, altrettanto lo sarà la spinta evolutiva.

Kempis – Non è vero che l’argomento trattato renda morale od osceno un discorso: i vaneggiamenti

di certi cosiddetti mistici fanno impallidire la “vena” dell’Aretino.

Teresa – Non è vero che sia sufficiente amare il prossimo come se stessi: occorre amarlo con

imparzialità e per un fine di giustizia.

Alan – Non è vero che solo chi ruba sia ladro, lo è anche chi riceve senza dare.

Kempis – Non è vero che sia spergiuro solo chi giuri il falso: chi tace sapendo e chi nasconde la

verità con un linguaggio ambiguo, è altrettanto spergiuro e propagatore dell’errore. Di ciò dovrà

rendere conto.

Nephes – Non è vero che il matrimonio sia indissolubile: ciò che gli uomini congiungono possono

dividere. Solo quelli che Dio unisce non potranno mai essere divisi, né dagli uomini, né dagli eventi.

Kempis – Non è vero che “crescete e moltiplicatevi” sia un invito perentorio perché l’uomo procrei

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senza tener conto delle condizioni in cui dovranno crescere i figli. È più crudele e perciò colpevole chi

lungamente fa soffrire di chi uccide.

Dali – Non è vero che la sterilità e l’omosessualità siano delle anomalie della natura; sono mezzi con

cui essa tende all’equilibrio demografico.

Paracelso – Non è vero che l’uomo sia arbitro della vita e della morte: nasce chi deve nascere,

muore chi deve morire. Tuttavia non è vero, per questo, che l’uomo non sia responsabile delle sue

azioni.

Claudio – Non è vero che sia più importante l’azione dell’intenzione: dall’intenzione si conosce

l’uomo.

Dali – Non è vero che gli uomini debbono godere della stessa libertà: la misura della libertà deve

essere in relazione con l’uso che di essa può essere fatto tenendo presente, a questo fine, che l’umile

non è peggiore del regnante.

Claudio – Non è vero che il presente sia trascorso, il futuro di là da venire: il presente è tale solo per

te e può essere ad un tempo passato e futuro degli altri.

Dali – Non è vero che chi vedete vicino a voi lo sia veramente e chi vedete agire agisca veramente:

ciascuno deve imparare a contare unicamente su se stesso, per questo deve sentirsi solo ed

indipendente dagli altri.

Teresa – Non è vero che il bene sia opera di Dio ed il male dell’uomo: tutto fa parte di un grande

piano divino in cui non c’è posto per l’errore e l’imperfezione.

Kempis – Non è vero che tutto ciò sia la verità: ciò non di meno è vero!

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Chiudiamo questo incontro, figli, dandovi appuntamento fra quattro settimane.

D. – Scusa, Dali, gli amici di Brescia che non possono venire il giovedì, possiamo, per una volta,

quando vengono loro, spostare la nostra riunione al sabato?

R. – Faremo una riunione per loro. Noi ci vedremo, in Ispirito, fra quattro settimane.

D. – Scusa, per quelli del Cenacolo…

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R. – Dovete rispondere voi, figlio, è vero? Non è cosa che riguarda noi. I contatti che potete avere con

altri gruppi, o con altre creature, sono opera vostra.

D. – Ma possono intervenire alle discussioni?

R. – Certo, le discussioni sono cosa vostra. Noi, come ho detto in un’altra occasione, potremo fare

delle riunioni a carattere più… affettivo per creature che fossero interessate ad argomenti un po’

meno ponderosi di quelli che avete discusso questa sera – è vero? – nell’intervallo fra una riunione e

l’altra. Ma io vi consiglio – se mi consentite – di riunirvi voi, negli intervalli, per porre delle domande

del genere di quelle che questa sera avete posto, ed alle quali – forse indirettamente – è stato dato

un contributo per meglio centrare il problema. Comunque Kempis risponderà esaurientemente con la

prossima lezione che sarà su quell’argomento.

D. – Grazie!

R. – Vi benedico e abbraccio tutti, compresi i nuovi figli che sono presenti questa sera e che erano

attesi, perché, voi sapete che sappiamo da sempre quelli che si rivolgono a noi.

Ad uno ad uno vi abbracciamo, cari.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

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27 Febbraio 1975 (Affettiva)

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti

voi, o figli.

Voi, o cari, in un certo senso questa sera siete da considerarsi dei favoriti dalla sorte perché

avete la possibilità di intrattenervi con noi più direttamente. Potrete rivolgerci delle domande e noi

saremo ben lieti di rispondere; potrete sottoporci degli argomenti che noi, nel limite delle nostre

possibilità, cercheremo di trattare. Abbiamo fatto questo genere di riunioni perché desideriamo

incontrarci con alcuni di voi più direttamente anche se non hanno la possibilità di seguire le nostre

riunioni che voi definite di insegnamento. Ebbene cari, che dire; da dove iniziare a parlare? Sono

tante le parole che voi siete abituati ad ascoltare; ognuno ha qualcosa da dire e si ritiene portatore di

qualche particolare punto di vista, di qualche particolare dottrina, di filosofie, metodi e via dicendo. Se

noi osserviamo i giovani – perché questa sera avete fra voi anche dei giovani – in generale vediamo

che pochi convergono la loro attenzione sui problemi che sono chiamati dagli uomini “problemi dello

Spirito”. Quei pochi sono ancorati a delle religioni le quali sono in continuo sforzo, nella migliore delle

ipotesi, di adattare ciò che essi professano alla realtà della vita; ma purtroppo il mondo è mutato, le

religioni che sono rimaste cristallizzate in quelle che un tempo erano verità per certi uomini, sono

rimaste le stesse; così il dissidio fra religione e vita si fa, più che passa il tempo, più che mutano i

popoli, stridente. Ma molti giovani sentono il bisogno di credere in qualcosa e credono in quello che le

loro religioni, ormai vecchie nella forma, dicono. Il risultato è che quando questi si trovano faccia a

faccia con la vita, scoprono che quello che hanno creduto era teoria tutt’affatto diversa dalla vita

pratica; che è una cosa il dolore anche vissuto attraverso agli altri ed una cosa è il dolore

sperimentato direttamente. Così finiscono col non credere più a quello che fino ad allora hanno

creduto e perdono le grucce che li sostenevano. Rimasti privi di sostegno sono ancora più indifesi dei

loro simili, dei loro coetanei, che non credevano a niente, che non sentivano il richiamo dello Spirito,

perché si trovano di colpo in una realtà così diversa da quella che essi ritenevano essere, che

avrebbero voluto con la loro fede idealizzare.

Gli altri, quelli che non sentono il richiamo dello Spirito, come si usa dire, sono più pratici; e da un

canto questo loro agnosticismo, come ho detto, è loro di aiuto per entrare nella vita perché non

subiranno l’impatto che i religiosi subiscono. Saranno pronti a vedere l’uomo faccia a faccia, e non

l’uomo che è dipinto, idealizzato, dagli insegnamenti delle religioni, ma l’uomo di tutti i giorni. Ebbene,

questo può essere utile nella misura in cui si riesce a comprendere che questo vedere il mondo in

una visione crudele, fredda, priva di quegli ideali abusati dalle religioni, deve cedere il posto ad

un’altra visione: cioè, se il credere e il vedere gli uomini come sono immersi nel loro egoismo è

constatare una realtà, questa constatazione diviene anch’essa una gabbia, qualcosa che sacrifica i

giovani, se non si comprende che questa realtà così crudele può essere cambiata. I giovani quindi

che vedono tanto egoismo nel mondo sappiano che questa non è la realtà che deve essere; è la

realtà che “è”, ma non quella che può rendere il mondo migliore. E come cambiarlo? Forse adottando

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un atteggiamento? Forse rimanendo o divenendo alla superfice degli altruisti, dei pii, dei buoni, dei

caritatevoli, ma rimanendo nel profondo di se stessi dei lupi famelici? No certo; così è intesa la

religione la quale dice ai suoi seguaci di fare del bene, di aiutare i propri fratelli, di seguire certe

cerimonie, di rispettare certi divieti, insegnando che in queste formalità esteriori si serve Dio; non va

bene così. Tanti secoli di religioni che così hanno parlato, più o meno, non hanno mutato l’intimo

dell’uomo. Allora che cosa è necessario? È necessario che trasformi il singolo, l’individuo, è

necessario che ognuno comprenda che per far sparire l’egoismo dalla società, la crudeltà,

l’incomprensione, ciò che deve fare non è bandire delle crociate, proclamare, predicare, annunciare;

ma è necessaria un’opera molto più modesta ma forse molto più difficile, e certamente è molto più

efficace; è necessario che ciascuno, cominciando da se stesso, sradichi l’egoismo, guardi dentro di

sé, si veda in tutti i momenti della sua giornata quando ha relazioni con i suoi simili, che cosa chiede

a queste relazioni. Ed allora scoprirà che si vuole imporre sugli altri, che vuole affermare il suo

primato, che vuole fare bella figura, che vuole apparire più di quanto non sia. Questo, giorno per

giorno, deve constatare, ed è questa constatazione che lo conduce poco a poco, come una goccia

scava la pietra, a conoscere se stesso, a sradicare dall’intimo suo l’egoismo che è radicato nel

mondo. Questa è l’opera che è chiamato a fare ciascuno di noi, giovane o anziano, mistico o non

mistico. Io vi auguro che quest’opera sia intrapresa da voi e condotta pazientemente, costantemente,

giorno per giorno.

Avete delle domande, figli cari?

D. – Dali, tu sai quali sono i miei problemi…

R. – I vostri problemi ci sono noti, o figli, e nei limiti di quanto ci è concesso, vi seguiamo. Molte volte

quello che può sembrarvi, o potrebbe sembrarvi, un bene non corrisponde al vostro vero bene che è

quello di comprendere e di trovare sempre più comprensione della realtà che vi circonda. Ed allora

noi non possiamo assecondare i vostri desideri perché… – noi vorremmo il vostro bene, è vero – ma

laddove questo coincide allora noi vi seguiamo e cerchiamo di darvi tranquillità. La figlia Lydia è

seguita da noi: facciamo il possibile per aiutarla e per aiutare voi.

D. – Dali, ho portato qui questa mia amica… Se tu volessi dirle qualcosa…

R. – Noi conosciamo questa figlia perché ella ha pensato a noi da quando tu hai cominciato a parlarle

di queste riunioni; sappiamo dei suoi tanti interrogativi che la assillano, che cosa cerca, che cosa più

di tutto la cruccia. Ma che cosa risponderle se non cessare di crucciarsi. Ogni cosa di una certa

rilevanza avviene perché, potremmo dire in linguaggio umano, è scritta. L’importante è non pensare

con tristezza a coloro che ci hanno lasciato in questo piano fisico, ma che forse, anzi certamente,

sono più vicini a noi di quando rivestivano una forma fisica. Voi sapete quanto limiti un corpo fisico

con le sue necessità, con il suo equilibrio instabile; quando una creatura soffre non pensa alle proprie

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persone care. La sofferenza richiama la sua attenzione su se stesso, è vero? Mentre quando

abbiamo abbandonato il corpo fisico ecco che siamo più liberi di pensare e quindi di entrare in

contatto con i nostri cari, anche se questo contatto è unilaterale perché chi ancora riveste una forma

fisica non ci sente. Quando vediamo i nostri cari che ci ricordano con tristezza e con dolore, il dolore

si impadronisce di noi e quindi torniamo a soffrire come abbiamo sofferto durante la vita terrena. Così

non ricordateci con tristezza, qualunque cosa sia accaduta, ma ricordateci con un senso di

liberazione, infondendoci questo senso di liberazione. Dovete dire come: «Sii libero di seguire il tuo

nuovo destino senza preoccuparti momentaneamente di me che posso essere triste per non averti

vicino. Segui il tuo destino»; e siate sicuri che certamente rivedrete i vostri cari meglio di come li avete

visti in Terra. Essi saranno ad accogliervi al momento del trapasso quando il vostro cammino terreno

sarà giunto al termine. Fino ad allora accettate con serenità questa pausa di attesa. Ti abbraccio,

figlia cara.

D. – Grazie!

D. – Scusa, Dali, ho promesso alla mia amica che tu conosci… Posso portarti?

R. – Col pensiero… (Pausa). Ricordo perfettamente questa figlia.

D. – Desidererebbe ancora tanto e tanto parlarvi…

R. – Non ha importanza, basta che essa ci pensi, come fa del resto, e noi siamo vicini a lei perché il

pensiero vostro – come ho detto prima – ci richiama. Sia serena, coraggiosa, non abbia timore,

reagisca. Le dirai che non deve essere pessimista. Sono chiaro? Deve e può sperare. Non si lasci

sopraffare dagli eventi, dalle apparenze. Vero? Abbia fiducia, ci invochi.

D. – Va bene. Grazie tante, Dali!

R. – Solo l’Altissimo sia ringraziato.

Signor Amerighi – …

Dali – Figlio mio, la risposta che ho dato ultimamente riflette esattamente quello che hai fatto. Cioè: il

nostro consiglio è in un senso, poi voi decidete, giustamente, di fare in un altro modo e vorreste che

noi vi dicessimo che avete fatto bene. Avete fatto bene se avete valutato il pro e il contro e avete

tratto le vostre decisioni, ma allora è perfettamente inutile che domandiate a noi quello che dovete

fare, è vero?

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Signor Amerighi – Sì, però quando io lo domandai due anni fa la situazione economica era diversa

dall’attuale…

Dali – Ma vedi, figlio caro, noi non abbiamo nessun interesse a farti abbandonare il servizio, come tu

dici. Devi tenere presente che quello che per voi risulta nuovo, sorpresa, come una situazione

finanziaria, per noi non lo è. Se tu hai preso la tua decisione in questo senso, hai fatto benissimo, ma

non puoi sapere quale sarebbe stata la tua vita se avessi agito diversamente. Mi spiego, figlio?

Signor Amerighi – Sì, ma penso che le varianti sono un po’ analoghe… e dico…

Dali – Ad ogni modo… giustamente, dico, perché quando noi rispondiamo alle vostre sollecitazioni di

consiglio non lo facciamo perché desideriamo essere seguiti, lo facciamo perché rispondiamo alle

vostre domande; ma quando voi ci domandate, non siete obbligati a fare come noi diciamo. Fate

benissimo ad agire secondo il vostro discernimento. Ma non è solo questa volta, figlio, che tu ci hai

domandato e – diciamo – hai poi fatto come ti sei sentito di fare. Quindi per noi neppure questo è

nuovo. Continuerai a domandare, noi continueremo a rispondere. E tu continuerai – e ben farai – a

fare come ti sentirai di fare, senza preoccuparti di quello che noi ti diciamo. Non vi è nessun motivo –

lo ripeto – che tu debba seguire i nostri consigli.

D. – Senti Dali, io vorrei sapere se voi sentite quando noi si prega, anche mentalmente. Ci sentite

voi?

R. – Ma certo, figlia, certo. Certo che sentiamo; non solo quando pregate ma anche quando

semplicemente ci pensate.

D. – Ah! Bene, allora son di molto contento!

D. – Per quanto ha detto Domenico Biondi, come possiamo fare?

R. – Dunque, figli, non andate mai oltre il senso di quello che viene detto, vi prego, per non rimanere

delusi. Il Biondi5 si limitò a dire che questa sostanza, l’emetina, aveva un potere diciamo…

devitalizzante di gran parte di certi virus. Questo è il fatto primario, questo è il senso del discorso.

Naturalmente con questa sostanza possono essere curate tutte quelle malattie che sono all’origine di

infezioni virali. Per associazione di idee egli disse: «…Certe forme di tumore provocate da virus

possono trarne vantaggio mediante una “esposizione” prolungata al medicamento…». E questo è

proprio un termine dei farmacologhi, di coloro che seguono la medicina: venire a contatto con il

5 Vedi comunicazione del dottor Domenico Biondi, avvenuta il 16 Gennaio 1975.

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farmaco, prolungato. Ma di certe forme. Ora guardiamo meglio quando: alcune forme – del resto la

scienza stessa l’ha scoperto – sono provocate da virus, virus che mettono in moto un meccanismo di

queste cellule che si riproducono in modo non armonico. Dunque l’efficacia di questo medicamento

può essere sufficiente quando la forma è all’inizio, quando non si è scatenato un meccanismo di

degenerazione nel suo pieno sviluppo. Oppure quando, pur essendosi sviluppato, rimane contenuto e

può essere asportato con un intervento chirurgico; allora, per evitare che questi virus si propaghino

nel corpo fisico del malato, diano da qualche altra parte inizio al processo degenerativo, si curano con

questa “emetina”.

D. – Prima delle metastasi, quindi?

R. – In questi casi e solo in questi tumori provocati da virus, non da sostanze chimiche o da sostanze

inquinanti. Questo, del resto, se voi aveste analizzato quello che ha detto il Biondi – senza andare

oltre il senso delle sue parole – lo avreste capito da voi. Dunque, causa prima: che siano provocati da

virus; seconda: che non siano estesi o comunque siano primari, che si possano asportare con una

operazione chirurgica. Oppure, addirittura, che si possa trovare una diagnosi molto precoce, ed allora

può essere utile l’emetina. Per quel dottor Fusillo che tu dicevi, di Bari, può esservi utile nel senso che

può indicarvi la distanza fra un’iniezione e l’altra e certe cose secondarie, a chi interessi,

naturalmente.

D. – Scusa Dali, io sono nuovo di questo circolo e volevo ringraziarti per aver consentito che io e mio

figlio Alessandro si potesse intervenire. Io da moltissimi anni ho faticato…

R. – Sì, ti conosco benissimo… Certo porterai il mio saluto e la mia benedizione alla figlia Jolanda e

siamo ben lieti di avervi qui fra noi. Anche questo giovane ragazzo che ha davanti a sé tutta la vita

può trovare in questi insegnamenti motivo di riflettere, come del resto ha fatto sino ad ora. Bene,

continua a pensare a noi ma non come a qualcosa di misterioso, di lontano, ma come a qualcosa che

può dire una parola utile nella vita di tutti i giorni non certo per accumulare ricchezze o riuscire nella

carriera ma per farvi avere chiarezza, acciocché non siate abbagliati dagli eventi della vita di ogni

giorno che possono indurre chi non ha una guida interiore a riflessioni errate. Vi benedico cari signori.

D. – Posso farti una domanda?

R. – Certo, certo.

D. – Alla luce degli insegnamenti più recenti come possiamo intendere lo Spirito Santo?

R. – Alla stessa luce degli insegnamenti più antichi, è vero figlia? Che cosa è: è quello che veniva

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chiamato illuminazione lo Spirito Santo. Ma non intesa come un dono divino, una benedizione; è una

cosa automatica che chi raggiunge una certa evoluzione si pone in contatto con i suoi veicoli superiori

ed ha possibilità che gli uomini comuni non hanno. In questo senso.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

D. – …

R. – Non è possibile, occorrerebbe un’esposizione un po’ lunga.

D. – Ho capito. Comunque, per il momento puoi darmi un consiglio anche breve?

R. – Per il momento posso dirti che occorre sempre, per chi vuol raggiungere una meta di questo

genere, ogni giorno pensare a questa vetta da scalare, è vero? Ogni giorno pensare alla propria

professione, a ciò che si vuol raggiungere, come se fosse una cosa che ogni giorno tu devi realizzare.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Dali

Buona sera, carissimi amici, Nephes vi saluta!

È per me una grande gioia venire fra voi e parlarvi. Vedo che questa sera siete molto raccolti.

Allora vengo per portarvi una parola di speranza. «Già! – direte voi – Che cosa significa

“speranza”?». Voi avrete certamente sentito parlare di queste predizioni per la fine del secolo, di

guerre atomiche, di catastrofi… Ebbene, ecco, invece io vengo per dirvi che dovete avere fiducia, che

non corrisponde a verità la distruzione totale della Terra come qualcuno ha profetizzato. No, state

tranquilli, non c’entra niente tutto questo “brutto” di visioni che vi hanno dato da credere! Una visione

che anche nel passato ogni tanto usciva fuori, è vero? Pensate che persino all’epoca del primo

cristianesimo i discepoli del Cristo dicevano che il Regno di Dio era vicino e lo aspettavano da un

momento all’altro male interpretando una frase che si riferiva a Giovanni quando il Cristo disse rivolto

a Pietro: «E se io voglio che lui rimanga fino a che io torno, che cosa te ne importa?». E questo fu

preso come che il Regno di Dio dovesse tornare, che Giovanni non dovesse morire fino a che il Cristo

non sarebbe tornato. Quindi, se voi leggete gli Atti degli Apostoli, le testimonianze di quell’epoca,

sentite dire che il Regno di Dio è vicino.

Poi vi fu la storia dell’anno mille e non più mille; anche lì doveva finire il mondo da un momento

all’altro. Poi ogni tanto è scappata fuori una meteora, una cometa, qualcosa che doveva distruggere

la Terra: ora addirittura siamo alla fine del secondo millennio e viene detto che la Terra deve finire alla

fine del secolo.

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Ma tutto questo non è vero, anzi vi dirò che la vita futura sarà una vita molto bella da un punto di

vista di progresso scientifico, non solo, ma anche degli uomini perché gli uomini saranno molto più

aperti di quanto lo sono adesso, vivranno meno di “fantasmi della mente”, come vi è stato detto

ultimamente da Kempis, è vero? Saranno più alla portata della comprensione reciproca, saranno più

vicini l’uno all’altro e non saranno poi così numerevoli come si vuol far credere. Vi viene detto che la

popolazione della Terra crescerà in modo sbalorditivo, che non vi sarà più da mangiare per tutti. Ma

anche queste sono tutte previsioni piuttosto allarmistiche. Intendo dire che certamente da quelli che

siete adesso, tre miliardi e qualcosa, certamente crescerete ancora, ma poi vi sarà una flessione nella

crescita. Poi si scopriranno altre fonti di energia, altre fonti di alimentazione, insomma desidero

proprio darvi questa parola di speranza, questa fiducia, non tanto per voi quanto per i vostri figli.

Vi abbraccio tutti, cari!

D. – Grazie infinite nel nome dei bimbi!

Nephes

Cari amici, Alan vi saluta.

Lo so che voi forse attendereste i vostri cari congiunti, ma dovete comprendere che specie per

quelli che assistono per la prima volta a queste riunioni, quella figlia di fronte allo strumento per

esempio, deve comprendere che occorre molta tranquillità, ci vuole una certa distensione per dare

forza a colui che deve comunicare.

A proposito di comunicazioni devo dirvi qualcosa se vi interessa: è invalso l’uso che chi è in

contatto con i trapassati sia assurto a contatto della verità; intendo dire che si pensa che un

trapassato giunto nel mondo dei più, come è definito, subito venga a contatto del vero, che conosca

tutto, sappia tutto, veda tutto chiaro; ecco, non c’è convenzione più sbagliata di questa. Perché specie

nei piani bassi come l’astrale, nei suoi sottopiani, l’uomo rimane pressappoco quello che era nella vita

terrena; le sue cognizioni non si allargano di molto, anzi direi che è più soggetto a rimanere vittima di

errori di valutazione; perché mentre nel piano fisico la materia è densa ed esiste una specie di

oggettività materiale, nel piano astrale, con il fatto che la materia astrale si modifica sotto l’impulso del

pensiero, succede che chi non è pratico si trova a vivere in un mondo che è creato dalla sua

immaginazione. Così chi ha creduto nel Paradiso dei cristiani – se ha la coscienza tranquilla, come si

usa dire – si fa un Paradiso di delizie, di suoni celestiali, di musica e di tutte queste cose egli può

pensare esistano nel Paradiso. E così sarà il Nirvana degli orientali, è vero cari fratelli? E questa

naturalmente è una specie di illusione. Così quando voi veniste in contatto con uno di questi, per

esempio un cristiano, vi dirà che nell’aldilà vi è veramente il Paradiso; oppure la stessa cosa vi dirà un

buddista, vi dirà che esiste il Nirvana, è vero? E così per tutto il resto. Mentre se voi poteste parlare

con un ateo il quale fosse veramente convinto che non esiste niente – cogliere le sue riflessioni –

vedreste cose del tutto differenti da quelle di un religioso. Ecco che nelle riunioni cosiddette spiritiche,

quando comunicano queste Entità si hanno delle differenti versioni di quello che è l’aldilà; alcuni

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dicono che il piano astrale contiene bevande, oppure sigarette, oppure dolciumi; certamente! Sono

tutte cose create dall’immaginazione, immaginazione che plasma la materia del piano astrale

secondo il desiderio di ciascuno; così chi amerà le piante vedrà nel piano astrale tantissime piante,

fiori e così via. E naturalmente queste Entità vittime delle loro stesse immaginazioni, quando

comunicano, comunicano queste realtà oniriche da loro credute reali; e da qui nasce la differente

versione di questo piano fatta da un’Entità attraverso un medium, ad un’altra Entità attraverso un altro

medium. Direte voi: «Ma come facciamo noi a sapere che stiamo veramente udendo delle Entità che

non sono vittime di questa suggestione, di questa illusione?». E questo è un giudizio che voi dovete

dare udendo quello che viene detto, è vero? Voi dovete scoprire da tutto quello che vi è detto se c’è

una visione organica, una visione che vada al di là di quello che si conosce comunemente nel piano

fisico, che non risulti in contrasto con se stessa; e quanto più questa visione è completa e comprende

più punti di vista, e più, certamente, garanzie si hanno. Intendo dire che se attraverso a delle riunioni

medianiche venisse unicamente un incitamento al bene, all’altruismo, alla carità e a tutte queste cose

meravigliose, in sé, certamente, voi sareste portati a credere di essere in comunicazione con Spiriti

molto elevati; ma questo da solo non sarebbe sufficiente a darvi garanzia di ciò. Certo è utile

ascoltare chi parla di queste belle cose come l’altruismo, l’amore al prossimo e via dicendo; ma per

questo basta aprire un libro di religione, solo per questo. E poi il fatto che vi sono molte volte certe

Entità le quali provano interesse a mostrarsi più di quanto non siano e dire cose più di quelle che non

sanno; così quando vogliono fare colpo, per esempio, parlano di altruismo; ma ne parlano per sentito

dire, non per realtà provata, non per qualcosa che è nell’intimo loro…

D. – Come è per gli uomini.

R. – Certo, hai proprio detto bene sorella: come è per gli uomini. Io ho iniziato dicendo che l’aldilà non

è molto diverso da questo piano fisico in cui voi vi muovete. E così parlano di altruismo, eccetera; e

come riconoscerli? È facilissimo: perché ripetono sempre le stesse cose, più o meno dicono sempre

le stesse cose; a distanza di anni sono sempre gli stessi incitamenti al bene e all’amore, senza una

visione generale del tutto, di questa realtà nuova per loro. Direte voi: «Che cosa è venuto a dirci

questo Fratello Alan questa sera?»; io spero di esservi stato utile, perché è facile cadere in certe false

convinzioni come quella che l’aldilà sia tutto oro colato per taluno. Sarebbe questo… se voi non foste

messi sull’avviso da quanto vi ho detto confrontando quello che voi sapete con altre riunioni, potreste

rimanere male e potreste dire: «Ma perché c’è questa differenza fra quello che ci dicono a noi e

quello che viene detto da altre parti?»; perché esiste la stessa differenza che può esistervi fra un

uomo preso a caso per la strada (se voi lo interrogate su come è la vita del piano fisico), ed un altro

uomo preso a caso in un altro punto della città, o di un’altra città: ciascuno vi parlerà della sua realtà.

Solo chi ha una visione generale può distinguere e può dire: “in questa Nazione la vita si svolge così;

in questo altro paese la vita è diversa, vi sono abitudini diverse”, e fare il confronto. Altrimenti se voi

venite a contatto con una visione limitata, è senza dubbio che la comunicazione viene da un’Entità

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che ha una visione limitata.

Vi saluto cari.

Alan

Comunicazioni di: Mario per Albertina, dottor Lucchesi per Franca.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Cari figlioli, vi benedico e pongo chiusura a questa riunione. Saluterete per noi tutti coloro che

non sono presenti questa sera; non sono pochi.

Vi abbraccio.

Dali

13 Marzo 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Noi non abbiamo la pretesa di portarvi la verità; la verità è una conquista del singolo, nessuno

può comprendere per voi, o figli. Gli uomini possono apprendere varie nozioni e trasfondere sui loro

simili, ignari, il frutto delle loro conoscenze. Chi è giunto alla verità, contrariamente a quanto si crede,

non può trasfonderla negli altri. Può dare solamente delle indicazioni, ma non si debbono confondere

le indicazioni con la verità, le parole con la comprensione. Così, non organizzatevi neppure per

diffondere le indicazioni, se questo significa diffondere l’organizzazione. Ogni organizzazione finisce

sempre con l’essere più importante delle idee che professa, così, per non nuocere all’organizzazione

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si giunge a rinnegare i principi sui quali essa si è fondata. In verità vi dico, o cari, che l’organizzazione

è simile a colui che vuole sfamare gli affamati parlando loro di cibo. Non cristallizzatevi sulle parole,

ma cercate di comprendere. Le parole e le indicazioni, per esere valide – cioè per essere un valevole

intermediario fra l’uomo e la verità – debbono mutare con i tempi e con i popoli; non debbono

insegnarvi a cercare negli altri ciò che solo in se stessi ed in voi stessi potete trovare. Non debbono

parlarvi dell’aldilà senza insegnarvi a comprendere l’aldiqua! Che senso può avere conoscere come si

svolge la vita su altri piani di esistenza, o in altre dimensioni, quando non sapete vivere la vostra

dimensione? E la vostra dimensione è il presente. Non debbono insegnarvi ad atteggiarvi a buoni,

altruisti, mansueti, pacifici, senza incitarvi a guardare in voi stessi, a mutare il vostro intimo. Non

debbono insegnarvi a voler cambiare gli altri, se prima non avete cambiato voi stessi. Non debbono

insegnarvi un “divenire”, ma esservi di ausilio per raggiungere un nuovo “essere”. Solo a questo patto

l’indicazione può essere utile.

Vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Creature che siete in attesa della nostra presenza, ecco, noi rispondiamo al vostro appello, al

vostro richiamo ed io sono fra voi per darvi speranza, per dirvi: voi che non seguite con la mente gli

alti insegnamenti dei Maestri, siate sereni e fiduciosi, io sono con voi. La verità che è in ognuno, in

ogni essere, è suscitata non solo dalla mente ma anche dall’amore di Dio! Dio! La povera e misera

Teresa, con lo sconfinato amore per il Creatore del Tutto, l’ha trovato in sé, in forza del suo amore. E

così dico a quelli che non sanno seguire difficili ragionamenti. La verità è in voi e può essere suscitata

anche con l’amore per il nostro Creatore. Non disperate, l’intuizione soccorre l’umile, il povero di

Spirito e gli fa conoscere la verità che nasconde ai saggi.

Fratelli, non perdete mai il senso mistico della vita. Pensate a noi come a creature simili a voi che

sono protese per cercare di aiutarvi, di farvi comprendere chiaramente il senso di ciò che vi attende.

Cari, io sono con tutti voi e, vi prego, non abbandonatemi!

Pace, pace a voi, fratelli!

Teresa

Sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di rimanere concentrati. È qui Emilio questa sera, è

vero?… Noi non produciamo dei fenomeni perché questi possono dimostrare l’intervento dei

disincarnati in queste riunioni. Vi sono, pochi, ma vi sono dei viventi che riescono a produrre dei

fenomeni fisici e quindi il fatto che si producano dei fenomeni fisici non dimostra il nostro intervento

ma dimostra, se mai, che vi trovate di fronte a qualcosa di non appartenente ad una mistificazione. Mi

spiego? Naturalmente, poi, quanto viene detto può essere un’indicazione per capire che si ha a che

fare con personalità disincarnate. Resta poi a vedere da quale… altezza – per così dire – vengono

queste comunicazioni. In questo ciascuno di voi è libero di giudicare; contrariamente a quanto vi

diciamo nei confronti dei vostri simili: “non giudicateli”, invece nei nostri confronti vi autorizziamo a

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giudicarci perché comprendiamo che questo è l’unico modo perché voi possiate capire chi è che vi

parla.

Dunque dicevo, i fenomeni che produciamo hanno unicamente lo scopo di portarvi qualche

messaggio, e così questa sera io ho da portare due messaggi. Vi prego di stare concentrati, che

adesso materializzerò il primo…

Prego il figlio Emilio di venire qua: le luci ti guideranno. Dammi le mani…

Ecco, adesso la storia! Voi sapete che non amiamo parlare di cose fantasiose che non possono

sopportare, o assoggettarsi al collaudo della vostra ragione, della vostra logica. D’altra parte ogni

tanto siamo, diciamo… costretti, come in caso di questa sera. La Guida del figlio Emilio gli ha

mandato una testimonianza dell’epoca in cui si conobbero e cioè fra la seconda e la terza guerra

Punica, cioè fra il 200 e il 150 circa avanti Cristo. Ricorda, Emilio: Vixtoriantus! Ricorda questi dati,

avrai una conferma. In quell’epoca tu conoscesti quella che poi è diventata la tua Guida Spirituale, e

precisamente il Lama Dune-Rey-Za, che significa “il Santo del lago davanti alla montagna”, perché

era un Lama che viveva in quella località. Egli ti manda questo piccolo oggetto che tu terrai di ricordo.

Potrai farlo stimare, ma non toccare da altri, come tutti gli oggetti che vi portiamo.

Ho un altro oggetto da portare, questa volta è un regalo nostro, sollecitato da un famigliare di

questa figlia nuova. Nuova… mi alzerò io, per non turbarla… Ecco, è per te, viene da tuo fratello.

Quando tu sarai nervosa, ti siederai, penserai a lui e vedrai che tu sarai tranquilla. Il mio compito è

finito per questa sera.

D. – Gilberto vorrebbe sapere il messaggio dell’apporto fatto a lui.

R. – Quanti anni ha aspettato questo oggetto il figlio Gilberto? Speriamo che non altrettanti debba

aspettarne per la risposta!

Michel

Pace a voi!

Voi questa sera vi aspettate che io vi dia delle risposte e sapete benissimo che non è nostro

metodo quello di rispondervi direttamente, ma piuttosto di fare in modo che voi giungiate ad

intravedere, prima, nelle linee generali, qual è il senso della risposta. Salvo poi, da parte nostra, a

definire nei particolari questo senso.

Questa sera cercherò di fare una piccola eccezione, anche se per taluno di voi l’argomento che

tratteremo potrà risultare un poco noioso. D’altra parte non vi rendete conto, a volte, che i problemi

dei quali vi parliamo hanno tenuto occupate intere generazioni di filosofi e voi invece li affrontate con

la massima semplicità – direi indifferenza – e trovate questi argomenti, queste risposte – così

importanti per certe creature – calate da un panierino.

Per esempio, quando vi parliamo della differenza che esiste fra “divenire” ed “essere”, voi non

ricordate che su questo argomento ci sono state persino delle Scuole Filosofiche meravigliose degli

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antichi filosofi; per esempio la Scuola Eleatica! Parmeide, Zenone… Meravigliosi! Melisso... i quali, un

po’ per intuizione e un po’ perché avevano ricevuto una tradizione orale che veniva dall’Egitto e

ancora dalla Siria, dalla Babilonia e persino da Atlantide, avevano capito che la Realtà non può che

identificarsi nell’“essere” e che il “divenire” che osserviamo nel mondo che ci circonda, scaturisce da

una falsa testimonianza dei nostri sensi. Perché le critiche che si possono fare al pensiero degli

antichi filosofi in questo senso possono essere rivolte a capire unicamente e solo i sistemi da loro

pensati per conciliare il “divenire” con l’“essere”, ma non l’idea centrale che la Realtà si debba

identificare con l’“essere”.

Per esempio gli “atomisti” dicevano che l’“essere” è individisible – appunto l’atomo – e che il

“divenire” risulta dalla combinazione degli atomi da cui appunto scaturiscono le differenti materie con

tutte le loro trasformazioni; non accorgendosi che in questo modo riducevano l’“essere” alla radice

delle cose e davano al “divenire” una stessa realtà.

Sarebbe interessante, per voi – servirebbe di esercitazione – confrontare il pensiero di questi

antichi con quello che noi diciamo, con una piccola relazione. Vi potrebbe essere qualche “volontario”

che si presta a farla… Un volontario potrebbe essere la figlia Franca, o il figlio Loriano o – perché no?

– il figlio Francesco che una volta qua ricordò l’episodio della tartaruga e di Achille, di Zenone, è

vero? Insomma, mettetevi d’accordo fra voi, fate una bella relazione. Già vedo il vostro altruismo

spingervi a dire l’un l’altro: «Fatevi avanti! Falla tu la relazione!». Comunque sia non ripresentatevi

senza di questa, anzi, io mi terrò a disposizione la prossima volta per ascoltarvi e dare, se è possibile,

qualche precisazione riguardo a quello che noi cerchiamo di dirvi, in modo da togliervi l’idea che gli

approfondimenti che man mano apportiamo – dalla presentazione che abbiamo fatto della Realtà –

siano delle inutili esercitazioni accademiche che vizino di intellettualismo queste riunioni. Vi

assicuriamo che non diamo nessuna importanza a questioni di forma, né tanto meno a sterili

polemiche, come si dice. Ma noi, di volta in volta che approfondiamo certi argomenti, vogliamo

mettere in luce il significato di questi per meglio comprenderli. Vi sono certe verità che hanno bisogno

di una verifica non nella loro enunciazione, ma nel senso di come sono da voi comprese. Per

esempio: la legge di evoluzione, l’evoluzione spirituale: è una verità che non è soggetta a verifiche

fino a che si comprende che lo Spirito non può evolvere. Generalmente è accettata dai più,

l’evoluzione, perché… riscatta il mondo quale è; si dice che gli orrori, il sangue, tutto quello che

arreca dolore all’uomo, esistono perché gli uomini non sono evoluti, ma quando lo diverranno il

mondo tornerà ad essere il biblico Eden. Ora, accettare l’evoluzione per il suo lato accomodante la

rende oleografica e bisognosa di essere contestata. Non solo, ma l’evoluzione spirituale è intesa,

dagli spiritualisti, come appartenente ad una visione dell’Esistente fatta dal punto di vista del

“divenire”: è il classico “divenire”, divenire in meglio. Ora noi contestiamo questa concezione

dell’evoluzione.

Il Santo non è l’edizione riveduta e corretta del selvaggio, ma è un altro essere; intendo dire che il

selvaggio non diviene Santo, ma l’uno e l’altro fanno parte di un “essere” che ha molteplici fasi di

esistenza fra cui, appunto, quella di selvaggio e di Santo. Con questo “distinguo”, non sto facendo

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dell’accademia. Sto mettendo a fuoco l’enorme differenza che esiste fra due concetti e vedrete

perché . Evolvere quindi non significa “divenire”, ma è il manifestarsi in successione di differenti

“sentire” corrispondenti a tanti “stati d’essere”. È fondamentale capire ciò. Se l’uomo evolvesse nel

senso del “divenire” non giungerebbe mai ad identificarsi in Dio; un tempo perpetuo non basterebbe a

comprendere l’infinito. E se evolvere significasse “perpetuo divenire”, allora infinito dovrebbe voler

dire spazio senza limite ed eterno tempo senza fine. Ma il tempo e lo spazio non sono valori assoluti

e per il fatto stesso d’essere relativi non possono essere senza fine.

Vediamo di spiegarci meglio: Dio può essere concepito in vari modi: come causa ed origine del

Tutto, come ordinatore di un caos preesistente, come Essere immanente nella Realtà esistente, e via

e via. Fra tutte le concezioni valide, serie di Dio, esistono dei punti di contatto; questi punti sono

costituiti dai caratteri che si riconoscono a Dio e cioè: il carattere di Assoluto, infinito, eterno,

immutabile. Ammettendo uno di questi caratteri, non possiamo non ammettere gli altri perché è dire la

stessa cosa: cioè non posso pensare ad un Dio Assoluto, senza pensare che sia infinito, o non

ammettere che sia eterno; allo stesso modo non posso credere che Dio sia eterno – cioè senza

tempo, perché “eterno” significa questo – senza ammettere implicitamente che Dio è immutabile,

perché sarebbe una contraddizione in termini pensare a Dio eterno che mutasse, vi sarebbe dunque

una sucessione, è vero? Bene!

Per noi Dio è il Tutto-Uno-Assoluto che è, e ciò significa appunto fra l’altro che Dio è eterno,

infinito ed immutabile. Dio solo è la Realtà totale, la Realtà Assoluta e solo Dio è eguale a se stesso.

L’emanato, pur essendo parte di Dio in Dio, proprio perché parte non è la realtà totale, non è

assoluto, quindi è relativo. Il tempo e lo spazio appartengono all’emanato, quindi sono relativi.

Osservando l’emanato noi lo vediamo in continuo mutare, in continuo trasformarsi. Ora, se questa

mutazione fosse reale, Dio intero muterebbe e non sarebbe più immutabile e non sarebbe più eterno,

più assoluto. Dunque deve trattarsi di un “apparire”, ma non “essere”; ora questo apparire ma non

“essere” come appare, corrisponde esattamente al contrario di ciò che noi abbiamo definito Realtà (la

Realtà è ciò che “è” e non ciò che appare); per cui possiamo concludere che il mutare, il divenire,

sono illusori e se la Realtà è – e non può essere diversamente – senza durata, l’illusione suo

contrario – che non significa opposto, badate bene – finisce. L’illusione, quindi, che sarebbe

l’apparenza di una realtà parte della Realtà totale, finisce. Sicché il mutare, il divenire, il tempo, lo

spazio e il trasformarsi sono relativi, illusori e finiscono. E non potrebbe essere diversamente! Un

tempo ed uno spazio senza fine sono un assurdo. Solo dove tempo e spazio non esistono possono

non esistere limiti ad esse, perché tempo e spazio sono il risultato di limiti e non possono esistere

senza di questi.

Quando noi diciamo che il Cosmo, che è relativo, dura in eterno non intendiamo dire che

l’illusione del “divenire” nel Cosmo non abbia fine, ma che il Cosmo nell’Assoluto non può avere un

reale inizio né una reale fine. Il Cosmo esiste in Dio in tutte le sue fasi di manifestazione, dall’inizio

alla fine nell’eternità del non tempo. Perché, ripeto, un “divenire” che duri un tempo perpetuo, cioè

che abbia avuto un inizio e non abbia una fine, è doppiamente impossibile: primo perché un tempo

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senza fine non può esistere, secondo perché in ogni caso dovrebbe trattarsi di un reale “divenire” che

è inconciliabile con l’immutabilità di Dio.

Voi mi ricordate che anche Claudio ci parla del “divenire” dell’uomo: certamente, per farci capire

che l’uomo deve sentirsi un “essere”, non un “divenire”. Voi pensate alle fasi successive della vostra

esistenza come a delle promozioni in carriera, come un impiegato può passare a diventare capo

ufficio o direttore, cambiando le sue mansioni, ma non il suo “essere”. Non si raggiunge mai un

“nuovo essere” col “divenire”. L’“essere” è del “sentire”, della coscienza: per voi, del corpo akasico; il

“divenire” è del corpo mentale. Voi potreste conoscere tutte le cose che conosce un Maestro, ma

questo solo non vi renderebbe tali. Solo il “sentire” appartiene alla Realtà dell’“essere”. Così, quando

osserviamo un’esistenza individuale nelle sue fasi comprese dal selvaggio al superuomo, noi non

osserviamo un selvaggio che “diviene” superuomo, ma osserviamo le molteplici fasi di esistenza, cioè

di “essere” di quella individualità e poiché le fasi si susseguono dal più semplice al più, complesso voi

dite che l’individuo evolve. Noi pure lo diciamo, le parole sono le stesse, ma ciò che vogliono

significare è profondamente differente.

Questo sarebbe meraviglioso in politica, ma siccome noi politici non siamo, quando parliamo

vogliamo significare qualcosa; così quando diciamo che l’individuo evolve, non intendiamo dire che

l’individuo “diviene”. Un’esistenza individuale è già tutta completa in sé, niente può aggiungersi ad

essa. Così evolvere non può significare “crescere” ma può voler dire solo che i differenti “sentire” di

quella individualità si manifestano, vivono l’attimo eterno dell’esistenza. Ciò è incomprensibile se si

crede che l’emanato si sviluppi in un tempo oggettivo staccato da Dio vivente una Realtà senza

tempo. Ecco l’errore fondamentale che ha afflitto le teologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L’emanato

fa parte integrante di Dio, la sua esistenza fa parte dell’esistenza di Dio! Ecco perché non può esservi

un reale “divenire” nell’emanazione.

Comprendo la vostra difficoltà ad afferrare questi concetti; il mondo che voi osservate è un

mondo che sembra in continuo divenire, la realtà che cade sotto i vostri occhi vi pare una realtà che

continuamente divenga; ma dovete tenere presente che questo è quello che appare, non quello che

“è”. Ecco che cosa andiamo ripetendovi da tempo: la verità non è che voi osservate un mondo che

“diviene”, ma è che voi avete una visione dinamica di un mondo statico. Non è la pianta che cresce

che continuamente “diviene”, che non è più quella che era, ma siete voi che ne osservate in

successione le fasi di esistenza, voi che credete che le fasi già osservate non esistano più. Errore!

Esistono nella eternità del non tempo!

Vedete, abbiamo cercato di farvi capire che la Realtà è tutta diversa dall’apparenza, che il mondo

che cade sotto i vostri occhi è un mondo immobile, statico. Cerchiamo di farvi capire che la Realtà

non è una che “diviene” ma una costituita da molte che sono. «Allora – direte voi – dove nasce il

movimento?». L’illusione del movimento è originata dalla natura del “sentire” individuale, ma per

comprendere ciò dobbiamo renderci conto una volta per tutte che noi non siamo creati nel senso

generalmente accettato, cioè che Dio ci abbia tratto da se stesso in se stesso ad un dato punto, o

momento, della Sua Esistenza senza tempo. Credere a ciò è quanto meno singolare se si

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riconoscono a Dio i caratteri di assoluto, infinito, eterno, immutabile. Dunque noi esistiamo in Lui in

eterno e possiamo considerarci Suoi figli solo nel senso che facciamo parte di Lui, della Sua Natura;

che siamo una conseguenza della Sua Esistenza. Solo in questi termini noi discendiamo da Lui.

Egli è la Realtà Assoluta, Egli “È”, Egli “sente”, Egli è “Sentire Assoluto”.

Che cosa è lo Spirito? È l’essenza del Tutto, è l’essere del Tutto, è l’esistere del Tutto, è il

“sentire” del Tutto, il “Sentire Assoluto”, inteso come “sentire” dell’insieme comprendente il “sentire”

delle parti. Noi siamo il “sentire” delle parti, che è un “sentire” realtivo e molteplice, che è “akasa”. Il

“sentire” delle parti nasce dall’illusorio frazionamento dell’Uno-Assoluto nei “molti”. Perché “illusorio”?

Se questo frazionamento fosse reale il Tutto non potrebbe esistere come Dio, allo stesso modo che

un oceano considerabile come un insieme di gocce non esiste più come oceano nel momento che in

queste realmente lo si trasformasse. D’altra parte se non esistesse la molteplicità, il “Sentire

Assoluto” non sarebbe tale, ma sarebbe un “sentire” unico e solo monolite.

Ma come potrebbe, in questa molteplicità, mantenersi l’unità di Dio se ogni “sentire”, dal più

semplice al più complesso, non fosse unito all’altro? E come potrebbe realizzarsi questa unione,

questa continuità se non col fatto che il “sentire” più complesso comprende il più semplice?

Serie di “sentire”, dal più semplice al più complesso, sono le individualità. Ma poiché il “sentire”

più complesso comprende il più semplice, nell’individuo inteso come momento di questa serie – cioè

in noi quali ci sentiamo – nasce l’illusione di provenire “da” e di tendere “a”, cioè l’illusione dello

scorrere; ma poiché il “sentire” più complesso è il “Sentire Assoluto” che riassume e comprende in Sé

ogni “sentire” fino ai più semplici, questa illusione sfocia nella Realtà di Dio.

Noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, esistiamo solo nell’illusione, nell’illusione della

separatività. In Realtà esiste solo Lui. Ma poiché Lui è “Sentire Assoluto” che comprende e riassume

in Sé ogni “sentire” ciò garantisce che la nostra esistenza non finisce col finire dell’illusione.

Ripeto: il fatto che il “sentire” più complesso comprende il più semplice genera nell’individuo

l’illusione di provenire “da” e di tendere “a” e nella sua mente l’illusione del divenire, ma è lo stesso

fatto che realizza l’unità del Tutto unendo, come un filo, tante perle in collane, “sentire” elementari

corrispondenti a sensitività di piante e di animali, a “sentire” più complessi corrispondenti a visioni

limitate e circoscritte della Realtà come sono nell’uomo, e poi a “sentire” sempre più complessi

corrispondenti a visioni sempre più ampie e poi a “comunioni” sempre più estese fin oltre l’ultimo

scorrere, l’ultima separazione: l’identificazione in Dio.

Come il selvaggio non diviene Santo, ma l’uno e l’altro fanno parte di una stessa individualità,

così noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, non comprenderemo mai Dio, ma facciamo parte

di un’esistenza che in Lui si identifica. Il rapporto che esiste fra noi e la nostra individualità, è lo stesso

che esiste fra la nostra individualità e Lui, e come il “sentire” dell’individualità è il “sentire” tutti i

“sentire” individuali al di là della successione, così il “Sentire Assoluto” comprende il “sentire” di tutte

le individualità al di là della separazione.

Ma il vero senso di queste parole traspare se si comprende che in Lui non può esservi distinzione

io non-io. Che in Lui non può staccarsi o giungere o tornare qualcuno perché Egli è in realtà Eterno

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ed Indiviso Essere.

Come spiegare più chiaramente ciò, Padre? Questo Tuo essere tutti noi che ci conduce a

riconoscerci in Te? Come dirlo, se nel momento che Ti chiamo o quando Ti penso, non chiamo Te e

non penso a Te perché Tu non sei quello che riesco a pensare. Le parole non servono perché

appartengono ad un mondo che si fonda su ciò che sembra, e Tu Sei. La nostra mente ci fa credere

un io separato, e Tu sei un Tutto-Uno-Assoluto. Il nostro sentimento ci assoggetta all’illusione del

trascorrere e Tu sei la Realtà che non conosce sequenza. Come avvicinarci a questa Realtà se non

abbiamo il coraggio di rinunciare a credere che l’io sopravvive? Noi quali ci sentiamo non siamo

immortali, la nostra consapevolezza finisce per lasciar posto ad un’altra più grande consapevolezza

fino a che sentiamo che Tu solo esisti, che Tu solo sei la Realtà. Ma neppure questo è l’ultimo

“sentire”, è l’ultimo dell’illusione. Oltre è l’eterna Realtà del Tuo Essere, di fronte alla quale solo il

silenzio è giusta voce.

Pace a voi.

Kempis

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti voi.

Chiudo questo incontro ricordandovi che, come ha detto Kempis, lui si terrà a disposizione per

parlare, assieme a voi, delle differenze sul pensiero degli antichi filosofi di cui vi ha detto con ciò di cui

da tempo vi parliamo.

Vi abbraccio e benedico tutti. Ci troveremo ancora fra quattro settimane.

Dali

27 Marzo 1975 (Affettiva)

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Eccoci qua riuniti o cari, voi che udite per la prima volta la nostra voce e noi che per la prima

volta abbiamo la possibilità di farci intendere da voi. Ma… vi conosciamo! Ogni volta che qualche

creatura interviene a queste riunioni per la prima volta ripetiamo sempre: «Eravate attesi». Nessuno

di voi può rendersi conto di come tutto sia perfettamente preordinato, come ogni evento che a voi

sembra nuovo e inatteso faccia parte di un grande piano divino, di un immenso quadro nel quale,

come molte volte abbiamo detto, non c’è posto per l’imperfezione e per le sorprese del caso. Noi vi

conosciamo e vi seguiamo nella vita di ogni giorno, figli; ciò non vuol dire che possiamo allontanare

da voi quelli che sono i dolorosi effetti, le cause che voi stessi avete mosso; non significa che

possiamo risparmiarvi fatiche e affanni, che possiamo stornare da voi quello che non può essere

stornato, perché dal punto di vista dal quale noi lo vediamo rappresenta il vero vostro bene. Ricordate

tutti, o figli, anche se può apparirvi nel tempo dei giorni doloroso e triste; accettate con forza, sicuri

che costituisce il vero vostro bene. Nessun’altra cosa a questo punto potrebbe sostituirsi al dolore che

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vi è venuto o che vi viene; nulla come questo può darvi ciò di cui voi veramente avete bisogno. E

allora con questo pensiero e con l’altro, che ciò che è transitorio passa velocemente prima ancora

che si possa rendersene conto, con questi pensieri siate fiduciosi. In giorni più sereni per voi, di più

grande comprensione, giorni nei quali queste nebbie e queste foschie di oggi sembreranno attimi

neppure vissuti, nel ricordo, nella somma esperienza che vi hanno dato, rappresenteranno un

grandissimo tesoro.

Ecco che noi siamo tra voi in un modo forse incredibile ma vero, e possiamo rispondere ai vostri

interrogativi; quanti sono! Sperando che rispondendo ad essi voi possiate veramente capire il senso

della vostra vita che non è quello che vi appare, figli cari, ricordatelo. Queste sembrano frasi abusate

da quanto sono state ripetute, ma ripetere le parole non significa comprendere le verità; ed allora

andate oltre le parole, usatele per capire verità nuove, per capire che cosa vogliamo significare.

Capire il vero senso della vita è molto complesso, ma come ogni cosa complessa deve essere

affrontata con semplicità; così voi ogni giorno cercate di indirizzarvi a questa comprensione perché

essa è liberatrice per voi, liberatrice da quel dolore che tanto temete, che tanto vorreste rifuggire;

liberatrice dall’errore, dall’incomprensione, dalla sfiducia, da tutti quei moti che sembrano dominare in

pieno sull’uomo di oggi. E per questo noi vi rispondiamo che siamo qui tra voi; volete chiedere

qualcosa figli?

D. – …

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato. Quello che mi raccomando è che avendoci… non dico trovati, ma

ritrovati – perché forse noi siamo sempre stati un poco dentro di te – tu non ci abbandoni. Non devi

allontanarti da noi perché tu puoi trovare in noi – non dico noi possiamo dare a te, ma tu puoi trovare

in noi – la via giusta da seguire, quella vera, quella che non delude. Come ogni cosa, anche le

migliori, noi dobbiamo essere presi a piccole dosi, è vero figli? Quindi non intendiamo che tu rimanga

soggetto di un fanatismo; assolutamente no! Ma che qualunque cosa che tu fai o che tu faccia nella

tua vita sia costantemente raffrontata a ciò che noi diciamo, perché tu non debba smarrirti in strade

che possano farti perdere del tempo e procurarti dolore e delusione. Ricorda di trovare in te stesso

quello che generalmente si crede di trovare negli altri. Sii rivolto a noi con il pensiero e tieni presente

che tutto il resto è una mera illusione; ciò che si riesce ad afferrare e che può sembrare quello che noi

attendevamo, si rivela molte volte così privo di importanza da meravigliarci. Ed allora sempre di più

cerchiamo cose sempre più impossibili, credendo che più esse siano impossibili e più gioia ci diano;

ed è tutto l’opposto: più grande è stata la fatica per ottenerle, la fatica per conquistarle, per averle, e

più grande è la delusione e il senso di inappagamento; mi intendi, figlio?

D. – Sì, ti ringrazio; solo vorrei che anche chi mi sta vicino conoscesse queste cose; vorrei poterli

aiutare, solo che a volte…

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R. – Ogni cosa a suo tempo; un seme gettato dà il suo frutto nella stagione che la natura gli ha

assegnato, così sarà per chi tu dici. Non temere.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

D. – Dali, io voglio tanto essere aiutata a migliorare me stessa.

R. – Vediamo il tuo sforzo, o figlia, e quando c’è questa intenzione c’è già molto.

D. – È tanto difficile cercare…

R. – Ci riuscirai, stai tranquilla, ci riuscirai… Ci sei molto cara figlia, perché tu sei combattuta fra forze

opposte e naturalmente molte volte tu vorresti riuscire in cose che il tuo carattere invece ti fa ritenere

insormontabili; ma non temere. Tu potrai comandare a te stessa e comprendere meglio.

D. – E mio figlio che ha un carattere tanto difficile anche lui, dovrà soffrire così tanto sempre?

R. – Laddove c’è sensibilità c’è sofferenza, figlia.

Direi figli, non parlo per tutti naturlamente ma per quelli che hanno seguito il nostro

insegnamento, che avrei gradito da parte vostra delle domande circa questo argomento. Perché il

vero scopo per il quale noi veniamo fra voi è quello appunto di cercare non di risolvere i singoli

problemi che si presentano nella vita di ogni giorno, ma aiutarvi a trovare in voi quella chiarezza in

modo che voi stessi siate a risolverli; è vero? Parlo per tutti, ripeto, e per nessuno. È inutile che voi

facciate delle domande su dei casi singoli; quando anche noi vi tranquillizziamo su quel caso ecco

che se non avete la sicurezza, la chiarezza in voi stessi, cento altri vi daranno motivo di dubbio e di

angoscia. Mentre se voi riuscite a pervenire a una chiarezza interiore nel senso della vita, di ciò che vi

attende, ecco che saprete da voi stessi risolvere i dubbi e le angoscie che vi assillano.

D. – È difficile…

R. – Difficile ma non impossibile.

D. – Scusa Dali, quei contadini filippini (guaritori filippini), che possibilità hanno, che cosa hanno

veramente nelle loro mani? La possibilità di operare così, senza alcuno strumento…

R. – Quando, naturalmente, sorge qualche problema che desta l’attenzione pubblica, succede

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sempre che la verità viene sovrapposta da fandonie, da fantasie, da immaginazioni e via dicendo.

Ecco, noi dobbiamo, sulle molte cose che sono state dette su questo argomento, togliere tutto quello

che fa parte della leggenda, che non corrisponde alla verità, è vero? E cercare di capire se qualcosa

di vero c’è. Innanzitutto non dobbiamo fare lo sbaglio di presunzione come generalmente i ricercatori

fanno e cioè dire: «Se io non vedo con i miei occhi, se non posso constatare di persona, non credo»,

avere la prova personale del fenomeno, altrimenti tutto quello che gli altri possono dire e testimoniare

non è sufficiente a convincere. Questo è un errore di una grande mente presuntuosa, di una mente…

di un grande amore di se stesso. Vedete, figli, quando certe creature dotate di queste possibilità si

sono aperte in buona fede ad osservatori del mondo civile, come si dice, e poi sono state da questi o

derise o non credute ingiustamente, è logico e naturale che si cautelino, che sfuggano ad altri che

vogliono vedere; ed allora succederà che il ricercatore che viene successivamente dirà: «Hai visto?

Non è vero niente perché “Tizio” o “Caio” non ha voluto che io assistessi alle sue benedizioni». Molte

volte si crede un medium, un sensitivo, colui che ha delle facoltà, in malafade; ma molto più spesso la

malafede è dalla parte di chi osserva. Ed allora voi comprendete che quando si affrontano delle

creature con animo non sincero, nascondendo forse un intento falso, è chiaro che non ci si può

attendere un effetto sicuro, altrettanto chiaro, è vero? Questi operatori esistono ed hanno diverse

possibilità; ma vi sono tipi diversi di interventi: cioè, alcuni influiscono sulla suggestione della creatura,

mi spiego? Quando pongono le mani vicino al corpo operano, come suol dirsi, un apporto; ed allora il

malato vedendo qualcosa che sembra uscire dalle sue viscere è convinto di essere guarito; e questo

è sufficiente a mettere in moto nell’organismo un meccanismo di guarigione. Altri invece posseggono

veramente la facoltà conseguente alla mente di aprire con la forza della mente i tessuti del corpo ed

asportare, con lo stesso mezzo, i tessuti malati. Ma ripeto, tanto è stato detto giustamente e

falsamente su questo argomento che è molto difficile discernere che cosa può essere e che cosa non

può essere; le facoltà della mente esistono, figli, voi lo sapete benissimo, ed è possibile che sia

eseguita una operazione con la sola forza della mente. Anche in Inghilterra esistevano circa 30 anni

fa dei medium che operavano in quel modo, o meglio, per essere più esatti, erano delle Entità che

operavano attraverso a dei medium.

D. – Scusa Dali, un’altra domanda, che funzione hanno i bambini, ad esempio, focomelici o deformi

nella società? È un Karma?

R. – Tu parli sempre di creature che, diciamo, hanno una famiglia?

D. – Sì.

R. – Ecco, allora è chiaro, è vero figlio?

D. – È un Karma famigliare?

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R. – Sì.

D. – Ma soffrono questi bambini o no?

R. – Dobbiamo distinguere. E cioè, fra creature diciamo subnormali nel senso che non si rendono

conto assolutamente di se stessi, allora in quel caso no, è evidente; possiamo dire addirittura in certi

casi che sono dei morti viventi, cioè creature che nascono e che hanno un corpo fisico, un corpo

astrale, i rudimenti di un corpo mentale istintivo ma che non sono uniti allo Spirito. Sono dei semplici

manichini posti per il dolore delle famiglie, dei famigliari, dei genitori. Vi sono altre creature che invece

hanno consapevolezza di se stesse e queste allora sono in un Karma doloroso proprio, oltre che per i

famigliari, per i genitori. Ogni caso, diciamo, è un mondo a sé.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Dali

Salve a voi!

Quando l’uomo soffre, è detto, abbandona tutto ciò che crede dentro di sé per ricercare la causa

della sua sofferenza. Così fino dai primordi dell’umanità, da quando i selvaggi rimanevano vittime di

qualche evento calamitoso della natura, si domandavano il perché di quella sofferenza; perché

indubbiamente quegli eventi si traducevano per loro in sofferenza. E naturalmente non avendo a

disposizione altre spiegazioni immaginavano che ciò dipendesse dalla collera divina. Questa è una

concezione molto poco evoluta della sofferenza; ma se pensiamo che fra questa e quella più recente

- secondo la quale la sofferenza sarebbe una specie di prova - esistono tanti e tanti anni di

esperienze umane, voi vi rendete conto, naturalmente, che nella comprensione della realtà che ci

circonda non abbiamo fatto grandi progressi. Infatti anche pensare al dolore come se fosse una sorta

di collaudo dell’uomo - come se Dio fosse un vasaio che guarda, alla fine del suo lavoro, in controluce

i suoi vasi per vedere quelli che sono interi e quelli che sono riusciti con qualche malefatta o con

qualche foro, e poi mettesse da una parte quelli ben riusciti e dall’altra quelli scartati - tutta questa

immagine è un’immagine alquanto infantile. E pare incredibile che ci si ostini ancora nel presentarla

agli uomini, quegli stessi uomini che da un altro orecchio odono le conquiste della scienza, i miracoli

della tecnica e su, su. Come è possibile che gli uomini ascoltino queste scoperte scientifiche, ne

riescano ad apprezzare se non i principi, i risultati, e al tempo stesso possano credere a queste

immagini chiesastiche, immaginose, favolose, della realtà, questi concetti così vani, vaqui di Dio?

Certo, se noi guardiamo la storia del pensiero umano, dobbiamo convenire che i popoli che più si

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sono avvicinati a comprendere le ragioni della sofferenza sono stati i popoli orientali, i quali hanno

capito che esiste una legge naturale paragonabile, in un certo senso, a un cieco fatalismo, perché è

una legge che viene applicata in una sorta di automatismo: la legge di causa ed effetto. Voi avete

benissimo capito che a questa mi riferisco. Allora qualunque azione che l’uomo compie produce un

effetto; evidentemente all’uomo interessa l’effetto doloroso, perché poco può interessare alla mente

umana sapere che i suoi pensieri producono degli effetti se questi effetti non sono dolorosi; l’egoismo

umano in tutte le cose trae il suo vantaggio o svantaggio, fa un bilancio di tutto ciò che pensa ed

evidentemente ciò che lo tormenta più di tutto è il dolore; ed allora si interessa di conoscere le cause

che gli danno questo dolore. I popoli orientali, dicevo, hanno scoperto con la loro intuizione la legge di

causa e di effetto; ed ecco che con poche parole si è cercato di rendere agli uomini il senso di questa

legge. Si è detto loro: «Voi non siete puniti per i vostri peccati, ma dai vostri peccati!». Ebbene, anche

questa immagine che sembra così efficace e convincente tuttavia è inesatta. Perché se vogliamo

veramente capire il Karma, ripeto, il Karma doloroso, dobbiamo assolutamente prescindere dall’idea

della punizione. Infatti il Karma effetto di cause mosse dall’uomo non ha lo scopo di punire ma ha lo

scopo di far comprendere. «Comprendere che cosa?», vi domanderete voi. Per riuscire a capire il

senso di questa affermazione dobbiamo partire molto da lontano. Dobbiamo partire cioè, dalla nascita

dell’uomo, esaminare dall’alto – da un altro punto di vista che ci possa consentire in un ampio

orrizzonte tutto il cammino che quest’uomo percorre – fino a giungere alla meta ultima dell’uomo, che

a quell’epoca non sarà più uomo; diciamo dello Spirito allora. Qual’è la meta ultima che ci attende? È

la comunione, l’identificazione in Dio, anche ultimamente lo abbiamo detto. E come può farsi un’idea,

l’uomo, di questa meta? Innanzi tutto per capire dobbiamo renderci conto che l’identificazione in Dio

non è qualcosa da fare che possa essere descritta. Voi siete abituati a fare, a muovervi, a

camminare, a compiere certi atti, certe incombenze e via dicendo, e naturalmente tutte queste cose,

che sono azioni, possono essere descritte; ed immaginate la vita futura vostra, la vita di Spiriti - anche

quando vi immaginate ad uno stadio di evoluzione che riflette l’abbandono della ruota delle nascite e

delle morti, cioè quando sarete svincolati dall’ambiente terreno - vi immaginate di dover fare

qualcosa. Voi dite: «Quali saranno le mansioni del superuomo? Che cosa farà?». Ora molti Spiriti

hanno saggiamente detto che i nostri Fratelli Maggiori ci aiutano, aiutano l’uomo nella sua vita di ogni

giorno, assistono i fratelli minori; queste tutte sono immagini, figli e fratelli, romantiche, mistiche;

perché se ci soffermiamo un istante a capire più profondamente qual è la nostra natura ci rendiamo

immediatamente conto che la vita futura dell’uomo, del superuomo - più esattamente dell’uomo che si

è svincolato dalla ruota delle nascite e delle morti perché ha ottenuto un’evoluzione necessaria

conseguente a questo svincolo – non sta in cose da fare; semmai sta in “esseri da sentire”. Quindi la

nostra vita futura, quando avremo lasciato la ruota delle nascite e delle morti, cari fratelli, è una vita

che si svolge unicamente su un piano di “sentire”. Quindi immagini di Maestri che aiutano sono

immagini romantiche, lo ripeto; esiste la “legge divina” che tutto regola senza bisogno che vi siano

Entità che aiutino gli altri fratelli meno evoluti; tutto è perfettamente previsto nei minimi particolari e

niente è lasciato ad un elemento, diciamo, umano, che presenterebbe sotto qualche aspetto

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possibilità di errori, di ritardi, di visioni incomplete. Quando l’uomo abbandona la ruota delle nascite e

delle morti è un essere che vive di “sentire”, di sentimento.

Se non vi annoio vogliamo un momento soffermarci su noi stessi, sulla nostra vita di ogni giorno.

Guardiamo… io sono un uomo come voi, ho il mio corpo fisico, il mio corpo astrale che presiede alla

vita di sensazione, il mio corpo mentale che mi dà la possibilità di pensare; ma il vero me stesso sta

oltre queste possibilità, cioè sta oltre il mio corpo fisico, oltre il mio corpo astrale, oltre i miei pensieri.

Quando io ho abbandonato la ruota delle nascite e delle morti evidentemente ho abbandonato il mio

corpo fisico e la possibilità di averlo, il mio corpo astrale e la possibilità di avere diversi corpi astrali, il

mio corpo mentale e la possibilità di pensare; che cosa rimane all’individuo se leviamo tutto questo?

Rimane quello che noi abbiamo chiamato coscienza, che è un “sentire”. A voi sembrerà strano

immaginare un essere che non pensa, che non ha sensazioni, che non ha un corpo; quale vita può

avere un essere che non ha tutto questo? Perché evidentemente voi siete abituati a identificare voi

stessi con questi nuclei di sensazione, con questo corpo fisico, con questi pensieri, e non riuscite a

concepire quale possa essere un’esistenza al di là di essi, di questi aspetti, di queste manifestazioni

inferiori dell’individuo. Ma avete mai osservato un fenomeno naturale? Non so che dirvi, un tramonto,

un’alba, un paesaggio meraviglioso; ecco, nell’istante in cui voi, stupiti, attoniti, guardate un

paesaggio meraviglioso in voi tace tutto, il corpo pare non esistere, i desideri non esistono, i pensieri

nemmeno; perfino la mente che continuamente lavora nell’uomo, continuamente si arrovella, anche

durante le ore di sonno, in quei brevi istanti tace; eppure voi esistete egualmente, esistete nella vostra

parte più vera, nel sentimento. Ecco, in quel momento se voi avete provato quest’esperienza voi

avete vissuto con il vero voi stessi.

Che cosa predicano certi santoni, certi mistici? Predicano il superamento del corpo fisico, delle

sue necessità, dei suoi desideri, predicano la calma del pensiero perché solo attraverso alla quiete di

queste manifestazioni inferiori dell’individuo, nasce e sgorga il nostro vero essere, quello che noi

saremo veramente e unicamente nel nostro futuro: il “sentire”. Ripeto, un individuo che viva

unicamente di “sentire” non pensa, non ha più desideri, non ha più sensazioni, non ha più possibilità

di comunicare con gli altri attraverso a idee, a trasmissioni di pensiero, a immagini, a simboli, come

naturalmente e abitualmente avviene tra voi; è vero, figli e fratelli? Ma man mano si… entra in

comunione con i suoi simili.

Vedete, quando io comunico, come in questo momento, con voi mi debbo servire di immagini;

anche le parole sono immagini, sono simboli, e noi comunichiamo dall’esterno; invece la nostra

evoluzione futura ci riserva una comunicazione ben diversa, priva di tutti quegli errori nei quali oggi

noi possiamo cadere; perché naturalmente è rispauto che di quello che io voglio dirvi solo una parte

da voi può essere recepita. Mentre quando avremo quella comunicazione di cui ora vi parlavo non ci

sarà possibilità di dubbi perché si tratterà di comunione. E quindi tutto ciò che io avrò in me lo

trasfonderò in voi e viceversa, senza possibilità di errore, senza pericolo che qualcosa rimanga

adombrato dalle parole, che rimanga nascosto nelle pieghe del discorso. Dunque questa è la nostra

vita futura; e se noi andiamo ancora avanti fino all’ultima meta, fino all’identificazione in Dio, dunque

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non vi sono cose da fare ma vi è un immenso, infinito “sentire” di amore per il Tutto; ma badate bene,

non un Tutto “sentito” come qualcosa al di fuori di noi stessi ma qualcosa che siamo noi stessi: noi

siamo il Tutto. E questo amore che penetra ogni fibra di tutto ciò che esiste, fino nelle più riposte,

questo può darci forse vagamente un’immagine di che cosa è il “sentire” degli alti piani.

Allora dunque, che cosa deve capire l’uomo? Non c’è niente da capire, perché abbiamo parlato di

“sentire”. Se scendiamo un gradino sotto che cosa osserviamo? Quale è il dato di fatto di colui che è

prossimo a identificarsi in Dio? Una comunione della quale ora vi parlavo, una comunione che

abbraccia tutti gli esseri esistenti; pensate quale immensità. «Ama il prossimo tuo come te stesso»;

certo, perché il prossimo nostro siamo noi stessi. Ed allora se noi vogliamo farci un ideale morale da

perseguire dobbiamo rifarci a questa immagine, a questa comunione con tutti gli esseri esistenti; e se

questo è quello che ci attende poniamoci questo come ideale da raggiungere. E voi direte: «Ma allora

si tratta di cose da fare?»; no, si tratta di cose da “sentire”. E come può l’uomo giungere a “sentire”

questo? Se noi ci volgiamo indietro un istante al passato della nostra esistenza quando eravamo

selvaggi, individui primitivi, certamente eravamo ben lungi da questa meta; ma tutto è fatto – ancora

lo ripeto una volta – così perfettamente che ogni essere è posto nel suo ambiente, in un ambiente

adatto; immaginate se un selvaggio fosse posto nell’ambiente di un superuomo, di un Santo; quanto

potrebbe far male, è vero? Mentre il selvaggio è posto in un ambiente che lo limita e al tempo stesso

gli dà quel tanto di libertà necessaria perché possa comprendere la lezione che deve comprendere.

Quale sarà la sua lezione? Evidentemente, non so, il “non uccidere”. Direte voi: «Forse una vita sola

basterà al selvaggio per fargli capire di non uccidere?». No! Comincerà a non uccidere per timore; in

un primo momento vi sarà un violentare se stessi per un qualche motivo, per un timore, per paura.

Poi potrà essere un non uccidere con un inizio di consapevolezza; tutto questo attraverso a varie

esistenze fino a che, naturalmente, non sentirà più lo stimolo di uccidere i suoi simili; magari di dargli

un paio di schiaffoni, ma non di ucciderli. E così di passo in passo, sempre con nuovi ideali morali che

gli vengono suggeriti dall’ambiente, l’individuo cammina. Quand’è che muove un Karma doloroso? La

“legge di causa ed effetto”, ripeto, esiste per ogni aspetto, in senso negativo e in senso positivo; il

Karma buono esiste, voi lo sapete. Ma quello che ci interessa è quello doloroso. Quand’è che

muoviamo un Karma doloroso? Quando nonostante i molteplici avvisi che ci vengono da diverse parti

non comprendiamo e vogliamo sperimentare direttamente; è allora che l’effetto doloroso costituisce

l’unico rimedio, per l’individuo, per capire quello che è rappresentato come suo ideale morale. Così, di

ideale morale in ideale morale, l’individuo costituisce la sua coscienza, grado a grado, tassello per

tassello, ed acquista un “sentire” sempre più ampliato, fino a che il suo “sentire” è già così consistente

che egli può lasciare la ruota delle nascite e delle morti, lasciare le incarnazioni, il pianeta sul quale

ha iniziato la sua evoluzione, e continuare una vita futura di “sentire”, di comunioni sempre più estese

con tutti gli esseri esistenti.

Certo se noi osserviamo l’ideale morale che attende un Santo e lo confrontiamo con l’ideale

morale di un selvaggio, il confronto ha del ridicolo, voi lo capite; eppure l’esperienza del Santo è tanto

importante per lui quanto lo è l’esperienza del selvaggio per il selvaggio; ognuno ha la sua esperienza

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in questa scala evolutiva e la sua esperienza è preziosa per lui.

Che cosa dovete insegnare ai vostri figli? L’ideale morale più alto che voi concepite tenendo

presente che quello non è l’ideale morale più alto che esiste; tenendo presente che quello è tutto

quello che potete fare, che non potete imporvi oltre una certa misura; il vostro dovere è quello di

prospettare l’ideale morale più alto che concepite, lasciando poi, al momento opportuno, che ogni

creatura si orienti nel senso che l’attende.

Pace a voi.

Kempis

Creature,ancora una volta io sono fra voi! Accolgo il vostro pensiero e lo porto alle creature

sofferenti. Pregate con me e dite: «Signore, dove io sono porto il conforto. Dove io sono ignaro porta

la Tua conoscenza, dove io sono indifferente porta il Tuo amore!».

Pace, creature! Pace!

Teresa

Pioggia di foglie di ulivo.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un ultimo saluto ed una benedizione a tutti voi,

o figli.

Dali

Apporto di un anello.

Marcello! Marcello! Dallo alla tua compagna.

Michel

48

10 Aprile 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Questa sera non vi intratterrò con la consueta prolusione, voi comprenderete il perché, poi. Io vi

raccomando vivamente, durante lo svolgimento di questa seduta, di stare massimamente concentrati.

Fate uno sforzo ma cercate di riuscire. Intendo dire che dovete seguire quello che viene detto, anche

a costo di fare forza a voi stessi perché, naturalmente, noi comprendiamo che l’argomento può non

essere di interesse generale. Ma voi dovete egualmente seguire quanto esporrà Kempis, senza

pensare ad altro, per non disturbarlo. Voi dovete sempre tenere presente, o figli cari, che i vostri

pensieri, per noi, sono perfettamente intelleggibili: quindi quando voi pensate intensamente ad altre

cose – magari alla vostra vita privata, di quello che dovrete fare domani e via dicendo – è come se voi

steste parlando e qualcuno, assieme a voi, cominciasse a parlare di cose, di altri argomenti, a voce

alta. Quindi l’oratore, probabilmente, perderebbe il filo del discorso come si usa dire. Quindi, cari, mi

raccomando a voi di fare uno sforzo di volontà per seguire quello che noi diciamo.

Con questa raccomandazione vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli

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uomini, figli cari.

Dali

Io sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di stare concentrati.

Adesso il figlio Loreno, quando lo dirò io, accenderà la luce e quando ti stringerò la mano, figlio

Christian, tu dirai di spengere. Io vi prego di stare concentrati, di pensare tutti alla stessa cosa, magari

al figlio Roberto, visualizzatelo… e state concentrati. Tenteremo un esperimento. Può darsi che

questo non riesca, non sempre riusciamo al primo tentativo. Ecco accendi pure!

Respiro affannoso, pesante del medium per brevi istanti. Rumore di un corpo metallico che cade

a terra con un certo fragore.

Spengi!

Adesso per riprendere le forze e ringraziare… È un lavoro a sbalzo del 1600 che riflette la

credenza popolare dell’epoca e lo doniamo a voi tutti; quindi lo monterete in un quadro, sopra un

panno verde di velluto, e lo terrete qua, in questa sala di riunione.

Vi benedico tutti.

Michel

Sono Otello! Ti ricordi? Ti saluto e saluto tutti gli amici. T’abbraccio anche per il figlio mio.

Addio!

Otello

Pace a voi!

Ci è piaciuta molto la relazione che abbiamo udita questa sera! Direi vasta più di quanto abbiamo

osato proporre! Questo, naturalmente, a tutto vantaggio dell’uditorio, è vero?, il quale certamente vi

ringrazia con noi.

Non crediate che questo sia un lavoro fine a se stesso, potrebbe reinteressare per uno studio che

desse origine a delle discussioni fra voi e tutto questo, naturalmente, andrebbe a vantaggio

dell’approfondimento di ciò che noi diciamo. Quindi vi ringraziamo doppiamente.

A questo punto la convenienza vuole che io dica qualcosa e la convenienza mi pone in grande

imbarazzo perché non ho certo la veste per chiosare la vostra dotta relazione e non vorrei sentirmi

dire: «Ne sutor ultra crepidam». Conoscete la storia di Apelle, il pittore, il quale un giorno portando un

suo dipinto sotto al braccio, passò dinnanzi a un calzolaio e questi si mise a criticare il modo con cui

erano dipinti certi calzari estendendo poi la critica a tutta la pittura. Apelle un po’ stette zitto e poi

pronunciò la frase: «Il calzolaio non giudichi oltre le scarpe». Così non vorrei che voi diceste

altrettanto a me. Né d’altra parte potendo aggiungere altro a quello che voi avete già detto così

esaurientemente e dovendo per forza pronunciare qualche parola per uscirne per il rotto della cuffia,

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come si suol dire, non potrei che citare il Dottor Azzeccagarbugli, anche se per diverso motivo, e con

lui dire: «Godo della dotta disputa e ringrazio il bell’accidente che l’ha provocata». E con questo

salutarvi; ma sono sicuro che voi non rimarreste contenti per cui, sentite le vostre insistenze, mi

permetto di aggiungere poche annotazioni, veramente molto poche.

La più importante di queste mi sembra sottolineare il fatto che per gli Eleati – non solo, anche per

gli Atomisti, e perché no?, per gli Epicurei, è vero?, (visto che gli Epicurei recepivano il pensiero degli

Atomisti per quanto si riferiva alla materia) – l’essere e il divenire hanno, direi, una stessa

dimensione, una stessa estensione. Mi spiego: in qualunque punto l’essere deve in qualche modo

apparire come un divenire. Ecco, una grande differenza che esiste è che noi diciamo che l’essere –

cioè la Realtà – comprende il manifestato ed il non manifestato e che il divenire appartiene alla

manifestazione. Quindi contesterei, in un certo senso, l’interpretazione del “non essere” eguale

“divenire”. Questo meriterebbe un approfondimento da parte di tutti, del resto molto interessante.

Un’altra cosa che a parer mio è assai importante e che occorre sottolineare è la finalità del

divenire. Vero? Come giustamente voi avete accennato. Per noi il “divenire” ha una grandissima

finalità, cioè quella di condurre le creature dall’illusione alla Realtà dell’“essere”, e questo non ha

bisogno di commenti.

Un capitolo a parte lo merita lo spazio. Vedete, al di là dei giochetti di Zenone… che però non

debbono essere sottovalutati perché mostrano ancora chiaramente l’inconciliabilità di due concetti e

cioè: quello dell’infinita divisibilità e del movimento. Ora, questo concetto dell’infinita divisibilità era

all’ordine del giorno dei filosofi di quelle epoche. Perché? Perché così si ragionava: infinitamente

divisibile è eguale “divenire”, è eguale “illusione”. Indivisibile eguale “essere”, eguale Realtà. Così, per

esempio, Anassagora diceva che la materia era infinitamente divisibile, mentre Democrito, o forse

Leucippo se è esistito ( perché taluno lo pone in dubbio ma a noi questo non interessa), diceva invece

che la materia non era infinitamente divisibile (e questo tutti gli Atomisti) perché, procedendo nelle

suddivisioni, ad un certo momento si sarebbe inciampati in questa particella – l’atomo, per l’appunto –

che era indivisibile, formata di vuoto e di un corpuscolo talmente sottile da essere impercettibile.

Grande intuizione quella di Leucippo, di Democrito, di chi sia stato degli Atomisti! Grandissima!

Perché, vedete, oggi voi sapete dalla vostra scienza che l’atomo è scomponibile e quindi forse potete

pensare che l’intuizione di Democrito sia stata errata, ma noi dobbiamo tenere presente che l’atomo

di Dalton o di Avogadro non è l’atomo degli Atomisti. Come ragionò Dalton? Vide la materia, pensò

che era composta di sostanze, chimicamente parlando, cioè l’associazione di più elementi chimici, e

pensò ancora che, suddividendo, doveva raggiungersi un punto in cui queste sostanze erano scisse

negli elementi costituenti. E che dividendo ancora questi elementi doveva raggiungersi un punto in cui

la materia fisica – la materia, quella che cade sotto i vostri sensi – avrebbe perduto tutte le

caratteristiche fisiche e chimiche organolettiche. Chiamò allora quel punto “atomo” rifacendosi proprio

agli Atomisti. Se poi la scienza atomica ha dimostrato che l’atomo della fisica e della chimica è un

atomo che si suddivide ulteriormente, che cosa significa questo? Significa che quello non è l’atomo

degli Atomisti. È chiaro! Non è un sofisma questo ragionamento e noi non dobbiamo certamente

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rimanere stupiti di questa grande intuizione, ammesso che sia veramente intuizione. Un’altra mente,

grandemente intuitiva, Einstein, rimase egli stesso meravigliato: in un suo scritto del 1950, mi pare –

a chi interessasse saperlo – così parlava appunto degli Atomisti e diceva: «Come avrà fatto Leucippo

ad avere questa intuizione? Molto probabilmente avrà osservato l’acqua trasformarsi in ghiaccio e poi

di nuovo in acqua, senza che queste trasformazioni apportassero – come in effetti è – una

trasformazione della sostanza acqua, e di qui avrà immaginato che lo stesso può e deve avvenire per

tutti gli oggetti che mostrano caratteristiche direi quasi costanti nel tempo, immutabili».

E se Einstein avesse continuato sul filo del ragionamento di Leucippo sarebbe certamente

incappato nella comprensione, per la sua grande intuizione, della verità dei fotogrammi. Con questo

non vogliamo far dire a chi non ha detto cose che noi diciamo. Solo per mostrarvi quanta

ammirazione vi sia stata per queste intuizioni degli Atomisti.

Dunque queste due categorie: infinita divisibilità eguale “divenire”, eguale “illusione; indivisibilità

eguale “essere”. Ora, in quale di queste due… Perché? Perché la materia, per Democrito, era

divisibile relativamente ed invece – per esempio per Zenone – lo spazio era infinitamente divisibile? È

chiaro: perché lo spazio era considerato “vuoto”, era uno spazio della geometria euclìdea. Non di

quell’Euclìde che voleva conciliare l’insegnamento degli Eleati con la moralità di Socrate, l’altro

Euclìde, proprio quello della geometria, e per questo anche i filosofi successivi della scuola Atomistica

dicevano che la materia era certamente, relativamente, divisibile, ma lo spazio era infinitamente

divisibile, perché appunto c’era questa concezione dello spazio “vuoto”. Allora se dovessimo, noi, fare

un paragone del nostro concetto di spazio, come lo vediamo noi, che incidentalmente corrisponde a

come in realtà è, dove collocheremo questo spazio? Nell’infinitamente divisibile, oppure

nell’indivisibile? Eh! Anche qua saremmo come il dottor Azzeccagarbugli che, fra il sì e il no, fu di

parer diverso. Dovremmo collocarlo nella categoria della materia, cioè del relativamente divisibile

perché, in effetti, non esiste uno spazio vuoto: lo spazio è un attributo della materia.

Vedete, la vostra stessa scienza umana, credo, che sia orientata in questo senso. Passando dal

concetto dello spazio vuoto di Euclìde, al concetto del “campo”, cioè del luogo dove si esercitano le

forze, a concetti più complessi. Voi certo non potevate fare il paragone che io ho fatto, perché non

avevamo mai fornito degli elementi così chiari circa lo spazio, è vero? Ma certamente il fine di queste

nostre conversazioni è quello di andare sempre avanti e di approfondire sempre di più.

Adesso, visto che voi avete fatto così bene la vostra parte, noi cercheremo di fare la nostra, ma

non impressionatevi, non è che io voglia farvi delle domande, perché in effetti, voi qua di domande ne

fate piuttosto poche, è vero? Tanto che se queste riunioni dovessero andare avanti sulla scorta delle

domande che voi fate, sarebbero già defunte da un lungo pezzo, da un gran pezzo. Intendo dire che

può darsi che l’uomo non possa mai comprendere Dio, tuttavia questa opinione non lo esonera da

meditare su questo argomento non fosse altro per capire – come è stato già detto – come Dio non

può essere. Ora può darsi anche che questa meditazione non sia di grande valore per l’uomo, certo si

è che se noi vogliamo capire la realtà nella quale viviamo e che cerchiamo di affrontare da diversi

punti di vista ottenendo un bagaglio di pensieri e conoscenze chiamato cultura, non possiamo

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prescindere dall’idea di Dio. Io sono fermamente convinto che l’uomo di media cultura di questa

civiltà, con gli strumenti che ha a sua disposizione, cioè le sue conoscenze e la sua intelligenza,

possa farsi un’idea di Dio che non sia un oltraggio alla ragione e che al tempo stesso sia aderente

alla Realtà.

Allora, per verificare questa mia convinzione, mi calerò nei panni di un siffatto uomo e cercherò di

capire se egli può ragionevolmente credere a Dio. Perché deve finire l’idea romantica di Dio, figli e

fratelli. Non deve essere più una convinzione strettamente personale, per voi. In questa epoca di

grande razionalità forse non può esservi la prova provata, palmare, incontrovertibile, dell’esistenza di

Dio, tuttavia – lo ripeto – voi avete il dovere di capire, sulla base delle vostre conoscenze e con la

vostra intelligenza, a quale Dio potete credere. Non dovete più dire: «Io credo perché ho fede!».

Dovete certamente conservare la vostra fede, ma dovete per quanto possibile documentarla con

argomenti ragionevoli, che resistano ad una logica critica. Allora, siccome a Dio si fa risalire l’origine

di tutto quanto esiste, prima di credere che Dio esista è lecito che io, uomo di questa civiltà, mi

domandi se l’Esistente ha avuto un’origine, oppure non sia esistito da sempre; che parta cioè dalla

posizione dei cosiddetti atei e mi ponga come ipotesi di lavoro che la realtà nella quale siamo immersi

sia perfettamente materiale e che non sia stata originata, cioè sia esistita da sempre. È chiaro che in

questo caso non avrebbe una fine, perché ciò che fosse esistito da sempre non potrebbe cessare di

esistere. Io posso immaginare che una civiltà distrugga se stessa, ma non che la materia, posta come

unica realtà esistente cessi di esistere.

Se invece posso ragionevolmente credere che il Cosmo, ossia l’insieme degli Universi, finisca

consumato dalla sua stessa esistenza, allora è chiaro che tutto ha avuto un’origine, e se ha avuto

un’origine è altrettanto chiaro che tutto quanto è esistito, esiste, esisterà, non è tutto in senso

assoluto, perché oltre quello esiste per lo meno una causa generatrice, cioè una causa che era prima

che l’Esistente fosse. Vedremo poi quali considerazioni potrò fare su questa causa.

Allora, so che le osservazioni sistematiche degli astronomi moderni hanno portato alla

constatazione che viviamo in un Cosmo in espansione, cioè che gli Universi si allontanano gli uni

dagli altri e da un centro dello spazio, centro ideale, ovviamente. Sulla base di questi dati di fatto

incontrovertibili, sono nate due principali ipotesi per spiegare l’origine e lo sviluppo del moto di

traslazione degli Universi: entrambe le ipotesi concordano sull’origine che sarebbe la conseguenza di

un’esplosione avvenuta in questo punto ideale del Cosmo, è vero? Divergono, invece, sullo sviluppo.

Infatti, secondo la prima, la materia che compone i corpi stellari, quando questi hanno raggiunto una

velocità critica – chiamiamola – di allontanamento dal centro si smaterializzerebbe e causerebbe così

la graduale ma totale fine del Cosmo astronomico.

Ora per pochi istanti mi sia consentito tornare nei miei panni di disincarnato, per osservare che

questa ipotesi è perfettamente azzeccata, come lo dimostra la formula einsteniana – azzeccata anche

quella – secondo cui la massa di un corpo in movimento è eguale alla massa dello stesso corpo a

riposo, diviso la radice quadrata di uno, meno il quadrato della velocità a cui è sottoposto il corpo,

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diviso il quadrato della velocità della luce.6 Einstein chiama questa velocità critica “velocità della luce”.

La pone… la identifica… non ha importanza, pone che la velocità a cui è sottoposto il corpo – nel

nostro caso la velocità di traslazione di questi sistemi stellari che si espandono – raggiunga la velocità

della luce, ossia una velocità critica e vedete, voi matematici, che cosa succede alla massa del corpo

in movimento secondo questa formula. Tenga presente ciò l’astrofisico Allan Sandage che ipotizza un

Cosmo in perenne espansione in barba alla matematica.

Detto questo, chiudo la parentesi e me ne torno nei miei panni di incarnato a esaminare le ipotesi

di cui dicevo. Secondo l’altra ipotesi, invece, gli Universi, raggiunto un punto dello spazio,

invertirebbero la marcia e tornerebbero a concentrarsi nel punto ideale dal quale partirono e dove, a

seguito di una nuova esplosione, nuovamente ripartirebbero e così via. Ora noi intanto possiamo

osservare che il limite dove, secondo la prima ipotesi, la materia che compone i corpi stellari si

smaterializzerebbe, ovvero, nell’altra ipotesi, gli Universi invertirebbero la marcia e tornerebbero a

concentrarsi nel punto ideale centrale, sarebbe in ogni caso un limite del Cosmo, anche se lo spazio

fosse di tipo euclìdeo, cioè infinito e indipendente dalla materia. È chiaro, vero? Dunque secondo

l’una e l’altra ipotesi, il Cosmo sarebbe limitato e necessariamente di forma sferoidale. Mi ricorda

qualcosa citato questa sera, non solo ma mi ricorda anche che secondo la teoria della relatività

generale, si perviene a pensare che lo spazio sia curvo. Dunque secondo l’una e l’altra ipotesi, il

Cosmo sarebbe limitato. Ora, ciò che è limitato non può avere una durata illimitata, e questo mi

basterebbe per concludere che se il Cosmo finisce, è chiaro che ha avuto un’origine e quindi una

causa. Ma io preferisco invece proseguire nell’esame delle due ipotesi per vedere se mi conducono

ad una diversa conclusione. Ripeto: secondo la prima, il destino del Cosmo astronomico sarebbe la

graduale ma totale fine per smaterializzazione; secondo l’altra sarebbe una sorta di moto perpetuo, di

andirivieni dal centro alla periferia di questi corpi celesti, di questi Universi. Ora, io che mi reputo un

ateo serio e coerente, debbo prendere in considerazione solo la seconda ipotesi, perché come ho

detto prima, se ammetto la prima ammetto la fine del Cosmo e quindi l’inizio e quindi la causa; debbo

invece vedere se posso ragionevolmente credere che il Cosmo sia una sorta di perenne “pulsazione”

no?, un moto perpetuo di questi corpi celesti, oppure una trasformazione continua della materia che

lo compone. Il “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” sembrerebbe confermare questa

ipotesi.

Ora io so che il principio della conservazione della massa, dichiarato universalmente valido dalla

meccanica classica, ed il principio della conservazione dell’energia – visto che si è scoperta la

relazione che lega la massa all’energia – sono stati invece smentiti direi in modo dirompente dalla

scoperta dell’energia atomica. Non solo, ma anche più recentemente, dall’esame di certi fenomeni

che avvengono nello spazio intergalattico. Ora la mia cultura, non specialistica, di uomo medio di

6

2

2

1

1

c

vmm

rm

=

54

questa civiltà, non mi acconsente di addentrarmi con osservazioni scientifiche nell’esame di eventi

cosmici, è chiaro. Però posso capire dai fatti con cui mi scontro tutti i giorni, un principio molto

importante per me e cioè che per fare un lavoro ci vuole energia, voi lo sapete bene, è vero? E che

nessuna macchina e nessun sistema produrrà mai più energia di quanta ne consumi, altrimenti il

moto perpetuo non sarebbe un assurdo meccanico. Vedete, noi possiamo immaginare in teoria, che

so… un moto rettilineo uniformemente accelerato che prosegua all’infinito; oppure immaginare un gas

che non divenga mai l’omonimo liquido a qualunque pressione o raffreddamento sia sottoposto, il gas

vero di Gay Lussac. Oppure – che so? – credere nello spazio come lo postula la meccanica classica,

giusto che abbiamo rammentata prima: cioè, uno spazio tridimensionale, infinito, vuoto, permeabile

dalla materia, indeformabile e tutto quello che volete. Ma tutte queste sono favole, non corrispondono

alla realtà fisica, perché la realtà fisica è diversa dal mondo delle astrazioni.7

Lo spazio sembra più simile – quello esistente, s’intende – a quello postulato dalla teoria della

relatività generale che nega l’esistenza di uno spazio vuoto, infinito, indeformabile, immutabile; che

nega che il tempo e lo spazio siano assoluti ed oggettivi e pone che lo spazio sia una sorta di

emanazione della materia e che il tempo sia la quarta dimensione dello spazio. Tanto che le scoperte

scientifiche che via via si registrano, sembrano confermare questa teoria; difatti alle leggi della

meccanica classica la scienza umana non dà più un valore assoluto, ma semplicemente un valore di

prima approssimazione.

Allora, tornando alla mia teoria, mi pare che io possa pensare con ragione che se anche questo

moto di va e vieni dal centro alla periferia dei sistemi stellari si ripetesse indefinitamente, l’energia

necessaria a questo moto – ancorché si rigenerasse in qualche modo, magari a spese della massa

della materia – non si rigenererebbe mai in misura totale, per cui a lungo andare sarebbe la stasi,

cesserebbe il moto del Cosmo. Che poi questa stasi riguardi il divenire della materia o la materia in se

stessa, per l’aspetto che mi sono posto del problema non fa alcuna differenza perché pervengo a

concludere che se il divenire cessa vuol dire che ha avuto un inizio ed una causa e questo mi basta.

Tuttavia mi sembra più logico pensare che se cessa il moto in seno al Cosmo, non cessa solo il moto

di traslazione degli Universi, ma cessa il moto delle particelle e dei corpuscoli in seno alla materia, e

quindi cessa la materia, e cessa lo spazio emanazione della materia, e cessa il tempo dimensione

dello spazio. Dunque tutto mi pare che mi porti ragionevolmente a credere che il Cosmo, per quanto

immenso possa apparire, è limitato e destinato a finire, con la materia che lo compone, con lo spazio

ed il tempo in cui sono localizzati gli eventi cosmici. Se il cosmo finisce è chiaro che ha avuto un

inizio, e se ha avuto un inizio è chiaro che deve esistere una causa generatrice. Vedremo la prossima

volta quali considerazioni possiamo fare su questa causa.

Detto questo torno allora nella mia più comoda posizione di disincarnato per dire alcune cose che

mi sono tornate in mente – come si suol dire – mentre vi parlavo poco fa. E cioè, voi sapete che noi

7 “Questo non può dirlo un uomo di media cultura”: sul ciclostilato originale è apposta questa

annotazione della signora Nella Bonora.

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abbiamo parlato del Cosmo come dell’ambiente della manifestazione, è vero? E che la

manifestazione comprende due momenti: l’emanazione ed il riassorbimento. Quand’è che finisce

l’emanazione e comincia il riassorbimento? Noi possiamo fissare convenzionalmente questo

momento quando è manifestato l’ultimo piano, il più denso, il piano fisico. E noi abbiamo visto che

l’inizio del Cosmo, quindi del piano fisico, è nato con un’esplosione della materia nel centro ideale

dell’ambiente cosmico-astronomico, è vero? Da quel momento noi possiamo cominciare a fissare

convenzionalmente l’inizio del riassorbimento. Quand’è che cessa il riassorbimento nel piano fisico?

Quando l’ultima materia del piano giungerà al limite massimo dell’area cosmica e l’ultima materia sarà

smaterializzata.

Intanto debbo dirvi che questo che io sto dicendo è la storia che si vede leggendo i fotogrammi

che riguardano la vita macrocosmica ma che non sono assolutamente eventi oggettivi. Adesso, in

questo momento, noi stiamo seguendo la vita macrocosmica leggendo i relativi fotogrammi e vediamo

questa storia. Ecco, allora viene fatto di domandarci: come mai gli astronomi che sono così avanti

nelle loro osservazioni, che giungono a percepire energie che giungono da “Nove”, da altre fonti

lontanissime nello spazio stellare non percepiscono l’enorme energia che si dovrebbe manifestare in

questo limite alla circonferenza del Cosmo? Mi seguite nel ragionamento? Possiamo fare tre ipotesi:

cioè, la prima, che ancora nessuna materia, cioè nessun corpo stellare, nessun Universo, sia giunto,

abbia raggiunto quella velocità critica necessaria alla smaterializzazione e quindi abbia raggiunto il

limite esterno del Cosmo fisico; prima ipotesi. Seconda ipotesi: che qualche Universo abbia raggiunto

quel limite, ma che questo limite sia tanto lontano dalla nostra Terra che ancora l’onda che dovrebbe

portare l’energia, la percezione di questo fenomeno grandioso, non sia arrivata ancora alla Terra;

seconda ipotesi. La terza – che è quella vera, invece – è che quando la materia si smaterializza per il

raggiungimento della velocità critica di cui parlavo prima, l’evento oltrepassa la dimensione fisica,

oltrepassa lo spazio fisico. Siamo in un altro mondo e quindi, dal punto di vista del piano fisico, è il

silenzio. Cioè sparisce la materia, sparisce lo spazio, sparisce la possibilità di comunicare da

quell’evento a chi è nello spazio antecedente. Mi seguite, figli? Che cosa accade quindi nel piano

astrale che è la dimensione immediatamente più sottile? Noi abbiamo visto che il riassorbimento nel

piano fisico consiste nella migrazione della materia dal centro alla periferia del Cosmo: nel piano

astrale il movimento è perfettamente l’opposto, dalla periferia l’energia si ritrae, si concentra nel

centro ideale. «E nel piano mentale?», direte voi. Il piano mentale è analogo al piano fisico: la mente

che si spersonalizza, si espande, raggiunge la periferia. E nel piano akasico? È simile al piano

astrale, cioè la rifrazione del “sentimento” in un unico punto, del “sentire” in un unico punto. E nel

piano spirituale? Il Logos, centro di questo piano, che si espande, torna nella indifferenziazione.

Vedete come, in fondo, questi movimenti un po’ caratterizzino poi il destino degli individui: la

mente che si spersonalizza, l’energia che si ritrae, il sentimento che si fonde in una “comunione”

unica, in un punto unico, il Logos che torna alla vastità del Tutto.

Dopo aver dette tutte queste belle cose ho il dovere, però, di avvertirvi e di dire che per farci

capire a voi noi ci serviamo di immagini di comodo, salvo poi a mettere in evidenza tutti i limiti. Una di

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queste è il Cosmo presentato come un’enorme sfera, contenente tutte le materie di diversa

sottigliezza che costituiscono i piani di esistenza, coesistenti senza possibilità di interferenze

dannose, in un ambiente in qualche modo oggettivo. Questa immagine serve molto bene per farci

capire la coesistenza dei piani di esistenza, per farci capire come il grossolano stia bene… possa

compenetrarsi con il sottile e come i piani di esistenza non siano differenti ubicazioni spaziali, è vero?

Ma se mai, appunto, diverse identità di materiali comprendenti tutte le forme di vita che sono proprie

alle singole densità. Tuttavia questa immagine non rende tutta la verità, anche se può sembrarlo. Se

voi domandaste ad una Entità del piano astrale che stesse ascoltandoci questa sera, dov’è, essa vi

direbbe che è qui fra voi, in un dato punto della stanza, confermando in qualche modo con questa sua

asserzione, l’esistenza di uno spazio oggettivo, contenente in tutti i punti della sua estensione i diversi

piani di esistenza. È vero? Come or ora dicevo.

Io vorrei invece farvi capire che se un’Entità rivestita di un corpo astrale – e qui uso ancora

un’immagine di comodo – vi potesse vedere, ciò non sarebbe dovuto al fatto che divide il vostro

spazio e quindi, potendo percepire il più sottile necessariamente dovrebbe percepire il più grossolano,

ma per un’altra ragione. Infatti se voi, abitanti del piano fisico, aveste la possibilità di vedere la

materia al livello più sottile, poniamo il livello atomico – stasera abbiamo parlato di atomi, parliamone

– livello atomico, voi non vedreste più gli oggetti che vedete, ma vedreste unicamente un ammasso di

atomi come un cielo stellato in una notte serena. E non basterebbe la diversa densità spazio, il

numero di atomi fra gli atomi che costituiscono l’aria e gli atomi che costituiscono i corpi a farvi

percepire gli oggetti; difatti la scarsa visibilità degli ambienti nebbiosi non è dovuta a una variazione

del rapporto consueto, ma è dovuta semplicemente alla circostanza che l’atmosfera diventa opaca

alla luce, per cui una visione a livello atomico, si arresterebbe su una muraglia di atomi. Così come

voi foste, nelle vostre attuali condizioni, immersi in una fittissima nebbia, la vostra visione si

arresterebbe sulle infinite, minutissime gocce di vapore acqueo, è vero? Così sarebbe la visione.

Immaginate poi la visione nel piano astrale. Con tutto questo intendo dire che se un’Entità del piano

astrale può percepire il piano fisico, non è – ripeto – perché condivida lo stesso spazio, ma per

un’altra ragione che questa sera non ci interessa esaminare.

Allora, questa immagine di cui dicevo all’inizio del Cosmo come un’enorme sfera, se ha il pregio

di farci capire che i piani di esistenza non sono tanti cieli o inferni danteschi, ha tuttavia il difetto di

lasciarci credere in uno spazio oggettivo. Ora noi abbiamo ricordato questa sera che qualcuno

considera lo spazio come un’emanazione della materia; ciò è molto se riesce a staccarsi dal concetto

del vecchio spazio euclideo, quello della geometria e della meccanica classica, è vero, figli e fratelli?

Ma non è abbastanza se, per capire che non esiste uno spazio vuoto, noi pensiamo ad uno spazio

tutto pieno di materia. Allora vogliamo servirci di un’altra immagine di comodo, un altro esempio.

Supponiamo che voi siate in un ambiente lontano da questo, completamente al buio, e che invece

siate collegati con questo ambiente – in quel momento perfettamente illuminato – con una macchina

modernissima che riproduca attorno a voi, in tre dimensioni, questa stanza. Dopo qualche tempo voi

avreste la netta sensazione di trovarvi qui, esattamente nel punto dove sarebbe collocato l’elemento

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sensibile per riprendere la scena, è vero? Ancora una volta i vostri sensi vi avrebbero tratto in

inganno. Un inganno irrilevante nei rapporti fra voi e i presenti in questa stanza. Ma un inganno che

occorrerebbe svelare ed esattamente dimensionare nel momento in cui noi volessimo comprendere la

Realtà di ciò che è. E con questo vi lascio.

Pace a voi.

Kempis

Figli, Claudio vi saluta.

Ultimamente è stato sottoposto alla vostra attenzione il fatto che gran parte della sofferenza

dell’uomo nasce dalla sua mente, o meglio, dal modo errato di usare la mente. Vorrei portarvi un

esempio; abitualmente l’uomo non ha consapevolezza di una parte del suo corpo fino a che questa

non si ammali e non gli procuri dolore. Così è della mente: se arreca dolore all’uomo, ciò significa che

non funziona armoniosamente. Vi è stato anche accennato il fatto che la mente può cessare di

arrecare dolore all’uomo e ciò accade quando finisce di creare e mantenere in vita l’io. La causa e

l’oggetto della sofferenza è l’io, è l’io che soffre ed è illusone della separatività, il soggetto della

sofferenza; fino a che esiste l’io persiste il dolore. Quanto più l’io è valorizzato, innalzato, sublimato,

più cresce la causa del soffrire. Fino a che esiste l’io esiste corruzione, lotta, dolore; per capire la

causa dell’oggetto della sofferenza, consideriamo che cosa è l’io. L’uomo ha un corpo fisico con i suoi

sensi, vista, udito, tatto, eccetera. Ha poi un altro nucleo di sensazioni come l’irritabilità, l’ansietà e via

dicendo. Ha ancora la possibilità di pensare, cioè interpretare personalmente la realtà ponendo gli uni

con gli altri in relazione a fatti e pensieri e sensazioni, e traendone delle conclusioni. Tutte queste

cose, il corpo, le sensazioni, i pensieri creano l’io. Non è che l’io pensa, se mai è il contrario. L’io non

trova riscontro, non ha un’esistenza propria, contrariamente a quanto affermano gli studiosi della

psiche, e perché non trova riscontro nella struttura dell’individuo cerca di affermare la sua esistenza

con l’accumulare, crescere, possedere. È il desiderio di accrescersi che fa cercare la sicurezza della

continuità, la certezza che non sarà annientato dalla vita e dalla morte. Così si fa più netto il senso di

separatività, il pensiero si standardizza e viene eluso ogni cambiamento; il timore fa sì che l’uomo

divenga la sua legge. Il risultato di tutto ciò è dare importanza nel senso errato alla personalità,

credere che occorra accumulare per essere felici. Si dà importanza al lavoro per ciò che questo può

dare al singolo con oggetti, amicizie, qualità, mentre il lavoro dovrebbe essere visto in funzione della

collettività. Si dovrebbe programmare per l’intera umanità, non per il beneficio di pochi. La mente è

costantemente occupata per l’io; pensa se l’io possiede abbastanza, se avrà abbastanza onori e

gloria, benessere. Così in questa visione della separatività voi ingannate voi stessi in molti modi. Ma

quando cesserete di vivere in funzione dell’io, dal punto di vista dell’io, allora cesserà ogni conflitto,

ogni desiderio di conseguimento. La mente sarà alfine libera e non causerà più dolore per gli uomini.

Pace a tutti voi, fratelli.

Claudio

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La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione.

Chiudiamo questo incontro dandovi appuntamento fra quattro settimane. Nel frattempo noi

lasceremo riposare lo strumento, non faremo la consueta riunione affettiva e voi comprenderete

perché.

Un’altra cosa desidera dirvi la Guida Fisica: che la “Stella di Paracelso” è uno strumento occulto

e prezioso, ed occulto deve rimanere.

Vi benedico ed abbraccio tutti, singolarmente. Che la serenità sia con tutti voi.

Siate consapevoli del grande dono che vi è fatto.

Pace a tutti.

Dali

59

08 Maggio 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Noi non veniamo per essere considerati dei Maestri, posti su degli altari ed adorati; avete già

abbastanza feticci da adorare. Non veniamo per fare dei proseliti, dei seguaci di un’etichetta; semmai

veniamo per distruggere tutto ciò, distruggere ciò che vi inibisce la comprensione: le suddivisioni

razziali, morali, religiose, sociali e via dicendo; tutto quanto vi impedisce di avvicinare i vostri simili e

comprenderli. Se le verità che conoscete vi impedissero di andare incontro a chi non la pensa come

voi, voi non le avreste comprese e siete voi che dovete comprendere, nessuno può farlo al posto

vostro.

Noi veniamo per agevolarvi la comprensione, non per essere un ostacolo di più. Vi parliamo di

verità, ma le nostre parole rimangono aride, sterili se voi non le comprendete, e per comprenderle

dovete avere la volontà di capirle.

Noi non parliamo per tutti: parliamo per quelli che sono insoddisfatti di ciò che sanno. Chi non

desidera approfondire ciò che conosce, chi è sereno nella concezione della vita che ha, non tenga in

nessun conto ciò che noi diciamo. Ma chi vuol capire, deve sacrificare una parte di se stesso per

comprendere. Ciò che ha aiutato nel cammino trascorso, non deve trasformarsi in un pesante fardello

in quello ancora da compiere.

Quando parlo di cammino da compiere e di comprensione, non intendo riferirmi a nozioni da

acquisire e ritenere con la memoria, nozioni che poi possono anche essere dimenticate, ma parlo di

quella comprensione che è liberatrice. Che non è un processo della mente, ma che dona un nuovo

“sentire”, un nuovo “essere” e perciò non può essere obliata. Una tale comprensione non si raggiunge

facendosi discepoli di qualcuno in particolare, ma facendosi unicamente discepoli della verità,

ovunque essa sia.

Vi lascio momentaneamente.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Io sono la Guida Fisica di Roberto.

Vi prego di stare con i piedi uniti, le palme delle mani appoggiate sui ginocchi.

Adesso io produrrò un fenomeno luminoso. Quando io dirò “sì” chi è vicino all’interruttore – la

sorella Maddalena – accenderà la luce e quando nuovamente dirò “sì” la spengerà. Così voi potrete

vedere che durante questi fenomeni, niente è sopra le mani del medium. Ovviamente io vi

raccomando di stare molto concentrati perché voi sapete che questi fenomeni sono molto disturbati

dalla luce. È vero? E quindi l’energia necessaria…

60

Sì!

In piena luce si vedono le mani del medium che offre alla vista degli astanti le palme e poi il

dorso, con parziali contrazioni delle dita.

Michel – Sì!

In piena luce è apparso un apporto che è sceso dall’aria con una deviazione di rotta

evidentissima quanto armoniosa (clinamen) cadendo al centro della sala.

Michel – Ecco. Un doppio effetto, è vero? Lo raccoglierete dopo. È per la figlia Cristina. Non tu, figlia,

l’altra Cristina di nome.

Vi saluto. Restate concentrati, vi raccomando.

Michel

Pace a voi!

Avete parlato, questa sera, del problema degli atei da noi introdotto. Sì, in effetti possiamo dire

che non molti degli uomini che sono incarnati sulla Terra sono degli atei. Ma vi sarebbero da dire

molte cose a questo riguardo che occuperebbe gran parte della possibilità nella nostra

comunicazione. Voglio solo farvi riflettere su un’affermazione e precisamente quella: «Io credo che vi

sia un solo Dio». Ma il credere questo e l’affermare questo comporta necessariamente una serie di

altre, conseguenti nella logica e nella necessità, affermazioni. Dire: «Io credo in un solo Dio», significa

dire: «Io credo in una sola Realtà». Cioè che può esistere un’unica Realtà e che tutto quanto esiste

non può che far parte di essa, cioè di Dio. Lo stesso mondo nel quale voi e noi viviamo, fanno parte di

questa Realtà, perché nel momento che ne fossero avulsi, non vi sarebbe più una sola Realtà, ma più

di una. A meno che noi non ammettessimo che le molte realtà che possono esistere, in effetti sono

parti di una stessa Realtà ed è proprio quello che noi vogliamo affermare. Dire quindi che esiste un

solo Dio significa necessariamente ammettere che esiste una sola Realtà e necessariamente

ammettere che Dio è illimitato, infinito, completo, perfetto. Vedrò di spiegarmi meglio, se è possibile.

Nel mondo che voi percepite, un oggetto è distinto da ciò che non è l’oggetto, ma nel momento

che io facessi sparire tutto quanto esiste – tranne un solo qualsiasi oggetto ed ovviamente me

compreso – l’oggetto diverrebbe l’unica Realtà esistente, e non esistendo alcuna cosa che lo

limiterebbe, diverrebbe illimitato. E se lo spazio fosse un attributo dell’oggetto, l’unico spazio che

esisterebbe sarebbe quello occupato dall’oggetto; perciò l’oggetto, occupando tutto lo spazio

esistente, diverrebbe infinito.

Se noi ci soffermiamo sul concetto dell’unica Realtà e, con la nostra mente cerchiamo di capire

che cosa esiste oltre questa unica Realtà, la nostra mente abituata a ragionare in un certo modo, ci fa

rispondere automaticamente: il nulla. Ma in effetti la domanda non ha senso perché esula dal

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postulato, e cioè che la Realtà sia l’unica cosa esistente. Quindi non si pone la domanda, non

possiamo chiederci che cosa esiste oltre quella Realtà. È l’unica cosa esistente. Allo stesso modo

Dio, se è l’unica Realtà esistente, è necessariamente illimitato ed infinito e, per la stessa ragione, Egli

è indivisibile. Se infatti si dividesse realmente – la Sua creazione, poniamo – non sarebbe più l’unica

Realtà esistente e Dio non sarebbe più illimitato perché verrebbe limitato dalla Sua stessa creazione.

Cioè esiterebbe Dio ed esisterebbe la Sua creazione che in qualche modo lo definirebbe, lo

delimiterebbe.

A meno che, ripeto, non veniamo nell’affermazione che noi stessi vogliamo enunciare, e cioè:

che ogni realtà, in effetti, fa parte di una sola Realtà: Dio. Perciò il percepire noi stessi ed il mondo nel

quale viviamo come avulsi da Dio, è una percezione errata, illusoria. Ma anche nel gioco di questa

illusione, ogni parte risultante da un non reale frazionamento di Dio, non può che essere limitata e

finita. E se Egli è l’Assoluto assolutamente indivisibile, ogni Sua parte risultante da un virtuale

frazionamento, non può che essere il relativo, relativamente divisibile. Perciò ogni manifestazione

cosmica è relativamente divisibile. Ciò è vero per il tempo, lo spazio, la materia, gli esseri della

manifestazione. Infatti, se per esempio lo spazio fosse assolutamente indivisibile, si identificherebbe

con Dio; e se fosse infinitamente divisibile si identificherebbe con il “vuoto”, con il “nulla”. Ma il

concetto di spazio è legato al concetto di estensione, ed il concetto di estensione è legato al concetto

di materia, perciò non può esistere uno spazio che non sia legato in qualche modo alla materia; non

può esistere uno spazio vuoto assolutamente, perché se anche questo spazio esistesse non potrebbe

avere alcuna dimensione, alcuna concretezza, alcuna entità.

Lo stesso principio di relativa divisibilità fa sì che gli esseri della manifestazione cosmica, cioè

noi, siano: primo, nella loro teoria di “sentire” susseguenti l’uno all’altro in numero finito. Cioè, i vari

“sentire” che sono noi, che sono il nostro essere, sono in numero finito. Ciò garantisce

l’identificazione in Dio di tutti gli esseri. Secondo, che gli esseri della manifestazione cosmica sono in

numero finito, e neppure le manifestazioni sono infinite, né come numero né come estensione perché,

se lo fossero, Dio sarebbe unicamente manifestazione e noi sappiamo che Egli è il manifestato e il

non manifestato. Perciò se noi potessimo anche sommare tutti gli esseri di ogni manifestazione – e

non è possibile perché nel momento in cui io prendo in considerazione una manifestazione quella e

quella sola esiste – il numero che si otterrebbe sarebbe un numero indefinito, cioè suscettibile di

accrescersi fino a che continuassi a sommare, ma mai infinito. Di infinito non c’è che Lui, Cioè Dio.

Questa sera voi avete parlato della formula di Einstein che si riferisce alla determinazione della

massa di un corpo in movimento. È vero figlio Guido, Silvio, Emilio ed altri che si sono interessati

marginalmente? Lo dico anche perché, secondo taluni, la massa di un corpo in movimento diverrebbe

infinita quando la velocità del corpo diverrebbe eguale ad una posta velocità critica. Ecco, noi

possiamo dire invece con certezza che man mano che crescerebbe, o che cresce, la velocità a cui è

sottoposto il corpo, la massa tende all’infinito, ma nel momento in cui dovrebbe divenire infinita, cioè

nel momento in cui la velocità a cui è sottoposto il corpo si identifica con la velocità critica che

Einstein pose nella velocità della luce – ma non è necessariamente quella – in quel momento la

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formula si traduce in una forma indeterminata della matematica, quali per esempio: zero diviso zero,

Infinito meno infinito, uno all’infinito, è vero? Cioè una di quelle forme dette “indeterminate”. Il De

L’Hopital cercò, con un suo artifizio, di riportare a valori determinati certe forme indeterminate, ma

questo non ci interessa. Certo è che il Cosmo, per quanto immenso possa apparire, è limitato e finito

come ogni frazionamento virtuale dell’Assoluto; e ciò che è limitato e finito non può contenere

alcunché di infinito. Perciò abbandoniamo il concetto dell’infinita emanazione di “Spiriti” in Dio, buona

a farci capire la vastità, l’incommensurabilità dell’Assoluto, ma non a farci intendere che l’atto di

creazione di Dio sia in effetti un continuo “divenire”, un continuo manifestarsi. Noi questo lo capiamo

abbastanza bene, è vero, figli e fratelli? Sappiamo che ciò che noi vediamo muoversi, accrescersi,

avere un inizio ed una fine in realtà non è un evento oggettivo, è un evento illusorio. Perciò un’altra

immagine distrutta e un altro velo sollevato. Non so se avete fatto caso che il nostro parlare

assomiglia in qualche modo alla “danza dei veli”. Un primo velo cadde quando vi parlammo per

spiegarvi che l’apparente confusione, ingiustizia, dolore del mondo nel quale vivete, in realtà facciano

parte di un ordine sommo, di una mirabile perfezione: l’evoluzione, la legge di causa e di effetto, di

reincarnazione sono tutte verità sulle quali poggia il perfetto equilibrio dell’Esistente.

Ma chi credesse di appagare la sete di sapere degli uomini dando loro le risposte a certe

domande che si fanno, sarebbe un ingenuo e questo è una fortuna per tutti perché assicura un

progresso. Così se alcuni interrogativi vennero subito soddisfatti, altri ne sorsero perché vi chiedeste:

«E come è conciliabile la mutabilità dei mondi sensibili con l’immutabilità dell’Assoluto?». E via. Da

qui la necessità di alzare un altro velo.

Parlammo allora della non contemporaneità che esiste fra certi “sentire” legati ad una stessa

serie di fotogrammi. Contemporaneità che esiste in assoluto fra “sentire” analoghi e non potrebbe

essere diversamente.

Ciò che è analogo e che esiste al di là del vostro tempo e del vostro spazio, vibra

simultaneamente e in modo indipendente da questi. E se tale verità non appare nei piani fisico,

astrale, e mentale, appare invece in modo inequivocabile nel piano akasico, o del “sentire”.

Per parlare un po’ della vita di questo piano e rispondere così ai vostri interrogativi, dobbiamo

riferirci ad una fase del “sentire” molto avanzata, alla condizione d’esistenza che noi abbiamo definito

“abbandono della ruota delle nascite e delle morti”. Perciò tutto quello che io dirò sul piano del

“sentire”, va riferito a quella condizione d’esistenza. Poiché i “sentire” analoghi vibrano

simultaneamente, questa condizione d’esistenza del superuomo è raggiunta contemporaneamente

per tutti gli esseri della manifestazione, in qualunque tempo o spazio abbiano ottenuto la loro

evoluzione.

Quella condizione d’esistenza è del tutto diversa dalla vostra attuale. Allora il “sentire” fluisce

spontaneamente, senza necessità di stimoli dai piani grossolani. L’individuo non ha più niente di

umano, non ha più sensazioni, non pensa più, per quanto il “sentire” nel suo succedersi sia più simile

ai pensieri che non alle sensazioni. Queste ultime, infatti, sorgono in voi quando sono stimolate non

fosse altro dalla vita fisiologica del corpo fisico. I pensieri, invece, si susseguono automaticamente. In

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modo analogo il “sentire” fluisce spontaneamente e niente può frenarlo o soffocarlo. Allora, in quella

condizione d’esistenza, non esiste più l’io egoistico con il suo bisogno d’accumulare, crescere, che

reca la maggior parte del dolore all’uomo, come dice il Fratello Claudio. Evidentemente esiste ancora

il senso dell’individualità e l’illusione del succedersi del “sentire”, di un “sentire” che sente di crescere

sempre più di intensità, ma è cosa diversa dal senso di separatività che percepite voi nella vostra

attuale condizione di esistenza. Perciò il vedere se stessi proiettati in quella dimensione come degli

esseri, degli uomini ingigantiti e sublimati, è una di quelle immagini che dovete distruggere.

Una particolarità che colpisce chi raffronta la “vita del sentire” del piano akasico con quella degli

altri piani più grossolani, è la mancanza assoluta di Maestri, di Istruttori, Guide Spirituali. Nel vostro

mondo potete incontrare figure di Santi che vi portano parole di illuminazione, esseri del vostro tempo

che non sono vostri contemporanei nel “sentire”. Nel piano akasico dove non esiste più l’illusione di

una contemporaneità di “sentire” – in effetti non esistente – non appaiono più queste immagini. In

vero non appare nessuna immagine. Intendo dire che nei piani grossolani si percepiscono le immagini

di oggetti e corpi estranei all’individuo, che appartengono al mondo esteriore. Nel “piano del sentire”

esiste unicamente il “sentire” ed il contatto fra i “sentire” è un contatto di “comunione”. E se al livello di

esistenza umana il contatto è mediato dai sensi – e giunge difficilmente a farvi cogliere la Realtà delle

cose e piuttosto ne fa cogliere l’apparenza – così non è nel piano del “sentire”. Qui la fusione di un

“sentire” con una Realtà avviene dall’interno dell’“essere”, senza necessità di intermediari,

gradualmente. Voi avete bisogno di… afferrare delle immagini del mondo che vi circonda; se volete

conoscere di più, dovete esplorare quanto più possibile attorno a voi. Nel piano del “sentire” non

esiste visione del mondo esterno; ripeto, esiste fusione con una verità.

L’abitudine che avete al vostro mondo forse vi fa chiedere se è possibile accelerare o

deliberatamente provocare una “comunione”. Ebbene, niente di tutto questo. La “comunione” fra il

“sentire” che implica il raggiungimento di un nuovo “sentire” avviene automaticamente, per reciproca

attrazione fra “sentire” simili e complementari ad un tempo, seguendo un ritmo naturale che deriva

dalla natura stessa del “sentire”.

Qua potremmo parlare delle cosiddette “anime gemelle”, ma non lo faccio per non creare inutili

figurazioni romantiche.

Ebbene, il fatto che la “comunione” fra “sentire” non possa essere deliberatamente promossa e

ricercata, può farvi pensare ad una mancanza di autonomia, ma dovete tenere presente che nel

vostro mondo la possibilità di cambiare, la supposta libertà, la possibilità di scegliere, è tanto più

necessaria e vitale quanto più grande è l’insoddisfazione dell’uomo. La vita del “sentire” è

essenzialmente beatitudine e completezza e chi è in quella fase della sua esistenza, non prova la

necessità di “sentire” di più perché “sente” sempre nella misura massima che può, perciò è

essenzialmente appagato.

L’amore disinteressato, altruistico è la spinta che allarga la “comunione” degli esseri fino a farne

una cosa sola, e questo amore non è soggetto a stanchezza, semmai si infiamma sempre di più.

Un aspetto particolare che potrebbe cogliersi nel piano ancora del “sentire”, è l’assoluto distacco

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e disinteresse per i piani di esistenza più grossolani; tutto di essi appare trascorso, raffermo, inutile,

superato. La stessa sapienza, la cultura, perfino la conoscenza della vita della natura, della materia,

del Cosmo, del macrocosmo, appaiono nella giusta luce, e con questo rispondo alla vostra domanda:

un mezzo ormai non più necessario per stimolare un “sentire”, ma ora che il “sentire” fluisce

spontaneamente l’utilità di questo mezzo è acquisita in modo indelebile. Dirò di più: siccome “sentire”

significa “coscienza”, da questa successione di “sentire” sempre più intensi ed ampi la sapienza ne

risulta automaticamente incrementata, ma è una sapienza diversa; intendo dire che voi conoscete

concetti e li ritenete a mezzo della memoria: noi non seguiamo questo mezzo, nel piano del “sentire”

non si “conosce” una verità, ma si è anche quella verità, e ciò in una lucida consapevolezza che non

dà adito a false interpretazioni.

Mi accorgo che se continuassi a tradurre in immagini la vita del “sentire”, mio malgrado

contribuirei a creare in voi delle figurazioni che vi trarrebbero in inganno, perciò mi taccio su questo

argomento come si conviene a chi teme di dire troppo.

Mi rimane un ultimo argomento da concludere, quello che iniziammo la volta scorsa. Io espressi

la mia convinzione che l’uomo di media cultura della vostra civiltà, con i mezzi di cui dispone, cioè la

sua intelligenza e le sue conoscenze, può credere a Dio senza fare alcuna affermazione fideistica; e

per controllare questa mia convinzione mi calai nei panni di un siffatto uomo. Naturalmente le mia

sono affermazioni ipotetiche, ma se esse si fondano su dati di fatto e sulla logica, posso tenerle in

considerazione fino a che non siano smentite in qualche modo; ciò non è contrario né alla ragione né

alla scienza positiva. Per convincersi di questo basta pensare che la concezione atomica della

materia è un’ipotesi di questo tipo e voi tutti siete a conoscenza di quanta strada sia stata fatta dalla

scienza positiva con questa concezione.

Se io identifico la “prima causa” con Dio, potendo credere che l’Esistente ha una causa come

vedemmo la scorsa volta, fino da ora potrei ammettere l’esistenza di Dio. Però preferisco ragionare

su questa “causa” per vedere in quale Dio posso credere. Voi udrete cose già dette – non è la prima

volta che parliamo di Dio – ma se le ripetiamo è per dimostrare in qualche modo che, anche stando

nella vostra posizione, si può pervenire a quella idea di Dio alla quale perveniamo noi con diverso

metodo. Perciò facciamoci coraggio e proseguiamo. Eravamo rimasti alla “causa”.

La “prima causa”, antecedente al tempo, allo spazio, alla materia, deve essere necessariamente

diversa da tutto quanto cade sotto la nostra attenzione nel mondo del finito, del limitare, del

transitorio. È vero, figlio Gilberto? Posso immaginare che il rapporto che esiste fra questa prima

causa e il causato, non è lo stesso che esiste fra causa ed effetto nello spazio-tempo. Anche senza

addentrarci in considerazioni sul rapporto che esiste fra causa ed effetto, nella realtà fisica – che per

altro, badate bene, è messo in dubbio da taluni che non lo ritengono realmente esistente, ma lo

ritengono frutto della nostra abitudine a considerare costanti i legami fra certi fenomeni osservati, è

vero? – posso capire che causa ed effetto, azione e reazione, quali la scienza li coglie, sono eventi

spazio-temporali, che appartengono cioè ad un dato tipo di realtà, ma che di tutt’altra natura deve

essere il rapporto che lega questi tipi di realtà con ciò che ne ha determinato l’esistenza. Perciò io

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solo per comodità di linguaggio chiamo “prima causa” la realtà antecedente alla Realtà Esistente,

tenendo presente che il rapporto che esiste tra queste è tutto da determinare. Allora, con questa

premessa, posso continuare nelle mie considerazioni.

La causa del Tutto, cioè la “prima causa”, deve essere indipendente da tutto. Non deve

dipendere da alcunché; cioè deve essere la “prima causa increata”, altrimenti dovrei spostare il mio

esame fino a trovare la causa esistita da sempre. Ora, poiché siamo al di fuori del tempo e dello

spazio, mi pare opportuna una precisazione, cioè sostituire l’avverbio di tempo “sempre” con un

vocabolo più adatto e questo è: “eternamente”, perché nel linguaggio comune – io non voglio

improvvisarmi filologo – ma nel linguaggio comune si confonde il significato di “eterno” con quello di

perpetuo e di perenne. Noi intendiamo “eterno” senza tempo. Mentre perpetuo è qualcosa che ha

avuto un inizio e che continua in un supposto tempo senza fine: perenne che non si esaurisce mai, è

vero? Intendiamoci sui vocaboli!

Dunque, la “prima causa” è eterna. Se è eterna – cioè senza tempo perché ovviamente siamo al

di là del tempo e dello spazio – è immutabile. Eh già, perché se mutasse avrebbe in qualche modo

una successione. Poi deve essere assoluta, cioè indipendente da tutto altrimenti – come ho detto –

non sarebbe “prima causa”. Se è eterna, immutabile, assoluta, non se ne scappa, deve essere una.

Se è una è tutto quanto esiste, occupa tutto quanto esiste: allora è illimitata. Se è illimitata, vuol dire

che niente la limita, e quindi posso affiancare a questo concetto l’altro concetto: è infinita. Se è infinita

non esiste un punto ove essa non sia, quindi è onnipresente, e poiché è eterna è l’eterna-

onnipresenza. Se allora è: eterna, immutabile, assoluta, illimitata, infinita, eterna onnipresente e se

confronto i caratteri di questa “prima causa” con quelli universalmente riconosciuti dalle filosofie e

dalle religioni a Dio, vedo che posso chiamare questa mia “prima causa” Dio. Salvo poi a vedere quali

altri caratteri posso attribuire ad essa. Se è onnipresente è a contatto del Tutto, niente quindi può

esserle ignoto; allora è onnisciente. Ora se guardo con quanto ordine e intelligenza si svolge la vita

naturale del creato, non posso non credere che altrettanto ordine, equilibrio, intelligenza non sia in ciò

che ne è stato la causa. Per cui “prima causa” – o Dio – deve necessariamente essere per lo meno

tanto intelligente, e quindi sapiente, della totalità di ciò che ha generato. E proprio il “generato” mi

conduce a fare un’altra considerazione e cioè che non posso pensare che tutto quanto esiste sia

stato tratto dal “nulla”, ma che l’unica conclusione alla quale posso logicamente pervenire è che Dio

l’abbia tratto da se stesso, cioè che sia stato “emanato”. Non solo, ma non posso pensare

all’“emanato” come a qualcosa staccato da Dio, che ne viva automaticamente, senza negare a Dio il

Suo carattere assoluto, perché l’emanato deve rimanere in Dio. E se è così, non posso pensare a Dio

completo dell’emanazione, del creato, di quello che volete, ed a Dio privo della Sua creazione, come

a due momenti diversi della Sua esistenza, perché negherei a Dio il Suo carattere immutabile ed

eterno. Perciò l’emanato non solo deve restare in Dio, ma deve esservi sempre stato.

Se allora causa e causato sono una Realtà unica, quell’inizio e quella fine che ho ricercato e

ritrovato nell’Esistente non sono eventi oggettivi, sono illusioni, sono apparenze. Allora quanto noi

percepiamo non è la Realtà, è l’apparenza di essa. Sono congetture che la nostra mente costruisce

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su informazioni che le pervengono dai sensi, ma non è la realtà di ciò che “è”. La Realtà è ciò che “è”

e non ciò che i nostri sensi ci fanno ritenere che sia.

Allora, come è conciliabile questa apparenza con una Realtà diversa? Certo deve esservi un

modo comprensibile che concilia questi due aspetti del problema ed è proprio da questa spiegazione

che debbono scaturire i valori antropologici, non il contrario. Cioè, errato sarebbe da valori umani

immaginare la Realtà di Dio e su quello creare un’etica; e mi pare che proprio questo errore sia stato

fatto: cioè, partendo da ciò che i nostri sensi ci fanno ritenere realtà, gli uomini abbiano tratto tutte

quelle concezioni del divino che ne fanno un essere antropomorfico, se non nell’aspetto per lo meno

nel comportamento. Invece mi pare più proprio pensare che Egli sia la causa di tutto, come io ho

postulato, ma ne ho dedotto che “causa” e “causato” debbono essere un’unica Realtà.

Oppure lo posso immaginare come un ordinatore di un caos preesistente ma ne ho dedotto – è

vero? – che se fosse realmente così, ciò contrasterebbe con la Sua Natura immutabile ed eterna.

O lo posso immaginare come Essere da cui traggono origine tutti gli altri esseri, ma se fosse

realmente così, ciò contrasterebbe con la Sua Natura infinita ed indivisibile. Allora, che cosa

significa?

Significa che io posso immaginare Dio come più mi aggrada, come più mi fa piacere, ma per

essere veramente tale Egli non può che essere l’unica verità, l’unica Realtà, perché solo così Egli è:

immutabile, infinito, indivisibile, eterno, perfetto, completo, onnipresente, onnisciente, assoluto.

Questo è il Dio al quale posso credere senza far torto alla mia ragione!

Pace a voi.

Kempis

La voce di Kempis è incrinata da una profonda emozione, come altre volte quando Egli ci ha

parlato dell’Assoluto.

Io sono ancora tra voi. Io posso portarvi poco, vi porto unicamente il mio amore. Ma voi non lo

percepite perché come un fumo vi avvolge, ma sono con voi sempre.

Oh quanto ci pensate nei momenti difficili della vostra esistenza… nelle ore di asietà che

rappresentano la vera vostra salvezza perché sciolgono i vostri legami di creature attaccate a ciò che

è transitorio. Quanto vorrei che voi comprendeste al di là di ciò che può sembrarvi impossibile ed

incredibile! Vorrei che voi per un solo istante poteste dimenticare ciò che siete ed avere la visione –

senza dubbio – di ciò che siamo noi.

Io vi sono qui vicina, sono con voi sempre, eppure solo in questi momenti voi mi percepite.

Possiate percepire il grande amore che io porto per voi. Siate su, sempre più lontano per una vita

più bella, con me, creature! Con me!

Teresa

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24 Maggio 1975 (Affettiva)

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti

voi, o figli, che qua siete riuniti in attesa di comunicare con noi.

Che dirvi ancora di nuovo? Cose che non abbiamo detto fino ad ora, che suonino diversamente.

È difficile; da tanto vi parliamo. Possiamo solo ripetere, forse neppure con parole nuove, quello che

sempre andiamo ripetendo: che voi dovete pensare intensamente alla vostra esistenza; non credere,

o figli cari, che essa abbia un valore transitorio nel senso che solo l’aldilà sia importante: non

l’abbiamo mai detto questo, figli. Noi vi abbiamo insegnato sempre a valorizzare al massimo la vostra

vita; è vero che la vita terrena ha un valore transitorio ma solo nel senso che non si incontrano delle

realtà permanenti, delle realtà ultime; ciò che l’uomo scopre sono unicamente delle verità punti di

passaggio; in questo senso la vita ha un valore transitorio, perché sempre nuove mete attendono

l’uomo e guai a colui che credesse di avere raggiunto l’ultima sua meta, l’ultima sua sistemazione:

egli sarebbe un uomo cristallizzato e, in un certo senso, perduto. Noi vi diciamo: «Nascete ogni

giorno, figli, siate pronti ogni giorno a porre in discussione tutto, tutto quello che avete creduto sino a

quel momento; ogni giorno la vita deve aprirvi alla comprensione di nuove verità e niente, niente deve

avere il potere di impedirvi questa comprensione». Perciò né la paura né gli affetti: niente. Né

l’incertezza, né la sicurezza di avere scoperto tutto quello che c’era da scoprire. Siate perciò duttili

sempre, pronti a comprendere quello che la vita deve insegnarvi, questo è il vero atteggiamento che

dovete avere. In questo senso dovete rivolgervi alla vostra vita, dovete considerare la vostra

esistenza.

Comprendo quanto questo possa sembrare difficile; per sua natura l’uomo… o meglio, quando

siamo reincarnati, siamo portati a cercare di adagiarci in ciò che sappiamo; quando abbiamo a fatica

compreso qualcosa ecco che ne vogliamo fare tesoro, ciò che abbiamo compreso diventa parte di noi

stessi e siamo mal disposti ad abbandonare quello che crediamo per abbracciare nuove verità. Ecco,

noi vi insegnamo, o figli, a essere continuamente disposti, a scoprire il nuovo; solo in questo modo voi

potete conservare una disponibilità interiore tale da non farvi cristallizzare, da risparmiarvi certi colpi

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che possono venirvi dagli eventi che hanno lo scopo ben preciso di muovervi dalle vostre

cristallizzazioni. Siate dunque così, aperti, duttili alla vita; non abbiate timore: niente che possa

veramente esservi fatale o dannoso nel vero senso della parola può occorrere.

Il danno che l’uomo può ricevere è un danno relativo; sempre danno può chiamarsi se lo si

raffronta a qualcosa: i suoi interessi, le sue ricchezze, la sua posizione, i suoi privilegi, ma tutti questi

sono valori non essenziali all’uomo, sono valori che servono a costruire il gioco della sua vita,

attraverso al quale egli continuamente deve rinnovarsi, continuamente giungere a nuovi punti di

passaggio, continuamente cambiare.

Non voglio annoiarvi più oltre; rispondo alle vostre domande, se ne avete, cominciando dalla

destra dello strumento.

D. – Questo incontro mi riempie di commozione…

R. – Io ho seguito questi figli, naturalmente, come tutti voi che qua siete riuniti questa sera e tutti

coloro che ascoltano le nostre parole da prima che avessimo la possibilità di comunicare con voi. E

quando abbiamo iniziato a comunicare voi eravate più indifesi, più feriti dai colpi della vita; ed oggi

guardando la vostra esistenza trascorsa – che come sapete non ha importanza perché unicamente il

presente importa – vedo quanto le parole di allora siano rimaste in voi, quanto siano state conservate

dal vostro essere interiormente, quanto vi abbiano forgiato in un certo senso anziché in un altro.

Allora voi eravate, come ho detto, molto ricettivi ad ogni messaggio, di qualunque genere, che poteva

giungere, ed abbiamo avuto la fortuna di essere uno dei primi messaggi che voi avete ricevuto; forse

non tanto dalla vita fisica quanto da una diversa esistenza. Voi avete accolto le nostre parole e quindi

noi stessi e ci avete conservati dentro di voi e noi abbiamo ripagato per quanto ci è stato possibile

questo vostro affetto, questo abbraccio che ci avete rivolto. Oggi vorrei che anche voi, riguardando il

vostro passato, ne foste certi. Ma se anche lo foste, figli, non sareste mai in grado di vedere come noi

vediamo, quanto quello che avete saputo è stato prezioso per voi e quindi per i vostri cari.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

D. – Volevo chiederti questa sera se mi potevi parlare un poco della mia Guida Fisica perché ho

notato in questi ultimi anni dei passaggi, delle diverse preferenze nella mia vita quotidiana, nei miei

programmi…

R. – Vedi figlio, diciamo della tua Guida… in genere noi chiamiamo “Guida Fisica” una Entità preposta

alla manifestazione di certi fenomeni fisici, è vero? Quindi forse sarebbe più esatto dire la tua “Guida”

in senso lato. Ma il fatto che una creatura cambi certi interessi nella sua esistenza dipende

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unicamente dalla sua necessità di coprire una gamma piuttosto vasta di esperienze. Questa

necessità discende dalla sua particolare evoluzione, da un momento particolare della sua evoluzione,

per cui deve incontrarsi con alcuni fatti, persone, avvenimenti che, visti dalla vostra dimensione,

possono apparire anche spiacevoli, anche possono disilludere, ma che vanno sempre giudicati e

collocati nel quadro generale del quale vi parliamo, nel contesto completo della vostra esistenza, della

quale quella che ora percepite non è che un frammento, in ogni senso. Intendo dire che anche nella

vostra attuale esistenza, ciò che voi percepite non è che un attimo, l’attimo presente. Ed anche

questo attimo che rientra nella vostra consapevolezza è ancora un piccolo frammento di ciò che sta al

di là, come se un immenso continente fosse sotto una distesa d’acqua e da questa distesa d’acqua

spuntassero solo le cime di alcune montagne: queste cime potrebbero essere delle piccole isole, e

cioè la coscienza dell’uomo, la consapevolezza dell’uomo, ma che cosa si nasconde oltre questa

consapevolezza sarebbe rappresentato dal continente che sta al di sotto del pelo dell’acqua, da

questo continente sommerso. Ecco, e pure questa immagine se in qualche modo può darci una

impressione di profondità dell’essere umano, non è ancora sufficiente a farci capire l’essere in tutta la

sua fase dell’esisenza; non solo nella fase umana, ma precedente e seguente. Notate, o figli, quanto

vasto sia il mondo che noi siamo, è vero? Orbene, questo mondo così vasto è costruito e collegato da

un’infinità di esperienze; si rivela, vibra, dà il contatto che l’essere, che l’individuo ha con moltissime

realtà. Sono tutte realtà relative, come ho detto prima, tutti punti di passaggio; ma pure esse fanno

parte di un’unica realtà, sono aspetti di una sola realtà, in ultima analisi, di Dio. Ora accade spesso

che certe creature per la propria natura sottostanno ad un numero limitato di esperienze, si

concentrano su pochi fatti, pochi avvenimenti, pochi ambienti; altre volte invece, proprio per necessità

derivanti dal particolare momento esistenziale di quell’individuo, gli ambienti devono essere diversi e

le creature molte; ad ognuno il suo, potremmo dire. Così non vi spaventate di quello che la vita vi

conduce a sperimentare; preoccupatevi di comprendere sempre tutto quello che la vita vuole

insegnarvi. E questo lo si può fare solo se si medita su cosa ci accade; non così, come una semplice

osservazione di avvenimenti come potremmo leggere… non so, di un fatto di cronaca, ma proprio per

scoprire qual è la nostra reazione.

Vedete, quando il Fratello Claudio parla dell’intimo vostro e vi consiglia a meditare

continuamente, egli applica un principio importantissimo; noi abbiamo enunciato questo principo

“attenzione, consapevolezza, comprensione”. Vi è mai capitato di pensare continuamente a un

problema senza trovarne la soluzione? Ecco, voi in quel momento occupate la vostra attenzione con

quel problema, ne siete consapevoli, ma non riuscite a comprendere, ad andare oltre; ebbene,

improvvisamente, se voi continuate ad essere consapevoli di questo problema, ad occupare la vostra

attenzione, improvvisamente il problema presenta nuovi lati, può essere persino risolto. Anche questo

processo fa parte di quello che dicevo prima. Quindi la vita vostra deve essere vista in questo senso,

porgere attenzione a quello che fate, esserne consapevoli senza voler apparire diversi da quello che

siete; apparire diversi solo se la vostra azione dovesse danneggiare altri, evitare di fare certe cose

solo se la vostra azione arrecasse danno agli altri, ma non per meritarsi qualcosa. Quando il vostro

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agire secondo un vostro “sentire” non si ripercuotesse in modo sfavorevole sugli altri allora agite pure;

perché anche quello fa parte del vivere la propria vita in modo giusto. Allora: attenzione,

consapevolezza (essere consapevoli di quello che facciamo e di quello che voi fate), giungendo

perfino ad analizzare quelle che sono le ragioni del vostro agire senza preoccuparvi se non riuscite a

scoprire veramente qual’è la vera ragione; l’importante è che voi fissiate la vostra attenzione sulla

vostra vita, sui motivi che vi spingono ad agire – quelli supposti – e siatene certi che comprenderete,

che la vostra vita acquisterà un significato per voi perché questo è un processo inesorabile:

attenzione, consapevolezza, comprensione. Ma quando anche si è raggiunta una comprensione non

deve finire questa attività di riflessione, di meditazione la potremmo chiamare, della propria esistenza.

Deve continuare sempre.

Una volta, nella vostra fanciullezza forse, la religione vi insegnava a fare un esame di coscienza;

è una cosa del tutto diversa da quella che sto dicendo, ma era giusto il principio: che in un certo

momento della vostra giornata voi pensiate a quello che è il vostro agire, a perché avete agito in un

certo senso anziché in un altro, perché voi vi siete comportati in una certa maniera, cercando di

essere quanto più possibile sinceri con voi stessi in questa analisi, senza preoccuparvi se scoprite

qualche lato che non vi piace di voi stessi; è vero? Ebbene, se voi prendeste questa abitudine – anzi,

di scrivere addirittura – come vedete voi stessi, la vostra esistenza, il vostro agire, vi accorgereste a

distanza di tempo di quale cambiamento questa specie di meditazione riesca a portare in voi. Quindi

la conclusione di questo discorso, figlio, è: vivi pure tranquillamente e serenamente secondo quello

che io ti ho detto, e non preoccuparti di cercare una posizione finale che possa essere considerata

come “vita realizzata”; guai a colui che credesse di essere giunto al massimo della propria esistenza,

di aver raggiunto l’apice; guai a questi, è vero? Guai a chi credesse di aver raggiunto la perfezione

della sua vita, del suo agire; siate sempre pronti a cambiare, a modificare, a ricominciare tutto da

capo.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

D. – Esiste sempre una certa disponibilità in noi ad accettare quelli che sono gli insegnamenti, e a

seconda di come si è fatti a viverli intensamente ma in una forma di pensiero, non mai di azione

concreta. Vorrei chiedere: ho l’impressione, riferendomi a me, di essere proceduto molto poco in

quanto che molto tempo fa mi era stato detto dalla mia Guida Fisica8 che mi avrebbero atteso delle

altre esperienze. A distanza di anni, forse sette, otto, sei, non lo so, devo notare che non ho rilevato

quelle esperienze che mi erano state preconizzate. È forse perché mi sono fermato? Perché non ho

8 In questo caso il termine “Guida Fisica”, come sopra spiegato dal Maestro Dali, probabilmente va

inteso come Spirito Guida, Guida Spirituale.

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avvertito un qualcosa che cambiava? Sono mancato in qualche cosa? Cioè, il pensiero e l’azione non

hanno corrisposto in egual misura? È una domanda personale ma comunque penso che potrà

interessare un po’ tutti.

R. – Certamente. Dunque, innanzitutto c’è in tutti voi il desiderio o il pensiero di avere delle

esperienze cardine, è vero? Perché possano emergere o vedersi a prima vista ricordando la propria

esistenza; non è così, figli. Posso dirvi – è proprio il caso di dirlo, per esperienza – che certi

avvenimenti, che certe riflessioni che possono passare anche inosservate per la loro pochezza, per la

loro poca rilevanza, sono invece fondamentali per l’individuo. Così come, per esempio, certe azioni

fatte nella massima noncuranza, quasi automaticamente, rivelano la vera natura dell’individuo,

altrettanto certe esperienze che quasi non si avvertono portano invece ad un allargamento della

coscienza sensibile. Intendo dire, vedi figlio, quand’è che tu hai consapevolezza di qualcosa? Quando

questo qualcosa ti impedisce alcunché; non so, tu sai che c’è una porta quando la porta è chiusa; ma

se la porta è aperta tu ci passi attraverso e non te ne accorgi che essa esiste. Allora, quelli che

possono essere pensieri, esperienze così, molto laboriose che ti preoccupano, sono dunque zeppe al

vostro cammino. Il dolore che vi arrecano certi pensieri, certe situazioni, sono anch’essi zeppe nel

vostro procedere. Che cosa intendo dire? Intendo dire che quando il mutamento di noi stessi avviene

naturalmente, seguendo un ritmo naturale, noi stessi non ce ne accorgiamo; ce ne accorgeremmo

solo se, ad esempio, tenessimo un diario dei nostri pensieri, dei nostri punti di vista, di ciò che

pensiamo e soprattutto di ciò che “sentiamo”. Ebbene, rileggendo a distanza di tempo, dopo una serie

di esperienze di quelle delle quali vi sto parlando, ecco che ti renderesti conto del cambiamento che è

avvenuto in te stesso. Non pensate quindi che il cambiamento avvenga solo attraverso ad esperienze

traumatizzanti: direi proprio di no. Anzi, forse avviene più facilmente attraverso a quelle esperienze

piane, lineari, delle quali voi forse non vi rendete neppure tanto conto.

Ora desidero dire un’altra cosa ed è quella che tu mi hai chiesto: come mai vi sono, appunto,

questi richiami per l’insegnamento? Voi tutti siete convinti che certe cose che noi diciamo sono giuste,

ma quando si tratta di agire in un certo senso sembra che questa convinzione venga meno; ecco, è

una difesa che voi avete. Che cosa significa questo? Significa che l’insegnamento dalla vostra

attenzione è passato alla vostra consapevolezza ma non è ancora riunito alla vostra coscienza, non è

stato ancora assimilato pienamente; e poiché non è ancora giunto alla vostra coscienza, figli, è bene

che la vostra azione non sia conforme alla totalità dell’insegnamento, perché voi non avreste la forza

per vivere in quel modo; e noi sempre vi diciamo che dovete agire valutando le vostre forze. Lo

stesso Cristo disse, per quanto questo sia stato poco compreso, che chi volesse costruire un’enorme

torre dovrebbe prima valutare le sue possibilità finanziarie, le sue possibilità di costruire, perché se

poi queste possibilità venissero a mancargli ecco che la costruzione rimarrebbe incompleta ed egli

sarebbe sottoposto al giudizio degli uomini. «Poco male!», direte voi; certo, il linguaggio va riportato

all’epoca. Ma se voi vi convinceste di poter fare delle cose solo perché siete convinti che queste cose

sono giuste ed è quello che tutti dovrebbero fare, senza avere poi l’intima convinzione, e quindi la

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forza di mettere in pratica questi pensieri, voi sareste destinati alla più grande disillusione. Non solo:

ma finireste col perdere anche il senso di chiarezza di certe verità, finireste col non credervi più. Ecco

perché vi spingiamo costantemente a riflettere, a meditare sulla vostra esistenza, su ciò che si agita

in voi, ad essere consapevoli di quanto siete umani e quanto invece avete trasceso ciò che

comunemente l’uomo non ha ancora trasceso.

Sii dunque sereno pure te, figlio; non preoccuparti se non ti sembra che certe esperienze siano

accadute. Un giorno molto lontano, quando farai il consuntivo della tua esistenza, vedrai che saranno

accadute e vedrai quanto la tua esistenza sia stata – mi dispiace dirlo con un termine che non rende

l’idea ed è brutto – ma quanto sia stata proficua per te.

Nessun’altro ha delle domande?

D. – Volevo fare una domanda sulla questione di Ceppeto. Mi sembra che il “circolo” sia un po’ troppo

largo, che non ci sia quella comprensione, quella conoscenza di noi stessi verso gli altri; cioè, che

non ci sia quella comunione, quello spirito di fraternità che voi stessi ci dite, ci insegnate. Cosa

possiamo… cosa posso fare io, visto che ho la deformazione ad andare incontro agli altri? E poi una

domanda molto personale: vorrei avere notizie di mia madre.

R. – Vedete cari, quando si è pronti, quando si è giovani, a ricevere questi insegnamenti… quello che

dicevo prima, all’inizio, a questi figli, quando una creatura è giovane è più libera, accoglie a braccia

aperte quello che noi diciamo; e noi siamo così contenti per queste creature che… come possiamo

contracambiare questo slancio che è uno slancio d’amore, se non facendo sì che queste verità

rimangano profondamente e aiutino per tutta l’esistenza questa creatura in quelle che saranno le sue

esperienze, le sue vicissitudini. Io ti ringrazio, figlio Riccardo, per questo tuo slancio di affetto nei

confronti dei tuoi amici, ed anche di noi stessi in fondo. Che cosa potete fare? Ti sia questo piccolo

esempio utile per tutta la tua esistenza, per tutta la tua vita, per tutte le situazioni che presenteranno

degli aspetti analoghi. Cioè, vedi che per quanto possano essere belle certe cose però non hanno in

sé la forza di cambiare gli uomini, se gli uomini non hanno la volotà di cambiare. Dici: «Che cosa ha

scoperto Dali!»; certo, non ho scoperto niente, ma addito alla tua attenzione tutto ciò. Noi vi parliamo

da tanto tempo e vedendo che effettivamente voi ci seguite da altrettanto tempo, sembrerebbe logico

che oramai voi foste in piena fratellanza; e meraviglia il fatto che, invece, questo non appare. Ma

mentre da un lato io dico di non giudicare dalle apparenze, perché molte volte forse la riservatezza, la

timidezza, impediscono di andare incontro gli uni agli altri, è anche vero che non c’è quella

fratellanza, quell’affetto, quell’intimità, quella comunione (intesa nel senso umano), che ci si dovrebbe

aspettare da creature che da tanto tempo sono testimoni non solo di fatti fuori dal normale e che

invitano ad amarsi, ma anche ascoltano tante parole di fratellanza e di amore al prossimo. Ogni cosa

ha bisogno della sua maturazione; così anche la verità ha bisogno di essere assimilata dall'uomo.

Non meravigliarti, quindi, di ciò che dovrebbe essere secondo il tuo punto di vista e invece non è. Che

cosa puoi fare? Puoi fare moltissimo; cioè, cominciando tu ad avvicinarti a qualcuno. Certo non è

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possibile che tu possa avvicinarti a tutti, è vero? Ma se adesso sei avvicinato, ti senti in simpatia con

un certo numero ristretto di creature, ecco, fai in modo di allargare questa tua simpatia, di invitare gli

altri, di fare agli altri questo tuo discorso, questo discorso che hai fatto a me.

Vedete, noi parliamo, e quando si tratta di venire ad una riunione, ad un incontro, molto volentieri

tutti vengono. Quando poi si tratta o di rileggere o di discutere non tutti amano la discussione; è

comprensibile che alcuni riescano meglio a meditare nell’intimità della propria camera, della propria

casa, lo comprendo benissimo, ma sarebbe molto utile che vi fosse un sereno scambio di opinioni, è

vero? Per sereno scambio di opinioni intendo che non vi sia il desiderio di dire qualcosa, di dirlo in

modo sensazionale per destare scalpore nell’uditorio, è vero? Ma dire i propri problemi, i propri dubbi

riguardo all’insegnamento, serenamente e senza, l’abbiamo detto tantissime volte, senza il desiderio

di uscire vincitori dalla disputa, dalla dialettica che può certo stabilirsi, è vero?

Come sta tua madre: sta benissimo, non preoccuparti. Per ora non ti dico altro.

Non avete altre domande, figli?

D. – Mi riallaccio al “conosci te stesso”; tu dici che il passato non conta, che conta solo il presente, ma

almeno per quanto mi riguarda ho l’impressione che se potessi avere una maggiore illuminazione sul

mio passato… mi segui?

R. – Sì, ti comprendo; è un atteggiamento comune, un’opinione comune di tutti. E cioè, quella di

pensare che se fossero conosciute certe cause che si sono mosse nel passato, quello che si è stati,

forse si comprenderebbe meglio il presente. Ma posso darti la massima certezza che non ha alcuna

importanza, perché se la avesse certamente l’uomo ricorderebbe perfettamente tutte le sue esistenze

trascorse; dico, la legge naturale sarebbe questa, è vero? Ma il fatto stesso che l’uomo non ricordi, e

a volte non ricordi neppure bene il passato della sua attuale vita fisica, della sua attuale incarnazione,

dimostra proprio che il ricordo non serve. Perché non serve? Perché un’esperienza quando è

assimilata ha prodotto un cambiamento nell’intimo, ha prodotto cioè un nuovo essere. Quando si è

imparato qualcosa dalla vita non lo si è imparato con la mente; la mente potrebbe anche sparire,

essere cancellato il ricordo di quell’esperienza, ma state certi che nell’intimo nostro il cambiamento

rimarrebbe perché è un cambiamento di essere; è un essere nuovo che è nato, è vero? Il ricordo

dell’esperienza non serve a niente quando si è prodotta questa trasformazione.

Così, figlia, è importante il presente nel senso che tu devi riuscire a capire chi sei ora, non chi sei

stata; che cosa vuoi ora, che cosa fai ora, quanta parte di – tanto per dire qualcosa, s’intende – di

altruismo c’è in te e quanta di egoismo; sono parole gettate così, indubbiamente. E come? Come ti ho

detto: continuando a fare la tua vita come ti senti di fare, unicamente riflettendo però ogni giorno su

quello che hai fatto, ricercando quali sono le ragioni che ti hanno smosso ad agire. E lo ripeto ancora:

non ha importanza che quello che tu riesci a vedere sia o non sia la verità di te stesso; non ha

nessuna importanza. Ma nella meditazione continuata di voi stessi la verità salta fuori; e nel momento

che voi comprendete i vostri limiti voi li superate; nel momento che voi scoprite dov’è la porta, la porta

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si apre e voi vi passate attraverso. Non c’è dubbio.

Nessun’altro ha delle domande?

D. – Vorrei domandare come potrei migliorare nel senso di giovare agli altri nel mio campo; ne ho

ancora la possibilità? Poi vorrei avere notizie di P. se è possibile.

R. – Tu… rispondo subito alla seconda domanda: state certi, o figli, che i vostri cari stanno benissimo.

Per quello che è la prima domanda intendi forse migliorare dal punto di vista professionale?

D. – Professionale ma anche nei riguardi del mio prossimo, per aiutarli con il mio mestiere.

R. – Ecco, vedi figlio, tu hai un grande dono dalla natura: è quello di – come si dice normalmente – di

attirare la simpatia degli altri, ed è bene che tu faccia questa domanda perché chi ha questa

possibilità ha anche possibilità di inflluenzare gli altri, nel senso di essere ascoltato e di avvicinarli con

maggior facilità di altri che non hanno questo dono; perciò è giusto ed è bello che tu chieda ciò. Come

aiutarli? Vedi, molte volte una volta che si è raggiunto l’interlocutore basta pochissimo: occorre avere

l’intelligenza – e tu ce l’hai – di capire quale è il punto debole di una creatura. Ogni uomo ha un suo

punto debole, un timore: non so, una malattia del suo corpo fisico; ecco, quando tu hai la possibilità di

avvicinare un tuo simile e scopri che è molto diffuso questo timore, il timore del male fisico, basta un

semplice trucco, un semplice discorso di rassicurazione e già quello è indubbiamente un aiuto. Quindi

sta alla tua intelligenza capire qual è la debolezza che tormenta il tuo interlocutore e cercare di lenirla,

cercare se non di farla superare ma almeno di dargli un contraccolpo che lo scuota.

Ricorda quello che ti ho detto fino dalla prima volta che tu sei stato con noi: è un perido diverso

della tua esistenza, vero figlio?

Che la pace sia con te e con tutti gli uomini.

Dali

75

05 Giugno 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.

Voi siete un certo numero qua presenti, ma è come se io fossi solo con ciascuno di voi perché,

anche in questi momenti, sebbene nel momento in cui noi ci manifestiamo esistono delle difficoltà

nella comunicazione fra noi e voi – più di quanto ve ne siano al di là di queste riunioni – anche in

questi momenti, figli, noi siamo uniti in modo che voi neppure immaginate. E dire che non lo avvertite,

perché avvertite unicamente questa voce della quale mi servo e ci serviamo per tenatare di farvi

capire cose che esulano totalmente dalla realtà nella quale, in questo vostro momento, siete immersi.

Ora, per comprendere, accade che dovete afferrare il senso di ciò che vi diciamo – e lo diciamo,

ovviamente, servendoci di parole – ma non è questa la sola difficoltà, occorre rimuovere le resistenze

che il nostro dire trova in voi. Vedete – parlo in senso generale, naturalmente – ciascuno di voi ha

delle opinioni, delle idee, e quando ascolta qualcosa raffronta sempre ciò che ode con ciò che già

conosce. Questa è la prima difficoltà; molte volte, anche quando i concetti sono simili, una parola

intesa in un senso lievemente diverso, impedisce una comprensione completa. Perciò, come non mai,

vi incitiamo, o figli, a non fermarvi sulla lettera di ciò che vi diciamo ma a comprendere lo Spirito, ad

andare oltre la forma, per capire le idee. Comprendo quanto questo possa risultare difficile, e non

solo per voi che già siete abituati a ciò che diciamo, ma anche per coloro che sono stati fino a poco

tempo fa lontani da questi concetti, che hanno vissuto la loro vita in modo come generalmente la

vivono tutti gli uomini senza soffermarsi su certi problemi. Ecco perché è importante, prima di rifiutare,

comprendere, capire quello che vogliamo dire: il concetto. Molti invece odono le prime parole, i primi

insegnamenti, li confrontano con ciò che conoscono e dicono: «Non può essere, rifiuto!». Ma io voglio

dirvi: non dovete rifiutare; prima di rifiutare – intendo dire – dovete capire veramente quello che viene

detto; e per capirlo è necessario dimenticare – anche momentaneamente – quello che sapete.

Ascoltare come se veniste a contatto, per la prima volta, di concetti; come se per la prima volta udiste

qualcuno parlare.

Non voglio trattenervi più oltre, ma prima di lasciarvi momentanemanete, mi raccomando a voi di

stare concentrati e sentirci vicini.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Io non so se riuscirò a ben farmi comprendere da voi. È la prima volta che parlo in queste

riunioni. Sono stato attirato perché vi interessate di problemi che mi occuparono tutta – posso dire –

la mia maturità fino al mio trapasso. Ecco che io ero un convinto spiritista, di quelli come voi che

credono cioè nella comunicazione, nelle sedute di disincarnati e pensavo che quando sarei stato

nell’altro mondo – come si dice – avrei dato una prova della mia sopravvivenza. Altri, prima di me,

avevano fatto esperimenti simili, ma con esito incerto. Alcuni esperimenti positivi furono in modo non

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di sopravvivenza dello Spirito, ma unicamente come se il medium avesse “letto” il messaggio chiuso e

sigillato lasciato in una cassaforte. Mi capite? Voi sapete che è possibile – e questo senza l’intervento

degli Spiriti – leggere… – alcune persone in stato ipnotico fanno questo – leggere i libri chiusi alla

pagina desiderata. Allora mi sono detto: se io lascio un messaggio chiuso in una busta sigillata, e poi

dopo la mia morte vengo a dire cosa ho lasciato scritto e non detto a nessun vivente, nella migliore

delle ipotesi diranno che il medium ha “letto” cosa c’era nella busta. Così pensai… escogitati una

cosa che non potesse far pensare così. Mi ricordai di un giochetto che io facevo da bambino quando

sostituivo alle parole scritte dei numeri; non so, per esempio… le vocali i numeri pari, le consonanti i

numeri dispari, ed una parola, così, diventava una serie di numeri. Mi sono detto: se io dopo la morte

dirò questo, questa “chiave” del messaggio che ho lasciato, non si potrà dire che il medium ha “letto”

nella busta chiusa, perché se anche avesse fatto così non avrebbe visto altro che dei numeri! Non

avrebbe inteso quello che significavano questi numeri. Ma… avevo fatto il conto sbagliato… non so

come si dice, perché quando poi sono stato da dove vi parlo, mi sono reso conto che non è

possibile… non è possibile dare le prove che vorremmo dare perché l’umanità può credere solo

quando è il suo momento, e la certezza di un’altra esistenza sarà, certo, una… – come si dice? – una

vittoria del vostro futuro, dell’umanità, ma ancora questo è lontano per voi. E adesso la certezza può

averla solo il singolo, ognuno preso a sé, e non… non una prova generale. Ecco perché allora i

messaggi che possiamo lasciare non possono servire a provare la sopravvivenza; perché ancora non

è quel momento. Forse io vi ho annoiati, ma dovevo una spiegazione a quello che avevo promesso e

che ho lasciato, in un certo senso, in sospeso.

D. – Vuoi dirci il tuo nome?

R. – Oh, ha così poca importanza!

D. – No, ti preghiamo…

R. – Oliver Lodge. Vi saluto.

D. – Grazie!

Sir Oliver Lodge

Io sono la Guida Fisica di Roberto. Debbo preparare l’ambiente; vi prego di stare concentrati.

Iniziano le luci.

Michel – Figlia Bruna, prego, accendi la luce.

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In piena luce le mani di Roberto si offrono alla vista degli astanti, palmo, dorso.

Michel – Spengi!

Michel

Creature, ecco, ancora sono con voi, ancora una volta a portarvi il mio saluto.

Vorrei darvi un conforto ed una certezza, vorrei dire: Dio è Colui che concede ogni bene, ogni

comprensione. Cosa serve studiare se Egli non dà la comprensione? Cosa significa? Quando l’amore

spinge ogni cosa…

…Ecco. Più di ogni trattato, più di ogni studio, può l’amore radioso. È l’amore che qua lo ha

condotto questa sera; è il Suo amore che vi fa udire le nostre parole, è il Suo amore che fa che

queste parole siano impresse in voi, rimangano. Ecco come io vorrei rimanere, vorrei che voi mi

udiste sempre. Non so cosa dirvi… tanto amati! Pensatemi, creature, quando lontano da qui tornate

nella vostra esistenza, quando questa vi soffoca! Vi abbraccio tutti.

Teresa

Salve a voi!

Odo i vostri pensieri e le vostre aspettative. Qualcuno dice fra sé e sé: «Chissà questa sera

Kempis quale bella lezione farà con tutti questi ospiti che sono venuti da fuori per udirlo!». È curioso

questo vostro atteggiamento! Sì, in genere siamo noi che diamo spettacolo in queste riunioni

polarizzando la vostra attenzione in vari modi. Certo che anche voi fate la vostra parte,senza

rendervene conto naturalmente, tanto che molto spesso queste serate potrebbero chiudersi prima del

nostro intervento e rimanere egualmente divertenti.

In questo caso, più per voi che per noi: sì, perché – vi parrà strano – anche noi amiamo

“sorridere”, per dirla in termini umani, cioè amiamo trovare il lato sereno della realtà. Certo che se il

discorso, da questa cerchia di amici, si allarga a tutto lo spiritismo in generale, vi assicuro che lo

spasso diventa veramente massimo! Se ne avessi la capacità, vorrei descrivervi una riunione “tipo” di

questi circoli fra l’intellettuale-salottiero, il parrocchiale, e vi assicuro che per i tipi che si incontrano

l’effetto sarebbe altamente esilarante. C’è per esempio il tipo di “negatore ad oltranza”, quello che

mette in dubbio tutto a cominciare, che so… dall’identità della padrona di casa. (Non si può dire nel

nostro caso). «Chi può dire ch’ella sia veramente quella che dichiara di essere? Andiamoci piano!

Non lasciamoci ingannare! Potrebbe trattarsi di una mistificatrice, o di un’allucinazione collettiva, o di

una personalità seconda!». E così via, mentre i presenti meditano sulla propria dabbenaggine. Poi c’è

il tipo “spirituale” quello che rifugge il sesso, ma continuamente vi medita sopra, naturalmente per

scoprirvi tutte le sozzure e mettere in guardia i propri simili. «Maestro – egli chiede – mi sento tanto

portato a fare il bene! Che dice? Faccio bene a fare il bene?». Di quale bene parli non si capisce

bene, giusto gli Spiriti ci vogliono per capirlo! Guardate che è testuale! Poi un capitolo a parte lo

meritano le signore sempre alla ricerca ed alla sperimentazione di nuovi medium. «Cara, ho scoperto

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un medium favoloso! Il mio cane! Tu vedessi come fa il morto!». Ridete, ridete! Castigo ridendo

mores! Non siete anche voi degli spiritisti? Già! Ritenete d’essere diversi, ma il guaio è che nessuno è

come ritiene d’essere, come gli altri non sono quelli che riteniamo siano. È risaputo che il valore che

diamo agli altri dipende in gran parte da un’etichetta che si sono attribuita o che noi diamo loro.

Chissà se il cristianesimo sarebbe mai nato se Cristo non fosse stato ritenuto “figlio di Dio”!

Quanti si sono fatti questa domanda! E quanti, più ancora, si sono chiesti se Cristo veramente sia

esistito. I primi dubbi nacquero, naturalmente, ad opera dei Giudei, quando fu fatto osservare che gli

Evangeli contengono alcune inesattezze storiche. Per esempio, Luca e Matteo dicono che Gesù è

nato al tempo di Erode e Luca aggiunge “durante il viaggio di spostamento fatto da Giuseppe e Maria,

per sottostare al censimento di Quirino il Siriano”. Ora, come si sa Erode regnò dal 40 al 4 avanti

Cristo, mentre il censimento di Quirino il Siriano fu fatto deposto Archelao figlio di Erode, quindi le

date non tornano. Il Ricciotti, quasi vostro contemporaneo, cerca di rimediare la faccenda in un modo

non certo molto convincente. Del resto poi il pasticcio diventa pasticciaccio quando si confrontano le

date del presunto inizio della predicazione del Cristo con quelle di Anna, Caifa, Ponzio Pilato, e della

presunta morte di Gesù, per cui si perviene a concludere o che Cristo è morto a venticinque anni al

tempo di Anna, Ponzio Pilato Governatore della Palestina o che è morto a trentasei anni, al tempo di

Caifa, quando Ponzio Pilato non era più in Palestina da circa quattro anni. Altri sostengono che il 15

Nisan non cadde mai di venerdì per tutto il periodo in cui Ponzio Pilato regnò, restò in Palestina. Ma a

questo proposito, francamente esprimerei dei dubbi. Ancora: tralasciamo la questione delle comete,

del terremoto alla morte del Cristo, di secondaria importanza insomma, che può far parte di una

descrizione figurata; per esempio in Matteo, Gesù rimprovera gli ebrei di aver ucciso Zaccaria Ben

Barachia, mentre questo personaggio è risaputo che morirà quarant’anni dopo la morte del Cristo. E

non può certo trattarsi di un caso di omonimia perché Matteo ne riferisce i particolari della morte:

“ucciso fra il tempio e l’altare”.

Gli studiosi laici delle orgini del cristianesimo hanno sostenuto che la figura del Cristo non è

sufficientemente testimoniata da documenti dell’epoca immediatamente successiva. Per esempio il

“Mishnah”, che è una raccolta di nomi di ribelli all’autorità del Sinedrio, che va dal 40 avanti Cristo al

200 dopo Cristo, non parla di Gesù. Filone di Alessandria, cronista, vissuto dal 30 avanti Cristo al 40

dopo Cristo, elenca le sette religiose della sua epoca, perfino gli Esseni, ma non i cristiani; a meno

che non si vogliono identificare gli uni con gli altri.

Il discusso passo di “Antiquates” di Falcio Giuseppe, altro cronista vissuto dal 31 al 100 dopo

Cristo, è chiaramente una interpolazione successiva; ed analoghi dubbi esistono per la lettera di

Plinio il Giovane a Traiano, per quanto ci muoviamo già su un terreno diverso perché, come si sa,

Plinio il Giovane è vissuto dal 62 al 114 dopo Cristo. Intendo dire che le testimonianze che si possono

trarre da, per esempio, “Gli Annali” di Tacito, le “Epistole”, gli altri scritti di Svetonio, sono tutte molto

successive e non hanno il valore che avrebbero avuto documenti dell’epoca del Cristo; sembrano

testimoniare più l’esistenza del cristianesimo che non del Suo fondatore. Tant’è vero che non pochi

hanno ritenuto il cristianesimo nato su una figura ideale. E ben lo sapeva, questo, l’anonimo autore

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della lettera di Publio Lentulo a Tiberio il quale, per colmare questa lacuna, parare il colpo – come si

usa dire – inventò una bella lettera in cui un subordinato scrive al suo Imperatore in questi termini:

«Egli è di aspetto maestoso, viso roseo, incomparabile bellezza. Sua madre è la più bella e mesta

figura che si sia conosciuta da queste parti». Certo fa tenerezza questo anonimo autore che cercò di

migliorare la situazione peggiorandola invece di molto, perché ci fa pensare che i dubbi sollevati dagli

avversari del cristianesimo, non erano del tutti infondati.

È anche stato detto giustamente che molte figure storiche non sono documentate, come quella

del Cristo, eppure circa la loro esistenza non si sollevano dubbi. Obbiettivamente, affermare che il

Cristo non sia esistito, mi pare un pochino eccessivo anche tenendo presente il fatto che gli uomini

non possono verificare la verità di un avvenimento, cioè verificare se un avvenimento sia realmente

accaduto o meno. Gli ebrei, ed una parte della tradizione occulta, lo identificano in Jeshua Ben

Panthera, figlio di una pettinatrice. Altri nel “Maestro Giusto” degli Esseni, vissuti un secolo prima,

circa, del Gesù canonico.

Certo è che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la morte del Cristo, sulla base di raccolte di

aforismi e sulla tradizione orale, per cui la vita che si può trarre da questi documenti di Gesù è

alquanto approssimativa. Questo lo riconoscono tutti a cominciare, onestamente, dai cristiani. Ed

altrettanto onestamente – debbo dire – che uno studio imparziale di questa figura non è mai stato

fatto, si è visto raramente nella giusta luce. Le opinioni ne hanno fatto ora il Figlio di Dio, ora un

mistificatore, ora un essere mai esistito, sempre secondo aprioristiche concezioni.

Sarei tentato di farla io una puntualizzazione di questa figura, se non mi rendessi conto che non

serve a molto. Vedete, non volete credere che sia Figlio di Dio? Bene! Crediamo che sia figlio di una

prostituta. Uso questo termine nel senso dispregiativo che voi gli date, perché personalmente non

giudico le creature dalla professione che svolgono e per quel che posso vedere vi sono molte

prostitute rispettabili, come tante rispettate madri di famiglia. Non volete pensare – e forse

giustamente – esatta la cronologia e la storia narrata dai Vangeli? Bene! Pensiamo che non sia

esatta, togliamo tutte le parti che non concordano con fonti più certe, riduciamo cioè gli Evangeli ad

una raccolta di aforismi come erano in origine. Volete pensare che il Cristo non sia esistito

realmente? Bene! Crediamo che sia un personaggio creato dalla fantasia popolare. Nonostante ciò

niente cambia, perché tutte queste sono parti accessorie. Lo studioso Harnach disse che se togliamo

tutte le sovrastrutture dai Vangeli alla ricerca dell’essenziale, corriamo il rischio di fare come quel

fanciullo che tolse via tutte le foglie da un bulbo per trovarvi il nocciolo e rimase con il nulla in mano.

Ecco un grande errore! Se togliamo le sovrastrutture dei Vangeli alla ricerca dell’essenziale, rimane il

vero valore, ciò che Cristo disse ed è un gran valore, anche se in effetti non rimane che una piccola

parte, pallida ombra della Sua predicazione. Credete forse che il valore del Cristo stia nel

cristianesimo? È da sciocchi crederlo! Se così fosse gli orrori dell’Inquisizione, le Crociate, le guerre

di religione, i genocidi, sarebbero tutti da addebitare al Cristo. Ciò che il cristianesimo ha fatto di bene

o di male, non è da addebitare o accreditare al Suo fondatore, ma agli uomini perché rappresenta ciò

che gli uomini hanno fatto in nome del Cristo e nulla più.

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Muta forse il valore della Sua predicazione, in dipendenza del fatto che Egli abbia o non abbia

operato miracoli? Che Egli sia stato Figlio di Dio? Certo che lo era, come lo siamo tutti! Forse che il

Suo dire è men vero se Sua madre era o non era vergine, se Egli aveva o non aveva fratelli, se si

chiamava Gesù di Nazareth o Jeshua Ben Panthera? O Maestro Giusto? Chi fonda il giudizio sul

Cristo su questi elementi, è come colui che giudica il vino dalla forma della bottiglia. Ed a questi dico:

«Se credete al Cristo per quel che è stato detto di Lui e non per quello che Lui ha detto, allora

disilludetevi: il Cristo della tradizione è falso», come lo dimostra il fatto che gli evangeli non

corrispondono alla narrazione storica. Ciò che lo fece conoscere non fu una nascita facoltosa, una

ricchezza, una sapienza accademica, non le amicizie influenti, non tutto questo. Ma unicamente ciò

che disse, e ciò che disse lo fa sopravvivere ancora oggi nonostante l’opera disgregatrice delle

Chiese che portano il Suo nome, perché è Verità che dura nel tempo.

Così è di ogni cosa, figli e fratelli, compreso lo “spiritismo”. Di esso rimarrà traccia non se gli

uomini ne parleranno: (del Cristo parlarono ma non scrissero). Non se la scienza ufficiale se ne

interesserà: (ciò che disse il Cristo non era scientifico). Non se i suoi fautori saranno degli

accademici: (gli Apostoli erano degli umili). Vogliamo togliere tutta la parte fenomenica dello

“spiritismo”? Togliamola pure. Non vogliamo credere che si tratti di comunicazioni di trapassati, di

disincarnati? Bene, non crediamoci. Vogliamo pensare che sia una colossale mistificazione?

Pensiamolo. Alla fine rimarrà qualcosa; certo, una marea di parole, tante e tantissime delle quali

senza senso, ma fra queste, poche che possono avere un valore per l’uomo. Poche che

rappresentano il rimpianto di chi non ha dato valore a ciò che l’aveva, di chi “per amore e con amore”

vuole aiutare i suoi simili. Sì, a voi spetta l’onere di scoprirle e valutare, ma vi assicuro che ne vale la

pena.

Non posso finir di parlare senza rivolgere un monito agli interrogatori di tavoli per antonomasia

acciocché non abbiano a credere, da quello che ho detto, di essere sempre nel giusto. Agli illusi che

accettano come preziose rivelazioni discorsi che sono vaghi e imprecisi quando possono essere

controllati, e che diventano logorroiche blaterazioni quando nessuno può sapere se corrispondono a

verità. A chi confonde logori quaresimali con espressioni della più alta spiritualità, chiedo: «Su cosa

fondate la vostra certezza di parlare coi disincarnati? E se siete certi, perché accordate più fiducia ai

morti che ai vivi? Non è sufficiente trapassare per capire la verità. Questo lo comprendete? Allora,

perché una buona predica non vi basta per chiamare “Maestro” un vivente e la stessa è più che

sufficiente per ritenere “alta Guida spirituale” un presunto disincarnato? Siete voi i veri nemici dello

spiritismo, voi che contribuite a soffocare – fra una marea di idiozie – discorsi che potrebbero avere

un valore per l’uomo».

E parlo anche a voi vivi che vi fingete voce dei morti: se avete da dire qualcosa, ditelo a vostro

nome. Non è certo con l’attribuire una autorevole paternità ai vostri vaneggiamenti che essi si

riempiono di significato! E se qualcuno vi crede quello che vorreste essere, e più ancora vi credesse

Dio in persona – ammesso che Dio sia una persona – voi non crescereste di niente rispetto a quello

che siete. Moneta falsa che si spaccia per buona!

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Parlo infine agli esperti della più confusa di tutte le scienze, se scienza si può classificare: la

parapsicologia, e chiedo: qual è il vostro scopo? Chiarire o confondere? Scoprire o coprire? A coloro

che facilmente credono in malafede medium e sperimentatori, chiedo: «Siete sicuri di essere in buona

fede? Perché questa è la qualità essenziale dello sicenziato: la perfetta buona fede. L’assoluta

mancanza di volontà di far pendere l’ago degli strumenti in un senso o nell’altro: la ricerca della verità

per amore alla verità, anche se essa è sgradita ed urta contro interessi precostituiti. Voi siete i

depositari di quella che sarà, dopo molte trasformazioni, la nuova scienza sacerdotale». Quanta

tenerezza ispireranno, allora, le vostre diatribe! Ma sarete ammirati perché il vostro lavoro, al di là di

ogni personale interpretazione, è un invito a scoprire e quindi a dominare – insieme alle ricchezze del

mondo esteriore – i poteri interiori dell’uomo. Ogni qual volta qualcuno si è posto come intermediario

fra l’uomo ed il mondo sconosciuto detto “sovrannaturale”, tutto si è risolto con lo sfruttamento

dell’uomo sull’uomo; perfino l’eredità dei grandi Spiriti si è – in mano all’uomo – trasformata in uno

strumento di tortura, di imposizione, di repressione, di sfruttamento. Ebbene, questo vostro

annaspare per cercare di capire certi fenomeni che per il loro carattere inconsueto fanno pensare al

sovrannaturale e, comprendendoli, togliere ad essi quell’alone di mistero e di timore del quale si

servono i ciarlatani per estorcere e ricattare, ebbene questo dà al vostro lavoro un valore più che

sociale, morale. Perciò vi amo profondamente, come tutti coloro che aiutano l’uomo a prendere

coscienza di se stesso!

Pace a voi.

Kempis

Salve! Claudio vi saluta.

Generalmente si usa il termine “spiritualità” intendendo con ciò affermazioni fideistiche, dogma e

via dicendo. Se “spiritualità” significa questo, noi non vi parliamo di cose spirituali. Ciò che noi vi

diciamo non ve lo diciamo perché lo crediate, ma perché lo “comprendiate”, ed è assai diverso. Molte

religioni – direi tutte – impongono ai loro fedeli di credere ciecamente. Così nasce la moralità, quella

moralità che è come una tradizione: è così perché è così, ma nessuno sa bene perché. Preferirei

essere un gran peccatore piuttosto che seguire una moralità così ristretta e non compresa. Sostengo

che non esistono cose come “peccato”, “bene” e “male”; esistono “comprensioni” ed “ignoranza” e se

comprendete siete chiamati a fare quello che dovete fare. Allora la moralità, come tale, non esisterà

più per voi, quella moralità che è un’istituzione per l’uomo. La “comprensione” è la più alta forma di

moralità e di spiritualità. Queste affermazioni sembrano gettare al vento le distinzioni di bene e male

su cui si fonda l’ordine della civiltà. Per chi non ha compreso, tali distinzioni sono necessarie; tuttavia

esse non portano ordine né civiltà. Se mirate a raggiungere la chiarezza, il rispetto, se mirate

all’ordine, non affidatevi a distinzioni di bene e male imposte dall’esterno. Affidatevi alla comprensione

individuale. Quando non v’è chiarezza in voi, quando non v’è alcun fermo proposito nella vostra

esistenza, allora è necessario stimolarvi con la paura dell’inferno, l’aspirazione del cielo, la distinzione

di bene e di male. Ma quando la “comprensione” vi illumina dall’intimo, condizionamenti esteriori non

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sono più necessari, quei condizionamenti che possono solo neutralizzare la vostra dannosità nei

confronti degli altri, ma che per niente vi inseriscono nella corrente di rinnovamento totale, unica e

sola capace di apportare il vero ordine e la vera chiarezza.

Pace a voi.

Claudio

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.

Per questo ciclo i nostri incontri sono terminati.

D. – Non ci sarà nessun’altra riunione, nemmeno affettiva?

R. – No. Abbiamo approffittato abbastanza del nostro strumento. Riprenderemo, come sempre, dopo

la parentesi estiva. Voi sapete che noi siamo sempre pronti ad aiutarvi in quel lavoro che voi ritenete

di fare individualmente nei confronti dei vostri simili. Fino da ora vi ringraziamo per quello che avete

fatto e quello che farete.

D. – Per i libri “Incontri” e “Colloqui” credi sia il caso di farne una ristampa?

R. – È un lavoro vostro. Se lo riterrete necessario noi potremo aiutarvi come sempre. Ma siete voi,

adesso, che dovete agire.

Vi benedico ed abbraccio tutti, compresi questi figli nuovi che qua hanno assistito per la prima

volta alle nostre comunicazioni. Assicuro di seguire anche loro per quanto bisogno ne abbiano.

Pace a tutti voi.

Dali

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Ciclo 1975-1976

06 Novembre 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Lo scopo della mia venuta di questa sera, o figli, è unicamente quello di annunciarvi che potete

riprendere le vostre riunioni – questo sempre potete farlo – ma che noi verremo a rispondere alle

vostre domande.

Certamente voi, questa sera, avete posto degli interrogativi. È chiaro che man mano che

proseguiamo nella illustrazione di questo quadro generale nella rappresentazione della Realtà, gli

interrogativi che voi ponete non possono essere soddisfatti con poche parole. Così, quello che voi vi

siete chiesti questa sera, se veramente deve avere una risposta esauriente e che possa in qualche

modo illustrare e precisare in modo efficace, nei dettagli, questa rappresentazione della Realtà, ha

bisogno di molti approfondimenti. Possiamo dire, senza errare, che per rispondere in modo

esauriente ai vostri interrogativi di questa sera, occuperemo tutto il ciclo di riunioni che sta dinnanzi a

noi e a voi.

Voi potrete tornare a riunirvi il 15 prossimo e – non in quella sede ma nelle successive –

toccheremo vari argomenti che, proprio come ho detto, necessitano di approfondimento. È

necessario, a questo punto, precisare che cosa significa Realtà Assoluta, realtà relativa. Se la realtà

relativa è, o può essere, oggettiva oppure è unicamente soggettiva. Se l’uomo, il microcosmo, può

comprendere la Realtà Assoluta, in che misura. Se e che cosa significa “l’uomo si identifica in Dio” o

che cosa significa “l’identificazione in Dio”. A tutte queste domande noi abbiamo già risposto in modo

sommario, con sì e con no; ma nell’approfondimento di questi argomenti sta un significato che, al

momento, non vi appare.

Vedete, anche questa sera voi avete denunciato l’abitudine che avete al mondo nel quale vivete

momentaneamente in consapevolezza. Voi misurate la vostra futura esistenza – dico futura

naturalmente per voi, e questo lo avete capito – con il metro secondo il quale misurate l’attuale. Una

delle cose importantissime che sono state dette nell’ultimo ciclo di riunioni è proprio quella che questa

sera avete riletto: il mondo del “sentire”. Dovete fare uno sforzo per comprendere la realtà nella quale

esistete in consapevolezza, in questa realtà per voi futura ma che è già, come ogni cosa; è una realtà

del tutto diversa dalla vostra attuale e sforzarsi per cercare di comprenderla secondo – ripeto – il

metro che voi adoperate per comprendere la vostra attuale realtà, è un errore, è una di quelle cose

che vi intralciano la vera comprensione.

Guardate: quante volte abbiamo detto che l’io non esiste! Ma che cosa significa? Voi vivete ogni

istante e nell’istante stesso in cui voi percepite qualcosa, questo istante è già stato trascorso, è già

trascorso, come è stato detto dal pensiero filosofico antico.

Ecco, supponiamo adesso che voi pensiate al vostro passato. Voi dite: «Io ho fatto questo». Ma

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che cos’è che vi dà l’idea dell’io? È unicamente la memoria. Voi non siete ciò che siete stati.

Seguitemi: ogni istante voi siete, e noi siamo, diversi. Ciò che crea questa continuità, questo io,

questa individualità, questa personalità, non è che il ricordo, la memoria. Se per cercare di

comprendere noi ci sforziamo di abolire la memoria, che cosa accade? Voi siete egualmente – voi,

attimo per attimo – siete un insieme di sensazioni, di pensieri, di desideri. Ebbene, quelli siete voi,

attimo per attimo: ciò che lega insieme tutti questi pensieri, questi desideri, non è che il ricordo. Ma

questo ricordo è una cosa fittizia, è uno strumento che serve per raggiungere un determinato fine,

null’altro. Quando il fine è raggiunto il ricordo diviene inutile e quel mezzo, quello strumento, viene

abbandonato. Così se voi vi sforzate di comprendere ciò che io mi sforzo di farvi capire, giungerete

meglio ad inquadrare che cosa intendiamo per “sentire”, per “essere”. In effetti, ciascuno di noi è quel

“sentire”, è quell’“essere”. Il ricordo – ancora lo ripeto – appartiene ad una fase dell’esistenza

dell’individuo. Ma se voi perdeste la memoria, il ricordo di che cosa siete, di cosa avete, voi sareste

egualmente perché quello che conta è il presente, quell’attimo in cui voi percepite. Ed osservando

l’esistenza che noi chiamiamo futura, vediamo che quell’attimo che conta non è più un attimo di

percezione ma è un attimo di “sentire”, un “sentire” che esiste in sé e per sé al di fuori di ogni stimolo.

Qual è lo scopo ultimo della vita dell’uomo? Come il fanciullo che quando non ha imparato a

camminare da solo viene sostenuto da qualcuno – non voglio qui portare l’immagine retorica della

madre – ebbene, la mente, i desideri, i pensieri non sono che sostegni che tengono in vita un

“sentire”; ma quando andiamo ad esaminare un “sentire” più complesso, più sviluppato, questi

sostegni non hanno più ragion d’essere, non esistono più. Il “sentire” è libero da ogni mezzo che lo fa

vibrare. Così, libero dal ricordo, libero da tutto quello che crea il vostro io.

«E – direte voi – ma da dove nasce questo “sentire”?». Non nasce da alcuna cosa, ecco il vostro

errore; l’errore di riportare, per comprendere, quella fase di esistenza al vostro attuale modo di vivere.

Non occorrono stimoli, il “sentire” è “essere”, è coscienza in sé che – in quella fase d’esistenza – vibra

spontaneamente, naturalmente, è così. E nel ciclo delle nostre riunioni future vedremo come certi

termini che abbiamo adoperato per farci intendere da voi – quali ad esempio “scintilla divina” – non

sono stati che degli artifici, dei mezzi, dei sussidi per quei momenti, per la comprensione di allora.

Vedremo come questi termini appariranno sotto una luce del tutto diversa.

Certo non è essenziale per la vita che dovete condurre, per il vostro attuale sperimentare,

conoscere queste cose. Chi non arriva a comprenderle può farne benissimo a meno. Ma chi ha la

possibilità di capirle ha il dovere di farlo perché, per lui, il tempo è venuto. Non deve più ritardare,

indugiare, attendere. Attendere che cosa? Ciò che sta davanti a lui deve essere affrontato, ora,

subito. Non è che non affrontandolo scomparirà, potrà essere evitato: giammai! Voi, ritardando, non

fate che ritardare il passaggio obbligato da quel punto. E allora, chi ha la possibilità di capire, deve

averne anche la voglia, perché ciò significa rendere fruttuosa la propria esistenza.

Vi lascio momentaneamente…

D. – Scusa, la prossima riunione sarebbe sabato, allora?

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R. – Sì, credo.

D. – Possiamo dirlo al signor S. e a quello di Genova?

R. – A chi volete. Certo noi abbiamo già dato l’autorizzazione di far partecipare degli osservatori, è

vero?

D. – Bene. Grazie.

R. – Saluto caramente anche queste due figlie, nuove per questo genere di riunioni.

Vi benedico ed abbraccio tutti. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

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15 Novembre 1975

Buona sera, amici cari. Alan vi saluta.

Sarete forse sorpresi questa sera di non udire il consueto saluto della vostra Guida, ma è

un’occasione particolare per cui sono io ad aprire questa vostra riunione. Spero che ciò non vi darà

alcun dispiacere.

Vedo che voi avete seguito con attenzione quello che è stato detto dalla vostra Guida l’ultima

volta e siete entrati subito nell’argomento che forse sarà trattato al termine di questo ciclo di riunioni,

perché voi, quando avete qualche argomento su cui discutere, immancabilmente non discutete –

quando vi è stato consigliato di soffermarvi su un dato problema, voi avete sempre fatto, come si suol

dire, orecchie da mercante – ed invece quando vi diciamo “questo argomento lo tratteremo in un

prosieguo di tempo” ecco che voi subito vi gettate a parlare di quelle cose. Ma certo che il mio è un…

così, osservare molto affettuoso. Voi lo sapete perché noi siamo sempre pronti a parlarvi delle cose

che vi interessano. E così vedo che vi interessa ancora l’argomento dell’io. Io non sono molto

profondo in questo; forse il Fratello Claudio potrà rispondere con più precisione nella riunione che

farete prossimamente e nella quale potrete fare a lui queste domande. Però, per quel poco che io so

dell’io, è certo che l’egoismo è un portato dell’io e che l’io nasce – come vi è stato detto più volte – da

un senso di separatività. Voi avete parlato della vita animale, ma l’animale non dice «Io ho fame…»,

«Io ho freddo…», si limita a ricevere delle sensazioni; così dirà «Fame…», «Freddo…», «Caldo…»,

«Sete…», «Paura…», e via dicendo. Poi, invece, nella vita umana nasce questo benedetto io che

nasce proprio per l’apporto dell’intelligenza dell’uomo, come la vostra Guida vi ha detto. C’è questo

senso di sentirsi distinti dal mondo che ci circonda e quindi di sentirsi un io. Si osserva ciò che accade

al di fuori di se stessi e che interessa relativamente, e si capisce che ciò che non ci colpisce

direttamente non ci porta dolore, oppure gioia, ed ecco che questo contribuisce a creare ancora di più

il senso dell’io. E conseguenza di questo senso di io, del “mio”, del “guadagno”, è il desiderare cose

per se stessi. Questo è chiaro, è vero? Naturalmente non ci vuole molto a comprendere che

un’umanità che tutta si basasse su questo senso dell’io e dell’egoismo – come è nell’umanità attuale

e per quella del passato – non può dare felicità ai suoi figli. Occorre portare dei punti di arresto a

questo io. Così i moralisti, i religiosi, predicano il superamento dell’egoismo; insegnano, per lo meno,

a contenere questo egoismo fino al punto di non nuocere – se non altro – agli altri. Ma ciò non è

abbastanza perché evidentemente l’individuo che ha in sé l’egoismo soffre. Soffre delle privazioni,

soffre di ciò che gli altri hanno e lui non ha; soffre di non poter possedere tante ricchezze che vede

possedere ad altri e non pensa, magari, alle sofferenze che, invece, altri hanno e che lui in quel

momento non ha. Ma tutte queste cose sono cose ormai risapute e scontate, è vero, cari amici?

Ma – diciamo noi – supponiamo pure questo egoismo, superandolo che cosa succede? Molti che

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pensano all’aldilà, a quella che sarà la vita dell’“essere”, oltre la reincarnazione nel piano fisico,

immaginano che questa dimensione sia una dimensione che ancora conserva i caratteri umani, una

dimensione in cui l’“essere” – per non dire lo “Spirito”, ma possiamo dire “lo Spirito” con il linguaggio

di altri – questo “essere” vive senza spazio, nel non tempo, ma in definitiva ha una vita del tutto

umana: può avere contatti con altri esseri o con altri Spiriti; può scambiare idee, opinioni, può

conversare, può imparare, può conoscere cose che non conosceva prima. Ebbene, anche noi

avremmo potuto dire così, sarebbe stato molto più facile farci intendere a voi, ma se vogliamo andare

in profondità, se vogliamo parlare per dire cose che siano molto vicine alla verità, dobbiamo andare

oltre. Dobbiamo parlare di quella che è la vera esistenza di quella dimensione, che non è

un’esistenza umana sublimata o divinizzata. È un errore pensare alla vita futura, per voi, dell’“essere”,

in questi termini; vedere cioè un io o un “essere” sublimato, divinizzato, che si è affrancato dalla

materia ma che assolutamente conserva i caratteri – in qualche modo – della vita umana: caratteri di

apprendimento, di intelligenza, di opinione.

Ripeto: comprendo che quello che noi diciamo può essere una complicazione in più, ma la vita

futura dell’“essere” è cosa del tutto diversa da quella che si può immaginare. L’“essere” non è

destinato a rimanere un “quid” disgiunto da altri esseri. Voi ancora non riuscite a comprendere il

“sentire” perché concepite il “sentire” come qualcosa che si rivela in funzione di un’altra cosa, né più

né meno come delle sensazioni: l’uomo ha delle sensazioni poiché la sua vita biologica, del suo corpo

fisico, o quello che voi volete, gli rivela queste sensazioni. Ha dei sensi che, toccati, danno certe

sensazioni e così voi pensate del “sentire”, pensate che l’“essere” che viva nel mondo del “sentire”,

una volta che sia in contatto con qualche cosa, riveli questo “sentire”. Mentre – lo ripetiamo ancora –

il “sentire” è “sentire” in sé. È e basta. È “essere”, è natura, è esistenza che è così senza che

qualcosa lo provochi.

Dice la figlia A.: «Ma questo “sentire”, in un certo senso, è costituito dalla mente!». Ecco, no.

Questo no! Il “sentire” dell’uomo che ancora non si è svincolato dalla ruota delle nascite e delle morti,

è un “sentire” che è legato a certi supporti che sono questi veicoli inferiori: la mente, il corpo astrale e

il corpo fisico, ma è un “sentire” che esisterebbe indipendente – certo molto elementare perché da

solo non vibra, non si rivela – ma è un “sentire” che esiste nell’eternità del non tempo come tutto

quello. E così ad un certo punto dell’esistenza dell’“essere” questo “sentire” si rivela… – non ci sono

parole – vibra, esiste, indipendentemente da stimoli che possono venire dal mondo fisico o dal mondo

astrale, o dal mondo mentale. È un “sentire” in sé che se anche fosse chiuso in un ambiente

completamente… – come si dice? – coibente, isolato, del tutto chiuso a stimoli esterni, questo

“sentire” egualmente sarebbe perché è. Quindi non è, in ultima analisi, l’individuo un “essere” che

“sente”: è un insieme di “sentire” dai più semplici ai più complessi e voi sapete qual è il “sentire” più

complesso.

Noi comprendiamo, quando parliamo con voi, che non potete immaginare lo sforzo che noi

facciamo per darvi un’idea. Se voi doveste parlare ad individui di altre società del passato, voi

dovreste calarvi nei problemi di quelle società, è vero? Dovreste studiare che cosa è che preme per

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quegli individui; quali sono le domande che si fanno, che cosa impedisce a loro di capire. Ebbene, noi

facciamo tutto questo. Ormai abbiamo una certa pratica e vediamo che la difficoltà che incontrate sta

nel fatto che voi pensate alla vita futura dell’“essere” – ancora lo ripeto – in termini di questo vostro

mondo. A voi resta difficilissimo immaginare di dover abbandonare la vostra personalità – eppure la

personalità viene abbandonata – di dover abbandonare il vostro “io sono”! Ma voi avete avuto delle

incarnazioni come selvaggi, è vero? Possiamo dire, grosso modo, questo: certamente se quando

eravate dei selvaggi qualcuno vi avesse detto che avreste avuto altre incarnazioni, certo che voi,

dentro voi stessi, avreste preteso o chiesto o sperato che quel che eravate allora foste, in qualche

modo, anche oggi. L’uomo non sa rinunciare alla propria sopravvivenza. Eppure voi, oggi, siete quelli

che siete e ad un certo punto, se ben vi guardate nell’intimo, non vi importa niente di essere stati dei

selvaggi; anzi, se voi sapeste di essere stati dei selvaggi che ne hanno combinato di cotte e di crude

– come si usa dire – meglio non essere stati così, è vero? Certo il vostro amor proprio vi spingerebbe

a dimenticare quelle esperienze.

Ebbene, pressappoco è della vostra vita futura. Oggi – ripeto – voi non potete rinunciare al vostro

io; è una grandissima rinuncia pensare che – anche se noi vi diciamo che il destino futuro dell’uomo è

l’identificazione in Dio, diciamo una cosa enorme – pur tuttavia voi rinuncereste a questo pur di

conservare il vostro io. Non io come egoismo, io come individualità, è vero? Ed in effetti – ripeto – vi

sono delle Entità che dicono che l’identificazione in Dio non esiste; che l’“essere” continua all’infinito

la sua vita evolutiva.

Anche noi potevamo dire questo; sarebbe stato forse più comodo e meno difficoltoso per voi il

seguirci ma, ripeto ancora, se dobbiamo cercare di portarvi alla verità, dobbiamo correre questo

rischio di non essere creduti. E nessuno di voi è obbligato a crederci; potete benissimo credere quello

che più vi fa piacere, che meno vi turba. Ma giorno verrà che questo problema dovrete porvelo.

Vi lascio momentaneamente.

Pace a voi, cari.

Alan

Sono la Guida Fisica dello strumento. Adesso tenteremo dei fenomeni luminosi. Quando io dirò

che sarà pronto, voi potrete accendere la luce in modo che faremo vedere a questi nuovi ospiti le

mani nude dello strumento. Attendete eh? Ecco, adesso la luce per non più di dieci secondi. No,

ancora… ecco… Vediamo: esemplificazione dell’ectoplasma. Il dono che vi ho lasciato questa sera è

molto… minuscolo poiché dobbiamo amministrare delle forze che abbiamo a disposizione.

Quanto si discute sull’origine di questi fenomeni! Vedo che anche voi siete entrati in questa

polemica: la possibilità del subcosciente del medium di attingere a fonti di notizie per poi costruire

delle personalità fittizie. Adesso noi diciamo che è possibile per talune Entità… guardate, ad esempio,

che non tutti sono in grado di fare dei fenomeni fisici, non tutte le Entità; occorre che l’Entità che

sovrintende alle manifestazioni fisiche abbia avuto modo di esercitarsi. Altri, che non hanno questa

possibilità – nonostante la medianità sia la stessa – non possono provocare fenomeni fisici. Vi sono

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delle Entità, io posso fare questo, di tornare indietro nel tempo ed ascoltare i pensieri di un

trapassato, od anche di un vivente. E posso di più, posso porre in contatto l’automatismo che

sovrintende alla parola del medium, con questi… con questo passato, con questi pensieri del

passato, come farò fra poco. Allora voi udrete parlare, ma vi sarà una differenza: il medium parlerà

con la sua voce, il suo frasario; tradurrà cioè quei pensieri con i quali è stato messo in contatto, nel

suo modo consueto. Direte voi: «Potrebbe uno Spirito, un’Entità, farsi passare per un altro?». Certo

che può; qua si tratta però di rientrare in un codice etico: sarebbe assurdo che noi ci facessimo

passare per altri e poi venissimo da voi a parlare di onestà, di rettitudine, di moralità. Ne convenite?

Ma vi sono anche delle Entità che non conoscono questo codice etico ed allora possono fare così, se

riescono a mettersi in contatto col passato – come io farò fra breve – attingono notizie di un dato

personaggio e si presentano fornendo dati precisi. Ma sempre Entità sono. Voi forse vi domanderete

se può un vivente fare questo. Teoricamente è possibile, purché questo vivente abbia la possibilità di

muoversi autonomamente nel piano astrale. Non crediate che tutti i trapassati, o coloro che riescono

a sdoppiarsi, possano avere questa autonomia. Il piano astrale è un labirinto perché trae in inganno la

sua materia che continuamente si plasma sotto il pensiero e il desiderio, e quindi è facilissimo credere

di essersi posti in contatto con un dato essere, o con il passato ed invece porsi in contatto con se

stessi, con la propria immaginazione.

Adesso metterò in contatto l’automatismo che guida la parola dello strumento, con un pensiero di

un essere ma che appartiene al passato, da non confondere con un guscio astrale, vi prego. È un

viaggio nel tempo. Vedrò di porre in contatto con pensieri che possono fornire elementi precisi per

una verifica da parte vostra. State silenziosi e non fate domande perché non sarebbe un dialogo: voi

state ascoltando un monologo.

Michel

Che freddo! Oh Dio, che freddo! Mamma mia! Tutta quell’acqua! Che confusione… Ah,

cerchiamo di riordinare le idee. Aspetta, eh? Prima di tutto chi tu sei? Come tu ti chiami? Ti chiami

Teresia Antonio, Teresia Antonio… classe… O Dio, non me ne ricordo più; quando son nato? Son

nato… Ho fatto vent’anni l’altro mese. Aspetta... È curioso, non mi ricordo più quando son nato.

Teresia Antonio nato… Ah sì, il 22 Gennaio 1897. Ma cos’è successo? Ho fatto il compleanno l’altro

mese! Quant’è… Un mese, no, un mese no perché oggi è il 15 Febbraio: 15 Febbraio 1917. Oh, che

esplosione! Che esplosione… Giuseppe, Giuseppe… Giuseppe, mi senti? Giuseppe, Pruniti…

Pruniti… Sono io, sono Antonio… Giuseppe… Guglielmo! Guglielmo! Sparano, rispondimi Sparano…

Sì, Sparano, quello di Napoli… Oh Dio, che spavento! Il piroscafo affondato, un esplosione, credo.

Eravamo nell’Adriatico. Piroscafo Minas… Sissignore, sono io, il soldato Teresia Antonio… Non

capisco più nulla… È affondato il piroscafo, signore… Rispondi, rispondi… Rispondi! Quanta acqua,

freddo, la paralisi… Io sono nato… Sono della Sicilia, ma eravamo tre amici insieme. Dove sono gli

altri due? Non li vedo. Sì, sì, Giuseppe si chiamava e l’altro Guglielmo… non lo so… che

confusione… che confusione… che confusione… che confusione…

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Voce di Roberto (Medium)

Vedete, cari, adesso – volendo – un’Entità che avesse pochi scrupoli potrebbe benissimo farsi

passare per questo Antonio Teresia; ha dato data di nascita, data di morte, con chi era al momento

della morte, avendo così una certa credibilità. Cosa del resto che potrebbe benissimo fare anche un

vivente che fosse molto bravo nell’orientarsi nell’astrale durante la bilocazione, lo sdoppiamento. Mi

seguite?

Ma da dove nasce, allora, la prova di chi siamo? Lo ripetiamo ancora una volta: udendo quello

che vi diciamo. Giudicate, domandate, chiedete; ascoltando, udendo il discorso complesso che

facciamo. E questo non può essere raggiunto in una seduta, in una riunione, ma come voi avete fatto:

anni di studio e di osservazione. Vi lascio e saluto tutti caramente.

Michel

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Noi torneremo a riunirci fra quattro settimane, nel giorno di sabato, come quest’oggi, per voi.

D. – Scusa, potresti dare delle indicazioni a quegli amici che sono venuti e che volevano chiederti

alcune cose?

R. – Potranno farlo in altra occasione.

D. – Scusa, tu avevi dato il permesso di fare una riunione per i fratelli che vivono lontano da Firenze.

Potresti fissarci la data di questa riunione?

R. – Dunque, ascoltate: vi sarà una riunione fra quattro settimane; una successiva ancora e

nell’intervallo fra la successiva e la seguente, potrete fare quella riunione.

D. – Molti hanno chiesto se ci saranno riunioni affettive.

R. – Dopo quelle comincerete.

D. – Per il fenomeno di Genova, ce lo dici un’altra volta?

R. – In un’altra occasione.

Vedete, figli, fino dal tempo in cui abbiamo cominciato a portarvi il nostro insegnamento, cioè da

quando avete cominciato a rendervi conto che queste comunicazioni non potevano costituire un

passatempo, né un mezzo per soddisfare le vostre curiosità umane, noi abbiamo curato che questa

cerchia di amici che liberamente si riunivano, tale rimanesse nel tempo, estranea ad ogni forma di

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organizzazione, perché noi siamo convinti che le organizzazioni che acquistano una personalità

propria finiscono col perdere il contatto diretto con l’uomo, la capacità di comunicare col singolo al di

là di ogni barriera ideologica. Noi abbiamo fiducia nell’opera individuale, nell’aiuto che l’uno può dare

all’altro direttamente, senza che il beneficato debba abbracciare come contropartita un’ideologia o

una religione. Per questo motivo – ed anche per altri – fin da allora vi abbiamo spinto alla

riservatezza. Vi dicevamo: «Parlate pure delle verità che venite a conoscere, ma non specificate

come le avete conosciute»; comportatevi cioè come se fossero delle vostre personali opinioni. Inoltre

non vi abbiamo mai spinto a credere di essere voi, e noi, investiti da una speciale missione divina, è

vero? Né di trovarvi di fronte ad un complesso di fenomeni di una certa rilevanza; di quest’ultimo fatto

ve ne siete resi conto solo ultimamente, quando avete cominciato ad avere contatti con altri gruppi ed

altre fonti.

A distanza di trent’anni dalle prime comunicazioni, volgendovi nel tempo ad esaminare la nostra

opera, vi sarà facile vedere il programma che abbiamo svolto, che non appariva e non appare nel

momento in cui, passo su passo, lo attuiamo.

Lo scopo delle nostre comunicazioni non è quello di provare l’esistenza obbiettiva dei fenomeni

fisici, né della sopravvivenza di un quid immateriale alla morte del corpo. O meglio, forse abbiamo

provato tutto ciò personalmente, ad ognuno di voi. Se invece avessimo voluto provarlo all’opinione

pubblica, allora ci saremmo serviti di questo strumento in quel senso, ottenendo forse fenomeni più

rilevanti di quelli che comunemente osservate. Ma che scopo avrebbe dimostrare generalmente, alla

generalità degli uomini, la sopravvivenza dell’“essere”? Forse per imbrigliare nuovamente l’azione

dell’uomo con la paura dell’aldilà, o con la preoccupazione di procurarsi un avvenire radioso dopo la

morte? No! Quando gli elementi sono stati forniti, ciascuno – a questo punto dell’evoluzione – deve

trovare da solo la propria certezza. Quindi con gli altri comportatevi come noi ci comportiamo con voi:

lasciate che ciascuno scopra da se stesso di che cosa ha bisogno, viva libero nelle sue convinzioni,

subisca gli effetti delle cause liberamente mosse. Fornite cioè gli elementi e lasciate che ciascuno

tragga la sua conclusione finale.

Se allora la scoperta individuale è lo scopo della vita dell’uomo, che senso ha il nostro

messaggio? Forse quello di portare una nuova morale?

Dali

La morale è ciò che attiene alla valutazione delle azioni in funzione del bene. Questa può essere

una definizione. Ma chi ha conoscenza del costume dei popoli sa quanto diversa sia l’etica delle

società. Lo stesso pensiero filosofico riconosce vari tipi di morale tutti in stretta dipendenza con

altrettante concezioni di “bene”. E quanto si sia modificato il concetto di “bene”, nel tempo,

certamente voi lo sapete: dal bene inteso come “felicità” degli antichi, a Dio, massimo bene del

cristianesimo, al bene “conoscenza del vero” dei razionalisti, al bene che coincide con l’utilità dei

positivisti e così via. Come ho detto, a tante concezioni di “bene” corrispondono tante moralità. E così

abbiamo l’etica intellettualistica, l’etica irrazionalistica, l’etica volontaristica e chi più ne ha più ne

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metta. In effetti, però, non esiste una morale assoluta che debba essere assunta come ideale da tutti

gli uomini, dal selvaggio al Santo. Esistono tanti stati di coscienza, raggiungibili per tappe successive,

ciascuno dei quali diviene “ideale morale” nel momento in cui è prossima meta che il singolo deve

raggiungere. Ecco il perché di tante società con tante etiche diverse. Sono i differenti ambienti in cui

ciascuno trova il suo gruppo di esperienze che lo conducono ad ampliare la coscienza; che lo

conducono ad una più profonda maturazione. Quindi la morale, o le credenze, non hanno un valore

assoluto: sono i termini del problema che ciascuno deve risolvere; ma è il processo del risolvere il

problema e non sono i termini che danno all’individuo un nuovo “sentire”. Sono gli stimoli che

vengono dagli ambienti in cui vive che trasformano l’“essere” dell’individuo. E se generalmente noi

possiamo affermare che per l’individuo è “bene” tutto ciò che amplia la sua coscienza, altrettanto

genericamente possiamo dire che una vita è favorevole, è positiva, quando da essa si hanno

esperienze che direttamente allargano gli orizzonti di un nuovo “sentire”.

Kempis

Tornerà utile ricordare che per molte religioni la vita dello Spirito corrisponde alla rinuncia al

mondo ed alla società. Quanto sia distorta questa concezione lo abbiamo ribadito più volte. Tuttavia

non si deve credere che la vita sia vissuta nella continua esperienza diretta e nell’istinto; persino gli

animali che non posseggono il raziocinio ed hanno una vita istintiva, conoscono il freno inibitore alle

loro azioni: la paura; o – se preferite – contrapposto all’istinto di aggressività degli animali vi è quello

frenante del timore. Con ciò intendo dire che una vita è vissuta quando sì, si ha l’esperienza diretta, si

è attivi, vigili, ma soprattutto quando si è riflessivi, quando si usa, da parte dell’uomo, quello

strumento in più che ha rispetto a forme di vita più semplici; quando si usa l’intelletto e non già per

crearsi delle false morali o delle pastoie inutili, ma per comprendere i propri limiti e superarli. Sicché

se volessimo dire e riassumere in una frase, in un titolo, lo scopo della vita dell’uomo, non dovremmo

dire tanto che lo Spirito sperimenta la materia, quanto che l’uomo – attraverso a quelle vicende che lo

vedono protagonista – trascende il proprio egoismo, supera una visione della sua esistenza in cui

tutto è visto unicamente in funzione di se stesso, raggiunge la coscienza d’essere tutt’uno con ciò che

esiste.

Nel mare costantemente agitato dei pensieri, dei conflitti del singolo e dei popoli, dei desideri,

delle frustrazioni, ciascuno trova il proprio gruppo di esperienze che lo conducono ad ampliare il suo

“sentire”. Ogni esperienza non è mai perduta; anche quando è fondatamente errata è pur sempre

un’esperienza. Ma come non è necessario sperimentare tutto direttamente, così non è indispensabile

errare per comprendere. Una vita è spesa favorevolmente quando si raggiunge l’equilibrio fra l’azione

e la riflessione; fra l’intenzione e la capacità di realizzarla.

Claudio

Qual è il nostro posto in tutto ciò, o figli? Noi cerchiamo di aiutarvi a prendere coscienza di voi

stessi rendendovi consapevoli del peso che avete nella collettività, facendovi capire che l’ingiustizia e

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lo sfruttamento del singolo sembrano fine a se stessi per la visione limitata nel tempo e degli eventi

che gli uomini hanno.

Dali

Cerchiamo di instillare in voi la convinzione che la vita, per quanto sia un mezzo di evoluzione,

può essere serena e pacifica purché sia liberata dall’ignoranza, dalla superstizione; ma soprattutto

purché si riesca a concepirla non più solamente in funzione di se stessi.

Teresa

Cerchiamo di convincervi che la felicità può essere di codesto mondo, purché ci si renda conto

che non è conseguenza del possesso di qualità, né virtù, né amicizie, né beni materiali, né che cresce

col successo e con la notorietà.

Claudio

Cerchiamo di farvi capire che l’unica etica veramente universale è quella di concepire come unico

bene l’aiutare gli altri e come unico male recare loro danno.

Teresa

Tuttavia vi insegnamo a misurare le vostre forze, a trovare il giusto equilibrio fra il vostro ideale

morale e la possibilità di trarlo in pratica. Vi insegnamo a cominciare da poco e da vicino, amando di

più i vostri famigliari ed i vostri amici.

Claudio

E qual è il vostro posto in tutto ciò? Per molti anni voi siete stati passivi spettatori di queste

comunicazioni. Adesso siete voi che dovete rispondere a chi vi chiede. Ma non vogliamo fare di voi

dei predicatori, dei divulgatori delle nostre parole. Non vi mandiamo come pecore fra lupi feroci; tutto

quello che ci aspettiamo da voi è che rispondiate a chi vi chiede, a chi vi mandiamo, perché non siete

voi che scegliete con chi avere contatti, siamo noi. E non preoccupatevi se ciò che direte non sarà

recepito: la verità quando è tale, anche quando è prematura non va mai perduta, rimane nell’individuo

come un seme che inizierà il suo ciclo vitale nella stagione propizia.

Dali

Nei riguardi di voi stessi ci attendiamo che quando sarete scavalcati o quando i privilegi, le

amicizie influenti, la disonestà impunita, lo sfruttamento a danno di altri faranno prevalere chi non ha

meriti, non abbiate una reazione che rafforzi il vostro io, che vi dia frustrazione ed amarezza perché

sarà segno, allora, che avete compreso ciò che noi intendiamo dirvi.

Claudio

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Se tutto ciò vi sembra poco e già detto, allora non ci siamo espressi bene, perché noi

contrapponiamo allo sterile ascetismo l’azione individuale ad ogni livello della società, culturale,

politico, assistenziale. Forse, anzi certamente, modesta, ma in ogni caso più fattiva.

Kempis

Contrapponiamo alla violenza a se stessi creatrice di nevrosi e distorsioni di pensiero, l’auto-

convinzione che è liberatrice.

Claudio

Contrapponiamo al cieco dogma, l’enunciazione in termini intelleggibili della realtà, cioè una

verità che se anche non è – e non potrà mai esserlo – assoluta, è tuttavia quanto di più aderente voi

possiate afferrare dell’unica, dell’ultima Realtà.

Dali

Al consiglio di sacrificare la vostra vita terrena a beneficio di quella celeste, noi contrapponiamo il

consiglio di vivere serenamente il presente e ciò è possibile solo se si è capaci di concepire la propria

esistenza al di là degli angusti confini di “mio”, io, “guadagno”.

Claudio

Al vuoto formalismo religioso contrapponiamo quel tanto e quel poco che la vostra convinzione e

le vostre possibilità vi faranno fare.

Teresa

All’idea di un Dio capriccioso, che interviene a suo piacimento, che vuole essere lodato ed

adulato, contrapponiamo l’idea della Divinità che tutti comprende, che tutti chiama a Sé attraverso ad

una comunione vieppiù vivida ed effusa. Questo e questo solo è lo scopo della nostra presenza fra

voi.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Dali

95

13 Dicembre 1975

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Se questa figlia avesse avuto un po’ di pazienza, tutto in lei sarebbe tornato in calma. Non

avvilitela, vi prego, e soprattutto ricordatevi che disturba più la vostra preoccupazione che non il fatto

in sé; questo tenetelo sempre presente. Tutti i vostri pensieri riuniti sono molto più producenti di un

semplice fatto che, in sé, non avrebbe nessuna ripercussione. Lo abbiamo detto altre volte, è vero?

Eccoci ancora riuniti assieme. Di che cosa parleremo questa sera, visto che non è la serata in cui

si presenterà il Fratello Claudio? Comunque avete fatto bene a focalizzare la vostra attenzione su

questi problemi, in modo che quando Claudio si presenterà fra voi potrete rivolgergli le domande che

vi assillano.

Di che cosa parleremo? Sì, perché ancora una volta ripetiamo che lo scopo di queste riunioni, di

queste comunicazioni, non è quello di produrre dei fenomeni, più o meno strani, inconsueti. Lo

spiritismo se così si vuol chiamare ancora non può continuare ad essere un’elencazione di fatti strani

o straordinari; sarebbe un ripetersi forse sterile che a lungo andare finirebbe con lo stancare.

Dobbiamo dire e fare qualcosa di più. Che fare allora? È proprio lo scopo della nostra presenza fra

voi, ed è quello di parlare di realtà che sono poco meditate, poco osservate: realtà che forse voi non

avete la possibilità di controllare, ma che possono essere sostenute attraverso alla logica. Vedete, noi

vi abbiamo fatto un quadro generale di quella che è la Realtà che noi riusciamo a vedere, a percepire.

Questo quadro può essere affrontato da qualunque parte e segue un discorso logico, così come un

indumento fatto a maglia, non è che un filo, è vero? Da qualunque parte noi possiamo cominciare a

guardare, ad osservare questo quadro della Realtà, c’è un filo conduttore, estremamente logico, che

finisce in un concetto principale ed ultimo: il concetto di Dio Assoluto. Dire Dio Assoluto, voi lo sapete

– se le parole hanno un significato – implica una serie di altre affermazioni tutte susseguentisi. Voi

potete pensare a un Dio diverso da quello che noi vi prospettiamo, siete liberissimi, altri lo fanno; ma

allora chiamate quel Dio “Padre”, “Altissimo”, “Grande Architetto”, “Ente Supremo”, come vi piace, ma

non lo chiamate “Assoluto” perché chiamarlo “Assoluto” – lo ripeto – significa riconoscere a Lui certi

concetti, certi altri principi, l’uno scaturente dall’altro e giù giù, fino a ricostruire quel quadro generale

che noi abbiamo affrontato invece dal basso. Noi abbiamo cominciato a parlare della reincarnazione,

della legge di causa e di effetto, del Karma, di tutte queste cose, è vero? Dei piani di esistenza e

siamo saliti. Ma ognuna di queste verità che man mano andiamo focalizzando, sta insieme

logicamente, segue all’altra fino ad arrivare al concetto ultimo dell’Assoluto. Comprendiamo che

affrontare questo concetto, per voi che siete abituati a pensare a Dio in certi termini mistici è molto

difficile; è una strada insidiosa che di tanto in tanto vi mette di fronte a delle sorprese, che distrugge

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certe idee romantiche che vi siete fatti, o che altri hanno costruito in voi, ma pure se vogliamo essere

logici fino in fondo non possiamo che seguire questa strada, e non potete che seguirla.

Noi non stiamo parlando per difendere ciò che diciamo: la verità – lo abbiamo detto altre volte –

non ha bisogno di difensori, si afferma da se stessa. È bello dire: «La causa della verità», ma ha poco

senso. La verità non ha bisogno di chi la imponga; man mano che l’uomo procede si scopre da sola.

Vedete: Galilei scoprì la rotazione della Terra; per pressioni esterne fu costretto a ritrattare, ma

nonostante il parere diverso del Papa, nonostante la ritrattazione di Galilei, la Terra girava lo stesso e

gira tutt’ora. È vero, figli? Così non vogliamo difendere ciò che diciamo, ciò che diciamo si difende da

solo, ma vogliamo unicamente scuotere la vostra attenzione e ricordarvi che se volete seguire questo

filo logico fino in fondo, dovete essere disposti a distruggere certe immagini che potevano esservi

care e che possono tutt’ora esservi care – come favole ai fanciulli – ma che a un dato momento non

hanno più ragione di essere credute.

Quello che questa sera Kempis vi dirà forse vi sembrerà freddo, vi sembrerà solamente filosofico,

poco divertente ad ascoltarsi, ma è una puntualizzazione molto necessaria, perciò vi invito a seguirla

con attenzione.

Vi lascio momentaneamente.

Dali

…«Della cui identità io, notaio, sono certo». Quante volte, quante volte ho sottoscritto questa

dichiarazione!… «Della cui identità io, notaio, sono certo», ed ero certo anche quella volta. Era venuta

da me, si era presentata come… come “lei”… io non avevo motivo di dubitare. Fece alcuni passaggi

di proprietà e ne fece altri, fece degli acquisti… Era “lei”, produceva dei documenti la prima volta, poi

non aveva più bisogno di farsi identificare, ormai la conoscevo. Sapevo chi era quella signora, era

una nobildonna; che motivo avevo di dubitare? «Della cui identità io, notaio, sono certo». Poi un

giorno disse: «Io voglio vendere il mio patrimonio». Ed io mi adoperai per farglielo vendere. Che

motivo avevo di dubitare? Aveva fatto altri acquisti, altre vendite, piccole cose, ma chi poteva dubitare

che non era “lei”, che mi aveva dato un’identità falsa? Ho venduto tutto il patrimonio di un’altra… ho

venduto tutto il patrimonio di un'altra!!!!! Come potevo rimediare? Mi ha distrutto! Mi ha distrutto

fisicamente, moralmente, professionalmente! Mi ha distrutto completamente! Che soluzione avevo se

non quella di uccidermi? Oh! E credevo di por fine alle mie sofferenze e no, invece, no! Continuo a

soffrire, continuo a pensare, a pensare… La mia sofferenza continua… Mi sono ucciso ma non ho

ucciso il mio dolore… «Della cui identità io, notaio, sono certo»!!!! Mi ha distrutto… Mi ha distrutto…

Entità Ignota (Notaio suicida)

Sono la Guida Fisica di Roberto.

Un attimo di pazienza. Viene dal Messico ed occorre un po’ di pazienza. Possiamo dire… a livello

atomico… come chiamarla? Un’armatura, qualcosa di… una intessitura, è vero?

Ecco, quando noi apportiamo un oggetto, dobbiamo – su questa tessitura – riportare la materia

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che prima abbiamo smaterializzato. Adesso questo oggetto ha la sua armatura. No so se riusciremo a

farvi vedere, piano piano, la materializzazione. Adesso è plastico… Non è ancora completo… Non

completo… Ecco, è completo. Questa sera, deliberatamente, ho fatto una materializzazione lenta per

darvi modo di vedere come sono, come si svolgono le fasi. Noi ci sintonizziamo con il vostro fluido;

ecco perché vi diciamo di non farli toccare a nessuno, altro che voi stessi potete toccarli.

Naturalmente non succede niente se altri lo toccano, apparentemente: si perde la sintonizzazione fra

questi oggetti e voi. Adesso si può dire pressoché ultimato. Figlia Bianca, devi cercare di

raggiungermi…

D. – Eccomi.

R. – Dammi le mani. Questo è l’oggetto. Tienilo fra le tue mani così e non aprirle fino alla fine della

riunione.

D. – Io debbo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me…

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato. Pace a tutti voi, fratelli.

Michel

Creature, ancora sono con voi e con gioia vi parlo. Noi vi accettiamo come siete e, conoscendo i

pensieri riposti, sappiamo quanto difficile sia per voi vivere e quanto rimangano “buoni propositi” le

vostre intenzioni. Ora io sono con voi e comprendo la vostra incertezza, comprendo quanto vi resti

difficile seguirci. Quanto vorreste veder trascorrere la vostra esistenza senza problemi, senza ansietà;

ma voi siete in questo esilio terreno perché dovete faticare, sperimentare con pazienza. Ma non

perdete la fiducia in noi, siate certi del nostro aiuto. Siate certi che queste sofferenze sono in comune

con chi vi comprende. Noi vorremmo dire a ciascuno di voi tante cose, ma non possiamo che

trattenerci così, collettivamente.

Vi abbraccio tutte, creature, tutte! Portate con me i vostri pensieri.

Io vi seguo con la mia dedizione e non vi lascio. Sono con voi… Con voi!

Teresa

Salve a voi.

Affermando che Dio è Assoluto ne discende che Egli è l’unica Realtà oggettiva. Ogni altra realtà

che necessariamente deve essere in Lui, è una realtà relativa, cioè dipendente da qualcosa. In

sostanza Dio è come è perché dipende unicamente da Se stesso: cioè è indipendente, cioè è

Assoluto. Ogni altra realtà è come è perché dipende da qualcosa. La stessa “coscienza cosmica”, che

è la massima espressione del “sentire” del Cosmo, la massima spiritualità cosmica, per intenderci, è

tuttavia una realtà relativa che è come è in dipendenza di qualcosa, non foss’altro del virtuale

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frazionamento dell’Assoluto.

Alan – Domando se la realtà relativa è anche soggettiva.

Kempis – Dicesi “soggettivo” ciò che dipende dal modo di pensare di un soggetto. Allora la domanda

potrebbe suonare anche così: la realtà che si percepisce, esiste indipendentemente dalla

percezione?, cioè è una realtà oggettiva se pure relativa? Oppure esiste unicamente nella

percezione, cioè è una realtà soggettiva? Con questa domandina siamo di fronte al problema della

conoscenza, vecchio quanto l’uomo. Nel pensiero degli antichi voi sapete che la conoscenza si

identificava con la Realtà, grosso modo; fatta eccezione per gli scettici che negavano questa

corrispondenza. Ossia gli scettici negavano all’uomo la possibilità di confrontare la realtà conosciuta

con la Realtà esistente. Nelle filosofie medievali si pose in discussione se certe idee universali ed

astratte concepite dall’intelletto potessero trovare riscontro nella Realtà. Successivamente si passò

ad esaminare i limiti e le possibilità della conoscenza, ponendo anche in dubbio l’esistenza di una

realtà oggettiva.

Nel pensiero moderno si esaminano le funzioni della conoscenza, l’efficacia, senza curarsi di

confrontarla con la realtà oggettiva. Tutto questo a volo d’uccello, come si suol dire, senza prendere

in considerazione la possibilità che ha la scienza dell’uomo di porsi ad incrementare la conoscenza;

senza interessarsi, cioè, della filosofia della scienza perché il nostro scopo non è quello di esaminare

le varie tappe del pensiero umano su questo argomento, ma unicamente quello di ricordare come

questa… questa meditazione sia sempre stata presente nel pensiero degli uomini, ma soprattutto di

esporvi il nostro punto di vista che è il seguente: noi ci rendiamo conto della Realtà attraverso alla

percezione che è appunto l’atto della consapevolezza con cui si coglie l’esistenza di una realtà

esterna per mezzo della mediazione dei sensi. Per taluno la percezione è un fenomeno di sensazioni,

per altri un fenomeno della mente. Per noi è l’una e l’altra cosa. Infatti se l’uomo anziché cinque sensi

ne avesse due soltanto, ovviamente la sua percezione sarebbe diversa ed egli immaginerebbe una

realtà esterna, lui, come avente le sole caratteristiche da lui colte; mentre se avesse dieci sensi

probabilmente coglierebbe altri aspetti del mondo in cui vive ed ipotizzerebbe una realtà in modo

diverso. Od una realtà diversa. Questa considerazione dunque ci lascia supporre che la realtà esista

indipendentemente dalla percezione e noi da sempre vi abbiamo detto che esiste un ente percepente

e qualcosa che viene percepito. È vero? Allora la risposta che ci siamo posti – e cioè se la realtà

esiste indipendentemente dalla percezione – potrebbe essere che, sì, la realtà esiste al di là della

percezione.

Alan – Ma questa realtà è oggettiva?

Kempis – Se per oggettivo intendiamo il contrario di soggettivo, la risposta è sì. Ma voi potreste a

questo punto dire: «Questo signor Kempis viene qua a dir male di Garibaldi! Lo sappiamo benissimo

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che esiste una realtà oggettiva della quale abbiamo una visione soggettiva». Eh già, il problema non

è così semplice, infatti dobbiamo subito precisare che la realtà che si percepisce, come si percepisce,

esiste unicamente nella percezione. In effetti esiste qualcosa che, percepito, dà la visione della realtà

che ci è nota, perciò la realtà che noi percepiamo esiste unicamente nella nostra percezione.

Alan – Ma questo “qualcosa” che cosa è?

Kempis – Non è difficile comprendere che la realtà che noi conosciamo assume l’aspetto che ci è

noto in funzione delle nostre possibilità di percezione. Ora, siccome tutto quanto esiste è in Dio e fa

parte di Dio, è chiaro che osservando il mondo nel quale viviamo, osserviamo una parte di Dio; tanto

è vero che se, senza distogliere la nostra attenzione dal mondo in cui siamo immersi, crescessero le

nostre possibilità di percezione – badate bene, è un’ipotesi assurda quella che sto facendo, eh? – fino

al limite necessario, noi giungeremmo a percepire Dio senza aver distolto la nostra attenzione da uno

stesso oggetto. Dunque, ciò che noi percepiamo è una parte di Dio, in Dio, ma non esiste quale noi la

percepiamo; che non esiste oggettivamente. Dio, infatti, è indivisibile e credere di poter circoscrivere

una parte Sua e capire come è fatto Dio, è una mera illusione. L’insieme è tutt’altra cosa che la

somma delle parti e Dio è tutt’altra cosa che l’insieme.

Il Cosmo, pur essendo in Dio, non è oggettivamente in Lui delimitato; la delimitazione del mondo

che noi conosciamo non è oggettiva, scaturisce unicamente dalle nostre possibilità di percezione. Il

piano fisico non è distinto da quello astrale se non dal fatto che così lo si percepisce e questo la

vostra stessa scienza umana è avviata a comprenderlo. Infatti si dice che una legge, o della fisica, o

della chimica, o della natura, è qualcosa che riguarda un numero grandissimo o di atomi o di cellule; e

l’enunciazione di questa legge non è che l’enunciazione di un comportamento statistico della maggior

parte di queste unità elementari, cellule o atomi; ma che in realtà, nella moltitudine di queste unità

elementari che si comportano in un certo modo e che originano l’enunciazione della legge da parte

dello scienziato, ve ne sono altre – forse in numero minore – che si comportano del tutto

diversamente. Allora quando andiamo ad esaminare i fenomeni della materia nella sua composizione

laddove osserviamo un numero minore di queste unità elementari, ecco che l’enunciazione della

legge resta oltremodo difficoltosa. Dunque tutto questo per dire che la realtà non ha questi confini

così rigorosi come generalmente si crede. Dio infatti – lo ripeto – è indivisibile. Ogni parte non esiste

oggettivamente in sé, non è una realtà oggettiva. Esiste un’unica Realtà oggettiva, la Realtà Assoluta

o Dio. Ogni altra realtà è una realtà relativa che scaturisce da una delimitazione, non oggettiva, di

questa Realtà Unica. A sua volta la delimitazione scaturisce dalla percezione di un ente percepiente:

al livello umano esiste un ente percepiente – l’uomo – e qualcosa che viene percepito: la Realtà

Unica. La visione che ha l’uomo di questa Realtà Unica, è una realtà relativa che ha un colore, una

forma, un sapore, una consistenza, ma che non ha niente a che vedere con la Realtà Unica, essendo

la Realtà Unica incolore, informe, inconsistente, omogenea, indeterminata, infinita, indivisibile,

immutabile, eccetera, eccetera. Perciò la realtà relativa, esistendo unicamente nella percezione

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individuale – ed in forza di questa – è sempre soggettiva. Ripeto: l’unica Realtà oggettiva è la Realtà

Assoluta o Dio.

Alan – Ma tu fino ad ora hai sempre parlato di un ente percepiente e di una realtà che viene

percepita. Ora noi sappiamo che l’individuo ha una fase nella sua esistenza in cui non ha più

percezione intesa come atto della mente e dei sensi, in cui è unicamente un “sentire”. Allora, in quella

fase di esistenza, di che natura è la realtà che l’individuo rappresenta?

Kempis – Mi pare di avere detto che, per esempio, non esiste oggettivamente un mondo fisico, ma

che esiste la Realtà Unica che, percepita con certe limitazioni, dà la visione del mondo fisico che ci è

nota. Ma al di là di quelle immagini che noi abbiamo chiamato piano fisico, piano astrale, piano

mentale, ove non v’è più percezione e quindi mondi da percepire, l’individuo è un insieme di “sentire”,

ossia di realtà relative sempre più estese. Ora, siccome “sentire” è “esistere”, è “coscienza d’essere”,

l’individuo è un insieme di “coscienza d’essere” sempre più ampia.

Alan – Ma questo “sentire”, nella struttura, cioè nella sostanza, che cosa è?

Kempis – Quando diciamo che Dio è “Sentire Assoluto”, non intendiamo dire che Dio sia un

organismo il cui prodotto sia “Sentire Assoluto”. In altre parole, noi possiamo credere che Dio sia fatto

di niente, perciò chiamiamo l’ipotetica sostanza di Dio “Spirito Assoluto”. Tuttavia non dobbiamo

credere che lo “Spirito Assoluto” dia la Coscienza Assoluta. Lo Spirito Assoluto è Coscienza Assoluta.

Poniamoci assurdamente nella posizione di osservatore esterno che volesse vedere come è fatto Dio.

Nel momento in cui ne osservasse una parte non osserverebbe più Dio, e lo “Spirito Assoluto”, così

idealmente circoscritto, diventerebbe relativo, diventerebbe perciò “sentire” relativo. Ma se

l’osservatore credesse che Dio fosse fatto di “sentire” relativo, sarebbe in errore. La somma dei

“sentire” relativi non darà mai il “Sentire Assoluto”; il “Sentire Assoluto” comprende e riassume in sé

tutti i “sentire” relativi, ma trascende la totalità di questi. Diversamente da così, ogni parte esisterebbe

oggettivamente e Dio sarebbe costituito di parti. Mentre noi diciamo che Dio è la Realtà Unica perché

Dio è un’unica Realtà. Perciò quando parliamo di “sentire” relativo, parliamo di virtuale frazionamento

dell’Assoluto; ossia di una parte dell’Essere idealmente circoscritta, ma della stessa sostanza

dell’Essere.

Il “sentire” relativo, a sua volta non è il prodotto di un organismo, è “Sentire Assoluto”

virtualmente limitato, circoscritto, ossia: una realtà relativa. L’individuo è un insieme di queste realtà

relative sempre più esteso, ossia di “coscienza d’essere” sempre più ampia. Ma siccome la Realtà

totale è unica, ne consegue che questa “coscienza d’essere”, man mano che si espande, non può

che identificarsi con tutte le altre realtà relative, cioè con tutti gli altri esseri e con la realtà cosmica,

ossia con la coscienza cosmica. La coscienza cosmica contiene l’intera realtà cosmica perché è la

realtà cosmica.

101

Alan – Ma come è possibile che uno stato di coscienza comprenda quello che noi stessi abbiamo

definito “piani grossolani”?

Kempis – Ed io ripeto che l’esistenza di questi piani non è oggettiva. L’esistenza di questi piani è un

presupposto che si fonda sulla percezione individuale. La stessa scienza umana, con i suoi strumenti,

non prova l’esistenza oggettiva di una realtà fisica, perché gli strumenti della scienza non sono che

trasposizioni dei sensi dell’uomo, strumenti fatti e concepiti in funzione di quei sensi. L’individuo-

uomo, attraverso a certi sensi, percepisce una parte della Realtà Unica e la trasforma in mondi,

l’esperienza dei quali amplia il suo “sentire”. Quando, per un più ampio “sentire” raggiunto,

abbandona il gioco della percezione, l’individuo è egli stesso una realtà relativa destinata a perdere il

senso della propria limitazione fino a identificarsi con tutti gli esseri, con l’intera Realtà cosmica ed

oltre.

Pace a voi.

Kempis (Domande: Alan)

La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Saluto tutti voi singolarmente e particolarmente coloro

che per la prima volta sono qua presenti. Ci rivedremo fra cinque settimane, di sabato.

D. – Noi… vi ringraziamo… di tutto…

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

Adesso sono spiacente, ma debbo pregarvi di uscire, di lasciarmi solo con il figlio Alfredo che è

alla destra dello strumento.

Accendete una luce lontana.

Dali

Dopo il colloquio con Alfredo Ferraro Dali ha fatto chiamare Anna Paciscopi per un colloquio a

solo.

Come fenomeni fisici è stata materializzata una maschera messicana dalla Guida Fisica, molto

lentamente in modo che attraverso le luci scaturenti dalle mani del medium, potessero essere

osservate tutte le fasi della materializzazione. La maschera fu consegnata alla signorina B.

Altro apporto fatto da Dali, solo con il fisico Alfredo Ferraro e a luce accesa, fu una piccola chiave

istoriata da consegnare alla compagna di Alfredo Ferraro.

102

17 Gennaio 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi

ed a coloro che, durante questi momenti non sono qua presenti, ma ci pensano.

Questa sera abbiamo udito molte domande, domande che riguardano i vari aspetti

dell’insegnamento, per cominciare da quello del piano fisico. Ebbene, è giusta la vostra

preoccupazione di prevenire eventuali obiezioni da parte di persone, preparate, che leggano ciò che

noi abbiamo detto a proposito dei fenomeni inerenti la formazione della materia, sì. Ma occorre tenere

presente che certe apparenti – non direi neppure discordanze – ma non identiche affermazioni fra

quello che abbiamo detto e quello che la vostra scienza afferma, debbono essere ricondotte a una

non completa visione della materia da parte della scienza.

Anticiperò intanto, per esempio, la questione del calore che noi abbiamo detto essere un

fenomeno riguardante gli atomi, e lo confermiamo. Per vedere quanto questa affermazione sia

riconosciuta da parte della vostra scienza, pensate ai fenomeni del cosiddetto “plasma”.

Ancora voi avete ricordato la questione della massa dell’elettrone. Ecco, qua, se mai, c’è da fare

una precisazione ed è questa: allorché noi vi demmo quella formula, parlavamo con creature che non

erano molto interessate alle affermazioni della scienza, per cui quella formula fu da noi alquanto

semplificata. Ponemmo cioè la massa dell’unità elementare eguale ad uno; ma in effetti non è così.

Se dobbiamo pensare ad un numero massico, pensiamo a circa 0,9457, qualcosa del genere. Che

cosa accade? Non solo che ancora questo non è il numero massico dell’unità elementare, perché va

diviso per dieci milioni, ma che – per una questione matematica – questa divisione – dieci milioni, per

trovare il giusto numero massico – va tenuta fuori delle operazioni; va eseguita solo al termine dei

quadrati. Per esempio, noi abbiamo detto che la massa dell’unità elementare è 0,9 eccetera; per

trovare la massa della particella occorre moltiplicare la massa dell’unità elementare per sette,

ricordate? Dopo di che questo totale va moltiplicato per se stesso. Ecco, a questo punto, la massa

delle particelle, quel numero che abbiamo trovato, sarà il numero stesso diviso per dieci milioni.

Per trovare ancora la massa del corpuscolo, dovremo rifarci al numero trovato e riferito come

“massa della particella”, non acora diviso per dieci milioni, moltiplicato per se stesso; ma la massa del

corpuscolo sarà il totale diviso dieci milioni. Finché troviamo la massa del cosiddetto nucleo in effetti

noi dicemmo che la massa del nucleo era un numero piuttosto alto, ricordate? Ma la realtà ci dimostra

che i nuclei sono raggruppati tre a tre ed ecco ancora un numero che ricorre spesso nella costituzione

del Cosmo, così come i nostri mezzi di indagine ci fanno vedere perché voi sapete benissimo – da

quel che vi abbiamo detto da quel periodo ad oggi – quanto tutte queste realtà che si credono

103

precise, siano in effetti delle apparenze che si mostrino in un certo modo in dipendenza stretta dei

nostri sensi e dei nostri mezzi d’indagine, ma che la Realtà Assoluta sia del tutto diversa.

E qua mi ricollego alla domanda che ha fatto il figlio L. – non per rispondere, perché risponderà il

Fratello Kempis – ma per ricordarvi che le domande alle quali rispondiamo volentieri sono quelle che

trovano interesse nella generalità dei presenti, che suscitano in tutti una certa riflessione ed una

partecipazione intensa. Così il Fratello Kempis risponderà alla domanda del figlio L. perché essa ha

trovato eco in tutti voi o quasi in tutti. Ma voi sapete qual è ormai il nostro metodo di rispondere ed è

quello di farvi giungere direttamente alla risposta; cioè di fornirvi gli elementi e di lasciarvi trarre le

conclusioni dovute.

Per quanto – così avete chiesto – circa la molteplicità degli esseri in rapporto alla coscienza

cosmica, vi mancano ancora degli elementi per rispondere a questa domanda, dato che non tutti siete

d’accordo. Allora ciò significa che, evidentemente, non siamo stati sufficientemente chiari nel fornirvi

questi elementi. Cercheremo di fornirvene altri, partendo da altri punti di vista, fino a che voi potrete

quasi concordemente giungere alla conclusione. Mentre per quanto attiene alle domande inerenti

all’insegnamento del Fratello Claudio, egli stesso risponderà direttamente nella riunione che svolgerà

lui, ricordate, vero? Ve lo abbiamo già preannunciato. Non ci resta che lasciarvi momentaneamente.

Comprendo tutti i vostri pensieri, tutti i vostri desideri e le vostre preoccupazioni che riguardano la

vostra vita personale, figli, e posso assicurarvi, come sempre, che noi cerchiamo di infondervi forza

per superare certe cose che non possono essere allontanate, che sono vitali per la vostra evoluzione.

Di questo siate certi e sentiteci vicini a voi.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Io sono Walter Rudolph Hess, dottore in Zurigo.

Amavo la ricerca scientifica, quella sistematica. Ma qualunque metodo è sempre imperfetto.

L’osservazione diretta per mezzo dei sensi non prova molto, ammesso che sia esatta. Allora si cerca

di sostituire l’osservatore con mezzi di indagine sempre più complicati, ma l’osservatore non potrà

mai essere sostituito interamente poiché non si avrebbe più alcuna informazione. Fino a che punto è

esatta un’ipotesi teoretica passata su numerose e complicate osservazioni? Fino a che punto la realtà

non è modificata dai sistemi di indagine? Due grandi interrogativi! Ed ora una cosa è certa: riguarda la

cellula. Nel citoplasma, insieme ai mitocondri ed agli altri componenti, il condrioma, vi sono particelle

elementari analoghe ai geni posti nei cromosomi. Di questo sono certo. Ho sempre sospettato, nei

miei studi, l’esistenza di queste particelle: adesso ho la certezza!

Grazie.

Walter Rudolph Hess

Claudio vi saluta.

Sareste voi capaci di descrivere, a chi non fosse dotato di senso olfattivo, che cosa è un profumo

104

o che differenza c’è fra un profumo e l’altro? E più ancora, descrivendoli, suscitare negli altri le

gradevoli sensazioni indotte dai buoni odori? Credo che nessuno potrebbe fare questo. Così noi non

possiamo farvi provare la vita del “sentire” semplicemente parlandovene; ma se ve ne parliamo è per

polarizzare la vostra attenzione sulla possibilità di un’esistenza condotta diversamente dalla vostra, al

di là delle convenzioni che vi condizionano, al di là degli schemi e delle limitazioni disegnate dall’io.

Ma voi non dovete credere che una tale esistenza sia raggiungibile in un’altra dimensione e in un altro

tempo, che la liberazione avvenga in altri piani di esistenza o in un’epoca futura. La liberazione della

quale vi parliamo non è affrancamento dalla contingenza, ma dal vostro io, dal limitato e

convenzionale modo di concepire la vostra esistenza. Essa significa abbandonare i rigidi schemi che

vi condizionano per dischiudervi all’eterno ed all’infinito. Tale liberazione si realizza nella costante

consapevolezza delle azioni, dei desideri, dei pensieri, essendone consci nel presente, vivendo

l’attuale, non considerandosi paghi del passato, non rinviando al futuro. Una coscienza costretta nello

schema “io non-io” non potrà mai divenire una con cio che è senza principio né fine, né divisione.

Ponendo la vostra attenzione al di là dei confini creati dall’io, è raggiungere una nuova dimensione

della Realtà nel modo più vero – perché l’unico – che è quello di ampliare la propria coscienza,

raggiungere un nuovo “sentire”.

Pace a voi.

Claudio

Buona sera amici, La Guida Fisica vi saluta.

Come al solito vi prego di attendere… È per questa sorella… Vi prego di stare un attimo

concentrati.

Pace a voi, cari.

Michel

Salve a voi.

Gli argomenti dei quali ci stiamo interessando fanno un curioso effetto, fanno assumere alle

parole un significato e talvolta tutto l’opposto; perciò voi non dovete adontarvi se io metto alla prova

ciò che avete inteso, ultimamente, invitandovi a riflettere su questo: l’uomo possiede una visione

limitata della Realtà, ma esatta nei suoi elementi posseduti, oppure no? E se aumentassero le

possibilità di percezione dell’uomo, si aggiungerebbero altri elementi precisi in modo da formare un

tutto omogeneo e più vasto, oppure la nuova visione sarebbe del tutto diversa? A queste domande

risponderete con comodo perché c’è del tempo, c’è del tempo.

Dicemmo una volta che l’uomo è “oggetto” e “soggetto” della creazione. Per capire che cosa

intendiamo con questa affermazione, pensiamo un istante a Dio in termini panteistici. La natura, nel

suo complesso, compreso l’uomo, sarebbe l’oggetto della creazione, mentre l’uomo – con la sua

possibilità di conoscenza – costituirebbe il mezzo attraverso al quale la natura prende coscienza di se

stessa. Se Friedrich Schelling avesse pensato a questo, evidentemente non avrebbe definito la

105

natura come “un pensiero privo di coscienza”. Povero Schelling, aveva cominciato così bene con il

suo Assoluto, per naufragare poi miseramente quando si trattò di spiegare la molteplicità dei mondi

rispetto all’unità dell’Assoluto. Allora non seppe trovare niente di meglio che pensare ad un distacco

di questi mondi dall’Assoluto; cioè una specie di storiella degli Angeli caduti in chiave variata.

Dicevo che l’uomo – oggetto della creazione – crea a sua volta, e non già nel senso materiale,

perché allora più proprio sarebbe dire “distrugge”, “demolisce”; ma nel senso che ha, del mondo che

percepisce, una personale concezione, una particolare esperienza e vi assicuro che se anche le

esperienze possono sembrare simili, sono tuttavia diverse, uniche ed irripetibili per ogni individuo.

Questa affermazione potrebbe farci pensare a Dio in termini diversi da quelli che comunemente

abbiamo conosciuti. Certo che fra l’idea teista – cioè di Dio inteso come un’Entità antropomorfa,

distinto dalla Sua creazione – e l’idea panteistica, non esisterei a definire più aderente alla Realtà

quest’ultima che non la prima. Da sempre abbiamo detto che Dio è in tutto e che tutto è in Dio, perciò

il concetto panteistico sembrerebbe avvicinarsi molto al Dio vero; tuttavia, nel momento stesso che

affermiamo che Dio è oltre il mondo, oltre il manifestato ed oltre la totalità del Tutto, riconosciamo al

panteismo solo una piccola parte di verità: Dio è al tempo stesso “immanente” e “trascendente” la

manifestazione. Quali rapporti vi sono, in realtà, fra Dio e l’esistente? Ancora una volta siamo di fronte

ad un concetto che deve essere approfondito.

Dalle nostre affermazioni appare, lapalissianamente, che noi respingiamo il concetto di creazione

inteso come l’atto con cui Dio trae dal nulla tutte le cose rimanendo separato dalla Sua Opera; e

perciò respingiamo anche l’ampliamenteo di questo concetto operato da Tommaso d’Aquino secondo

cui la vita stessa del creato è un continuo atto creativo. Dalle nostre affermazioni appare più logico

pensare all’emanatismo, cioè credere che la molteplicità degli esseri derivi per emanazione dall’Uno-

Assoluto, e che per successiva condensazione si giunga alla materia; tuttavia anche questo concetto

non è aderente alla Realtà se con esso crediamo che Dio rimanga distinto dalla emanazione; se

pensiamo all’emanazione come ad un evento oggettivo. Infatti ne deriverebbe un Dio non certo

atemporale ed in continua mutazione.

È vero che i neoplatonici affermano che la “quiete perfetta di Dio” non viene minimamente turbata

dalla continua emanazione, ma è altresì vero – e voi dovrete convenirne con me – che questo

concetto così com’è enunciato, può essere accettato dalla logica solo se pensiamo all’emanato come

a qualcosa di distinto da Dio, cosa assurda perché – vedete – noi non respingiamo tanto il concetto di

creazione perché, secondo questo, Dio trarrebbe dal nulla tutte le cose, quanto perché esso ammette

l’assoluta separazione fra Dio ed il creato. Di pari respingiamo il concetto di emanazione, se

pensiamo che l’emanato abbia una sua fase di esistenza oggettiva; se ci figuriamo che Dio crei i

principi e gli elementi – che potrebbero essere gli esseri ed i mondi – e che poi questi abbiano

un’esistenza indipendente ed indeterminata rispetto a Dio, spettando agli esseri creare nei mondi una

sorta di Repubblica ideale come quella vagheggiata di Platone. Ora è chiaro che affermando che Dio

trascende la totalità del Tutto, ne consegue logicamente che il mondo umano non ha incidenza nel

divino. Ma questa affermazione non deve farci pensare ad una trascendenza di Dio, rispetto al

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manifestato, eguale a quella concepita, per esempio, dall’idea ateistica; la non relazione fra la

mutabilità dei mondi e l’immutabilità di Dio ha un’altra spiegazione, e voi lo sapete. Infatti abbiamo

cercato di farvi capire come il Tutto-Uno-Assoluto, cioè Dio, ancorché assurdamente considerato

come l’insieme di parti – i mondi in continua mutazione – in effetti non muta affatto. Questo perché ciò

che noi vediamo mutare in realtà è il mutabile, è un insieme di situazioni – chiamiamole così – fisse

nella eternità del non tempo; e la mutazione nasce dalla percezione in successione di queste

mutazioni, così come la storia narrata in un libro acquista vita e svolgimento solo nella mente del

lettore ed in funzione di essa. Da ciò si comprende come “creazione” o “emanazione” o non è mai

avvenuta o è sempre stata. Cioè è un evento che si coglie nel gioco illusorio della percezione

soggettiva e perciò non incide sull’oggettività di Dio. Questa è la vera ragione per cui “creazione” o

“emanazione” non tocca la realtà di Dio.

Ora, la verità di questa affermazione, per chi non abbia possibilità di verifica, può essere…

confortata dalla convergenza di conclusioni derivanti da altre considerazioni. Per esempio, possiamo

pensare che Dio tragga dalla manifestazione un utile, nel senso che essa sia necessaria a Dio?

Invero, non essendo un evento oggettivo, nulla porta a Dio, né Dio muta in conseguenza

dell’apparente svolgersi dei mondi. Perciò siccome “creazione” o “emanazione” non tocca la Realtà di

Dio, ne consegue logicamente che non può esservi un perché della manifestazione a livello di Dio.

D’altra parte se è vero che il divenire dei mondi, non essendo un evento oggettivo, non tocca la

Realtà di Dio – nell’ambito di ciò che appare ma non è realmente – questo non vuol dire che il

divenire non abbia un fine; cioè che sia privo di significato per gli esseri che vivono, questo divenire.

V’è dunque una duplice valutazione della manifestazione. L’una sul piano soggettivo ed è che la vita

dei mondi da cui traggono esistenza gli esseri, conduce gli esseri a Dio. L’altra sul piano oggettivo ed

è che su questo piano la manifestazione non rivela, nulla porta né trae a Dio. Solo in questo senso

perciò possiamo accettare l’affermazione dei neoplatonici circa la “quiete perfetta di Dio”.

Sul piano assoluto, oggettivo, non esiste né creazione, né emanazione, né manifestazione, né

esseri, né mondi. Esiste solo Dio, ed è quindi assurdo cercare un perché della manifestazione sul

piano assoluto.

Guardate, gli esseri orientali che però hanno intuito molto della Realtà oggettiva, hanno

commesso l’errore di voler cercare un perché della manifestazione. Infatti non si deve credere che

l’irrazionalità sia patrimonio delle teologie occidentali. A parte il fatto che queste nulla dicono in

proposito, voi dovrete convenire con me che l’opinione degli orientali al riguardo è alquanto amena; o

sono alquanto amene perché ve ne sono più di una, tanto che forse meglio sarebbe stato il silenzio.

C’è infatti chi dice, per esempio, che la manifestazione null’altro sarebbe se non un “sogno di Dio”. E

qua mi rendo conto perfettamente che essendo voi consapevoli del fatto che i sogni non sono

volontari, solo per questo siete trattenuti dal bestemmiare. Altri dicono, non per spiegare un concetto

ma per dire che realmente è così, che la manifestazione è “un pensiero di Dio”. Forse più proprio

sarebbe dire “è un pensiero per l’uomo”, è vero, fratelli? Ma c’è di peggio: c’è chi afferma che tutto

avviene per divertire Dio e che noi altro non saremmo che dei burattini nelle mani di questo

107

bambinone che sarebbe Dio. C’è poi chi dice che Dio è ammalato di solitudine e che allora emana un

Cosmo dopo l’altro così come una dopo l’altra si mangiano le ciliege o le noccioline. Poi c’è chi dice

che Dio è “amore” e che quindi ha bisogno di crearsi degli oggetti da amare, precorrendo con questo

concetto l’uso, nella vostra epoca, di certe bambole di gomma. Insomma, anche tralasciando questo

comportamento così infantile di Dio, voi dovete convenire con me che la manifestazione non può

essere conseguenza di alcunché. Ed è chiara la ragione: la vita di Dio è eterna, cioè senza tempo;

non è uno scorrere, così non può esservi un momento in cui Dio crei o emani qualcosa, o in cui in Lui

si sia determinatala ragione che ha dato origine al Tutto. Se così fosse, vi sarebbe un preciso punto di

riferimento in Dio, che sarebbe giusto l’inizio della manifestazione. Allora vi sarebbe un Dio privo di

manifestazione ed un Dio completo di manifestazione; cioè la manifestazione sarebbe in realtà

oggettiva – cosa che non è – ma se anche lo fosse dovrebbe avere la stessa natura di Dio, per

esempio, essere atemporale, ossia non avere inizio né svolgimento né fine; cioè non avere variazione

nei confronti di Dio, proprio come sempre vi abbiamo detto.

L’unica cosa che c’è da dire – sottolineo: non che possiamo dire, ma che c’è da dire – è che tutto

è per la natura di Dio, cioè che Dio stesso, in Sé, è la causa del tutto, e come non c’è una ragione

all’esistenza di Dio, così se ammettiamo che la manifestazione non incida su Dio – e non può essere

diversamente altrimenti si tratterebbe di un Dio mutabile – ne consegue che non può esservi un

perché della manifestazione a livello di Dio. Così come quando durante la notte sparisce la luce del

sole ciò non dipende dal sole.

Sul piano assoluto non possiamo pensare a manifestazione, creazione, esseri, mondi. Esiste

solo Dio. E direi che Dio non crea né emana, né manifesta nel senso che gli uomini credono: mi

dispiace distruggere questa vostra immagine romantica di Dio. Sono stato alquanto titubante prima di

dirlo ma, che ci piaccia o no, questa è la Realtà.

Sul piano relativo, tutto quanto esiste – possiamo chiamarlo creato, emanato, manifestato, o

come volete – non esiste per un atto di volontà di Dio, che Dio non ha atti di volontà: esiste

unicamente in dipendenza della Natura di Dio. Sul piano assoluto – lo ripeto – non possiamo parlare

né di creazione, né di emanazione, né di manifestazione, né di esseri, né di mondi. Esiste solo Dio. E

non dobbiamo confondere ciò che gli uomini hanno intuito di Lui, e che hanno cercato di appellare in

qualche modo con Lui.

Egli non è il Dio di Abramo, né di Confucio; non è Brahama, non è il “Padre” del Cristo, né l’Allah

di Maometto. Non è né bene né male, non è amore contrapposto all’odio, non è giustizia, ma non è

parzialità; non è misericordia ma non condanna. Egli è al di là del gioco dei contrari, ma essendo la

“somma pienezza” è tutto ciò che vi manca: amore per chi non è amato, beatitudine per chi soffre,

tutto per chi nulla è. Egli è l’Uno che appare come molteplice, ma non è l’apparenza, perché “è ciò

che È”. È infinito perché l’unico, eterno perché immutabile, in realtà indivisibile perché in realtà è il

solo che esiste. Egli è completo perché è il Tutto che tutto comprende, ma non è il Tutto perché il

tutto trascende. Egli è assoluto “sentire” ed “essere”, nostra reale condizione di esistenza. Invoco lo

Spirito che è in voi, il solo capace di dare senso al mio misero balbettare…

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Kempis

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Veniamo a chiudere queste nostre comunicazioni. La prossima riunione sarà allora – come vi ho

detto – per alcuni amici che vengono da fuori e sarà fra tre settimane. Vi benedico, se non avete…

D. – Mi è stato detto di farti la domanda riguardo ai libri, al lavoro, riuniti in questi ultimi tempi, per

sapere l’ordine cronologico degli insegnamenti, e se possono sperare in un vostro intervento oppure

no.

R. – Se ce lo chiedete non possiamo rifiutarlo, figli. Certo, a suo tempo, faremo anche questo.

D. – Grazie infinite.

R. – Solo l’Altissimo sia ringraziato.

Vi benedico ed abbraccio tutti, o figli.

Dali

109

07 Febbraio 1976

Riunione per gli amici di altre città.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Eccoci qua riuniti questa sera, o figli, in una maniera un po’ inconsueta perché abbiamo ascoltato

il vostro invito di fare udire direttamente i nostri messaggi a voi che lo chiedevate.

Generalmente quando si assiste ad una cosiddetta “seduta spiritica”, si ha sempre la segreta

speranza che qualcosa di particolare venga a ciascuno, che siano soddisfatti interrogativi personali di

ognuno di voi, che sia possibile assistere a dei fenomeni inconsueti. Ma, come avete udito da quanto

è stato riletto questa sera, il vero scopo delle nostre riunioni è quello di far spostare la vostra

attenzione ad una concezione diversa della realtà nella quale vivete; una concezione che la fretta del

vostro tempo, i vari problemi personali che vi assillano, della famiglia, del lavoro e via e via, vi fa

trascurare, non prendere in considerazione. E noi, quando possiamo farci udire, invece, facciamo di

tutto per ricordarvi che tutto questo lavorare, tutto questo affannarsi è importante nella misura in cui

realizza migliori condizioni, diviene una forma di aiuto per gli altri. Non è invece importante – anzi, è

un inutile affannarsi – allorché il vostro agire sia un’azione che si rivolge nei confronti di voi stessi,

allorché questo affannarsi, questo correre, non sia in effetti che un cercare di imporvi, di apparire, di

“divenire” in prestigio, potere, grandezza, importanza e via e via. Ciò che noi vi diciamo, o figli, non

significa che dovete cospargervi il capo di cenere e fare quello che per tanti anni è stato fatto; no, ma

significa che voi dovete impostare diversamente il vostro concetto della vita. Se anche voi sentite il

desiderio di agire per espandere voi stessi, per ingrandire la vostra importanza, ebbene fatelo ma

siate consapevoli di ciò; sappiate che tutto quello che fate lo fate con questo fine; non celate la vera

vostra intenzione dietro scopi umanitari o, peggio ancora, dietro una insensibilità di coscienza, senza

chiedervi perché lo fate. Voi dovete seguire il vostro desiderio perché laddove è il desiderio è “voi

stessi”, ma quello che noi vi chiediamo è che non siate inconsapevoli di ciò che fate, della vera

intenzione che vi spinge ad agire. Domandate continuamente a voi stessi: «Perché faccio questo?».

Null’altro! Può sembrare molto poco ma vi assicuro che, invece, è tanto. Purché sia fatto con

costanza, ogni giorno. Ogni giorno prendetevi l’impegno di chiedervi qual’è la spinta che vi ha mosso

durante la giornata; vedetela in tutta la sua crudezza, senza infingimenti, con sincerità, senza

rimanere male se, a questo esame, apparite a voi stessi peggiori di quanto vorreste essere. Non ha

alcuna importanza. Ciò che ciascuno è veramente, tale rimane qualunque cosa possa dire di se

stesso o gli altri possano dire di lui. Quindi abituatevi ad essere sinceri con voi stessi, guardare con

sincerità l’intimo vostro e scoprire la vostra realtà.

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Non ho altro da consigliarvi per il momento perché tante sarebbero le cose da dire a ciascuno di

voi sempre con questa intenzione. Ma spero che ciascuno sia riuscito ad avere risposta al suo

problema da queste parole; rileggendole, riascoltandole, forse potrà penetrarle meglio, potrà capire il

vero senso di esse. Io vi assicuro che esse sono grandemente utili per il vero scopo della vostra

esistenza che è quello di procedere verso un allargamento dei confini di voi stessi.

Avete qualche domanda voi, figli?

Bene, allora vi lascio momentaneamente raccomandandovi di stare concentrati.

Dali

Manifestazione della Guida Fisica con due apporti.

La Guida Fisica ha iniziato la realizzazione di un apporto, autorizzando un partecipante a

fotografare la prima fase quando l’oggetto era abbozzato, e poi la fase in cui l’oggetto risultava

completo. L’oggetto è di metallo e raffigura una specie di piccolo paniere. Sono stati apportati anche

due ramoscelli di “crataegus”.

Io sono fra voi, sono a raccogliere i vostri pensieri e le vostre preoccupazioni, a darvi una parola

di speranza. Pensate a giorni felici, ai vostri cari, ai vostri problemi come li inserite nella vita; pensate

a quell’angoscia che talvolta vi serra la gola… Pensate che tutto questo è un’ombra, qualcosa che

finisce assai rapidamente. Chiamatemi: io sarò vicino a voi, cercherò di aiutarvi quando temete per il

futuro, per la vostra sicurezza, per i vostri cari, i vostri figli, i vostri compagni. Per coloro che

attendete, per tutti quelli che sono vicini a voi, io cercherò, con le mie poche forze, di aiutarvi, di

condurre i vostri pensieri nella serenità, nell’equilibrio, nella tranquillità.

Oh figli e fratelli miei, quanto vorrei trasfondere in voi la certezza che tutto questo presto finisce...

e un pensiero che è così rapido a volgere, così difficile a vivere… ma così breve!

Cari, cari figli miei e miei fratelli, quanto vi amo!

Abbiate forza, abbiate coraggio!

Teresa

Salve a voi.

Generalmente quando l’uomo pensa all’aldilà, si immagina che se v’è la possibilità di comunicare

con questo misterioso spicchio dell’esistente, chi parla certamente dirà cose che ormai sono

improntate alla morale conosciuta dalla religione o dalle religioni. Io vorrei, invece, questa sera fare

un’azione di rottura nei vostri confronti, dire qualcosa che rientri in un tema attuale, se me lo

consentite.

Ebbene, potremmo appunto cominciare dalle religioni, dal problema religioso, per dire che

indubbiamente ogni uomo si domanda almeno una volta nella sua esistenza, lo scopo della sua vita

terrena. Una risposta a questa domanda può venirgli solo dalle teologie religiose, cioè rientra nel

novero delle cose credibili unicamente per fede, e perciò ciascuno può scegliere la risposta che più gli

aggrada avendo questa, sul piano oggettivo, i valori di una semplice opinione, né più né meno. Ora il

111

fatto che una opinione possa essere più o meno fondata, voi dovrete convenire con me che non toglie

valore all’opinione, almeno dal punto di vista soggettivo. Tant’è vero che molti hanno affrontato la

morte, oppure indirizzato in un certo senso la loro esistenza, unicamente in dipendenza delle loro

opinioni. Invece sul piano oggettivo, il valore di ogni opinione, anche di quelle che sembrano ben

basate e discendenti da principi universali, è sempre aleatorio; questo perché le regole da cui

traggono ispirazione sono sempre relative. Lo abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo questa sera

per voi, che non ci seguite abitualmente.

Vogliamo fare un esempio? Bene! Cerchiamo qualcosa che sia contro un principio

apparentemente bene identificabile e vediamo se tutte le volte che il principio è leso, il giudizio di

condanna si mantiene costante. Potremmo intitolare questo nostro studio: “degli atti contro natura”,

titolo meraviglioso che farebbe felice un moralista; pensate che piatto succulento per lui: azioni

condannate e dalla religione e dalla morale; peccati per i quali l’unico destino del peccatore è il fuoco

eterno! Non c’è dubbio. Dio ha dato i Suoi Comandamenti – si dice – ha fatto conoscere la Sua legge

e ove questa tace, c’è sempre un modello di comportamento a cui rifarsi: la natura che vive costretta

nelle leggi del suo creatore. Tutto ciò che non segue certe regole naturali, anche se null’altro vi fosse

a condannarlo, solo per quello sarebbe condannabile.

«Mamma – chiede Pierino – quali sono le cose contro natura?». Che rispondere a una domanda

così imbarazzante e per di più fatta da una innocente? – pensa la madre – e cerca di salvarsi con il

vecchio sistema di eludere la domanda: «Sono quelle che non si addicono alla tua natura…». «E qual

è la mia natura?», replica Pierino. «Tu sei un maschietto e male sarebbe – sarebbe contro natura –

che ti comportassi come una femminuccia. Vedi gli animali? Ognuno fa la parte che Dio gli ha dato: il

leone fa il leone, la pecora fa la pecora e così via». Dolce e ingenua mammina! Se tuo figlio fosse un

po’ più smaliziato obbietterebbe che se allora è naturale assecondare le proprie inclinazioni

congenite, derivanti dalle caratteristiche morfologiche del tipo somatico al quale si appartiene, allora

male fa l’iroso a controllarsi ed, al limite, il ladro a non rubare. Pierino può accontentarsi di questa

risposta, ma noi no. Infatti fra le caratteristiche somatiche e le inclinazioni congenite, spesso v’è una

netta opposizione. Allora qual è la natura dell’uomo? Quella del suo fisico o quella del suo intimo?

Logicamente si può rispondere che per quanto attiene alla sfera d’azione del corpo fisico, la natura è

quella del corpo. Benissimo, non fa una grinza. Ma allora è contro natura che l’uomo voli, vada negli

spazi, cucini i cibi, si vesta, si trucchi, semini, mieta, raccolga in granai; tutta la vita dell’uomo,

dell’intelligenza e del progresso allora è contro natura. – Come dite? Che la cosa va intesa per la sola

sessualità? La regola vale solo per il sesso. – Capisco. Infatti vedo che in questo campo l’uomo

segue scrupolosamente la natura, ritenendo contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti

al fine della procreazione. – Come dite? Che non è così in effetti; la regola può essere disattesa pur

restando norma naturale, norma generale. – Capisco. In altre parole allora, il comportamento, pur non

essendo identico a quello della vita dei regni naturali, rientra tuttavia nella norma della generalità degli

uomini. Ma allora la norma non ha a che vedere con la natura, è qualcosa che tiene conto

dell’opinione della generalità degli uomini, come le imposizioni tributarie e quelle militari. – Come

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dite? Lì c’entra la ragion di Stato. – Ah, capisco. Ma allora che cos’è la norma? Bello sarebbe

rispondere: «Un’opera lirica del musicista Vincenzo Bellini», e con una battuta più o meno spiritosa

cavarsi d’impaccio. Ma qua stiamo parlando di cose serie e, soprattutto, precise; perché infatti se

affrettatamente si definisce “norma” o “regola” ciò che rientra nel comportamento generale, nello

standard generale di una società, allora – per esempio – fra la genialità e la prostituzione, è molto più

singolare e perciò molto più condannabile il genio della prostituta. Ma in effetti, all’atto pratico, non è

così. Allora, qual è la vostra norma? Perché la logica mi dice infatti che se la norma è quella della

natura, allora, per esempio, è contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti al fine della

procreazione, metodo Ogino incluso, che non fa salva l’intenzione. E chiunque non segue

scrupolosamente questa regola, non abbia voce per condannare ogni altro che la violi.

Scommetto che non tutti siete d’accordo con me, è inevitabile. Seguite la norma che crea le

norme. È insito nella natura egoistica di ogni uomo stigmatizzare gli altri per innalzare se stessi;

naturalmente il giudizio di condanna deve trovare riferimento in qualcosa, nel comportamento degli

altri, che sia condannabile da un qualunque punto di vista. Perciò si passa in rassegna la loro vita, la

si confronta con la propria e, dal confronto, si pongono in evidenza quelle azioni che – così a freddo e

ben lontani dalla contingenza – si crede non facciano parte della propria natura, dimenticando che

l’occasione fa l’uomo ladro. Ne consegue che certe azioni che rimangono singole rispetto al

comportamento generale, vengono bollate col marchio dell’infamia e così la regola è creata. Sicché la

regola non individua certi valori assoluti, non ha un valore in sé, ma è tale in quanto rispecchia il

comportamento generale degli individui di una società: una questione statistica insomma, ed il

giudizio di condanna che subisce chi la viola non deriva dal bisogno del giudice di erigersi a tutore di

supposti valori morali, ma unicamente dall’istinto di ognuno di trovare nel comportamento degli altri

qualcosa di condannabile da un qualunque punto di vista, perché mostrando il fango che si è gettato

sugli altri si crede di nascondere il proprio. Abbassando gli altri si è convinti di innalzare se stessi. La

conclusione di questo discorso, e cioè la relatività delle norme morali di una società, è fin troppo

scontata.

Ma che cosa succede quando queste norme sono credute Comandamenti dettati da Dio? E qua

ci riallacciamo ancora una volta al discorso religioso che abbiamo avviato all’inizio; anche senza

entrare nel merito della “dettatura”, è chiaro che il valore rimane egualmente relativo. Se infatti ancora

una volta – e questa volta per nostra comodità – ci rifacciamo alla natura, osserviamo come ogni

specie abbia le sue regole di vita, che sono quelle e vanno bene per quella specie e non per un’altra.

In modo analogo dunque, i Comandamenti di Mosè, per esempio, non possono contenere tutta la

moralità o la più alta moralità; è evidente che si tratta di principi quanto meno riferibili ad un dato tipo

di società, ad una fase della evoluzione degli esseri. Infatti per la fase della evoluzione che voi dovete

compiere, il “non uccidere” di Mosè è l’inizio di un discorso che si concluderà col superare la visione

egoistica della vostra esistenza. Quanta strada, eh fratelli?

Allora sorge una domanda: nell’ambito di questo discorso, c’è una regola che sia valida in senso

assoluto per ogni uomo, dal selvaggio al Santo che sta per lasciare la ruota delle incarnazioni

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umane? Evidentemente no, perché ciò che è “ideale morale” del Santo, applicato al selvaggio ne

paralizzerebbe ogni moto vitale. Non solo, c’è dell’altro. Guardate: nelle società umane una legge è

un insieme di principi generali ed astratti che dovrebbero vigere per ogni uomo che si trovi nell’ambito

territoriale di quella società. Chi è preposto alla promulgazione delle leggi, cura che queste divengano

di pubblica conoscenza. Una volta, quando gli uomini non sapevano leggere e scrivere, v’erano le…

“grida”, cioè gli “editti” gridati dai banditori e in quel modo portati a conoscenza dei sudditi. Oggi,

invece, le vostre leggi sono pubblicate nell’intesa che ogni cittadino sappia leggere. E fino a che non

è assolta la formalità della pubblicazione, la legge non entra in vigore. Questo, ripeto, nel difettoso e

lacunoso mondo umano.

Ora, se lo scopo della vita dell’uomo fosse quello di fare la volontà di Dio, cioè di seguire le Sue

leggi, come si dice, queste dovrebbero essere eguali per ogni uomo; non solo, ma dovrebbero essere

conosciute da tutti gli uomini, cosa che non è in assoluto. Gli indios – o amerindi – per esempio, non

conoscono i Comandamenti di Mosè, né è vero che abbiano delle regole morali innate che li

sostituiscano; sicché quelle che dovrebbero essere leggi divine, non hanno quel carattere di

universalità che dovrebbero avere, primo perché non sono eguali per tutti gli uomini, secondo perché

non tutti gli uomini le conoscono o, quanto meno, hanno l’occasione di conoscerle e ciò esclude che

lo scopo della vita dell’uomo sia quello di seguire e di osservare le leggi di Dio.

Noi diciamo che lo scopo della vita dell’uomo è quello di superare l’egoismo che in lui nasce dal

senso di separatività. Questo scopo è raggiunto attraverso a molteplici incarnazioni, durante le quali

l’uomo, passo su passo, volge verso quella meta. Ma per raggiungerla ha valore tanto il “non

uccidere” di Mosè quanto la dottrina di Marx.

Nelle varie fasi della evoluzione umana, l’ideale morale che l’uomo deve raggiungere e fare

propria natura acquisita, potrà essere il “non uccidere” e poi il “non fare agli altri quello che non si

vorrebbe fosse fatto a sé”, e poi il “fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a sé”, ed infine

“l’amare gli altri come se stessi”. Ne consegue che il giudizio che si può dare, si può fare di un uomo

– ammesso che sia lecito giudicare – deve essere rapportato alla sua fase di sviluppo.

Il problema non si esaurisce qui. Rimane infatti la questione della “conoscenza”. Chi trasgredisce,

inconsapevole, la norma morale che deve fare propria natura acquisita, è colpevole? In altre parole,

per evolvere è necessario conoscere la meta che si deve raggiungere? A questa domanda risponderò

in un’altra occasione, sempre che vi sia qualcuno che fra tanti bei discorsi ed interessanti dei viventi,

preferisca venire ad ascoltare le parole di un trapassato. Ma credo di sì, perché in fondo siete degli

idealisti che vivono fuori del tempo e della concretezza. Nel vostro oggi, nel vostro mondo dove tutto

è politicizzato, non c’è spazio per voi: a chi vi appoggiate? La destra non ha peso, non è ascoltata; il

centro ha una sua religione da difendere, la sinistra è ufficialmente atea. Come pensate di essere

ascoltati? È una prospettiva alquanto sconfortante, dovete ammetterlo. Mi si obbietterà che la scienza

e la concezione del vivere di oggi, tutto insomma conduce l’uomo… (sì, accompagnate questo figlio;

non preoccupatevi, non è niente!)… alla massima concretezza, razionalità e tradizionalità, eppure mai

come oggi l’uomo si è sentito attratto dal misterioso e dall’irrazionale. È vero, dovete convenirne con

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me. L’interesse generale impedisce all’intelligenza dei tempi di porre una bella pietra tombale su

quella che è la più deleteria di tutte le pazzie che abbiano afflitto l’umanità: l’occultismo. Ma voi che

cosa avete da dare agli uomini, cari fratelli? Predire la loro buona ventura, scioglierli dalla loro mala

sorte, uccidere i loro nemici? Perché questo, per l’uomo, è l’occultismo. Vi guardo, fratelli, ed in voi

vedo altri uomini, fuori da qui, preda dei sottili inganni della mente, far soffrire. Altri che soffrono, altri

ancora – pochi invero – che hanno superato il dolore abbandonando la ricerca del piacere. Parlo a

quelli e dico: voi che vi siete liberati dai ceppi a cui il terrore della dannazione eterna e della sanzione

temporale avvince, voi che credete che tutto sia lecito al più forte e perciò cercate di accapparrare

quanto potere più vi è possibile, ascoltatemi. Parlo seguendo la vostra logica che è quella di valutare

ciò che dovete fare per vedere se vi conviene; soffocando le giuste istanze di chi è uomo come voi e

perciò ha gli stessi vostri diritti, uccidendo chi contrasta i vostri interessi, avversando chi segue

l’inevitabile ed irrefrenabile moto di rinnovamento del mondo, che cosa credete di comperare? La

vostra immortalità? Bene che vi vada, riuscirete a mantenere i vostri privilegi per la durata della vostra

vita, che nessuno sa, comunque sia, quanto breve sarà e che certo voi non avete il potere di

prolungare. Voi non credete alla sopravvivenza dell’essere alla morte del corpo: io vi credo. Ma se per

caso avessi ragione io, non vi chiedo che sarà di voi fra poco, dopo la vostra morte, ma vi invito a

riflettere a quante lacrime dovrete versare prima di imparare a non fare ciò che fate.

E parlo anche a quelli che si scandalizzano nel vedere prevalere la corruzione sulla rettitudine, il

vizio sulla virtù, la facile menzogna sulla scomoda verità. Voi che vedete trionfare chi fa tutto quanto

sapete non doversi fare, ascoltatemi: se è il timore che vi impedisce di imitare chi dite vi scandalizza,

allora non temete, agite pure, date libero sfogo ai vostri desideri di conquista; finalmente imparerete il

valore di ciò che sapete. Certo conoscerete lotte, affanni, amarezze; oh, farete soffrire e crepare di

invidia chi invidia come voi, ma sarete temuti e riveriti. Vi potrete permettere un bel funerale di lusso e

forse anche un monumento alla memoria. Vi pare poco?

Se invece siete convinti della validità delle vostre opinioni, allora di che v’impicciate? Vivete

secondo ciò che “sentite” e tanto vi basti. Siete ricchi di ciò che gli altri sono poveri e che non

possono comprare.

A chi non è riuscito a realizzare le proprie aspirazioni di ricchezza, i propri desideri di potenza,

dico: non questi l’uomo vive per realizzare ma se stesso, e la vera realizzazione è silenziosa ed

invisibile.

Infine a voi che sopportate il peso della vostra esistenza modesta, nell’ombra e nell’altrui

indifferenza, che fate il vostro dovere anche quando nessuno ve lo impone, che siete paghi di ciò che

avete comprendendo che una sola cosa è necessaria; che siete gli ultimi fra gli uomini non perché

siete timorosi o incapaci, ma perché avete compreso che nessuna ricchezza, nessuna notorietà,

nessun potere valgono ciò che sta al di là di essi, dico: un sottile velo separa la vostra

consapevolezza dalla mia realtà. Caduto quello, queste mie parole di speranza saranno la vostra

vivida certezza, e ciò è più di ogni ricompensa.

Pace a voi.

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Kempis

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Chiudiamo questo incontro sperando che rimanga scolpito nella vostra memoria e che vi sia di

aiuto nei problemi di tutti i giorni. Vi abbracciamo e benediciamo singolarmente. Vi assicuro che

conosco tutti i vostri problemi e che, per quanto ci è concesso, vi aiuteremo a risolverli.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

D. – Quando ci riuniamo Dali?

R. – Fra quattro settimane, con il Fratello Claudio. Cercate di non essere molto numerosi e di

prepararvi delle domande.

Pace a voi.

Dali

116

06 Marzo 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Un caro saluto a tutti voi, o figli, che siete qua riuniti questa sera e a tutti coloro che, pur non

essendo presenti, ci pensano.

Io debbo ringraziare il figlio Alfredo perché si è posto a nostra disposizione. La risposta alla sua

domanda, più che dalle parole, può venire dai fatti; ma a questo proposito posso dire che già all’inizio

di questo ciclo di insegnamento abbiamo a priori dato ogni risposta che riguardasse lo scopo della

nostra presenza fra voi. Quella quindi che vi demmo allora, o figli, è una risposta che è sempre valida

e che può soddisfare l’interrogativo su ciò che voi volete e potete fare.

Nell’esplicare certi fenomeni che qua avvengono, noi siamo soggetti ad una legge che non

possiamo non osservare; essa fa parte del piano con cui sono disposte queste cose. Tutto deve

avere uno svolgimento graduale. Ad ogni piccolo passo che noi possiamo fare, deve corrispondere

un’accettazione pacifica da parte degli uomini, non traumatica, ed è quindi nell’osservanza di questo

principio che noi dobbiamo e possiamo agire. Spero di essere stato sufficientemente chiaro.

Ma mi pare opportuna un’altra precisazione, o figli. Voi avrete osservato che le nostre

conversazioni vertono su diversi temi, trattati da differenti punti di vista, proprio perché ci rendiamo

conto della difficoltà che voi incontrate nell’afferrare certi concetti che esulano dalle umane

convinzioni e perciò cerchiamo di riproporveli da diversi punti di vista e con parole differenti.

Appagando la vostra curiosità iniziale circa la condizione d’esistenza in cui ci troviamo noi che

abbiamo abbandonato la Terra, abbiamo cercato di prospettare alla vostra attenzione una visione

generale di ciò che “è” in modo che poteste trarre convinzione che nell’esistente non c’è irrazionalità

alcuna, che tutto quanto ha uno scopo ed una ragione ben precisa. Se e quanto siamo riusciti in

questo intento, voi soli potete affermarlo. A illustrare ed ampliare questa visione generale di ciò che

“è” non costituisce il solo scopo delle nostre comunicazioni, anzi direi è solo un punto d’attracco per

giungere all’altro fine del nostro dire, che è quello di indurvi a porre attenzione al mondo vostro

interiore. Non c’è dubbio che la natura abbia la capacità di farvi evolvere; come vi ha condotto fino a

questo punto senza la vostra volontà, potrebbe condurvi oltre. Ma ciascun individuo ha, proprio dalla

natura, un sussidio al suo evolvere; la possibilità di capire senza esperire direttamente.

Noi vi parliamo della Realtà che sfugge alla vostra percezione proprio per mostrarvi la verità e la

validità dell’altro discorso che vi facciamo. In altre parole cerchiamo di indurvi a servirvi di quel

sussidio che la natura mette a vostra disposizione, così che possiate esperie in modo più proficuo,

senz’altro più razionale, tanto da rimuovere le cause della vostra sofferenza, dell’intolleranza,

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dell’incomprensione e via dicendo.

Nella vita umana non si tratta di conoscere cose ignote come un fatto culturale, figli cari, ma si

tratta di superare la concezione dell’esistenza poggiante sul senso di separatività; trovare un’altra

coscienza di sé che esuli da una visione egoistica, e perciò mi sembra più proprio dire “una nuova

coscienza”, un nuovo “sentire”. Nessuno può trasfondere in voi questo “sentire”. Ecco perché vi

diciamo che non vi portiamo la verità, ma che vi diamo solo delle indicazioni; la verità è una conquista

personale. Se dunque noi non possiamo fare per voi ciò che voi soli potete e dovete fare, non

manchiamo tuttavia di richiamare la vostra attenzione al vostro mondo interiore, proprio attraverso

alle parole di Claudio. Anzi, direi che tutto quanto noi diciamo ha lo scopo di aiutarvi a costituire la

vostra coscienza individuale, anche se ci rendiamo conto che possiamo agire solo indirettamente. Voi

forse vi chiedete perché continuiamo a parlarvi della realtà che sta attorno a voi, se siamo convinti di

ciò che diciamo. Ebbene, lo facciamo perché ci rendiamo conto che non possiamo ripeterci fino alla

noia. Quando Claudio ha, sinteticamente ma sufficientemente, indicato che tipo di analisi voi dovete

fare, ha già detto tutto quanto si può dire su questo argomento; il resto – e certamente è la parte più

importante – voi soli la potete fare, voi soli nel segreto della vostra intimità potete svelare il vostro

mondo interiore, comprendere la vostra natura segreta. La psicologia, la psico-analisi riescono solo a

graffiare la vernice che nasconde l’intimo di ogni uomo, o figli. Con ciò non nego la validità di queste

materie, ma affermo che l’analisi che ciascuno di voi può fare su se stesso va molto al di là di quello

che gli altri possono fare per voi. Consapevoli di tutto questo, continuiamo a parlarvi del mondo che

sta attorno a voi, confidando che ciò serva a indurvi ad analizzare voi stessi, a scoprire quel ben più

vasto mondo che è nell’intimo vostro. Tale è la nostra costante premura, o figli.

Vi lascio momentaneamente.

Dali

Figli, Claudio vi saluta.

L’uomo di oggi prende coscienza dello sfruttamento a cui è sottoposto da varie parti, non parlo

solo del lavoro: la moglie, i figli, facendo leva sull’affetto famigliare, esigono da lui più di quanto sia

ragionevole. Il prete, paventando catastrofi in questo e nell’altro mondo, esige un voto politico che

assicuri un regime favorevole alla religione e così via. La reazione della presa di coscienza di fronte a

tutto questo, e dai privilegi goduti da pochi, rafforza l’egoismo di ognuno. Si dice allora: «Io non voglio

più essere sfruttato, io voglio godere i privilegi che gli altri godono». Così le parti si invertono, gli

sfruttati diventano sfruttatori; la confusione e la licenza aumentano lo scontento di ognuno. Se

l’operaio non ha la sua giusta paga, è suo sacrosanto diritto lottare per averla, ma il suo dovere è

quello di amare e difendere il suo lavoro. D’altra parte non è ammissibile che le posizioni vantaggiose

di pochi mortifichino la collettività, che per il guadagno di certi venga danneggiata l’economia

generale. Ogni uomo, per quanti beni possegga, per quanta abilità e capacità abbia, non è che un

uomo, cioè un operaio degno del suo salario e nulla di più. La società futura, se vorrà sopravvivere,

non potrà fondarsi sul profitto e sull’egoismo, in ultima analisi. È perciò necessario inserire

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l’individualismo nel collettivismo, nel senso di rettamente assolvere i propri compiti, ma lavorare per la

collettività e non per il profitto personale. Solo da una fusione dell’individualismo con il collettivismo

potrà nascere una società nuova, fondata e costituita da individui nuovi.

È chiaro che ognuno si attende che questo cambiamento venga imposto dall’alto, da chi governa,

dai pubblici poteri, essendo ognuno convinto di non avere ruolo alcuno nella cosa pubblica. Noi

affermiamo che ciascuno ha la sua responsabilità, ognuno contribuisce a creare l’ambiente nel quale

vive, non foss’altro con le tacite acquiescenze. Ciò che noi diciamo è esattamente l’opposto di quello

che si crede comunemente; nessuno è responsabile della vostra inettitudine. Se la società è ingiusta

è perché voi non siete sensibilizzati al problema della giustizia e, a vostra volta siete ingiusti. Come

potete pensare di sensibilizzare gli altri di ciò che voi dovreste fare e non fate? Quando osservate il

triste spettacolo della corruzione e del facile arricchimento, voi rimpiangete di non essere nel giro, di

non avere l’occasione di arricchire facilmente a vostra volta; così allo stesso modo, condannate il

privilegio perché voi non siete privilegiati. Se non viene superata individualmente una concezione

egoistica della vita, nessun problema che affligge l’umanità potrà essere durevolmente risolto.

Che cosa dovete fare, dunque? Per prima cosa convincervi che la felicità non sta nell’accumulare

ricchezze o qualità o amicizie; liberarvi dal desiderio di sfruttare gli altri ed essere convinti che la sola

ricchezza è quella che giace nelle profondità del proprio essere: ogni individuo è ricco solo di se

stesso. È sfruttare gli altri anche volerli convincere alle proprie idee per avere dei seguaci. Capisco la

vostra facile obiezione, ma noi non vi parliamo per avere dei seguaci; noi pensiamo che possiate

trarre un aiuto dalle nostre parole, ma se voi non credete e non seguite ciò che noi diciamo, non

soffriamo. È chiaro che alla base dell’esistenza di ognuno c’è l’egoismo e che l’egoismo non può

essere sradicato ipso fatto; così quello che vi chiediamo all’inizio è un comportamento più giusto nei

confronti dei vostri simili, un’esistenza in cui le necessità siano ridotte all’essenziale, ben sapendo che

questo non vi cambia, che questo ha valore solo nel confronto degli altri e della società in cui vivete,

ma che vi lascia inalterati nell’intimo vostro. Tuttavia è necessario acciocché la libertà dei singoli non

divenga licenza, l’egoismo individuale non si trasformi in crudeltà, prepotenza e tirannia. Ma voi

dovete fare di più, o figli. Dovete superare l’io egoistico e personale che impronta ogni vostra azione,

ogni vostro desiderio, ogni vostro pensiero. Ciò è possibile solo se si è convinti della necessità di un

simile cambiamento; il discorso che noi facciamo ha valore per chi sa che la causa della confusione,

di tutto ciò che non procede rettamente, non sta al di fuori di sé, ma sta nell’intimo di ognuno. Le

nostre parole invece non servono a chi rinuncia alla società perché si pone nella posizione della volpe

della favola di Esopo che rinuncia all’uva solo perché non vi può arrivare. Ma come è possibile

superare l’io egoistico ed umano? Per secoli gli uomini, quando hanno pensato a questo problema

sollecitati dalle grandi spiritualità, hanno creduto sufficiente comportarsi come degli altruisti per

cancellare il proprio egoismo, e non hanno pensato invece che cambiando l’atteggiamento esteriore,

la natura interiore rimane immutata. È perfettamente inutile che l’ambizioso si cosparga il capo di

cenere se non ha mutato la sua natura interiore: lo farà indubbiamente per meritarsi un posto

preminente in una supposta vita spirituale. L’unico modo per superare i propri limiti è quello di

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rendersi consapevoli di essi.

Vedete, lo scopo della vita dell’uomo potete chiamarlo come volete, ma – in sostanza – significa

una cosa sola: superare una visione egoistica dell’esistenza. Nessun “sentire” di coscienza può

essere raggiunto se non viene superato l’egoismo. Questo, in poche parole, lo scopo della vita

dell’uomo. Allora, per raggiungere questo scopo, è necessario rendersi consapevoli dei limiti che

stanno alla base di una concezione egoistica della propria esistenza: eseguire una sorta di auto-

psico-analisi. Ciò può sembrare molto complesso perché, scoprendovi egoisti, voi pensate di

cambiare la vostra natura cambiando un atteggiamento esteriore, tutto dando, distruggendo la vostra

esistenza che fino ad allora avete costruito fondandola su quella visione della vita. Ma non è così,

niente di tutto questo. Ed ecco dove la cosa, da complessa, si fa semplice perché richiede solo, e

null’altro di più, che un po’ di costanza. Voi dovete esaminare i vostri stati d’animo e quindi i vostri

comportamenti; dovete ricercare la ragione dei vostri timori, della vostra incomprensione, dei vostri

pensieri. Voi dovete fare, per le vostre azioni e per i vostri desideri, quello che fate nei confronti degli

altri. Io vedo con quanta solerzia voi cercate di indovinare le intenzioni altrui nei vostri confronti,

specialmente. «Perché mi avrà fatto questa domanda? Per quale motivo avrà evitato di incontrarsi

con me?». Dunque quello che c’è da fare voi lo sapete fare. Si tratta solo di spostare la vostra

attenzione dagli altri a voi stessi, mantenendo nell’analisi un contegno distaccato e sincero. Alcuni

sogliono giocare delle partite a scacchi da soli, ponendosi ora da una parte ed ora dall’altra della

scacchiera. Così voi, nell’analisi di voi stessi, dovete svolgere questo doppio ruolo dell’osservatore e

della persona osservata, dimenticando – nell’osservare – che gli osservati siete voi stessi. Ma la fase

più delicata dell’analisi, oltre il rendersi consapevoli, è di non cadere nella tentazione di comportarsi in

modo opposto a come si scopre di essere. Vediamo di fare un esempio: supponiamo che analizzando

voi stessi scopriate di essere degli arrivisti che non esitano a mettere in cattiva luce i propri colleghi

pur di valorizzare se stessi. Da un certo punto di vista l’arrivismo non è un difetto, è un pregio perché

rende attivo l’individuo e così lo rende creativo. Ma ciò che io affermo è che l’arrivismo è un portato

dell’egoismo e l’egoismo limita l’individuo, lo fa schiavo e lo rende crudele. Se voi siete convinti e

soddisfatti della vostra esistenza, se credete che la causa di ogni confusione risieda fuori di voi, allora

l’arrivismo non è un difetto, è un pregio. Ma se fate parte del novero degli uomini che, pur potendo

soddisfare ogni loro desiderio, si sentono inappagati, allora l’arrivismo è un difetto che deve essere

troncato alla radice, e si giunge alla radice non comportandosi come dei non arrivisti, ma ponendosi

fuori di quella concezione che vi conduce ad essere degli arrivisti, convincendovi - come prima ho

detto – che la felicità non sta nell’accumulare cose che si crede possano arricchire il proprio io.

Forse queste parole ricordano una concezione religiosa della vita; non fate l’errore di considerare

l’uomo diviso in due parti: una spirituale ed una materiale e credere che quando la materiale gioisca

la spirituale soffra e viceversa. Quando l’uomo soffre è perché non ha compreso qualcosa, e se allora

il suo Spirito potesse, soffrirebbe.

Io ho cercato di riassumere in modo sintetico qual è l’analisi che voi dovete fare di voi stessi; non

so se sono riuscito, in poche parole, a rendervi più chiaro quello che già sapevate; ma è verso coloro

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che qua seguono da poco che io mi rivolgo. Avete forse qualche domanda?

D. – Scusa, non ho capito bene che cosa significa “non comportatevi nella maniera opposta a quella

che…”.

R. – Come ho detto, l’insegnamento morale che l’uomo ha conosciuto, o per lo meno l’interpretazione

dell’uomo, data dall’uomo alle parole dei Maestri, è stata sempre del tutto esteriore. Si è sempre

mirato ad avere un modo di agire. Se l’uomo pensa ai cosiddetti Maestri, pensa che questi siano

altruisti, che si comportino in un certo modo; ed allora crede che l’evoluzione di quei Maestri sia

raggiungibile comportandosi in quella maniera. E non comprende invece che la cosiddetta evoluzione

è un fatto di “sentire” interiore, che non ha alcuna importanza – nei confronti di questo “sentire”

interiore ed individuale – il mutare di un atteggiamento esteriore. Ecco quindi come voi, ben sapendo

come ogni uomo che nell’intimo di voi stessi esiste l’egoismo – la natura che fa vedere l’esistenza

propria in funzione della separatività da tutto il resto crea questo io e questo non-io – pensate di

superare questa visione cambiando il vostro modo di comportarvi. Non è così, lo ripeto, figli. Voi

dovete rendervi conto di ciò che si agita nell’intimo vostro: voi dovete superare una concezione della

vita fondata sulla separatività.

Che cos’è, in sostanza, una cura psicoanalitica? Riportare nella sfera della consapevolezza

dell’individuo quegli istinti che – per il fatto – d’essere condannati dalla morale e dalla società – sono

stati dall’individuo sepolti negli strati profondi del suo io e, riportandoli alla sua consapevolezza,

farglieli superare. Quello che io vi propongo è un analogo processo. Voi dovete rendervi consapevoli

di ciò che sta dentro di voi, dei vostri limiti che sono alla base della concezione egoistica

dell’esistenza. Al di là della tentazione di comportarvi in modo opposto a come scoprite di essere; al

di là del bisogno, direi quasi, di condannare voi stessi: semplicemente rendendovi consapevoli;

perché è questa consapevolezza che, per un processo naturale, vi affrancherà da quei limiti che sono

alla base di ogni concezione egoistica, troncando così alla radice la causa di ogni dolore, di ogni

incomprensione.

Pace a voi.

Claudio

Creature, io vengo qui fra voi brevemente per portarvi la mia benedizione e il mio saluto. Voi non

vedete e non potete percepire quale profonda catena di energie si libera da questo vostro

atteggiamento di attesa e di preghiera. Fra tante creature che nel vivere di oggi pensano unicamente

a se stesse, alla loro vita in modo possessivo, fate che da qua e da voi si diparta un’energia che

induca gli altri a seguire questo pensiero e questo “sentire”.

Vi benedico, creature che qua siete riunite, e porto con me i vostri pensieri.

Teresa

121

Voi mi conoscete come Fratello Massone. Nel linguaggio comune un nome serve a designare

qualcuno o qualcosa; non ha quel significato occulto che sogliono attribuire i cabalisti. L’appellativo

con cui voi mi conoscete non è né un nome né sostanzia quello che io fui. Allorché professai le verità

alle quali ero stato iniziato, la Massoneria non era ancora nata ufficialmente; era un’associazione

libera e segreta nel vero senso. Ogni fratello lavorava alla costruzione del Tempio, tutto dando, senza

nulla ricevere. O meglio, ricevendo offese, dileggio, persecuzione e non di rado la morte. Questo fu il

mio destino: ricevetti in gola una buona dose di piombo fuso per avere professato delle idee che,

allora, erano considerate delle eresie.

Poco dopo il 1700 la Massoneria nacque ufficialmente e seguì la sorte di tutte le organizzazioni;

lentamente, nel tempo, si spense il primitivo ardore. I “distinguo” divennero fazioni e poi riti diversi. La

lotta fra le Logge ripete la degradazione dei Padri Kadòs9. L’ammissione al comando e al potere

avvelena ogni istituzione ed ogni organizzazione, come i vostri occhi fin troppo possono vedere. Che

cosa accadrebbe di un corpo se tutte le sue membra lottassero fra se stesse? Il caos, la morte, cioè

l’abbandono dello Spirito. Oh fratelli Massoni, che cosa è oggi la Massoneria? Un’associazione che

non trae più la sua forza dalle sole idee che professa, ma la trae dalla disponibilità e dalla potenza dei

suoi membri, molti dei quali sono Massoni solo quando si tratta di ricevere e non lo sono più quando

si tratta di dare e di fare.

Oh fratelli Massoni, voi giuraste di mantenere dei segreti che non sono più tali. Gelosamente

custodite le verità che vi rivelarono i Maestri come in un archivio in cui più nulla possa essere

collocato, e dimenticate che la conoscenza del vero non può avere fine. In fatto di dottrina voi

confrontate e misurate i nuovi messaggi con il metro di ciò che sapete, e li accettate solo se

corrispondono a ciò che conoscete. Così rifiutate le nuove verità e determinate la cristallizzazione

della dottrina. La raffigurazione della realtà che avete è ancora quella adatta ad altri tempi e ad altre

menti. Che cosa sapete di più del Grande Architetto di quello che vi dissero i Maestri? Che cosa

conoscete della Realtà che sta al di là dell’Apparenza? Oh fratelli Massoni, non fate della Massoneria

un corpo senza Spirito, ma fate che sia il corpo e lo Spirito di Hiram10 veramente risorto.

Pace a voi.

Fratello Massone

9 Padri Kadòs – Kadòs è una parola ebraica che vuole dire “puro”. All’inizio del movimento si parla

della “purezza iniziatica” dei Kadòs. Le qualità del vero Kadòs devono essere, per le scienze:

astronomia, fisica, chimica, fisiologia, psicologia, e sociologia. Alla base della missione umana:

sincerità, pazienza, coraggio, prudenza, giustizia, tolleranza e devozione.

10 Hiram – Nome che deriva dall’ebraico: hi = vivo, vivente, e ram = elevato. Sul mito di Hiram si

incentra il massimo mistero massonico. È simbolo del sole, del lavoro, della genialità, dell’arte,

dell’ordine, della saggezza, della purezza d’intenti. È il Grande Architetto: è uomo ed è Dio. Hiram viene

assassinato da tre compagni fedifraghi: è morto nella forma imperfetta che aveva, ma deve risorgere

per guidare l’umanità verso l’iniziazione.

122

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Voi avete compreso che questo ultimo messaggio non è diretto particolarmente a voi, è vero? Ci

siamo serviti di un tramite per far giungere a chi di dovere il messaggio del Fratello che avete

ascoltato ultimamente.

Siamo giunti alla conclusione di questo incontro. Voi siete molto numerosi a queste riunioni, e

questo fatto ci impedisce di rivolgerci direttamente ad ognuno di voi. Ma quello che è importante non

è il messaggio personale, ma è l’insegnamento generale. In altre parole, come abbiamo detto altre

volte, non sarebbe produttivo risolvere i vostri problemi personali; è più efficace aiutarvi a saperli

risolvere da soli. Perciò in ciò che noi diciamo, cercate di trovare la risposta alle vostre domande

personali. Comprendiamo che non è un lavoro semplice, ma confidiamo che voi lo facciate perché è

lo scopo per il quale veniamo fra voi.

Vi benedico ed abbraccio tutti, figli. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

D. – Quando ci riuniamo?

R. – Fra tre settimane.

D. – Noi ti ringraziamo.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

Dali

Durante la riunione, oltre a luci intense, la Guida Fisica ha realizzato un apporto: una scatoletta di

porcellana trasparente, bianca, con impresso uno stemma e una data: 1785 e con la scritta “Vive le

Roi”.

123

27 Marzo 1976

La pace sia con voi e cont tutti gli uomini, figli cari.

Vedete, o figli, noi siamo attualmente ad una fase molto delicata del nostro insegnamento. Quel

discorso che, da tanti dei vostri anni, facciamo, sta per arrivare ad una conclusione importante, quindi

dobbiamo affrontare il vertice di queste nostre conversazioni annose con molta cautela, perché è

molto facile travisare i concetti, intendere male ciò che vogliamo significare.

Quello che abbiamo da dire potremmo enunciarlo sinteticamente e brevemente ma, senza

dubbio, voi perverreste ad una interpretazione errata. Occorre invece che voi ci seguiate nella

graduale esposizione di ciò che diciamo, per giungere a captare il vero senso di quello che vogliamo

dire.

Certo con quello che avete saputo ultimamente, e cioè che l’unica Realtà oggettiva è Dio, voi

potreste pensare che anche quello che noi vi diciamo sia, né più e né meno, una visione soggettiva e

che quindi, in effetti, sia una semplice opinione, confutabile da un’altra opinione diversa. Il dire che,

ad esempio, la realtà cosmica è soggettiva, non significa che per chi si trova in quella realtà, nel

Cosmo, non sia esistente. Tutto è soggettività e, in ultima analisi, illusione rispetto all’unica Realtà

oggettiva; eppure se voi toccate una fiamma, non c’è dubbio che vi scottate. Quindi questo concetto

della soggettività va anch’esso inteso nel giusto senso, per non andare oltre ciò che noi vogliamo farvi

intendere. Come capire che ciò che vi diciamo ha fondamento? Ascoltandoci, traendo voi stessi le

conclusioni. Ciò che noi diciamo, figli, lo diciamo per esperienza diretta, non per sentito dire; e se lo

diciamo non è perché ci vogliamo mettere in polemica con ciò che altri dicono. Enunciamo ciò che noi

stessi constatiamo, solo per l’amore che vi portiamo, figli cari. E voi dovete accettarlo non perché lo

diciamo noi – quante volte lo abbiamo ripetuto! – ma perché tutta l’illustrazione che vi abbiamo fatta vi

124

torna; ciò che non torna alla vostra comprensione, scartatelo pure, ma chiedete, chiedete chiarimenti.

Prima di rifiutare siate certi di avere compreso ciò che rifiutate. Non rifiutate perché non torna con

quello che sapevate o che altri vi hanno detto. Per intendere veramente, bisogna dimenticare ciò che

si sa, altrimenti è impossibile procedere nella strada della comprensione. E come noi, figli, non

parliamo per polemizzare, così voi, ascoltando quello che noi diciamo, quando ne restate convinti,

non diffondete queste verità con spirito di polemica, fate con gli altri come noi facciamo con voi:

parlate ma non imponete. Nessuno deve risultare più bravo o vincitore di una disputa. È l’amore che

deve spingerci e spingervi a parlare; ad andare incontro, anche con ciò che sapete, ai vostri simili.

Vi lascio momentaneamente.

Dali

Cari amici, Alan vi saluta.

Ultimamente, quando io mi sono presentato a voi, forse sono stato un tantino eccessivo perché

so di aver provocato qualche reazione in voi. Dovete scusare, perché io non ho la capacità di dosare i

concetti come fanno le nostre Guide.

Questa sera vengo in veste di “sostituto”, sì, perché la Guida Fisica è impegnata in un lavoretto

che non darà i suoi risultati in una sola riunione, ma forse nelle prossime. Ecco che io sono qua per

consentire questa operazione tenendovi impegnati con la vostra attenzione, su quelle poche cose che

io posso dire. La mia ultima incarnazione fu nel secolo scorso, quando l’India era una colonia

dell’Impero Britannico. E così ebbi modo di osservare molti Guru, molti istruttori, Maestri indiani.

Allora erano più diffusi di quello che siano oggi; c’era un’altra atmosfera nell’India del secolo scorso, e

da ciò che io potei vedere laggiù, cominciai ad acquistare interesse per l’insegnamento occulto. Ecco,

una prima impressione – e credo che questa sia impressione comune di tutti gli uomini – è che

quando si vede un fenomeno strano, ebbene, si crede che la persona capace di fare quel fenomeno,

conosca la verità. Cioè, vedendo un fenomeno prodotto da un fachiro, per esempio – non quelli

prodotti come resistenza al dolore che voi avrete sentito o letto, di ingestione di chiodi, di vetri, di ferri,

eccetera – ma quello di far crescere e far sviluppare celermente una pianta… di questi intendo,

ebbene, vedendo questi vari fenomeni e l’acquisizione di certi poteri, io subito pensavo che quella

persona che sapeva fare quelle cose così meravigliose, certamente doveva conoscere la verità. Ma

non è così. Quelli sono… non dico giochi di prestigio, sono fenomeni veri; ci sono anche i prestigiatori

e di certo voi lo sapete. Sono veramente fenomeni inconsueti, ma molto spesso chi produce questi

fenomeni non sa come essi avvengono. Sono, per esempio, retaggio di altre incarnazioni nelle quali

quell’Entità ha eseguito certe pratiche, esercizi, che sviluppano questi poteri occulti; e poi, nella

incarnazione successiva, per qualche ragione certamente… – non il caso – possiamo dire “karmica”,

riaffiorano ed allora la nuova personalità si trova con questi poteri e automaticamente li adopera, li

usa, produce fenomeni strani, inconsueti ed anche belli, ma senza sapere come è perché. Non so

che esempio farvi… se ci fosse un bravissimo atleta che – non so… – sapesse alzare un peso molto

forte che gli altri uomini non riescono ad alzare, voi non vi sognereste mai di pensare che quell’atleta

125

conosce la verità, è vero? Allo stesso modo è di questi fenomeni, di questi poteri che certi viventi

hanno. Né si deve pensare che le Entità che producono dei fenomeni lo facciano perché conoscono

la verità più nascosta. E dicendo questo, noi siamo al di fuori di ogni sospetto perché non siamo in

quelle riunioni, in quelle comunicazioni, in quelle sedute dove non si producono fenomeni fisici, è

vero? Allora voi potreste pensare che quelle Entità… deprezzano – si dice così? – i fenomeni fisici

perché quelle non sono capaci di produrli. No, qua sì, vi sono dei fenomeni, e se vi diciamo queste

cose, quindi, dovete apprezzare che questa è la verità. Ripeto quello che sempre vi hanno detto i…

nostri Maestri: di vagliare attentamente ciò che viene detto e valutarlo. Il resto sono cose

meravigliose, non c’è dubbio, interessanti, ma non possono essere paragonate al grandissimo e

meraviglioso insegnamento che vi viene dato.

Adesso la Guida Fisica deve fare un piccolo… – come si dice? – un regalino per qualcuno. Ma

state concentrati…

Poco dopo un piccolo oggetto, con suono metallico, cade a terra.

Non sono molto bravo come lei nel fare da assistente. È vero? Dovete scusarmi, ognuno ha la

sua capacità. Ma se non viene in mio aiuto, non so se riuscirò… Non credo… Devo darlo nella mano

della persona interessata… Ah, ecco che, gentilmente, me lo ha avvicinato. Concentratevi un

momento… Ecco, è una piccola cosa che ti manda per ricordare la tua ultima incarnazione. Non

mostrarla a chi non ha simpatia con la Francia, con i nemici della Francia napoleonica, altrimenti

quella istintiva antipatia potrebbe riversarsi su di te. Ecco…

D. – Scusa, potresti dirmi qualcosa di quell’oggetto che mi è stato apportato tempo fa?

R. – L’oggetto in sé può non avere… credo che non abbia valore. È ciò che la Guida Fisica unisce

come forma-pensiero all’oggetto. A volte può essere qualcosa che si ricollega ad una precedente

esistenza ed allora, in quel caso, l’impronta della forma-pensiero è ancora più tenace, per quello che

io posso sapere. Cosa debbo dirti di codesto oggetto? Ti servirà nella professione. È già abbastanza,

credo, non poco.

D. – …

R. – E lo stesso anche per te.

Adesso vi saluto affettuosamente.

Alan

Pace a voi.

Da sempre vi diciamo che il mondo che percepite è l’apparenza di una parte della Realtà unica-

126

totale. Poiché solo quest’ultima è oggettiva in quanto solo quest’ultima è assoluta, possiamo definire

la vostra percezione soggettiva illusoria.

La percezione è un processo che implica l’attività della mente e dei sensi, perciò a questi si fa

risalire l’illusione; i sensi, cioè, traggono in inganno e non da meno è la mente con il suo indurre a

considerare costanti i rapporti fra gli eventi osservati. La mente, pur secondando il gioco dei sensi, ha

tuttavia la capacità di svincolarsi da esso; se questo è possibile, può l’uomo conoscere realtà che i

suoi sensi non riuscirebbero mai a comunicargli? Siamo ancora di fronte al problema della

conoscenza intesa come attività della mente che fa apprendere e ritenere immagini di fatti; qualcuno

direbbe: di realtà. Problema del quale ci siamo già interessati. Certo non possiamo passare in

rassegna le varie opinioni circa la possibilità dell’uomo di conoscere la Realtà, tutte consideranti

l’uomo quale è, cioè senza vederlo come il risultato di qualcosa, senza pensarlo come suscettibile di

trasformazione. Possiamo essere d’accordo che la conoscenza è, a priori, e cioè per conoscenza

innata, e qua potremmo aprire un capitolo su questo tema, sempre che a voi interessi; a posteriori,

per esperienze consumate: intuitiva, cioè immediata, razionale, logica, o conseguenza di altre

conoscenze. Siccome è sempre un soggetto che “conosce”, e siccome ciò che si apprende o si ritiene

è sempre un’immagine della Realtà, la conoscenza è sempre soggettiva.

Giova qui ricordare ciò che dicemmo ultimamente e cioè che la Realtà ipotizzata dall’uomo sulla

scorta delle sue percezioni, al di là dei suoi personali soggettivismi, non ha alcun punto di contatto

con la Realtà-Unica-Totale. Infatti non si deve credere che la visione-concezione che l’uomo ha della

Realtà sia incompleta ma esatta nei suoi elementi posseduti, e che crescendo le possibilità di

percezione si accrescano nuovi elementi validi a quelli esatti già in possesso; sarebbe così se la

realtà relativa fosse oggettiva. Ma dicemmo che è oggettiva solo la Realtà Assoluta. Perciò

aumentando le possibilità di percezione dell’uomo, la nuova visione-concezione che egli avrebbe

della Realtà, sarebbe radicalmente diversa. Il concetto di spazio che l’uomo ha, è quello che è in

funzione delle umane possibilità di percezione; aumentando queste, cambierebbe il concetto che

l’umano ha dello spazio, forse addirittura sparirebbe del tutto. Allora, le risposte alle domande-

trappola che vi avevo fatto, per essere date avevano bisogno di certe precisazioni: innanzi tutto che

cosa si intendeva con “visione”. “Visione e concezione”, ed allora ho già risposto. Ad ogni nuova

possibilità di percezione, muta radicalmente il concetto di Realtà. Oppure “visione-percezione”, ed

allora era necessaria ancora una precisazione, cioè: le nuove possibilità di percezione erano dovute

ad un aumento del numero dei sensi – ed allora in quel caso si aggiungevano nuovi elementi che

andavano ad arricchire la visione che l’uomo ha della Realtà, da una visione bidimensionale, per

esempio, ad una visione tridimensionale; da una visione incolore ad una visione colorata, è vero? –

oppure queste nuove possibilità di percezione aumentavano perché, fermo restando il numero dei

sensi, variava la portata, la gamma dei sensi? Ed allora, in questo senso, la visione-percezione

muterebbe radicalmente. Per esempio, esempio già fatto, la vista arriva a vedere a livello molecolare

o atomico la materia.

Vedete, i sensi sono delle finestre aperte, ma dobbiamo anche vedere il lato opposto, cioè che

127

sono limitativi. Qualcuno ha detto, li ha definiti giustamente, come una rete da pesca con delle maglie

larghissime che trattiene solo i pesci grossi e lascia sfuggire i piccoli e tutto il resto. In effetti è così.

Dunque quello che c’è da capire però sostanzialmente, è che per limitazione – possiamo dirlo –

percettiva, l’ente percepiente coglie l’apparenza di una parte infinitesimale della Realtà-Unica-Totale

– parte in se stessa inesistente – e la trasforma in se medesimo, nel mondo della sua percezione, in

realtà parziali, ossia relative, ossia soggettive. I punti di contatto delle varie realtà soggettive che gli

enti percepienti hanno, non derivano dall’esistenza oggettiva di quegli elementi comuni, ma se mai

costituiscono il “soggettivo universale”, per dirla con Kant. Il mondo che l’uomo conosce è una

costruzione della sua percezione, una creatura della sua soggettività. Allora, può l’uomo conoscere

realtà che stanno al di là delle sue possibilità di percezione? Dei quattro tipi di conoscenza che

abbiamo indicati, è chiaro che solo due possono farci sperare che lo sforzo dell’uomo di conoscere

realtà a lui ignote – e come vertice massimo di conoscere Dio – non siano inutili.

Potrebbe essere obbiettato che la Realtà Assoluta cioè Dio – può esulare dalla logica umana e

quindi può essere da questa irraggiungibile. La logica, definita “scienza del ragionare”, è in effetti un

tipo di programmazione della mente; noi ragioniamo in un certo modo perché siamo programmati –

più giusta sarebbe dire “condizionati” – dalla nostra abitudine ad usare certi postulati, a servirci di

certe convenzioni, a considerare costanti certi rapporti; ma ciò non esclude che noi possiamo

ragionare diversamente, semplicemente cambiando tipo di logica; la mente ha questa possibilità, la

possibilità di superare la sua contingente impostazione e funzionare negli schemi di una logica

diversa. Tuttavia, anche il tipo di conoscenza che noi abbiamo chiamato logica, o deduttiva o

razionale, può dare solo un’immagine della Realtà e, chiaramente, l’immagine non è la Realtà. Per cui

solo la conoscenza intuitiva – che invece mette in contatto non mediato il soggetto con l’oggetto –

sembrerebbe l’unica a darci la suprema conoscenza.

C’è però da vedere un fatto importantissimo, e cioè che Dio è “Sentire Assoluto” e conoscere Dio

nel vero senso, significa comprendere Dio; significa “sentire” nei termini in cui “sente” Dio, significa

essere Dio, per cui l’uomo, come tale, non può conoscere Dio.

Questa affermazione che sembra lasciare così poche speranze, non tiene tuttavia conto di tutta

la questione. Non tiene conto che l’uomo non è immutabile. Quando affermiamo, come spesso

abbiamo fatto, che si giunge a quella comprensione che è “sentire” ed “essere” attraverso al porre

attenzione e poi rendersi consapevoli, noi implicitamente ammettiamo che l’uomo superi se stesso e

raggiunga un nuovo “sentire”, un nuovo “essere”. La possibilità che l’uomo superi in prospettiva la sua

condizione umana, non rende vani i suoi sforzi di conoscere la Realtà ignota che è al di là delle sue

attuali possibilità di percezione. Anzi, gli stimoli che provengono dalla vita nei piani grossolani, non

sono che il mezzo per mettere in moto quel processo che catturando l’attenzione dell’uomo,

attraverso alla sua consapevolezza, lo conduce ad una nuova coscienza, a quel nuovo “sentire”.

Vi ricordo che con “coscienza” noi intendiamo qualcosa di diverso da “consapevolezza”, infatti

diciamo che l’uomo è consapevole quando è conscio delle sue azioni, dei suoi pensieri, dei suoi

desideri, delle sue emozioni, delle sue sensazioni; mentre per coscienza intendiamo quel “sentire”

128

che spinge l’uomo a vivere al di là di se stesso. Le sensazioni, le emozioni, i pensieri quindi non sono

“sentire”, sono percezioni, sono attività dei veicoli grossolani dell’uomo; il “sentire” trascende tutto

questo. Nella vita dell’uomo, allora, il “sentire” è appena accennato. Tutta l’attività che l’uomo svolge è

improntata dall’io personale ed egoistico, e nei rari momenti in cui l’io tace, il “sentire” si manifesta.

Tuttavia proprio dall’attività che l’uomo svolge, spinto dal suo io, l’uomo supererà il suo egoismo,

sempre attraverso al processo: attenzione, consapevolezza, coscienza.

Se volessi indicare con una formula il processo di acquisizione di un nuovo “sentire” nella fase di

evoluzione umana, dovrei dire che:

PSScn

×= dove n

S è il nuovo “sentire”, c

S il “sentire” conseguito, e P la percezione.

Allora il nuovo “sentire” nasce dal “sentire” conseguito e dalla percezione dei piani grossolani.

Che cos’è allora la percezione secondo questa formula? Facilissimo: c

n

S

SP = . Cioè la percezione

nasce dal rapporto fra il nuovo “sentire” ed il “sentire” conseguito. Una obiezione come questa: come

può esistere un rapporto fra una cosa conseguita ed una non ancora esistente?, è facilmente

superabile tenendo presente che tutto esiste già; il nuovo “sentire”, non ancora conseguito nel tempo,

è tuttavia esistente, perciò può esservi un rapporto, al di là della sequenza temporale, fra questi due

“sentire”.

Voi sapete che si perviene alla “realtà cosmica”, alla coscienza cosmica che è pur sempre una

realtà relativa e perciò soggettiva – in due fasi: nella prima fase il centro di coscienza e di espressione

– cioè l’uomo – apprende attraverso alla percezione, convenzionalmente, possiamo dire si muove dal

basso verso l’alto; nella seconda fase l’individuo – non più uomo – attraverso alla comunione con gli

altri individui, cioè dall’alto verso il basso, raggiunge la totale realtà cosmica. In questa seconda fase

l’iindividuo non ha più percezione, cioè non coglie più l’apparenza di una parte della Realtà-Unica-

Totale, ma è cosciente di essere egli stesso una parte di questa Realtà. Aggiungo e sottolineo –

invitandovi a meditare – parte in se stessa oggettivamente inesistente. Questa seconda fase

corrisponde a quella posizione un tantino elevata alla quale facevamo riferimento allorché vi

illustravamo la successione del “sentire” servendoci dell’esempio dei fotogrammi. Posizione che

consente di cogliere la realtà cosmica che sta al di là dell’apparenza colta dall’uomo. Ebbene, in

questa posizione l’individuo constata come dal rapporto di due “sentire” semplici che appartengono a

quella serie di “sentire” chiamata individualità, nasce la percezione dell’uomo, e con la percezione tutti

i mondi che la percezione costruisce.

Concludo: solo un “sentire”, cioè un “Essere Assoluto” può comprendere Dio nel vero senso,

perché Dio è la Realtà Assoluta. L’uomo, creatura della soggettività, non può comprendere l’oggettivo

per eccellenza. L’uomo che esiste solo nell’illusione della separatività, non può comprendere la

Realtà del Tutto-Uno. Allora, è egli forse destinato a perdersi perpetuamente negli amari labirinti

dell’illusione? Sarebbe beffardo quel Dio che, originando un essere gli consentisse di conoscere tutta

l’illusione ma non la Realtà, gli precludesse, in qualche modo, la più alta di tutte le conoscenze; gli

129

negasse la conoscenza di Sé. E la ragione che impedirebbe ad un simile Dio di fare agli esseri che da

Lui traggono esistenza quel dono che, invece, le Sue creature talvolta riescono a fare – il dono di se

stessi – sarebbe, la Sua, volontà di supremazia, o la Sua incapacità creativa? Fratelli, se Dio fosse

irraggiungibile sarebbe, di fatto, avulso, staccato, diviso dalla manifestazione e ciò non può essere,

come abbiamo creduto di spiegare anche ultimamente.

Allora? Siamo di fronte a due affermazioni contrastanti e pur vere entrambe: che l’uomo, come

tale, non può conoscere Dio; che Dio deve essere raggiungibile. Una sola soluzione le concilia: che

l’uomo sia destinato a superare la sua condizione umana ed attraverso al processo di porre

attenzione, rendersi consapevole, comprendere, di “sentire” in “sentire” sempre più ampio, raggiunga

il massimo “sentire”, il “Sentire Assoluto” che non ha eguale perché è eguale solo a se stesso. Ma

l’essere che giungesse a comprendere Dio, diverrebbe a Lui identico, mentre Dio è pari solo a Se

stesso perché può esistere un solo Dio, una sola Realtà Assoluta.

Allora? Siamo di fronte a due affermazioni contrastanti e pur vere entrambe. Una sola soluzione

le concilia: ogni essere limitato, ogni creatura della separatività e dell’illusione, superando i propri

limiti e quindi il proprio momentaneo essere, sia destinata a riconoscersi nell’Unico Essere, nell’Unica

Realtà.

A chi non coglie il senso di questa affermazione, lo faremo cogliere gradualmente. Chi crede di

averlo intuito lo conservi gelosamente nel suo cuore, perché è facile fraintendere; perciò lo tenga per

sé sino a che non è certo di avere giustamente inteso.

Pace a voi.

Kempis

Om mani padme om.

Molti uomini pensano che per condurre una vita retta ed equilibrata sia necessario credere a Dio,

avere una fede. Ma ciò non è esatto. Anzi, quel Dio che essi hanno costruito secondo le loro

limitazioni, non può esistere. Quel Dio che appartiene alle loro bandiere, alla loro Nazione, alla loro

religione, che è il loro protettore e l’istruttore degli altri, non può esistere. Tu guardi con diffidenza chi

si dichiara ateo, ma fra questi e chi crede in un Dio di comodo, non c’è differenza: entrambi sono

nell’errore. Non pensare che Dio sia in qualche luogo remoto dell’esistente; Egli è ovunque, ogni cosa

animata e inanimata esiste.

Il compimento della tua esistenza è il raggiungimento della divinità, perciò Egli è anche in te,

fratello caro. Se potrai identificarti con tutto quanto ti circonda, col dolore e la sofferenza, la felicità e

l’estasi che sono nel cuore di ognuno; se cesserai di ostinarti a sentirti separato da tutto quanto ti

circonda; se potrai convincerti che ovunque c’è vita, quella vita è Una, nonostante che molteplici

siano le sue espressioni, avrai trovato quel filo che conduce a Lui, ed avrai assolto lo scopo per il

quale sei nato.

Om mani padme om.

Fratello Orientale

130

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti.

Nell’intervallo fra questa riunione e la prossima, potrete fare una riunione affettiva, sempre che

con pochi partecipanti, è vero?

D. – Quale numero per avere una base?

R. – Come al solito, ma non molti nuovi; tutto equilibrato, è vero? Perché dovremo risentirci per la

prossima riunione d’insegnamento. In quella occasione vi diremo quando.

Vi benedico ed abbraccio tutti, o figli nostri. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

131

05 Aprile 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Spero che il chiosatore cortesemente mi consenta il diritto di replica alle sue dotte, oltreché

gradite, osservazioni a quanto dissi sulla struttura della materia fisica.

Se ripeto cose che egli conosce è per far intendere anche a voi il mio punto di vista; il tutto solo

con l’intento di chiarire e di precisare quanto dissi.

Affermai che la materia può passare indifferentemente dallo stato solido allo stato liquido, allo

stato gassoso, semplicemente alzando o abbassando la temperatura del tanto necessario. Il mio

interlocutore mi ricorda che la temperatura, ossia il calore, non è il solo elemento che concorre in

questo processo: c’è anche la pressione. Rispondo che non c’è dubbio che questo è vero ma solo

quando si tratta di portare allo stato liquido un gas, non negli altri passaggi; per esempio, portare allo

stato liquido un metallo solido, oppure portare allo stato gassoso un metallo liquido. Mentre la

temperatura è elemento che concorre in tutti i cambiamenti di densità della materia: dal gassoso al

liquido, dal liquido al solido e viceversa, perciò questa sola appare come diretta responsabile e di

conseguenza la prima da menzionare.

Per illustrare questo concetto affermai che l’acqua differisce dal ghiaccio solo per la temperatura.

Chimicamente parlando l’acqua e il ghiaccio sono la stessa sostanza. Questo intendevo e cioè che la

sostanza acqua allo stato liquido può passare (come ogni altra materia) allo stato solido

semplicemente abbassando la temperatura.

Il mio interlocutore afferma che non è vero che l’acqua differisce dal ghiaccio solo per la

temperatura. Evidentemente egli pensa alle differenze organolettiche, altrimenti non comprenderei il

senso della sua negazione. Se alle caratteristiche organolettiche egli si riferisce, è chiaro che fra

acqua e ghiaccio non c’è la sola differenza di densità, di rifrazione della luce, eccetera eccetera, ma

queste differenze non si rilevano nella illustrazione del concetto per il quale mi sono servito

dell’esempio acqua-ghiaccio. L’affermazione centrale, e cioè che l’acqua può passare dallo stato

gassoso allo stato liquido allo stato solido semplicemente cambiandosi la sua temperatura, rimane

vera. Questo è il senso di ciò che intendevo e che del resto mi pare risulti chiaramente.

Questione atomi molecole.

132

Il mio interlocutore, al quale sono molto grato perché mi dà modo di precisare cose che non

avete mai richieste, mi corregge allorché affermo che il suono ed il calore sono fenomeni che

interessano gli atomi. Egli puntualizza sostituendo al termine “atomi” quello di “molecole”.

Ricordo a voi l’affermazione della scienza e cioè che gli atomi della materia fisica sono

generalmente aggregati fra sé ed in tal modo costituiscono le molecole. Per capire quanto queste

definizioni siano convenzionali basti ricordare che la stessa scienza afferma che vi sono molecole

monoatomiche.

Altrettanto dicasi per il calore, pensando al plasma definito dalla scienza quale stato della materia

avente temperatura al di sopra di 5.000 gradi centigradi nel quali sono rotti i legami molecolari.

Evidentemente se la materia, che non è più allo stato molecolare, è ancora interessata al fenomeno

calore, questo non può essere definito movimento o vibrazione delle molecole.

Per quanto attiene alla precisazione del chiosatore secondo cui il magnetismo non sarebbe

connesso col nucleo degli atomi, ma fenomeno provocato dagli elettroni, faccio notare che un flusso

di elettroni in un conduttore produce un campo magnetico in quanto (questa è una mia affermazione)

gli elettroni, nel passare da un atomo all’altro del conduttore producono nei nuclei degli atomi stessi

quel diverso equilibrio che è all’origine del prodursi del campo magnetico.

Questa mia affermazione penso che potrebbe essere verificata constatando che un fascio di

elettroni nel vuoto non produce campo magnetico orientato perpendicolarmente a questo fascio, né

altrimenti.

Mi pare appena il caso di accennare che il fatto che un fascio di elettroni venga deviato da un

campo magnetico non prova che questi siano soggetti attivi di magnetismo, ossia che lo provochino.

Infatti ciò può spiegarsi anche ritenendo gli elettroni soggetti passivi del campo magnetico.

Ancora. Secondo il parere del mio cortese critico si riscontrerebbe una discordanza fra la formula

espressa a pagina 28511 e la rappresentazione grafica della struttura della materia subatomica,

riportata a pagina 287.12

Da una più attenta lettura del testo potrà rilevare che il concetto principale che ho voluto esporre,

al di là delle nozioni scolastiche riecheggianti nella esposizione, è che al di sotto dell’atomo la massa

di una particella, che di questo è elemento componente, non è data dalla somma delle masse degli

11 Il riferimento a questa pagina è presente sul ciclostilato della signora Nella Bonora, e non mi è

dato sapere a quale libro – pubblicato o meno – si riferisce.

12 Vedi nota 10.

133

elementi che la compongono (così come avviene invece al di sopra dell’atomo), bensì dal prodotto di

queste.

È chiaro che tale principio può essere espresso sinteticamente solo con una formula, perché la

rappresentazione grafica della struttura – per esempio – della particella, come fatto a pagina 28713,

può indicare solo i singoli componenti e non le masse di questi.

Allora, se invece il mio interlocutore, dalla rappresentazione grafica fatta solo per illustrare le

strutture, calcola le masse in modo del tutto diverso dal principio che ho affermato, trae delle

conclusioni gratuite e contrastanti che non mi si può attribuire.

L’attento osservatore delle mie osservazioni fa notare che a pagina 28614 il valore della massa

del protone è erronemanete indicato come eguale a quello della massa del neutrone.

È vero che i due valori non sono identici, come del resto affermo a pagina 28515 nel periodo fra

parentesi, laddove ricordo che i due valori sono di poco diversi. È quindi evidente che se nella pagina

successiva i valori sono indicati eguali è solo per semplificare il calcolo ed agevolare la comprensione

ad un uditorio che non aveva una preparazione scientifica. A pagina 28816 dove menziono come

costituenti degli atomi gli elettroni ed i protoni, il mio attento critico rileva che ho dimenticato i neutroni.

Anche ciò è da vedersi come analoga semplificazione, altrimenti potrei a mia volta osservare che,

insieme, io e lui, non abbiamo ricordato gli antineutroni, i positroni e tante altre particelle che

costituiscono gli atomi degli elementi anche se ciò non è esattamente accertato ed anche se queste

sembrano avere vita breve allo stato libero.

Per quanto riguarda il processo di fusione dell’idrogeno che origina elio ed energia, non posso

che confermare quanto dissi sinteticamente e che è riportato a pagina 286 di “Colloqui”.

Rimane la questione “segni” (pagina 287)17 e relative annotazioni del critico. Sapendo che

l’elettrone è l’atomo della carica elettrica negativa, è chiaro che le materie di massa minore

all’elettrone (particelle ed unità elementari, secondo la nostra nomenclatura) non possono avere

carica elettrica. È evidente, quindi, che laddove parlo di “segno” non parlo di carica elettrica. Si tratta

di qualcosa, che ancora non conoscete, che potrei definire come radice dell’elettricità, ciò che renderà

13 Vedi nota 10.

14 Vedi nota 10.

15 Vedi nota 10.

16 Vedi nota 10.

17 Vedi nota 10.

134

possibile la trasmissione dell’energia elettrica nello spazio, così come avviene in altre civiltà.

Può sembrare puntiglioso il mio ribadire le giuste osservazioni del mio critico. Lo prego di non

pensare così. Vorrei solo dare a lui ed a voi l’impressione che i concetti esposti a suo tempo non sono

campati sul nulla. È chiaro che tutti possiamo errare, come ho fatto quando ho usato il termine

“fissione” anziché “fusione”. Ne faccio volentieri ammenda. D’altra parte ciò può essere un’utile

indicazione per il mio critico, può fargli chiedere che se la fonte delle informazioni ha caratteristiche

umane – e se questa non è il medium – chi è?

Se sono riuscito a fargli porre a se stesso questa domanda, allora anche l’altro quesito che si

pone, e cioè se l’esattezza di certi dati sia dovuta al caso od alla percezione extrasensoriale del

medium, può avere una terza alternativa: che le notizie siano portate da un disincarnato.

Lo ringrazio dell’attenzione che mi ha prestata e volentieri auguro a lui ed a tutti voi che la vita sia

doviziosa di beni dello Spirito.

La pace sia con voi.

Dali

135

10 Aprile 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

In questo momento, o figli, in cui ogni valore che l’uomo aveva tenuto sugli altari dei propri ideali

sembra sparire, venire calpestato, o tenuto in nessun conto, più di sempre è importante che vi siano

delle creature come voi che si riuniscono per formare una catena di pensieri e di intenzioni che risulta,

all’occhio di chi vede oltre l’apparenza, come una sorta di faro da cui si diffonde un segnale per la

nuova strada che l’umanità dovrà percorrere.

Parlare di evoluzione in un simile momento, fa correre il rischio di non essere creduti perché, in

effetti, udendo i fatti della vostra vita, sembra che l’umanità non sia progredita ma abbia percorso il

cammino all’inverso. Voi sapete, perché molte volte lo abbiamo detto – e lo ripeto per chi non ascolta

sovente la nostra voce – che tutto avviene secondo un ordine preciso, e che anche quello che può

sembrare disordine e confusione obbedisce ad una legge di equilibrio che non falla. Questo

momento, che tutto il mondo in generale sta vivendo, è e segna un trapasso da una vecchia epoca ad

una nuova. È un momento di transizione dove cadono le stampelle, gli appoggi, le grucce, i limiti

entro i quali l’umanità di ieri doveva muoversi, per dare respiro a più grandi e più ampi spazi.

L’umanità di oggi, e più ancora quella del domani, si muoverà in direzioni diverse e – quello che conta

più di ogni altra cosa – si muoverà di moto proprio, in maggior libertà. È questo cadere dei tabù, delle

inibizioni, delle morali coercitive che dà l’impressione di un peggioramento nello spirito degli uomini,

ma voi dovete guardare con fiducia al nuovo respiro dell’umanità; non dovete giudicare tutti gli uomini

dai fatti di cronaca nera o simili che leggete sui giornali. Di fronte a questi eccessi – pur essi

importanti ed essenziali per le creature che li compiono, perché costituiscono l’esperienza che esse

debbono fare – di fronte a questi eccessi, dicevo o figli, vi sono tante, tantissime creature che vivono

semplicemente, modestamente la loro esistenza. Forse un po’ smarrite perché non credono più alla

religione, non credono più all’autorità costituita, non credono più all’onestà di chi li governa e di chi

dirige la sorte dei popoli, ma conservano nel loro intimo un’intenzione pura, un segreto anelito a

qualcosa di buono e di effettivamente accomodante, sanante. Vi sono tante creature che non

appaiono sulle colonne dei giornali e attendono di credere ancora a qualcosa di veramente

costruttivo. Ebbene, quando avvicinate qualcuno che è vicino a voi come vicinanza fisica, e più

ancora vicino a voi per questo anelito di cui vi dicevo, sappiatelo riconoscere, sappiate dare a queste

creature la speranza che esse attendono. Parlate a questo “qualcuno”, dite che ciò che appare è un

136

atto ed una rappresentazione che deve essere per far scaturire nel loro intimo – nell’intimo di questi

che vi ascoltano – come reazione, un maggiore impulso ed una maggior ricerca alla rettitudine,

all’onestà – questa volta non più imposte dall’esterno – ma ritrovate nell’intimo di ogni uomo. Questo

è quello che io vi raccomando, o figli, iniziando questa comunicazione.

Volete rivolgere delle domande?

D. – Vorrei chiedere… È stato detto che il marxismo è un’espressione di questi rivolgimenti. Quando

non lo si condivide o quando lo si rifiuta, ci si pone in un atteggiamento negativo? Come si può fare

per superare e per accettare i tempi nuovi che si presentano con questo volto?

R. – Ogni creatura, ogni essere umano, ha un suo “ambiente”, un suo mondo e ciascuno ha fatto

addosso a sé questo mondo, lo ha cucito indosso come si suol dire; e ciò che va bene per te forse

non va bene per chi ti siede accanto o chi fa parte della tua stessa famiglia. Così non possiamo dire,

intitolare una ideologia, una fede, in qualche modo, e dire che quella va bene per tutti gli uomini. Non

sia mai! Ciascuno ha le sue esperienze da compiere, figli, e ciascuno indubbiamente le deve

compiere nell’ambito di se stesso, dell’ambiente in cui è posto. Ciò che noi vogliamo dire quando

diciamo che il marxismo va bene come il cristianesimo, deve essere inteso in questo significato.

Perché certe creature abbiano delle esperienze necessarie alla loro esistenza, è utile e necessario

che credano in certe ideologie, vivano per quelle. Mentre, per altre creature, sono utili ideologie

opposte. Ma quello che conta è che ciascuno creda e pensi con la propria mente e sappia

comprendere questo principio che significa, in termini pratici, tolleranza. Comprendere cioè che

ognuno ha le sue esperienze da compiere, e non giudicare gli altri con il proprio metro e con la

propria fede o le proprie idee. Comprendere che ognuno – ripeto – crede a quello che deve credere,

perché anche il credere in qualcosa fa parte di un “ambiente” – non solo fisico ma anche psichico –

nel quale è posto e nel quale deve sperimentare. Quindi noi non vi invitiamo a credere in questa

ideologia o in quella, in questa religione o nell’altra; ogni pensiero degli uomini è sempre bello.

Dicemmo una volta che ogni fede, tutte le fedi, sono paragonabili ai fiori: ciascuno diverso e ciascuno

bello in sé; ciascuno segue l’ideologia, le proprie convinzioni, secondo se stesso, secondo le

esperienze che deve fare. E, forti di questa convinzione, figli, vi sarà più facile comprendere e

tollerare chi non la pensa come voi.

Quello che noi cerchiamo di farvi capire è che non esistono ideali morali validi per tutti nello

stesso modo; ma ciascuno di voi deve raggiungere la sua meta. Ciò che è ideale morale per un

selvaggio non lo è certo per un Santo. Certo questi sono due estremi di una scala di valori, ma fra

questi due estremi voi potete comprendere che anche una leggera sfumatura di ideali costituisce una

diversità che ha lo stesso valore della diversità che vi è fra i due estremi. Ciò che vogliamo soprattutto

indicarvi come ideale – diciamo – che può, in un certo senso, avere un significato universale per tutti

è, invece, la meta e il significato delle umane incarnazioni. Ogni uomo, dal selvaggio a colui che sta

per lasciare la ruota delle nascite e delle morti – che noi possiamo chiamare convenzionalmente

137

Santo o superuomo o saggio – deve giungere a vivere al di là del senso di sepratività che la sua

condizione umana gli imprime; superare, quindi, l’egoismo. Questo ha valore, è lo scopo della vita

umana; e questo può essere genericamente indicato come ideale che abbia valore per tutti gli uomini,

a qualunque punto della evoluzione umana si trovino. Ebbene, se questo ideale qualcuno crede di

attuarlo o perseguirlo seguendo una certa ideologia, e tal’altro invece crede di raggiungerlo seguendo

una religione che ad esso si ispira, è lo stesso. È lo stesso significato, è lo stesso valore. Questo è

importante. Comprendere, quindi, che l’uomo è sulla Terra per giungere a vivere al di là di se stesso,

per giungere a capire che egli è uno con tutto quanto esiste, e se egli è uno con tutto quanto esiste

non c’è dubbio che il proprio prossimo è un se stesso. Quando l’uomo ha trovato questa convinzione

interiore, fermamente, allora può abbandonare la condizione delle umane incarnazioni ed ha

raggiunto lo scopo per il quale ha trascorso una fase di vita umana. Non so se sono stato

sufficientemente chiaro.

D. – Possiamo fare noi qualcosa per i nostri cari che ci hanno lasciato? O non possiamo fare niente

per loro?

R. – Certo, potete pensarci con amore e con serenità. Comunque quello che voglio dirvi, figli, è che

chi lascia la Terra, chi trapassa, come si suol dire, dopo un primo momento nel quale, come abbiamo

detto altre volte, segue un suo ciclo naturale, trova senz’altro tranquillità, serenità, fino a lentamente

assopirsi, per poi tornare nuovamente. Siate quindi tranquilli, da questo punto di vista, per i vostri cari

che non vedete più fisicamente, ma che esistono sempre.

D. – Vorrei chiedere una cosa: come mai mio marito ha questa indifferenza completa per queste

cose?

R. – Come ho risposto prima in senso generale, o figlia, ognuno ha il suo ambiente fisico e psichico

che gli è necessario per le sue esperienze. Io non parlo, adesso, del tuo compagno, perché non

parliamo mai delle persone che non sono presenti, vero? Parlo in senso generale, figli, quindi questa

risposta vale per tutti.

Che significato ha credere o non credere nell’aldilà o in certi fenomeni? Evidentemente è un

ambiente psichico anche quello. Il credere nell’aldilà comporta l’agire in un certo modo; oppure, di

fronte a certe decisioni, essere più o mento titubante, più o meno indeciso e via e via. È tutto un

macerarsi dell’individuo, è un confrontare ciò che l’individuo deve fare con la sua fede, con ciò che gli

impone la morale o la religione, o la sua posizione nella vita, eccetera. Quindi anche il credere in

certe cose, ripeto, fa parte delle esperienze che ciascuno deve fare, è una parte del suo mondo, ciò

che contribuisce a fargli avere certe esperienze e non altre, in un certo modo anziché in un altro.

Ecco, questa è la risposta che vale per tutti e anche per te e il tuo compagno.

138

D. – Posso fare una domanda? Posso sapere come sta la mia mamma, se è serena?

R. – Cara figlia, abbiamo molto piacere che tu sia qua stasera e che possiamo rivolgerci direttamente;

cosa che non possiamo fare nelle altre riunioni, non perché non lo vorremmo, ma perché siete

talmente tanti, figli, che la serata andrebbe consumata solo per rivolgerci a ciascuno di voi. Quindi

sono contento che tu sia qua stasera, e che tu possa avere da queste povere parole che ti rivolgo la

sicurezza che noi ti seguiamo: cerchiamo di occupare un posto che altri hanno lasciato vuoto.

Invocaci e ci sentirai vicini. Vedo che tu hai della forza d’animo e quindi non abbatterti. Non pensare

di essere sola: nessuno è veramente mai solo. È solo a decidere la sua vita, allora è solo anche

quando ha una famiglia numerosissima, fa parte di un ceppo familiare assai vasto, anche allora è solo

a decidere. E nello stesso tempo nessuno è mai solo perché ognuno ha tante Entità vicino a sé che lo

aiutano, gli sono vicine, lo amano, gli inviano il loro amore.

D. – Ma non è per me che piango, perché sono sola. È per loro. Vorrei sapere se sono sereni, se

sono insieme…

R. – Ma stai tranquilla, figlia. Ho risposto prima: tutti i trapassati, tranne un primo momento che può

essere di travaglio per il cambiamento di esistenza, per le condizioni di vivere, sono poi tutti sereni e

felici.

D. – Grazie! Ma io ho paura di non aver fatto per lei tutto quello che dovevo. Ho dei rimorsi.

R. – Non tormentarti, figlia, non tormentarti. Non credo sia così.

D. – Scusa, vorrei sapere: quelle presenze, cioè quella sensazione come se avessi qualcuno vicino a

me in determinati momenti, dipende dalla situazione del momento, da auto suggestione, oppure

effettivamente c’è qualcosa che…

R. – Come ho detto prima, ciascuno di noi e di voi ha vicino delle Entità, delle persone amiche che

cercano di infondere un’atmosfera amorosa, affettuosa, è vero? Se queste presenze sono portatrici di

serenità, di maggior tranquillità, allora voi ricordate queste mie parole. Se, invece, sono motivo di

paura, allora pensate che non sono persone, non sono Entità: è la vostra suggestione e perciò non

dovete credervi.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Vediamo se questa volta sono più bravo! Mi riconosci? No??? Ma come, Dino!! Nell’altra vita mi

sono ucciso. Sì. Ma ora ho capito, solo ora ho capito. Ma non ho rimpianti perché ho capito quello che

139

doveva essere. Arrivederci.

D. – Dimmi di te… Ci vedi tutti, ora?

R. – Sì, tutti. Ma comincio a vedere anche… altre cose. A presto.

Dino Ciani

Si è manifestata anche la signora Lydia Lisa, trapassata circa tre mesi fa.

La Guida Fisica: apporto di un campanellino.

Salve a voi.

Vedo qua fra voi qualcuno che ha vissuto l’incarnazione precedente all’attuale al tempo della

Rivoluzione Francese. Parlo del figlio Aurelio. E allora mi ricordo, come voi sapete, che al tempo della

rivoluzione francese i rivoluzionari, fra l’altro, deposero dagli altari Dio – ormai ridotto ad un

concentrato di assurdità – ed innalzarono al suo posto la “Dea Ragione”. Ebbene, se gli effetti della

rivoluzione francese fossero stati limitati a questo fatto, certamente quell’avvenimento sarebbe stato

ricordato dai posteri come uno dei più salutari della storia.

Questa sera vorrei imitare i rivoluzionari francesi per quanto riguarda la questione dell’aborto.

Cioè guardare questa questione solamente dal punto di vista della logica e del buon senso,

scevrandola da tutte quelle implicazioni religiose che la rendono scottante. Voi direte: «Che cosa

c'entra la morale con la logica?». C'entra perché, vedete, la morale ha una sua profonda logica, tanto

che quando si dicosta da essa diventa immoralità. Perciò una cosa quando è assurda, anche se

appartiene alla religione, è immorale. Non ho certo la pretesa di dare delle soluzioni folgoranti; sono

troppo convinto che si tratti di questioni personali. Ma mi piacerebbe sgombrare il campo - come si

suol dire - da tutte quelle false morali, quei pregiudizi, quei preconcetti, quelle falsità, insomma, che

travisano la questione, e riportarla alle sue giuste dimensioni, già vaste in sé tanto da non doverle

dilatare più oltre. Perciò diamo uno sguardo indiscreto al talamo nuziale del signor Rossi e consorte.

«Caro - alita lei - non credi, dopo due anni di matrimonio, che sia giunto il momento di pensare ad un

figlio?». «Che fretta c'è - risponde lui sacrificando il suo amor proprio di maschio - siamo ancora

giovani, abbiamo tempo, godiamoci la nostra libertà! E poi fra un anno avrò una promozione e, con

quella, un bel aumento di stipendio. Allora potremo pensare ai figli». Saggia ed assennata decisione,

non c'è che dire, dovrete convenirne con me. Intanto il Padre Eterno aspetta l'aumento di stipendio

del signor Rossi per creare una nuova vita. Bene fate, signori Rossi, a pensarci molto e non poco

prima di decidere, perché una volta tratto il dado non è più possibile tornare indietro. Ci mancherebbe

altro! Scomodare il Padre Eterno per un “nulla di fatto”! Ma cosa credete? Di avere arbitrio sulla vita di

un altro essere? Di poter decidere, dopo l'amplesso, se deve o non deve nascere? Prima

dell'amplesso sì, prima potete farlo, ma dopo no. Come dite? Perché prima sì e dopo no? Mah; si

dice “perché la vita è sacra e nessuno ha diritto sulla vita di un altro”. Ma ogni coppia, senza arrivare

140

all'aborto, disinvoltamente - e non certo con problemi di coscienza - decide della vita o della non vita

di tutti gli esseri, i figli, che potrebbero da essa nascere. Si obbietterà che nel caso dell'aborto, della

gravidanza, si è di fronte ad una vita esistente e nessuno ha diritto di sopprimere un essere vivente.

Lo Stato poi dovrebbe prevenire e reprimere i delitti contro la vita. Certo sono d'accordo, anzi sono

d'accordissimo, sono così convinto della sacralità della vita che ne faccio un principio generale valido

per ogni sua forma, e non solo per quella umana. Ma ho dinnanzi ai miei occhi sterminati campi di

battaglia dove giacciono le ossa di tanti poveri diavoli - pardon - di tanti poveri esseri umani mandati

d'imperio ad uccidere o ad essere uccisi, comandati dallo Stato di combattere, e non certo in

ossequio al principio di sacralità della vita, che lo Stato dovrebbe tutelare. Si obbietterà che nelle

guerre ci sono gli aggressori e gli aggrediti e che è un sacrosanto diritto anche la difesa, non c'è

dubbio. Ma allora? Certi ideali morali non sono così assoluti come si vuol far credere; pensavo che la

vita fosse così sacra - la vita altrui - da imporre di lasciarsi aggredire e soccombere, prima di

uccidere! Ma voi mi dite che la disfesa dei propri beni o dei propri diritti - perché molto spesso si tratta

di questo, e non della propria vita - è più importante della sacralità della vita altrui. E qua sarebbe

molto facile fare del sarcasmo! Ma vi chiedo soltanto: se allora lo Stato ammette che quel principio

così sacro passi in sott'ordine rispetto a motivi la cui fondatezza io non voglio discutere, per quale

motivo lo Stato dovrebbe impedire ad una coppia che abbia altre fondate ragioni di decidere di non

avere figli, dopo l'amplesso, tanto più quanto questa decisione è legittima prima dell'amplesso? E qua

si aprono tutte le capziose discussioni sul concetto autonomo della vita dell'ovulo fecondato, sul

concetto di persona, su vita consapevole e vita inconsapevole. Questioni tutte che fan tremar le vene

ai polsi, perché basti pensare che tutto vive; dal cristallo che si cristallizza, alla cellula, al filo d'erba e

su, su. E che ogni vita è sempre "consapevole", quanto meno a livello di sensazione. Vedete, posso

anche essere d'accordo con una interpretazione estremamente rigorosa di ciò che può danneggiare

la vita; ma allora, il rispetto dovuto alle forme vegetative umane come la vita di un ovulo fecondato,

deve essere esteso - non dico alle forme di vita vegetativa naturale, che sarebbe troppo pretendere -

ma almeno agli animali. Si cominci con l'abolire assolutamente la caccia, non meno delittuosa

dell'aborto nei confronti della vita.

Io credo che il vero delitto non stia tanto nell'azione, quanto nell'intenzione; nella vera ragione per

cui l'atto è commesso. Perciò la questione dell'aborto è una questione personale di coscienza,

riservata ai soli interessati, e non può essere regolata da leggi dello Stato le quali possono

disciplinare i rapporti fra cittadini - fra lo Stato e i cittadini - al fine di tutelare il bene comune dei

singoli, ma non pretendere di disciplinare il pensiero e la coscienza degli uomini. Lo Stato non ha

alcun interesse, né diretto, né legittimo, né attuale, né valutabile, eccetera, eccetera, che possa

giustificare un’interferenza nella decisione dei genitori di non avere un figlio.

E poi la responsabilità dei genitori non è grande solo quando essi decidono di non avere un figlio;

è più grande quando decidono di averlo assumendosi automaticamente l'imperioso dovere di educare

il figlio con autorità, ma non con sopraffazione; con amorosa pazienza ma non con lassismo,

premiando ma anche castigando, mirando a quello che essi ritengono il bene del figlio, e non solo al

141

suo piacere. I genitori hanno l'obbligo di dare al figlio il necessario, che è più dell'indispensabile e

meno del superfluo. Perciò oltre che la loro forza d'animo, debbono valutare le loro possibilità

economiche, ed in base a tutti questi elementi, decidere quanti figli avere o non avere. Dal punto di

vista dei genitori è molto più crudele far nascere un figlio negli stenti che non farlo nascere affatto. I

genitori debbono essere lasciati liberi di decidere secondo coscienza, perciò la loro volontà non deve

essere coartata da propaganda di alcun genere, in special modo da quelle atte ad incrementare le

nascite per fini nazionalisti, razziali e perciò razzisti .

Vedete, che vi siano delle donne che non sanno rinunciare alla maternità, pure essendo affette

da gravi malattie ereditarie - sperando che nel frattempo la medicina progredisca tanto da prevenire,

o per lo meno curare le infermità a cui potrebbero essere assoggettati i loro figli, o i figli dei loro figli -

è abbastanza grave. Ma che certi casi siano gabbellati dai moralisti come fulgidi esempi da imitare di

puro amore e istinto materno, è semplicemnte mostruoso. Questo ci fa riflettere sul fatto che affidarsi

alla coscienza degli uomini significa supporre o presupporre, che si tratti di esseri responsabili, ma il

che non è fatto abituale. Allora, quando manca la coscienza, torna necessaria l'imposizione esterna

della norma: allora la norma deve essere limitativa delle nascite che possono avvenire ad opera di

genitori irresponsabili, e non il contrario. In ogni caso vale il principio che la legge deve essere fatta

per l'uomo e non l'uomo per la legge.

Cesso di scandalizzare i moralisti, ma prima vorrei rivolgermi a tutti i probabili genitori e chiedere:

per quale motivo volete dare la vita? Perché così si deve fare? Per esibizionismo? Per riempire la

vostra esistenza di giocattoli viventi? Per continuare la vostra stirpe? Incoscienti! Meritereste di non

poter procreare. Siate consapevoli della grande responsabilità che vi assumete, di fronte alla quale

tutto passa in second'ordine, la vostra stessa esistenza.

E agli altri, a quelli che non vogliono figli, chiedo: perché non li volete? Perché vi sono serie

possibilità che i vostri figli nascano malati, oppure gravemente mancamentati? Allora fate bene, anzi

fate benissimo. Se il Padre Eterno ha qualcuno da punire che si arrangi da solo; non spetta a voi fare

i boia. Oppure non li volete perché le vostre condizioni economiche sono veramente problematiche e

temete di non avere il necessario da dare ai vostri figli? Capisco il vostro dubbio; vorrei aiutarvi ma

non posso perché ogni caso è un caso particolare e spetta solo agli interessati risolverlo in sincerità,

nella speranza ma anche nell'incertezza di chi non sa che cosa il futuro può riservargli di bello o di

brutto. Posso solo assicurarvi che nella pura intenzione altruistica non c'è peccato.

E a quelli che non vogliono figli solo perché i figli sono scomodi, creano preoccupazioni,

complicazioni, magari fanno apparire più vecchi, chiedo: perché optate per la non vita, per la morte?

Per il vostro egoismo? Siate per la vita, per la sua crescita, per il suo domani! Adoperatevi a

migliorarla vivendola e facendola vivere. Amatela e difendetela anche se costa, date ad essa lo

spazio e la fiducia che merita, perché la vita è il più gran dono.

Pace a voi.

Kempis

142

Creature, brevemente vengo per abbracciarvi e per infondervi la forza, per portarvi l'aiuto dei

vostri cari che vi seguono. Essi sono presenti qui, fra voi, ed anche loro mandano la loro benedizione,

il loro aiuto di fede. Siate sereni, fiduciosi.

Oh, pensate a quanto potete essere d'aiuto a chi vi è vicino e che pur non credendo o non

volendo intendere ciò che voi sapete, può ricevere egualmente la forza e la luce che dalla vostra fede

si sprigiona.

Oh creature, io debbo lasciarvi momentaneamente; ma vi prego, continuate a pensarmi, a

pensarmi vicina a voi.

Pace. Pace, creature. Con voi!

Teresa

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Abbraccio e benedico tutti, o figli, voi qua presenti e chi rivolge a noi il suo pensiero in questa

occasione.

Particolarmente questi figli che non posso avere fisicamente vicini ogni volta che mi è possibile

trasmettere il mio pensiero attraverso allo strumento. A voi, figli, rivolgo il mio saluto, vi invito a

pensarci, a non dimenticare questi brevi momenti in cui possiamo farci sentire da voi, manifestarci.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Per l'insegnamento, fra quindici giorni.

Pace a tutti voi.

Dali

143

24 Aprile 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

L’affermazione che ciò che c’è da conoscere è già stato detto, al massimo può essere accettata

solo come dogma di fede di una religione suicida.

Ognuno, senza difficoltà è disposto a credere che quanto l’uomo conosce è una piccola parte del

conoscibile ed una parte ancora più piccola della Realtà. Siccome nessuno saprà mai quato resta da

conoscere, ogni uomo del presente e del futuro, senza fare atti di fede, può ammettere che la Realtà

comprende più di quanto si conosce, più di ciò che si può osservare, più di quello che appare. Questo

è quanto basta per rendere legittima ogni opinione della quale non sia stato dimostrato il contrario. Ed

è pensando a questo che costantemente vi richiamiamo, o figli, alla tolleranza nei confronti delle

opinioni degli altri. Vi richiamiamo alla duttilità, vi incitiamo ad ascoltare, per comprendere, ciò che gli

altri intendono significare.

Vedete, ogni uomo – veramente degno di essere uomo – deve portare avanti le sue opinioni

onestamente: vivere per esse, non rinunciare per interessi in qualche modo contrastanti. Deve, in

tutta onestà, far conoscere il suo pensiero, se è richiesto, ma non rinunciarvi; e quando, sul terreno

delle dimostrazioni, si scontrano gli interessi, allora deve saper riconoscere chi parla in buona fede e

chi, invece, non ha questa buona fede. Molte volte abbiamo detto – ed ancora volentieri lo ripetiamo –

che non è tanto importante morire per un idea, quanto vivere per essa. Così voi che qua siete riuniti

ad ascoltare la nostra voce, tenete sempre presente quanto vi dico. Non rinunciate a ciò che credete,

siate sempre disposti ad ascoltare il pensiero degli altri e anche ad abbandonare ciò che, fino a ieri, è

stato per voi sostegno della vostra esistenza, quando qualcosa di nuovo entra nella vostra

comprensione; ma non rinunciate per un interesse materiale. Rinunciate alla vostra idea perché avete

compreso di più – questo sì – e siate, ripeto, convinti che tanto c’è da sapere, senza cristallizzare il

vostro pensiero in ciò che sapete. Molte volte scopro il pensiero di voi che qua ci ascoltate e che, in

una riflessione interiore, osservate di non riuscire a seguirci fino in fondo in ciò che vogliamo

significare. Ebbene, figli, può sembrare un’esagerazione, ma io vi assicuro che quanto voi udite –

anche se non è completamente afferrato – rimane trascritto in voi ed al momento opportuno il

concetto che quelle parole non hanno saputo mostrare ai vostri occhi, risulterà lucido alla vostra

consapevolezza.

Vi abbraccio e vi lascio momentaneamente.

Dali

144

Buona sera, amici cari. Sono la Guida Fisica dello strumento. Vi prego di stare concentrati. Noi

faremo… Prendi la tua macchina, cerca di inquadrare…

D. – Ho inquadrato.

R. – Attendi eh? Non è ancora… devi attendere. Prego. (Foto scattata).

Adesso debbo completarlo… Prego! (Secondo scatto). Ecco! (Terzo scatto). Credo che basti, è

già completo. C’è qua la figlia Clara? C’è? Eh, forse no… È mandato per una vivente che si chiama

Clara.

D. – Sì…

R. – Vieni qua da me, figlia. Ecco.

D. – Posso fare una domanda? L’ectoplasma si può avere?

R. – C’è sempre quando facciamo questi fenomeni, ma si dissolve istantaneamente.

D. – La forte luminosità delle mani si può avere ancora?

R. – Adesso?

D. – Sì.

R. – Vi prego di stare molto concentrati, è vero? Adesso niente luce, però, perché occorre della forza,

naturalmente, e quindi voi dovete capire che bisogna aiutare lo strumento, è vero? Mi raccomando a

voi: silenzio e… pazienza… Ecco. (Scatto foto). Vedi questa luminosità sopra? È ectoplasmatica,

ma… si dissolve.

D. – (Incomprensibile).

R. – Se il nostro scopo fossero i fenomeni fisici, con l’esercizio, certamente. Ma noi abbiamo un’altra

missione da compiere. Adesso devo recuperare le forze dello strumento.

Michel

Pace a voi.

Non avete alcuna domanda? Allora continuerò il mio discorso.

145

Dunque: (bella maniera di iniziare, direte voi, con un “dunque”), ma ripeto che ciò che sto dicendo

non è che il seguito di altre conversazioni.

Noi ci siamo interessati di diversi quesiti importanti della filosofia quali – per menzionare alcuni di

quelli che ci hanno interessato – Realtà ed apparenza, divenire ed essere. Ebbene, fra questi occupa

un posto preminente il “monismo-pluralismo”. Può sembrare che questo dilemma sia da relegare fra

le inutili esercitazioni accademiche, e questo forse può essere in parte vero. Ma se dalla soluzione del

quesito ne risultasse prima di tutto una maggior comprensione della realtà in cui ciascuno vive, e poi

in che direzione muoversi per vivere armoniosamente con questa realtà, non c’è dubbio che un simile

approfondimento tornerebbe utile perché, vedete, se il Cosmo è oggettivamente composto da una

pluralità di mondi e di esseri, allora la partecipazione ai problemi altrui è una questione di semplice

solidarietà umana o spirituale; ma se il “tutto esistente” è una Realtà del tipo di quello concepito dal

monismo spiritualistico, allora l’amore al prossimo è qualcosa di più di un semplice precetto, anche se

in ogni caso sempre da seguire.

Il campo ove è focalizzata l’attenzione, onde prevenire alla conoscenza, voi sapete che è diverso

fra cultura orientale e cultura occidentale. I due criteri seguiti ricalcano, né più né meno, lo schema io

non-io, disegnato dalla mente. L’io è il soggetto della conoscenza, il non-io l’oggetto. L’attenzione

della cultura occidentale è concentrata, principalmente, alla ricerca dell’oggettività. Infatti ciò che si

può analizzare, esaminare scientificamente è il non io; mentre gli orientali polarizzano la loro analisi

sul mondo interiore del soggetto. I criteri, essendo seguiti l’uno con l’esclusione dell’altro, non hanno

portato ad una visione d’insieme di quel poco della Realtà che l’uomo può cogliere, conducendo gli

orientali a poco conoscere del mondo esterno all’io, e gli occidentali, fino a pochi anni fa – il figlio R.,

nuovo ospite, me lo consentirà – a poco sapere del mondo interiore del soggetto. Tutto questo

naturalmente dando per esatta la suddivisione della realtà operata dalla mente secondo il criterio io

non-io. Intendo dire che la mente lavora partendo da un postulato dualistico, nel senso che dà come

dimostrata a priori ed oggettiva la dualità. Ma, in effetti, il dualismo io non-io è strutturale nella Realtà,

oppure deriva unicamente da una percezione limitata ed inesatta di essa? Crediamo di avere risposto

a questa domanda parlando dell’io. In ogni caso torneremo su questo argomento con delle

considerazioni ad una prossima occasione. Ricordo solo brevemente che per noi l’“essere” non è un

io che “sente”, ma è un insieme di “sentire”; e quindi il senso dell’io risulta dal punto d’incontro di due

coordinate: l’ascissa, che sarebbe il senso di separatività proprio del “sentire” a livello umano – l’io

spaziale, potremmo chiamarlo – e l’ordinata che sarebbe la memoria, ciò che crea la continuità dell’io

nel tempo e quindi potremmo chiamarlo l’io storico, o temporale. Ma in ogni caso la pluralità

comprende ogni dualità, perciò risolvendo il dilemma monismo-pluralismo, ne consegue logicamente

una risposta a livello generale di principio, valida anche per il dualismo io non-io. Ma come pervenire

a capo di questo dilemma? Non abbiamo la pretesa di risolverlo in senso assoluto; la soluzione

radicale sta in campi per ora a voi inaccessibili, tuttavia, intanto, abbiamo dato una risposta che sul

piano logico e filosofico, in breve, suona così: se si ammette una pluralità oggettiva, allora esiste un

tempo oggettivo, uno spazio vuoto, non un Dio ma più Dei, ciascuno dei quali privo dei caratteri di

146

assolutezza, eternità, infinità, immutabilità, eccetera eccetera, possibili se esiste oggettivamente solo

l’Unità. Ma oltre a questo, se si osservano certe manifestazioni chiamiamole… naturali, che hanno un

carattere indubbiamente unitario, si rileva come l’Unità risulti dalla confluenza di molteplicità, sicché si

può ragionevolmente credere che ciò che a noi appare molteplice confluisca nell’Unità.

Per esempio: la consapevolezza, che ha un carattere così unitario, risulta l’insieme di tanti piccoli

atti istintivi della mente, così diversi che potrebbero essere prodotti da tante menti diverse da quella

consapevole. Cosa che non è. E questa consapevolezza non è l’insieme di tante piccole

consapevolezze, ma ha un carattere a sé; tanto che certe sensazioni dolorose ben localizzabili, sono

localizzate solo di riflesso. Intendo dire che se, per esempio, una parte del suo corpo soffre, l’uomo

prima avverte un senso generale di malessere – è lui come unità che soffre – ed una frazione di

secondo dopo localizza la parte sofferente. Ancora: se voi chiudete alternativamente prima un occhio

e poi l’altro, vi rendete conto come ciascun occhio percepisca un’immagine diversa, così diversa che

se le due immagini fossero fotografate, le fotografie non sarebbero assolutamente sovrapponibili. Non

solo, ma l’insieme delle due immagini è un’immagine ancora diversa, un’immagine che ha una

profondità. Ebbene, se si analizza questo processo, ci si rende conto delle modalità secondo cui si

svolge. Voi sapete meglio di me che il vedere non è un processo tanto degli occhi quanto della

mente. U’immagine, in sé, è un insieme di macchie di colori, di chiaroscuri, di linee, d’ombre, di forme;

è la mente che analizza quelle macchie colorate e le trasforma in visione consapevole. Io non so se vi

è mai capitato di osservare un oggetto in scarse condizioni di visibilità e di non riuscire a capire che

cosa sia quell’oggetto. Ebbene, quando la vostra mente ha indovinato che cosa è quell’oggetto,

anche la visione pare più nitida, sembra cioè che siano migliorate le condizioni di visibilità, cosa che

non è accaduta. Allora, tornando alle nostre due immagini monoculari è chiaro che la mente esegue

per ciascuna di esse una distinta elaborazione, altrimenti non si avrebbero due immagini, ma si

avrebbe un duplice insieme di macchie di colore. È come, cioè, se ciascun occhio avesse una sua

mente; non solo, ma siccome la visione simultanea è un’immagine con caratteristiche che vanno oltre

la somma delle caratteristiche delle due immagini, è chiaro che la mente – con una terza attività –

fonde le due immagini precedentemente elaborate e le trasforma in una visione tridimensionale. Ora

questa fusione non avviene per una realtà strutturale del corpo dell’uomo; avviene per un processo

mentale, vi è dunque un’azione unificatrice della mente, una sintesi percettiva che rende possibile il

carattere unitario della consapevolezza. Aggiungo che perché questa fusione possa avvenire, è

indispensabile una condizione: la simultaneità della percezione. Vedrò di spiegarmi più chiaramente

con un altro esempio, un processo analogo al vedere: il processo dell’udire. Voi sapete che la

percezione simultanea di un rumore da parte dei due orecchi, fra l’altro indica il punto spaziale di

provenienza del suono. Se la percezione non è simultanea, si ha un effetto eco, con perdita della

possibilità di individuazione del punto spaziale di provenienza, sicché la simultaneità della percezione

dà alla mente una consapevolezza che va oltre la somma delle informazioni ricevute. Tutto questo è

possibile perché la mente è una, nonostante svolga funzioni così diverse che potrebbero essere

prodotti di altrettante menti indipendenti, consegnate per la sintesi finale alla mente consapevole.

147

Come si suol dire la mente svolge più parti in commedia, crea più personaggi, ma è – e resta – una.

Direte voi: «Cosa c’entra questo discorso?». Ebbene, c’entra. Ho cercato di porre in evidenza tre

punti salienti e cioè: che nella sequenzialità appare diverso e molteplice ciò che in realtà è uno; che

nella simultaneità v’è fusione, che nella fusione v’è trascendenza. Invero nella sequenza temporale,

dove non esiste alcuna reale contemporaneità, gli uomini appaiono diversi e divisi; si può dire che la

molteplicità si mostra in senso orizzontale e verticale. Nella successione dei “sentire”, nel tempo del

“mondo degli individui” – come lo abbiamo chiamato – “sentire” analoghi sono contemporanei e, per

questa simultaneità si fondono. Nel non tempo, nell’assoluta simultaneità, tutto è comunione, fusione,

unità, trascendenza dalla molteplicità. Che ciò sia vero la stessa logica lo conferma; infatti se la

Realtà fosse costituita in senso pluralistico – per esempio alla maniera delle monadi di Leibniz –

impossibile sarebbe una corenza, tant’è vero che lo stesso Leibniz, per spiegare l’armoniosa

convivenza delle monadi, ricorre al concetto dell’armonia prestabilita. La verità è che la molteplicità è

un’apparenza, soggetto ed oggetto sono un’unica cosa, la stessa esistenza ha ciò che percepisce e

ciò che è percepito. Tutti i mistici di tutti i tempi e di tutte le religioni, con le loro visioni estatiche,

hanno colto l’unità materiale e spirituale dell’esistente, e se la nostra testimonianza può avere valore,

noi pure lo confermiamo ed aggiungiamo: come i singoli atti del processo della consapevolezza

sembrano prodotti di altrettante menti indipendenti da quella consapevole – mentre in effetti sono

funzioni diverse di una stessa mente – così i “sentire” relativi non sono che virtuali frazioni dell’unico

“sentire” che li sovrasta ed abbraccia tutti per il principio della trascendenza. E come la simultaneità di

distinte percezioni sensorie pone la mente in grado di superare la somma delle informazioni ricevute,

così “sentire” contemporanei si fondono e sfociano in un “sentire” che li trascende e così via. Ma

come la consapevolezza della mente, nella simultaneità della percezione, va oltre la somma delle

informazioni ricevute in forza della sua natura unitaria, così la trascendenza di Dio rispetto ai “sentire”

relativi deriva dal Suo essere Uno ed Eterno Presente. E come i singoli atti del processo della

consapevolezza risultano riassorbiti dalla sintesi finale, così noi in Realtà siamo un solo corpo, un

solo Spirito, un solo “essere” al di là di ogni apparenza.

Se non riuscite a capire questo, tutto quello che avete udito dai Maestri, dai Profeti, dagli Spiriti,

dai filosofi più illuminati, non è che una miscellanea priva di costrutto, di senso logico.

Pace a voi.

Kempis

Om mani padme om.

Salve, fratello caro, salve!

Il progresso porta, coi vantaggi, nuovi problemi. Ciò che si costruisce per rendere comoda la vita

dell’uomo, spesso si rivela fonte di scomodità. Ciò che si fa per renderlo indipendente non di rado lo

fa schiavo, ciò che si fa per facilitare la sua esistenza lo rende sempre più scontento. Il Buddha disse:

«Tutti i tormenti dell’anima umana traggono origine dal timore e dai desideri». Io vedo come la tua

serenità venga distrutta dalle tue ansie e dalle tue brame. Tu temi anche ciò che non è certo, ma

148

questo non è saggio. Tutto potrebbe accaderti! Ed allora, pensando a questa probabilità, vuoi rendere

la tua vita un solo timore? Chi non teme è libero. Pensa a quante cose ti rendono servo e a come

sarebbe importante per te poter usufruire di tutta la libertà di cui potresti disporre. La vera libertà non

sta nel poter appagare tutti i desideri, ma sta nel sottrarsi ad ogni influenza, prima fra tutte la

coercizione esercitata dal tuo desiderio. Devi essere così libero e forte da poter disporre di te stesso

in ogni momento. L’uomo forte, il più potente, è colui che sa comandare a sé medesimo. Puoi gloriarti

di comandare gli altri se non sai comandare a te stesso? Devi essere forte per servire; nell’auto-

controllo genererai l’ordine, e nell’ordine interiore la tua liberazione. Sempre la libertà si fonda

sull’ordine, ma l’ordine non può essere imposto. Chi affermasse il contrario in sostanza direbbe che la

libertà si fonda sulla coercizione: sarebbe in contraddizione con sé medesimo. La libertà dai tuoi

desideri non la puoi raggiungere violentando te stesso, reprimendo le tue brame, ma generando in te

quell’ordine che risulta dall’aver trasceso la radice dei tuoi desideri. Questo è vero non solo per il tuo

mondo interiore, ma anche per la società nella quale tu vivi. L’ordine sociale, e perciò la vera libertà, è

raggiungibile solo nel convinto adempimento dei propri doveri individuali. Ciò che devi raggiungere è

la convinzione che non puoi vivere solo per te stesso, che fai parte di una società la quale può avere

un assetto armonioso solo se i suoi membri posseggono una coscienza sociale. Fa che il tuo

desiderio sia il desiderio di tutti; chi nulla desidera per sé è il più ricco degli uomini perché ha già ciò

che gli altri cercano di raggiungere appagando i loro desideri.

Se desideri sapere, sappiti istruire, ma non istruire per essere considerato un Maestro e perciò

essere amato; piuttosto ama!

Non adorare i morti per quanto degni possano essere stati. Ama i vivi, ma non far dipendere da

essi la tua felicità. Infelice è l’uomo che fa dipendere dagli altri la sua gioia.

Non aver paura del dolore; se non sai nulla della sofferenza, cosa puoi sapere della felicità? Se

non hai patito un sopruso, cosa puoi sapere e come puoi amare la giustizia? Ricorda: l’uomo deve

conoscere la felicità e il dolore, il bene e il male, per essere al di là di essi!

Om mani padme om…

Fratello orientale

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Saluto caramente tutti voi, o figli, in particolare coloro che non possono sovente udire la nostra

voce così direttamente. Assicuro tutti voi, o figli, che la vostra presenza è costante nel nostro cuore; vi

seguiamo nella vostra esistenza di ogni giorno. Già sappiamo che cosa vi attende, quali sono i

problemi che dovrete affrontare, ma ricordatevi che importante per ciascuno di voi è l’affrontarli, siano

essi giusti o meno, ma sempre dovete agire, non restare tiepidi di fronte a ciò che la vita vi riserba.

Vi abbraccio tutti, caramente.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

149

29 Maggio 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli. Il nostro saluto e la nostra benedizione a tutti voi.

Abbiamo udito, miei cari, quello che avete detto all’inizio della vostra serata e ben volentieri ci

uniamo alle vostre espressioni, ben sapendo che questo giorno non è che un semplice ricordo, una

data convenzionale; ma dal momento che per voi rappresenta qualcosa, anche noi ci uniamo a ciò

che avete detto, in particolar modo nei riguardi del figlio Roberto, di coloro che fino dall’inizio hanno

seguito queste manifestazioni, di coloro che, invece, sono venuti ultimamente. E mentre ringraziamo i

vecchi amici per aver continuato, nel tempo, a tenere acceso questo centro di pensiero, ringraziamo

anche i nuovi venuti che, con le loro curiosità, la loro più fresca visione della cosa, il loro più vivo

entusiasmo, ci hanno consentito di approfondire argomenti che già, fino dall’inizio, avevamo

accennato ma che, come tutto, sono suscettibili sempre di essere maggiormente approfonditi e

chiariti.

E fra i nuovi, anzi nuovissimi ospiti, consentitemi di salutare anche da parte nostra il figlio

Gastone de Boni, il quale è certo un simbolo per l’idea del movimento spiritico. Ma io desidero

ringraziarlo e salutarlo particolarmente non perché egli è favorevole all’interpretazione dei fenomeni –

per lo meno di certi fenomeni – cosiddetti spiritici o medianici, ma perché nella sua vita egli ha

sempre tenuto fede a questa sua convinzione, anche quando la cosiddetta parapsicologia non era di

moda come è adesso, anche quando non faceva parte delle riunioni, della cultura: anzi, essere

studioso di questi fenomeni significava essere – in un termine forse un po’ secco ma che rende l’idea

– essere perseguitato. E quindi non perché – ripeto – egli creda nella spiegazione spiritica del

fenomeno, ma perché sempre ha tenuto fede al suo principio, senza mai scendere a compromessi. È

per questo che lo saluto veramente col cuore.

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato… e te stesso.

Vi benedico, figli, e vi lascio momentaneamente, con la viva preghiera di restare concentrati.

Dali

La Guida Fisica dice a de Boni di tenere fra le sue le mani del medium e spiega, più tardi, che

questo rende più difficoltoso il fenomeno. Dice a noi di restare concentrati pensando tutti al numero

150

uno. Chiede un bicchier d’acqua e dice al padrone di casa che stava per portarlo verso il medium, che

deve berlo lui, lentamente.

L’apporto è un cucchiaino da sale o da caffè che la Guida raccomanda a de Boni di tenere chiuso

fra le sue mani fino al termine della riunione, dicendogli: «Altrimenti parte si smaterializza da capo».

Salve a voi.

Questa sera vorrei limitarmi a fare delle semplici considerazioni, lasciando a voi trarre le

conclusioni che più vi sembreranno logiche. Il discorso che voglio fare riguarda la consapevolezza di

sé: il “sentirsi” d’essere.

L’uomo limita se stesso alla propria consapevolezza; l’antico “cogito ergo sum” solo ora comincia

ad essere rivalutato, o meglio ridimensionato, in seguito all’ipotesi che l’esistenza non sia tutta

contenuta nel pensiero consapevole. Ed in effetti l’essere va oltre il pensiero, oltre la facoltà di

pensare. Ma di fatto, nell’uomo comune, il senso della propria esistenza è ancora tutto legato all’io.

Perciò da qui noi dobbiamo cominciare. Non è la prima volta che ci interessiamo dell’io, altre volte ne

abbiamo parlato; ora da un punto di vista etico, ora analitico, fino ad affermare che nella struttura

dell’individuo l’io non esiste. Infatti se, come abbiamo detto la volta scorsa, in Realtà esiste solo

l’Unità, allora il senso dell’io, del sentirsi diversi e distinti, appartiene all’apparenza. Se in effetti siamo

un solo essere, allora il senso dell’io che si oppone al non-io non ha fondamento. «Ma – direte voi –

da questo punto di vista, dal punto di vista della Realtà oggettiva, null’altro esiste, oggettivamente se

non Dio; e perciò non solo non esiste l’io, ma neppure l’individuo inteso come ente reale, preso a sé,

distinto da ogni altro della medesima specie». Non c’è dubbio. Ma ciò che intendo significare è che,

pur restando nell’ambito del relativo e quindi del molteplice e del soggettivo, l’io non fa parte della

struttura dell’individuo, essendo un suo modo di concepire la Realtà, un’opinione derivante da

un’errata percezione del reale. Da ciò si comprende che con io noi intendiamo qualcosa di diverso

dall’io filosofico che sta a designare il soggetto pensante e cosciente delle proprie modificazioni; o

dall’Ego della psicoanalisi inteso come principio della coscienza, su cui agiscono le due forme

inconscie “Es” o “Id”, ossia le tendenze ereditarie ed istintive, e il super-io, ossia il complesso delle

regole morali. Per noi l’io è il principio della consapevolezza contenuto – o se preferite – non ancora

liberato da una concezione dualistica della Realtà. Dicendo che l’io non fa parte della struttura

dell’individuo, intendiamo significare che il principio della consapevolezza può esistere – o meglio

ancora: è votato ad esistere – al di là della concezione io non-io. Per noi – ancora una volta lo

ripetiamo – l’individuo non è un io che “sente”, ma un insieme di “sentire”.

Allora, da che cosa nasce il senso dell’io? È chiaro che parlare di io, significa parlare di livello di

evoluzione umano. Nel superuomo – cioè in colui che ha già lasciato la ruota delle nascite e delle

morti – non esiste più l’io, ma ciò non significa che non esista la consapevolezza di sé. L’io nasce

innanzi tutto dalla limitata percezione che l’uomo ha; ossia dal ristretto campo della sensibilità

ricettiva. Se l’uomo ha fame, non si sfamerà vedendo mangiare un altro. Da ciò nasce la convinzione

che il proprio essere non si estenda oltre la possibilità di ricezione consapevole. Nasce la distinzione

151

fra ciò che colpisce direttamente e quello di cui non si ha cognizione. V’è poi il ricordo che, tenendo

ben presenti le esperienze consumate ed i limiti entro cui esse toccano, contribuisce a ben

identificare il campo della propria ricezione e quindi alimenta, così, il senso di separatività. Inoltre il

ricordo crea la continuità dell’io nel tempo: «La tal cosa è accaduta a me…».

Ora, se voi pensate a quando eravate dei fanciulli, voi pensate ad un dato momento della vostra

esistenza; eppure i fanciulli che eravate, erano ben diversi dagli uomini che siete. V’è differenza nelle

azioni, negli interessi, nei desideri, nelle emozioni, quasi che si trattasse di un altro essere; ma il

ricordo vi garantisce che si tratta di voi stessi. Se qualcuno vi dicesse che avete avuto una vita in

precedenza all’attuale, certamente questo fatto vi incuriosirebbe, ma la prova di ciò potrebbe venirvi

solo dal ricordare quella vita. Eppure quante azioni di questa attuale esistenza non ricordate e non v’è

dubbio che voi le avete compiute! Dunque il ricordo, che secondo voi garantisce la continuità del

vostro essere, quando manchi, non prova che questa continuità non vi sia. Se parlo del ricordo, è

perché voi date tanta importanza ad esso al fine della identificazione di voi stessi. Il ricordo, come ho

detto, vi garantisce che voi continuiate nel tempo. Ma è un errore collegare se stessi al ricordo; la

continuità sta nello stesso “sentire” d’essere, nell’essere in sé che non cessa, e non può cessare

d’essere. Il ricordo perisce, si può anche dimenticare chi si è o chi si è stati, come nei casi di totale

amnesia; ma il “sentirsi” d’essere non cesserà mai. E questo “sentirsi” d’essere non è destinato a

perire come perisce il ricordo, ma ad ampliarsi sempre di più, fino a sussistere indipendentemente dai

pensieri, dai desideri, dalle sensazioni; anzi, nel silenzio di questi, ad espandersi talmente da

abbracciare tutto quanto l’io esclude: il non-io.

La vostra esistenza futura, quindi, non prevede la continuazione delle vostre limitazioni, della

ristretta concezione dualistica che voi avete della Realtà, dell’io che è limitazione; ma l’espansione del

vostro essere, l’effusione, la comunione con tutto quanto esiste.

Ora, se la considerazione che il non ricordare un dato momento della propria esistenza, non

significa che quel momento non sia stato vissuto, la si sposta dal ricordo alla consapevolezza del

presente, se ne deduce che il fatto che nel presente non si sappia o non si “senta” qualcosa, non

significa che questo “qualcosa” non faccia parte di se stessi. In altre parole: premesso che l’essere

uomo va ben oltre l’io, sia inteso come soggetto pensante che come principio della consapevolezza,

perché l’essere ha una parte inconscia e ciò è ormai universalmente accettato – tanto che si stima la

parte inconsapevole assai più grande di quella consapevole – vi domando fino a che punto è vera ed

è giusta la concezione che si ha della realtà, basata unicamente sul ricordo e sulla consapevolezza

del presente? Può nascondere, quella parte inconscia dell’essere qualcosa che modifichi totalmente

la concezione della realtà secondo lo schema io non-io? E che cosa vi accadrebbe se – come dopo il

trapasso vengono ritrovati i ricordi di precedenti incarnazioni – ad un dato punto della vostra

esistenza di individui trovaste non la consapevolezza d’essere stati qualcun altro, ma la

consapevolezza d’essere qualcun altro? Che so! D’essere l’aggressore e l’aggredito, d’essere

insomma tutto quanto una concezione ristretta, che voi avete attualmente, vi fa escludere di essere?

D’essere io e non-io? Meditate su questi interrogativi. Vi aiuteranno ad avvicinarvi ad un nuovo modo

152

di concepire la realtà.

Ed ora facciamo, molto brevemente, il punto della situazione, di ciò che abbiamo detto fino a qui:

Dio è il Tutto-Uno-Assoluto. Questo significa non solo che tutto quanto esiste è in Dio e fa parte di

Dio, ma che Dio è “Coscienza Assoluta”, in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell’Unità. Non si

intenda però con questo che Dio sia un ente che sovrintende, che sta più in alto. Badate bene: è

molto meno errato credere che Dio sia uno stato di coscienza, piuttosto che pensarlo come una

persona. Infatti da sempre noi vi abbiamo detto che Dio è Coscienza Assoluta. Ma voi avete preso

questa affermazione come se Dio fosse un essere che avesse una Coscienza Assoluta, così come

potrebbe avere un bel sorriso. No, miei cari! Non è l’essere che ha la coscienza, ma l’essere è la

coscienza, o viceversa. È ben diverso, pensateci bene. Se il tutto è considerato prescindendo

dall’Unità, appare la molteplicità, compaiono gli esseri, i mondi, il divenire. Ma il divenire non è reale

perché è l’apparenza di una parte della Realtà-Unica-Totale, ossia di Dio. Tuttavia affermare che il

divenire è un’apparenza, non spiega come è fatta salva l’immutabilità di Dio, in mancanza della quale

Dio non sarebbe Assoluto. Bisogna che quanto a noi appare come divenire, come futuro, come

probabilità che non è realizzata ma che si realizzerà, esista già; e non come idea archetipa, ma come

realtà vivente e palpitante quale sarà vissuta. Altrimenti Dio, che tutto comprende, muterebbe col

mutare del divenire, dei mondi. Ed eccoci all’insegnamento dei fotogrammi con cui abbiamo spiegato

che ciò che vi appare come divenire, come probabilità che si realizzerà, esiste già tutto contenuto in

serie di situazioni cosmiche fisse nel non tempo, nell’Eterno Presente, così come l’azione viva e

palpitante che si osserva in un film, è contenuta nei fotogrammi della pellicola. E questo concetto –

figlio Gastone – non è in contraddizione con la libertà relativa, e abbiamo spiegato questo parlandovi

della serie di situazioni cosmiche parallele, cioè delle cosiddette varianti. Allora quando un veggente

di provata capacità sembra sbagliare la sua previsione, non ha sbagliato veramente e propriamente,

in quanto si è collegato alla situazione cosmica parallela, alla variante nonn vissuta dalla generalità.

Ma su questo argomento potremo tornare più profondamente, se vi interesserà. E come il divenire dei

mondi è tutto contenuto in serie di situazioni cosmiche fisse nell’eternità, così l’evoluzione degli esseri

non è un divenire, risulta da serie di “sentire”, virtuali frazioni dell’unico “sentire”, uniti in successione

logica dal più, semplice al più complesso. Ogni essere, considerato nella sua continuità, è una serie

di “sentire”. Il senso dello scorrere e della continuità risiede nella natura stessa del “sentire” che, se

pur limitato, è coscienza d’essere, non consapevolezza. V’è una differenza fra la coscienza d’essere

e la consapevolezza dell’uomo. Se noi prendiamo in esame un essere, uno Spirito, un’individualità, la

vediamo tutta contenuta fra due estremi: da una parte l’atomo del “sentire”, il “sentire” più semplice,

quello che non risuona se non è collegato al mondo fenomenico della percezione; dall’altro il “sentire”

più complesso. Qual è il “sentire” più complesso? Ovviamente il “Sentire Assoluto” che tutto

comprende, che è essere uno ed essere tutto al di là del virtuale frazionamento che genera i mondi

ed il loro divenire. E siccome il “sentire Assoluto” è unico – e non potrebbe essere diversamente – ne

consegue che ogni essere ha in comune, per lo meno, questo “sentire”. Ma siccome il “Sentire

Assoluto” tutto comprende, ne deriva che noi siamo in realtà un solo essere. Badate: l’esistenza di

153

Dio è conciliabile con la molteplicità dei mondi e degli esseri in un solo modo e con un solo concetto:

che Dio sia uno stato di coscienza in cui tutto è fuso e trasceso nell’Unità. Se questo è vero, anche

solo per approssimazione, ne consegue logicamente e necessariamente:

1. che niente può essere escluso da questa comunione, del resto già esistente da sempre

nell’Eterno Presente;

2. che ogni essere raggiunge Dio altrimenti non potrebbe essere realizzata l’Unità, ossia non

esisterebbe Dio;

3. che Dio è, raggiungo senza che ciò origini più di un Assoluto.

Fratelli, da sempre vi abbiamo detto che tutto è un aspetto di Dio, ma questo significa, in altre

parole, che Dio è la reale condizione d’esistenza del Tutto.

Pace a voi.

Kempis

Om mani padme om.

Salve, fratello caro, salve!

Tu vivi in un mondo in cui è facile venire in contatto con le molte ideologie; di fronte a questa

grande varietà di pensiero, saggio è essere tolleranti, riconoscere a tutti il diritto di pensare e di

credere liberamente. Hai mai meditato come la tua tolleranza sia più grande quanto meno siano

toccati i tuoi interessi? E come ti sia più facile essere tollerante con i morti che non con i vivi. Tu suoli

tenere delle immagini sacre con l’effige di grandi pensatori scomparsi, per mostrare con ciò tutto il tuo

rispetto, la tua ammirazione, la tua devozione per quelle persone. Ma se esse tornassero in vita e, in

qualche modo, condannassero ciò che pensi e come vivi, che fine farebbero quelle immagini? Saresti

così tollerante da continuare ad amare ed apprezzare quelle figure?

Ciò che gli altri pensano o fanno, è da te tollerato in misura diversa, secondo che gli altri siano

conoscenti, parenti, amici o famigliari. Quanto più gli altri sono tuoi intimi e quanto meno sei disposto

a tollerare che essi non condividano i tuoi principi. Tu giustifichi il tuo strano comportamento

affermando che fra chi conosci senti maggior senso di responsabilità, verso chi è più vicino. Così la

tua tolleranza si chiama piuttosto indifferenza. Che senso ha assumersi delle responsabilità solo

verso chi si conosce, sentirsi in dovere solo verso chi si ama? Se un tuo fratello ha bisogno di aiuto,

lo ha che tu lo frequenti o meno, e che cosa cambia della sua situazione per il fatto che lo conosci, se

pur conoscendolo non l’aiuti?

Quando una calamità si è abbattuta su un gruppo di persone, e vieni a sapere che chi conosci è

rimasto incolume, tiri un sospiro di sollievo come se niente fosse accaduto; ma chi ha posto questi

strani limiti al tuo interessamento? Sono essi reali o convenzionali e crudeli?

Tu credi di dimostrare la tua grande tolleranza predicando l’eguaglianza fra tutti gli uomini, a

qualunque Nazione, religione, ceto sociale essi appartengano e non comprendi che la stessa idea di

154

Nazione, ceto sociale, religione è in se stessa crudele. Essere tolleranti non significa essere

indifferenti, cessare di vivere. Tu difendi così bene la tua indifferenza – che credi di sublimare

chiamando tolleranza – che quando odi una verità scomoda, la distruggi intellettualizzandola; così il

tuo intelletto e le tue opinioni divengono i tuoi distruttori. Se poi ciò che odi va contro la verità che la

tua religione professa, tu non ascolti giustificandoti col dire che chi parla è certamente ispirato dalle

forze del male, e non comprendi che così facendo tu sei preda del maligno, ossia dell’errore.

Ascolta ciò che gli altri dicono, non essere indifferente. Sii freddo o caldo. Tu non sei né questo

né quello perché temi di perdere or l’una or l’altra occasione; così permani nella stagnazione della tua

indifferenza; cessi di vivere, perdi l’occasione di comprendere e la profondità del tuo pensiero. Ma io ti

dico che solo laddove è profondità di pensiero e di sentimento vi è la pienezza della vita.

Om mani padme om.

Fratello Orientale

Figli, Claudio vi saluta.

Molti di voi pensano che il progresso conduca gli uomini alla realizzazione di se stessi; che il

Regno di Dio sia una perfetta organizzazione sociale in cui tutti i bisogni degli uomini trovino pronto

appagamento. Sappiate invece che ciò che è conosciuto come realizzazione dell’uomo, vita del

superuomo, non appartiene al mondo dei fenomeni e della percezione. Che cosa significa questo? La

percezione si fonda sul gioco dei contrari: la luce l’ombra, il caldo il freddo, il bene il male. Secondo la

personalità che rivestite, siete attratti or da vita spirituale, or da quella materiale. Ma appena avete

raggiunto un estremo, subito il suo opposto vi richiama a sé. Così giacete preda del conflitto dei

contrari e non comprendete che la Realtà sta al di là, sì, del male e dell’odio, ma anche del bene e

dell’amore intesi come opposti di qualcosa. Ciò che è sperimentabile in se stesso e nel suo contrario

appartiene al mondo dei fenomeni e della percezione. Solo l’essere, l’esistere non hanno contrari;

nessuno può sperimentare il non essere, il non esistere, il nulla. Ma arduo è spiegare che cosa

intendiamo per “sentire”, “sentirsi” d’essere; tanto arduo quanto inutile, forse. Solo chi l’ha provato

può comprendere. Taluni lo sogliono paragonare o definire come amore nella sua forma più elevata di

altruismo; ed in effetti il “sentire” è una lucida constatazione d’essere uno con tutto quanto esiste e

perciò assimilabile alla spinta altruistica che infiamma certe creature. Ma questa, a paragone del

“sentire”, è una pallida sensazione. Sinché si è presi dal conflitto dei contrari, sinché il senso dell’io

esiste, si è nella separatività che crea i molti. Allora si chiama amore quella spinta verso gli animali, le

persone, il divino. Ma se si pensa agli altri sia pure per far confluire ad essi tutto il proprio anelito di

bene, il proprio amore, come ad esseri da sé distinti, non si ha quel “sentire” di cui noi vi parliamo. Il

vero “sentire” non conosce né cose, né persone, né soggetto ed oggetto. Non è amore verso gli altri o

verso tutti, ma è un’interezza in cui non v’è separazione. Il “sentire” è un’estasi in cui si è tutt’uno con

gli altri, in cui è totalmente trasceso il mondo dei fenomeni, dei contrari, della percezione.

Pace.

Claudio

155

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Veniamo per chiudere questo incontro che è l’ultimo di questo ciclo. Non abbiamo certo raggiunto

una conclusione del nostro insegnamento. Pensiamo che solo adesso possiate cominciare a vedere

un nuovo orizzonte, un nuovo modo di concepire la Realtà. Cerchiamo di portarvi a questa posizione

gradualmente perché, vedete, miei cari, non dovete pensare che la vita futura che vi attende sia

quella di uomini ingigantiti, che conservano tutte le caratteristiche umane che ora avete. Fra la vita

dell’uomo e del superuomo – cioè di colui che ha lasciato la ruota delle nascite e delle morti – v’è

tanta differenza quanta può esservene fra la vita dei regni naturali e la vita dell’uomo; forse ancora di

più.

Vi benedico ed abbraccio tutti e vi invito a meditare e riflettere su quello che durante questo ciclo

di incontri avete udito, cosicché possiamo continuare il nostro discorso.

Pace a tutti coloro che questa sera non sono presenti, ma che egualmente ci hanno pensato.

Pace a tutti.

Dali

156

Ciclo 1976-1977

20 Novembre 1976

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari; vi prego di non lasciare la catena.

Riprendiamo questi nostri incontri in un momento in cui gli eventi umani sembrano volgere al

peggio, in cui sorgono da molte parti grida di allarme; sembra, e forse in parte è vero, che tutto vada a

scatafascio e che nessuna speranza vi sia per l’uomo di oggi. In questa ridda di opinioni allarmanti e

di grave preoccupazione alla quale vostro malgrado siete trascinati, mai come ora vi preghiamo di

tenere presente il nostro insegnamento, o figli, mai come ora vi invitiamo ad essere fiduciosi,

soprattutto a non fidare in un uomo del destino: l’uomo del destino è ciascuno di voi, o cari, perché

ciascuno di voi da solo può essere l’artefice della serenità, della tranquillità, dell’equilibrio, della

giustizia, del retto vivere ed operare della società. Quante volte abbiamo ripetuto che la società è fatta

di individui e che nessuna legge, nessuna imposizione, nessun ordine imposto può valere la

coscienza individuale. Cominciate quindi da voi stessi, dalla vostra famiglia, dalla vostra vita a portare

ordine ed equilibrio; cominciate dal vostro mondo a far regnare la giustizia, la serenità. Questo è

l’unico rimedio veramente valido che possa ricondurre la società umana su un binario più tranquillo e

di maggior serenità. Non ho altro da aggiungere, per il momento, se voi non avete delle domande da

fare, beninteso.

Vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

…la simpatia che l’uomo ha nei confronti dell’animale, che fra tutte le specie è quella che più gli

si avvicina, si dice risieda nell’intelligenza. Io sostenevo che stava anche nella libertà, ossia nel minor

condizionamento che ha l’uomo rispetto a quello che hanno gli animali per i loro istinti naturali. Nella

nuova dimensione in cui mi sono ritrovato dopo la mia morte, mi sono reso conto di quanto questa

mia affermazione fosse relativa. Prima di tutto ho capito che il condizionamento non è un fattore

negativo: lo sviluppo costituisce parte integrante dell’esperienza qualunque essa sia; questo è vero

157

per l’animale e per l’uomo. Cambia solo la natura dell’esperienza ma la regola è la stessa:

l’esperienza nasce nel momento in cui l’individuo si scontra con i suoi condizionamenti ed in qualche

modo li supera. Poi ho capito come sia relativa la libertà dell’uomo; per questo mi sono servito di un

termine di raffronto. Esiste una stretta analogia fra la possibilità che ha un organismo di svilupparsi in

un certo senso liberamente, supponiamo ipoteticamente le api, e la possibilità che ha l’uomo di agire

liberamente. Prima di tutto, per il fatto stesso di appartenere ad una specie, l’organismo ha certe

caratteristiche che ovviamente non sono quelle di un altro organismo appartenente ad una specie

diversa. Queste caratteristiche sono dei punti obbligati, dei fattori fissi, che condizionano i tratti

somatici e quindi la libertà di sviluppare in una certa direzione. Ma altri condizionamenti esistono e

sono: tratti somatici della razza, del ramo, del ceppo, della famiglia; dati somatici, questi, tutti

ereditari. Senza contare quelli che pur non essendo ereditari ma dipendenti dall’ambiente, come quelli

che originano le varietà, condizionano egualmente la libertà di sviluppo di un organismo. Perciò si

capisce che questa libertà di sviluppo è tutta contenuta nel ristretto ambito delle possibili variabilità;

ossia è al di là di quella particolare condizione di caratteri trasmissibili dalla via ereditaria che

costituisce la quasi totalità delle linee di sviluppo obbligate. Considerando solo le leggi biologiche in

senso stretto, ossia, a prescindere da quella influenza psicosomatica con il quale sempre bisogna

fare i conti. In modo analogo la libertà dell’uomo è condizionata dai Karma della specie, della razza,

della famiglia – non intesa, ovviamente, in senso biologico – e dai Karma propri. Da ciò si capisce che

la libertà di cui può usufruire un uomo è poco più di un affermazione di principio.

Entità Ignota

Claudio vi saluta.

Al fine di comprendere voi stessi considerate quanto siate condizionati dai modelli che la società

impone. Tale condizionamento vi spinge ad imitare quei prototipi e fa di voi degli apostoli, degli

attivisti del conformismo. Il conformismo è così radicato nell’uomo di oggi che solo gli

anticornformisti… che gli anticonformisti sono degli spostati, e chi non si conforma è considerato un

anormale; e per il timore del giudizio sfavorevole, della disarmonia in famiglia vi conformate alle

opinioni comuni, agli usi, ai costumi della società. La religione, la morale e la politica contano sul

vostro conformismo. Conformandovi esse sperano di condizionarvi e così sfruttarvi, perché il vero

scopo di ogni vera organizzazione politica e religiosa è quello di sfruttarvi per divenire più influente, e

perciò più potente. A vostra volta, come ho detto, con i vostri silenzi – o peggio, con il vostro

ostracismo – con il giudizio sfavorevole verso gli anticonformisti divenite dei missionari del

conformismo; siate liberi, consapevoli che la forma acquista importanza laddove mancano i contenuti.

Il vostro riconoscervi in un partito, in una religione, alimenta la separatività, la parzialità, incrementa il

vostro conformismo. Il conformismo impedisce all’uomo di agire secondo la sua vera natura, lo rende

ipocrita, incapace di comprendere chi liberamente si esprime; conformarsi alle idee altrui è uccidere la

propria creatività. Non crediate che io stia incitandovi all’anticonformismo, che è quasi sempre una

moda; sto incitandovi a comprendere voi stessi; agire perché così va fatto, denota vuoto interiore,

158

così come andare contro le consuetudini sociali per destare l’altrui attenzione significa voler imporsi

agli altri e riconoscere di non avere altri talenti per poterlo fare altrimenti. Badate bene: io non giudico

alcuna condotta, ne ricerco solamente le ragioni. Anzi, vi spingo ad agire secondo ciò che “sentite”,

perché è lecito violentare se stessi solo per non danneggiare gli altri.

Pace a voi.

Claudio

Pace a voi.

La legge dell’impenetrabilità dei corpi ha consigliato a suddividere in due gruppi la vostra

affluenza a queste riunioni. Ribadisco che questo non significa una frattura della cerchia, tant’è vero

che questa sera cercherò di rivolgermi non solo a voi che qua siete presenti, ma anche a coloro che

non lo sono; cioè, particolarmente agli amici di vecchia data per rievocare assieme a loro non fatti e

persone, ma certi concetti. Vogliamo sfogliare assieme l’album dei ricordi per constatare quanto

abbiate modificato certi concetti e come certe parole di sempre rivelino oggi significati nuovi.

La prima cosa che confermammo con le nostre comunicazioni fu la sopravvivenza dell’uomo alla

morte del suo corpo. A ben pensarci, oggi, sapendo quanto remota sia la parte che sopravvive

rispetto all’effimera personalità umana, pare più prossimo al vero chi neghi la sopravvivenza piuttosto

di chi l’affermi. Influenzata dall’idea di un’imperitura integrità dei caratteri essenziali dell’uomo,

risultava la verità della reincarnazione, intesa come se l’uomo fosse chiamato a recitare, in vite

successive, varie parti, dimenticando ogni volta chi era stato, ma rimanendo sempre essenzialmente

se stesso. In modo analogo l’evoluzione era intesa come un perpetuo divenire che faceva crescere

l’uomo in una sorta di gerarchia spirituale, intesa come una progressione in carriera, conferentegli

mansioni di sempre più vasta importanza nei riguardi degli esseri meno evoluti. Chi di voi non si è

visto proiettato nel futuro come un se stesso cresciuto d’importanza ed in conoscenza, senza pensare

ad un eventuale cambiamento del “sentire”, ossia un cambiamento del proprio essere? Allo stesso

modo la legge di causa e di effetto era apprezzata solo quale strumento di giustizia. Questo concetto

– pur risultando superiore all’altro secondo il quale il dolore era distribuito da Dio, non si sa bene con

quale criterio e per quali fini – tuttavia non contemplava l’intera verità della legge di causa e di effetto,

verità che è anche quella di riportare sul giusto cammino della comprensione l’individuo. Ricordate

quando credevate che l’emanazione di Spiriti, da parte di Dio, fosse continua per tutto il periodo della

manifestazione? Devo però rilevare a vostro vantaggio che nel quadro di una perfetta eguaglianza

degli esseri e di una scrupolosa giustizia nei loro confronti – quadro che non vi avevamo prospettato –

voi non comprendevate come in seno ad una stessa razza di anime, ad uno stesso scaglione,

potessero verificarsi sensibili disparità di evoluzione.

Oggi voi sapete che in effetti nessuna diseguaglianza esiste fra gli esseri; “sentire” analoghi

vibrano simultaneamente, e la differente evoluzione che si può riscontrare fra protagonisti di una

stessa vicenda dei piani grossolani, si spiega con la non contemporanea percezione di quella vicenda

da parte dei suoi protagonisti. Ossia i diversi livelli di evoluzione individuale degli esseri dei piani

159

grossolani si riconducono ad una perfetta eguaglianza nel piano del “sentire”, dove ciascuno

cammina di pari passo con i suoi simili. E, così, abbiamo approfondito altri concetti.

Mi piace, però, soffermarmi su un ultimo ricordo: la nostra esistenza nei confronti di Dio. Forse

l’approfondimento più grande che abbiamo operato ed al quale poniamo tuttora mano, è proprio in

questo concetto di come dobbiamo vederci nel nostro futuro esistenziale. Come ho detto, ciascuno di

voi pensava a se stesso come ad un essere destinato a crescere, a crescere a dismisura, rimanendo

essenzialmente se stesso.

Amche l’amore ai fratelli era visto come un sentimento che si doveva avere nel quadro di

un’acquisita divinità, sentimento e divinità che lasciavano però ciascuno ben diviso dagli altri.

Se limitiamo noi stessi alla percezione delle singole fasi della nostra esistenza, di quale futuro

possiamo parlare? Noi, quali ci sentiamo, non sopravviviamo ad un attimo. Noi come personalità non

andiamo oltre una vita, noi come “sentire” individuale non siamo che un momento del “sentire”

dell’individualità, noi come individualità non oltrepassiamo un Cosmo. Allora di quale futuro

esistenziale possiamo parlare? In qualunque modo vogliamo considerarci, mai siamo gli stessi, ogni

attimo siamo un essere diverso, perciò se per sopravvivenza s’intende la continuità dello stesso

essere immutato, la sopravvivenza non esiste. Di più: se la molteplicità è un’apparenza, noi esistiamo

solo nell’illusione, non siamo nella Realtà Assoluta come individui da Dio distinti: la Realtà Assoluta è

solo Lui.

Riflettiamo: chi siamo noi se non “sentire” relativi che apparentemente si susseguono l’uno dopo

l’altro, l’uno diverso dall’altro? Noi nasciamo nella separatività, che è un’illusione, e troviamo una

continuità nel divenire, che è ancora un’illusione. Ma poiché l’illusione per propria natura è un

processo della limitazione, cioè limitato, cioè finito, cioè che finisce, che ne sarà di noi? In realtà

esiste solo Dio. Ciò che dall’illusione è costruito, con essa si dissolve. Dunque, quello spettro che

ogni uomo vede ad attenderlo alla fine della propria esistenza e che continuamente gli si para dinanzi

minaccioso, richiamato alla memoria da mille occasioni nel dì e più terrificante nella notte, lo spettro

della morte che l’uomo ha creduto di sconfiggere inventando la sopravvivenza, gli appare forse ora

inesorabile, quale sentenza passata in giudicato? Forse che qui miseramente naufragano gli infantili

sogni dei mendicanti d’essere in realtà figli di Re? D’essere chiamati ad una gloria eterna, di veder

rifulgere la propria immortalità?

Nelle antiche scuole di iniziazione, gli iniziandi erano sottoposti alla prova dell’aria, dell’acqua,

della terra e del fuoco, perché vincessero la paura e se stessi. Io vi chiedo una sola prova, ma che

per difficoltà le supera tutte: siete voi tanto forti e coraggiosi da credere alla morte vera? Gli atei lo

sono. Debbo concludere che voi credete per paura e per egoismo? In altre parole, avete trasceso l’io

egoistico e personale tanto da pensare alla sua fine rimanendo sereni? No? Bene! Credete che il

divenire non finisca mai e che con il suo perenne scorrere si realizzerà la vostra perpetua esistenza.

Ancora l’illusione per tenervi in vita. E chi non sa rinunciarvi, più oltre non ascolti.

Ma chi vuol conoscere la verità deve essere disposto a morire nel vero senso della parola,

convinto che con la morte tutto finisca: morte senza possibilità di sopravvivenza. Solo se è disposto a

160

tanto ricerca la verità per la verità e non per accrescere se stesso. Sì, fratelli, ve lo ripeto:

rassegnatevi. Noi finiamo perché finiscono tutte le nostre debolezze, i nostri vizi, il nostro soffrire, il

nostro sentirsi ed imporsi diversi dagli altri, la nostra crudeltà, il nostro egoismo, perché questi siamo

noi oggi e finendo questi, noi finiamo! Capite che cosa intendo? Mi preme che voi lo comprendiate.

Non ci limitiamo ad enunciare delle verità, cerchiamo di renderle a voi accessibili. Ciò che vi dicamo

del vostro futuro non è una semplice – per quanto fondata – supposizione di ciò che sarà; il futuro

esiste già, niente noi abbiamo da supporre. Ma non è neppure la fedele descrizione di ciò che

constatiamo – la qual cosa potreste e non potreste credere – è anche, insieme, la spiegazione del

perché non può essere che così. Comprendo la vostra obiezione, voi dite: «Tu stai parlando di Dio.

Come Dio può essere raggiungibile dalla ragione?». Se dico che Dio è infinito, esprimo un concetto e

voi capite che cosa intendo, anche se non potete sperimentare l’infinità di Dio. Se dico che Dio è un

“sentire” esprimo una realtà che non è raggiungibile, sperimentabile dall’intelletto, ma esprimo anche

un concetto che è raggiungibile dalla ragione. Se dico che Dio è uno stato di coscienza in cui il Tutto

è fuso nell’Unità, non vi do la possibilità di sperimentare questo stato di coscienza, ma vi do l’unico

concetto che possa conciliare l’esistenza di un Dio Assoluto, eterno, infinito, immutabile, onnisciente,

onnipresente, onnipossente, completo, perfetto, eccetera eccetera, con la molteplicità degli esseri e

dei mondi. Se Egli è la sola Realtà Assoluta, ne discende che noi esistiamo solo nelle varie realtà

relative. Ciascuna realtà relativa è sempre soggettiva, come ho creduto di spiegare nello scorso ciclo

di riunioni.

Che cosa significa “soggettiva”? Che dipende dal modo di pensare e di “sentire” di un soggetto,

dice il dizionario. In effetti non esiste un soggetto che “sente”; il soggetto è il “sentire” stesso e

rappresenta ciò che esprime, o se preferite, la parte dell’Unica Realtà che esprime; essendo una

parte, è dunque un “sentire” limitato. Ma come può realizzarsi la limitazione di un “sentire”, se non nel

“sentirsi” di essere limitato? E come può “sentirsi” limitato un “sentire” se non fosse in qualche modo,

subordinato alla sequenzialità ed alla separatività? Ossia ad un tempo ed uno spazio posti come

oggettivi? Ciò che è oggettivo appare soggettivo allorché è posto oggettivo un soggettivo. È questo il

modo con il quale è realizzata la limitazione del “sentire”, limitazione che, se fosse reale,

smembrerebbe il Tutto in un numero indeterminato di frammenti, ciascuno dei quali fine a se stesso,

ammesso anche che così potesse esistere… Perciò il modo con il quale è realizzata la limitazione del

“sentire” fa sì che questa limitazione non sia reale.

Il rivelarsi come proveniente “da” e tendente “a”, è questo modo che limita e lega ciascun

“sentire” all’altro, creando gli esseri; ma al tempo stesso conduce gli esseri nella fusione del Tutto,

acciocché la limitazione non sia reale. Sì, fratelli, al di là delle nostre limitazioni, dell’essere o del

credere d’essere in un certo modo, al di là di ogni trasformazione che sembra subiamo, permane una

continuità nel “sentirsi” d’esistere che è la vera sopravvivenza. Questa continuità conduce ognuno a

riconoscersi uno col Tutto, ossia quello stato di coscienza chiamato Dio, dal quale nulla e nessuno

può mai essere uscito, tornare o dipartirsi al di là del tempo. Dopo la morte che avete accettata, ecco

dunque la resurrezione: essere Lui che non può certo esprimersi in un “io sono”; coscienza d’essere

161

al di là di ogni separazione, di ogni divenire; supremo “sentire” che non conosce distinzione alcuna:

eternità.

Che cosa sono la luce e l’ombra, il bene e il male, l’io e il non-io, se non contrarie polarità in forza

delle quali esistiamo? Dolore, gioia, libertà, schiavitù, vita e morte, opposti fra cui si libra, incerto e

soffocato, un “sentire” che è il seme della divinità, ed è quello che conduce ogni essere a Dio, oltre

ogni contrasto, ogni separazione, ogni limitazione.

Ma allora, dopo avervi prospettato la vera morte, vi ho forse dato quello che mai nessuno ha

osato darvi, vi ho forse fatto credere che voi siete Dio. No, noi non siamo Dio, noi quali ci sentiamo,

non sopravviviamo ad un attimo perché ogni attimo siamo un essere diverso: ma la continuità del

nostro “essere, legando l’un attimo all’altro, va oltre l’illusorio succedersi di essi e ci conduce di fronte

all’unica realtà nella quale non possiamo che riconoscerci: Lui, perché Lui tutto comprende, Lui, in cui

si è Tutto e si è Uno nell’Eterno Presente. Lui, che è la vera natura di noi stessi, la reale condizione

d’esistenza del Tutto.

Se allora io e voi in Lui ci identifichiamo, ci riconosciamo, chi sono io, e voi chi siete?

Kempis

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Vengo per concludere questa riunione pregandovi di andare oltre il tono provocatorio del Fratello

Kempis, usato a bellaposta per stimolarvi a comprendere che cosa egli veramente vuole significare.

Saluto voi tutti, cari, ricordandovi sempre di non dare eccessiva importanza ai fenomeni, altrimenti ci

costringete a non produrli più.

Saluto anch’io di buon grado e molto volentieri i vecchi amici… gli amici di vecchia data – come li

ha chiamati Kempis – che qua per la maggior parte non sono presenti questa sera, e porgo il mio

benvenuto ai nuovi; il mio caloroso abbraccio e la mia benedizione a tutti voi.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

D. – Ci puoi dire quando, Dali?

R. – Fra quattro settimane.

Dali

162

18 Dicembre 1976

Cha la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti

voi, o cari.

Noi vi abbiamo parlato della differenza che esiste fra l’intuizione e la fantasia. Quando

all’intuizione si sostituisce la fantasia e con essa si pretende di captare la realtà, si originano quelle

favole che dagli uomini sono ritenute simboli della verità, ma che in effetti non lo sono; o quando la

verità la si cela troppo nei simboli ed a questi troppo si rimane attaccati, o figli, succede che gli uomini

si combattono a vicenda per imporre le loro fantasiose interpretazioni; e così nascono le guerre

religiose. Nessun paradosso maggiore può esservi di coloro… di quello che divide due popoli in nome

della verità; quale senso può avere combattersi per volersi imporre, e voler imporre gli uni agli altri il

possesso del vero? Oh figli nostri, noi confidiamo che voi non cadiate mai in questo triste errore. Le

religioni che si distinguono e desiderano distinguersi per la loro dottrina sono come tanti uomini che

credono di essere diversi gli uni dagli altri solo perché il loro abito è diverso. Quanto più una religione

si diversifica – e tende, e vuole diversificarsi – tanto più lontano è dal vero. Stolti coloro che non

comprendono la base unica che sta nelle religioni; stolti coloro che perdono lo spirito di ogni religione.

La presente epoca, o figli, è caratterizzata da una grande razionalità ed essa è stata determinata dal

fatto che gli uomini, nei secoli scorsi, hanno sostituito all’intuizione la fantasia, facendola correre a

briglia sciolta. Era quindi necessario, per scevrare tutto quanto sta nella cultura degli uomini, era

divenuto loro pensiero famigliare, tornare al positivismo, al razionalismo. Ma voi che qua siete

presenti, che ci seguite da tempo, dovete comprendere che questa grande razionalità che sembra

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colorare il mondo di oggi, ha lo scopo di destare nuovamente in ogni individo, in ogni essere, l’anelito

all’intuizione; intuizione controllata, per quanto è possibile, dalla ragione sì da non ripetere l’errore dei

tempi trascorsi, sì da non risostituirla ancora una volta con la fantasia. Perciò io vi richiamo ancora al

senso mistico della vita; noi non possiamo, se non cercando di interessarvi a questi problemi,

catturare altrimenti la vostra attenzione; noi non possiamo far fluire in voi, o figli, spontaneamente

quel “sentire” del quale tanto vi parliamo, e che corrisponde alle estasi dei mistici; non possiamo

provocarlo in voi. Possiamo solo – ripeto – catturando la vostra attenzione, stimolarvi a richiamarlo

nell’intimo vostro, perché voi dovete porvi nelle condizioni interiori tali che questo “sentire” fluisca

liberamente. Mi auguro che possiate comprendere quanto vi ho detto tanto bene da iniziare subito

quello stato interiore di attesa, di quiete, che permette l’unione con il vostro sé.

Vi lascio momentaneamente.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

D. – Le domande che dovevo farti?

R. – Dopo, cara.

Dali

Buonasera miei cari amici, sono la Guida Fisica di Roberto.

C’è qua un giovane nuovo amico che si chiama Gianfranco?

D. – Sì.

R. – Puoi venire qua? Ecco…

Vi prego di stare concentrati.

In questo momento, tra le mani luminose del medium, viene materializzato un apporto dall’Entità

Michel. È una piccola testa di leprotto in argento che viene regalata ad uno dei presenti, al giovane

Gianfranco Cherici.

Michel – Adesso vi prego di stare concentrati.

Michel

Altissimo Signore, eterno Iddio, di cui tutti siamo l’espressione, fa’ che comprendiamo qual è il

posto che Tu ci hai assegnato, dacci la comprensione della Tua volontà e la capacità per adempierla.

Fa’ che comprendiamo cosa la sofferenza vuole insegnarci, fa’ che siamo consapevoli dei nostri

limiti e delle nostre capacità e, in questa consapevolezza, come sia nostro dovere operare con il

progresso.

164

Fa’ che comprendiamo di non sfruttare gli altri, dacci la forza di bastare a noi stessi e la

generosità per aiutare gli altri.

Poiché l’uomo viene in questo mondo e da esso se ne va nudo, sicché è perfettamente inutile

che egli accumuli i beni per se stesso. Riempici tanto di più da colmare la nostra pochezza che di

tutto ci rende mancanti.

Amen.

Teresa

Pace a voi.

Il tema delle considerazioni ultimamente svolte merita di occupare ancora la vostra attenzione,

dopo di che faremo una breve pausa e concluderemo questo capitolo che abbiamo aperto dopo la

pubblicazione del vostro volume, allorché, facendo delle affermazioni, vi chiedevamo chi sia l’uomo,

dal momento che non è il suo corpo fisico, non è il suo corpo astrale, non è il suo corpo mentale,

eccetera.

Noi speriamo che adesso, dopo aver parlato e approfondito alcune considerazioni sulla natura di

Dio, voi possiate da soli rispondere a questa domanda. Un capitolo che, ho detto, abbiamo aperto

dopo la pubblicazione di “Sintesi”, ma l’argomento, non c’è dubbio, risale alle prime comunicazioni.

Espressioni come “identificarsi in Dio”, “riconoscersi in Lui”, le abbiamo usate fino dalle prime

comunicazioni, dai primi messaggi, anche se, in effetti, esse sono state intese da voi in modo

abbastanza curioso. Ma ciò dipendeva dalle vostre credenze religiose, principalmente dall’idea del

Paradiso. Infatti, identificarsi in Dio per molti di voi stava ad indicare entrare, armi e bagagli, in Lui,

ossia in una sorta di massima beatitudine; conservando, se non il proprio io, la propria personalità,

almeno la propria individualità. Talvolta, invece, “identificarsi in Dio” era per taluno sinonimo di

annullamento, alla stessa stregua di come viene interpretato il Nirvana dei buddisti. Dirò poi se sia

giusto parlare di annullamento.

Abbiamo detto e ripetuto che Dio solo è la Realtà Assoluta, oggettiva, eccetera. Qualunque altra

esistenza, dai Cosmi ai mondi, alle materie, agli esseri, agli ego, ai sé, agli Spiriti – come qualcuno li

chiama – che esistesse oggettivamente al pari di Lui, interromperebbe le Sue qualità assolute. Perciò

Dio non sarebbe più l’unico e quindi non sarebbe più completo, e quindi non sarebbe più infinito, e

quindi non sarebbe più perfetto, eccetera. Ma da questa affermazione voi non dovete intendere che

Egli sia un monolito, che apparisca molteplice e composito in virtù di una specie di miraggio. Egli è

l’Unità che risulta dalla fusione della molteplicità. Se diversamente da così avessimo inteso, non vi

avremmo parlato delle “situazioni cosmiche” fisse nell’eternità del non tempo, percependo le quali

tutto appare in movimento. Tuttavia, fino da quando vi abbiamo parlato di queste “situazioni

cosmiche”, vi abbiamo avvertito che esse non sono delle realtà oggettive. Di oggettivo – lo ripeto –

non c’è che Dio considerato nella Sua Unità.

Dunque, la posizione più precisa che il nostro intelletto può farci trovare sta nel punto di equilibrio

fra l’unità monolitica e la pluralità poliedrica. Più volte abbiamo ripetuto che esiste qualcosa di fisso e

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di immutabile, percependo il quale tutto appare in movimento, prende vita e moto il mondo di

ciascuno. Ho detto “percependo” poiché il processo della percezione è un processo della soggettività;

quella nostra affermazione, poi approfondita, è sempre stata ad indicare la soggettività del Cosmo

inteso come comun denominatore di tutte le soggettività.

È chiaro che Dio non può essere il nulla; la Sua materia l’abbiamo chiamata “Spirito” – la Sua

sostanza, più che la materia – distinguendoci nell’uso di questo termine, per esempio, da Kardec che

con “Spirito” intendeva la parte immortale dell’uomo, quella che sopravvive.

Per noi, Spirito è divina sostanza, invece. Ma nemmeno lo “Spirito” esiste oggettivamente rispetto

a Dio, o da Dio distinto. Di oggettivo non c’è che Lui. Se ci si limita ad osservare la costituzione dello

Spirito, divina sostanza, appariscono i Cosmi, i mondi, le materie, gli esseri, i sé, gli ego, i quali però

appartengono alla soggettività. Sicché non si può dire che lo “Spirito” sia composto da Cosmi, da

mondi, eccetera, ma se mai il contrario.

Perché questo rovesciamento? Nel mondo della soggettività accade facilmente: un abitante della

Terra, osservando il fenomeno del dì e della notte, può credere che esso sia dovuto al moto di

rotazione del sole attorno alla Terra, moto che avverrebbe da est a ovest. Se si sposta il punto di

osservazione il fenomeno del dì e della notte appare invece dovuto al moto di rotazione della Terra su

se stessa in presenza del sole, moto che avviene da ovest ad est, esattamente in senso opposto a

come appariva il presunto moto del sole all’abitante della Terra.

Ripeto: il manifestato e il non manifestato compaiono allorché si delimita lo Spirito Assoluto. Che

cosa è lo Spirito lo abbiamo detto: è “sentire”. Esiste un solo Spirito Assoluto, un solo “Sentire

Assoluto”, una sola Coscienza Assoluta.

Ogni altro “sentire”, dunque, è un “sentire” relativo, cioè “sentire” in termini relativi, circoscritti,

limitati, soggettivi. Che cosa sia questo “sentire” del quale vi parliamo, non è agevole a dirvelo, lo

riconosco: il “sentire” è l’essere, è la parte di realtà che esprime o la realtà che esprime.

Vedete, generalmente si crede che la realtà cosmica sia del tutto esteriore, esterna all’individuo,

e che solo una piccola parte venga captata dall’individuo attraverso alla sua percezione. Ebbene io vi

dico e affermo che la realtà cosmica è del tutto interiore e che anche quella parte che viene colta

come esteriore, se voi riflettete, non si può dire sicuramente che lo sia e che piuttosto non si tratti di

immaginazione. Voi avete dei pensieri, dei desideri, che sono stimolati dalla percezione del mondo

nel quale vivete; ciò è così importante, per voi, che si può dire che viviate solo quando desiderate,

quando pensate. Ma il processo della percezione, per rivelarsi, deve sottostare al gioco dei contrari: il

piacere il dolore, il caldo il freddo, eccetera. Nei rari momenti in cui vi sottraete a questo gioco, o dopo

un enorme travaglio interiore, quando tace il pensiero e il desiderio, qualcuno di voi può avere provato

un “sentire” nuovo in cui cessa il tempo, in cui v’è pienezza, beatitudine e sembra di poter contenere

tutto quanto ci circonda. Ebbene, questa non è una sensazione: è una pallida ombra di quel “sentire”

del quale vi parliamo, che è uno stato di coscienza che esiste in sé e per sé e non più in funzione

della percezione. Questo stato di coscienza può sussistere al di là degli stimoli, tant’è vero che

l’individuo che l’ha raggiunto durevolmente lascia la trafila delle reincarnazioni. Egli è allora, puro

166

“sentire”, coscienza pura, e sarebbe assurdo pensare che l’essere che esprime questo stato di

coscienza studiasse, conversasse, si recasse; queste sono attività umane. Ciò che è conosciuto

come ego, come sé, non ha questa dimensione umana. Sarebbe altrettanto assurdo pensare che il

sé, l’ego, o lo Spirito – secondo Kardec – fosse un quid che da relativo divenisse assoluto o che, in

qualche modo, divenisse. Niente può, in realtà, divenire, tanto meno lo Spirito. La stessa espressione

“dalla potenza all’atto” non è giusta, se con essa s’intende un accrescersi, un trasformarsi, un mutare,

un destarsi dello Spirito.

Com’è costituita, allora, questa parte più sottile di ogni essere, tanto per chiamarla in qualche

modo? Spero che non penserete ancora ad un frammento di divinità emanato da Dio che fa vivere e

crescere un essere in realtà da Dio distinto. Fra le dimensioni in cui impera la percezione e la realtà

sembra del tutto esteriore (cioè fra i piani fisico, astrale e mentale, tanto per intenderci) e la realtà

ultima, esiste una dimensione intermedia – ancora soggettiva, perché di oggettivo non v’è che Lui –

che noi abbiamo chiamato convenzionalmente piano akasico, ma che potrebbe essere stata chiamata

“piano delle individualità”, o forse più precisamente ancora “condizione d’esistenza”, comprendente

vari stati di coscienza, ciascuno dei quali potrebbe essere la realtà in modo sempre meno limitato.

Questi stati di coscienza sono la divina sostanza-Spirito virtualmente circoscritta, delimitata.

Ora, siccome il processo della delimitazione non può trarre fuori da Dio la parte delimitata,

perché niente può esistere da Dio disgiunto e cioè oltre Dio (e questa è una conseguenza logica del

concetto Dio-Assoluto), ne deriva che il “Sentire Assoluto”, la Coscienza Assoluta, contiene in sé tutti i

“sentire” e, per lo stesso principio, il “sentire” più complesso contiene il più semplice.

Vi parrà strano questo mio indugiare su Dio. Certo, parlando di Dio più se ne parla e meno si è

precisi. Per definirlo basterebbe dire l’essere è l’essere, o parlando della sua natura, dire Dio eguale

Assoluto, perché tutto il resto, tutti gli altri aspetti, i suoi caratteri infinito ed eterno, non sono che una

conseguenza logica di questa affermazione: Dio eguale Assoluto.

Noi possiamo partire dalla prima affermazione che ora vi ho detto, ed arrivare fino ai piani più

semplici, alla vita dell’uomo, secondo un filo strettamente logico, o viceversa, partire dal basso ed

arrivare all’alto. Cambiando logica, non cambia la conclusione. Un calcolo fatto col sistema decimale,

o fatto col sistema binario, dà lo stesso risultato. Cambiare logica può essere utile per intendere una

realtà diversa, ma non per giungere ad una conclusione opposta.

Noi vi parliamo, e cerchiamo di catturare la vostra attenzione, perché è il solo mezzo per

spingervi – anche per coloro che sono temperamenti mistici – a meditare: a maggior ragione per

coloro che sono temperamente razionali. Questo è quello che possiamo fare noi: prendervi da tutti i

lati, da tutti i punti in cui voi siete vulnerabili per stimolarvi, per indurvi a suscitare in voi questo fluire

del “sentire”.

Dunque, dicevo che ciò che noi affermiamo è un passaggio logico. Se voi dite: “A” è eguale a “B”

e “B” è eguale a “C”, voi non potete dire che “A” non è eguale a “C”. Oh!, certo potete pensarlo, non

c’è dubbio, ma siete incoerenti e non siete logici.

Mi chiedevo: perché abbiamo chiamato “dimensione intermedia” quella dimensione e quella

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condizione di esistenza immobilizzate nel piano akasico? Nel piano fisico, astrale e mentale, la realtà

che l’individuo osserva appare come condizionata da un’oggettività spazio-temporale del tutto

esteriore, per cui l’illusione è duplice; all’illusione del tempo e dello spazio si aggiunge l’illusione che

fa apparire la realtà come esteriore. Nel piano akasico non esiste realtà esteriore: l’individuo non

percepisce la realtà, è una realtà, perciò non è soggetto all’illusione della percezione. Badate bene, è

ancora soggetto all’illusione del divenire perché il “sentire” soggiace al succedersi, ed è ancora

soggetto all’illusione della separatività perché ciascun “sentire” “sente” di essere una parte oltre la

quale sta il resto; cioè v’è ancora una specie di tempo e di spazio, infatti solo in Dio si annulla ogni

tempo ed ogni spazio, ogni separatività ed ogni sequenza.

Se allora vogliamo fare una scala dell’illusione, chiamiamola così, ad un estremo della quale stia

la realtà e all’altro estremo la massima illusione, è chiaro che quella condizione di esistenza che noi

abbiamo chiamato piano akasico, sta in una posizione intermedia. Ma badate bene, da questo

esempio non dovete credere che l’illusione sia contrapponibile alla realtà; lo sarebbe solo se

l’illusione esistesse oggettivamente, fosse una realtà oggettiva, il che è una contraddizione in termini,

ovviamente.

Noi affermiamo che l’individuo non ha un sé, un ego, uno Spirito che si desta alla realtà, ma che

ciò che è conosciuto come sé, come ego, come Spirito, è un insieme di stati di coscienza l’uno

sfociante nell’altro che abbracciano, perché sono realtà sempre più ampie e profonde.

Se fossi sicuro che voi sapete andare oltre l’angusto senso di un esempio, sarei tentato di

portarvi l’immagine di tanti cerchi concentrici di raggio sempre maggiore. Noi affermiamo che

ciascuno stato di coscienza non trascorre, permane nel non tempo al di là del suo illusorio

succedersi, derivante dal suo essere la realtà in modo sempre meno limitato. Per tornare al nostro

esempio, i cerchi di raggio inferiore non si annullano nel cerchio di raggio maggiore: permangono al di

là del tempo, quantunque niente e nessuno, nella Realtà Assoluta, può essere distinto, evidenziato,

distinguibile da Dio.

Ancora affermiamo che per quella continuità di “sentire” che deriva dal fatto che il “sentire” più

complesso contiene il più semplice, ciascun essere inevitabilmente si riconosce in Dio. Ma questo

riconoscersi in Dio non deve trarvi in inganno e farvi credere che ciascuno di noi è Dio.

Voi sapete che l’individualità è stata paragonata, specie dalle filosofie orientali e dalle religioni

orientali, in molti modi, secondo molte figure: noi possiamo paragonarla al tronco di un albero i cui

rami sono le personalità rivestite nelle varie incarnazioni. Ora, il ramo più alto non è il ramo più basso

innalzato: è un altro ramo. Allo stesso modo noi esprimiamo uno stato di coscienza che non è lo

stesso che esprimevamo in una precedente incarnazione; ma fra l’uno stato e l’altro esiste una

continuità che abbiamo chiamato “individualità”. Allo stesso modo, noi siamo ben diversi da Dio, ma

fra noi e Lui esiste una continuità che ci conduce a riconoscerci in Lui. Chi afferma che una tale meta

equivale all’annullamento degli esseri e della emanazione, non sa quel che si dice: non ha capito che

creazione – o emanazione – non è un evento oggettivo e, quindi, oggettivamente non esiste. È quindi

assurdo sforzarsi di immaginare una realtà che contenga l’emanazione come componente oggettiva.

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Assurdo è pensare di collocare gli esseri, i sé, gli Spiriti, gli ego – che esistono solo dove esiste

sequenza e separatività, tempi e spazi – nella Realtà Assoluta che è al di là di tutto questo. Volerli

collocare in quella Realtà Unica ed Assoluta significa voler creare tanti Dei, che poi in realtà non

possono essere tali, perché può esistere un solo Essere Assoluto: quello nel quale tutti ci

riconosciamo. Ma come raggiungere la coscienza cosmica non significa pervenire ad uno stato di

solidarietà con tutti gli esseri del Cosmo – tutti per uno, uno per tutti – ma significa essere la

coscienza cosmica, aver trasceso quel velo illusorio che ci fa distinguere gli uni dagli altri, così

identificarsi in Dio non significa raggiungere un massimo stato di beatitudine e conservare la propria

individualità.

Identificarsi in Dio significa essere tutto e nulla in particolare. Significa “sentire” al di là del

trascorrere, del divenire dell’illusione. Significa essere Lui. Ed anche da quel poco che possiamo

immaginare, può chiamarsi annullamento una tale esistenza?

Pace a voi.

Kempis

Figli, Caludio vi saluta.

Ultimamente abbiamo affermato che l’amore altruistico è quel sentimento che più si avvicina al

“sentire” del quale amiamo parlarvi. In tale sentimento infatti vi è il travalicamento dei confini della

separatività, del “tuo” e del “mio”. Si può dire che lo scopo di tutte le umane esperienze, in ultima

analisi, sia quello di superare il senso della separatività e tutto quanto questo senso crea: solitudine,

invidia, gelosia, avidità, brama di possesso. Quanto più ci si aggrappa alle distinzioni create dall’io e

più si creano cause di sofferenza; la nostra futura esistenza non è la continuazione infinita di noi

stessi – che è un’illusione – ma è l’eternità in cui non v’è separazione “tu” ed “io”; è un “sentire” che

non conosce distinzione, particolarità. Udendo queste parole voi ne siete tormentati perché temete

che l’unione col Tutto equivalga all’annullamento degli esseri, perché voi cercate la moltiplicazione nel

tempo dell’“io sono” e non comprendete che l’unione col Tutto è, invece, la realizzazione del proprio

essere che è l’essere di tutte le cose; perciò una tale realizzazione è impersonale e onnicomprensiva.

Questa realizzazione non comporta un attutimento della coscienza, ma semmai una sua esaltazione

per il suo espandersi oltre i confini del tempo e dello spazio, del “tu” e dell’“io”.

Pace a voi.

Claudio

169

22 Gennaio 1977

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti voi, o figli.

Con l’ingresso nel vostro gruppo di nuovi amici, torna ancora come tema di discussione e di

riflessione l’interrogativo sull’origine di queste comunicazioni. Ed è logico che sia così, perché tutto

deve essere sempre posto nuovamente in discussione; guai se l’uomo si fissasse per tutta la durata

della propria esistenza dei capisaldi dai quali, poi, mai più volesse prescindere. Noi vi diciamo che

questi debbono essere fissati per il tempo necessario a comprenderli, ma con molta semplicità e

facilità possono essere… anzi, debbono essere abbandonati e sottoposti via via a nuove verifiche.

Non è la prima volta, o figli, che vi diciamo che non ha alcuna importanza chi noi in realtà siamo.

Per molte ragioni: noi non vogliamo essere ascoltati da voi perché voi siete convinti che noi siamo

degli abitatori di una diversa dimensione; se anche questo è vero, non è vero che chi si trova in una

dimensione diversa da quella del piano fisico veda la realtà. E quindi se voi credete che noi siamo

Entità perché questo vi dà una garanzia della verità di ciò che noi vi diciamo, ed accettate questa

verità solo perché noi la diciamo, voi siete in errore. Ripeto: al di fuori dell’unica realtà oggettiva ogni

altra realtà è relativa e soggettiva. Ma in questo momento di soggettività l’uomo, creatura stessa della

relatività e della soggettività, deve sottostare al gioco che lo vuole al centro di un suo mondo,

completamente suo, nel quale egli riceve degli urti che sembrano provenire dall’esterno e che

suscitano nell’intimo suo qualcosa, una reazione, una risposta. Sicché qualcosa di diverso nasce nel

suo intimo. In questo gioco di colpi e di contraccolpi l’uomo non deve cristallizzarsi; deve

continuamente riflettere. Ecco perché noi vi diciamo: «Accettate quello che noi pronunciamo, vi

prospettiamo non perché sono delle Entità a dirlo, ma perché è passato al vaglio della vostra

comprensione e lo trovate giusto». Fra un’Entità che fosse all’origine di queste comunicazioni,

bugiarda, ed invece uno psichismo vero, non c’è dubbio che sarebbe molto più utile uno psichismo

vero di un’Entità bugiarda. Così, miei cari, ancorta vi ripeto se non lo avessi ripetuto abbastanza, che

è essenziale che voi comprendiate quello che vi dicamo, che meditiate, lo assimiliate.

Poco fa ho detto e ho affermato che ogni uomo è un microcosmo, è un mondo particolare. Non è

la prima volta che faccio questa affermazione; posso dire che negli ultimi incontri spesso abbiamo

ribadito il concetto della soggettività. Quando vi abbiamo parlato della verità dei fotogrammi, espressa

con l’esempio dei fotogrammi, già allora vi dicevamo quanto questa realtà soggettiva e particolare

attaccata all’uomo possa essere percepita disgiuntamente; in una stessa situazione in cui vi sono più

esseri, ebbene, vi abbiamo detto che quella situazione può essere percepita in successioni diverse

quanti sono gli esseri protagonisti di quella. Già da qua voi dovevate intendere – ed in effetti avete

inteso – la soggettività della percezione, e di quello che è chiamato “mondo esterno”, invece ritenuto

170

una verità oggettiva. L’oggettività di certe situazioni deriva unicamente e si ritrova, appare, solo da

quelle particolarità che sono comuni a più soggettività. Ma per il fatto che un certo numero di esseri

dotati degli stessi sensi, percepiscano qualcosa in modo analogo, questo fatto non dimostra che ciò

che è percepito sia oggettivo. Noi vi abbiamo detto che ciascuno, di voi, ogni uomo, figli, potrebbe

essere l’unico essere esistente nel Creato e tutto il resto essere uno spettacolo, un miraggio, una

rappresentazione di ombre cinesi, ebbene, quell’essere unico ad esistere evolverebbe egualmente;

questo per darvi la misura della realtà e della vostra natura. Ogni uomo è un microcosmo. Se allora, o

figli, è così, questa verità porta ad un gran numero di considerazioni. Noi amiamo che queste

considerazioni siate voi a farle, ma cerchiamo di stimolarle. È vero che potreste… ciascuno di voi

potrebbe essere l’unico essere esistente nel Cosmo e tutto il resto essere semplicemente illusione,

miraggio… in che misura è vero? Voi sapete che non è esattamente così, che vi sono punti di

contatto fra i vari microcosmi, e questi punti di contatto sono proprio quelle rappresentazioni della

realtà che fanno immaginare una realtà oggettivamente esistente, ma nient’altro sono che comun

denominatori di tutte le soggettività. In che misura avviene che ciascuno di voi è solo a percepire una

certa situazione? È vero che allorché esiste la non contemporaneità del “sentire”… si verifica la non

contemporaneità del “sentire” – io non voglio qui ripetere che cosa significhi questa espressione;

quelli di voi che da tempo ci seguono mi comprendono – se fra due protagonisti di un episodio esiste

la non contemporaneità della percezione di quell’episodio, è ovvio che ciascuno dei due è solo a

percepire quella situazione. E quando avviene ancora? Nel caso delle varianti, allorché, cioè, un

avvenimento possa avere un duplice – o comunque un molteplice sviluppo; voi sapete che nel caso di

un duplice sviluppo una serie di fotogrammi è vissuta solo da un interessato, colui che ha la libertà di

scelta, mentre l’altra serie è vissuta dagli altri protagonisti dell’episodio che non hanno possibilità di

scelta. Ebbene, quella serie che è vissuta dall’unico protagonista, colui che ha la libertà di scegliere,

rappresenta un episodio vissuto unicamente da quell’essere. E nel momento in cui egli vive quella

situazione cosmica è quasi come se fosse l’unico essere vivente del creato.

Altre considerazioni possono essere fatte da questa verità; è vero ciò che cade sotto i vostri

sensi? Voi vedete attorno a voi altre creature, le vedete soffrire; per esempio, creature illuminate – i

cosiddetti Maestri – che si dice siano venuti fra gli uomini… vengano fra gli uomini unicamente per

missione, ma che già si siano staccati dalla ruota delle nascite e delle morti. Molti di voi si

domandano: «Perché questi esseri che vengono fra gli uomini per missione soffrono? Che senso ha

questa sofferenza? In genere la sofferenza è spiegata con la legge di causa e di effetto; perché quei

Maestri soffrono?». Io non voglio riferirmi a nessun caso particolare, ma voglio solo invitarvi a

riflettere; che senso avrebbe che un Maestro si incarnasse fra gli uomini per missione, solo ed

esclusivamente per questo, quando la realtà è costruita in modo tale che uno spettacolo di ombre

cinesi fa evolvere egualmente gli uomini? Che bisogno ci sarebbe che un essere che ha lasciato la

ruota delle nascite e delle morti venisse fra voi a predicare quando potrebbe essere un simulacro a

farlo, dietro al quale non si nasconde nessun “sentire”? Allora voi direte: «Siamo in una grande

confusione; che cosa significa questo?». Significa prima di tutto che non si è mai sicuri che ciò che

171

appare alla nostra percezione sia realmente “sentito”; secondo significato: che in linea di massima, e

non mi riferisco a nessuna vita in particolare, a nessun essere in particolare, in linea di massima non

ha senso che un Maestro si incarni fra gli uomini unicamente per missione. I grandi Spiriti che voi

avete conosciuto, dei quali conoscete la vita e le gesta, se si sono realmente incarnati lo hanno fatto

perché loro stessi, dalla loro stessa esistenza hanno tratto un retaggio evolutivo, altrimenti, ripeto,

non sarebbe stata necessaria la loro venuta fra voi. Ciò che ho detto, o figli nostri, ha unicamente lo

scopo di stimolarvi a riflettere, a meditare, a fare delle considerazioni; naturalmente questo vale per

chi abbia interesse a comprendere, ad ampliare la propria conoscenza, altrimenti ciò che abbiamo

detto quale norma di comportamento per se stessi e per gli altri è già più che sufficiente.

Vi lascio momentaneamente.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Buonasera, miei cari. Io sono la Guida Fisica di Roberto.

Vi prego di stare concentrati perché debbo fare un piccolo dono… Dunque, figlio Alfredo, tu

chiedevi di poter fotografare la linea di rottura dell’apporto in formazione, è vero?

D. – Sì.

R. – Adesso ti spiego perché da quelle foto che tu hai fatto sembra che l’oggetto fuoriesca dalla mano

del medium; perché nel punto – che tu hai detto giustamente… abbastanza precisamente di “rottura”,

l’espressione rende l’idea – quel punto deve essere circondato dall’ectoplasma del medium; che cosa

succede? Che se è possibile tenerlo dentro il corpo del medium è molto più facile operare

lentamente. Mi segui? Poiché l’ectoplasma, fuori del corpo, facilmente si disorganizza…

D. – Come è successo l’altra volta, allora?

R. – Sì. Ecco per cui la difficoltà di far vedere questa linea; noi potremmo farlo ma io debbo, in quel

punto, tenere dell’ectoplasma, e non so che cosa risulti…

D. – Decidi tu il da farsi…Devo preparare la macchina?

R. – Sì… (Lunga pausa, in cui vengono scattrate alcune foto).

Adesso basta… È per te, figlia Paola…

D. – Grazie.

R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.

172

Con questa volta abbiamo terminato la possibilità di documentare questi fenomeni. Io spero di

essere stato chiaro, figlio Alfredo, su quali sono le modalità da seguire, per cui ogni altro tentativo che

potremmo fare incontrerebbe grandissime difficoltà.

Vi saluto caramente tutti.

Michel

Om mani padme om.

Salve, fratello caro, salve.

Questa sera spetta a me parlarti. Vorrei che le mie parole ti fossero utili, ti recassero quel

discernimento che fa vedere il giusto valore delle cose e delle situazioni sì da farti sfuggire alle molte

influenze e suggestioni che gli uomini politici, economisti e religiosi operano su te, facendo leva

laddove sei più feribile. Vorrei che tu comprendessi come con parole acconce da loro tu sia ingannato

e tu conservassi la la tua serenità. Vorrei che ti rendessi conto come una legge nel mondo umano sia

applicata quando corrisponde a ciò che si vuol fare, e venga messa in disparte quando con i suoi

divieti impedirebbe di fare ciò che si vuole. Questo sarebbe ancora tollerabile se ciò che si vuol fare

fosse nell’interesse generale perché l’uomo non è fatto per la legge ma la legge è fatta per l’uomo.

Ma purtroppo così non è; ebbene, vorrei che rendendoti conto di tutto ciò le tue reazioni fossero

identiche sia che i tuoi interessi vengano lesi, o che non lo siano affatto, o che lo siano quelli degli

altri. Non credere che io ti insegni a frenare le tue reazioni; se ciò che ti impedisce di importi all’altrui

dispotismo è la paura, se è l’ignoranza che ti impedisce di renderti conto di quanto sei

strumentalizzato, se è la pigrizia che ti induce all’accettazione in nome del quieto vivere, sappi che il

tuo dovere è quello di combattere per difendere i tuoi diritti. Ma ciò che io invoco per te è quella

comprensione che facendoti superare un’idea egoistica della vita, ti fa porgere l’altra guancia e ti fa

intendere come tutto sia creazione della soggettività, castello dell’illusione, e pur ti fa vivere come se

tutto fosse reale. Quella comprensione che ti fa intendere come il cammino dell’uomo passi dall’odio

per giungere all’amore, e dall’amore per giungere all’unione. Se il mondo nel quale tu vivi dimostra

tutta la sua fredda crudeltà, insensibilità ed ingiustizia, e della società di cui fai parte tu cogli solo la

confusione e la corruzione, sappi che questi tristi spettacoli quanto più ti riguardano da vicino e più

servono a formare la tua coscienza individuale. Il dolore che l’ignoranza e l’egoismo causano si

trasforma in liberante comprensione quanto prima prendi coscienza di te stesso. Ora tutto è confuso

in te. Sii consapevole della tua impossibilità di seguire cosa sta oltre le umane miserie; non prendere

quelle come termine di paragone per giudicare Dio; sii cosciente della tua attuale limitazione, non

credere che ciò che non può essere contenuto dalla tua misura non possa esistere.

Osservando un quadro, con un solo sguardo tu abbracci l’intera opera e solo dopo

un’osservazione generale ti soffermi sui particolari. Ora, di questo meraviglioso disegno che è

l’Esistente, tu puoi coglierne solo pochi frammenti: è come se di una ciclopica pittura tu potessi

scorgere solo pochi millimetri quadrati. Che cosa capiresti? Come potresti apprezzare la bellezza dei

particolari che viene in luce solo se si conosce il senso dell’intera opera? Noi ti parliamo di quella

173

parte dell’Esistente che sfugge alla tua comprensione ed alla tua osservazione e confidiamo che tu

possa comprendere e credere, perché comprendendo e credendo tu getti un ponte verso quella parte

della Realtà che ti è straniera.

Nulla per destinazione rimane segreto, sconosciuto; tutto quanto ti diciamo ha lo scopo di

stimolare la tua attenzione, avvicinarti a quella parte di realtà che ti è ignota, invitarti a riflettere. La

tua futura esistenza è realizzata in una condizione d’essere che non conosce separazione, in cui nulla

è ignoto o straniero.

Non occorre fare un atto di fede per credere a tutto ciò; gli stessi problemi della vita moderna ti

rivelano la verità di certe affermazioni. L’inquinamento che avvelena l’ambiente dimostra che ogni vita

non è a sé stante; tuttavia ciò che puoi osservare non è che un aspetto marginale dell’unità

sostanziale che sta al di là della varietà delle specie. La stretta connessione che vi è fra le forme

vitali, sicché danneggiando l’una si danneggia l’altra, si spiega solo se si comprende che ogni vita fa

parte di una sola vita, come ogni essere, di cui le forme di vita sono espressione, è in realtà un solo

essere. Se vuoi, nel presente momento – che in realtà è senza tempo, ma che sembra trascorrere sì

velocemente che sembra appartenere solo al ricordo – tu sei una cellula dell’unico Essere, tu sei un

frammento della Coscienza Assoluta. È dunque apparente la tua astrazione dal Tutto, è illusione ciò

che limita la tua coscienza; oltre l’illusione sta il tuo vero essere, l’essere unico ed assoluto.

Convinciti di questa verità e l’insegnamento dei Maestri ti apparirà in tutto il suo profondo

significato. Esso non è un’elementare – anche se preziosa – norma di comportamento, destinata ad

appianare le relazioni sociali; non è un baluardo contro il dilagare dell’egoismo in cui la violenza più

bieca e la crudeltà più ingiustificata, sono al tempo stesso logica conseguenza ed unico rimedio che

possa richiamare gli uomini ad una maggiore comprensione, rispetto, tolleranza. Il vero significato

dell’insegnamento dei Maestri traspare dalla constatazione che il senso dell’io, prodotto della

limitazione, è destinato a cadere per lasciare il posto ad una consapevolezza che non conosce

frontiera, in cui non v’è più qui-là, ora-dopo.

Essere altruisti non significa stare dalla parte opposta dell’egoismo, ossia riconoscere i diritti degli

altri accettando un compromesso necessario per la convivenza fra il proprio egoismo e quello degli

altri. Non vorrei che le mie parole ti inducessero a credere che il tuo io debba dilatarsi tanto da

contenere quello degli altri. Io non ti dico che tu non devi fare male agli altri perché così facendo tu fai

male a te stesso; io ti parlo del superamento del senso dell’io, non della sua espansione o della sua

sublimazione. Capisco che per te oggi sia molto difficile immaginare un’esistenza che non contenga il

senso dell’io, tutto da te è inteso in chiave egoistica, la stessa comprensione. In sostanza tu dici: «Io

devo comprendere perché il comprendere mi è più utile che il non comprendere». Eppure, anche se

oggi per te è inimmaginabile, un’esistenza non più condizionata dal senso dell’io è la tua futura e vera

esistenza.

Quanto più ti avvicini a questa verità, più chiaro, finalizzato e bello ti appare l’Universo. Se,

stupefatto, ammiri la perizia con cui si compie un ciclo naturale, sappi che ciò che vedi non è che un

frammento della profonda ragione che sta dietro ogni cosa, della suprema intelligenza che tutto

174

governa. Ciò che puoi vedere, udire, gustare attraverso alla percezione, non è che l’ombra di ciò che

realmente è. Quando vedrai senza occhi e udrai senza orecchie e più non sarai prigioniero delle

creature e dell’illusione, né schiavo del tuo io, sarai la bellezza ed il bello, l’ammirazione e l’ammirato,

l’amante e l’amato. Tu vivrai, esisterai realmente.

Che sciocco timore quello di chi teme di perdere ciò che ha o ciò che è! Ora tu sei sensazione

che esiste solo nel mutamento; ora tu sei pensiero che nessuno può imprigionare; ora tu sei un io che

esiste solo se sei convinto che esista il suo contrario. E come puoi pensare di possedere

permanentemente queste cose che non ti appartengono? Esse non sono il vero te stesso: il vero te

stesso è ben altro.

Come pianta o come animale, come uomo o come donna, come soldato o come operaio, come

mendíco o come regnante, qui o altrove, oggi o domani, tu vivi. E questa vita, attraverso alla

molteplicità delle sue percezioni, è causa ed effetto di quella catena di “sentire” che è l’essenza di

ogni essere. Qualunque sia la forma da te rivestita, essa suscita particolari percezioni la cui ragione

d’esistenza è la rivelazione di un nuovo “sentire” e di un nuovo te stesso. Finché comprenderai che il

giorno della tua liberazione è l’oggi e che solo tu ne sei l’artefice. Allora il “sentire” dilagherà,

conducendoti in una dimensione d’esistenza al di là del mondo di miraggi e di ombre di cui oggi giaci

prigioniero.

Om mani padme om.

Fratello Orientale

Salve figli, Claudio vi saluta.

Non di rado la conoscenza di una verità porta l’uomo ad atteggiamenti errati nei confronti della

propria esistenza. È classico l’esempio dei popoli orientali che pur conoscendo molte verità, si

pongono passivamente verso la vita. Badate che questo non accada anche a voi. L’errore in cui

potete incorrere può originarsi dalla naturale reazione ad un vostro precedente diverso modo di

atteggiamento verso la vita; una differente valutazione che le vostre idee religiose vi davano di essa.

Credere che la vita sia l’unica occasione che l’uomo ha per meritarsi un premio od un castigo senza

fine, tiene – o per lo meno dovrebbe tenere – desta l’attenzione dell’uomo verso problemi morali, più

di quanto non induca a fare la convinzione che l’uomo viva più volte; cioè abbia più occasioni.

Invece credere che la liberazione dell’uomo giunga ad un dato punto delle incarnazioni umane,

equivale a credere che esista un tempo oggettivo che regoli la cadenza degli eventi e che questi non

possano accadere se non è trascorso il tempo dovuto. La successione degli stati di coscienza non è

una successione temporale come voi la intendete, è una successione logica e pur essa è un’illusione.

Lo stato di coscienza che corrisponde alla liberazione dell’uomo, non è regolato dal trascorrere del

tempo che è un’illusione, ma è determinato dallo stato di coscienza immediatamente precedente nella

successione logica. Così è di tutti gli stati di coscienza. Lo scopo delle vostre esperienze nel tempo è

quello di promuovere il raggiungimento di uno stato di coscienza successivo all’attuale nella

sequenza logica. Ciò avviene attraverso ad un processo che comprende tre momenti: il porre

175

attenzione, il rendersi consapevoli, il comprendere o assimilare. Se spontaneamente non ponete

attenzione, non comprendete e non assimilate, penserà la vita con i suoi colpi a farvelo fare. Ma se

non vi fosse questo correttivo naturale, l’intero calendario astronomico potrebbe trascorrere e la

vostra illuminazione non giungerebbe. Al contrario, indipendentemente dal trascorrere del tempo –

cioè anche in questo momento – se raggiungete la convinzione che la vostra vita non può né deve

essere contenuta dal senso dell’io, voi raggiungete la vostra liberazione, perché essa non è un evento

del futuro; è sempre un’occasione del presente.

Pace a voi.

Claudio

Dolci creature semplici che vivete paghe della vostra semplicità, perché non vi affannate per

porvi all’ombra dei potenti, né per godere di unga grande fama o di una particolare permissione degli

uomini, non scoraggiatevi se la vostra natura non vi consente di cimentarvi in complicate speculazioni

filosofiche. Ciascuno percorre il cammino che Dio gli ha assegnato e deve trovare gioia nell’essere se

stesso. Ringraziate Dio, perché non dandovi un eccessivo attaccamento alle cose sensibili, di esse

non vi ha rese schiave; perché non facendovi trovare ciò che non è lecito possedere, vi ha dato la

gioia del cuore. Perché non facendovi affannare in inutili rimpianti, né affaticare per procurarvi cose

superflue, vi dà la gioia di vivere. Se foste desiderose d’essere in questo o in quel luogo, di ricevere

questa o quella lode, mai sareste libere da affanni. Invece nella soddisfazione che la tranquillità

interiore e la semplicità del vostro essere vi danno, voi siete disposte a ricevere celesti intuizioni. E

così sia, creature! Così sia!

Pace a voi.

Teresa

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Chiudiamo questo incontro e vi diamo appuntamento fra quattro settimane con l’altra Cerchia.

Pace a voi.

Dali

176

19 Febbraio 1977

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti voi che qua

siete presenti e a tutti coloro che pensano a questa riunione.

Vedete, o cari, l’uomo osserva ciò che egli crede mondo esteriore e a lui estraneo; osserva certe

figure suoi simili, cosa essi fanno, cosa dicono, come agiscono e si comportano. Alcune di queste

figure riscuotono l’ammirazione della maggior parte degli uomini; sono grandi pensatori, e per spirito

d’imitazione i singoli allora vorrebbero uniformarsi nel “sentire” a quegli esseri. Questo accade molto

spesso ed è accaduto nel passato per figure che rappresentavano esseri di alta spiritualità. L’uomo

crede che imitando quei personaggi egli diventi come loro; ma se voi ricordate, quante volte vi

abbiamo ripetuto che ciascuno deve trovare la sua verità. La scoperta della verità è una scoperta

individuale; noi stessi possiamo fornirvi solo delle indicazioni ma la scoperta vera e propria è una

vostra meta da raggiungere, personalissima.

Udendo ciò che queste figure, i Maestri, le Spiritualità, dicono, molti si uniformano talmente a

quei pensieri che credono di avere trovato la loro verità e non si accorgono che in questo

comportamento essi non sono altro che degli imitatori; che cosa significa questo? Significa che, in

definitiva, essi frappongono fra se stessi e la loro meta un’intercapedine, un ostacolo ulteriore da

superare. Quando si agisce non perché si è convinti che quello è ciò che si deve fare, ma si agisce

per spirito di imitazione, perché si crede che agendo in quel modo si diventa identici a coloro che

quelle azioni hanno predicate, non si fa altro che creare motivi di frustrazione, non si fa altro che

creare motivi di grande conflitto. È certo che niente va perduto, è certo che questi stessi conflitti

servono all’individuo che ne è il protagonista e l’oggetto, in un certo senso; ma forse per giungere alla

temperanza è sempre indispensabile passare dall’intemperanza. Allora quando voi udite qualcosa

che vi tocca passatelo al vaglio della vostra meditazione, prima ancora di credere che quel qualcosa

possa rappresentare la vostra giusta meta, sappiate che dovete misurare voi stessi con quella verità;

prima ancora di abbandonare tutto quanto fino a quel momento è vostro patrimonio interiore

collaudate con spirito di riflessione ed attentamente quelle verità delle quali tanto siete ammiratori.

Può sembrare strano questo mio dire di questa sera ma credo che ognuno di voi, guardando in

se stesso, troverà giusta e necessaria la mia puntualizzazione. L’uomo incontra sofferenza non solo

quando va contro lo scopo generale della vita umana – che è quello, come abbiamo detto tante volte,

di superare i confini dell’egoismo – ma anche quando crede che semplicemente cambiando modo di

pensare e di agire egli possa cambiare la sua natura. Ripeto: sempre i grandi conflitti interiori, che poi

sono all’origine di malattie del corpo e della mente, passano da queste frustrazioni conseguenti al

voler essere ciò che non si è in realtà. Perciò il mio augurio di questo momento è che ciascuno di voi

trovi la forza di essere se stesso.

Vi lascio momentaneamente.

Dali

177

Buonasera miei cari, io sono la Guida Fisica di Roberto.

È di grande moda adesso la ricerca e la pratica di pratiche occulte. E assieme è tornata

l’attenzione di voi sulla possibilità di essere preda di forze negative. Che cosa sono queste forze

negative? Voi sapete che dopo il trapasso, alla morte del corpo fisico, succede a distanza

l’abbandono del corpo astrale, il corpo dei desideri. Questi gusci astrali lentamente si dissolvono nel

piano astrale, e quanto sono più costituiti di materia densa, più è possibile che gli uomini ancora

incarnati possano attrarli. I gusci astrali abbandonati a se stessi lentamente si disorganizzano, ma per

una specie di istinto di conservazione cercano di trovare una fonte vitale che li tenga ancora in vita. E

allora un uomo incarnato che ha certi desideri grossolani e in un particolare stato di… chiamiamolo di

“non reazione”, può attrarre questi gusci astrali e rimanerne preda. Che cosa accade allora? Accade

una… che egli prova una sorta di malessere, può ammalarsi ed avere fenomeni che da voi sono

conosciuti col nome di “possessione”. I gusci astrali, ripeto, possono in un certo senso contagiarvi

solo in determinati momenti della vostra esistenza se siete preda di desideri grossolani e se

psichicamente non avete certe facoltà di reazione che normalmente immunizzano da questo genere

di possessione. Non voglio impressionarvi; voi tutti che qua abitualmente ci seguite siete

automaticamente immunizzati; la levatura spirituale delle vostre Guide è sufficiente a suscitare in voi

quella naturale immunizzazione che respinge le cosiddette “larve” o gusci astrali. Questa garanzia

viene meno allorché però, ve lo dico subito, voi vi prestate a generi di esperimenti, altre sedute vere o

false che siano; allorché si fa una catena con il desiderio di porsi in contatto con il cosiddetto aldilà, la

prima porta che si apre è quella che libera il passaggio ai gusci astrali, prima ancora di possibili

Entità. Direte voi: «Perché non ci immunizzate anche quando noi andiamo da altre parti?». Se voi

sposate una persona l’accettate come è, con i suoi lati buoni e con i suoi lati non buoni; così sarebbe

contro l’ordine naturale delle cose che noi vi togliessimo i lati negativi di quella che è stata per voi –

ed è per voi – la scelta di un’esperienza. Se accettate un’esperienza, voi l’accettate con tutto quello

che comporta; ecco perché allora la nostra garanzia viene meno in certi momenti, in certe scelte che

voi fate. Non so se sono stato sufficientemente chiaro.

D. – Sì, grazie.

R. – Lidia? Figlia Lidia; c’è qua la figlia Lidia?

D. – Sì.

R. – Vieni qua… Dunque, ascoltami; tu sei soggetta, per l’opera che tu gentilmente, generosamente

fai, talvolta ad avere dei disturbi da forze negative che ti danno qualche lieve malessere. Adesso io ti

farò un piccolo dono che ti aiuterà. Metti le mani a forma di coppa…

A questo punto la Guida Fisica materializza una piccola croce.

178

Michel – Chiudi le mani… Vai pure…Vi prego di stare concentrati perché adesso debbo completare

la forma pensiero che accompagnerà questo piccolo oggetto.

Vi saluto cari.

Michel

Figli, Caludio vi saluta.

Per indicare una grande rapidità si usa l’espressione: veloce come il pensiero. Invero, specie

quando l’uomo è in un particolare stato di tensione interiore, le sue facoltà mentali danno responsi

così rapidi che i relativi processi di analisi e di sintesi sfuggono alla stessa consapevolezza.

Per esempio, quando l’uomo fa una nuova conoscenza, si dice che egli prova istintivamente

simpatia o antipatia; ebbene, dietro a questo atteggiamento irrazionale, sta un processo

essenzialmente logico. Nei comportamenti istintivi – cioè non determinati dalla volontà – l’uomo

segue la sua vera natura e siccome questa è egoistica, egli giudicherà il nuovo conosciuto simpatico

solo se dall’esame che rapidamente farà, risulterà per lui apportatore di un qualche interesse

particolare. L’esame è un’analisi binaria in cui il sì e il no sono riferiti ai molteplici interessi dell’io

personale ed egoistico. Tanto per fare un esempio, l’analisi è di questo tipo: la persona conosciuta è

del sesso che mi interessa? La risposta è sì o no. Se non ha attrattive sessuali, cambia il tipo di

quesito: può essermi utile nei miei affari? La risposta è ancora sì o no, anche se il quesito è posto in

prospettiva. E così via, l’analisi continua – è proprio il caso di dirlo – veloce come il pensiero, per

concludersi con una sintesi dei dati emersi, che si concretizza in un’attrazione o in un disinteresse e

financo in una repulsione verso il nuovo conosciuto. Se l’analisi è così rapida da sfuggire alla

consapevolezza, ciò non vuol dire che di essa non sia possibile rendersi conto. Proprio questo

significa conoscere se stessi: impiegare al massimo la propria capacità di rendersi consapevoli della

propria vita interiore. Essere tanto attenti ai movimenti del proprio intimo, quanto lo si è ai fatti del

mondo esteriore.

Osservate come la consapevolezza di ciò che fate venga meno in due tipi di azione: al primo tipo

appartengono quelle azioni che in realtà sono reazioni ad avvenimenti che colpiscono interessi da voi

particolarmente sentiti, ai quali partecipate con tutto l’essere vostro. Tali reazioni sono così rapide che

la consapevolezza ne coglie solo l’esito finale; generalmente ciò è più evidente per avvenimenti nuovi

e inaspettati. Al secondo tipo appartengono quelle azioni ormai conosciute, usitate, che nulla dicono

di nuovo e che sono ripetute automaticamente. Questo perché l’uomo è consapevole della

sequenzialità delle azioni che compie, solo se queste non sono reazioni ad eventi che toccano

interessi da lui particolarmente sentiti, o se non sono compiute nel suo disinteresse.

Osserviamo ora un uomo che per la prima volta compia un lavoro manuale; lo vedremo tutto

intento nell’eseguire la serie delle operazioni; ma dopo qualche volta che le avrà ripetute, egli le

compirà automaticamente e la sua consapevolezza potrà essere volta altrove. Questo perché la

consapevolezza è uno strumento prezioso che la natura rende massimamente disponibile da parte

179

dell’uomo sostituendola, appena è possibile, con le facoltà istintive sì da lasciare quelle addette alla

consapevolezza libere per altre attività.

Molto si è parlato di sistemi di produzione che nella vostra società impongono la creazione di

pletoriche specializzazioni; a questo proposito si è detto che la specializzazione fossilizza l’uomo, lo

priva di quella versatilità che era patrimonio di individui appartenenti a società del passato. La natura

ci mostra che le società migliori sono quelle organizzate in gruppi di individui aventi particolari

specializzazioni. Come ho detto, questo sistema si dimostra altamente positivo per l’efficienza

sociale. Ma, come si sa, nelle società non umane le facoltà mentali sono pressoché istintive, il

retaggio della vita è tratto dal seguire gli istinti; mentre l’ottimo della vita umana sta nella riflessione e

nel superamento degli istinti animali. La diversità degli scopi fra la società umana e quelle subumane

deve farvi comprendere che l’organizzazione delle rispettive società deve seguire criteri diversi. Pur

rispettando una strutturazione sociale impostata sulla specializzazione onde raggiungere il meglio di

ogni istituzione, è necessario che l’uomo coltivi costantemente tutte le proprie qualità, eserciti in

continuazione il proprio pensiero consapevole. Noi vi proponiamo continuamente questo. Se il lavoro

che voi svolgete vi consente tutto ciò, allora vi sentirete soddisfatti e raggiungerete una grande perizia

nella specializzazione vostra, nel campo dove siete specializzati. Se invece per voi il lavoro è la

ripetizione automatica di azioni, o comunque non impegna la vostra creatività e non impiega il vostro

pensiero consapevole, esso non vi darà soddisfazioni. In quel caso state attenti a non occupare la

vostra consapevolezza per ingigantire i torti che vi sono stati fatti, o che credete vi siano stati fatti;

trovatevi un’attività o un interesse qualunque essi siano, che possano occupare il vostro pensiero

consapevole. Guai a chi lascia illanguidire il proprio interesse, a chi si cristallizza. Noi vi proponiamo

di riportare alla vostra consapevolezza anche quei processi istintivi di cui vi parlavo inizialmente e che

sono causati dalla radice egoistica di ognuno. Ogni nostra comunicazione tende a promuovere

l’esercizio della vostra consapevolezza, vi invita a prendere coscienza di voi stessi e del vostro

mondo.

Avete mai fatto caso che la maggior parte di voi non è assillata dal problema di come sfamarsi,

eppure voi non siete felici! Intendo dire che, a parte le calamità naturali e le malattie, il problema di

ogni forma di vita nel piano fisico, è un problema essenziale di nutrizione. Aggiungiamo pure – per

l’uomo – il problema del ripararsi dalle intemperie, ammettiamo ancora che non di solo pane vive

l’uomo, ma fra il procurarsi il necessario per vivere e lo spendere tutta la propria esistenza per

accaparrare svaghi e beni, il passo è enorme.

Avete notato quanta importanza acquistino per voi problemi che dovrebbero occupare una

minima frazione della vita di un uomo? Quanti bisogni non essenziali diventino in voi essenziali, e

quanti altri – essenziali – siano ampliati, ingigantiti; complicati. È un modo per colmare il proprio vuoto

interiore, per imporre se stessi. L’uomo che continuamente non muti d’abito, che spesso non cambi

l’auto, che non compia viaggi importanti, è ritenuto dai suoi simili un fallito. Chi non può consentire ai

propri figli di svolgere quelle attività ricreative che sono di moda, è considerato un miserabile. Non

solo, ma molto spesso la propria consapevolezza è usata per osservare quanto, sul lavoro o nella vita

180

in genere, si è scavalcati, messi da una parte, non valorizzati come si pretende. Purtroppo questo

accade, ma ciò che intendo dire è che la mancanza di ricchezza interiore e di creatività molto spesso

– anzi, troppo spesso – è colmata attraverso alla valorizzazione di fatti esterni del tutto superflui, sì

che essi assurgono a motivi psicologici tanto intensi da colmare il vuoto interiore. Il successo, la

notorietà, le ricchezze, le amicizie influenti, sono mete che si crede possano riempire la propria

esistenza, mentre la pienezza della vita è raggiunta attraverso al superamento di quelle istanze

psicologiche che oggi credete possano essere soddisfatte nella ricchezza, nella brillante posizione e

nelle amicizie influenti.

Salve e pace a voi.

Claudio

Pace a voi.

Avrei da farvi una breve domanda; una domanda che, in termini matematici, non avrebbe

risposta, perché il dato che si può riconoscere non è desumibile dalla elaborazione di altri dati noti ma

invece una risposta ce l’ha; e proprio voi dovete darla. Supponiamo che un dado sia tratto fra due

osservatori. Il primo osservatore dice: «Il punteggio uscito è quattro». Il secondo osservatore a sua

volta dichiara: «Il punto che è uscito è tre»; supponiamo che nessuno dei due bari: allora, qual è la

verità? Qual è la realtà oggettiva? A voi rispondere.

Pace a voi.

Kempis

Om mani padme om.

Salve, fratello caro, salve.

Nell’epoca in cui tu vivi giustamente è data grande importanza alle realizzazioni che in concreto

si inseriscono nella società. Questo atteggiamento così concreto e pratico è in stridente contrasto con

l’abuso che viene fatto delle inutili parole. Non sia così per te, fratello caro; alle molte inutili parole

preferisci le poche utili azioni, nell’agire agisci con intelligenza, ma ispirati all’amore. Perché un

mondo dominato dal razionalismo che non lasci posto al sentimento è un freddo meccanismo, certo

più efficiente, ma non sicuramente apportatore di una più grande felicità.

Ricorda: non è tanto la vita che può renderti felice o infelice quanto come tu vivi. Talvolta la tua

felicità o il tuo dolore può dipendere dal tuo Karma, sempre e in ogni caso dipende da te stesso,

fratello caro. Le parole che io ti rivolgo sono dettate dall’amore e dall’esperienza; accettale se non per

l’amore, per l’esperienza di cui sono la sintesi. Val più una parola di chi conosce per esperienza che

mille supposizioni di chi ignora, ma mille di quelle parole non potranno darti la millesima parte di ciò

che può darti un’esperienza.

Siano le tue parole parole di verità e di giustizia, la verità è il principio della giustizia; chi la

nasconde va contro la giustizia, ma chi la mostra senza acconciarla con la veste opportuna non

merita di conoscerla. La vita meglio spesa è quella occupata nella ricerca della verità di se stessi,

181

perciò non lamentarti per le ricchezze materiali che non hai avuto, la cura delle quali non ti distoglie

dalla ricerca della vera ricchezza: la verità di te stesso.

Non cercare l’ubbidienza degli uomini ma piuttosto impara ad ubbidire, specialmente ai tuoi

migliori propositi.

Non cercare il rispetto dei tuoi simili; piuttosto sii rispettoso, specialmente con gli umili.

Non cercare l’indulgenza ma sii indulgente con ognuno, specialmente con i deboli.

Non cercare di essere agevolato; piuttosto agevola tutti, specialmente i poveri.

Non cercare la lode altrui, altrimenti gli uomini con poco ti compreranno.

Non fidare nella perfezione della giustizia umana ma sii perfettamente giusto; non giudicare gli

altri, giudica te stesso e ricorda che è molto più facile criticare che bene operare.

Ritenendoti onesto credi di poter giudicare il ladro che ruba e danneggia gli altri e non ti accorgi

che tante volte hai messo in cattiva luce i tuoi simili facendo più male che se tu avessi rubato l’intera

loro ricchezza. Perciò se vedi alcuno perpetrare un delitto non stimarti migliore di quello, che

nell’occasione potresti fare come lui; e se tu non lo facessi certo sarebbe che già l’avresti fatto più e

più volte.

Non coltivare un’alta stima di te stesso; se guardi a te medesimo non farlo per glorificarti ma per

scoprire le tue miserie. Non stimarti per l’abilità che naturalmente hai; essa può darti merito solo se ne

fai buon uso. Non inorgoglirti per la tua cultura: sono molto più le cose che ignori di quelle che

conosci. Non insuperbirti per nessuna cosa o qualità che tu abbia e se non ti sono state date solo per

te stesso. Se tu vivi solo per te stesso, se anche tu fossi l’uomo più ricco, il più potente e il più

famoso, quando verrà il momento in cui ciascuno è solo con se stesso, non saranno né la tua

ricchezza, né la tua potenza, né la tua fama, né nient’altro a vestire la tua nudità.

Om mani padme om.

Fratello Orientale

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Un breve saluto…

Dali

182

19 Marzo 1977

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Mentre osservate i tristi fatti che accadono anche nei vostri tempi, vi ho sorpresi più volte

chiedere a voi stessi se veramente esiste la legge della evoluzione. Questa vostra domanda

rappresenta per noi una duplice occasione: l’occasione di ripetere i principi basilari del nostro

insegnamento a quelli di voi che da poco tempo ci seguono, ed ai quali è dedicata particolarmente

anche la riunione di questa sera; e l’altra occasione, di verificare questi principi alla luce degli ultimi

insegnamenti.

Quando si parla di evoluzione implicitamente si pensa a qualcosa che segue uno sviluppo

parallelo alla successione del tempo; più passa il tempo e maggiore è lo sviluppo. Questo non è vero

in senso assoluto, o figli; prima di tutto perché, come sapete, il tempo non trascorre oggettivamente, e

poi perché l’evoluzione non è un divenire; e poi ancora per altre ragioni che ora dirò. Tre sono le

direttrici della legge di evoluzione: l’evoluzione della materia, l’evoluzione della forma e l’evoluzione

dell’autocoscienza. Le prime due di queste direttrici seguono una progressione che è parallela alla

progressione del tempo. Che cosa significa questa affermazione? L’evoluzione di una specie, per

esempio che fa parte dell’evoluzione della forma, in un tempo “X” è minore dell’evoluzione della

stessa specie in un tempo “X+N”. Questo è vero per tutta la specie nel suo insieme al di là di quelle

che possono essere le punte massime o minime dei singoli individui. L’evoluzione dell’autocoscienza,

o evoluzione umana – ma umana nel senso dell’uomo interiore, non del corpo umano, la quale

evoluzione del corpo umano è anch’essa appartenente all’evoluzione della forma – l’evoluzione

dell’autocoscienza, dicevo, è un’evoluzione individuale che segue anch’essa la progressione del

tempo, ma limitatamente a ciascun individuo; che cosa significa questo? Significa che l’uomo “A” nel

tempo “X+N” è più evoluto di quanto lo era lo stesso uomo nel tempo “X”. Ma questo non è vero per il

genere umano nel suo complesso; anzi dirò che in certi particolari momenti, per esempio nel punto di

intersecazione di due razze, due scaglioni di anime, giudicando dal punto di vista del complessivo,

cioè della media delle evoluzioni individuali, l’evoluzione del genere umano sembra seguire

l’andamento discendente di una curva.

Cerchiamo di portare in termini ancora più chiari questo discorso. Paragoniamo, sempre

l’evoluzione di una specie, ad un libro in cui questa sia descritta; la numerazione delle pagine

indicherà il trascorrere del tempo. Potremo allora dire che l’evoluzione di quella specie, nelle prime

pagine è inferiore a quella che è l’evoluzione descritta nelle pagine successive. Ma se il libro

rappresenta l’evoluzione del genere umano, allora in qualunque tempo – cioè in qualunque pagina –

se io aprirò quel libro, potrò trovare indifferentemente tutti gli uomini appartenenti a tutti i livelli della

evoluzione individuale; così come aprendo un qualsiasi libro ad una qualsiasi pagina, teoricamente è

possibile trovare in quella pagina tutte le lettere dell’alfabeto a comporre le frasi contenute nella

pagina. Qual’è allora la progressione dell’evoluzione dell’autocoscienza se questa progressione non è

183

parallela alla successione del tempo?

Per comprenderlo dobbiamo simbolizzare i vari livelli di evoluzione degli uomini alle lettere

dell’alfabeto con cui è scritto il nostro libro; per esempio simboleggiando nelle prime lettere i livelli di

evoluzione più bassi e su su, fino all’ultima lettera dell’alfabeto in cui saranno simbolizzati i livelli di

evoluzione dell’autocoscienza più alti. Allora, per immaginarmi visivamente la progressione

dell’evoluzione dell’autocoscienza, debbo immaginarmi tutte le pagine del libro aperte

contemporaneamente, tutti i tempi in atto, e le varie lettere dell’alfabeto comparire successivamente

dalla prima all’ultima ma contemporaneamente in ogni pagina; così se il nostro libro è scritto nella

vostra lingua compariranno tutte le lettere “A” in qualunque pagina esse siano collocate, quindi tutte le

lettere “B” e così via, successivamente ma contemporaneamente in ogni pagina, fno alla lettera “Z”

con la quale il libro sarà finito di scrivere; in una forma strana, cioè non pagina dopo pagina.

Ora, figli, voi che vi meravigliate nell’osservare individui che nel vostro tempo sembrano avere

livelli di evoluzione inferiore a quella animale, dovete tenere presente che è molto difficile, per l’uomo,

giudicare l’evoluzione dei suoi simili; ma ammesso che sia così veramente come voi ritenete,

meravigliandovi è come se vi meravigliaste di vedere nella pagina del libro dove siete contenuti le

lettere “A”, partendo dall’errata conclusione che tutte le lettere “A” debbano stare nella prima pagina

del libro. Gli uomini di livello evolutivo simile al livello animale sono già trascorsi nella scala del

“sentire”; l’umanità è al punto dell’evoluzione dell’autocoscienza in cui è colui che si pone la

domanda. Gli esseri di evoluzione elementare sono già trascorsi nella successione evolutiva o del

“sentire” anche se appartengono al vostro futuro.

Vi lascio momentaneamente.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Buonasera miei cari, sono la Guida Fisica di Roberto.

Dov’è quel giovane figlio che si chiama Pierangelo?

D. – Sono qua.

R. – Vieni qua, prego.

D. – Debbo avvicinarmi?

R. – Sì… segui queste voci…

Lunga pausa in cui viene materializzato un apporto.

Michel - Tienila stretta fra le mani… Vai pure caro…

184

Vi prego di stare molto concentrati…

Michel

Pace a voi.

Se voi avete buona memoria ricorderete che all’inizio di questo ciclo di riunioni mi rivolsi

particolarmente agli amici di vecchia data; questa sera invece mi rivolgerò ai nuovi, anzi, ai

nuovissimi, per continuare un discorso che iniziai lo scorso ciclo di riunioni e che lasciai in sospeso

con una domanda. Chiedevo: l’uomo è colpevole delle azioni che compie infrangendo la norma

morale relativa al suo stadio di sviluppo individuale? Ebbene, è bene subito dire che è necessario,

anzi indispensabile, sgombrare il terreno dal concetto della colpevolezza e della punizione, tanto caro

alle religioni di tutti i tempi. L’idea che le sventure che colpiscono l’uomo siano un castigo di Dio,

conseguente all’infrazione di qualche legge divina, è di origine prettamente umana. «Se farai una

certa cosa o non ne farai un’altra, male te ne incoglierà». Qual è stato il sistema con cui i governanti

di tutti i tempi hanno cercato d’imporre le loro regole, se non quello di minacciare gli eventuali

trasgressori con una sanzione? Così gli uomini hanno creduto che Dio usasse, per imporre il Suo

volere, lo stesso metodo che usa chi detiene il potere. Ma dovete convenire con me che sarebbe

ingiusto che Dio punisse chi va contro la Sua legge, quando perfino gli uomini sentono il bisogno di

far conoscere le loro regole prima di renderle operanti.

Il discorso muta dalle fondamenta se si toglie il concetto della colpevolezza, comunque ingiusto,

ed ancora più ingiusto se la legge non è conosciuta. Dicevo comunque ingiusto perché le leggi non

sono universali, come abbiamo visto nell’occasione precedente. Se – come affermiamo – lo scopo

della vita dell’uomo è quello dell’evoluzione, allora la differenza che c’è fra un evoluto e un inevoluto,

non sta nel fatto che l’evoluto conosce e quindi rispetta il volere di Dio, mentre l’inevoluto lo ignora e

quindi non lo segue, non l’osserva; ma sta nel fatto che l’evoluto ha una diversa natura, rispetto

all’inevoluto. Sicché se certe leggi o regole esistono, debbono esistere per dare all’uomo una natura

ultra umana, e non per punirlo se le viola. Perciò che siano conosciute o ignorate, possiamo

rispondere che, di massima, non fa alcuna differenza; egualmente perseguono lo scopo per il quale

esistono, che è quello di far evolvere l’uomo. Per esempio, la famosa legge di causa e di effetto esiste

egualmente, che l’uomo la conosca o l’ignori, ed egualmente persegue lo scopo per il quale esiste.

Guai se esistesse solo per chi la conosce! Ripeto: non si tratta che l’uomo debba astenersi dal fare

qualcosa per cui sarebbe necessario che egli conoscesse che cosa gli è vietato, ma si tratta di ben

altro.

Secondo alcuni religiosi, Dio crea le anime e poi nel mondo le collauda; quelle che superano la

prova godono della Sua visione, le altre patiscono pene talvolta anche senza fine; colpevoli, in

definitiva, d’essere un aborto della creazione divina. Noi affermiamo che la vita non è una prova, se

mai è una scuola – vero, figlio Amedeo? – e che l’uomo – proprio perché vive e dalle varie vite –

raggiunge livelli di coscienza sempre più ampi. Se allora lo scopo generale della vita dell’uomo è

quello di fare evolvere l’uomo, e ciò attraverso a varie tappe in cui prima impara a non fare agli altri

185

quello che non vorrebbe fosse fatto a lui stesso, e poi a fare agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a

lui stesso, allora è chiaro che ogniqualvolta l’uomo indirizza se stesso contro lo scopo della sua

esistenza, sorga un correttivo naturale; e questo è realizzato attraverso al famoso Karma – che ormai

tutti sapete che cosa sia – che non è un mezzo punitivo. Se tu danneggi gli altri sarai danneggiato

perché questo è un mezzo attraverso al quale, non solo tu impari a non danneggiare, ma acquisisci la

natura di non danneggiare i tuoi simili. Non sto qua a ripetere tutto quello che più o meno conoscete a

proposito del Karma, anche se talvolta in modo impreciso.

Vedete, l’essere interiore di ognuno ha un suo ciclo naturale di sviluppo, né più né meno come

tutte le cose naturali. Guardate il vostro corpo fisico: inesorabilmente invecchia, nonostante gli sforzi

che taluni fanno. Voi state nascendo ad una fase successiva della vostra evoluzione individuale,

paragonati alla quale siete come il feto nel grembo materno rispetto al fanciullo nato. Dovete rendervi

conto che l’uomo rappresenta il primo balbettio dell’essere, e se rappresenta così poco, nessuno può

condannarlo. Vi sentireste di condannare un fanciullo perché è tale? Di dargli una responsabilità

perché non è maturo come un uomo? Eventualmente solo nell’ambito delle cose che il fanciullo deve

imparare come fanciullo può essere valutato il suo indice di apprendimento. Solo nell’ambito della

meta individuale che dovete raggiungere può avere senso una valutazione delle vostre esperienze.

Un selvaggio che avese imparato a non uccidere, giudicato secondo le leggi della sua società che

vogliono il nemico sterminato, sarebbe condannabile. Giudicato rispetto alla norma, alla meta della

sua evoluzione, sarebbe encomiabile. Ma ancora giudicato rispetto alla meta del Santo, dell’amare gli

altri come adesso amate voi stessi, sarebbe ancora condannabile perché, se è vero che chi ama gli

altri come se stesso non uccide, non è vero il contrario… Un uomo della vostra società che dovesse

imparare il senso del dovere e fosse alla prima fase dell’apprendimento, quando il senso del dovere

diventa cecità, ed avesse supinamente seguito l’ordine di inviare nei campi di sterminio migliaia di

creature, sarebbe assolvibile purché non una sola volta avesse anteposto il proprio tornaconto al suo

senso del dovere, perché ciò starebbe a significare che l’invocato, a sua discolpa, senso del dovere,

altro non era che un comodo alibi. E chi è in grado di dare un giudizio così preciso? Sarebbe bello e

di effetto rispondere: «Lo stesso interessato nell’aldilà». Ma così non è: nessuno può dare una natura

che non abbiamo, se non l’evoluzione. «Ed allora?», direte voi? «Allora – dico io – occorre

abbandonare un altro falso concetto, il concetto del giudizio. L’idea che l’uomo nell’aldilà sia

giudicato, è strettamente connessa al concetto della colpevolezza e della punizione e per essa

valgono le stesse considerazioni che fin qui abbiamo svolte. Non si tratta che l’uomo debba essere

giudicato, ma si tratta che l’uomo nasce spiritualmente e ciò avviene in modo del tutto naturale, senza

bisogno di giudici e di giudizi».

Consentitemi, a questo punto, di aprire una parentesi per spiegare, brevemente, la ragione per

cui ciò che afferma un’Entità a proposito di un fatto da essa constatato, spesso è in contrasto con

quanto afferma un’altra Entità, sempre a proposito dello stesso fatto, con gran gaudio degli animisti, e

con mal celata perplessità degli spiritualisti o degli spiritisti. Vedete, l’aldilà è una “brutta bestia”. Molte

Entità credono che ciò che osservano, per il fatto stesso d’essere in una dimensione ultra fisica, sia la

186

realtà oggettiva. E non comprendono che anche la dimensione d’esistenza in cui sono, è soggettiva.

Solo la Realtà Assoluta è oggettiva, ogni altra dimensione è relativa e perciò soggettiva.

Se voi domandate a un’Entità, per esempio, chi è che sceglie la prossima sua incarnazione –

supponiamo che sia un’Entità che non ripeta cose udite dire, cioè che non bari, che sia abbastanza

evoluta da vedere qual è la sua successiva incarnazione – ebbene, novantanove su cento vi

risponderà che nessuno la sceglie, ma che essa stessa l’ha scelta. Ora voi capite che

un’affermazione di questo genere può essere vera, in un Cosmo perfettamente ordinato e non

improvvisato, solo se chi sceglie fosse tanto evoluto e illuminato da conoscere e seguire l’ordine

divino. Ma se lo Spirito, il sé, l’essere disincarnato avesse questa illuminazione – che poi diventasse

oscuramento solo quando è incarnato – ditemi, fratelli, che cosa sarebbe l’evoluzione? Null’altro che

un fatto formale. Badate bene, io non dico che il sé, l’ego, lo Spirito evolve, ma dico che ciò che è

conosciuto con questi appellativi, è un complesso di stati di coscienza, l’uno apparentemente

sfociante nell’altro, i quali sono realtà sempre meno limitate. Ora sarebbe assurdo che ad uno stato di

coscienza limitato, ne seguisse uno illimitato con il solo scopo di far operare una scelta in armonia

all’ordine divino, e che poi tutto tornasse come prima. «Allora – direte voi – come nasce l’errore in

certe Entità, di credere che ciascuno sceglie la propria successiva incarnazione?». È molto semplice.

Quando voi avete sete e decidete di bere, vi recate laddove avete la possibilità di togliervi la sete nel

modo più rapido. Se qualcuno vi domanda chi ha deciso per voi di bere, voi risponderete che nessuno

l’ha fatto e che voi stessi avete deciso così; non tenendo conto che questa decisione è il risultato di

due fattori: da una parte la necessità d’acqua del vostro corpo, dall’altra la possibilità di togliervi la

sete nel modo più rapido possibile. Così l’Entità che dice di scegliere la sua prossima incarnazione,

non si rende conto che al di là di ciò che le appare, sta la sua necessità evolutiva e la possibilità che

ha l’ambiente che essa crede di avere scelto – quello e quello solo – di soddisfare la sua necessità.

Ecco perché verso quello si è sentita attratta, e quello crede di avere scelto. La legge di Dio – quando

non si chiama Karma doloroso – è così lieve che l’oggetto di essa non ne avverte il giogo. Solo chi

può andare al di là di ciò che appare può cogliere il senso riposto delle cose; tuttavia non escludendo,

in umiltà, che un altro senso ancor più profondo possa celarsi ai suoi occhi.

Torniamo a noi. Se nella stagione propizia e in un terreno fertile ponete un seme vivo, il seme

germoglia, ed automaticamente segue le leggi che regolano il suo sviluppo naturale, senza che vi sia

bisogno di chi amministri o applichi quelle leggi. E come l’acqua scendendo da monte a valle segue la

via di maggior pendenza, così in modo del tutto naturale e spontaneo, fra le varie leggi che regolano il

ciclo di sviluppo individuale, si applica quella più adatta al particolare momento e caso.

Capisco che l’immagine della realtà da cui sia tolto l’umanissimo concetto di un Ente Supremo

che giudica e perdona ed interviene direttamente nelle vicende umane – anche se di rado e con

scarsi risultati, visti gli effetti – contribuisca a fare di questa Realtà qualcosa di inesorabile. Ma come il

corpo fisico dell’uomo vive, per lo spontaneo ed automatico svolgersi dei processi biologici, senza che

la psiche dell’uomo ne sia turbata dall’automatismo in sé della vita biologica – ma, al contrario, lo sia

quando questo automatismo venga meno – così la parte immortale dell’uomo vive per lo spontaneo

187

operare delle leggi cosmiche.

Il fanciullo che si forma nel grembo materno segue un automatismo naturale, eppure il risultato di

questo automatismo è un evento meraviglioso: una vita autonoma. Allo stesso modo l’uomo nasce

spiritualmente in virtù delle leggi cosmiche che via via indirizzano, sostengono, correggono il suo

sviluppare. Esse vogliono il suo vero bene anche quando si chiamano dolore.

E qua è introdotto un argomento che vi preme particolarmente e che non è possibile esaminare

in tutta la sua ampiezza questa sera. Perciò vi dico: stanti le cose come sono, cioè senza chiedersi

perché sono così, che senso avrebbe un Ente misericordioso che togliesse il dolore della vita

dell’uomo, quando solo il dolore è indispensabile in quel particolare momento e caso dell’esistenza

individuale? Se una pianta avesse bisogno d’acqua e se il darle acqua significasse farla soffrire,

sarebbe pietoso, per non farla soffrire, farla inaridire? Badate, io non dico che il dolore sia l’unico

mezzo che fa evolvere l’uomo, ma dico che quando l’uomo si ostina a non comprendere, gli eccessi

che egli compie richiamano su di lui il correttivo naturale. A quel punto, dannoso sarebbe stornare

dall’uomo quel naturale correttivo. Il dolore può essere evitato solo non movendo le cause che lo

provocano. Ed ecco un’altra domanda che vi preme: «Come è possibile fare ciò, se non conosciamo

le cause che muoviamo?». È giusto che sia così, perché l’uomo deve agire non per paura di quelle

che egli pensa possano essere le conseguenze a lui dannose, ma perché è convinto che deve fare

così, non per paura. Evolvere non significa cambiare l’atteggiamento esteriore e rimanere gli stessi

nell’intimo, ma significa trovare una nuova natura, e da quella – se mai – cambiare il proprio

comportamento.

Ciascun uomo, nella gioventù pensa di affermarsi nella vita, di diventare qualcuno; è così

convinto di questo che pensa che tutti gli altri debbano vivere in funzione di lui stesso. Difficilmente

riconoscerà che gli altri hanno gli stessi suoi diritti; anzi cercherà ogni pretesto per diversificarsi da

loro e per potersi ritenere così soggetto ed oggetto di un diritto speciale. In questa concezione

egoistica, egli trascura, danneggia, calpesta gli altri che, come lui, si ritengono al centro del mondo.

Poi vengono le prime constatazioni, le prime amarezze, le prime delusioni. Il risultato di questo sarà o

la reazione o la frustrazione, ma nell’uno e nell’altro caso, consapevole o no, ancora calpesta,

danneggia gli altri che incontra nel suo cammino. Lo scopo della vita dell’uomo, però, è quello di fargli

superare una concezione egoistica di se stesso e del suo mondo; perciò le cause che egli muove

richiameranno su di lui degli effetti che a quel fine lo volgeranno, lo indirizzeranno. Certo una simile

meta risulta incomprensibile ad un selvaggio; ma voi che qua siete intervenuti, che siete in grado di

andare oltre problemi d’ordine strettamente materiale, siete in grado di capire la giustezza e la

bellezza di questo scopo e verso quello indirizzarvi equilibratamente e misuratamente alle vostre

forze. Perciò non vi diciamo: «Abbandonate tutto per servire gli altri», che questo non

corrisponderebbe né alla vostra natura, né a quello che finora ho detto; ma comprendere l’umanità

degli altri, comprendere che nessuna società può sopravvivere se ciascun singolo si sente sovrano

despota al centro del mondo, potete farlo. Allora cominciate da voi stessi: dal fare bene quello che

siete chiamati a fare non per arricchire o per emergere, ma perché siete convinti che quello è ciò che

188

dovete fare. Tutto ciò vi sembra poco? Bene! Cominciate dal poco! Se non siete fedeli nelle piccole

cose, chi vi affiderà le grandi?

Ancora poche parole per concludere. Quello che vi diciamo è quanto constatiamo: non

pretendiamo che crediate vere le nostre parole solo perché noi le pronunciamo. Colui che pretende

che gli altri credano vero o non vero solo ciò che lui stesso così definisce, evidentemente identifica se

stesso con la verità, ed altrettanto evidentemente ha un comportamento che è tipico nella paranoia, il

che si commenta da solo.

Esaminate i concetti che vi esponiamo, giudicate se essi vi danno della Realtà un’immagine più o

meno esplicativa di altre immagini. Obbiettivamente a noi sembra ch’essi diano della vita non tanto un

diverso significato, quanto un significato accettabile; vi riconcilino con il Divino che non appare più

come un Ente misterioso per vocazione, che schiaccia gli uomini con la Sua immensità, per sollevare

solo quelli che hanno la ventura d’indovinare come piacergli. Forse con l’ipocrisia? O con

l’adulazione? Egli è il vero creatore dell’uomo che tutti conduce a sé, anche quelli che lo respingono.

Questo concetto fa sentire nel seno di Dio fiduciosi, sicuri che al Suo cospetto non esistono

privilegiati, né gli infelici hanno bisogno d’essere patrocinati.

Nel mondo che costruite, come i fanciulli castelli di sabbia, vince l’inganno, l’astuzia, la

prepotenza. Chi si erige a difensore dei deboli e perciò degli sfruttati, lo fa per poi venderli in cambio

di trenta denari di potere. Il più forte vince il meno forte e a sua volta è vinto. Il debole cerca

protezione dall’una o l’altra parte, creando una catena di dipendenze estremamente pericolosa. Ma

quale prospettiva può avere un mondo così concepito, se non lo scontro frontale dei forti o la

spartizione della Terra fra essi, che paralizza ogni aspirazione di rinnovamento dei singoli?

Se le nostre parole non vi convincono non ha alcuna importanza. Tuttavia non vien meno il vostro

dovere che è il dovere di ogni uomo di chiedersi: ma è mai possibile che l’uomo viva solo per

perdersi? È mai possibile che la vita di molti sia nel migliore dei casi un continuo carnevale? È mai

possibile che la suprema aspirazione degli uomini buoni sia crescere figli? Che solo la mira del

proprio guadagno e della propria affermazione induca l’uomo ad agire? Le opere più belle sono

espressione della creatività dell’uomo, o dei suoi commerci? È giusto ritenere produttivo solo ciò che

dà un utile economico, quando le opere più belle e più utili spesso sono pessimi affari? È mai

possibile che il dolore sofferto da tanti o abbia il non senso della concezione atea, o serva a

dimostrare a Dio che la Sua creatura è degna di Lui? E dov’è l’onniscienza divina? È mai possibile

che tante civiltà, crudeli e raffinate, guerriere o amanti delle arti, siano finite nel nulla perché creazioni

del caso, o abbiano avuto come unico scopo quello di popolare l’inferno e il Paradiso? O piuttosto non

sia che nei mille ripieghi, risvolti, problemi anche sciocchi di ogni forma di vita, nella lotta per la

supremazia, nello squallore del proprio vuoto interiore, nel dolore, non nasca la convinzione di un

nuovo essere? Che nella saturazione del proprio io egoistico, ognuno si convinca che la propria vita

appartiene anche agli altri, primo atto di una serie che condurrà ad abbattere quelli che sono ritenuti i

confini del proprio essere? Che questo nostro mondo dalle tragiche e confuse apparenze, altro non

sia che un crogiuolo dove ogni essere nasce e dove ognuno indistintamente, nell’illusione, trovi in sé

189

la coscienza che lo conduce alla Realtà? Questa è l’unica speranza che può farvi accettare un mondo

quale vi appare, l’unica concezione che si concilia con il pensiero razionale e con le aspirazioni

mistiche, senza che né l’uno né le altre debbano rinunciare a qualcosa. Perciò, nel lasciarvi, vi auguro

che questa sia la vostra verità.

Pace a voi

Kempis

Ogni uomo ha una sua esperienza, una sua conoscenza, una sua verità. Di questa riunione

ognuno ha una sua rappresentazione, una sua verità, talché si può dire che la verità di questa serata

ha tante facce quanti sono quelli che sono qua intervenuti. C’è una faccia più vera delle altre?

Ognuno ha compreso ciò che è stato detto o ciò che si aveva intenzione di dire? E ciò che si aveva

intenzione di dire, corrisponde a quello che è stato detto? E che cosa è più vero: quello che si aveva

intenzione di dire, quello che è stato detto, o quello che ognuno di voi ha compreso? E che cosa è più

importante: quello che avete compreso, quello che è stato detto, o quello che si aveva intenzione di

dire? Che cosa sapete degli altri se non quello che essi stessi vi dicono di sé, o quello che riuscite a

capire dal loro comportamento? Ma una stessa azione non può avere moventi diversi? E quello che

gli altri vi dicono di se stessi, è la verità? Gran parte di ciò che sapete è il risultato dell’acquisizione

che comprende l’imitazione; ciò può essere utile nel campo del lavoro, ma nella verità dell’essere

vostro interiore, che senso ha imitare gli altri? La verità è la corrispondenza fra il pensiero e l’oggetto,

ma se il vostro pensiero non corrisponde a ciò che “sentite”, a ciò che siete, esso non è la verità di voi

stessi, e così le vostre azioni; ma se le vostre azioni non corrispondono alla verità di voi stessi esse

sono utili nei confronti degli altri, ma di nessuna utilità per l’essere vostro interiore. Che valore ha

imitare le azioni degli altri quando neppure le proprie azioni sono vere se non corrispondono a ciò che

si “sente”? È inutile valorizzare gli altri, pensare che ci possono migliorare; voi solo lo potete perché

ogni uomo è il suo mondo.

Pace.

Fratello Massone

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.

Chiudiamo questo incontro e ci presenteremo nuovamente fra quattro settimane. Con questo

incontro noi abbiamo concluso una trilogia – per così chiamarla – dedicata a coloro che da poco

tempo ci seguono. Voi avete visto che abbiamo ripreso in questi tre incontri principalmente l’aspetto

mistico, quello del proprio essere interiore, gli isegnamenti basilari del nostro insegnamento, così

come ho detto all’inizio, per confrontare questi con gli insegnamenti più recenti. Dal prossimo

continueremo nella trattazione degli argomenti più recenti. Questo non vuol dire che l’aspetto mistico

o quello etico siano da tenere in nessun conto. Anzi, dirò che tutto quanto diciamo a proposito della

vostra realtà, del mondo in cui vivete, ha lo scopo di convincervi, o figli, di quanto sia importante e

vero l’insegnamento morale, quello che riguarda il vostro essere interiore.

190

Vi abbraccio tutti con molto affetto e abbraccio tutti coloro che ci seguono in questa riunione con

il pensiero, i quali come voi sono presenti.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

16 Aprile 1977

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Noi, figli, non vogliamo rappresentare per voi un ulteriore problema; avete già abbastanza

problemi da risolvere. Se mai vogliamo aiutarvi in queste soluzioni. Certo è comprensibile che le

nostre parole vi pongano di fronte a meditazioni talvolta anche profondamente “sentite”, e che esse

stesse rappresentino in sé dei problemi. Ma, vedete cari, ciò che intendo dire è che non vogliamo

rappresentare per voi una sorta di remora a quello che aveste fatto se non ci aveste incontrati; cioè

non vogliamo rappresentare un rafforzativo delle leggi morali, unicamente crescere il timore di agire in

un certo senso, cosa che non avreste avuto se non ci aveste conosciuti. Voi sapete quanto sia

importante che l’uomo agisca secondo il proprio “sentire”, secondo la propria convinzione, perciò,

come anche questa sera avete udito rileggendo le parole di Kempis, non dovete avere remore

d’ordine morale, perché con la nostra presenza noi, indirettamente, abbiamo rafforzato e resi più

validi i principi della morale. La morale è giusta nei confronti dei propri simili allorché serve a frenare

un atteggiamento che potrebbe essere, per quelli, dannoso; ma non nei confronti del proprio essere

interiore. Noi speriamo sinceramente di essere da voi compresi, di riuscire a spiegarci in modo chiaro

e fattivo perché vogliamo che un giorno, guardando alle esperienze terrene, voi diciate:

«Ho conosciuto l’amore degli uomini, ed era possessivo;

ho conosciuto la loro amicizia, ed era sfruttamento;

ho conosciuto il loro aiuto, ed era umiliazione;

ho conosciuto la pietà degli uomini, ed era degnazione;

la loro protezione, ma aveva un secondo fine;

ho conosciuto la giustizia degli uomini, ma era parziale;

la loro forza, ma era brutalità;

la loro onestà, ed era apparenza;

ho conosciuto la fede degli uomini, ma era una prigione;

191

la loro filosofia, ed era cenere;

la loro scienza, ed era cecità;

ho conosciuto la compagnia degli uomini, ma non mi riempiva.

Tutto questo ho conosciuto ed assaporato

E restandone turbato ho compreso di non essere morto a me stesso».

Vi lascio momentaneamente con la preghiera di stare molto concentrati.

Dali

Buonasera cari, sono la Guida Fisica di Roberto.

Vengo per fare il solito dono a qualcuno di voi, qualcuno che questa sera non è presente…

Dammi la mano… Non è per te ma tu lo darai… Hai compreso?… È per la tua compagna…

D. – Grazie… Grazie per lei.

R. – Io questa sera vi prego di stare molto concentrati. Quando il Fratello Kempis avrà terminato la

sua discussione, farà una pausa; in quel momento recitate mentalmente una preghiera…

D. – Il Padre nostro?…

R. – Mentalmente. È chiaro?

Vi saluto cari.

Michel

Pace a voi!

L’istintiva reazione che avete di fronte ad una verità che vi crea problemi di comprensione o che

lede il vostro io, è quella di respingerla con l’incredulità. V’è un grandissimo numero di persone che

non credono alla sopravvivenza perché il credervi porta, per opinione comune, al rispetto di un codice

etico-religioso che costituisce una sorta di remora ad un certo loro comportamento, perciò si

difendono col non credere. Dobbiamo riconoscere in questo atteggiamento una coerenza di fondo

che non riscontriamo in altri. Noi non vogliamo convincere nessuno. Che quello che diciamo sia vero

è afferrabile da una serie di considerazioni, l’una derivante dall’altra, che partono da molto lontano. Il

discorso che facciamo è come lo svolgimento di un’equazione o di un sistema di equazioni: se salta

un passaggio, salta la soluzione. È un discorso che ha un senso compiuto, non se ne può accettare

per vera una sola parte. Se giusta è l’impostazione, vera e giusta la soluzione, vera e giusta è la

conclusione. Voi già conoscete lo sviluppo del ragionamento. Se lo ripeto questa sera a conclusione

di un argomento che ci ha tenuto impegnati per molte riunioni, è per trovare un nuovo modo di

esporlo, sì da renderlo comprensibile a quelli di voi che ancora non lo avessero compreso.

192

Osservando il mondo in cui viviamo, cogliamo la molteplicità delle forme, degli ambienti, la

pluralità degli “esseri”. Se noi crediamo che questo mondo che osserviamo, così come lo vediamo,

con le caratteristiche che cogliamo, esista oggettivamente al di là delle sfumature, che indubbiamente

caratterizzano le immagini che di esso mondo sono colte dai soggetti, se crediamo che la

suddivisione dei piani di esistenza sia reale e non derivi – invece – da differenti categorie di sensi che

ci danno differenti immagini di una stessa identica realtà, in poche, brevi parole, se crediamo che

questa molteplicità che cogliamo esista oggettivamente, possiamo credere a Dio? Supponiamo di sì.

Allora, come può essere questo Dio? Distinto da tutto quanto esiste? Se così fosse non sarebbe

completo, né infinto, né assoluto, eccetera eccetera, perché mancherebbe di una parte della realtà

oggettiva: per l’appunto della molteplicità che noi abbiamo postulato esistere oggettivamente. Sul

piano dell’oggettività, vi sarebbe Dio e vi sarebbe l’insieme della molteplicità, cioè il manifestato.

L’uno limiterebbe l’altro e viceversa. Un simile Dio sarebbe, al massimo, il migliore degli esseri, ma i

suoi caratteri non andrebbero oltre quelli di un essere limitato.

Supponiamo allora che Dio non sia distinto da tutto quanto esiste e questo può avvenire solo se

Dio è formato dall’insieme dell’esistente. Ma, in questo caso, Egli sarebbe continuamente mutevole

perché il divenire dei mondi – al pari dei mondi stessi – sarebbe oggettivo, appunto con la

conseguenza che Dio non sarebbe mai eguale a se stesso. Certo nessuno può impedire a

chicchessia di credere ad un simile Dio. Ma dimmi in chi credi e ti dirò chi sei. È chiaro che un Dio

così concepito non avrebbe quei caratteri che universalmente sono attribuiti a Dio.

La conseguenza di queste brevi considerazioni è: o Dio non esiste – e vedremo dopo se ciò è

possibile – oppure la molteplicità è un’apparenza. Se infatti la molteplicità fosse un’apparenza, allora

anche il divenire dei mondi non sarebbe reale. Il quadro cangiante e molteplice che osserviamo, altro

non sarebbe che l’insieme di immagini che differenti categorie di sensi ci danno di una stessa identica

realtà. Quest’Unica Realtà potrebbe essere Dio, un Dio che tutto comprenderebbe, perciò completo

ed infinito perché Unico: immutabile perché non toccato dal divenire dei mondi: assoluto perché da

tutto indipendente, e via e via. Ed essendo così singolare, così diverso da tutto quanto appare

esistere nel mondo della molteplicità, veramente potrebbe essere la prima causa increata. È chiaro

che la mia certezza circa l’esistenza e la natura di Dio, non deriva da speculazione alcuna. Ma io

credo che questo ragionamento sia da voi accettabile e, in ogni caso, il solo che può conciliare

l’esistenza di Dio con l’esistenza della molteplicità. Credenti di tutte le fedi, se voi credete in Dio

credete a questo Dio, perché è il solo che può esistere, il più vero per approssimazione alla realtà.

Questa non è un’affermazione di fede: è un’affermazione della ragione.

Detto questo, la domanda che si pone subito dopo è: che cos’è questa molteplicità, cioè gli

esseri, i mondi, in rapporto a Dio? Creazione o emanazione divina? Se con questi termini s’intende un

evento oggettivo, no certo. Nulla può realmente nascere, trasformarsi, sparire nella Realtà Assoluta

ed oggettiva. Gli esseri e i mondi non sono stati creati o emanati da Dio nel senso che nella Realtà

Assoluta prima non c’erano e adesso ci sono; il prima e il dopo fanno parte del divenire, dell’illusione

del tempo. Un Cosmo appare nascere e morire perché è una realtà parziale, limitata, relativa; limitata

193

fra l’altro da un inizio ed una fine. Il Cosmo appare contenuto fra l’emanazione ed il riassorbimento,

ma questi eventi, come quelli che fra questi accadono, appartengono al mondo dell’apparenza.

Ogni attimo che, vissuto, sembra non potersi fermare, è in realtà senza tempo; non può essere

stato creato, né può distruggersi; era prima che lo vivessimo e rimane, al di là del suo apparente

trascorrere. Sul filo di questa considerazione, la manifestazione non appare certo come conseguenza

di un atto di volontà di Dio, ma se mai come un suo aspetto, una sua parte, anche se oggettivamente

non distinguibile da Dio, perché se lo fosse sarebbe oggettivamente esistente e perciò limitante Dio.

Inoltre, come un organismo è un insieme di parti che ha funzioni proprie e diverse da quelle dei

singoli organi che lo compongono, a maggior ragione Dio è tutt’altra cosa dall’insieme della

molteplicità, peraltro apparente.

Come si sa, le domande sono come le ciliegie: una tira l’altra. E a questo punto, la domanda che

la logica impone è: se Dio è l’Unità, tanto che la molteplicità è un’apparenza, allora poteva non

esistere quest’apparente molteplicità? Nel regno del manifestato, del molteplice, tutto ha una ragione,

uno scopo. Anche senza osservare i grandi eventi cosmici, la verità di questa affermazione è

riscontrabile dai semplici fatti naturali. Che so? Per esempio il colore e il profumo di un fiore che

attirano più gli insetti di una certa specie anziché altri, fa aumentare le possibilità di impollinazione tra

fiori della stessa pianta o di piante della stessa specie. E così tutti i fatti naturali che possono essere

recepiti dalla portata della vostra osservazione e della nostra comprensione, mostrano di avere una

ragione, tendere a uno scopo. Ma, anche senza pensare alle cause finali di Aristotele o al “finalismo”,

se la manifestazione esistesse senza scopo alcuno – cioè esistesse per esistere – è chiaro che non

potrebbe non esistere. Tuttavia solo quando si parla di Dio si parla di Colui che non ha causa, non ha

perché. Allora ciò che si può dire a chi, come l’uomo, è abituato all’effetto quale conseguenza della

causa, suona più come un postulato che come una dimostrazione; più come una tautologia (“l’essere

è l’Essere”) che come una spiegazione.

Vedete: una realtà oggettiva diversa da quella che è, non può esistere. L’abbiamo detto prima: se

Dio esiste non può che essere infinito, eterno, assoluto, immutabile, onnisciente, eccetera eccetera…

Allora, può non esistere quell’unico Dio che può esistere? Quell’unico Dio non è il Dio-creatura della

fantasia di certe teologie, ma è la ragione, la reale dimensione d’esistenza del Tutto. Se lo si toglie,

sparisce tutto, e la reale dimensione d’esistenza del Tutto e l’Unità di un solo Essere, l’Essere Unico

ed Assoluto che è chiamato comunemente Dio. Sul piano assoluto l’“essere” s’identifica con la

coscienza, con il “Sentire Assoluto”. Questa non è un’affermazione dogmatica, è un’affermazione che

è contenuta nel concetto stesso di “Essere Assoluto”, come – per esempio – il concetto dell’identità

con se stessi è contenuto nello stesso concetto di “identità”. Ora questo “Sentire Assoluto” non è un

“sentire”, ma è la completezza del “sentire”. E questo non sarebbe se Dio non fosse la fusione,

nell’Unità, della molteplicità. V’è fra l’Unità e la molteplicità, fra la Realtà Assoluta ed oggettiva e

l’apparenza, lo stesso rapporto che v’è fra causa ed effetto in chi è causa di se stesso. Perciò errato

sarebbe credere che il manifestato fosse lo sgabello su cui Dio poggia i Suoi piedi. Ogni essere è

parte integrante di Dio, anche se da Lui non è oggettivamente distinguibile; ed anche nel mondo della

194

relatività, ogni essere non è condannato ad una perpetua limitazione, ma la coscienza si amplia

sempre più fino a identificarsi in Dio, che è la comunione del Tutto. Difatti il sentirsi distinti da tutto

quanto esiste deriva da una delimitazione non oggettiva del “sentire”; la vera natura del “sentire”è il

“Sentire Unico ed Assoluto”. Perciò la vera natura di ogni “essere” è l’Essere Unico ed Assoluto: Dio.

Questa diversa concezione di Dio, trae seco una diversa concezione della realtà e della vita. Noi

esistiamo perché esiste Dio e viceversa, fatto salvo il carattere assoluto di Dio, cioè di indipendenza

di Dio. Tutto quanto esiste è perfetto e indispensabile, naturalmente al di là di opinioni e giudizi che

necessariamente sono relativi ai singoli. Intendo dire che una situazione può essere piacevole o

dolorosa, ma sempre relativamente a chi la vive o a chi la osserva; mai in senso assoluto. E con ciò

intendo accennare alle difficoltà incontrate dal monismo spiritualistico per spiegare l’esistenza del

male inconcepibile in Dio: il male fa parte del mondo del relativo, è come tutto il divenire dei mondi

che non incide nella realtà di Dio. Tuttavia il male nel piano relativo ha una sua precisa funzione; nulla

della molteplice versione dell’esistente è errato o suprefluo, anzi, ogni fatto ha più significati, tanti

significati per lo meno quanti sono i suoi protagonisti.

Tutto quanto viviamo, esiste da sempre e per sempre, al di là del tempo, ed esiste in molteplici

versioni, sì da far salva la libertà del singolo ove e quando sia necessario. Quanto ci appare come

passato e come futuro, esiste identicamente nell’Eterno Presente. Tuttavia non esisterebbe se non

esistesse nel tempo e viceversa. Perciò al di là del tempo esiste la “comunione degli esseri”, a cui tutti

siamo votati ed in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell’Unità. Ma ciò non sarebbe se, nel

tempo, non vi fosse la sequenzialità e la separatività che originano la pluralità. Badate bene: questo

concetto è giustamente inteso allorché serve a chiarire e meglio comprendere che la manifestazione

nulla trae né apporta a Dio, nel senso temporale.

Questa diversa concezione della realtà e di Dio, che libera l’immagine del divino da quegli orpelli

posticci di un misticismo romantico, ci autorizza forse a credere che la moralità non abbia senso

alcuno? Che inutile sia lo sforzo dell’uomo di tendere al bene, di migliorare il proprio mondo? Finché

l’uomo non comprende che il suo “essere” deve estendersi al di là dello spazio limitato e delimitato

dal suo egoismo, finché non comprende che le proprie qualità non gli appartengono solo per se

stesso, la legge del dolore lo richiama alla comprensione. In ciò sta la risposta. Di più: se Dio è la

reale dimensione d’esistenza del Tutto, se Egli è l’Unico Essere in cui tutti ci riconosciamo, allora ogni

“essere” è un altro te stesso. Se puoi convincerti di questa verità, getta pure lontano da te ogni legge,

ogni Comandamento, perché essi non sono che una pallida imitazione, una grottesca caricatura di

quella convinzione interiore che sola può trasformare i tanto meravigliosi quanto irraggianti ideali

morali in viventi realtà.

Pace a voi!

Kempis

Avete udito che vi fu detto di perdonare settanta volte sette, ma tu invochi la giustizia divina sugli

altri e la misericordia su te stesso; o ipocrita! Credi forse che se l’ora della giustizia venisse al tuo

195

comando in te non si troverebbe iniquità alcuna? Preoccupati di essere giusto prima di invocare la

giustizia: «Mio è il giudizio!», dice il Padre; in verità in verità ti dico che sarai perdonato solo quante

volte tu perdonerai.

E perché ti scandalizzi per la corruzione, elevi la tua protesta, ipocrita! Con che diritto invochi

l’onestà dei tuoi simili quando tu stesso sei corrotto? Credi forse che i tuoi figli ti debbano la loro

onestà? In verità in verità ti dico che quanto pretenderai dagli altri da te si pretenderà.

E perché credi che ai tuoi simili spetti di fare in modo che tutto funzioni per il meglio e a te spetti

solo godere i frutti dell’altrui fatica; ipocrita! Comincia col fare tutto intero il tuo dovere se vuoi il

meglio. In verità in verità ti dico che se non senti tuo il mondo in cui vivi esso non sarà mai quale lo

vorresti.

E perché pretendi d’essere trattato con speciale riguardo quando tu sei maldisposto a

riconoscere il diritto dei tuoi simili d’essere più di te o diversi da te; comincia col trattare gli altri come

vorresti essere trattato. In verità in verità ti dico che se tu avessi compreso che gli ultimi sono i primi,

nel “sentire”, e i primi gli ultimi, tu sentiresti ogni essere come parte di te stesso.

E perché ti scandalizzi quando odi bestemmiare il Padre? Ipocrita! Non lo bestemmi tu stesso

quando credi che vi sia qualcuno o qualcosa che possa essere non amato dal Padre? Qualcuno o

qualcosa che possa dispiacergli o essere da Lui preferito? Che il Padre vada in collera e che castighi

gli uomini? In verità in verità ti dico che neppure chi opera prodigi è più amato dal Padre o a Lui più

vicino. Forse che solo chi ha gli occhi belli vede bene? Preoccupati di santificare il Nome del Padre

con ciò che fai e con ciò che credi, col perdonare di più i tuoi simili che, come te, hanno bisogno di

essere perdonati; col non pretendere dagli altri più di quanto sei in grado di pretendere da te stesso,

col fare qualcosa di più che accontentarti di stare al mondo, col convincerti che nessun essere merita

il tuo disprezzo e la tua indifferenza, anzi null’altro merita se non il tuo amore.

La voce

Durante la manifestazione di questa Entità il medium era in levitazione ed un intenso profumo

orientale impregnava la stanza. Al termine del discorso è avvenuta una copiosa pioggia di foglie

d’olivo.

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14 Maggio 1977

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

A voi sembra inverosimile essere al centro di queste comunicazioni che a vostro giudizio

dovrebbero interessare la quasi totalità degli uomini. L’inverosimiglianza finisce allorché assistete ad

una divulgazione delle nostre parole, perché con questo fatto la vostra posizione diviene meno

eccezionale e quindi più credibile. In effetti, o figli, noi siamo uno dei moltissimi mezzi che la legge di

evoluzione dà all’uomo per farlo riflettere e progredire. Dovete tenere presente, o figli, che tre sono le

vie che conducono a quella che è la meta dell’uomo, uno stato di “sentire” tutt’affatto diverso dalla sua

condizione d’esistenza nel mondo della percezione. Queste tre vie le abbiamo genericamente

indicate nella “via mistica”, nella “via dell’azione”, nella “via della conoscenza”. Ma questo stato che

attende l’uomo non è né misticismo, né azione, né conoscenza; il misticismo, l’azione, la conoscenza

non sono che mezzi per raggiungere questo “sentire” che è indescrivibile, che tanto vi rammentiamo e

che non possiamo che illustrare sommariamente, perché non può che essere provato. Se si tiene

presente questo si comprende che anche la “via della conoscenza” – cioè quella più assimilabile alla

nostra azione presso di voi – non è la sola che conduce l’uomo a quel “sentire” di cui ora vi parlavo.

Per cui l’eccezionalità della nostra venuta fra voi diminuisce anche in questa considerazione.

Ma non è tutto: vedete, figli, conoscere la verità non significa raggiungere automaticamente

questo famoso “sentire”, questa meta che vi attende; la verità non è una formula magica che allorché

pronunciata, immediatamente, in chiunque la pronunci o la ascolti, susciti questo “sentire” interiore,

cioè faccia a lui raggiungere questa meta della quale vi parliamo e continuamente vi sproniamo. La

conoscenza deve essere vissuta, deve essere continuamente verificata, deve essere sperimentata; la

conoscenza, come il misticismo e l’azione, non sono che un mezzo per trarre l’uomo in quello stato di

tensione interiore propizio al fluire del suo più profondo “sentire”. Perciò non è necessario che la

conoscenza sia una conoscenza del vero; può benissimo essere una conoscenza che nulla ha di

contatto con la realtà; cioè può essere una conoscenza che rispecchia una storia totalmente

fantasiosa, basta che l’uomo la viva con tutto l’essere suo, basta che l’uomo attraverso a quella

conoscenza creduta, intimamente sperimentata e vissuta, raggiunga quello stato di tensione interiore

nel quale sboccia il “sentire” suo più profondo.

Direte allora voi: «Che necessità v’è che voi veniate fra noi a parlarci della Realtà?». Noi

parliamo di una conoscenza in termini accessibili alla vostra mente, alla vostra logica, perché

pensiamo che forse conoscenze di tipo fantastico o prettamente mistiche, o che riguardino la via

dell’azione, non sarebbero in voi di effetto. Perciò cerchiamo di catturare la vostra attenzione, di

convincervi attraverso a cose che bene si adattano alla vostra mentalità, acciocché voi attraverso a

questa convinzione troviate quello stato di intima tensione che, come ho detto più volte, è la

condizione indispensabile, assoluta, per la quale il “sentire” del vostro essere interiore comincia a

fluire.

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Ecco allora che la divulgazione acquista una nuove luce, non è più importante come la si può

credere, non ha quello scopo di missione universale che in un certo misticismo di ispirazione

romantica può indurre. Ecco allora che la divulgazione non ha bisogno di un’organizzazione che lavori

a livello collettivo, ma direi che la divulgazione deve semmai avvenire a livello individuale, perché è

allora che ciascuno di voi può vedere quanto i vostri simili recepiscono e che cosa è a loro più adatto

di tutto quello che diciamo. Perciò la divulgazione non deve dare spazio ad una nuova

organizzazione, ma per essere veramente utile deve essere ispirata dal desiderio di fare agli altri quel

bene che voi pensate di avere ricevuto attraverso di noi.

Io spero, con queste considerazioni, di avere chiarito la vostra posizione nei confronti del resto di

tutta l’umanità che come vedete non è, in fondo, affatto eccezionale. Vi lascio momentaneamente.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Om mani padme om.

Salve, fratello caro, salve.

Tu desideri possedere numerosi oggetti, non tanto per rendere più comoda la tua esistenza,

quanto per abbellire e valorizzare la tua persona. Così perdi la serenità e vessi i tuoi fratelli per

giungere a possedere quelle cose che credi alzino il tenore della tua vita e non ti accorgi che quegli

oggetti diventano i tuoi padroni prima ancora che tu li possegga, distruggono la tua pace e ti

impediscono di godere la vera gioia della vita che sta nella spontanea semplicità della natura.

Il denaro è il mezzo attraverso al quale si giunge a possedere, ma molto spesso da servo diventa

padrone e quando è così è sempre un cattivo padrone. Ricorda: la vera ricchezza è la saggezza; un

mendicante saggio è più regale di un Re stolto. Mira solo all’essenziale, non chiedere alla vita il

superfluo, non chiedere la ricchezza, ma la pura serenità del tuo cuore e allora la luce del giorno o

l’oscurità della notte, il sole o la pioggia, il sibilo del vento o il sorriso di un fanciullo, ti daranno quella

gioia che nessun cuore arido può provare, neppure pagandola con tutti i tesori del mondo.

Non chiedere di essere onorato, stimato, rispettato, ma cerca ciò che dura più della stima, del

rispetto e dell’onore. Non chiedere d’essere conosciuto, ma cerca di conoscere soprattutto te stesso.

Non chiedere ciò che non hai la forza di amministrare e che potrebbe sfuggirti di mano e portare la

rovina a te e ad altri, ma fai bene quello che è nelle tue possibilità. Ricorda: è molto più utile un bravo

operaio che un cattivo ingegnere. Contrariamente a quanto si crede, non è la carica che nobilita

l’uomo, ma se mai è il contrario. Non chiedere di essere il primo nel folle mondo degli uomini, ma sii

l’ultimo fra i saggi nel cielo.

Giustamente ti è stato detto che nessuna esperienza va perduta; l’esperienza del sensuale lo

conduce ad abbandonare la sensualità, ma è possibile essere sobri pur non calcando il sentiero degli

eccessi. Come la malvagità è essa stessa castigo del malvagio, così la pace interiore inonda l’animo

di chi libera il cuor suo da ogni inutile affanno.

Om mani padme om.

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Fratello Orientale

Pace a voi.

La manifestazione cosmica appare contenuta fra l’emanazione e il riassorbimento. Il Cosmo

mostra avere un ciclo di vita delimitato da questi due eventi che come ora ho detto non sono oggettivi.

Ogni elemento ed ogni insieme di elementi che nell’apparenza costituiscono un Cosmo, hanno un

particolare ciclo di vita: la ciclica seguita dalle manifestazioni della natura è un fatto ormai assodato

dall’uomo; il riconoscimento della ciclica seguita dai corpi siderali va ben oltre ciò che è riconducibile

ai semplici moti di rotazione, di rivoluzione e di traslazione; la stessa scienza umana ammette che le

stelle hanno un ciclo di vita. E così altri eventi astronomici mostrano seguire un andamento ciclico.

Con questa premessa non deve sembrarvi inverosimile che l’umanità tutta, intesa come insieme di

uomini, come condizione umana e come svolgimento della storia del genere umano, segua una

ciclica.

Secondo taluni la storia altro non è che la cronaca della lotta dell’uomo per la conquista della

libertà; è evidente che si intende libertà da costrizioni che al singolo vengono dall’ambiente sociale in

cui vive. Se si ammette che l’umanità segua una ciclica, implicitamente si ammette che l’uomo sia

costretto non solo dai condizionamenti morali e sociali, ma anche dagli influssi ciclici. Ben lo sapeva il

buon Gianbattista Ricco, il quale ipotizzando i suoi corsi e ricorsi storici si preoccupò di precisare –

vuoi per le proprie convinzioni che sempre sono influenzate dai tempi, vuoi per non contrastare i

principi della teologia cattolica – dicevo, si preoccupò di precisare che l’eterno avvicendarsi dei ricorsi

storici non ha carattere di fatalità negatrice della libertà, ma che la provvidenza garantisce l’ordine e la

libertà, come se questa garanzia non fosse essa stessa, sul piano della libertà assoluta, una

costrizione. Se anche si sapesse vero con certezza che la storia si ripete il saperlo servirebbe a poco,

perché non sapreste mai con esattezza quando un evento analogo ad uno accaduto nel passato torni

a riprodursi; la verifica è possibile solo a posteriori e azzardato sarebbe formulare delle previsioni a

corto raggio circa gli eventi che debbono accadere. Se è vero che la storia si ripete allora vien fatto di

chiedersi se i grandi della storia erano essi stessi i protagonisti dei loro tempi, oppure se i tempi erano

maturi per produrre certi avvenimenti che resero famosi quegli uomini ad essi legati. E per scendere

al mondo individuale: siete voi gli artefici degli avvenimenti della vostra vita oppure dagli eventi siete

trascinati e perciò non siete i veri responsabili?

Interessarsi di cicli storici può suonare come un riparlare in termini oggettivi del trascorrere del

tempo dopo che tanto ci siamo impegnati per portarvi fuori da questa concezione. Perciò, per non

correre questo rischio, riformulerò la domanda: la vostra responsabilità deriva dall’essere voi gli

artefici degli avvenimenti della vostra vita o semplicemente dal credere d’esserlo? Come si vede la

domanda così riproposta si inserisce perfettamente nell’argomento consueto: ciò che appare e ciò

che è. La risposta a questa domanda l’abbiamo data a suo tempo quando abbiamo parlato della

libertà dell’uomo; se a voi interessa è un discorso che potremo riprendere, tuttavia fino da ora

possiamo dire che la questione ha un carattere prettamente dottrinale, perché è ciò che l’uomo crede

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che produce nel suo intimo quel prezioso fermento interiore che lo fa evolvere, anche se le sue

convinzioni sono totalmente fantasiose. Si capisce subito che anche questa affermazione fa parte del

concetto secondo cui il Cosmo è una realtà apparente e soggettiva. Da sempre, infatti, ripetiamo, che

il Cosmo altro non è che il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive, e che l’apparente

oggettività del mondo colto dai sensi dei soggetti deriva unicamente dal fatto che tutti i soggetti hanno

le stesse categorie di sensi. Vediamo di approfondire questa affermazione con una domanda:

immaginando di togliere i soggetti, il Cosmo, sia pure diverso da come è percepito, rimane oppure

no? Proviamo a rispondere con un sì a questa domanda. Ma allora anche senza invocare il principio

della non contraddizione che nella logica aristotelica vieta di fare due affermazioni contrastanti, è

chiaro che i due concetti sono in antitesi; perché se il Cosmo rimane al di là della percezione dei

soggetti, e se “esistenza oggettiva” significa indipendente dai soggetti, è chiaro che il Cosmo è una

realtà oggettiva e non è il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive. Perciò, per essere

coerente con l’affermazione della soggettività del Cosmo, io debbo rispondere con un no e non con

un sì alla domanda che mi sono posto. Ma che significato ha questo no?

Si dice che i raggi del sole sono caldi. Supponiamo che questa affermazione derivi

semplicemente dal fatto che tutti gli uomini hanno una temperatura corporea di circa 37° e che i raggi

del sole hanno una temperatura superiore, o comunque superiore alla temperatura della pelle del

corpo degli uomini. Allora l’affermazione che i raggi del sole sono caldi, è un’affermazione relativa,

soggettiva; l’apparente oggettività deriva unicamente dal fatto che tutti gli uomini percepiscono come

caldi i raggi del sole i quali in sé, invece, non sono né freddi né caldi, ma lo diventano solo per chi li

percepisce o comunque come un termine di paragone. Affermando che il Cosmo è il comun

denominatore di tutte le percezioni soggettive, noi non solo vogliamo dire che i raggi del sole, in sé,

non sono né freddi e né caldi, ma anche – e soprattutto – che il sole in sé non esiste.

Questa precisazione non ha lo scopo di scandalizzare i validi rappresentanti della scienza umana

che ci seguono, ai quali tuttavia debbo ricordare che l’atteggiamento dello scienziato nei confronti

della ricerca è mutato ormai da tempo.

Da una primitiva osservazione dei fenomeni, a cui faceva seguito la formulazione di ipotesi

esplicative e la ricerca di fatti confermativi, si è passati ad una riluttanza nell’avanzare ipotesi che

spieghino i fatti. In particolare i fisici del vostro tempo hanno dichiarato impossibile la ricerca di ciò

che sta al di là del fenomeno ed hanno rinunciato a dare una spiegazione di esso e ad illustrarne la

genesi. In sostanza la fisica d’oggi ha rinunciato a dare un’immagine della realtà e concentra la sua

attenzione sull’osservazione dei fenomeni e nella registrazione dei fatti e delle modalità ad essi

inerenti. Questo diverso atteggiamento deriva essenzialmente dal fatto che la realtà si intuisce così

diversa da come appare che darne un’immagine significherebbe far perdere alla fisica il suo carattere

scientifico, cioè reale.

Se questa posizione è comprensibile e giustificabile nei rapporti ufficiali, non lo è nell’intimo del

proprio pensiero, dove la reputazione non è messa a repentaglio e dove ognuno ha il dovere di

esaminare tutte le ipotesi possibili. Allora, qual è la portata della preoccupante precisazione che ora

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ho fatto? Significa essa che non esistono altro che i soggetti, i quali sognano una realtà in se stessa

inesistente?

Vedete, un sogno è una storia della fantasia, costruita con elementi del mondo della percezione.

Voi potete sognare – che so? – che vostra sorella ha i baffi, ma questa insolita storia è costruita con

una sorella e con dei baffi, cioè con immagini che voi avete attinto al mondo della vostra percezione.

Se non vi fosse la percezione, non vi sarebbero immagini e non vi sarebbero sogni.

Ora noi affermiamo che il Cosmo è il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive; se

parliamo di percezione, implicitamente ammettiamo l’esistenza di un ente percepiente e di qualcosa

che viene percepito, perciò non possiamo voler dire che esistono solo i soggetti, perché se così fosse

non vi sarebbe percezione e quindi non vi sarebbe l’elemento comune delle percezioni. Difatti quelli di

voi che hanno buona memoria ricordano che da sempre noi abbiamo affermato che esiste un “quid”

(qualcosa non meglio identificabile, perché oggettivamente non distinguibile da Dio, perché

oggettivamente inesistente, che potremmo chiamare parte di Dio, se Dio non fosse indivisibile), un

“quid” che percepito si rivela come elemento comune di tutte le percezioni. Questo elemento comune

nell’apparenza è formato da vari elementi ed è con questi elementi che ciascun soggetto costruisce

immagini soggettive di un mondo già in se stesso soggettivo. Il “quid” che, percepito, si rivela come

mondo fisico, mondo astrale, mondo mentale, in se stesso è la divina sostanza “Spirito” che non

viene minimamente toccata dal fatto che nella percezione assuma un aspetto o l’altro.

Una macchia di umidità su un muro non è interessata dal fatto che nella fantasia dell’osservatore

assuma l’aspetto di una figura nota o di un’altra. Questo appunto significa che il divenire dei mondi

non incide nella Realtà di Dio.

Spero di avere chiarito a sufficienza che cosa intendiamo con “soggettivo” ed “oggettivo” e che

parlare di percezione significa parlare di un mondo che comprende un ente percepiente e qualcosa

che viene percepito, ma significa anche parlare di un mondo che non ha alcun elemento oggettivo nel

vero senso del significato e del concetto.

Spero anche che risulti chiaro che quanto ho detto è riferito unicamente al mondo della

percezione e che non corrisponde più in un’altra dimensione d’esistenza dove esistono solo i soggetti,

perché non vi è più bisogno di percezione, non essendovi più bisogno di immagini: esiste solo il

“sentire” il quale è come retaggio del mondo della percezione. Se la questione è chiarita, diventa

pacifica.

Ma siccome io sono uno Spirito maligno che ha in odio la pace interiore ed esteriore, mi voglio

soffermare proprio sul concetto di interiore ed esteriore nel mondo della percezione. Che cosa

significa esteriore? Che è fuori di sé. Ma ciò che è fuori di sé lo è realmente o così appare? Bene,

direte voi: «La risposta a questa domanda è fin troppo semplice, ormai anche i muri di questa stanza

sanno che la Realtà è diversa dall’apparenza». D’accordo. Ma io vi invito a meditare su quanto vi dirò.

Ho affermato che la percezione comprende un ente percepiente e qualcosa che viene percepito.

Se l’ente percepiente è il soggetto con il suo mondo interiore, il percepito, l’oggetto, è ritenuto quasi

totalmente esterno al soggetto. Ma dove finisce l’interno e comincia l’esterno? Secondo la psicologia,

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la percezione è quel processo mentale che organizza le semplici sensazioni in categorie superiori

capaci di modificare l’azione dell’uomo. Soffermiamoci sulle sensazioni che secondo questa

definizione – e in fondo secondo tutte le altre – sono all’origine della percezione e domandiamoci che

cosa sono le sensazioni. Si definiscono così le modificazioni della propria auto-consapevolezza in

seguito ad uno stimolo interno o esterno che colpisca i sensi. Molte cose potremmo dire circa le

sensazioni; le nostre affermazioni potrebbero non essere condivise, per esempio, dai materialisti, che

considerano le sensazioni di natura prettamente materiale, fisiologica. In ogni caso nessuno potrà mai

negare l’estrema soggettività delle sensazioni. E pensate che il mondo di ciascuno è costituito con

questi mattoni che sono le sensazioni.

Ora, né il fisico né il fisiologo vi sapranno mai dire che cosa siano, per esempio, quelle

sensazioni chiamate colori. Il fisico vi dirà che la luce di una certa frequenza, cioè di una certa

lunghezza d’onda compresa in una certa gamma che colpisca un occhio, è vista di un certo colore; il

fisiologo vi spiegherà che le onde luminose che colpiscono la retina di un occhio sano, attraverso al

nervo ottico eccitano una certa zona del cervello e si rivelano nella sensazione di un certo colore. Ma

il colore, quale lo conoscete, non esiste nel mondo esterno, è una creazione del cervello; e così è di

tutte le sensazioni. Questo non lo dico io, lo dice la vostra scienza. Dunque tutto il mondo esterno può

ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni.

Il corpo umano è un po’ come un registratore magnetico che traduce un nastro magnetizzato in

un concerto. Il mondo esterno a voi, in fondo – rifletteteci bene – in che senso è esterno? Esterno a

che cosa? Se è vero che il vero Sé è al di là dei corpi dell’uomo, allora anche i pensieri sono esterni

al Sé. Ma è giusta questa concezione? Occorre stabilire i confini dell’essere.

Se vi fosse un apparecchio, tecnicamente perfetto, che facesse vibrare i vostri timpani come

vibrano quando vibrano le corde di un pianoforte, voi udreste il suono di un pianoforte senza la

presenza dello strumento musicale. E se un altro apparecchio facesse vibrare la vostra corteccia

cerebrale come vibra attraverso agli organi dell’udito quando sono percosse le corde di un pianoforte,

ancora udreste il suono di questo strumento fantasma. Come ho detto, allora è vero che tutto il

mondo esterno può ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni le quali stimolano dei pensieri. Ora

questo “qualcosa” abbiamo visto che non è oggettivo, perché non v’è bisogno che lo sia. Non è reale

perché non v’è bisogno che lo sia. Vi domando: è necessario che sia esterno? Oppure esterno ed

interno, il soggetto e l’oggetto sono distinzioni irreali perché l’uomo e il suo mondo sono una stessa

cosa già nella dimensione della cosiddetta molteplicità?

A voi l’ardua risposta. Pace!

Kempis

«Non chi dice “Signore, Signore!” entra nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre».

Sorelle, Fratelli, vedete come il nostro Maestro ci ponesse in guardia acciocché non riducessimo il

nostro senso religioso ad un fatto di apparenza, e come abbiamo tenuto in nessun conto le Sue

parole! Sì, è vero, tutta la nostra religiosità può ridursi ad un fatto esteriore, ma siamo noi che non

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abbiamo compreso, non chi ci ha insegnato. È vero, tutto potrebbe essere nuovamente considerato,

ma per fare ciò che dobbiamo fare e che sappiamo fare, non occorre attendere le riforme. Liberiamoci

pure dagli orpelli se questi occupano il posto del nostro misticismo, ma che tolti quelli non sia il vuoto.

Beati quei fratelli, beate quelle sorelle che vedono chiaramente gli errori dei loro simili e li

additano agli altri, perché certamente non ne commetteranno di eguali. Meschino chi indica l’errore

non per distruggere l’errare, ma per distruggere chi ha errato. Meschino colui che vuol distruggere i

suoi simili con i loro errori e per i loro errori, per poi prenderne il posto e in tutto ripeterli. Meschino chi

vuol mostrare la sua onestà dimostrando la disonestà degli altri e carpire la vostra fiducia per poi

derubarvi.

Non lasciate ad altri la vostra salvezza, ma ognuno sia degno Tempio e sacerdote di Dio.

Pace, fratelli. Pace. Tutti vi benedico. Tutti vi abbraccio.

Teresa

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

Vengo per porre termine a questo incontro; benedico ed abbraccio tutti voi e ciascuno di voi

consideri quanto è stato detto a lui direttamente indirizzato. La prossima riunione sarà fra quattro

settimane.

Particolarmente tutti vi benedico, figli.

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

11 Giugno 1977

La pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Come immaginate questo incontro chiude il ciclo che abbiamo iniziato lo scorso vostro anno.

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Ognuno di voi, volgendosi indietro, potrà esaminare ora con calma quanto è stato detto. Mi sia

permessa un’osservazione detta con tanto amore, figli: e cioè che quando noi tentiamo di dire

qualcosa di nuovo, con molta cautela – perché voi sapete che il nostro scopo non è quello di

enunciare le verità freddamente, ma di farvele assimilare attraverso ad una vostra partecipazione

attiva – ebbene, quando cerchiamo di farvi intravedere un nuovo punto di vista – o che per lo meno

ampli quello che fino ad ora avete avuto – voi molto semplicemente pensate che ripetiamo quello che

già abbiamo detto. È successo così quando vi abbiamo parlato delle verità enunciate con i

fotogrammi; anche nell’ultimo incontro il Fratello Kempis ha cercato di impostare una nuova

prospettiva da cui esaminate quella che voi considerate realtà; quindi vi invito a meditare su quanto

ha detto. È giusto, figlio Francesco, che non è quella che voi ritenete realtà un sogno; lo stesso

Fratello Kempis lo dice nella sua lezione; c’è un “quid” che serve da base comune a tutti i soggetti.

Ma è vero che già nella molteplicità deve vedersi qualcosa di diverso da quello che fino ad ora avete

conosciuto o supposto. Torneremo ancora su questo argomento nel prossimo ciclo di riunioni;

vedremo, per prendere l’interesse di ognuno di voi che ha porte diverse, di alternare certe lezioni,

certi insegnamenti filosofici, con altri di argomento vario, ma sempre per partire da punti di vista

diversi ed illustrarvi una stessa realtà. Voi sapete che questo è il nostro metodo. In questa pausa tra

un ciclo e l’altro approfittate per discutere fra voi, per esaminare quanto vi abbiamo detto, cercando di

porvi da questo nuovo punto di vista che cerchiamo di additarvi, e che serve poi per capire meglio in

quale modo può essere sperimentata una realtà, conosciuta.

Per ora vi lascio momentaneamente salutando ognuno di voi, particolarmente quelli che ci

seguono direttamente per la prima volta, e gli altri figli che più di rado hanno occasione di udirci.

Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.

Dali

Io fui Arlotto Mainardi, Pievano di San Cresci a Maciuoli.

Io solea venire sovente a voi per narrarvi di alcune piacevolezze dei tempi miei. Veggo che non

lontani siete da Cersina dove Pievano fu in Sant’Andrea msser Antonio Bichini, mio grandissimo

amico; egli era uomo astutissimo, dottore in decreti, canonico del Duomo di Firenze, Vicario di Fiesole

e di Arezzo e moltissime cose ancora. La nostra maggior piacevolezza era di toglierci a vicenda la

roba di casa. Ricordo che una volta fui a Cersina nella canonica di messer Antonio e vidi una cassetta

di chiavi, chiavistelli, toppe ed altri ferri, che molto bene avrebbero fatto per le mie bisogna. Presala

nascostamente la posi sotto al mantello e così favellai a messer Bichini: «Questa sera andremo a

San Cresci; io ho in serbo per voi cosa alcuna che gli umori vostri tutti infiammerà, ma poiché gli è

tempo di Quaresima converrà, messer Antonio, che voi predichiate la gente mia che gente trista è e

spesso alle mani corre, fu l’amicizia». Messer Bichini, pensando che io avessi in serbo qualche

glicore accettò. Quando fummo per la strada ancora favellai: «Parrebbe che noi ci dovessimo

emendare di molti errori; ci siamo fatti molte naste, molta roba ci siamo tolti l’un altro, siamo ambedue

vecchi e converrà che ci assolviamo a vicenda. E chi ha tenga e chi ha avuto suo danno». Messer

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Bichini sempre pensando al glicore accettò. Quando fummo a Maciuoli entrammo in Chiesa,

pregammo, ci assolvemmo, ci baciammo sulla bocca come costumare soleasi in quell’epoca in segno

di pace; poi aperto il mantello mostrai a messer Bichini la cassetta coi ferri dicendo che quella

nell’assoluzione compresa era, e per fede al patto “chi avea tenesse e chi il peggio suo danno”.

Messer Bichini a quella vista, a quelle parole, si infiammossi in volto. Ma l’ira trattenendo per non al

canto suo agghindare la beffa, così favellò: «Messere Arlotto, voi di parola foste e gli umori

infiammato m’avete ed io al patto starò; ma converrà che noi recitiamo preci alcune per l’anima della

defunta madre vostra che certo trovasi in luogo di espiazione, perché con un cotal figlio come voi

siete certo donna di malaffare!».

Quando fu l’ora della predica messer Antonio salì sul pulpito e così favellò: «Tanto è male non

avere amico alcuno quanto averne lasciati; fate di non dire mai male degli amici vostri, in specie

quando presenti sono e così… Chi trova un amico trova un preziosissimo tesoro!». Ed io in fondo alla

chiesa con le braccia in alto teneva la cassetta coi ferri e mostravagliela. A quella vista Messer Bichini

resister non seppe ed aggiunse: «Ma le Sacre Scritture esortanci a tenere in grandissimo dispregio le

stesse e vivere in povertà. Amen!». E scese dal pulpito e andossene.

La natura ha moltissimi animali: vi sono quelli che son buoni da vivi e da morti come il bue, quelli

che son buoni da vivi e non da morti come l’asino, quelli che son buoni da morti e non da vivi come il

porco, e quelli che non son buoni né da vivi né da morti come il Pievano vostro Arlotto.

Pievano Arlotto Mainardi

Io sono la Guida Fisica di Roberto.

Come al solito farò un piccolo dono. Vi prego di stare in concentrazione…

Apporto.

Saluto tutti voi cari…

D. – Posso fare una domanda?

R. – Sì.

D. – Tempo addietro si è presentata un’Entità in due momenti diversi. Ascoltando la registrazione in

sottofondo si sente delle voci; forse qualcuno avrà pensato di parlarne… Mi sai spiegare perché?

R. - Volete voi che io vi dica… che confermi l’oggettività del fenomeno? Non ha importanza. Voi

accertate per vere solo le cose che indubbiamente possono essere da tutti percepite e che non

possono risultare da interferenze. La questione non ha importanza.

Vi saluto.

205

Michel

Pace a voi!

Sarebbe un peccato sciupare questa atmosfera così distesa; converrà perciò parlare di cose

semplici per scoprire poi che le cose più facili a capirsi sono quelle più difficili a tradursi in pratica. Ne

approfitterò per scrivere una lettera:

«Mio caro Pindemonte, io non so proprio come tu riesca a sopportarci. Noi parliamo, parliamo,

sputiamo sentenze una dopo l’altra, che tanto cosa farne è affar vostro. Tenerle in nessuna

considerazione non è possibile: l’acqua, anche quando scivola via, lascia bagnato. Volere applicarle è

un’impresa assai ardua perché ha un bel dire il signor Dali che noi non vogliamo costituire per voi un

ulteriore problema. Vorrei vederlo che cosa farebbe al posto vostro; anzi vorrei vederli tutti quei

signori che se ne stanno comodi comodi, seduti lassù, trasportati invece nella macina della vita.

Per esempio, Gesù Cristo, che cosa farebbe al posto tuo? Alzarsi presto tutte le mattine per

andare in orario in ufficio, tornare a casa stanco e dover risolvere i problemi della famiglia. Quando lo

troverebbe il tempo per predicare? Perché non lo si vorrà mica far predicare durante le ore di lavoro,

ci mancherebbe altro! Tutto sommato, dovrebbe fare il predicatore a tempo pieno, ma allora non

sarebbe più nei tuoi panni.

Già, perché forse è necessario stabilire che cosa dovrebbe tornare a fare Gesù Cristo sulla

Terra, perché se tornasse a fare Gesù Cristo allora farebbe le stesse cose, né più né meno. Magari

sarebbe condannato come extraparlamentare; insomma muterebbero i dettagli perché sono mutati i

tempi, ma la sostanza rimarrebbe la stessa. Se invece tornasse a fare il “povero Cristo”, sì insomma,

uno qualunque, allora sarebbe uno qualunque, né più né meno come io e te.

Caro Pindemonte, chissà che cosa dirai quando riceverai questa mia lettera, perché forse a te

piacerebbe sapere come Gesù Cristo si comporterebbe nei tuoi panni, a prescindere dalla

considerazione che se anche non facesse vita pubblica non si troverebbe mai nella tua situazione,

come nessuno, in fondo, si trova mai nella stessa situazione di un altro. Forse a te piacerebbe sapere

come Gesù Cristo risolverebbe i tuoi problemi, quei problemi che in fondo in fondo tu stesso

contribuisci a creare, non fosse altro col ritenere problematiche cose che per altri non lo sarebbero.

Ma forse a tutti piacerebbe vivere la propria vita e quando si fosse posti di fronte ad una decisione da

prendere, fare una telefonatina per sapere che pesci pigliare, scaricando così sugli altri tutte le

responsabilità.

Ma se poi la risposta fosse di fare cose che sono contro i nostri interessi, o che non si ha la forza

di fare?… Perché questo è il punto! Forse qual è il meglio lo sappiamo, anche senza scomodare

Gesù Cristo, ma vogliamo farlo? Tu dici che la vita stessa, il posto che ciascuno occupa nella società,

impediscono di vivere secondo certi ideali. Hai ragione.

Se io fossi un giudice e fossi intimamente travagliato perché convinto del “non giudicare”, è

chiaro che dovrei cambiare professione. Non potrei fare il giudice che non giudica. Ma se continuassi

a fare il giudice, allora dovrei giudicare, non c’è scampo; magari lo farei nel modo migliore a me

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possibile, impegnando tutto me stesso e poi scoprendo, alla fine, che forse quel “non giudicare” ha un

altro significato.

Se io fossi un soldato in battaglia e fossi di fronte al dilemma di uccidere o di essere ucciso,

saprei benissimo che Gesù Cristo al posto mio si lascerebbe uccidere, ma lo farebbe non perché un

altro al posto suo farebbe così, lo farebbe perché quello sarebbe il suo “sentire”. Ora, Pindemonte,

forse è necessario scoprire qual è il proprio “sentire” ed agire in conseguenza. Certo, la prima

considerazione da fare è che non si è soli al mondo e che si deve pure qualcosa anche agli altri; non

foss’altro del rispetto. Ma anche questa considerazione deve essere “sentita”.

Se io fossi un avvocato, è chiaro che potrei trovarmi nella circostanza di dover difendere un

assassino; oppure di avere un cliente per servire il quale dovrei danneggiare altre persone. Allora se

non mi sentissi di farlo – ma non perché Gesù Cristo al posto mio non lo farebbe, ma perché quello

non fosse il mio “sentire” – è chiaro che dovrei cambiare almeno cliente.

Capisco, Pindemonte, a te piacerebbe sapere quali sono le cose lecite e quelle non lecite, ma un

simile elenco non ha valore assoluto. Si può fare riferimento alle leggi della società in cui ciascuno

vive, ma un tale riferimento deve essere considerato come il minimo dei contratti collettivi di lavoro,

un minimo sotto al quale non scendere. Una traccia, fra l’altro, ben poco indicativa perché esclude –

anche se non potrebbe fare diversamente – quella piccola cosa che è la verità dell’individuo, il mondo

delle intenzioni nel quale solo il singolo può entrare. Ecco perché, Pindemonte, ciò che farebbe un

altro al posto tuo, per te non ha senso alcuno perché se anche facesse le stesse tue cose, diverse

potrebbero essere le intenzioni, se anche facesse le stesse azioni, differenti potrebbero essere i

moventi.

E poi il codice è eludibile e incompleto perché, vedi, chi sequestra una persona e chiede un

riscatto, è certamente un cinico della peggiore specie, ma almeno rischia in proprio i rigori della legge.

Ma chi svolge una professione considerata umanitaria, e si servisse della protezione della legge e

dell’omertà del perbenismo per arricchire in tutta tranquillità, alla barba di chi soffre, certo è un cinico

peggiore dei dediti ai sequestri di persona.

C’è una pena abbastanza severa per chi semina il vizio per raccogliere più facili e lauti guadagni?

Per chi somministra, con gli alimenti, veleni, sempre per arricchire? Per chi si adopera, sempre per il

proprio guadagno, a fare approvare leggi che legalizzano il veneficio di massa? Non c’è dubbio che

se per certe azioni non v’è una sanzione adeguata, oppure non v’è sanzione alcuna, si tratta di atti

altamente delittuosi. Di contro vi sono posizioni che non dovrebbero essere perseguite dalla legge.

Che fare? Adoperarsi per migliorare gli strumenti della giustizia. Invero nulla dovrebbe essere

considerato perfettibile come la legislazione di una società, al fine di sempre meglio contemperare le

esigenze dei singoli con quelle della collettività, il che non significa un’aprioristica condanna di tutti i

principi e gli istituti sociali.

Il nostro amico Claudio ci invita a renderci conto di ciò che facciamo e perché lo facciamo; ossia

ci invita a scoprire la ragione delle nostre azioni al fine di prendere coscienza di noi stessi. Questo, fra

l’altro, sviluppa un certo senso critico, utile nel necessario esame che ciascuno deve compiere dei

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valori della società in cui vive; ma è indispensabile che la revisione critica, più che avere come

oggetto il cangiante quadro dei costumi – l’uno dei quali vale l’altro – sia ispirata dalla logica e dal

buon senso, i quali impongono che allorché si è accettato come vero un principio, non lo si voglia far

seguire solo agli altri, o non lo si segua solo quando il seguirlo è comodo ed utile. Niente passi

nell’indifferenza. La responsabilità penale, per certi reati, non è più personale, vedi nella fattispecie il

furto per procura: rubate per dare al partito e avrete buone probabilità di farla franca. Ma forse è

giusto che sia così perché c’è un precedente storico che fa testo: Caterina da Siena che rubava dalla

casa paterna per dare ai poveri, e nonostante ciò fu proclamata Santa.

Vi è una certa tendenza a non considerare più come tali, i delitti perpetrati verso la collettività.

Ora se c’è un interesse preminente rispetto a quello soggettivo, è l’interesse pubblico. Il patrimonio

pubblico è considerato come se non fosse di nessuno ed invece è di tutti. E poiché ognuno è molto

attaccato ai propri tesori, ognuno, per coerenza, dovrebbe sentirsi tutore dei ben pubblici. Cosa che

non è affatto. Guarda invece, Pindemonte, con quanta accortezza si cerca di mettere al sicuro le

proprie ricchezze, magari finendo con lo scegliere il luogo meno adatto. Che vadano gli sciocchi a

nascondere i loro capitali in quello staterello più prossimo alla grande potenza che si dichiara

anticapitalista; chissà che cosa farà loro credere che là siano più al sicuro!

Non credi, Pindemonte, che le frontiere pesino solo sugli onesti e siano invece fonte di illeciti

guadagni per chi antepone la ricchezza all’uomo? Curiosi questi ricchi! Sono loro che nella scala dei

valori antepongono il guadagno alla vita dell’uomo e si meravigliano se c’è chi uccide per arrivare alla

loro ricchezza! Curiosi questi potenti! Qualunque mezzo è stato lecito per portarli al potere, e adesso

invocano e sperano nell’onestà degli uomini. Certo lo fanno perché nessuno faccia a loro quello che

essi hanno fatto agli altri. Lo sperpero dei ricchi risponde dei delitti e dell’esasperazione dei poveri. Il

fanatico rigore dei moralisti paga l’oscena esibizione dei viziosi. Questo significa prendere coscienza

di se stessi e del mondo in cui si vive. Significa capire che non è condannabile il fiore che ancora non

è sbocciato: amarlo e comprenderlo, ma amare e comprendere non significa divenire complici. Non è

certo immorale la belva che uccide per cibarsi, è da amare e da comprendere. Tuttavia, o

Pindemonte, non sarebbe giusto che tu la sfamassi con i tuoi figli. Perciò, se non ti senti di gettarti in

pasto ad essa, ti converrà tenerla a distanza. Sarebbe assurdo interpretare la bontà e l’amore con

una sorta di amnistia o di assoluzione generale che, fra l’altro, non togliendo la tendenza a

danneggiare in chi ha danneggiato, finirebbe con l’essere dannosa per tutta la società.

Che cosa fa la natura con la legge di causa e di effetto, se non realizzare l’ideale della giustizia in

cui l’effetto ha lo scopo di riscattare e non di punire? Cioè, perseguendo un fine di misericordia ma al

tempo stesso restando inesorabile. Dunque, caro Pindemonte, non ti proponiamo una visione più

lassiva della vita, al contrario. Se mai abbiamo la pretesa di darvene una più intelligente perché – vedi

– se è osceno ciò che offende il pudore, e se il pudore è la riservatezza che i cosiddetti sani principi

debbono ispirare, allora anche l’ostentazione del brutto è oscena. La “maja desnuda” è pudica in

confronto a certe immagini sacre. C’è più male nella morale stupidamente intesa, che in ogni

comportamento spontaneo e naturale, ma non si confonda la spontaneità e la naturalezza con

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l’ignoranza e la mancanza di educazione coltivate quali alibi dei propri comodi. E non si confonda

l’educazione con l’ipocrisia; l’educazione è rispetto verso gli altri, l’ipocrisia è sacrilegio verso il

prossimo. Ecco perché il sacrilegio più grande è quello consumato dalle religioni che predicano

l’unione degli uomini e invece li dividono. Da quelle che maledicono anziché benedire, che fanno

dell’altare un banco di vendita ed una fonte di illeciti guadagni per chi non ha voglia di lavorare; che

pur di salvare il tempio, l’organizzazione, mandano alla perdizione gli uomini. Perciò, caro

Pindemonte, se non vuoi essere ipocrita, quello che fai devi “sentirlo”, tenendo presente che non sei

solo al mondo e verificando continuamente il tuo “sentire” alla luce della considerazione che noi tutti

siamo un solo essere e che ciò che non si accorda con questa realtà – comunque tu la metta – non

ha valore universale ed è perfettibile.

Basta così. Le troppe parole finiscono col non dire più nulla.

Lo tenga presente chi vive in quest’epoca dai molti discorsi.

Perfino chi è morto parla più ora che prima, quando era vivo. Per tacere poi della Madonna e di

Suo Figlio che – stando ai messaggi che sarebbero da Loro inviati – sono più ciarleri d’una portinaia.

Si racconta che Pio IX, al quale stavano leggendo le profezie di Suor Domenica del Paradiso, se ne

uscì con questa esclamazione: “Sarà stata anche Santa, ma Gesù mio, quanto parlava!”.

Guardiamoci, Pindemonte, da chi fa spreco di parole per somministrare contenuti in dosi

omeopatiche, che fa della parola anziché un mezzo di comunicazione, l’arte dell’inganno. “Sia il tuo

dire sì, sì, no, no, perché il di più di questo viene dal maligno”.

Tuo affezionatissimo».

Pace a voi.

Kempis

La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.

A chiusura di questo incontro che, come vi ho detto, pone termine al ciclo di riunioni, vorrei

rivolgermi particolarmente a quelli che ci seguono solo attraverso alla divulgazione di queste

comunicazioni per dire loro: non siete degli sconosciuti; se non avete l’occasione di partecipare

direttamente a queste riunioni per noi non ha alcuna importanza; non siete meno amati di quelli che ci

seguono dalla viva voce. In questa breve occasione che io ho di rivolgermi direttamente a voi vorrei

dirvi tante cose che vi fossero utili. Vorrei dirvi che non ha importanza credere che l’uomo sopravvive

alla morte del suo corpo quando poi, nella propria vita, si fa tutto l’opposto di quello che si dice di

credere; che non ha importanza credere a Dio se poi della propria vita si fa un continuo insulto alle

Sue creature e quindi a Lui. È importante ciò che “sentite”, ciò che fate, più di ogni affermazione di

fede resa nel timore di un catigo celeste.

Vorrei dirvi di amare di più i vostri figli, almeno i vostri famigliari, i vostri amici, i vostri conoscenti,

perché è vero che l’amore in se stesso è premio di chi ama. Vorrei dirvi che non è vero che gli

insegnamenti fondamentali della morale riducano gli uomini a dei gonzi; i cosiddetti insegnamenti

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mistici sono stati presentati agli uomini come un mezzo per guadagnarsi un premio nell’altro mondo.

Questo errore di impostazione non è stato voluto dagli esseri illuminati che hanno rivelato gli

insegnamenti di altruismo all’umanità, ma è stato voluto – ad arte e scientemente – da chi aveva

interesse che le masse fossero remissive ed ognuno facilmente rinunciasse ai propri diritti in favore di

pochi privilegiati. Nessuno può negare che gli insegnamenti di altruismo non sono stati combattuti

perché inducevano i singoli ad accettare la loro condizione di miseria e ristrettezza senza creare

problemi ai governanti; ma se in passato tanto si è chiesto al singolo, ben poco o addirittura nulla

dando, l’uomo di oggi non deve compiere l’errore opposto tutto esigendo senza nulla dare.

In questa vostra epoca di grande intelligenza e razionalità sembra che gli insegnamenti

fondamentali della morale siano privi di logica e di valore pratico; la società si vuol migliorare con

nuovi sistemi ed ideologie i cui fautori cercano consensi, ognuno affermando di possedere il rimedio

ai molti problemi che affliggono la società. Vedete, o miei cari, la società può essere migliorata solo

se muta il singolo, solo se ognuno si sente in dovere di fare e di condurre la propria vita con onestà,

con rettitudine, in funzione della società in cui vive. Ecco la grande logica dell’insegnamento di

altruismo, ed ecco un insostituibile valore pratico che mira a dare coscienza al singolo di se stesso in

rapporto alla collettività. Senza questa visione – che è mistica e razionale al tempo stesso – ogni

ideologia è destinata a naufragare pietosamente. Troppo facile, infatti, sarebbe parlare della

mancanza di buona fede in chi si presenta come salvatore della società e del divario che esiste fra ciò

che viene detto e ciò che viene fatto. Vi accenno solo all’errore d’impostazione – che anche oggi è

ripetuto e di cui vi dicevo all’inizio – a proposito degli insegnamenti della morale; ogni ideologia ed

ogni organizzazione che attorno ad essa si è creata, mira a difendere certe forze, certe categorie,

certi privilegi. Ogni parte difende i propri interessi cercando di ottenere sempre di più. Ebbene, questo

sistema non può per nulla migliorare la società in cui vivete. La verità di questa affermazione è

dimostrata dai fatti. Ripeto: la società può cambiare solo se il singolo intende fare tutto intero il suo

dovere, condurre con rettitudine ed onestà la propria esistenza. Solo così. Perciò questo credete,

questo insegnate ai vostri figli, sicuri di dire loro l’unica cosa veramente costruttiva per se stessi e per

un mondo migliore.

In questa speranza vi abbraccio e benedico tutti particolarmente; che la pace sia con voi e con

tutti gli uomini.

Dali