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Inizio del lavoro per il prossimo libro. Dali scrive, in ufficio, la seguente presentazione.
Scritto per “Dai mondi invisibili”; nel libro risulta modificato.1
Ai lettori.
Certamente molti si chiederanno che utilità può avere un altro libro sui fenomeni medianici dopo
tante opere analoghe, fra le quali non poche che si propongono di trattare la materia da un punto di
vista scientificamente rigoroso e perciò più adatto ai tempi nei quali viviamo, anche se in realtà la
scienza ufficiale ignora questo campo di indagine. Il fatto è che leggendo quelle opere, mentre si
torna inevitabilmente a fenomeni ormai noti, accaduti nella migliore delle ipotesi decine di anni fa, ci si
rende conto che esse finiscono col togliere ai fatti quella spontaneità e quel contenuto umano che
probabilmente ne costituivano la vera ragione. D’essere, in cambio di una produzione che non va
oltre una narrazione distaccata e fredda, fine a se stessa.
Tanto vale, allora raccontare i fatti come sono accaduti, con tutte quelle annotazioni umane
necessarie a focalizzarli, lasciando che si facciano giustizia da soli, certi che i nostri lettori non hanno
bisogno di qualcuno che giudichi per loro.
Un’altra ragione che ci ha spinto a raccontare questo caso di medianità si è determinata
osservando che generalmente le medianità sono tipiche: infatti è raro che fenomeni fisici si
accompagnino a comunicazioni intellettive di un certo rilievo o viceversa. Qui, invece, siamo di fronte
ad una medianità a larghissimo spettro e che tale si mantiene nel tempo.
Pensiamo che l’aspetto poliedrico del fenomeno debba essere segnalato ed abbia la possibilità di
interessare più persone.
Quanto il lettore può trovare qui è una parte di quello che abbiamo osservato ed ascoltato in
trent’anni di sedute.
Le annotazioni, presentazioni, riassunti scritti in corsivo sono opera nostra: tutto ciò che è scritto
nel normale corpo di stampa è stato ripreso direttamente e letteralmente dalle registrazioni sonore
delle comunicazioni medianiche.
Tanti sono i fatti ed i messaggi che per ragioni di spazio non abbiamo potuto includere nel
presente volume.
Tra l’altro non vi sono comprese le esperienze strettamente personali che ciascuno di noi ha
avuto; quelle che colpiscono e più convincono dell’esistenza di una realtà tale e quale i nostri
interlocutori ce la prospettano.
E nella parte che tratta dei messaggi ricevuti, la selezione è andata a discapito soprattutto dei
concetti meno accessibili: quelli che illustrano come la realtà che ci appare proteiforme sia in effetti
unica ed immutabile.
Tutto ciò è, invece, gradualmente e dettagliatamente esposto in una raccolta delle comunicazioni
che abbiamo intitolato “Sintesi”. Il volume, che non è mai stato in vendita, potrà essere stampato se
1 Nota apposta sul ciclostilato della signora Nella Bonora.
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interesserà ad un certo numero di persone.
Questo perché intendiamo che al di là dell’interesse al fenomeno, il messaggio recato dai
comunicanti possa essere utile per il suo valore intrinseco che non è certo da sottovalutare.
Può sembrare strano che in un’epoca di razionalità e di concretezza si scriva di cose che non
sembrano utili per la società. Siamo convinti che l’eccessiva razionalità che non lasci posto
all’elemento umano finisca col divenire crudele e col soffocare i portati dell’uomo se il singolo non
prende coscienza di se stesso e di ciò che può rappresentare nella collettività.
I messaggi dei nostri misteriosi interlocutori hanno tutti quest’ultimo fine di affrancare l’uomo dalla
propria ignoranza, dalla paura dell’ignoto, dall’erronea visione di se stesso al centro di una realtà
caotica ed apparentemente senza scopo.
La possibilità di ritrovare il senso di ciò che siamo e che facciamo, non già affermando che il
valore di tutto sta in una vita oltre l’umana, ma comprendendo l’importanza del presente e perciò della
nostra attuale esistenza, crediamo renda degno di attenzione qualunque messaggio dato con questo
scopo.
Circa il raggiungimento di questo intento e quindi l’utilità della pubblicazione, siamo consapevoli
che la nostra fatica di selezionare e sintetizzare trent’anni di sedute non può essere immune da difetti,
ma siamo confortati dalle parole dei nostri interlocutori e cioè che se questo libro fosse utile anche ad
uno solo dei lettori, ciò basterebbe a giustificarlo.
Non ci resta altro da dire se non augurare una buona lettura.
Il Cerchio Firenze 77
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19 Dicembre 1974
La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.
Eccoci nuovamente riuniti. Riuniti – noi confidiamo – nella ricerca della verità, animati da uno
spirito di analisi, da una volontà di approfondire, di vedere il vero. Voi siete consapevoli che questo
“vero” si chiama “insieme di punti di passaggio” che di volta in volta aprono nuovi orizzonti. È come
colui che è intento a camminare lungo un sentiero e di tanto in tanto si volge indietro a guardare i
luoghi che ha lasciato; così voi, di tanto in tanto, ripensate a quello che credevate prima di avere
raggiunta ed ampliata una verità e quasi – da quella che dovrebbe essere stata superata – siete tratti
indietro, quasi come se un senso di nostalgia vi impedisse di abbandonare il vecchio punto di vista, di
lasciare l’approdo che fu di salvezza ieri, di tentare nuove strade, nuove mete, di azzardare cammini
ulteriori. Ma noi siamo qua per questo. Non per incitarvi a rimanere cristallizzati sulle vostre
convinzioni, su ciò che credete, ma per distruggere giorno per giorno ciò che voi credete. Questo
significa “nascere ogni giorno”. Questo significa “rinnovarsi costantemente”. E come potrebbe essere
diversamente? Cristallizzarsi è morire, segnare il passo, chiamare il dolore perché rompa la
cristallizzazione, perché doni comprensione, quella che manca. Ecco perché vi diciamo: «Siate nuovi
ogni giorno…», ecco perché siamo qua.
Abbiate dunque il coraggio di lasciare quei concetti che possono essere stati, per voi, di conforto
ai quali vi aggrappate per valorizzare la vostra sofferenza, la vostra vita, che costituiscono – credete –
sangue del vostro sangue, carne della vostra carne. Siate pronti a ricevere il nuovo, liberi, pensando
che questo è il vostro preciso dovere, è quello che dovete fare. È lo scopo delle nostre riunioni.
È giusto che voi facciate il punto per chiarire le idee, ma quando si fa il punto, si fa un bilancio, si
tirano le somme come si usa dire, bisogna avere coraggio; non affezionarsi a niente, vedere – direi
cinicamente – che cosa alla luce delle nuove analisi, delle nuove posizioni raggiunte, è ancora valido
e che cosa è superato. Quello che c’è di bello e che può agevolarvi è che ciò che è superato non lo è
in senso assoluto. Intendo dire che non vi è mai contraddizione fra ciò che vi diciamo
successivamente e ciò che vi avevamo detto , ma sempre e solo ampliamento, approfondimento.
Quindi non si tratta, in definitiva, di rifiutare “in toto” certe verità che noi vi avevamo dette – a meno
che voi non le aveste mal comprese – si tratta di approfondirle, di vederle da una nuova luce più
ampliata. Certo che se un concetto è stato da voi mal compreso – perché questo può accadere –
allora, se è stato svisato, occorre abbandonarlo nell’approfondimento perché se ne scopre la falsità, il
senso falsato. Ma quando così non è, ciò che voi venite a conoscere vi amplia ciò che conoscevate
ed il quadro che si presenta di fronte ai vostri occhi deve sempre di più lasciarvi stupiti ed ammirati.
Questo è ciò che possiamo fare allo stato attuale delle vostre conoscenze. Un giorno questo quadro,
sempre più precisato, sempre più completo, non desterà più stupore ed ammirazione, ma sarà
capace di far fluire in voi stessi spontaneamente il “sentire”. Stato interiore chiamato in molti modi
(non ha importanza) ma che non può essere descritto: solo sperimentato.
Vi lascio momentaneamente.
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Pace a voi.
Dali
Manifestazione della mamma di Evo de Ciutiis.
Alberico. Alberico fu il mio nome, ma il mondo mi conobbe come Carlo Eugenio de Focauld. Non
si ha idea di come possa essere complesso il reale nel quale viviamo. Per tanti secoli gli uomini si
sono scervellati a pensare come poteva essere l’altro mondo; chi lo immaginava nelle profondità della
terra, chi nelle altezze celesti e nessuno, per le loro deficienti conoscenze, poteva immaginare che
tutto esiste compenetrato. Questa è un’affermazione in senso assoluto perché quanti mondi esistono
assieme! Avete mai meditato questa verità? Pensate: il vostro mondo è tanto vasto, il vostro
personale. E quello di chi vi sta accanto è un altro mondo altrettanto vasto come il vostro e quanti
sono i mondi che sono l’uno appresso all’altro! Quante forme di esistenza! Le forme vegetali, le forme
animali, le forme umane. Ed ogni specie conta milioni e milioni di mondi individuali, di sfere che
contengono realtà soggettive: microcosmi. E pure noi stessi come uomini siamo più mondi. Pochi
come me, nell’ultima incarnazione, hanno sperimentato questa verità, pochi. Un mondo che
improvvisamente cambia totalmente fisionomia, eppure chi mi conosceva continuava a chiamarmi
con lo stesso nome. Per questo scelsi il silenzio convinto che, forse, al punto attuale della nostra
esistenza in effetti fra noi non c’è comunicazione. Noi crediamo di conoscere i nostri simili, ma non è
così. Solo in un futuro, in una futura forma di esistere di noi stessi conosceremo il nostro prossimo.
Allora, non ora.
Vi lascio ma spero di tornare. Pace.
Charles-Eugène de Focauld
Salve a voi.
Sono belle queste conversazioni quando interessano la maggior parte di voi, quando diventano
generali. C’è solo una risposta: in assoluto non esiste che l’Assoluto. Tutto il resto, che non sia
Assoluto, non può che essere relativo e quindi illusorio allo stesso modo.
Interessante anche l’altra domanda, quella che ha rivolto la figlia Anna, perché apre la strada a
nuovi approfondimenti, in particolar modo su quel piano di esistenza che da tempo cerchiamo di
prospettare alla vostra immaginazione. Immaginazione!
Quando Dio cacciò Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre dopo aver condannato l’intero genere
umano alla fatica e al dolore, fu colto dal dubbio di essere stato un tantino severo e pensò di
rimediare facendo agli uomini un dono. Egli disse: «Quando i giorni vi attenderanno l’uno dopo l’altro
con il loro carico di fatica e di monotonia, quando umiliati dai potenti sarete costretti a servirli, ad
imbandire le loro tavole cibandovi delle briciole che da esse cadranno, quando chinerete la testa nella
pronta condiscendenza di chi può permettersi solo di assentire, quando vi percuoteranno e voi
dovrete sorridere perché non potrete fare altro, ecco allora io vi manderò in soccorso
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l’immaginazione». Immaginazione! Magica facoltà. È il sale della Terra, il colore del mondo. Che
cos’è la vita senza l’immaginazione? Una realtà senza poesia, un sonno senza sogni, la morte. Chi
potrebbe sopportare una vita di fatica e di stenti se non potesse immaginare di essere un Re? Chi
resisterebbe alle situazioni più disperate e senza via d’uscita, se non potesse evadere sul filo della
fantasia con l’immaginazione? Eccola l’amica dell’uomo, colei che lo riscatta da un’esistenza brutale e
lo cinge del serto dei poeti! È lei che abbellisce la vita, lei che nutre l’arte e crea le civiltà, perché è
potere creativo. Che cos’è il genio se non immaginazione controllata dalla ragione? Gli uomini privi di
immaginazione non compiono mai nulla di bello perché non sanno andare oltre la pochezza del loro
essere.
Ma tanta benedizione non poteva essere data all’uomo se non avesse potuto trasformarsi in una
droga pericolosa. L’immaginazione è come una lente che ingigantisce la visione di chi vi guarda
attraverso; se la si usa abitualmente non si sa più distinguere la realtà concreta dalla fantasia. E chi la
adopera senza controllo, è come se cavalcasse un indomito cavallo senza redini e senza speroni.
Tutto ciò che essa immagina lo crea e ciò che è creato esiste anche se solo nella mente. In questo
modo rende credibile ciò che non lo è e per questo molte delle cosiddette tragedie della gelosia in
effetti non sono che tragedie dell’immaginazione. Se con essa guardate i vostri simili, potete farne dei
Santi o degli assassini e quando la associate al richiamo sessuale che qualcuno esercita su di voi,
cadete perdutamente innamorati. Chi può dire la vera grandezza di Carlo Magno o di Giulio Cesare? I
divi divengono idolatrati quando riescono a colpire l’immaginazione delle folle.
Immaginare è sinonimo di inventare ed inventare può voler dire ideare o mentire. Qual è la regola
esatta per usare l’immaginazione? L’immaginazione non va adoperata nei confronti dei propri simili
né delle relazioni che con essi si hanno perché potrebbe trarre in inganno: ma è preziosa nella
comprensione della realtà. Sì, perché l’immaginazione non appartiene alla fantasia, ha fini pratici.
L’animale che trova sbarrata la strada che lo conduce al cibo, muore di fame se non immagina un
percorso diverso. Quale delle scienze applicate e perfino delle scoperte scientifiche non dobbiamo
all’immaginazione? Voi vivete in un’epoca di grande progresso scientifico, eppure siete dei
rinunciatari nei confronti dell’immaginazione. La creatività dell’uomo medio di questa civiltà sta nel
seguire la moda, nell’imitare le azioni altrui; perfino il lavoro non è che una ripetizione meccanica di
operazioni che nulla lascia all’inventiva del singolo. Beati coloro che possono abbellire la loro
esistenza con qualcosa che viene da loro stessi, dalla loro creatività intesa non come operosità ma
come inventiva! Tuttavia molte volte anche chi ha questa possibilità non la mette in atto proprio per
mancanza d’immaginazione. L’immaginazione è una facoltà superiore della mente che vi aiuta ad
ipotizzare una realtà nella quale i fatti che accadono nel mondo che vi circonda trovano una logica
collocazione, ma soprattutto una convincente spiegazione. Una siffatta realtà è sempre stata
ipotizzata, ma nessuno ha mai saputo vederla nella sua interezza perché nessuno ha mai saputo
immaginare nella misura necessaria.
Quando noi vi parliamo di questa verità da noi conosciuta per esperienza diretta, contiamo sulla
vostra immaginazione. Questa sola può essere mediatrice di un colloquio fra noi e voi. Mediatrice
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della comprensione del mondo nel quale vivete, mondo in cui nulla veramente è come appare. Noi
stimoliamo la vostra immaginazione, ma questo non significa che vi invitiamo a fantasticare.
Fantasticare è cavalcare l’ippogrifo dei poeti senza tener conto dell’orientamento. Immaginare è
congetturare, ideare, partendo da dati concreti. Il vostro mondo non è che immaginazione della realtà
che vi circonda, perfino la visione ottica è immaginazione. Voi ricostruite nella vostra mente gli oggetti
con l’immaginazione. Senza l’immaginazione la percezione degli stimoli luminosi non si tradurrebbe in
immagini e non vi sarebbe comunicazione a meno che non vi fosse “comunione”. Attraverso
all’immaginazione voi vedete. Le immagini, dal cervello fisico, passano al corpo astrale, da qui nella
mente in cui sono ricostruite con l’immaginazione: da qui la comunicazione. Dal grossolano al sottile,
dunque.
Mentre con l’intuizione la via è opposta. Nell’intuizione è la comunione della parte più sottile del
vostro essere con una realtà che vi dà la consapevolezza di essa.
Se dunque noi dobbiamo parlare dell’esistenza successiva a quella attuale, noi dobbiamo parlare
di intuizione. Ma solo un uso controllato e ragionevole dell’immaginazione può aprirci a questa
esistenza successiva.
E con questo – avendo detto la cosa per voi più importante – posso terminare il mio panegirico
sull’immaginazione.
Pace a voi.
Kempis
Per più popoli una prova dolorosa di lutti e sangue. Pregate.
Entità Ignota
Prima di lasciarvi e darvi appuntamento fra un mese, se avete delle domande da rivolgerci,
cercherò di rispondervi.
Partecipante – Vorrei sapere che differenza c’è fra Scintilla Divina – cioè l’Assoluto – nell’uomo, e la
Scintilla Divina – cioè l’Assoluto – in Cristo.
Dali – Nessuna, assolutamente. Infatti noi abbiamo chiamato queste Scintille Divine un illusorio
frazionamento dell’Assoluto. Quando parla – ammesso che ciò sia possibile – la Scintilla Divina, parla
l’Assoluto. Parla per tutti nello stesso modo, parlerebbe per tutti nello stesso modo.
Partecipante – Scusa, vorrei sapere, per quella che è la possibilità di comunicazione dei mondi, di
“sentire” sul piano akasico; è una comunicazione intuitiva?
Dali – Certo. Kempis ha lasciato alla vostra immaginazione la risposta, ma chiaro. Comunque questo
argomento sarà ancora approfondito, se a voi interessa.
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Partecipante - …
Dali – Posso solo assicurarti il mio aiuto ed esortarti a non fantasticare. Cioè non pensare che sia più
brutto di quanto in realtà sia o possa essere. Non so se sono stato sufficientemente chiaro.
Partecipante – … Sul Cristo, emanato da Dio, senza necessità di reincarnazione… Anche negli
uomini la Scintilla Divina non si può reincarnare… Questo non capisco…
Dali – Appunto, dovete tenere presente ciò che era detto in passato, anche da noi, in una forma
velata e che costituiva una verità punto di passaggio – delle quali prima vi parlavo – come quella della
nascita virginea di Cristo e della Sua evoluzione raggiunta in modo diverso dalla vostra. Questo
volevamo significare. Approfondendo, oggi voi sapete: cioè la manifestazione della divinità che è in
ognuno di noi, nella persona umana Gesù. Certo che l’Assoluto non ha bisogno di reincarnazione, è
chiaro questo. Ma quando la figlia Zoe si reincarna, si reincarna tutto l’individuo Zoe il quale
s’incentra, fa capo, ad un illusorio frazionamento dell’Assoluto o Scintilla Divina. Allo stesso modo è
avvenuto per la personalità Gesù che ha seguito varie incarnazioni. Spesso, o direi più volte, nelle
incarnazioni umane di questa personalità che una volta si è chiamata Gesù, un’altra volta si è
chiamata Ananda, un’altra volta si è chiamata Koot-Hoomi – e in modo ancora diverso si chiamerà –
si è manifestata la Scintilla Divina sulla quale questa individualità gravita. Quindi non vi è evoluzione
della Scintilla Divina, ma unicamente della personalità che ha mutato tutte queste vesti terrene.
Partecipante – Stasera è stato detto qualcosa sull’agopuntura. Io vorrei chiedere dell’ipnoterapia.
Può essere utile o vi sono delle controindicazioni significative?
Dali – L’argomento è molto vasto, non si può trattare in poche parole. Può essere utile se fatto in
modo giusto. Del resto quello che vi ha detto Alan conferma quello che io vi dico. Naturalmente ogni
cosa poi può dare dei danni se non è fatta in modo giusto. Il principio è buono, resta a vedere come si
attua questo principio.
Partecipante – Scusa, cosa mi puoi dire di Baha’H’llah?
Dali – Sono tutte Entità che presiedono e portano presso certi popoli, certe sotto razze, certe razze,
messaggi nuovi di spiritualità. Certo io non intendo formulare un giudizio su questa personalità e
sull’insegnamento. Certo che visto da differenti posizioni, può sembrare strano quello che viene
insegnato. Può sembrare a volte molto bello, molto profondo, molto adatto anche alla nostra
mentalità; altre volte può semrare ridicolo, ma tutto deve essere ricondotto ad un giudizio di quei
popoli, di quelle nazioni, di quelle mentalità per cui ciò che può sembrarci ridicolo può in effetti invece
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costituire un grandissimo passo avanti per quelle genti.
Partecipante – Ci è stato parlato questa sera del “linguaggio”. Puoi darci un chiarimento su quello
che è stato detto? Su quella che è la funzione del linguaggio, o quella che può essere la necessità di
una scelta. Comunicare o no?
Dali – Vedete, anche qui vi sarebbe tanto da dire. Noi consigliamo sempre a comprendere gli altri,
anche se questa comprensione può essere dolorosa, può contrastare con i nostri punti di vista, con
ciò che noi crediamo. Noi consigliamo sempre di comprendere gli altri intendendo, per “comprendere”
non un acquiescenza passiva di ciò che gli altri credono, un accontentare le loro pretese per portare il
buon per la pace, non questo. Comprendere veramente gli altri, perché parlano, pensano in quel
modo. Comprendere vuol dire amare, vuol dire anche, cioè, cercare – se loro non sono nel giusto, se
errano – cercare di portarli verso la giustizia, verso la verità. Si potrebbe obiettare a questo, e
chiedere qual è la giustizia e qual è la verità. Non parliamo di giustizia e di verità assolute, ma quelle
che ai nostri occhi, agli occhi dell’uomo onesto, retto, di buon senso appaiono tali. Sono tutti punti di
passaggio – dovete comprendere questo – ma sono necessari. Allora comprendere gli altri significa
“vedersi negli altri” e cercare di farsi amare dagli altri, perché è molto più importante comprendere che
essere compresi: è importante amare più che essere amati. Ma molte volte, quando si ama
veramente, si è anche amati perché si riesce a farci comprendere ed a comprendere…
Tante altre cose vi sarebbero da dire in senso generale, in senso particolare, ma a suo tempo
non ci mancherà l’occasione. Vi benedico.
Partecipante – Scusa, per Valeria, questa bambina… Posso dare una speranza?
Dali – Ogni cosa al momento giusto. Certo, a suo tempo.
Partecipante – …
Dali – Parlatene assieme. Intendo dire questo: siamo ben lieti di aiutare anche altre creature più
bisognose dal lato affettivo. Ma quante potremmo aiutarne? Vorrei che voi ci deste una mano in
questo senso. Non rimettete tutto a noi. È l’ora che anche voi agiate.
Partecipante – Scusa, sentendo Entità che si manifestano attraverso altri medium noto una
differenza. Quello che mi fa più impressione è sentire che ci sono evoluzioni anche senza la vita,
senza l’incarnazione. Cosa intendono dire con questo? Forse gli Spiriti Elementari?
Dali – Bisognerebbe domandarlo a loro…
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Partecipante – Posso chiedere come sta Carlo Vigo?
Dali – Oh, una creatura di animo così sensibile e sottile, e spirituale, non può che stare molto bene!
Partecipante – Grazie.
Dali – Vi benedico tutti.
Partecipante – …
Dali – Direi di no. Vi benedico e vi abbraccio tutti. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Cercate da queste riunioni di trasfondere in voi la forza che esiste: sintonizzatevi con queste
forze, figli! Le porterete con voi, vi assicuro.
Pace a tutti voi.
Dali
10
16 Gennaio 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Il nostro saluto e la nostra benedizione vi seguono
costantemente, o figli.
Voi siete qua riuniti, o cari, veramente in modo fraterno, veramente nel nome della verità, della
comprensione di cose che sfuggono normalmente agli uomini. Su questo lato non conosciuto della
realtà che sta di fronte agli uomini, tante cose si sono dette, tante congetture si sono fatte, ed era
inevitabile che anche chi avesse avuto delle intuizioni, le più possibili, le più vicine alla realtà di ciò
che è, al momento poi di tradurle in parole ne facesse delle visioni soggettive, delle esposizioni viziate
da imprecisioni.
Noi certo non siamo alieni da queste imprecisioni perché la realtà di ciò che è può essere solo
sperimentata: nel momento che la si traduce in parole non è più quella. Ciò non di meno ci sforziamo
di arrivare in modo più preciso possibile, o a commettere il minor errore. Ma se il nostro compito fosse
quello unicamente di esporre, senza interessarci di quanto voi ci seguite, sarebbe ben sterile, ben
fredda la nostra opera. Noi vogliamo che quello che vi diciamo sia da voi recepito, sia tradotto in voi
stessi, diventi parte di voi stessi, o figli. Altrimenti, come tante volte vi abbiamo detto, le nostre non
sarebbero che parole, che suoni, forse gradevoli a sentirsi, ma non varrebbero certamente lo scopo
per il quale sono dette.
Oh figli, questa sera vi è stato parlato di un mezzo, dalla figlia Tina, che serve ad aiutare le
creature. Voi avete fatto anche l’ipotesi che questo mezzo possa diventare un sistema per dare delle
cattive abitudini, ma questo non ha nessuna importanza; quello che conta non è, non si può misurare
dal risultato. L’aiuto che si può dare non è tanto importante per il risultato, non è prezioso per quello,
figli cari, ma è prezioso perché discende dall’intima intenzione che ha chi aiuta. Quella è la cosa
preziosa e meravigliosa. Così possiate voi avere nell’intimo vostro il desiderio di essere d’aiuto agli
altri. Questo è importante. Cominciate, come ho visto, ad essere voi stessi parte di quello che noi
facciamo; cominciate a diffondere attorno a voi quello che avete ricevuto. Fate sorgere nell’intimo
vostro questa volontà, questo desiderio, questo è importante.
Io vi auguro con tutto il cuore che questo piccolo fiore che vediamo germogliare in tutti voi, “il
desiderio di essere utili ad altri”, possa non essere soffocato dagli affanni della vita di ogni giorno.
Ricordate, figli, (ormai queste sembrano frasi appartenenti alla retorica), basta l’essenziale, il
sufficiente per vivere; non createvi delle preoccupazioni per vivere meglio, per volere di più, per
accumulare di più, per apparire di più, se queste possono distruggere la vostra tranquillità e questo
fiore di cui ora vi parlavo.
Vi benedico e abbraccio tutti.
Dali
Il mio nome fu Domenico Biondi, ma in vero ero nero come un corvo. Certo io non so perché
vengo qua da voi, ma quello che ho da dire penso che possa interessare. Io fui un profondo
11
ricercatore dei meccanismi biologici del corpo umano. Biologici in generale, ma, in particolare,
istologici del corpo umano. Ecco, il desiderio di conoscere ch’io avevo fu così forte per me che
quando lasciai il mondo dei viventi volli continuare a studiare per approfondire quello che avevo
intuito. Quante volte i ricercatori sono prossimi alla verità eppure se la lasciano sfuggire! Oggi fervono
approfondite ricerche su virus e su malattie che gli uomini temono perfino a nominare. Ebbene, vi è
una sostanza così semplice, alla portata di tutti, conosciuta dalla scienza, che è nemica di gran parte
dei virus e quindi può essere preziosa nelle forme tumorali che da questi virus vengono.2 Si tratta
dell’emetina, a voi forse sconosciuta ma esiste: tre milligrammi in dieci centimetri cubi di soluzione
fisiologica per endovena sono la dose giusta che fa soccombere tanti virus, specie anche le forme
infettive virulente. Per l’altra malattia che ho nominato occorrono esposizioni prolungate, ma una via
positiva può essere quella. Chissà se il mio dire può portare aiuto a qualcuno!
Vi saluto, ricercatori dell’ignoto!
Domenico Biondi3
Salve a voi!
Voi forse credete che io risponda alle vostre domande! Sarebbe troppo facile; comunque
apprezziamo molto gli sforzi della vostra immaginazione e debbo dire – pur facendo delle riserve sullo
spostamento in avanti o in alto dei problemi – che non vi siete distaccati molto da ciò che è. Ma le
risposte che voi aspettate, dovete essere voi stessi a richiamarle. Dovete, in altre parole, essere un
pochino più pronti a riceverle.
Questo discorso non vale per ciò che avete detto a proposito della libertà. Bene l’inizio di ciò che
ha detto il figlio Gilberto su questo argomento. La conclusione è stata un po’ più nebulosa, ma
siccome di questo argomento abbiamo parlato tante volte, prima unicamente per dimostrare qualcosa
sul libero arbitrio, dopo per parlare delle varianti abbiamo dovuto riprendere l’argomento della libertà,
dei tipi di libertà di cui gode l’individuo; siccome, appunto, ne abbiamo parlato tante volte non è il caso
di insistere. Basterà una semplice rilettura di questi due punti per rinfrescarvi le idee.
Desideriamo, invece, dire qualcosa d’altro sul “mondo degli individui”, sul piano akasico. Ma per
parlare di questo piano occorre cambiare del tutto prospettiva, occorre entrare – come ormai vi siete
accorti – in un nuovo ordine di idee. Noi lo abbiamo chiamato “piano degli individui”, e questa
definizione venuta così per comodo, certamente è più precisa di quanto ci si potesse aspettare. Non è
il piano degli uomini: il piano degli uomini, possiamo dire – o i piani degli uomini – finiscono con il
piano mentale. Ciò che rimane al di sopra è puro “sentire”. Intendo dire che se voi poteste comprare
una sola fra due macchine per tornare nel passato, l’una capace di farvi vedere la civiltà dei mondi
trascorsi nella loro manifestazione esteriore, l’altra invece di farvi capire i pensieri segreti degli abitanti
2 Vedi su questo argomento il chiarimento di Dali, venuto nella riunione del 27 Febbraio 1975.
3 Domenico Biondi (1855-1914): medico e chirurgo di Calvizzano (Napoli), professore di patologia
chirurgica a Bologna; autore della tecnica istologica di un nuovo metodo di colorazione (reattivo del B.).
12
di questi mondi, molto probabilmente voi scegliereste la prima e la vostra scelta sarebbe saggia,
perché per sapere che cosa si agitava negli uomini, o si agita negli uomini di altre civiltà o di altre
società, basta immaginare quali sono i problemi dei vostri simili. Infatti fra una civiltà e l’altra i valori
sociali possono essere diversi, ma il modo di ogni uomo di agitarsi fra questi valori è sempre analogo.
Il vostro problema può essere quello di salvaguardare l’onore vostro controllando, sorvegliando la
fedeltà del vostro compagno o della vostra compagna; mentre l’onore di un appartenente ad un’altra
civiltà può stare nell’essere massimamente ospitali, donando anche l’intimità dei propri famigliari. Ma
il senso di tutto questo non cambia: i problemi del primo simile che vi passa accanto – anche se in
termini diversi – sono essenzialmente gli stessi di un appartenente alla civiltà romana o greca o
egiziana. Allora, sul filo di questo ragionamento, noi potremmo concludere che l’evoluzione non
esiste, o se esiste si riduce alla mutazione di valori sociali del tutto discutibili. I conflitti infatti che
agitano gli uomini, sia del singolo, che delle nazioni, esistono da sempre; cambiano le ragioni – o
meglio i pretesti – che li fanno scoppiare, ma si è ancora lontani dalla convivenza pacifica, dalla
reciproca comprensione che l’evoluzione spirituale avrebbe dovuto conferire agli uomini. Se questa è
la vostra opinione, voi siete simili – in questo giudizio – a chi ad esempio osservando una scuola e
vedendola sempre frequentata, dica: «Ma gli uomini non imparano mai, sono sempre a scuola! E
soprattutto non crescono mai!». Così la Terra è per chi non ha costituito la propria coscienza
individuale; per chi può percepire unicamente attraverso alle fantasmagoriche immagini dei mondi
grossolani. Chi ha raggiunto il “sentire” di coscienza lascia la Terra, lascia la regione dei fotogrammi,
la ruota delle nascite e delle morti, perché sperimenta un nuovo stato di esistere in cui si può “sentire”
senza necessità di stimoli esterni.
Ho detto “esterni” perché questi stimoli, anche quando si chiamano “desideri” o “pensieri”
appartengono ad un mondo che è dell’uomo, ma che non è l’uomo, a meno che noi non siamo il
nostro mondo. Chi può dirlo, fratelli?
Chi ha raggiunto il fluire spontaneo del “sentire”, può essere chiuso in una stanza buia e vivere lo
stesso, perché “sentire” è “vivere”.
Vedete, lo stato di Essenza, Beatitudine, Esistenza del quale parlano più volentieri gli orientali
degli occidentali, si raggiunge nella quiete interiore, nel silenzio interiore, quando si domano gli stimoli
fisici, i desideri, nella quiete del pensiero. Nel distacco dal mondo dei fotogrammi, diciamo noi. Ma più
esatto sarebbe dire che quando il mondo dei fotogrammi ha insegnato all’uomo tutto quello che
doveva insegnare, allora il “sentire” comincia a fluire spontaneamente e l’individuo sperimenta una
nuova fase della sua esistenza in cui è puro “sentire”. Questa è la verità. Il contrario di ciò non può
essere che l’errore. Cioè: errato sarebbe fuggire il mondo prima che questo avesse forgiato
l’individuo, credendo di trovare nell’isolamento quel “sentire” di cui prima vi parlavo.
Ecco, ho detto “isolamento”. Che forse allora questa esistenza successiva all’individuo, che ha
come conseguenza l’abbandono della ruota delle nascite e delle morti, è un’esistenza del tutto
interiore, lontana da quella degli altri? Hum! Quando voi siete nel mondo vedete dei vostri simili,
comunicate con loro, credete di poter influire nella loro esistenza – figlio Francesco – vi illudete di
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poterli aiutare. Poi vi è detto che questa non è la Realtà, che quel contatto che credete di avere con i
vostri simili, non è immediato, che le esperienze che nascono dall’interesse comune di più uomini,
sono vissute singolarmente in modo asincrono. Certo questo vi dà un senso di solitudine. Adesso noi
vi diciamo che l’esistenza futura vostra è un’esistenza lontana da quel mondo nel quale, anche se
illusoria, esiste qualcosa che dà l’idea della vicinanza con altre creature. E questo senso di solitudine
si può far drammatico. Ma è giusto tutto ciò?
Quando voi sperimentate l’esistenza di puro “sentire” in cui ogni “sentire” succede all’altro
spontaneamente, senza necessità di stimoli del mondo grossolano – le esperienze fisiche, astrali e
mentali – voi “sentite” di essere in sintonia con tutto l’Emanato. Poco a poco entrate in Comunione
con tutti gli esseri esistenti divenendo partecipi del loro “sentire”. Raggiungete la certezza di essere
“uno” con “loro”. E questo è più di una sensazione di vicinanza che un’immagine oggi può darvi. Ed il
senso di solitudine che provate nel venire a conoscenza della non contemporaneità del “sentire” è
giusto? Se voi foste dei Santi fra selvaggi, guardandoli sapreste e stareste osservando delle creature
in una fase primitiva della loro esistenza, creature che nel loro presente, al pari di voi “sentono” come
Santi. Ciò non di meno le amereste perché farebbero parte di quella porzione dell’esistente che Dio vi
ha dato da sperimentare. Sì, fratelli. Ognuno di noi è identificabile con il “suo mondo”, al di là
dell’illusorio scorrere, divenire, della separatività, dell’io e non-io. Possiate capire che cosa intendo
significare.
Pace a voi.
Kempis
Creature nostre, possiate comprendere la forza che queste riunioni possono far scendere in voi.
Possiate riconoscere questa verità perché nella comprensione di ciò voi diventate ricettacolo di
queste forze.
Ecco, anch’io sono fra voi ed i vostri Fratelli Maggiori sono qui con me. Volgete il vostro pensiero,
il vostro sentimento a noi, siate certi di poter ricevere queste energie sottili che permettono la nostra
comunicazione con voi. Prendetele, attingete a queste, attingete e donate a chi ne ha bisogno. Io
vengo per dirvi poco, le mie parole sono povere, ma il mio amore per voi è grande!
Teresa
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.
Partecipante – Per quelli di Brescia… se voi voleste, quando, dove e come, di tu.
Dali – Noi certamente non possiamo continuare ad invitare creature a queste riunioni, è vero? Ma se
qualcuno di voi vuole, per una volta, cedere il posto a questi che vengono così di rado, credo che
sarebbe la soluzione più semplice.
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Partecipante – Ma… a questo genere di sedute?
Dali – Vedrò che cosa possiamo fare.
Partecipante – E poi io penso di esprimere il “sentire”, il sentimento di ognuno di noi nel porgervi un
profondo ringraziamento dal nostro piccolo cuore per tutto l’amore che voi avete riversato su di noi e
per tutto il bene che Voi tutti avete fatto per noi. Anche per i giovani, le ultime leve che sono venute,
ma specialmente per gli anziani che da molti anni sono qua. Grazie!
Dali – Ti ringrazio di queste parole, figlio caro. Così doveva essere. Noi non abbiamo fatto niente che
non fosse scritto. Adesso sta a voi. Il più bel ringraziamento credo sia quello di vedervi fare agli altri
qualcosa che sia… abbia trovato qui ispirazione. Vi benedico, cari figli.
Partecipante – A quando, Dali?
Dali – Fra un mese.
Partecipante – Possiamo, nel frattempo, se qualche altra creatura chiede un aiuto spirituale, fare una
riunione affettiva, non per noi, per le altre?
Dali – Certo. Noi rispondiamo sempre alla vostra invocazione quando si tratta di portare luce a delle
creature. Ma che questo sia fatto veramente per portare conforto e chiarezza.
Vi benedico ed abbraccio tutti. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
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Relazione e descrizione di un apporto. Serata del 16 Gennaio 1975
Lilli si è avvicinata a me con una certa riluttanza scherzosa e infantile.
Ha detto di essere sollecitata con insistenza da una monaca a consegnare qualcosa a uno dei
presenti.
Alla domanda se si trattasse di Teresa, ha risposto che non era Teresa a sollecitarla, ma un’altra
monaca, molto importante anch’essa.
Mentre mi si stava avvicinando, ho sentito il rumore di un oggetto metallico che cadeva sul
pavimento.
Qualcuno l’ha raccolto; non ho capito bene se è stata la stessa Lilli.
Poi Lilli mi ha sfiorato il volto con le mani, quasi per una carezza, infine mi ha cercato una mano e
mi ha fatto scivolare nel palmo un oggetto, abbastanza pesante, di forma ellissoidale.
Sul momento, nel buio, ho pensato a un vecchio orologio da taschino, oppure a una miniatura
racchiusa in un contenitore metallico.
Quando si è accesa la luce, ho visto che si trattava di un reliquiario.
L’ho aperto: conteneva diverse reliquie, disposte secondo un ordine che richiama vagamente il
disegno del Giglio di Firenze e separate tra loro da una delicata filigrana in oro.
Dalla “descrizione” disegnata a penna nel sottocoperchio si ricava una data – il 1784 – e il nome
dei Santi a cui appartengono le reliquie: per lo più si tratta di Santi nati o vissuti a Firenze e in
Toscana.
L’oggetto sembrerebbe provenire da un convento fiorentino. Per tutta la sera e anche il giorno di
poi emanava un odore particolarissimo e pungente di polvere, di aromi, di fiori secchi: odore che non
ha mai perduto del tutto e che è pure rimasto attaccato alle mie mani per molte ore.
L. G.
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Con il Loro aiuto, come sempre, è stato stampato “ANALISI: PER UN MONDO MIGLIORE”.
Giorno di San Sebastiano (20 Gennaio). Infinitamente ringraziamo.
13 Febbraio 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Un saluto ed una benedizione a voi, o figli.
Forse può darsi che, questo nostro parlare sia ritenuto monotono, che noi torniamo un po’ troppo
spesso su certi argomenti, ma pure non possiamo far di meno perché, in mezzo alla congerie delle
parole, dei discorsi, molto spesso l’uomo perde il senso della Realtà.
Ancora una volta desidero parlarvi di quale è lo scopo per il quale noi siamo fra voi. Non c’era
bisogno che noi venissimo a parlarvi di altruismo, di amore verso i vostri fratelli, di aiuto da dare agli
altri – solamente di questo – per quanto si riferisce alla vostra condotta nei confronti di voi stessi e dei
vostri simili. Né importava che le nostre comunicazioni parlassero di un Dio, di quelli… di quei tanti
che appartengono alle varie prospettazioni fatte dagli uomini, anche delle più alte, delle più intuite.
Per tutto ciò si sono spese tante parole e, alla fine, gli uomini si sono confusi e non comprendono più,
e forse, non credono più.
La ragione per la quale siamo venuti fra voi e tutt’ora rispondiamo alle vostre invocazioni, risiede
principalmente in due aspetti del fenomeno… L’uno, come ho detto, nei riguardi di voi stessi: è un
aspetto che investe ciò che voi dovete essere, voi intimamente e voi nei confronti dei vostri simili. A
questo tipo di messaggio risponde esaurientemente tutto ciò che principalmente è stato detto da
Claudio. Voi sapete qual è il vostro dovere: comprendere voi stessi con tutto quello che segue. Prima
di tendere a migliorare il mondo nel quale siete, portare chiarezza in voi stessi, senza che questa
vostra azione sia ispirata da ambizioni di qualunque genere, anche mascherate da non-ambizioni.
L’altro aspetto al quale rispondiamo con questi incontri è quello di una nuova visione della Realtà:
una visione – se potessimo definirla in termini umani – del tutto originale nel senso che non è stata
mai appresa né comunicata, fra uomini, perché rivela l’esistenza di qualcosa che è profondamente
diverso da come appare. Parlo di Dio perché la Realtà è Dio. Lui solo esiste in Realtà. In tanti secoli
di umana speculazione gli uomini si sono fatti un’infinità di immagini di Dio: le più… alte, le più
ispirate, ancora oggi ne fanno un Essere perfetto, eterno, infinito e via dicendo, il quale – ad un certo
punto di un tempo che non esiste, e se si riesce a dire questo è già molto – “crea” il mondo, “crea”
l’esistenza. Anche questa può essere un’immagine valida fino a un certo punto, un’ipotesi di lavoro
che può essere ritenuta valevole sino a che ci interessiamo di problemi che non riguardano
direttamente la natura di Dio ma delle sfere dell’Emanato. Ma viene un momento, figli cari, in cui
questa immagine deve essere sottoposta ad una verifica ed è quello che noi, poco a poco, facciamo:
distruggere questo tipo di rappresentazione di Dio – e quindi della Realtà – per costruirne una nuova
che certamente ancora non è l’ultima – la Realtà è eguale a se stessa e basta – ma una nuova che ci
permetta di andare avanti insieme nella comprensione. Quindi ogni giorno voi dovete abituarvi a
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vedere il nuovo, ad accoglierlo.
E come è possibile questo? Generalmente l’uomo, quando ascolta un nuovo messaggio, lo
confronta con ciò che crede e se non è in armonia con quelle che sono le sue convinzioni, lo rifiuta.
Molto spesso è una questione di pigrizia. Ora per comprendere occorre non essere pigri, essere
pronti a rifare nuovamente, non una ma cento, ma mille volte, il ragionamento base. Occorre
dimenticare ciò che sappiamo fino a questo momento per poter penetrare nella nuova idea, in ciò che
viene a noi presentato. Sino a che si resta ancorati a quello che si credeva o si crede, non si potrà
mai comprendere, in pieno, un nuovo messaggio.
Cercate di non cadere in questo errore, figli, come cadono molti simili a voi che si riuniscono e si
raggruppano. C’è sempre tanto da sapere. E per sapere l’ulteriore occorre non essere affezionati a
quello fhe fino ad allora si è conosciuto. Per poter veramente penetrare il nuovo occorre essere liberi
e duttili nella mente. Tenete presente tutto ciò.
Vi amo e vi benedico. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
La voce dell’Entità che si presenta è rotta, affannosa, esprime uno stato di sofferenza e quasi di
esaltazione psichica che trasmette a noi la sofferenza che la domina.
Gli appunti. Ecco. Certo. Dove stanno i miei appunti? Non dirglielo, non dirglielo perché se glielo
dico mi uccidono. Li ho nascosti, li ho nascosti sotto il piano della scrivania al giornale e li ho messi lì,
lì sotto nella busta, nella busta arancione. Non a casa, al giornale. Ma io ho detto “a casa” perché se li
trovano mi ammazzano. Hai capito?
Domanda – Ma chi sei?
Risposta – Mauro, Mauro de Mauro.
Mauro de Mauro4
Sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di stare concentrati.
Manifestazioni di luci, poi la Guida si avvicina a Gilberto dicendo: «Per il figlio Gilberto…», e nella
mano stessa di lui si materializza un apporto costituito da…
Michel – Lo vedi?
Gilberto – Sì.
4 Vedi nella riunione del 30 Maggio 1974, la nota riguardante la manifestazione di Enrico Mattei.
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Michel – Così, per tutto il resto della vita.
Michel
Pace a voi.
Un modo sicuro per tramandare la verità al di là dei periodi di oscurantismo è quello di
mascherarla in un gioco o trasformarla in una favola. Il Tarocco e la mitologia sono esempi eloquenti
di questa affermazione. I simboli, le idee universali ed assolute passano oltre, fra le mani degli
ignoranti e dei severi censori e giungono ad illuminare il cammino dei posteri che sono pronti ad
intenderle. Tenetelo presente voi che deridete le credenze degli antichi! Quelle favole possono
contenere una sapienza alla quale voi ancora non siete pervenuti.
Prometeo ruba il fuoco sacro agli Dei e per questo la sua condanna è di avere il fegato
perennemente divorato da un rapace, ma alla fine è ammesso all’Olimpo. L’idea, il significato di
questa favola, bene si adatta all’esistenza dell’uomo; l’uomo, che a differenza di altri esseri del Creato
possiede l’intelletto, paga cara questa sua ricchezza: il prezzo dell’intelletto è il dolore ed in effetti si
può dire che il novanta per cento della sofferenza che patisce l’uomo scaturisca dalla sua mente.
Togliete quel dieci per cento causato dal corpo, ed il resto è tortura inflitta dalla mente creatrice dell’io
e dei suoi inestinguibili conflitti. Uhm! Più che la materia, un sogno ha il potere di farci soffrire!
Dimmi, fratello, perché soffri? Perché i tuoi meriti non sono riconosciuti? Perché non sei il primo
in senso assoluto, o se sei il primo temi di perdere il primato? Sei incompreso? Non sei amato? Sei
tradito? Sei sfortunato – vedi – la tua sofferenza fa parte di quel noventa per cento di cui ti dicevo: stai
pagando lo scotto di possedere una mente.
La nostra segretaria che siede alla sinistra dello strumento che in fatto di dizione può dire una
parola autorevole, in cuor suo mi rimproverava perché non davo a sufficienza, non rendevo a
sufficienza il senso interrogativo delle frasi pronunciate. Ci sono riuscito questa volta?
Infatti la causa della sofferenza umana non sta negli eventi che rendono diversa la vita da come
l’uomo la vorrebbe, è risaputo: accontentandolo l’umano non lo si rende felice per più di un fiat. La
sua mente lo condurrà su nuovi terreni di contesa ed inquietudine. Allora, se gran parte della
sofferenza che ci amareggia viene dalla mente, meglio sarebbe non possederla e vivere
nell’incoscienza di sé. La mente è un mezzo della nostra evoluzione che ci apre ad una fase
successiva della nostra esistenza: quella di coscienza-sentimento, ma dobbiamo imparare ad usare
bene questo mezzo, a non essere sua preda; dobbiamo dissolvere l’errata immagine che crea in noi
della separatività, dobbiamo riuscire a percepire al di là del dualismo io non-io di cui ci fa schiavi! Se
nella possibilità che abbiamo di percepire e concepire il mondo in cui siamo immersi esiste questo
errore fondamentale di parallasse per cui crediamo diviso ciò che non lo è, allora tutte le nostre
convinzioni che si basano su questa possibilità, sono errate. Riflettete: con queste poche parole la
cultura, la civiltà, la storia sono liquidate, ridotte a farneticazioni, brancolamenti di chi non sa
intendere e capire la Realtà. Incomprensioni, sospetti, gelosie, brama di possesso, onore offeso e
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vendicato, farse e tragedie si sono fondate e si fondano su miraggi creati dalla mente che l’uomo non
ha imparato a far funzionare correttamente. Povera umanità! Quante lacrime inutili allora! Partendo
da questo allarmante presupposto che noi siamo vittime di noi stessi perché diamo importanza a ciò
che non ne ha, allora viene spontanea una domanda: perché Dio ci lascia nell’errore, ci fa soffrire per
situazioni che non hanno nessun riscontro reale? Ci fa sbranare gli uni gli altri per questioni che
nessun riscontro hanno nella Realtà? Non voglio valorizzare il dolore, ma vi domando: in assoluto ha
senso una scala di valori? Tutto ciò che non è Assoluto è egualmente relativo ed acquista valore solo
se lo si riferisce a qualcuno, ed il valore che acquista non è lo stesso se lo si riferisce a qualcuno, ed il
valore che acquista non è lo stesso se lo si riferisce a qualcun altro. Allora esiste una scala di valori
diversa per ciascuno di noi, in cui trova posto ogni esperienza da ciascuno vissuta e sono vissute
anche quelle che sarebbe più proprio definire “immaginate”. Ecco la chiave di volta del problema:
fisicamente concreta o più immaginata che concreta, una situazione è sempre illusoria nei confronti
dell’Assoluto ed è sempre reale e produttiva nei confronti di chi vi è immerso. E come potrebbe
esistere una differenza fra una situazione fisica concreta ed una più immaginata che concreta, dal
momento che lo stesso piano fisico non esiste oggettivamente se non come comun denominatore
delle nostre innumerevoli percezioni soggettive? È così tutto il Cosmo, è l’elemento comune dei nostri
sogni. Ma non è importante che le nostre convinzioni e i nostri sogni siano più o meno aderenti a
questa parvenza di oggettività perché siano produttivi di esperienze; non solo, ma ogni tipo di
esperienza è valido. L’esperienza del Santo vale quella della prostituta, perché, lo ripeto, ciascuno ha
una sua scala di valori inconfondibile con quella degli altri.
Se le cose stanno così, allora siamo sempre nel giusto, anche quando crediamo nell’assurdo
perché anche questo ci dà esperienza e quindi un progresso: e se noi progrediamo, qualunque tipo di
esperienza noi abbiamo, che senso ha allora tendere a migliorare noi stessi? Possiamo tenere
un’esistenza basata unicamente sui sensi, sicuri del nostro progresso. In ultima analisi è così e voi lo
sapete: nessuno regredisce. Ma se guardiamo all’economia individuale, l’interesse di ciascuno è
quello di capire senza soffrire, di usare la mente senza pagare lo scotto. Questo non solo è possibile,
ma rappresenta quello che voi dovete fare. Se un uomo fosse convinto che lavarsi tutti i giorni fosse
un Comandamento di Dio, ciò che lui deve fare, quella sarebbe la sua realtà: ma quando avesse
imparato a tener fede ai suoi principi, a comandare a se stesso, allora sarebbe il momento di capire
che la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge. Il momento d’imparare ad usare la mente
senza rimanere prigioniero dei fantasmi da essa creati.
Non crediate che l’uso non corretto della mente da parte dell’uomo sia un errore del “piano
divino”, anzi, ne fa parte: i miraggi della mente sono mezzi adatti all’immaturità dell’uomo attraverso ai
quali progredisce. In conclusione: le situazioni nelle quali l’uomo è posto in forza della sua mente, per
quanto irreali possano essere, costituiscono l’humus in cui affondano le radici della coscienza; ma c’è
un momento dell’esistenza individuale in cui queste radici debbono penetrare più in profondità alla
ricerca di nuove situazioni che scaturiscono da un nuovo modo di vedere il mondo, una nuova visione
che non avvenga più in funzione dell’io e del non-io, ed in cui non vi sia spazio per i fantasmi creati
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dalla mente.
Noi vogliamo aiutarvi nell’opera di rinnovamento che siete chiamati ad intraprendere prima di
tutto in voi stessi: aiutarvi a distruggere – superandola – la visione del mondo che avete, che fate in
funzione della separatività. Per questo, come novelli iconoclasti, produrremo delle lacerazioni qua e là
sul tessuto delle vostre convinzioni, dei vostri sogni.
Kempis
Teresa – Non è vero che Dio abbia bisogno dell’uomo e che usare violenza in nome di Dio sia una
giusta cosa. Egli vuole il nostro progresso ed il progresso non può essere imposto.
Alan – Non è vero che sia censurabile chi è lontano da Dio. Nessuno può essere lontano da Dio. È
censurabile chi si serve delle cose sacre agli uomini per soddisfare la sua avidità.
Kempis - Non è vero che la vita terrena debba essere fuggita per farsi meriti in cielo ed onorare Dio.
L’Inferno – se esiste – non sarebbe abbastanza profondo per accogliere degnamente chi così avesse
vissuto.
Dali – Non è vero che il bene ed il male siano oggettivi e che rappresentino la misura del vostro
progresso o del vostro ristagno, figli. Solo chi si pone al centro del dualismo bene e male per salvarsi
si perderà. A costui è preferibile un perverso perché per la legge di azione-reazione, quanto grande
sarà stata la perversione, altrettanto lo sarà la spinta evolutiva.
Kempis – Non è vero che l’argomento trattato renda morale od osceno un discorso: i vaneggiamenti
di certi cosiddetti mistici fanno impallidire la “vena” dell’Aretino.
Teresa – Non è vero che sia sufficiente amare il prossimo come se stessi: occorre amarlo con
imparzialità e per un fine di giustizia.
Alan – Non è vero che solo chi ruba sia ladro, lo è anche chi riceve senza dare.
Kempis – Non è vero che sia spergiuro solo chi giuri il falso: chi tace sapendo e chi nasconde la
verità con un linguaggio ambiguo, è altrettanto spergiuro e propagatore dell’errore. Di ciò dovrà
rendere conto.
Nephes – Non è vero che il matrimonio sia indissolubile: ciò che gli uomini congiungono possono
dividere. Solo quelli che Dio unisce non potranno mai essere divisi, né dagli uomini, né dagli eventi.
Kempis – Non è vero che “crescete e moltiplicatevi” sia un invito perentorio perché l’uomo procrei
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senza tener conto delle condizioni in cui dovranno crescere i figli. È più crudele e perciò colpevole chi
lungamente fa soffrire di chi uccide.
Dali – Non è vero che la sterilità e l’omosessualità siano delle anomalie della natura; sono mezzi con
cui essa tende all’equilibrio demografico.
Paracelso – Non è vero che l’uomo sia arbitro della vita e della morte: nasce chi deve nascere,
muore chi deve morire. Tuttavia non è vero, per questo, che l’uomo non sia responsabile delle sue
azioni.
Claudio – Non è vero che sia più importante l’azione dell’intenzione: dall’intenzione si conosce
l’uomo.
Dali – Non è vero che gli uomini debbono godere della stessa libertà: la misura della libertà deve
essere in relazione con l’uso che di essa può essere fatto tenendo presente, a questo fine, che l’umile
non è peggiore del regnante.
Claudio – Non è vero che il presente sia trascorso, il futuro di là da venire: il presente è tale solo per
te e può essere ad un tempo passato e futuro degli altri.
Dali – Non è vero che chi vedete vicino a voi lo sia veramente e chi vedete agire agisca veramente:
ciascuno deve imparare a contare unicamente su se stesso, per questo deve sentirsi solo ed
indipendente dagli altri.
Teresa – Non è vero che il bene sia opera di Dio ed il male dell’uomo: tutto fa parte di un grande
piano divino in cui non c’è posto per l’errore e l’imperfezione.
Kempis – Non è vero che tutto ciò sia la verità: ciò non di meno è vero!
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Chiudiamo questo incontro, figli, dandovi appuntamento fra quattro settimane.
D. – Scusa, Dali, gli amici di Brescia che non possono venire il giovedì, possiamo, per una volta,
quando vengono loro, spostare la nostra riunione al sabato?
R. – Faremo una riunione per loro. Noi ci vedremo, in Ispirito, fra quattro settimane.
D. – Scusa, per quelli del Cenacolo…
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R. – Dovete rispondere voi, figlio, è vero? Non è cosa che riguarda noi. I contatti che potete avere con
altri gruppi, o con altre creature, sono opera vostra.
D. – Ma possono intervenire alle discussioni?
R. – Certo, le discussioni sono cosa vostra. Noi, come ho detto in un’altra occasione, potremo fare
delle riunioni a carattere più… affettivo per creature che fossero interessate ad argomenti un po’
meno ponderosi di quelli che avete discusso questa sera – è vero? – nell’intervallo fra una riunione e
l’altra. Ma io vi consiglio – se mi consentite – di riunirvi voi, negli intervalli, per porre delle domande
del genere di quelle che questa sera avete posto, ed alle quali – forse indirettamente – è stato dato
un contributo per meglio centrare il problema. Comunque Kempis risponderà esaurientemente con la
prossima lezione che sarà su quell’argomento.
D. – Grazie!
R. – Vi benedico e abbraccio tutti, compresi i nuovi figli che sono presenti questa sera e che erano
attesi, perché, voi sapete che sappiamo da sempre quelli che si rivolgono a noi.
Ad uno ad uno vi abbracciamo, cari.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
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27 Febbraio 1975 (Affettiva)
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti
voi, o figli.
Voi, o cari, in un certo senso questa sera siete da considerarsi dei favoriti dalla sorte perché
avete la possibilità di intrattenervi con noi più direttamente. Potrete rivolgerci delle domande e noi
saremo ben lieti di rispondere; potrete sottoporci degli argomenti che noi, nel limite delle nostre
possibilità, cercheremo di trattare. Abbiamo fatto questo genere di riunioni perché desideriamo
incontrarci con alcuni di voi più direttamente anche se non hanno la possibilità di seguire le nostre
riunioni che voi definite di insegnamento. Ebbene cari, che dire; da dove iniziare a parlare? Sono
tante le parole che voi siete abituati ad ascoltare; ognuno ha qualcosa da dire e si ritiene portatore di
qualche particolare punto di vista, di qualche particolare dottrina, di filosofie, metodi e via dicendo. Se
noi osserviamo i giovani – perché questa sera avete fra voi anche dei giovani – in generale vediamo
che pochi convergono la loro attenzione sui problemi che sono chiamati dagli uomini “problemi dello
Spirito”. Quei pochi sono ancorati a delle religioni le quali sono in continuo sforzo, nella migliore delle
ipotesi, di adattare ciò che essi professano alla realtà della vita; ma purtroppo il mondo è mutato, le
religioni che sono rimaste cristallizzate in quelle che un tempo erano verità per certi uomini, sono
rimaste le stesse; così il dissidio fra religione e vita si fa, più che passa il tempo, più che mutano i
popoli, stridente. Ma molti giovani sentono il bisogno di credere in qualcosa e credono in quello che le
loro religioni, ormai vecchie nella forma, dicono. Il risultato è che quando questi si trovano faccia a
faccia con la vita, scoprono che quello che hanno creduto era teoria tutt’affatto diversa dalla vita
pratica; che è una cosa il dolore anche vissuto attraverso agli altri ed una cosa è il dolore
sperimentato direttamente. Così finiscono col non credere più a quello che fino ad allora hanno
creduto e perdono le grucce che li sostenevano. Rimasti privi di sostegno sono ancora più indifesi dei
loro simili, dei loro coetanei, che non credevano a niente, che non sentivano il richiamo dello Spirito,
perché si trovano di colpo in una realtà così diversa da quella che essi ritenevano essere, che
avrebbero voluto con la loro fede idealizzare.
Gli altri, quelli che non sentono il richiamo dello Spirito, come si usa dire, sono più pratici; e da un
canto questo loro agnosticismo, come ho detto, è loro di aiuto per entrare nella vita perché non
subiranno l’impatto che i religiosi subiscono. Saranno pronti a vedere l’uomo faccia a faccia, e non
l’uomo che è dipinto, idealizzato, dagli insegnamenti delle religioni, ma l’uomo di tutti i giorni. Ebbene,
questo può essere utile nella misura in cui si riesce a comprendere che questo vedere il mondo in
una visione crudele, fredda, priva di quegli ideali abusati dalle religioni, deve cedere il posto ad
un’altra visione: cioè, se il credere e il vedere gli uomini come sono immersi nel loro egoismo è
constatare una realtà, questa constatazione diviene anch’essa una gabbia, qualcosa che sacrifica i
giovani, se non si comprende che questa realtà così crudele può essere cambiata. I giovani quindi
che vedono tanto egoismo nel mondo sappiano che questa non è la realtà che deve essere; è la
realtà che “è”, ma non quella che può rendere il mondo migliore. E come cambiarlo? Forse adottando
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un atteggiamento? Forse rimanendo o divenendo alla superfice degli altruisti, dei pii, dei buoni, dei
caritatevoli, ma rimanendo nel profondo di se stessi dei lupi famelici? No certo; così è intesa la
religione la quale dice ai suoi seguaci di fare del bene, di aiutare i propri fratelli, di seguire certe
cerimonie, di rispettare certi divieti, insegnando che in queste formalità esteriori si serve Dio; non va
bene così. Tanti secoli di religioni che così hanno parlato, più o meno, non hanno mutato l’intimo
dell’uomo. Allora che cosa è necessario? È necessario che trasformi il singolo, l’individuo, è
necessario che ognuno comprenda che per far sparire l’egoismo dalla società, la crudeltà,
l’incomprensione, ciò che deve fare non è bandire delle crociate, proclamare, predicare, annunciare;
ma è necessaria un’opera molto più modesta ma forse molto più difficile, e certamente è molto più
efficace; è necessario che ciascuno, cominciando da se stesso, sradichi l’egoismo, guardi dentro di
sé, si veda in tutti i momenti della sua giornata quando ha relazioni con i suoi simili, che cosa chiede
a queste relazioni. Ed allora scoprirà che si vuole imporre sugli altri, che vuole affermare il suo
primato, che vuole fare bella figura, che vuole apparire più di quanto non sia. Questo, giorno per
giorno, deve constatare, ed è questa constatazione che lo conduce poco a poco, come una goccia
scava la pietra, a conoscere se stesso, a sradicare dall’intimo suo l’egoismo che è radicato nel
mondo. Questa è l’opera che è chiamato a fare ciascuno di noi, giovane o anziano, mistico o non
mistico. Io vi auguro che quest’opera sia intrapresa da voi e condotta pazientemente, costantemente,
giorno per giorno.
Avete delle domande, figli cari?
D. – Dali, tu sai quali sono i miei problemi…
R. – I vostri problemi ci sono noti, o figli, e nei limiti di quanto ci è concesso, vi seguiamo. Molte volte
quello che può sembrarvi, o potrebbe sembrarvi, un bene non corrisponde al vostro vero bene che è
quello di comprendere e di trovare sempre più comprensione della realtà che vi circonda. Ed allora
noi non possiamo assecondare i vostri desideri perché… – noi vorremmo il vostro bene, è vero – ma
laddove questo coincide allora noi vi seguiamo e cerchiamo di darvi tranquillità. La figlia Lydia è
seguita da noi: facciamo il possibile per aiutarla e per aiutare voi.
D. – Dali, ho portato qui questa mia amica… Se tu volessi dirle qualcosa…
R. – Noi conosciamo questa figlia perché ella ha pensato a noi da quando tu hai cominciato a parlarle
di queste riunioni; sappiamo dei suoi tanti interrogativi che la assillano, che cosa cerca, che cosa più
di tutto la cruccia. Ma che cosa risponderle se non cessare di crucciarsi. Ogni cosa di una certa
rilevanza avviene perché, potremmo dire in linguaggio umano, è scritta. L’importante è non pensare
con tristezza a coloro che ci hanno lasciato in questo piano fisico, ma che forse, anzi certamente,
sono più vicini a noi di quando rivestivano una forma fisica. Voi sapete quanto limiti un corpo fisico
con le sue necessità, con il suo equilibrio instabile; quando una creatura soffre non pensa alle proprie
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persone care. La sofferenza richiama la sua attenzione su se stesso, è vero? Mentre quando
abbiamo abbandonato il corpo fisico ecco che siamo più liberi di pensare e quindi di entrare in
contatto con i nostri cari, anche se questo contatto è unilaterale perché chi ancora riveste una forma
fisica non ci sente. Quando vediamo i nostri cari che ci ricordano con tristezza e con dolore, il dolore
si impadronisce di noi e quindi torniamo a soffrire come abbiamo sofferto durante la vita terrena. Così
non ricordateci con tristezza, qualunque cosa sia accaduta, ma ricordateci con un senso di
liberazione, infondendoci questo senso di liberazione. Dovete dire come: «Sii libero di seguire il tuo
nuovo destino senza preoccuparti momentaneamente di me che posso essere triste per non averti
vicino. Segui il tuo destino»; e siate sicuri che certamente rivedrete i vostri cari meglio di come li avete
visti in Terra. Essi saranno ad accogliervi al momento del trapasso quando il vostro cammino terreno
sarà giunto al termine. Fino ad allora accettate con serenità questa pausa di attesa. Ti abbraccio,
figlia cara.
D. – Grazie!
D. – Scusa, Dali, ho promesso alla mia amica che tu conosci… Posso portarti?
R. – Col pensiero… (Pausa). Ricordo perfettamente questa figlia.
D. – Desidererebbe ancora tanto e tanto parlarvi…
R. – Non ha importanza, basta che essa ci pensi, come fa del resto, e noi siamo vicini a lei perché il
pensiero vostro – come ho detto prima – ci richiama. Sia serena, coraggiosa, non abbia timore,
reagisca. Le dirai che non deve essere pessimista. Sono chiaro? Deve e può sperare. Non si lasci
sopraffare dagli eventi, dalle apparenze. Vero? Abbia fiducia, ci invochi.
D. – Va bene. Grazie tante, Dali!
R. – Solo l’Altissimo sia ringraziato.
Signor Amerighi – …
Dali – Figlio mio, la risposta che ho dato ultimamente riflette esattamente quello che hai fatto. Cioè: il
nostro consiglio è in un senso, poi voi decidete, giustamente, di fare in un altro modo e vorreste che
noi vi dicessimo che avete fatto bene. Avete fatto bene se avete valutato il pro e il contro e avete
tratto le vostre decisioni, ma allora è perfettamente inutile che domandiate a noi quello che dovete
fare, è vero?
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Signor Amerighi – Sì, però quando io lo domandai due anni fa la situazione economica era diversa
dall’attuale…
Dali – Ma vedi, figlio caro, noi non abbiamo nessun interesse a farti abbandonare il servizio, come tu
dici. Devi tenere presente che quello che per voi risulta nuovo, sorpresa, come una situazione
finanziaria, per noi non lo è. Se tu hai preso la tua decisione in questo senso, hai fatto benissimo, ma
non puoi sapere quale sarebbe stata la tua vita se avessi agito diversamente. Mi spiego, figlio?
Signor Amerighi – Sì, ma penso che le varianti sono un po’ analoghe… e dico…
Dali – Ad ogni modo… giustamente, dico, perché quando noi rispondiamo alle vostre sollecitazioni di
consiglio non lo facciamo perché desideriamo essere seguiti, lo facciamo perché rispondiamo alle
vostre domande; ma quando voi ci domandate, non siete obbligati a fare come noi diciamo. Fate
benissimo ad agire secondo il vostro discernimento. Ma non è solo questa volta, figlio, che tu ci hai
domandato e – diciamo – hai poi fatto come ti sei sentito di fare. Quindi per noi neppure questo è
nuovo. Continuerai a domandare, noi continueremo a rispondere. E tu continuerai – e ben farai – a
fare come ti sentirai di fare, senza preoccuparti di quello che noi ti diciamo. Non vi è nessun motivo –
lo ripeto – che tu debba seguire i nostri consigli.
D. – Senti Dali, io vorrei sapere se voi sentite quando noi si prega, anche mentalmente. Ci sentite
voi?
R. – Ma certo, figlia, certo. Certo che sentiamo; non solo quando pregate ma anche quando
semplicemente ci pensate.
D. – Ah! Bene, allora son di molto contento!
D. – Per quanto ha detto Domenico Biondi, come possiamo fare?
R. – Dunque, figli, non andate mai oltre il senso di quello che viene detto, vi prego, per non rimanere
delusi. Il Biondi5 si limitò a dire che questa sostanza, l’emetina, aveva un potere diciamo…
devitalizzante di gran parte di certi virus. Questo è il fatto primario, questo è il senso del discorso.
Naturalmente con questa sostanza possono essere curate tutte quelle malattie che sono all’origine di
infezioni virali. Per associazione di idee egli disse: «…Certe forme di tumore provocate da virus
possono trarne vantaggio mediante una “esposizione” prolungata al medicamento…». E questo è
proprio un termine dei farmacologhi, di coloro che seguono la medicina: venire a contatto con il
5 Vedi comunicazione del dottor Domenico Biondi, avvenuta il 16 Gennaio 1975.
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farmaco, prolungato. Ma di certe forme. Ora guardiamo meglio quando: alcune forme – del resto la
scienza stessa l’ha scoperto – sono provocate da virus, virus che mettono in moto un meccanismo di
queste cellule che si riproducono in modo non armonico. Dunque l’efficacia di questo medicamento
può essere sufficiente quando la forma è all’inizio, quando non si è scatenato un meccanismo di
degenerazione nel suo pieno sviluppo. Oppure quando, pur essendosi sviluppato, rimane contenuto e
può essere asportato con un intervento chirurgico; allora, per evitare che questi virus si propaghino
nel corpo fisico del malato, diano da qualche altra parte inizio al processo degenerativo, si curano con
questa “emetina”.
D. – Prima delle metastasi, quindi?
R. – In questi casi e solo in questi tumori provocati da virus, non da sostanze chimiche o da sostanze
inquinanti. Questo, del resto, se voi aveste analizzato quello che ha detto il Biondi – senza andare
oltre il senso delle sue parole – lo avreste capito da voi. Dunque, causa prima: che siano provocati da
virus; seconda: che non siano estesi o comunque siano primari, che si possano asportare con una
operazione chirurgica. Oppure, addirittura, che si possa trovare una diagnosi molto precoce, ed allora
può essere utile l’emetina. Per quel dottor Fusillo che tu dicevi, di Bari, può esservi utile nel senso che
può indicarvi la distanza fra un’iniezione e l’altra e certe cose secondarie, a chi interessi,
naturalmente.
D. – Scusa Dali, io sono nuovo di questo circolo e volevo ringraziarti per aver consentito che io e mio
figlio Alessandro si potesse intervenire. Io da moltissimi anni ho faticato…
R. – Sì, ti conosco benissimo… Certo porterai il mio saluto e la mia benedizione alla figlia Jolanda e
siamo ben lieti di avervi qui fra noi. Anche questo giovane ragazzo che ha davanti a sé tutta la vita
può trovare in questi insegnamenti motivo di riflettere, come del resto ha fatto sino ad ora. Bene,
continua a pensare a noi ma non come a qualcosa di misterioso, di lontano, ma come a qualcosa che
può dire una parola utile nella vita di tutti i giorni non certo per accumulare ricchezze o riuscire nella
carriera ma per farvi avere chiarezza, acciocché non siate abbagliati dagli eventi della vita di ogni
giorno che possono indurre chi non ha una guida interiore a riflessioni errate. Vi benedico cari signori.
D. – Posso farti una domanda?
R. – Certo, certo.
D. – Alla luce degli insegnamenti più recenti come possiamo intendere lo Spirito Santo?
R. – Alla stessa luce degli insegnamenti più antichi, è vero figlia? Che cosa è: è quello che veniva
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chiamato illuminazione lo Spirito Santo. Ma non intesa come un dono divino, una benedizione; è una
cosa automatica che chi raggiunge una certa evoluzione si pone in contatto con i suoi veicoli superiori
ed ha possibilità che gli uomini comuni non hanno. In questo senso.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
D. – …
R. – Non è possibile, occorrerebbe un’esposizione un po’ lunga.
D. – Ho capito. Comunque, per il momento puoi darmi un consiglio anche breve?
R. – Per il momento posso dirti che occorre sempre, per chi vuol raggiungere una meta di questo
genere, ogni giorno pensare a questa vetta da scalare, è vero? Ogni giorno pensare alla propria
professione, a ciò che si vuol raggiungere, come se fosse una cosa che ogni giorno tu devi realizzare.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Dali
Buona sera, carissimi amici, Nephes vi saluta!
È per me una grande gioia venire fra voi e parlarvi. Vedo che questa sera siete molto raccolti.
Allora vengo per portarvi una parola di speranza. «Già! – direte voi – Che cosa significa
“speranza”?». Voi avrete certamente sentito parlare di queste predizioni per la fine del secolo, di
guerre atomiche, di catastrofi… Ebbene, ecco, invece io vengo per dirvi che dovete avere fiducia, che
non corrisponde a verità la distruzione totale della Terra come qualcuno ha profetizzato. No, state
tranquilli, non c’entra niente tutto questo “brutto” di visioni che vi hanno dato da credere! Una visione
che anche nel passato ogni tanto usciva fuori, è vero? Pensate che persino all’epoca del primo
cristianesimo i discepoli del Cristo dicevano che il Regno di Dio era vicino e lo aspettavano da un
momento all’altro male interpretando una frase che si riferiva a Giovanni quando il Cristo disse rivolto
a Pietro: «E se io voglio che lui rimanga fino a che io torno, che cosa te ne importa?». E questo fu
preso come che il Regno di Dio dovesse tornare, che Giovanni non dovesse morire fino a che il Cristo
non sarebbe tornato. Quindi, se voi leggete gli Atti degli Apostoli, le testimonianze di quell’epoca,
sentite dire che il Regno di Dio è vicino.
Poi vi fu la storia dell’anno mille e non più mille; anche lì doveva finire il mondo da un momento
all’altro. Poi ogni tanto è scappata fuori una meteora, una cometa, qualcosa che doveva distruggere
la Terra: ora addirittura siamo alla fine del secondo millennio e viene detto che la Terra deve finire alla
fine del secolo.
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Ma tutto questo non è vero, anzi vi dirò che la vita futura sarà una vita molto bella da un punto di
vista di progresso scientifico, non solo, ma anche degli uomini perché gli uomini saranno molto più
aperti di quanto lo sono adesso, vivranno meno di “fantasmi della mente”, come vi è stato detto
ultimamente da Kempis, è vero? Saranno più alla portata della comprensione reciproca, saranno più
vicini l’uno all’altro e non saranno poi così numerevoli come si vuol far credere. Vi viene detto che la
popolazione della Terra crescerà in modo sbalorditivo, che non vi sarà più da mangiare per tutti. Ma
anche queste sono tutte previsioni piuttosto allarmistiche. Intendo dire che certamente da quelli che
siete adesso, tre miliardi e qualcosa, certamente crescerete ancora, ma poi vi sarà una flessione nella
crescita. Poi si scopriranno altre fonti di energia, altre fonti di alimentazione, insomma desidero
proprio darvi questa parola di speranza, questa fiducia, non tanto per voi quanto per i vostri figli.
Vi abbraccio tutti, cari!
D. – Grazie infinite nel nome dei bimbi!
Nephes
Cari amici, Alan vi saluta.
Lo so che voi forse attendereste i vostri cari congiunti, ma dovete comprendere che specie per
quelli che assistono per la prima volta a queste riunioni, quella figlia di fronte allo strumento per
esempio, deve comprendere che occorre molta tranquillità, ci vuole una certa distensione per dare
forza a colui che deve comunicare.
A proposito di comunicazioni devo dirvi qualcosa se vi interessa: è invalso l’uso che chi è in
contatto con i trapassati sia assurto a contatto della verità; intendo dire che si pensa che un
trapassato giunto nel mondo dei più, come è definito, subito venga a contatto del vero, che conosca
tutto, sappia tutto, veda tutto chiaro; ecco, non c’è convenzione più sbagliata di questa. Perché specie
nei piani bassi come l’astrale, nei suoi sottopiani, l’uomo rimane pressappoco quello che era nella vita
terrena; le sue cognizioni non si allargano di molto, anzi direi che è più soggetto a rimanere vittima di
errori di valutazione; perché mentre nel piano fisico la materia è densa ed esiste una specie di
oggettività materiale, nel piano astrale, con il fatto che la materia astrale si modifica sotto l’impulso del
pensiero, succede che chi non è pratico si trova a vivere in un mondo che è creato dalla sua
immaginazione. Così chi ha creduto nel Paradiso dei cristiani – se ha la coscienza tranquilla, come si
usa dire – si fa un Paradiso di delizie, di suoni celestiali, di musica e di tutte queste cose egli può
pensare esistano nel Paradiso. E così sarà il Nirvana degli orientali, è vero cari fratelli? E questa
naturalmente è una specie di illusione. Così quando voi veniste in contatto con uno di questi, per
esempio un cristiano, vi dirà che nell’aldilà vi è veramente il Paradiso; oppure la stessa cosa vi dirà un
buddista, vi dirà che esiste il Nirvana, è vero? E così per tutto il resto. Mentre se voi poteste parlare
con un ateo il quale fosse veramente convinto che non esiste niente – cogliere le sue riflessioni –
vedreste cose del tutto differenti da quelle di un religioso. Ecco che nelle riunioni cosiddette spiritiche,
quando comunicano queste Entità si hanno delle differenti versioni di quello che è l’aldilà; alcuni
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dicono che il piano astrale contiene bevande, oppure sigarette, oppure dolciumi; certamente! Sono
tutte cose create dall’immaginazione, immaginazione che plasma la materia del piano astrale
secondo il desiderio di ciascuno; così chi amerà le piante vedrà nel piano astrale tantissime piante,
fiori e così via. E naturalmente queste Entità vittime delle loro stesse immaginazioni, quando
comunicano, comunicano queste realtà oniriche da loro credute reali; e da qui nasce la differente
versione di questo piano fatta da un’Entità attraverso un medium, ad un’altra Entità attraverso un altro
medium. Direte voi: «Ma come facciamo noi a sapere che stiamo veramente udendo delle Entità che
non sono vittime di questa suggestione, di questa illusione?». E questo è un giudizio che voi dovete
dare udendo quello che viene detto, è vero? Voi dovete scoprire da tutto quello che vi è detto se c’è
una visione organica, una visione che vada al di là di quello che si conosce comunemente nel piano
fisico, che non risulti in contrasto con se stessa; e quanto più questa visione è completa e comprende
più punti di vista, e più, certamente, garanzie si hanno. Intendo dire che se attraverso a delle riunioni
medianiche venisse unicamente un incitamento al bene, all’altruismo, alla carità e a tutte queste cose
meravigliose, in sé, certamente, voi sareste portati a credere di essere in comunicazione con Spiriti
molto elevati; ma questo da solo non sarebbe sufficiente a darvi garanzia di ciò. Certo è utile
ascoltare chi parla di queste belle cose come l’altruismo, l’amore al prossimo e via dicendo; ma per
questo basta aprire un libro di religione, solo per questo. E poi il fatto che vi sono molte volte certe
Entità le quali provano interesse a mostrarsi più di quanto non siano e dire cose più di quelle che non
sanno; così quando vogliono fare colpo, per esempio, parlano di altruismo; ma ne parlano per sentito
dire, non per realtà provata, non per qualcosa che è nell’intimo loro…
D. – Come è per gli uomini.
R. – Certo, hai proprio detto bene sorella: come è per gli uomini. Io ho iniziato dicendo che l’aldilà non
è molto diverso da questo piano fisico in cui voi vi muovete. E così parlano di altruismo, eccetera; e
come riconoscerli? È facilissimo: perché ripetono sempre le stesse cose, più o meno dicono sempre
le stesse cose; a distanza di anni sono sempre gli stessi incitamenti al bene e all’amore, senza una
visione generale del tutto, di questa realtà nuova per loro. Direte voi: «Che cosa è venuto a dirci
questo Fratello Alan questa sera?»; io spero di esservi stato utile, perché è facile cadere in certe false
convinzioni come quella che l’aldilà sia tutto oro colato per taluno. Sarebbe questo… se voi non foste
messi sull’avviso da quanto vi ho detto confrontando quello che voi sapete con altre riunioni, potreste
rimanere male e potreste dire: «Ma perché c’è questa differenza fra quello che ci dicono a noi e
quello che viene detto da altre parti?»; perché esiste la stessa differenza che può esistervi fra un
uomo preso a caso per la strada (se voi lo interrogate su come è la vita del piano fisico), ed un altro
uomo preso a caso in un altro punto della città, o di un’altra città: ciascuno vi parlerà della sua realtà.
Solo chi ha una visione generale può distinguere e può dire: “in questa Nazione la vita si svolge così;
in questo altro paese la vita è diversa, vi sono abitudini diverse”, e fare il confronto. Altrimenti se voi
venite a contatto con una visione limitata, è senza dubbio che la comunicazione viene da un’Entità
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che ha una visione limitata.
Vi saluto cari.
Alan
Comunicazioni di: Mario per Albertina, dottor Lucchesi per Franca.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Cari figlioli, vi benedico e pongo chiusura a questa riunione. Saluterete per noi tutti coloro che
non sono presenti questa sera; non sono pochi.
Vi abbraccio.
Dali
13 Marzo 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Noi non abbiamo la pretesa di portarvi la verità; la verità è una conquista del singolo, nessuno
può comprendere per voi, o figli. Gli uomini possono apprendere varie nozioni e trasfondere sui loro
simili, ignari, il frutto delle loro conoscenze. Chi è giunto alla verità, contrariamente a quanto si crede,
non può trasfonderla negli altri. Può dare solamente delle indicazioni, ma non si debbono confondere
le indicazioni con la verità, le parole con la comprensione. Così, non organizzatevi neppure per
diffondere le indicazioni, se questo significa diffondere l’organizzazione. Ogni organizzazione finisce
sempre con l’essere più importante delle idee che professa, così, per non nuocere all’organizzazione
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si giunge a rinnegare i principi sui quali essa si è fondata. In verità vi dico, o cari, che l’organizzazione
è simile a colui che vuole sfamare gli affamati parlando loro di cibo. Non cristallizzatevi sulle parole,
ma cercate di comprendere. Le parole e le indicazioni, per esere valide – cioè per essere un valevole
intermediario fra l’uomo e la verità – debbono mutare con i tempi e con i popoli; non debbono
insegnarvi a cercare negli altri ciò che solo in se stessi ed in voi stessi potete trovare. Non debbono
parlarvi dell’aldilà senza insegnarvi a comprendere l’aldiqua! Che senso può avere conoscere come si
svolge la vita su altri piani di esistenza, o in altre dimensioni, quando non sapete vivere la vostra
dimensione? E la vostra dimensione è il presente. Non debbono insegnarvi ad atteggiarvi a buoni,
altruisti, mansueti, pacifici, senza incitarvi a guardare in voi stessi, a mutare il vostro intimo. Non
debbono insegnarvi a voler cambiare gli altri, se prima non avete cambiato voi stessi. Non debbono
insegnarvi un “divenire”, ma esservi di ausilio per raggiungere un nuovo “essere”. Solo a questo patto
l’indicazione può essere utile.
Vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Creature che siete in attesa della nostra presenza, ecco, noi rispondiamo al vostro appello, al
vostro richiamo ed io sono fra voi per darvi speranza, per dirvi: voi che non seguite con la mente gli
alti insegnamenti dei Maestri, siate sereni e fiduciosi, io sono con voi. La verità che è in ognuno, in
ogni essere, è suscitata non solo dalla mente ma anche dall’amore di Dio! Dio! La povera e misera
Teresa, con lo sconfinato amore per il Creatore del Tutto, l’ha trovato in sé, in forza del suo amore. E
così dico a quelli che non sanno seguire difficili ragionamenti. La verità è in voi e può essere suscitata
anche con l’amore per il nostro Creatore. Non disperate, l’intuizione soccorre l’umile, il povero di
Spirito e gli fa conoscere la verità che nasconde ai saggi.
Fratelli, non perdete mai il senso mistico della vita. Pensate a noi come a creature simili a voi che
sono protese per cercare di aiutarvi, di farvi comprendere chiaramente il senso di ciò che vi attende.
Cari, io sono con tutti voi e, vi prego, non abbandonatemi!
Pace, pace a voi, fratelli!
Teresa
Sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di rimanere concentrati. È qui Emilio questa sera, è
vero?… Noi non produciamo dei fenomeni perché questi possono dimostrare l’intervento dei
disincarnati in queste riunioni. Vi sono, pochi, ma vi sono dei viventi che riescono a produrre dei
fenomeni fisici e quindi il fatto che si producano dei fenomeni fisici non dimostra il nostro intervento
ma dimostra, se mai, che vi trovate di fronte a qualcosa di non appartenente ad una mistificazione. Mi
spiego? Naturalmente, poi, quanto viene detto può essere un’indicazione per capire che si ha a che
fare con personalità disincarnate. Resta poi a vedere da quale… altezza – per così dire – vengono
queste comunicazioni. In questo ciascuno di voi è libero di giudicare; contrariamente a quanto vi
diciamo nei confronti dei vostri simili: “non giudicateli”, invece nei nostri confronti vi autorizziamo a
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giudicarci perché comprendiamo che questo è l’unico modo perché voi possiate capire chi è che vi
parla.
Dunque dicevo, i fenomeni che produciamo hanno unicamente lo scopo di portarvi qualche
messaggio, e così questa sera io ho da portare due messaggi. Vi prego di stare concentrati, che
adesso materializzerò il primo…
Prego il figlio Emilio di venire qua: le luci ti guideranno. Dammi le mani…
Ecco, adesso la storia! Voi sapete che non amiamo parlare di cose fantasiose che non possono
sopportare, o assoggettarsi al collaudo della vostra ragione, della vostra logica. D’altra parte ogni
tanto siamo, diciamo… costretti, come in caso di questa sera. La Guida del figlio Emilio gli ha
mandato una testimonianza dell’epoca in cui si conobbero e cioè fra la seconda e la terza guerra
Punica, cioè fra il 200 e il 150 circa avanti Cristo. Ricorda, Emilio: Vixtoriantus! Ricorda questi dati,
avrai una conferma. In quell’epoca tu conoscesti quella che poi è diventata la tua Guida Spirituale, e
precisamente il Lama Dune-Rey-Za, che significa “il Santo del lago davanti alla montagna”, perché
era un Lama che viveva in quella località. Egli ti manda questo piccolo oggetto che tu terrai di ricordo.
Potrai farlo stimare, ma non toccare da altri, come tutti gli oggetti che vi portiamo.
Ho un altro oggetto da portare, questa volta è un regalo nostro, sollecitato da un famigliare di
questa figlia nuova. Nuova… mi alzerò io, per non turbarla… Ecco, è per te, viene da tuo fratello.
Quando tu sarai nervosa, ti siederai, penserai a lui e vedrai che tu sarai tranquilla. Il mio compito è
finito per questa sera.
D. – Gilberto vorrebbe sapere il messaggio dell’apporto fatto a lui.
R. – Quanti anni ha aspettato questo oggetto il figlio Gilberto? Speriamo che non altrettanti debba
aspettarne per la risposta!
Michel
Pace a voi!
Voi questa sera vi aspettate che io vi dia delle risposte e sapete benissimo che non è nostro
metodo quello di rispondervi direttamente, ma piuttosto di fare in modo che voi giungiate ad
intravedere, prima, nelle linee generali, qual è il senso della risposta. Salvo poi, da parte nostra, a
definire nei particolari questo senso.
Questa sera cercherò di fare una piccola eccezione, anche se per taluno di voi l’argomento che
tratteremo potrà risultare un poco noioso. D’altra parte non vi rendete conto, a volte, che i problemi
dei quali vi parliamo hanno tenuto occupate intere generazioni di filosofi e voi invece li affrontate con
la massima semplicità – direi indifferenza – e trovate questi argomenti, queste risposte – così
importanti per certe creature – calate da un panierino.
Per esempio, quando vi parliamo della differenza che esiste fra “divenire” ed “essere”, voi non
ricordate che su questo argomento ci sono state persino delle Scuole Filosofiche meravigliose degli
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antichi filosofi; per esempio la Scuola Eleatica! Parmeide, Zenone… Meravigliosi! Melisso... i quali, un
po’ per intuizione e un po’ perché avevano ricevuto una tradizione orale che veniva dall’Egitto e
ancora dalla Siria, dalla Babilonia e persino da Atlantide, avevano capito che la Realtà non può che
identificarsi nell’“essere” e che il “divenire” che osserviamo nel mondo che ci circonda, scaturisce da
una falsa testimonianza dei nostri sensi. Perché le critiche che si possono fare al pensiero degli
antichi filosofi in questo senso possono essere rivolte a capire unicamente e solo i sistemi da loro
pensati per conciliare il “divenire” con l’“essere”, ma non l’idea centrale che la Realtà si debba
identificare con l’“essere”.
Per esempio gli “atomisti” dicevano che l’“essere” è individisible – appunto l’atomo – e che il
“divenire” risulta dalla combinazione degli atomi da cui appunto scaturiscono le differenti materie con
tutte le loro trasformazioni; non accorgendosi che in questo modo riducevano l’“essere” alla radice
delle cose e davano al “divenire” una stessa realtà.
Sarebbe interessante, per voi – servirebbe di esercitazione – confrontare il pensiero di questi
antichi con quello che noi diciamo, con una piccola relazione. Vi potrebbe essere qualche “volontario”
che si presta a farla… Un volontario potrebbe essere la figlia Franca, o il figlio Loriano o – perché no?
– il figlio Francesco che una volta qua ricordò l’episodio della tartaruga e di Achille, di Zenone, è
vero? Insomma, mettetevi d’accordo fra voi, fate una bella relazione. Già vedo il vostro altruismo
spingervi a dire l’un l’altro: «Fatevi avanti! Falla tu la relazione!». Comunque sia non ripresentatevi
senza di questa, anzi, io mi terrò a disposizione la prossima volta per ascoltarvi e dare, se è possibile,
qualche precisazione riguardo a quello che noi cerchiamo di dirvi, in modo da togliervi l’idea che gli
approfondimenti che man mano apportiamo – dalla presentazione che abbiamo fatto della Realtà –
siano delle inutili esercitazioni accademiche che vizino di intellettualismo queste riunioni. Vi
assicuriamo che non diamo nessuna importanza a questioni di forma, né tanto meno a sterili
polemiche, come si dice. Ma noi, di volta in volta che approfondiamo certi argomenti, vogliamo
mettere in luce il significato di questi per meglio comprenderli. Vi sono certe verità che hanno bisogno
di una verifica non nella loro enunciazione, ma nel senso di come sono da voi comprese. Per
esempio: la legge di evoluzione, l’evoluzione spirituale: è una verità che non è soggetta a verifiche
fino a che si comprende che lo Spirito non può evolvere. Generalmente è accettata dai più,
l’evoluzione, perché… riscatta il mondo quale è; si dice che gli orrori, il sangue, tutto quello che
arreca dolore all’uomo, esistono perché gli uomini non sono evoluti, ma quando lo diverranno il
mondo tornerà ad essere il biblico Eden. Ora, accettare l’evoluzione per il suo lato accomodante la
rende oleografica e bisognosa di essere contestata. Non solo, ma l’evoluzione spirituale è intesa,
dagli spiritualisti, come appartenente ad una visione dell’Esistente fatta dal punto di vista del
“divenire”: è il classico “divenire”, divenire in meglio. Ora noi contestiamo questa concezione
dell’evoluzione.
Il Santo non è l’edizione riveduta e corretta del selvaggio, ma è un altro essere; intendo dire che il
selvaggio non diviene Santo, ma l’uno e l’altro fanno parte di un “essere” che ha molteplici fasi di
esistenza fra cui, appunto, quella di selvaggio e di Santo. Con questo “distinguo”, non sto facendo
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dell’accademia. Sto mettendo a fuoco l’enorme differenza che esiste fra due concetti e vedrete
perché . Evolvere quindi non significa “divenire”, ma è il manifestarsi in successione di differenti
“sentire” corrispondenti a tanti “stati d’essere”. È fondamentale capire ciò. Se l’uomo evolvesse nel
senso del “divenire” non giungerebbe mai ad identificarsi in Dio; un tempo perpetuo non basterebbe a
comprendere l’infinito. E se evolvere significasse “perpetuo divenire”, allora infinito dovrebbe voler
dire spazio senza limite ed eterno tempo senza fine. Ma il tempo e lo spazio non sono valori assoluti
e per il fatto stesso d’essere relativi non possono essere senza fine.
Vediamo di spiegarci meglio: Dio può essere concepito in vari modi: come causa ed origine del
Tutto, come ordinatore di un caos preesistente, come Essere immanente nella Realtà esistente, e via
e via. Fra tutte le concezioni valide, serie di Dio, esistono dei punti di contatto; questi punti sono
costituiti dai caratteri che si riconoscono a Dio e cioè: il carattere di Assoluto, infinito, eterno,
immutabile. Ammettendo uno di questi caratteri, non possiamo non ammettere gli altri perché è dire la
stessa cosa: cioè non posso pensare ad un Dio Assoluto, senza pensare che sia infinito, o non
ammettere che sia eterno; allo stesso modo non posso credere che Dio sia eterno – cioè senza
tempo, perché “eterno” significa questo – senza ammettere implicitamente che Dio è immutabile,
perché sarebbe una contraddizione in termini pensare a Dio eterno che mutasse, vi sarebbe dunque
una sucessione, è vero? Bene!
Per noi Dio è il Tutto-Uno-Assoluto che è, e ciò significa appunto fra l’altro che Dio è eterno,
infinito ed immutabile. Dio solo è la Realtà totale, la Realtà Assoluta e solo Dio è eguale a se stesso.
L’emanato, pur essendo parte di Dio in Dio, proprio perché parte non è la realtà totale, non è
assoluto, quindi è relativo. Il tempo e lo spazio appartengono all’emanato, quindi sono relativi.
Osservando l’emanato noi lo vediamo in continuo mutare, in continuo trasformarsi. Ora, se questa
mutazione fosse reale, Dio intero muterebbe e non sarebbe più immutabile e non sarebbe più eterno,
più assoluto. Dunque deve trattarsi di un “apparire”, ma non “essere”; ora questo apparire ma non
“essere” come appare, corrisponde esattamente al contrario di ciò che noi abbiamo definito Realtà (la
Realtà è ciò che “è” e non ciò che appare); per cui possiamo concludere che il mutare, il divenire,
sono illusori e se la Realtà è – e non può essere diversamente – senza durata, l’illusione suo
contrario – che non significa opposto, badate bene – finisce. L’illusione, quindi, che sarebbe
l’apparenza di una realtà parte della Realtà totale, finisce. Sicché il mutare, il divenire, il tempo, lo
spazio e il trasformarsi sono relativi, illusori e finiscono. E non potrebbe essere diversamente! Un
tempo ed uno spazio senza fine sono un assurdo. Solo dove tempo e spazio non esistono possono
non esistere limiti ad esse, perché tempo e spazio sono il risultato di limiti e non possono esistere
senza di questi.
Quando noi diciamo che il Cosmo, che è relativo, dura in eterno non intendiamo dire che
l’illusione del “divenire” nel Cosmo non abbia fine, ma che il Cosmo nell’Assoluto non può avere un
reale inizio né una reale fine. Il Cosmo esiste in Dio in tutte le sue fasi di manifestazione, dall’inizio
alla fine nell’eternità del non tempo. Perché, ripeto, un “divenire” che duri un tempo perpetuo, cioè
che abbia avuto un inizio e non abbia una fine, è doppiamente impossibile: primo perché un tempo
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senza fine non può esistere, secondo perché in ogni caso dovrebbe trattarsi di un reale “divenire” che
è inconciliabile con l’immutabilità di Dio.
Voi mi ricordate che anche Claudio ci parla del “divenire” dell’uomo: certamente, per farci capire
che l’uomo deve sentirsi un “essere”, non un “divenire”. Voi pensate alle fasi successive della vostra
esistenza come a delle promozioni in carriera, come un impiegato può passare a diventare capo
ufficio o direttore, cambiando le sue mansioni, ma non il suo “essere”. Non si raggiunge mai un
“nuovo essere” col “divenire”. L’“essere” è del “sentire”, della coscienza: per voi, del corpo akasico; il
“divenire” è del corpo mentale. Voi potreste conoscere tutte le cose che conosce un Maestro, ma
questo solo non vi renderebbe tali. Solo il “sentire” appartiene alla Realtà dell’“essere”. Così, quando
osserviamo un’esistenza individuale nelle sue fasi comprese dal selvaggio al superuomo, noi non
osserviamo un selvaggio che “diviene” superuomo, ma osserviamo le molteplici fasi di esistenza, cioè
di “essere” di quella individualità e poiché le fasi si susseguono dal più semplice al più, complesso voi
dite che l’individuo evolve. Noi pure lo diciamo, le parole sono le stesse, ma ciò che vogliono
significare è profondamente differente.
Questo sarebbe meraviglioso in politica, ma siccome noi politici non siamo, quando parliamo
vogliamo significare qualcosa; così quando diciamo che l’individuo evolve, non intendiamo dire che
l’individuo “diviene”. Un’esistenza individuale è già tutta completa in sé, niente può aggiungersi ad
essa. Così evolvere non può significare “crescere” ma può voler dire solo che i differenti “sentire” di
quella individualità si manifestano, vivono l’attimo eterno dell’esistenza. Ciò è incomprensibile se si
crede che l’emanato si sviluppi in un tempo oggettivo staccato da Dio vivente una Realtà senza
tempo. Ecco l’errore fondamentale che ha afflitto le teologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L’emanato
fa parte integrante di Dio, la sua esistenza fa parte dell’esistenza di Dio! Ecco perché non può esservi
un reale “divenire” nell’emanazione.
Comprendo la vostra difficoltà ad afferrare questi concetti; il mondo che voi osservate è un
mondo che sembra in continuo divenire, la realtà che cade sotto i vostri occhi vi pare una realtà che
continuamente divenga; ma dovete tenere presente che questo è quello che appare, non quello che
“è”. Ecco che cosa andiamo ripetendovi da tempo: la verità non è che voi osservate un mondo che
“diviene”, ma è che voi avete una visione dinamica di un mondo statico. Non è la pianta che cresce
che continuamente “diviene”, che non è più quella che era, ma siete voi che ne osservate in
successione le fasi di esistenza, voi che credete che le fasi già osservate non esistano più. Errore!
Esistono nella eternità del non tempo!
Vedete, abbiamo cercato di farvi capire che la Realtà è tutta diversa dall’apparenza, che il mondo
che cade sotto i vostri occhi è un mondo immobile, statico. Cerchiamo di farvi capire che la Realtà
non è una che “diviene” ma una costituita da molte che sono. «Allora – direte voi – dove nasce il
movimento?». L’illusione del movimento è originata dalla natura del “sentire” individuale, ma per
comprendere ciò dobbiamo renderci conto una volta per tutte che noi non siamo creati nel senso
generalmente accettato, cioè che Dio ci abbia tratto da se stesso in se stesso ad un dato punto, o
momento, della Sua Esistenza senza tempo. Credere a ciò è quanto meno singolare se si
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riconoscono a Dio i caratteri di assoluto, infinito, eterno, immutabile. Dunque noi esistiamo in Lui in
eterno e possiamo considerarci Suoi figli solo nel senso che facciamo parte di Lui, della Sua Natura;
che siamo una conseguenza della Sua Esistenza. Solo in questi termini noi discendiamo da Lui.
Egli è la Realtà Assoluta, Egli “È”, Egli “sente”, Egli è “Sentire Assoluto”.
Che cosa è lo Spirito? È l’essenza del Tutto, è l’essere del Tutto, è l’esistere del Tutto, è il
“sentire” del Tutto, il “Sentire Assoluto”, inteso come “sentire” dell’insieme comprendente il “sentire”
delle parti. Noi siamo il “sentire” delle parti, che è un “sentire” realtivo e molteplice, che è “akasa”. Il
“sentire” delle parti nasce dall’illusorio frazionamento dell’Uno-Assoluto nei “molti”. Perché “illusorio”?
Se questo frazionamento fosse reale il Tutto non potrebbe esistere come Dio, allo stesso modo che
un oceano considerabile come un insieme di gocce non esiste più come oceano nel momento che in
queste realmente lo si trasformasse. D’altra parte se non esistesse la molteplicità, il “Sentire
Assoluto” non sarebbe tale, ma sarebbe un “sentire” unico e solo monolite.
Ma come potrebbe, in questa molteplicità, mantenersi l’unità di Dio se ogni “sentire”, dal più
semplice al più complesso, non fosse unito all’altro? E come potrebbe realizzarsi questa unione,
questa continuità se non col fatto che il “sentire” più complesso comprende il più semplice?
Serie di “sentire”, dal più semplice al più complesso, sono le individualità. Ma poiché il “sentire”
più complesso comprende il più semplice, nell’individuo inteso come momento di questa serie – cioè
in noi quali ci sentiamo – nasce l’illusione di provenire “da” e di tendere “a”, cioè l’illusione dello
scorrere; ma poiché il “sentire” più complesso è il “Sentire Assoluto” che riassume e comprende in Sé
ogni “sentire” fino ai più semplici, questa illusione sfocia nella Realtà di Dio.
Noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, esistiamo solo nell’illusione, nell’illusione della
separatività. In Realtà esiste solo Lui. Ma poiché Lui è “Sentire Assoluto” che comprende e riassume
in Sé ogni “sentire” ciò garantisce che la nostra esistenza non finisce col finire dell’illusione.
Ripeto: il fatto che il “sentire” più complesso comprende il più semplice genera nell’individuo
l’illusione di provenire “da” e di tendere “a” e nella sua mente l’illusione del divenire, ma è lo stesso
fatto che realizza l’unità del Tutto unendo, come un filo, tante perle in collane, “sentire” elementari
corrispondenti a sensitività di piante e di animali, a “sentire” più complessi corrispondenti a visioni
limitate e circoscritte della Realtà come sono nell’uomo, e poi a “sentire” sempre più complessi
corrispondenti a visioni sempre più ampie e poi a “comunioni” sempre più estese fin oltre l’ultimo
scorrere, l’ultima separazione: l’identificazione in Dio.
Come il selvaggio non diviene Santo, ma l’uno e l’altro fanno parte di una stessa individualità,
così noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, non comprenderemo mai Dio, ma facciamo parte
di un’esistenza che in Lui si identifica. Il rapporto che esiste fra noi e la nostra individualità, è lo stesso
che esiste fra la nostra individualità e Lui, e come il “sentire” dell’individualità è il “sentire” tutti i
“sentire” individuali al di là della successione, così il “Sentire Assoluto” comprende il “sentire” di tutte
le individualità al di là della separazione.
Ma il vero senso di queste parole traspare se si comprende che in Lui non può esservi distinzione
io non-io. Che in Lui non può staccarsi o giungere o tornare qualcuno perché Egli è in realtà Eterno
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ed Indiviso Essere.
Come spiegare più chiaramente ciò, Padre? Questo Tuo essere tutti noi che ci conduce a
riconoscerci in Te? Come dirlo, se nel momento che Ti chiamo o quando Ti penso, non chiamo Te e
non penso a Te perché Tu non sei quello che riesco a pensare. Le parole non servono perché
appartengono ad un mondo che si fonda su ciò che sembra, e Tu Sei. La nostra mente ci fa credere
un io separato, e Tu sei un Tutto-Uno-Assoluto. Il nostro sentimento ci assoggetta all’illusione del
trascorrere e Tu sei la Realtà che non conosce sequenza. Come avvicinarci a questa Realtà se non
abbiamo il coraggio di rinunciare a credere che l’io sopravvive? Noi quali ci sentiamo non siamo
immortali, la nostra consapevolezza finisce per lasciar posto ad un’altra più grande consapevolezza
fino a che sentiamo che Tu solo esisti, che Tu solo sei la Realtà. Ma neppure questo è l’ultimo
“sentire”, è l’ultimo dell’illusione. Oltre è l’eterna Realtà del Tuo Essere, di fronte alla quale solo il
silenzio è giusta voce.
Pace a voi.
Kempis
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti voi.
Chiudo questo incontro ricordandovi che, come ha detto Kempis, lui si terrà a disposizione per
parlare, assieme a voi, delle differenze sul pensiero degli antichi filosofi di cui vi ha detto con ciò di cui
da tempo vi parliamo.
Vi abbraccio e benedico tutti. Ci troveremo ancora fra quattro settimane.
Dali
27 Marzo 1975 (Affettiva)
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Eccoci qua riuniti o cari, voi che udite per la prima volta la nostra voce e noi che per la prima
volta abbiamo la possibilità di farci intendere da voi. Ma… vi conosciamo! Ogni volta che qualche
creatura interviene a queste riunioni per la prima volta ripetiamo sempre: «Eravate attesi». Nessuno
di voi può rendersi conto di come tutto sia perfettamente preordinato, come ogni evento che a voi
sembra nuovo e inatteso faccia parte di un grande piano divino, di un immenso quadro nel quale,
come molte volte abbiamo detto, non c’è posto per l’imperfezione e per le sorprese del caso. Noi vi
conosciamo e vi seguiamo nella vita di ogni giorno, figli; ciò non vuol dire che possiamo allontanare
da voi quelli che sono i dolorosi effetti, le cause che voi stessi avete mosso; non significa che
possiamo risparmiarvi fatiche e affanni, che possiamo stornare da voi quello che non può essere
stornato, perché dal punto di vista dal quale noi lo vediamo rappresenta il vero vostro bene. Ricordate
tutti, o figli, anche se può apparirvi nel tempo dei giorni doloroso e triste; accettate con forza, sicuri
che costituisce il vero vostro bene. Nessun’altra cosa a questo punto potrebbe sostituirsi al dolore che
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vi è venuto o che vi viene; nulla come questo può darvi ciò di cui voi veramente avete bisogno. E
allora con questo pensiero e con l’altro, che ciò che è transitorio passa velocemente prima ancora
che si possa rendersene conto, con questi pensieri siate fiduciosi. In giorni più sereni per voi, di più
grande comprensione, giorni nei quali queste nebbie e queste foschie di oggi sembreranno attimi
neppure vissuti, nel ricordo, nella somma esperienza che vi hanno dato, rappresenteranno un
grandissimo tesoro.
Ecco che noi siamo tra voi in un modo forse incredibile ma vero, e possiamo rispondere ai vostri
interrogativi; quanti sono! Sperando che rispondendo ad essi voi possiate veramente capire il senso
della vostra vita che non è quello che vi appare, figli cari, ricordatelo. Queste sembrano frasi abusate
da quanto sono state ripetute, ma ripetere le parole non significa comprendere le verità; ed allora
andate oltre le parole, usatele per capire verità nuove, per capire che cosa vogliamo significare.
Capire il vero senso della vita è molto complesso, ma come ogni cosa complessa deve essere
affrontata con semplicità; così voi ogni giorno cercate di indirizzarvi a questa comprensione perché
essa è liberatrice per voi, liberatrice da quel dolore che tanto temete, che tanto vorreste rifuggire;
liberatrice dall’errore, dall’incomprensione, dalla sfiducia, da tutti quei moti che sembrano dominare in
pieno sull’uomo di oggi. E per questo noi vi rispondiamo che siamo qui tra voi; volete chiedere
qualcosa figli?
D. – …
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato. Quello che mi raccomando è che avendoci… non dico trovati, ma
ritrovati – perché forse noi siamo sempre stati un poco dentro di te – tu non ci abbandoni. Non devi
allontanarti da noi perché tu puoi trovare in noi – non dico noi possiamo dare a te, ma tu puoi trovare
in noi – la via giusta da seguire, quella vera, quella che non delude. Come ogni cosa, anche le
migliori, noi dobbiamo essere presi a piccole dosi, è vero figli? Quindi non intendiamo che tu rimanga
soggetto di un fanatismo; assolutamente no! Ma che qualunque cosa che tu fai o che tu faccia nella
tua vita sia costantemente raffrontata a ciò che noi diciamo, perché tu non debba smarrirti in strade
che possano farti perdere del tempo e procurarti dolore e delusione. Ricorda di trovare in te stesso
quello che generalmente si crede di trovare negli altri. Sii rivolto a noi con il pensiero e tieni presente
che tutto il resto è una mera illusione; ciò che si riesce ad afferrare e che può sembrare quello che noi
attendevamo, si rivela molte volte così privo di importanza da meravigliarci. Ed allora sempre di più
cerchiamo cose sempre più impossibili, credendo che più esse siano impossibili e più gioia ci diano;
ed è tutto l’opposto: più grande è stata la fatica per ottenerle, la fatica per conquistarle, per averle, e
più grande è la delusione e il senso di inappagamento; mi intendi, figlio?
D. – Sì, ti ringrazio; solo vorrei che anche chi mi sta vicino conoscesse queste cose; vorrei poterli
aiutare, solo che a volte…
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R. – Ogni cosa a suo tempo; un seme gettato dà il suo frutto nella stagione che la natura gli ha
assegnato, così sarà per chi tu dici. Non temere.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
D. – Dali, io voglio tanto essere aiutata a migliorare me stessa.
R. – Vediamo il tuo sforzo, o figlia, e quando c’è questa intenzione c’è già molto.
D. – È tanto difficile cercare…
R. – Ci riuscirai, stai tranquilla, ci riuscirai… Ci sei molto cara figlia, perché tu sei combattuta fra forze
opposte e naturalmente molte volte tu vorresti riuscire in cose che il tuo carattere invece ti fa ritenere
insormontabili; ma non temere. Tu potrai comandare a te stessa e comprendere meglio.
D. – E mio figlio che ha un carattere tanto difficile anche lui, dovrà soffrire così tanto sempre?
R. – Laddove c’è sensibilità c’è sofferenza, figlia.
Direi figli, non parlo per tutti naturlamente ma per quelli che hanno seguito il nostro
insegnamento, che avrei gradito da parte vostra delle domande circa questo argomento. Perché il
vero scopo per il quale noi veniamo fra voi è quello appunto di cercare non di risolvere i singoli
problemi che si presentano nella vita di ogni giorno, ma aiutarvi a trovare in voi quella chiarezza in
modo che voi stessi siate a risolverli; è vero? Parlo per tutti, ripeto, e per nessuno. È inutile che voi
facciate delle domande su dei casi singoli; quando anche noi vi tranquillizziamo su quel caso ecco
che se non avete la sicurezza, la chiarezza in voi stessi, cento altri vi daranno motivo di dubbio e di
angoscia. Mentre se voi riuscite a pervenire a una chiarezza interiore nel senso della vita, di ciò che vi
attende, ecco che saprete da voi stessi risolvere i dubbi e le angoscie che vi assillano.
D. – È difficile…
R. – Difficile ma non impossibile.
D. – Scusa Dali, quei contadini filippini (guaritori filippini), che possibilità hanno, che cosa hanno
veramente nelle loro mani? La possibilità di operare così, senza alcuno strumento…
R. – Quando, naturalmente, sorge qualche problema che desta l’attenzione pubblica, succede
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sempre che la verità viene sovrapposta da fandonie, da fantasie, da immaginazioni e via dicendo.
Ecco, noi dobbiamo, sulle molte cose che sono state dette su questo argomento, togliere tutto quello
che fa parte della leggenda, che non corrisponde alla verità, è vero? E cercare di capire se qualcosa
di vero c’è. Innanzitutto non dobbiamo fare lo sbaglio di presunzione come generalmente i ricercatori
fanno e cioè dire: «Se io non vedo con i miei occhi, se non posso constatare di persona, non credo»,
avere la prova personale del fenomeno, altrimenti tutto quello che gli altri possono dire e testimoniare
non è sufficiente a convincere. Questo è un errore di una grande mente presuntuosa, di una mente…
di un grande amore di se stesso. Vedete, figli, quando certe creature dotate di queste possibilità si
sono aperte in buona fede ad osservatori del mondo civile, come si dice, e poi sono state da questi o
derise o non credute ingiustamente, è logico e naturale che si cautelino, che sfuggano ad altri che
vogliono vedere; ed allora succederà che il ricercatore che viene successivamente dirà: «Hai visto?
Non è vero niente perché “Tizio” o “Caio” non ha voluto che io assistessi alle sue benedizioni». Molte
volte si crede un medium, un sensitivo, colui che ha delle facoltà, in malafade; ma molto più spesso la
malafede è dalla parte di chi osserva. Ed allora voi comprendete che quando si affrontano delle
creature con animo non sincero, nascondendo forse un intento falso, è chiaro che non ci si può
attendere un effetto sicuro, altrettanto chiaro, è vero? Questi operatori esistono ed hanno diverse
possibilità; ma vi sono tipi diversi di interventi: cioè, alcuni influiscono sulla suggestione della creatura,
mi spiego? Quando pongono le mani vicino al corpo operano, come suol dirsi, un apporto; ed allora il
malato vedendo qualcosa che sembra uscire dalle sue viscere è convinto di essere guarito; e questo
è sufficiente a mettere in moto nell’organismo un meccanismo di guarigione. Altri invece posseggono
veramente la facoltà conseguente alla mente di aprire con la forza della mente i tessuti del corpo ed
asportare, con lo stesso mezzo, i tessuti malati. Ma ripeto, tanto è stato detto giustamente e
falsamente su questo argomento che è molto difficile discernere che cosa può essere e che cosa non
può essere; le facoltà della mente esistono, figli, voi lo sapete benissimo, ed è possibile che sia
eseguita una operazione con la sola forza della mente. Anche in Inghilterra esistevano circa 30 anni
fa dei medium che operavano in quel modo, o meglio, per essere più esatti, erano delle Entità che
operavano attraverso a dei medium.
D. – Scusa Dali, un’altra domanda, che funzione hanno i bambini, ad esempio, focomelici o deformi
nella società? È un Karma?
R. – Tu parli sempre di creature che, diciamo, hanno una famiglia?
D. – Sì.
R. – Ecco, allora è chiaro, è vero figlio?
D. – È un Karma famigliare?
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R. – Sì.
D. – Ma soffrono questi bambini o no?
R. – Dobbiamo distinguere. E cioè, fra creature diciamo subnormali nel senso che non si rendono
conto assolutamente di se stessi, allora in quel caso no, è evidente; possiamo dire addirittura in certi
casi che sono dei morti viventi, cioè creature che nascono e che hanno un corpo fisico, un corpo
astrale, i rudimenti di un corpo mentale istintivo ma che non sono uniti allo Spirito. Sono dei semplici
manichini posti per il dolore delle famiglie, dei famigliari, dei genitori. Vi sono altre creature che invece
hanno consapevolezza di se stesse e queste allora sono in un Karma doloroso proprio, oltre che per i
famigliari, per i genitori. Ogni caso, diciamo, è un mondo a sé.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Dali
Salve a voi!
Quando l’uomo soffre, è detto, abbandona tutto ciò che crede dentro di sé per ricercare la causa
della sua sofferenza. Così fino dai primordi dell’umanità, da quando i selvaggi rimanevano vittime di
qualche evento calamitoso della natura, si domandavano il perché di quella sofferenza; perché
indubbiamente quegli eventi si traducevano per loro in sofferenza. E naturalmente non avendo a
disposizione altre spiegazioni immaginavano che ciò dipendesse dalla collera divina. Questa è una
concezione molto poco evoluta della sofferenza; ma se pensiamo che fra questa e quella più recente
- secondo la quale la sofferenza sarebbe una specie di prova - esistono tanti e tanti anni di
esperienze umane, voi vi rendete conto, naturalmente, che nella comprensione della realtà che ci
circonda non abbiamo fatto grandi progressi. Infatti anche pensare al dolore come se fosse una sorta
di collaudo dell’uomo - come se Dio fosse un vasaio che guarda, alla fine del suo lavoro, in controluce
i suoi vasi per vedere quelli che sono interi e quelli che sono riusciti con qualche malefatta o con
qualche foro, e poi mettesse da una parte quelli ben riusciti e dall’altra quelli scartati - tutta questa
immagine è un’immagine alquanto infantile. E pare incredibile che ci si ostini ancora nel presentarla
agli uomini, quegli stessi uomini che da un altro orecchio odono le conquiste della scienza, i miracoli
della tecnica e su, su. Come è possibile che gli uomini ascoltino queste scoperte scientifiche, ne
riescano ad apprezzare se non i principi, i risultati, e al tempo stesso possano credere a queste
immagini chiesastiche, immaginose, favolose, della realtà, questi concetti così vani, vaqui di Dio?
Certo, se noi guardiamo la storia del pensiero umano, dobbiamo convenire che i popoli che più si
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sono avvicinati a comprendere le ragioni della sofferenza sono stati i popoli orientali, i quali hanno
capito che esiste una legge naturale paragonabile, in un certo senso, a un cieco fatalismo, perché è
una legge che viene applicata in una sorta di automatismo: la legge di causa ed effetto. Voi avete
benissimo capito che a questa mi riferisco. Allora qualunque azione che l’uomo compie produce un
effetto; evidentemente all’uomo interessa l’effetto doloroso, perché poco può interessare alla mente
umana sapere che i suoi pensieri producono degli effetti se questi effetti non sono dolorosi; l’egoismo
umano in tutte le cose trae il suo vantaggio o svantaggio, fa un bilancio di tutto ciò che pensa ed
evidentemente ciò che lo tormenta più di tutto è il dolore; ed allora si interessa di conoscere le cause
che gli danno questo dolore. I popoli orientali, dicevo, hanno scoperto con la loro intuizione la legge di
causa e di effetto; ed ecco che con poche parole si è cercato di rendere agli uomini il senso di questa
legge. Si è detto loro: «Voi non siete puniti per i vostri peccati, ma dai vostri peccati!». Ebbene, anche
questa immagine che sembra così efficace e convincente tuttavia è inesatta. Perché se vogliamo
veramente capire il Karma, ripeto, il Karma doloroso, dobbiamo assolutamente prescindere dall’idea
della punizione. Infatti il Karma effetto di cause mosse dall’uomo non ha lo scopo di punire ma ha lo
scopo di far comprendere. «Comprendere che cosa?», vi domanderete voi. Per riuscire a capire il
senso di questa affermazione dobbiamo partire molto da lontano. Dobbiamo partire cioè, dalla nascita
dell’uomo, esaminare dall’alto – da un altro punto di vista che ci possa consentire in un ampio
orrizzonte tutto il cammino che quest’uomo percorre – fino a giungere alla meta ultima dell’uomo, che
a quell’epoca non sarà più uomo; diciamo dello Spirito allora. Qual’è la meta ultima che ci attende? È
la comunione, l’identificazione in Dio, anche ultimamente lo abbiamo detto. E come può farsi un’idea,
l’uomo, di questa meta? Innanzi tutto per capire dobbiamo renderci conto che l’identificazione in Dio
non è qualcosa da fare che possa essere descritta. Voi siete abituati a fare, a muovervi, a
camminare, a compiere certi atti, certe incombenze e via dicendo, e naturalmente tutte queste cose,
che sono azioni, possono essere descritte; ed immaginate la vita futura vostra, la vita di Spiriti - anche
quando vi immaginate ad uno stadio di evoluzione che riflette l’abbandono della ruota delle nascite e
delle morti, cioè quando sarete svincolati dall’ambiente terreno - vi immaginate di dover fare
qualcosa. Voi dite: «Quali saranno le mansioni del superuomo? Che cosa farà?». Ora molti Spiriti
hanno saggiamente detto che i nostri Fratelli Maggiori ci aiutano, aiutano l’uomo nella sua vita di ogni
giorno, assistono i fratelli minori; queste tutte sono immagini, figli e fratelli, romantiche, mistiche;
perché se ci soffermiamo un istante a capire più profondamente qual è la nostra natura ci rendiamo
immediatamente conto che la vita futura dell’uomo, del superuomo - più esattamente dell’uomo che si
è svincolato dalla ruota delle nascite e delle morti perché ha ottenuto un’evoluzione necessaria
conseguente a questo svincolo – non sta in cose da fare; semmai sta in “esseri da sentire”. Quindi la
nostra vita futura, quando avremo lasciato la ruota delle nascite e delle morti, cari fratelli, è una vita
che si svolge unicamente su un piano di “sentire”. Quindi immagini di Maestri che aiutano sono
immagini romantiche, lo ripeto; esiste la “legge divina” che tutto regola senza bisogno che vi siano
Entità che aiutino gli altri fratelli meno evoluti; tutto è perfettamente previsto nei minimi particolari e
niente è lasciato ad un elemento, diciamo, umano, che presenterebbe sotto qualche aspetto
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possibilità di errori, di ritardi, di visioni incomplete. Quando l’uomo abbandona la ruota delle nascite e
delle morti è un essere che vive di “sentire”, di sentimento.
Se non vi annoio vogliamo un momento soffermarci su noi stessi, sulla nostra vita di ogni giorno.
Guardiamo… io sono un uomo come voi, ho il mio corpo fisico, il mio corpo astrale che presiede alla
vita di sensazione, il mio corpo mentale che mi dà la possibilità di pensare; ma il vero me stesso sta
oltre queste possibilità, cioè sta oltre il mio corpo fisico, oltre il mio corpo astrale, oltre i miei pensieri.
Quando io ho abbandonato la ruota delle nascite e delle morti evidentemente ho abbandonato il mio
corpo fisico e la possibilità di averlo, il mio corpo astrale e la possibilità di avere diversi corpi astrali, il
mio corpo mentale e la possibilità di pensare; che cosa rimane all’individuo se leviamo tutto questo?
Rimane quello che noi abbiamo chiamato coscienza, che è un “sentire”. A voi sembrerà strano
immaginare un essere che non pensa, che non ha sensazioni, che non ha un corpo; quale vita può
avere un essere che non ha tutto questo? Perché evidentemente voi siete abituati a identificare voi
stessi con questi nuclei di sensazione, con questo corpo fisico, con questi pensieri, e non riuscite a
concepire quale possa essere un’esistenza al di là di essi, di questi aspetti, di queste manifestazioni
inferiori dell’individuo. Ma avete mai osservato un fenomeno naturale? Non so che dirvi, un tramonto,
un’alba, un paesaggio meraviglioso; ecco, nell’istante in cui voi, stupiti, attoniti, guardate un
paesaggio meraviglioso in voi tace tutto, il corpo pare non esistere, i desideri non esistono, i pensieri
nemmeno; perfino la mente che continuamente lavora nell’uomo, continuamente si arrovella, anche
durante le ore di sonno, in quei brevi istanti tace; eppure voi esistete egualmente, esistete nella vostra
parte più vera, nel sentimento. Ecco, in quel momento se voi avete provato quest’esperienza voi
avete vissuto con il vero voi stessi.
Che cosa predicano certi santoni, certi mistici? Predicano il superamento del corpo fisico, delle
sue necessità, dei suoi desideri, predicano la calma del pensiero perché solo attraverso alla quiete di
queste manifestazioni inferiori dell’individuo, nasce e sgorga il nostro vero essere, quello che noi
saremo veramente e unicamente nel nostro futuro: il “sentire”. Ripeto, un individuo che viva
unicamente di “sentire” non pensa, non ha più desideri, non ha più sensazioni, non ha più possibilità
di comunicare con gli altri attraverso a idee, a trasmissioni di pensiero, a immagini, a simboli, come
naturalmente e abitualmente avviene tra voi; è vero, figli e fratelli? Ma man mano si… entra in
comunione con i suoi simili.
Vedete, quando io comunico, come in questo momento, con voi mi debbo servire di immagini;
anche le parole sono immagini, sono simboli, e noi comunichiamo dall’esterno; invece la nostra
evoluzione futura ci riserva una comunicazione ben diversa, priva di tutti quegli errori nei quali oggi
noi possiamo cadere; perché naturalmente è rispauto che di quello che io voglio dirvi solo una parte
da voi può essere recepita. Mentre quando avremo quella comunicazione di cui ora vi parlavo non ci
sarà possibilità di dubbi perché si tratterà di comunione. E quindi tutto ciò che io avrò in me lo
trasfonderò in voi e viceversa, senza possibilità di errore, senza pericolo che qualcosa rimanga
adombrato dalle parole, che rimanga nascosto nelle pieghe del discorso. Dunque questa è la nostra
vita futura; e se noi andiamo ancora avanti fino all’ultima meta, fino all’identificazione in Dio, dunque
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non vi sono cose da fare ma vi è un immenso, infinito “sentire” di amore per il Tutto; ma badate bene,
non un Tutto “sentito” come qualcosa al di fuori di noi stessi ma qualcosa che siamo noi stessi: noi
siamo il Tutto. E questo amore che penetra ogni fibra di tutto ciò che esiste, fino nelle più riposte,
questo può darci forse vagamente un’immagine di che cosa è il “sentire” degli alti piani.
Allora dunque, che cosa deve capire l’uomo? Non c’è niente da capire, perché abbiamo parlato di
“sentire”. Se scendiamo un gradino sotto che cosa osserviamo? Quale è il dato di fatto di colui che è
prossimo a identificarsi in Dio? Una comunione della quale ora vi parlavo, una comunione che
abbraccia tutti gli esseri esistenti; pensate quale immensità. «Ama il prossimo tuo come te stesso»;
certo, perché il prossimo nostro siamo noi stessi. Ed allora se noi vogliamo farci un ideale morale da
perseguire dobbiamo rifarci a questa immagine, a questa comunione con tutti gli esseri esistenti; e se
questo è quello che ci attende poniamoci questo come ideale da raggiungere. E voi direte: «Ma allora
si tratta di cose da fare?»; no, si tratta di cose da “sentire”. E come può l’uomo giungere a “sentire”
questo? Se noi ci volgiamo indietro un istante al passato della nostra esistenza quando eravamo
selvaggi, individui primitivi, certamente eravamo ben lungi da questa meta; ma tutto è fatto – ancora
lo ripeto una volta – così perfettamente che ogni essere è posto nel suo ambiente, in un ambiente
adatto; immaginate se un selvaggio fosse posto nell’ambiente di un superuomo, di un Santo; quanto
potrebbe far male, è vero? Mentre il selvaggio è posto in un ambiente che lo limita e al tempo stesso
gli dà quel tanto di libertà necessaria perché possa comprendere la lezione che deve comprendere.
Quale sarà la sua lezione? Evidentemente, non so, il “non uccidere”. Direte voi: «Forse una vita sola
basterà al selvaggio per fargli capire di non uccidere?». No! Comincerà a non uccidere per timore; in
un primo momento vi sarà un violentare se stessi per un qualche motivo, per un timore, per paura.
Poi potrà essere un non uccidere con un inizio di consapevolezza; tutto questo attraverso a varie
esistenze fino a che, naturalmente, non sentirà più lo stimolo di uccidere i suoi simili; magari di dargli
un paio di schiaffoni, ma non di ucciderli. E così di passo in passo, sempre con nuovi ideali morali che
gli vengono suggeriti dall’ambiente, l’individuo cammina. Quand’è che muove un Karma doloroso? La
“legge di causa ed effetto”, ripeto, esiste per ogni aspetto, in senso negativo e in senso positivo; il
Karma buono esiste, voi lo sapete. Ma quello che ci interessa è quello doloroso. Quand’è che
muoviamo un Karma doloroso? Quando nonostante i molteplici avvisi che ci vengono da diverse parti
non comprendiamo e vogliamo sperimentare direttamente; è allora che l’effetto doloroso costituisce
l’unico rimedio, per l’individuo, per capire quello che è rappresentato come suo ideale morale. Così, di
ideale morale in ideale morale, l’individuo costituisce la sua coscienza, grado a grado, tassello per
tassello, ed acquista un “sentire” sempre più ampliato, fino a che il suo “sentire” è già così consistente
che egli può lasciare la ruota delle nascite e delle morti, lasciare le incarnazioni, il pianeta sul quale
ha iniziato la sua evoluzione, e continuare una vita futura di “sentire”, di comunioni sempre più estese
con tutti gli esseri esistenti.
Certo se noi osserviamo l’ideale morale che attende un Santo e lo confrontiamo con l’ideale
morale di un selvaggio, il confronto ha del ridicolo, voi lo capite; eppure l’esperienza del Santo è tanto
importante per lui quanto lo è l’esperienza del selvaggio per il selvaggio; ognuno ha la sua esperienza
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in questa scala evolutiva e la sua esperienza è preziosa per lui.
Che cosa dovete insegnare ai vostri figli? L’ideale morale più alto che voi concepite tenendo
presente che quello non è l’ideale morale più alto che esiste; tenendo presente che quello è tutto
quello che potete fare, che non potete imporvi oltre una certa misura; il vostro dovere è quello di
prospettare l’ideale morale più alto che concepite, lasciando poi, al momento opportuno, che ogni
creatura si orienti nel senso che l’attende.
Pace a voi.
Kempis
Creature,ancora una volta io sono fra voi! Accolgo il vostro pensiero e lo porto alle creature
sofferenti. Pregate con me e dite: «Signore, dove io sono porto il conforto. Dove io sono ignaro porta
la Tua conoscenza, dove io sono indifferente porta il Tuo amore!».
Pace, creature! Pace!
Teresa
Pioggia di foglie di ulivo.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un ultimo saluto ed una benedizione a tutti voi,
o figli.
Dali
Apporto di un anello.
Marcello! Marcello! Dallo alla tua compagna.
Michel
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10 Aprile 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Questa sera non vi intratterrò con la consueta prolusione, voi comprenderete il perché, poi. Io vi
raccomando vivamente, durante lo svolgimento di questa seduta, di stare massimamente concentrati.
Fate uno sforzo ma cercate di riuscire. Intendo dire che dovete seguire quello che viene detto, anche
a costo di fare forza a voi stessi perché, naturalmente, noi comprendiamo che l’argomento può non
essere di interesse generale. Ma voi dovete egualmente seguire quanto esporrà Kempis, senza
pensare ad altro, per non disturbarlo. Voi dovete sempre tenere presente, o figli cari, che i vostri
pensieri, per noi, sono perfettamente intelleggibili: quindi quando voi pensate intensamente ad altre
cose – magari alla vostra vita privata, di quello che dovrete fare domani e via dicendo – è come se voi
steste parlando e qualcuno, assieme a voi, cominciasse a parlare di cose, di altri argomenti, a voce
alta. Quindi l’oratore, probabilmente, perderebbe il filo del discorso come si usa dire. Quindi, cari, mi
raccomando a voi di fare uno sforzo di volontà per seguire quello che noi diciamo.
Con questa raccomandazione vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli
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uomini, figli cari.
Dali
Io sono la Guida Fisica di Roberto. Vi prego di stare concentrati.
Adesso il figlio Loreno, quando lo dirò io, accenderà la luce e quando ti stringerò la mano, figlio
Christian, tu dirai di spengere. Io vi prego di stare concentrati, di pensare tutti alla stessa cosa, magari
al figlio Roberto, visualizzatelo… e state concentrati. Tenteremo un esperimento. Può darsi che
questo non riesca, non sempre riusciamo al primo tentativo. Ecco accendi pure!
Respiro affannoso, pesante del medium per brevi istanti. Rumore di un corpo metallico che cade
a terra con un certo fragore.
Spengi!
Adesso per riprendere le forze e ringraziare… È un lavoro a sbalzo del 1600 che riflette la
credenza popolare dell’epoca e lo doniamo a voi tutti; quindi lo monterete in un quadro, sopra un
panno verde di velluto, e lo terrete qua, in questa sala di riunione.
Vi benedico tutti.
Michel
Sono Otello! Ti ricordi? Ti saluto e saluto tutti gli amici. T’abbraccio anche per il figlio mio.
Addio!
Otello
Pace a voi!
Ci è piaciuta molto la relazione che abbiamo udita questa sera! Direi vasta più di quanto abbiamo
osato proporre! Questo, naturalmente, a tutto vantaggio dell’uditorio, è vero?, il quale certamente vi
ringrazia con noi.
Non crediate che questo sia un lavoro fine a se stesso, potrebbe reinteressare per uno studio che
desse origine a delle discussioni fra voi e tutto questo, naturalmente, andrebbe a vantaggio
dell’approfondimento di ciò che noi diciamo. Quindi vi ringraziamo doppiamente.
A questo punto la convenienza vuole che io dica qualcosa e la convenienza mi pone in grande
imbarazzo perché non ho certo la veste per chiosare la vostra dotta relazione e non vorrei sentirmi
dire: «Ne sutor ultra crepidam». Conoscete la storia di Apelle, il pittore, il quale un giorno portando un
suo dipinto sotto al braccio, passò dinnanzi a un calzolaio e questi si mise a criticare il modo con cui
erano dipinti certi calzari estendendo poi la critica a tutta la pittura. Apelle un po’ stette zitto e poi
pronunciò la frase: «Il calzolaio non giudichi oltre le scarpe». Così non vorrei che voi diceste
altrettanto a me. Né d’altra parte potendo aggiungere altro a quello che voi avete già detto così
esaurientemente e dovendo per forza pronunciare qualche parola per uscirne per il rotto della cuffia,
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come si suol dire, non potrei che citare il Dottor Azzeccagarbugli, anche se per diverso motivo, e con
lui dire: «Godo della dotta disputa e ringrazio il bell’accidente che l’ha provocata». E con questo
salutarvi; ma sono sicuro che voi non rimarreste contenti per cui, sentite le vostre insistenze, mi
permetto di aggiungere poche annotazioni, veramente molto poche.
La più importante di queste mi sembra sottolineare il fatto che per gli Eleati – non solo, anche per
gli Atomisti, e perché no?, per gli Epicurei, è vero?, (visto che gli Epicurei recepivano il pensiero degli
Atomisti per quanto si riferiva alla materia) – l’essere e il divenire hanno, direi, una stessa
dimensione, una stessa estensione. Mi spiego: in qualunque punto l’essere deve in qualche modo
apparire come un divenire. Ecco, una grande differenza che esiste è che noi diciamo che l’essere –
cioè la Realtà – comprende il manifestato ed il non manifestato e che il divenire appartiene alla
manifestazione. Quindi contesterei, in un certo senso, l’interpretazione del “non essere” eguale
“divenire”. Questo meriterebbe un approfondimento da parte di tutti, del resto molto interessante.
Un’altra cosa che a parer mio è assai importante e che occorre sottolineare è la finalità del
divenire. Vero? Come giustamente voi avete accennato. Per noi il “divenire” ha una grandissima
finalità, cioè quella di condurre le creature dall’illusione alla Realtà dell’“essere”, e questo non ha
bisogno di commenti.
Un capitolo a parte lo merita lo spazio. Vedete, al di là dei giochetti di Zenone… che però non
debbono essere sottovalutati perché mostrano ancora chiaramente l’inconciliabilità di due concetti e
cioè: quello dell’infinita divisibilità e del movimento. Ora, questo concetto dell’infinita divisibilità era
all’ordine del giorno dei filosofi di quelle epoche. Perché? Perché così si ragionava: infinitamente
divisibile è eguale “divenire”, è eguale “illusione”. Indivisibile eguale “essere”, eguale Realtà. Così, per
esempio, Anassagora diceva che la materia era infinitamente divisibile, mentre Democrito, o forse
Leucippo se è esistito ( perché taluno lo pone in dubbio ma a noi questo non interessa), diceva invece
che la materia non era infinitamente divisibile (e questo tutti gli Atomisti) perché, procedendo nelle
suddivisioni, ad un certo momento si sarebbe inciampati in questa particella – l’atomo, per l’appunto –
che era indivisibile, formata di vuoto e di un corpuscolo talmente sottile da essere impercettibile.
Grande intuizione quella di Leucippo, di Democrito, di chi sia stato degli Atomisti! Grandissima!
Perché, vedete, oggi voi sapete dalla vostra scienza che l’atomo è scomponibile e quindi forse potete
pensare che l’intuizione di Democrito sia stata errata, ma noi dobbiamo tenere presente che l’atomo
di Dalton o di Avogadro non è l’atomo degli Atomisti. Come ragionò Dalton? Vide la materia, pensò
che era composta di sostanze, chimicamente parlando, cioè l’associazione di più elementi chimici, e
pensò ancora che, suddividendo, doveva raggiungersi un punto in cui queste sostanze erano scisse
negli elementi costituenti. E che dividendo ancora questi elementi doveva raggiungersi un punto in cui
la materia fisica – la materia, quella che cade sotto i vostri sensi – avrebbe perduto tutte le
caratteristiche fisiche e chimiche organolettiche. Chiamò allora quel punto “atomo” rifacendosi proprio
agli Atomisti. Se poi la scienza atomica ha dimostrato che l’atomo della fisica e della chimica è un
atomo che si suddivide ulteriormente, che cosa significa questo? Significa che quello non è l’atomo
degli Atomisti. È chiaro! Non è un sofisma questo ragionamento e noi non dobbiamo certamente
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rimanere stupiti di questa grande intuizione, ammesso che sia veramente intuizione. Un’altra mente,
grandemente intuitiva, Einstein, rimase egli stesso meravigliato: in un suo scritto del 1950, mi pare –
a chi interessasse saperlo – così parlava appunto degli Atomisti e diceva: «Come avrà fatto Leucippo
ad avere questa intuizione? Molto probabilmente avrà osservato l’acqua trasformarsi in ghiaccio e poi
di nuovo in acqua, senza che queste trasformazioni apportassero – come in effetti è – una
trasformazione della sostanza acqua, e di qui avrà immaginato che lo stesso può e deve avvenire per
tutti gli oggetti che mostrano caratteristiche direi quasi costanti nel tempo, immutabili».
E se Einstein avesse continuato sul filo del ragionamento di Leucippo sarebbe certamente
incappato nella comprensione, per la sua grande intuizione, della verità dei fotogrammi. Con questo
non vogliamo far dire a chi non ha detto cose che noi diciamo. Solo per mostrarvi quanta
ammirazione vi sia stata per queste intuizioni degli Atomisti.
Dunque queste due categorie: infinita divisibilità eguale “divenire”, eguale “illusione; indivisibilità
eguale “essere”. Ora, in quale di queste due… Perché? Perché la materia, per Democrito, era
divisibile relativamente ed invece – per esempio per Zenone – lo spazio era infinitamente divisibile? È
chiaro: perché lo spazio era considerato “vuoto”, era uno spazio della geometria euclìdea. Non di
quell’Euclìde che voleva conciliare l’insegnamento degli Eleati con la moralità di Socrate, l’altro
Euclìde, proprio quello della geometria, e per questo anche i filosofi successivi della scuola Atomistica
dicevano che la materia era certamente, relativamente, divisibile, ma lo spazio era infinitamente
divisibile, perché appunto c’era questa concezione dello spazio “vuoto”. Allora se dovessimo, noi, fare
un paragone del nostro concetto di spazio, come lo vediamo noi, che incidentalmente corrisponde a
come in realtà è, dove collocheremo questo spazio? Nell’infinitamente divisibile, oppure
nell’indivisibile? Eh! Anche qua saremmo come il dottor Azzeccagarbugli che, fra il sì e il no, fu di
parer diverso. Dovremmo collocarlo nella categoria della materia, cioè del relativamente divisibile
perché, in effetti, non esiste uno spazio vuoto: lo spazio è un attributo della materia.
Vedete, la vostra stessa scienza umana, credo, che sia orientata in questo senso. Passando dal
concetto dello spazio vuoto di Euclìde, al concetto del “campo”, cioè del luogo dove si esercitano le
forze, a concetti più complessi. Voi certo non potevate fare il paragone che io ho fatto, perché non
avevamo mai fornito degli elementi così chiari circa lo spazio, è vero? Ma certamente il fine di queste
nostre conversazioni è quello di andare sempre avanti e di approfondire sempre di più.
Adesso, visto che voi avete fatto così bene la vostra parte, noi cercheremo di fare la nostra, ma
non impressionatevi, non è che io voglia farvi delle domande, perché in effetti, voi qua di domande ne
fate piuttosto poche, è vero? Tanto che se queste riunioni dovessero andare avanti sulla scorta delle
domande che voi fate, sarebbero già defunte da un lungo pezzo, da un gran pezzo. Intendo dire che
può darsi che l’uomo non possa mai comprendere Dio, tuttavia questa opinione non lo esonera da
meditare su questo argomento non fosse altro per capire – come è stato già detto – come Dio non
può essere. Ora può darsi anche che questa meditazione non sia di grande valore per l’uomo, certo si
è che se noi vogliamo capire la realtà nella quale viviamo e che cerchiamo di affrontare da diversi
punti di vista ottenendo un bagaglio di pensieri e conoscenze chiamato cultura, non possiamo
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prescindere dall’idea di Dio. Io sono fermamente convinto che l’uomo di media cultura di questa
civiltà, con gli strumenti che ha a sua disposizione, cioè le sue conoscenze e la sua intelligenza,
possa farsi un’idea di Dio che non sia un oltraggio alla ragione e che al tempo stesso sia aderente
alla Realtà.
Allora, per verificare questa mia convinzione, mi calerò nei panni di un siffatto uomo e cercherò di
capire se egli può ragionevolmente credere a Dio. Perché deve finire l’idea romantica di Dio, figli e
fratelli. Non deve essere più una convinzione strettamente personale, per voi. In questa epoca di
grande razionalità forse non può esservi la prova provata, palmare, incontrovertibile, dell’esistenza di
Dio, tuttavia – lo ripeto – voi avete il dovere di capire, sulla base delle vostre conoscenze e con la
vostra intelligenza, a quale Dio potete credere. Non dovete più dire: «Io credo perché ho fede!».
Dovete certamente conservare la vostra fede, ma dovete per quanto possibile documentarla con
argomenti ragionevoli, che resistano ad una logica critica. Allora, siccome a Dio si fa risalire l’origine
di tutto quanto esiste, prima di credere che Dio esista è lecito che io, uomo di questa civiltà, mi
domandi se l’Esistente ha avuto un’origine, oppure non sia esistito da sempre; che parta cioè dalla
posizione dei cosiddetti atei e mi ponga come ipotesi di lavoro che la realtà nella quale siamo immersi
sia perfettamente materiale e che non sia stata originata, cioè sia esistita da sempre. È chiaro che in
questo caso non avrebbe una fine, perché ciò che fosse esistito da sempre non potrebbe cessare di
esistere. Io posso immaginare che una civiltà distrugga se stessa, ma non che la materia, posta come
unica realtà esistente cessi di esistere.
Se invece posso ragionevolmente credere che il Cosmo, ossia l’insieme degli Universi, finisca
consumato dalla sua stessa esistenza, allora è chiaro che tutto ha avuto un’origine, e se ha avuto
un’origine è altrettanto chiaro che tutto quanto è esistito, esiste, esisterà, non è tutto in senso
assoluto, perché oltre quello esiste per lo meno una causa generatrice, cioè una causa che era prima
che l’Esistente fosse. Vedremo poi quali considerazioni potrò fare su questa causa.
Allora, so che le osservazioni sistematiche degli astronomi moderni hanno portato alla
constatazione che viviamo in un Cosmo in espansione, cioè che gli Universi si allontanano gli uni
dagli altri e da un centro dello spazio, centro ideale, ovviamente. Sulla base di questi dati di fatto
incontrovertibili, sono nate due principali ipotesi per spiegare l’origine e lo sviluppo del moto di
traslazione degli Universi: entrambe le ipotesi concordano sull’origine che sarebbe la conseguenza di
un’esplosione avvenuta in questo punto ideale del Cosmo, è vero? Divergono, invece, sullo sviluppo.
Infatti, secondo la prima, la materia che compone i corpi stellari, quando questi hanno raggiunto una
velocità critica – chiamiamola – di allontanamento dal centro si smaterializzerebbe e causerebbe così
la graduale ma totale fine del Cosmo astronomico.
Ora per pochi istanti mi sia consentito tornare nei miei panni di disincarnato, per osservare che
questa ipotesi è perfettamente azzeccata, come lo dimostra la formula einsteniana – azzeccata anche
quella – secondo cui la massa di un corpo in movimento è eguale alla massa dello stesso corpo a
riposo, diviso la radice quadrata di uno, meno il quadrato della velocità a cui è sottoposto il corpo,
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diviso il quadrato della velocità della luce.6 Einstein chiama questa velocità critica “velocità della luce”.
La pone… la identifica… non ha importanza, pone che la velocità a cui è sottoposto il corpo – nel
nostro caso la velocità di traslazione di questi sistemi stellari che si espandono – raggiunga la velocità
della luce, ossia una velocità critica e vedete, voi matematici, che cosa succede alla massa del corpo
in movimento secondo questa formula. Tenga presente ciò l’astrofisico Allan Sandage che ipotizza un
Cosmo in perenne espansione in barba alla matematica.
Detto questo, chiudo la parentesi e me ne torno nei miei panni di incarnato a esaminare le ipotesi
di cui dicevo. Secondo l’altra ipotesi, invece, gli Universi, raggiunto un punto dello spazio,
invertirebbero la marcia e tornerebbero a concentrarsi nel punto ideale dal quale partirono e dove, a
seguito di una nuova esplosione, nuovamente ripartirebbero e così via. Ora noi intanto possiamo
osservare che il limite dove, secondo la prima ipotesi, la materia che compone i corpi stellari si
smaterializzerebbe, ovvero, nell’altra ipotesi, gli Universi invertirebbero la marcia e tornerebbero a
concentrarsi nel punto ideale centrale, sarebbe in ogni caso un limite del Cosmo, anche se lo spazio
fosse di tipo euclìdeo, cioè infinito e indipendente dalla materia. È chiaro, vero? Dunque secondo
l’una e l’altra ipotesi, il Cosmo sarebbe limitato e necessariamente di forma sferoidale. Mi ricorda
qualcosa citato questa sera, non solo ma mi ricorda anche che secondo la teoria della relatività
generale, si perviene a pensare che lo spazio sia curvo. Dunque secondo l’una e l’altra ipotesi, il
Cosmo sarebbe limitato. Ora, ciò che è limitato non può avere una durata illimitata, e questo mi
basterebbe per concludere che se il Cosmo finisce, è chiaro che ha avuto un’origine e quindi una
causa. Ma io preferisco invece proseguire nell’esame delle due ipotesi per vedere se mi conducono
ad una diversa conclusione. Ripeto: secondo la prima, il destino del Cosmo astronomico sarebbe la
graduale ma totale fine per smaterializzazione; secondo l’altra sarebbe una sorta di moto perpetuo, di
andirivieni dal centro alla periferia di questi corpi celesti, di questi Universi. Ora, io che mi reputo un
ateo serio e coerente, debbo prendere in considerazione solo la seconda ipotesi, perché come ho
detto prima, se ammetto la prima ammetto la fine del Cosmo e quindi l’inizio e quindi la causa; debbo
invece vedere se posso ragionevolmente credere che il Cosmo sia una sorta di perenne “pulsazione”
no?, un moto perpetuo di questi corpi celesti, oppure una trasformazione continua della materia che
lo compone. Il “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” sembrerebbe confermare questa
ipotesi.
Ora io so che il principio della conservazione della massa, dichiarato universalmente valido dalla
meccanica classica, ed il principio della conservazione dell’energia – visto che si è scoperta la
relazione che lega la massa all’energia – sono stati invece smentiti direi in modo dirompente dalla
scoperta dell’energia atomica. Non solo, ma anche più recentemente, dall’esame di certi fenomeni
che avvengono nello spazio intergalattico. Ora la mia cultura, non specialistica, di uomo medio di
6
2
2
1
1
c
vmm
rm
−
=
54
questa civiltà, non mi acconsente di addentrarmi con osservazioni scientifiche nell’esame di eventi
cosmici, è chiaro. Però posso capire dai fatti con cui mi scontro tutti i giorni, un principio molto
importante per me e cioè che per fare un lavoro ci vuole energia, voi lo sapete bene, è vero? E che
nessuna macchina e nessun sistema produrrà mai più energia di quanta ne consumi, altrimenti il
moto perpetuo non sarebbe un assurdo meccanico. Vedete, noi possiamo immaginare in teoria, che
so… un moto rettilineo uniformemente accelerato che prosegua all’infinito; oppure immaginare un gas
che non divenga mai l’omonimo liquido a qualunque pressione o raffreddamento sia sottoposto, il gas
vero di Gay Lussac. Oppure – che so? – credere nello spazio come lo postula la meccanica classica,
giusto che abbiamo rammentata prima: cioè, uno spazio tridimensionale, infinito, vuoto, permeabile
dalla materia, indeformabile e tutto quello che volete. Ma tutte queste sono favole, non corrispondono
alla realtà fisica, perché la realtà fisica è diversa dal mondo delle astrazioni.7
Lo spazio sembra più simile – quello esistente, s’intende – a quello postulato dalla teoria della
relatività generale che nega l’esistenza di uno spazio vuoto, infinito, indeformabile, immutabile; che
nega che il tempo e lo spazio siano assoluti ed oggettivi e pone che lo spazio sia una sorta di
emanazione della materia e che il tempo sia la quarta dimensione dello spazio. Tanto che le scoperte
scientifiche che via via si registrano, sembrano confermare questa teoria; difatti alle leggi della
meccanica classica la scienza umana non dà più un valore assoluto, ma semplicemente un valore di
prima approssimazione.
Allora, tornando alla mia teoria, mi pare che io possa pensare con ragione che se anche questo
moto di va e vieni dal centro alla periferia dei sistemi stellari si ripetesse indefinitamente, l’energia
necessaria a questo moto – ancorché si rigenerasse in qualche modo, magari a spese della massa
della materia – non si rigenererebbe mai in misura totale, per cui a lungo andare sarebbe la stasi,
cesserebbe il moto del Cosmo. Che poi questa stasi riguardi il divenire della materia o la materia in se
stessa, per l’aspetto che mi sono posto del problema non fa alcuna differenza perché pervengo a
concludere che se il divenire cessa vuol dire che ha avuto un inizio ed una causa e questo mi basta.
Tuttavia mi sembra più logico pensare che se cessa il moto in seno al Cosmo, non cessa solo il moto
di traslazione degli Universi, ma cessa il moto delle particelle e dei corpuscoli in seno alla materia, e
quindi cessa la materia, e cessa lo spazio emanazione della materia, e cessa il tempo dimensione
dello spazio. Dunque tutto mi pare che mi porti ragionevolmente a credere che il Cosmo, per quanto
immenso possa apparire, è limitato e destinato a finire, con la materia che lo compone, con lo spazio
ed il tempo in cui sono localizzati gli eventi cosmici. Se il cosmo finisce è chiaro che ha avuto un
inizio, e se ha avuto un inizio è chiaro che deve esistere una causa generatrice. Vedremo la prossima
volta quali considerazioni possiamo fare su questa causa.
Detto questo torno allora nella mia più comoda posizione di disincarnato per dire alcune cose che
mi sono tornate in mente – come si suol dire – mentre vi parlavo poco fa. E cioè, voi sapete che noi
7 “Questo non può dirlo un uomo di media cultura”: sul ciclostilato originale è apposta questa
annotazione della signora Nella Bonora.
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abbiamo parlato del Cosmo come dell’ambiente della manifestazione, è vero? E che la
manifestazione comprende due momenti: l’emanazione ed il riassorbimento. Quand’è che finisce
l’emanazione e comincia il riassorbimento? Noi possiamo fissare convenzionalmente questo
momento quando è manifestato l’ultimo piano, il più denso, il piano fisico. E noi abbiamo visto che
l’inizio del Cosmo, quindi del piano fisico, è nato con un’esplosione della materia nel centro ideale
dell’ambiente cosmico-astronomico, è vero? Da quel momento noi possiamo cominciare a fissare
convenzionalmente l’inizio del riassorbimento. Quand’è che cessa il riassorbimento nel piano fisico?
Quando l’ultima materia del piano giungerà al limite massimo dell’area cosmica e l’ultima materia sarà
smaterializzata.
Intanto debbo dirvi che questo che io sto dicendo è la storia che si vede leggendo i fotogrammi
che riguardano la vita macrocosmica ma che non sono assolutamente eventi oggettivi. Adesso, in
questo momento, noi stiamo seguendo la vita macrocosmica leggendo i relativi fotogrammi e vediamo
questa storia. Ecco, allora viene fatto di domandarci: come mai gli astronomi che sono così avanti
nelle loro osservazioni, che giungono a percepire energie che giungono da “Nove”, da altre fonti
lontanissime nello spazio stellare non percepiscono l’enorme energia che si dovrebbe manifestare in
questo limite alla circonferenza del Cosmo? Mi seguite nel ragionamento? Possiamo fare tre ipotesi:
cioè, la prima, che ancora nessuna materia, cioè nessun corpo stellare, nessun Universo, sia giunto,
abbia raggiunto quella velocità critica necessaria alla smaterializzazione e quindi abbia raggiunto il
limite esterno del Cosmo fisico; prima ipotesi. Seconda ipotesi: che qualche Universo abbia raggiunto
quel limite, ma che questo limite sia tanto lontano dalla nostra Terra che ancora l’onda che dovrebbe
portare l’energia, la percezione di questo fenomeno grandioso, non sia arrivata ancora alla Terra;
seconda ipotesi. La terza – che è quella vera, invece – è che quando la materia si smaterializza per il
raggiungimento della velocità critica di cui parlavo prima, l’evento oltrepassa la dimensione fisica,
oltrepassa lo spazio fisico. Siamo in un altro mondo e quindi, dal punto di vista del piano fisico, è il
silenzio. Cioè sparisce la materia, sparisce lo spazio, sparisce la possibilità di comunicare da
quell’evento a chi è nello spazio antecedente. Mi seguite, figli? Che cosa accade quindi nel piano
astrale che è la dimensione immediatamente più sottile? Noi abbiamo visto che il riassorbimento nel
piano fisico consiste nella migrazione della materia dal centro alla periferia del Cosmo: nel piano
astrale il movimento è perfettamente l’opposto, dalla periferia l’energia si ritrae, si concentra nel
centro ideale. «E nel piano mentale?», direte voi. Il piano mentale è analogo al piano fisico: la mente
che si spersonalizza, si espande, raggiunge la periferia. E nel piano akasico? È simile al piano
astrale, cioè la rifrazione del “sentimento” in un unico punto, del “sentire” in un unico punto. E nel
piano spirituale? Il Logos, centro di questo piano, che si espande, torna nella indifferenziazione.
Vedete come, in fondo, questi movimenti un po’ caratterizzino poi il destino degli individui: la
mente che si spersonalizza, l’energia che si ritrae, il sentimento che si fonde in una “comunione”
unica, in un punto unico, il Logos che torna alla vastità del Tutto.
Dopo aver dette tutte queste belle cose ho il dovere, però, di avvertirvi e di dire che per farci
capire a voi noi ci serviamo di immagini di comodo, salvo poi a mettere in evidenza tutti i limiti. Una di
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queste è il Cosmo presentato come un’enorme sfera, contenente tutte le materie di diversa
sottigliezza che costituiscono i piani di esistenza, coesistenti senza possibilità di interferenze
dannose, in un ambiente in qualche modo oggettivo. Questa immagine serve molto bene per farci
capire la coesistenza dei piani di esistenza, per farci capire come il grossolano stia bene… possa
compenetrarsi con il sottile e come i piani di esistenza non siano differenti ubicazioni spaziali, è vero?
Ma se mai, appunto, diverse identità di materiali comprendenti tutte le forme di vita che sono proprie
alle singole densità. Tuttavia questa immagine non rende tutta la verità, anche se può sembrarlo. Se
voi domandaste ad una Entità del piano astrale che stesse ascoltandoci questa sera, dov’è, essa vi
direbbe che è qui fra voi, in un dato punto della stanza, confermando in qualche modo con questa sua
asserzione, l’esistenza di uno spazio oggettivo, contenente in tutti i punti della sua estensione i diversi
piani di esistenza. È vero? Come or ora dicevo.
Io vorrei invece farvi capire che se un’Entità rivestita di un corpo astrale – e qui uso ancora
un’immagine di comodo – vi potesse vedere, ciò non sarebbe dovuto al fatto che divide il vostro
spazio e quindi, potendo percepire il più sottile necessariamente dovrebbe percepire il più grossolano,
ma per un’altra ragione. Infatti se voi, abitanti del piano fisico, aveste la possibilità di vedere la
materia al livello più sottile, poniamo il livello atomico – stasera abbiamo parlato di atomi, parliamone
– livello atomico, voi non vedreste più gli oggetti che vedete, ma vedreste unicamente un ammasso di
atomi come un cielo stellato in una notte serena. E non basterebbe la diversa densità spazio, il
numero di atomi fra gli atomi che costituiscono l’aria e gli atomi che costituiscono i corpi a farvi
percepire gli oggetti; difatti la scarsa visibilità degli ambienti nebbiosi non è dovuta a una variazione
del rapporto consueto, ma è dovuta semplicemente alla circostanza che l’atmosfera diventa opaca
alla luce, per cui una visione a livello atomico, si arresterebbe su una muraglia di atomi. Così come
voi foste, nelle vostre attuali condizioni, immersi in una fittissima nebbia, la vostra visione si
arresterebbe sulle infinite, minutissime gocce di vapore acqueo, è vero? Così sarebbe la visione.
Immaginate poi la visione nel piano astrale. Con tutto questo intendo dire che se un’Entità del piano
astrale può percepire il piano fisico, non è – ripeto – perché condivida lo stesso spazio, ma per
un’altra ragione che questa sera non ci interessa esaminare.
Allora, questa immagine di cui dicevo all’inizio del Cosmo come un’enorme sfera, se ha il pregio
di farci capire che i piani di esistenza non sono tanti cieli o inferni danteschi, ha tuttavia il difetto di
lasciarci credere in uno spazio oggettivo. Ora noi abbiamo ricordato questa sera che qualcuno
considera lo spazio come un’emanazione della materia; ciò è molto se riesce a staccarsi dal concetto
del vecchio spazio euclideo, quello della geometria e della meccanica classica, è vero, figli e fratelli?
Ma non è abbastanza se, per capire che non esiste uno spazio vuoto, noi pensiamo ad uno spazio
tutto pieno di materia. Allora vogliamo servirci di un’altra immagine di comodo, un altro esempio.
Supponiamo che voi siate in un ambiente lontano da questo, completamente al buio, e che invece
siate collegati con questo ambiente – in quel momento perfettamente illuminato – con una macchina
modernissima che riproduca attorno a voi, in tre dimensioni, questa stanza. Dopo qualche tempo voi
avreste la netta sensazione di trovarvi qui, esattamente nel punto dove sarebbe collocato l’elemento
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sensibile per riprendere la scena, è vero? Ancora una volta i vostri sensi vi avrebbero tratto in
inganno. Un inganno irrilevante nei rapporti fra voi e i presenti in questa stanza. Ma un inganno che
occorrerebbe svelare ed esattamente dimensionare nel momento in cui noi volessimo comprendere la
Realtà di ciò che è. E con questo vi lascio.
Pace a voi.
Kempis
Figli, Claudio vi saluta.
Ultimamente è stato sottoposto alla vostra attenzione il fatto che gran parte della sofferenza
dell’uomo nasce dalla sua mente, o meglio, dal modo errato di usare la mente. Vorrei portarvi un
esempio; abitualmente l’uomo non ha consapevolezza di una parte del suo corpo fino a che questa
non si ammali e non gli procuri dolore. Così è della mente: se arreca dolore all’uomo, ciò significa che
non funziona armoniosamente. Vi è stato anche accennato il fatto che la mente può cessare di
arrecare dolore all’uomo e ciò accade quando finisce di creare e mantenere in vita l’io. La causa e
l’oggetto della sofferenza è l’io, è l’io che soffre ed è illusone della separatività, il soggetto della
sofferenza; fino a che esiste l’io persiste il dolore. Quanto più l’io è valorizzato, innalzato, sublimato,
più cresce la causa del soffrire. Fino a che esiste l’io esiste corruzione, lotta, dolore; per capire la
causa dell’oggetto della sofferenza, consideriamo che cosa è l’io. L’uomo ha un corpo fisico con i suoi
sensi, vista, udito, tatto, eccetera. Ha poi un altro nucleo di sensazioni come l’irritabilità, l’ansietà e via
dicendo. Ha ancora la possibilità di pensare, cioè interpretare personalmente la realtà ponendo gli uni
con gli altri in relazione a fatti e pensieri e sensazioni, e traendone delle conclusioni. Tutte queste
cose, il corpo, le sensazioni, i pensieri creano l’io. Non è che l’io pensa, se mai è il contrario. L’io non
trova riscontro, non ha un’esistenza propria, contrariamente a quanto affermano gli studiosi della
psiche, e perché non trova riscontro nella struttura dell’individuo cerca di affermare la sua esistenza
con l’accumulare, crescere, possedere. È il desiderio di accrescersi che fa cercare la sicurezza della
continuità, la certezza che non sarà annientato dalla vita e dalla morte. Così si fa più netto il senso di
separatività, il pensiero si standardizza e viene eluso ogni cambiamento; il timore fa sì che l’uomo
divenga la sua legge. Il risultato di tutto ciò è dare importanza nel senso errato alla personalità,
credere che occorra accumulare per essere felici. Si dà importanza al lavoro per ciò che questo può
dare al singolo con oggetti, amicizie, qualità, mentre il lavoro dovrebbe essere visto in funzione della
collettività. Si dovrebbe programmare per l’intera umanità, non per il beneficio di pochi. La mente è
costantemente occupata per l’io; pensa se l’io possiede abbastanza, se avrà abbastanza onori e
gloria, benessere. Così in questa visione della separatività voi ingannate voi stessi in molti modi. Ma
quando cesserete di vivere in funzione dell’io, dal punto di vista dell’io, allora cesserà ogni conflitto,
ogni desiderio di conseguimento. La mente sarà alfine libera e non causerà più dolore per gli uomini.
Pace a tutti voi, fratelli.
Claudio
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La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione.
Chiudiamo questo incontro dandovi appuntamento fra quattro settimane. Nel frattempo noi
lasceremo riposare lo strumento, non faremo la consueta riunione affettiva e voi comprenderete
perché.
Un’altra cosa desidera dirvi la Guida Fisica: che la “Stella di Paracelso” è uno strumento occulto
e prezioso, ed occulto deve rimanere.
Vi benedico ed abbraccio tutti, singolarmente. Che la serenità sia con tutti voi.
Siate consapevoli del grande dono che vi è fatto.
Pace a tutti.
Dali
59
08 Maggio 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Noi non veniamo per essere considerati dei Maestri, posti su degli altari ed adorati; avete già
abbastanza feticci da adorare. Non veniamo per fare dei proseliti, dei seguaci di un’etichetta; semmai
veniamo per distruggere tutto ciò, distruggere ciò che vi inibisce la comprensione: le suddivisioni
razziali, morali, religiose, sociali e via dicendo; tutto quanto vi impedisce di avvicinare i vostri simili e
comprenderli. Se le verità che conoscete vi impedissero di andare incontro a chi non la pensa come
voi, voi non le avreste comprese e siete voi che dovete comprendere, nessuno può farlo al posto
vostro.
Noi veniamo per agevolarvi la comprensione, non per essere un ostacolo di più. Vi parliamo di
verità, ma le nostre parole rimangono aride, sterili se voi non le comprendete, e per comprenderle
dovete avere la volontà di capirle.
Noi non parliamo per tutti: parliamo per quelli che sono insoddisfatti di ciò che sanno. Chi non
desidera approfondire ciò che conosce, chi è sereno nella concezione della vita che ha, non tenga in
nessun conto ciò che noi diciamo. Ma chi vuol capire, deve sacrificare una parte di se stesso per
comprendere. Ciò che ha aiutato nel cammino trascorso, non deve trasformarsi in un pesante fardello
in quello ancora da compiere.
Quando parlo di cammino da compiere e di comprensione, non intendo riferirmi a nozioni da
acquisire e ritenere con la memoria, nozioni che poi possono anche essere dimenticate, ma parlo di
quella comprensione che è liberatrice. Che non è un processo della mente, ma che dona un nuovo
“sentire”, un nuovo “essere” e perciò non può essere obliata. Una tale comprensione non si raggiunge
facendosi discepoli di qualcuno in particolare, ma facendosi unicamente discepoli della verità,
ovunque essa sia.
Vi lascio momentaneamente.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Io sono la Guida Fisica di Roberto.
Vi prego di stare con i piedi uniti, le palme delle mani appoggiate sui ginocchi.
Adesso io produrrò un fenomeno luminoso. Quando io dirò “sì” chi è vicino all’interruttore – la
sorella Maddalena – accenderà la luce e quando nuovamente dirò “sì” la spengerà. Così voi potrete
vedere che durante questi fenomeni, niente è sopra le mani del medium. Ovviamente io vi
raccomando di stare molto concentrati perché voi sapete che questi fenomeni sono molto disturbati
dalla luce. È vero? E quindi l’energia necessaria…
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Sì!
In piena luce si vedono le mani del medium che offre alla vista degli astanti le palme e poi il
dorso, con parziali contrazioni delle dita.
Michel – Sì!
In piena luce è apparso un apporto che è sceso dall’aria con una deviazione di rotta
evidentissima quanto armoniosa (clinamen) cadendo al centro della sala.
Michel – Ecco. Un doppio effetto, è vero? Lo raccoglierete dopo. È per la figlia Cristina. Non tu, figlia,
l’altra Cristina di nome.
Vi saluto. Restate concentrati, vi raccomando.
Michel
Pace a voi!
Avete parlato, questa sera, del problema degli atei da noi introdotto. Sì, in effetti possiamo dire
che non molti degli uomini che sono incarnati sulla Terra sono degli atei. Ma vi sarebbero da dire
molte cose a questo riguardo che occuperebbe gran parte della possibilità nella nostra
comunicazione. Voglio solo farvi riflettere su un’affermazione e precisamente quella: «Io credo che vi
sia un solo Dio». Ma il credere questo e l’affermare questo comporta necessariamente una serie di
altre, conseguenti nella logica e nella necessità, affermazioni. Dire: «Io credo in un solo Dio», significa
dire: «Io credo in una sola Realtà». Cioè che può esistere un’unica Realtà e che tutto quanto esiste
non può che far parte di essa, cioè di Dio. Lo stesso mondo nel quale voi e noi viviamo, fanno parte di
questa Realtà, perché nel momento che ne fossero avulsi, non vi sarebbe più una sola Realtà, ma più
di una. A meno che noi non ammettessimo che le molte realtà che possono esistere, in effetti sono
parti di una stessa Realtà ed è proprio quello che noi vogliamo affermare. Dire quindi che esiste un
solo Dio significa necessariamente ammettere che esiste una sola Realtà e necessariamente
ammettere che Dio è illimitato, infinito, completo, perfetto. Vedrò di spiegarmi meglio, se è possibile.
Nel mondo che voi percepite, un oggetto è distinto da ciò che non è l’oggetto, ma nel momento
che io facessi sparire tutto quanto esiste – tranne un solo qualsiasi oggetto ed ovviamente me
compreso – l’oggetto diverrebbe l’unica Realtà esistente, e non esistendo alcuna cosa che lo
limiterebbe, diverrebbe illimitato. E se lo spazio fosse un attributo dell’oggetto, l’unico spazio che
esisterebbe sarebbe quello occupato dall’oggetto; perciò l’oggetto, occupando tutto lo spazio
esistente, diverrebbe infinito.
Se noi ci soffermiamo sul concetto dell’unica Realtà e, con la nostra mente cerchiamo di capire
che cosa esiste oltre questa unica Realtà, la nostra mente abituata a ragionare in un certo modo, ci fa
rispondere automaticamente: il nulla. Ma in effetti la domanda non ha senso perché esula dal
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postulato, e cioè che la Realtà sia l’unica cosa esistente. Quindi non si pone la domanda, non
possiamo chiederci che cosa esiste oltre quella Realtà. È l’unica cosa esistente. Allo stesso modo
Dio, se è l’unica Realtà esistente, è necessariamente illimitato ed infinito e, per la stessa ragione, Egli
è indivisibile. Se infatti si dividesse realmente – la Sua creazione, poniamo – non sarebbe più l’unica
Realtà esistente e Dio non sarebbe più illimitato perché verrebbe limitato dalla Sua stessa creazione.
Cioè esiterebbe Dio ed esisterebbe la Sua creazione che in qualche modo lo definirebbe, lo
delimiterebbe.
A meno che, ripeto, non veniamo nell’affermazione che noi stessi vogliamo enunciare, e cioè:
che ogni realtà, in effetti, fa parte di una sola Realtà: Dio. Perciò il percepire noi stessi ed il mondo nel
quale viviamo come avulsi da Dio, è una percezione errata, illusoria. Ma anche nel gioco di questa
illusione, ogni parte risultante da un non reale frazionamento di Dio, non può che essere limitata e
finita. E se Egli è l’Assoluto assolutamente indivisibile, ogni Sua parte risultante da un virtuale
frazionamento, non può che essere il relativo, relativamente divisibile. Perciò ogni manifestazione
cosmica è relativamente divisibile. Ciò è vero per il tempo, lo spazio, la materia, gli esseri della
manifestazione. Infatti, se per esempio lo spazio fosse assolutamente indivisibile, si identificherebbe
con Dio; e se fosse infinitamente divisibile si identificherebbe con il “vuoto”, con il “nulla”. Ma il
concetto di spazio è legato al concetto di estensione, ed il concetto di estensione è legato al concetto
di materia, perciò non può esistere uno spazio che non sia legato in qualche modo alla materia; non
può esistere uno spazio vuoto assolutamente, perché se anche questo spazio esistesse non potrebbe
avere alcuna dimensione, alcuna concretezza, alcuna entità.
Lo stesso principio di relativa divisibilità fa sì che gli esseri della manifestazione cosmica, cioè
noi, siano: primo, nella loro teoria di “sentire” susseguenti l’uno all’altro in numero finito. Cioè, i vari
“sentire” che sono noi, che sono il nostro essere, sono in numero finito. Ciò garantisce
l’identificazione in Dio di tutti gli esseri. Secondo, che gli esseri della manifestazione cosmica sono in
numero finito, e neppure le manifestazioni sono infinite, né come numero né come estensione perché,
se lo fossero, Dio sarebbe unicamente manifestazione e noi sappiamo che Egli è il manifestato e il
non manifestato. Perciò se noi potessimo anche sommare tutti gli esseri di ogni manifestazione – e
non è possibile perché nel momento in cui io prendo in considerazione una manifestazione quella e
quella sola esiste – il numero che si otterrebbe sarebbe un numero indefinito, cioè suscettibile di
accrescersi fino a che continuassi a sommare, ma mai infinito. Di infinito non c’è che Lui, Cioè Dio.
Questa sera voi avete parlato della formula di Einstein che si riferisce alla determinazione della
massa di un corpo in movimento. È vero figlio Guido, Silvio, Emilio ed altri che si sono interessati
marginalmente? Lo dico anche perché, secondo taluni, la massa di un corpo in movimento diverrebbe
infinita quando la velocità del corpo diverrebbe eguale ad una posta velocità critica. Ecco, noi
possiamo dire invece con certezza che man mano che crescerebbe, o che cresce, la velocità a cui è
sottoposto il corpo, la massa tende all’infinito, ma nel momento in cui dovrebbe divenire infinita, cioè
nel momento in cui la velocità a cui è sottoposto il corpo si identifica con la velocità critica che
Einstein pose nella velocità della luce – ma non è necessariamente quella – in quel momento la
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formula si traduce in una forma indeterminata della matematica, quali per esempio: zero diviso zero,
Infinito meno infinito, uno all’infinito, è vero? Cioè una di quelle forme dette “indeterminate”. Il De
L’Hopital cercò, con un suo artifizio, di riportare a valori determinati certe forme indeterminate, ma
questo non ci interessa. Certo è che il Cosmo, per quanto immenso possa apparire, è limitato e finito
come ogni frazionamento virtuale dell’Assoluto; e ciò che è limitato e finito non può contenere
alcunché di infinito. Perciò abbandoniamo il concetto dell’infinita emanazione di “Spiriti” in Dio, buona
a farci capire la vastità, l’incommensurabilità dell’Assoluto, ma non a farci intendere che l’atto di
creazione di Dio sia in effetti un continuo “divenire”, un continuo manifestarsi. Noi questo lo capiamo
abbastanza bene, è vero, figli e fratelli? Sappiamo che ciò che noi vediamo muoversi, accrescersi,
avere un inizio ed una fine in realtà non è un evento oggettivo, è un evento illusorio. Perciò un’altra
immagine distrutta e un altro velo sollevato. Non so se avete fatto caso che il nostro parlare
assomiglia in qualche modo alla “danza dei veli”. Un primo velo cadde quando vi parlammo per
spiegarvi che l’apparente confusione, ingiustizia, dolore del mondo nel quale vivete, in realtà facciano
parte di un ordine sommo, di una mirabile perfezione: l’evoluzione, la legge di causa e di effetto, di
reincarnazione sono tutte verità sulle quali poggia il perfetto equilibrio dell’Esistente.
Ma chi credesse di appagare la sete di sapere degli uomini dando loro le risposte a certe
domande che si fanno, sarebbe un ingenuo e questo è una fortuna per tutti perché assicura un
progresso. Così se alcuni interrogativi vennero subito soddisfatti, altri ne sorsero perché vi chiedeste:
«E come è conciliabile la mutabilità dei mondi sensibili con l’immutabilità dell’Assoluto?». E via. Da
qui la necessità di alzare un altro velo.
Parlammo allora della non contemporaneità che esiste fra certi “sentire” legati ad una stessa
serie di fotogrammi. Contemporaneità che esiste in assoluto fra “sentire” analoghi e non potrebbe
essere diversamente.
Ciò che è analogo e che esiste al di là del vostro tempo e del vostro spazio, vibra
simultaneamente e in modo indipendente da questi. E se tale verità non appare nei piani fisico,
astrale, e mentale, appare invece in modo inequivocabile nel piano akasico, o del “sentire”.
Per parlare un po’ della vita di questo piano e rispondere così ai vostri interrogativi, dobbiamo
riferirci ad una fase del “sentire” molto avanzata, alla condizione d’esistenza che noi abbiamo definito
“abbandono della ruota delle nascite e delle morti”. Perciò tutto quello che io dirò sul piano del
“sentire”, va riferito a quella condizione d’esistenza. Poiché i “sentire” analoghi vibrano
simultaneamente, questa condizione d’esistenza del superuomo è raggiunta contemporaneamente
per tutti gli esseri della manifestazione, in qualunque tempo o spazio abbiano ottenuto la loro
evoluzione.
Quella condizione d’esistenza è del tutto diversa dalla vostra attuale. Allora il “sentire” fluisce
spontaneamente, senza necessità di stimoli dai piani grossolani. L’individuo non ha più niente di
umano, non ha più sensazioni, non pensa più, per quanto il “sentire” nel suo succedersi sia più simile
ai pensieri che non alle sensazioni. Queste ultime, infatti, sorgono in voi quando sono stimolate non
fosse altro dalla vita fisiologica del corpo fisico. I pensieri, invece, si susseguono automaticamente. In
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modo analogo il “sentire” fluisce spontaneamente e niente può frenarlo o soffocarlo. Allora, in quella
condizione d’esistenza, non esiste più l’io egoistico con il suo bisogno d’accumulare, crescere, che
reca la maggior parte del dolore all’uomo, come dice il Fratello Claudio. Evidentemente esiste ancora
il senso dell’individualità e l’illusione del succedersi del “sentire”, di un “sentire” che sente di crescere
sempre più di intensità, ma è cosa diversa dal senso di separatività che percepite voi nella vostra
attuale condizione di esistenza. Perciò il vedere se stessi proiettati in quella dimensione come degli
esseri, degli uomini ingigantiti e sublimati, è una di quelle immagini che dovete distruggere.
Una particolarità che colpisce chi raffronta la “vita del sentire” del piano akasico con quella degli
altri piani più grossolani, è la mancanza assoluta di Maestri, di Istruttori, Guide Spirituali. Nel vostro
mondo potete incontrare figure di Santi che vi portano parole di illuminazione, esseri del vostro tempo
che non sono vostri contemporanei nel “sentire”. Nel piano akasico dove non esiste più l’illusione di
una contemporaneità di “sentire” – in effetti non esistente – non appaiono più queste immagini. In
vero non appare nessuna immagine. Intendo dire che nei piani grossolani si percepiscono le immagini
di oggetti e corpi estranei all’individuo, che appartengono al mondo esteriore. Nel “piano del sentire”
esiste unicamente il “sentire” ed il contatto fra i “sentire” è un contatto di “comunione”. E se al livello di
esistenza umana il contatto è mediato dai sensi – e giunge difficilmente a farvi cogliere la Realtà delle
cose e piuttosto ne fa cogliere l’apparenza – così non è nel piano del “sentire”. Qui la fusione di un
“sentire” con una Realtà avviene dall’interno dell’“essere”, senza necessità di intermediari,
gradualmente. Voi avete bisogno di… afferrare delle immagini del mondo che vi circonda; se volete
conoscere di più, dovete esplorare quanto più possibile attorno a voi. Nel piano del “sentire” non
esiste visione del mondo esterno; ripeto, esiste fusione con una verità.
L’abitudine che avete al vostro mondo forse vi fa chiedere se è possibile accelerare o
deliberatamente provocare una “comunione”. Ebbene, niente di tutto questo. La “comunione” fra il
“sentire” che implica il raggiungimento di un nuovo “sentire” avviene automaticamente, per reciproca
attrazione fra “sentire” simili e complementari ad un tempo, seguendo un ritmo naturale che deriva
dalla natura stessa del “sentire”.
Qua potremmo parlare delle cosiddette “anime gemelle”, ma non lo faccio per non creare inutili
figurazioni romantiche.
Ebbene, il fatto che la “comunione” fra “sentire” non possa essere deliberatamente promossa e
ricercata, può farvi pensare ad una mancanza di autonomia, ma dovete tenere presente che nel
vostro mondo la possibilità di cambiare, la supposta libertà, la possibilità di scegliere, è tanto più
necessaria e vitale quanto più grande è l’insoddisfazione dell’uomo. La vita del “sentire” è
essenzialmente beatitudine e completezza e chi è in quella fase della sua esistenza, non prova la
necessità di “sentire” di più perché “sente” sempre nella misura massima che può, perciò è
essenzialmente appagato.
L’amore disinteressato, altruistico è la spinta che allarga la “comunione” degli esseri fino a farne
una cosa sola, e questo amore non è soggetto a stanchezza, semmai si infiamma sempre di più.
Un aspetto particolare che potrebbe cogliersi nel piano ancora del “sentire”, è l’assoluto distacco
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e disinteresse per i piani di esistenza più grossolani; tutto di essi appare trascorso, raffermo, inutile,
superato. La stessa sapienza, la cultura, perfino la conoscenza della vita della natura, della materia,
del Cosmo, del macrocosmo, appaiono nella giusta luce, e con questo rispondo alla vostra domanda:
un mezzo ormai non più necessario per stimolare un “sentire”, ma ora che il “sentire” fluisce
spontaneamente l’utilità di questo mezzo è acquisita in modo indelebile. Dirò di più: siccome “sentire”
significa “coscienza”, da questa successione di “sentire” sempre più intensi ed ampi la sapienza ne
risulta automaticamente incrementata, ma è una sapienza diversa; intendo dire che voi conoscete
concetti e li ritenete a mezzo della memoria: noi non seguiamo questo mezzo, nel piano del “sentire”
non si “conosce” una verità, ma si è anche quella verità, e ciò in una lucida consapevolezza che non
dà adito a false interpretazioni.
Mi accorgo che se continuassi a tradurre in immagini la vita del “sentire”, mio malgrado
contribuirei a creare in voi delle figurazioni che vi trarrebbero in inganno, perciò mi taccio su questo
argomento come si conviene a chi teme di dire troppo.
Mi rimane un ultimo argomento da concludere, quello che iniziammo la volta scorsa. Io espressi
la mia convinzione che l’uomo di media cultura della vostra civiltà, con i mezzi di cui dispone, cioè la
sua intelligenza e le sue conoscenze, può credere a Dio senza fare alcuna affermazione fideistica; e
per controllare questa mia convinzione mi calai nei panni di un siffatto uomo. Naturalmente le mia
sono affermazioni ipotetiche, ma se esse si fondano su dati di fatto e sulla logica, posso tenerle in
considerazione fino a che non siano smentite in qualche modo; ciò non è contrario né alla ragione né
alla scienza positiva. Per convincersi di questo basta pensare che la concezione atomica della
materia è un’ipotesi di questo tipo e voi tutti siete a conoscenza di quanta strada sia stata fatta dalla
scienza positiva con questa concezione.
Se io identifico la “prima causa” con Dio, potendo credere che l’Esistente ha una causa come
vedemmo la scorsa volta, fino da ora potrei ammettere l’esistenza di Dio. Però preferisco ragionare
su questa “causa” per vedere in quale Dio posso credere. Voi udrete cose già dette – non è la prima
volta che parliamo di Dio – ma se le ripetiamo è per dimostrare in qualche modo che, anche stando
nella vostra posizione, si può pervenire a quella idea di Dio alla quale perveniamo noi con diverso
metodo. Perciò facciamoci coraggio e proseguiamo. Eravamo rimasti alla “causa”.
La “prima causa”, antecedente al tempo, allo spazio, alla materia, deve essere necessariamente
diversa da tutto quanto cade sotto la nostra attenzione nel mondo del finito, del limitare, del
transitorio. È vero, figlio Gilberto? Posso immaginare che il rapporto che esiste fra questa prima
causa e il causato, non è lo stesso che esiste fra causa ed effetto nello spazio-tempo. Anche senza
addentrarci in considerazioni sul rapporto che esiste fra causa ed effetto, nella realtà fisica – che per
altro, badate bene, è messo in dubbio da taluni che non lo ritengono realmente esistente, ma lo
ritengono frutto della nostra abitudine a considerare costanti i legami fra certi fenomeni osservati, è
vero? – posso capire che causa ed effetto, azione e reazione, quali la scienza li coglie, sono eventi
spazio-temporali, che appartengono cioè ad un dato tipo di realtà, ma che di tutt’altra natura deve
essere il rapporto che lega questi tipi di realtà con ciò che ne ha determinato l’esistenza. Perciò io
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solo per comodità di linguaggio chiamo “prima causa” la realtà antecedente alla Realtà Esistente,
tenendo presente che il rapporto che esiste tra queste è tutto da determinare. Allora, con questa
premessa, posso continuare nelle mie considerazioni.
La causa del Tutto, cioè la “prima causa”, deve essere indipendente da tutto. Non deve
dipendere da alcunché; cioè deve essere la “prima causa increata”, altrimenti dovrei spostare il mio
esame fino a trovare la causa esistita da sempre. Ora, poiché siamo al di fuori del tempo e dello
spazio, mi pare opportuna una precisazione, cioè sostituire l’avverbio di tempo “sempre” con un
vocabolo più adatto e questo è: “eternamente”, perché nel linguaggio comune – io non voglio
improvvisarmi filologo – ma nel linguaggio comune si confonde il significato di “eterno” con quello di
perpetuo e di perenne. Noi intendiamo “eterno” senza tempo. Mentre perpetuo è qualcosa che ha
avuto un inizio e che continua in un supposto tempo senza fine: perenne che non si esaurisce mai, è
vero? Intendiamoci sui vocaboli!
Dunque, la “prima causa” è eterna. Se è eterna – cioè senza tempo perché ovviamente siamo al
di là del tempo e dello spazio – è immutabile. Eh già, perché se mutasse avrebbe in qualche modo
una successione. Poi deve essere assoluta, cioè indipendente da tutto altrimenti – come ho detto –
non sarebbe “prima causa”. Se è eterna, immutabile, assoluta, non se ne scappa, deve essere una.
Se è una è tutto quanto esiste, occupa tutto quanto esiste: allora è illimitata. Se è illimitata, vuol dire
che niente la limita, e quindi posso affiancare a questo concetto l’altro concetto: è infinita. Se è infinita
non esiste un punto ove essa non sia, quindi è onnipresente, e poiché è eterna è l’eterna-
onnipresenza. Se allora è: eterna, immutabile, assoluta, illimitata, infinita, eterna onnipresente e se
confronto i caratteri di questa “prima causa” con quelli universalmente riconosciuti dalle filosofie e
dalle religioni a Dio, vedo che posso chiamare questa mia “prima causa” Dio. Salvo poi a vedere quali
altri caratteri posso attribuire ad essa. Se è onnipresente è a contatto del Tutto, niente quindi può
esserle ignoto; allora è onnisciente. Ora se guardo con quanto ordine e intelligenza si svolge la vita
naturale del creato, non posso non credere che altrettanto ordine, equilibrio, intelligenza non sia in ciò
che ne è stato la causa. Per cui “prima causa” – o Dio – deve necessariamente essere per lo meno
tanto intelligente, e quindi sapiente, della totalità di ciò che ha generato. E proprio il “generato” mi
conduce a fare un’altra considerazione e cioè che non posso pensare che tutto quanto esiste sia
stato tratto dal “nulla”, ma che l’unica conclusione alla quale posso logicamente pervenire è che Dio
l’abbia tratto da se stesso, cioè che sia stato “emanato”. Non solo, ma non posso pensare
all’“emanato” come a qualcosa staccato da Dio, che ne viva automaticamente, senza negare a Dio il
Suo carattere assoluto, perché l’emanato deve rimanere in Dio. E se è così, non posso pensare a Dio
completo dell’emanazione, del creato, di quello che volete, ed a Dio privo della Sua creazione, come
a due momenti diversi della Sua esistenza, perché negherei a Dio il Suo carattere immutabile ed
eterno. Perciò l’emanato non solo deve restare in Dio, ma deve esservi sempre stato.
Se allora causa e causato sono una Realtà unica, quell’inizio e quella fine che ho ricercato e
ritrovato nell’Esistente non sono eventi oggettivi, sono illusioni, sono apparenze. Allora quanto noi
percepiamo non è la Realtà, è l’apparenza di essa. Sono congetture che la nostra mente costruisce
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su informazioni che le pervengono dai sensi, ma non è la realtà di ciò che “è”. La Realtà è ciò che “è”
e non ciò che i nostri sensi ci fanno ritenere che sia.
Allora, come è conciliabile questa apparenza con una Realtà diversa? Certo deve esservi un
modo comprensibile che concilia questi due aspetti del problema ed è proprio da questa spiegazione
che debbono scaturire i valori antropologici, non il contrario. Cioè, errato sarebbe da valori umani
immaginare la Realtà di Dio e su quello creare un’etica; e mi pare che proprio questo errore sia stato
fatto: cioè, partendo da ciò che i nostri sensi ci fanno ritenere realtà, gli uomini abbiano tratto tutte
quelle concezioni del divino che ne fanno un essere antropomorfico, se non nell’aspetto per lo meno
nel comportamento. Invece mi pare più proprio pensare che Egli sia la causa di tutto, come io ho
postulato, ma ne ho dedotto che “causa” e “causato” debbono essere un’unica Realtà.
Oppure lo posso immaginare come un ordinatore di un caos preesistente ma ne ho dedotto – è
vero? – che se fosse realmente così, ciò contrasterebbe con la Sua Natura immutabile ed eterna.
O lo posso immaginare come Essere da cui traggono origine tutti gli altri esseri, ma se fosse
realmente così, ciò contrasterebbe con la Sua Natura infinita ed indivisibile. Allora, che cosa
significa?
Significa che io posso immaginare Dio come più mi aggrada, come più mi fa piacere, ma per
essere veramente tale Egli non può che essere l’unica verità, l’unica Realtà, perché solo così Egli è:
immutabile, infinito, indivisibile, eterno, perfetto, completo, onnipresente, onnisciente, assoluto.
Questo è il Dio al quale posso credere senza far torto alla mia ragione!
Pace a voi.
Kempis
La voce di Kempis è incrinata da una profonda emozione, come altre volte quando Egli ci ha
parlato dell’Assoluto.
Io sono ancora tra voi. Io posso portarvi poco, vi porto unicamente il mio amore. Ma voi non lo
percepite perché come un fumo vi avvolge, ma sono con voi sempre.
Oh quanto ci pensate nei momenti difficili della vostra esistenza… nelle ore di asietà che
rappresentano la vera vostra salvezza perché sciolgono i vostri legami di creature attaccate a ciò che
è transitorio. Quanto vorrei che voi comprendeste al di là di ciò che può sembrarvi impossibile ed
incredibile! Vorrei che voi per un solo istante poteste dimenticare ciò che siete ed avere la visione –
senza dubbio – di ciò che siamo noi.
Io vi sono qui vicina, sono con voi sempre, eppure solo in questi momenti voi mi percepite.
Possiate percepire il grande amore che io porto per voi. Siate su, sempre più lontano per una vita
più bella, con me, creature! Con me!
Teresa
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24 Maggio 1975 (Affettiva)
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti
voi, o figli, che qua siete riuniti in attesa di comunicare con noi.
Che dirvi ancora di nuovo? Cose che non abbiamo detto fino ad ora, che suonino diversamente.
È difficile; da tanto vi parliamo. Possiamo solo ripetere, forse neppure con parole nuove, quello che
sempre andiamo ripetendo: che voi dovete pensare intensamente alla vostra esistenza; non credere,
o figli cari, che essa abbia un valore transitorio nel senso che solo l’aldilà sia importante: non
l’abbiamo mai detto questo, figli. Noi vi abbiamo insegnato sempre a valorizzare al massimo la vostra
vita; è vero che la vita terrena ha un valore transitorio ma solo nel senso che non si incontrano delle
realtà permanenti, delle realtà ultime; ciò che l’uomo scopre sono unicamente delle verità punti di
passaggio; in questo senso la vita ha un valore transitorio, perché sempre nuove mete attendono
l’uomo e guai a colui che credesse di avere raggiunto l’ultima sua meta, l’ultima sua sistemazione:
egli sarebbe un uomo cristallizzato e, in un certo senso, perduto. Noi vi diciamo: «Nascete ogni
giorno, figli, siate pronti ogni giorno a porre in discussione tutto, tutto quello che avete creduto sino a
quel momento; ogni giorno la vita deve aprirvi alla comprensione di nuove verità e niente, niente deve
avere il potere di impedirvi questa comprensione». Perciò né la paura né gli affetti: niente. Né
l’incertezza, né la sicurezza di avere scoperto tutto quello che c’era da scoprire. Siate perciò duttili
sempre, pronti a comprendere quello che la vita deve insegnarvi, questo è il vero atteggiamento che
dovete avere. In questo senso dovete rivolgervi alla vostra vita, dovete considerare la vostra
esistenza.
Comprendo quanto questo possa sembrare difficile; per sua natura l’uomo… o meglio, quando
siamo reincarnati, siamo portati a cercare di adagiarci in ciò che sappiamo; quando abbiamo a fatica
compreso qualcosa ecco che ne vogliamo fare tesoro, ciò che abbiamo compreso diventa parte di noi
stessi e siamo mal disposti ad abbandonare quello che crediamo per abbracciare nuove verità. Ecco,
noi vi insegnamo, o figli, a essere continuamente disposti, a scoprire il nuovo; solo in questo modo voi
potete conservare una disponibilità interiore tale da non farvi cristallizzare, da risparmiarvi certi colpi
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che possono venirvi dagli eventi che hanno lo scopo ben preciso di muovervi dalle vostre
cristallizzazioni. Siate dunque così, aperti, duttili alla vita; non abbiate timore: niente che possa
veramente esservi fatale o dannoso nel vero senso della parola può occorrere.
Il danno che l’uomo può ricevere è un danno relativo; sempre danno può chiamarsi se lo si
raffronta a qualcosa: i suoi interessi, le sue ricchezze, la sua posizione, i suoi privilegi, ma tutti questi
sono valori non essenziali all’uomo, sono valori che servono a costruire il gioco della sua vita,
attraverso al quale egli continuamente deve rinnovarsi, continuamente giungere a nuovi punti di
passaggio, continuamente cambiare.
Non voglio annoiarvi più oltre; rispondo alle vostre domande, se ne avete, cominciando dalla
destra dello strumento.
D. – Questo incontro mi riempie di commozione…
R. – Io ho seguito questi figli, naturalmente, come tutti voi che qua siete riuniti questa sera e tutti
coloro che ascoltano le nostre parole da prima che avessimo la possibilità di comunicare con voi. E
quando abbiamo iniziato a comunicare voi eravate più indifesi, più feriti dai colpi della vita; ed oggi
guardando la vostra esistenza trascorsa – che come sapete non ha importanza perché unicamente il
presente importa – vedo quanto le parole di allora siano rimaste in voi, quanto siano state conservate
dal vostro essere interiormente, quanto vi abbiano forgiato in un certo senso anziché in un altro.
Allora voi eravate, come ho detto, molto ricettivi ad ogni messaggio, di qualunque genere, che poteva
giungere, ed abbiamo avuto la fortuna di essere uno dei primi messaggi che voi avete ricevuto; forse
non tanto dalla vita fisica quanto da una diversa esistenza. Voi avete accolto le nostre parole e quindi
noi stessi e ci avete conservati dentro di voi e noi abbiamo ripagato per quanto ci è stato possibile
questo vostro affetto, questo abbraccio che ci avete rivolto. Oggi vorrei che anche voi, riguardando il
vostro passato, ne foste certi. Ma se anche lo foste, figli, non sareste mai in grado di vedere come noi
vediamo, quanto quello che avete saputo è stato prezioso per voi e quindi per i vostri cari.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
D. – Volevo chiederti questa sera se mi potevi parlare un poco della mia Guida Fisica perché ho
notato in questi ultimi anni dei passaggi, delle diverse preferenze nella mia vita quotidiana, nei miei
programmi…
R. – Vedi figlio, diciamo della tua Guida… in genere noi chiamiamo “Guida Fisica” una Entità preposta
alla manifestazione di certi fenomeni fisici, è vero? Quindi forse sarebbe più esatto dire la tua “Guida”
in senso lato. Ma il fatto che una creatura cambi certi interessi nella sua esistenza dipende
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unicamente dalla sua necessità di coprire una gamma piuttosto vasta di esperienze. Questa
necessità discende dalla sua particolare evoluzione, da un momento particolare della sua evoluzione,
per cui deve incontrarsi con alcuni fatti, persone, avvenimenti che, visti dalla vostra dimensione,
possono apparire anche spiacevoli, anche possono disilludere, ma che vanno sempre giudicati e
collocati nel quadro generale del quale vi parliamo, nel contesto completo della vostra esistenza, della
quale quella che ora percepite non è che un frammento, in ogni senso. Intendo dire che anche nella
vostra attuale esistenza, ciò che voi percepite non è che un attimo, l’attimo presente. Ed anche
questo attimo che rientra nella vostra consapevolezza è ancora un piccolo frammento di ciò che sta al
di là, come se un immenso continente fosse sotto una distesa d’acqua e da questa distesa d’acqua
spuntassero solo le cime di alcune montagne: queste cime potrebbero essere delle piccole isole, e
cioè la coscienza dell’uomo, la consapevolezza dell’uomo, ma che cosa si nasconde oltre questa
consapevolezza sarebbe rappresentato dal continente che sta al di sotto del pelo dell’acqua, da
questo continente sommerso. Ecco, e pure questa immagine se in qualche modo può darci una
impressione di profondità dell’essere umano, non è ancora sufficiente a farci capire l’essere in tutta la
sua fase dell’esisenza; non solo nella fase umana, ma precedente e seguente. Notate, o figli, quanto
vasto sia il mondo che noi siamo, è vero? Orbene, questo mondo così vasto è costruito e collegato da
un’infinità di esperienze; si rivela, vibra, dà il contatto che l’essere, che l’individuo ha con moltissime
realtà. Sono tutte realtà relative, come ho detto prima, tutti punti di passaggio; ma pure esse fanno
parte di un’unica realtà, sono aspetti di una sola realtà, in ultima analisi, di Dio. Ora accade spesso
che certe creature per la propria natura sottostanno ad un numero limitato di esperienze, si
concentrano su pochi fatti, pochi avvenimenti, pochi ambienti; altre volte invece, proprio per necessità
derivanti dal particolare momento esistenziale di quell’individuo, gli ambienti devono essere diversi e
le creature molte; ad ognuno il suo, potremmo dire. Così non vi spaventate di quello che la vita vi
conduce a sperimentare; preoccupatevi di comprendere sempre tutto quello che la vita vuole
insegnarvi. E questo lo si può fare solo se si medita su cosa ci accade; non così, come una semplice
osservazione di avvenimenti come potremmo leggere… non so, di un fatto di cronaca, ma proprio per
scoprire qual è la nostra reazione.
Vedete, quando il Fratello Claudio parla dell’intimo vostro e vi consiglia a meditare
continuamente, egli applica un principio importantissimo; noi abbiamo enunciato questo principo
“attenzione, consapevolezza, comprensione”. Vi è mai capitato di pensare continuamente a un
problema senza trovarne la soluzione? Ecco, voi in quel momento occupate la vostra attenzione con
quel problema, ne siete consapevoli, ma non riuscite a comprendere, ad andare oltre; ebbene,
improvvisamente, se voi continuate ad essere consapevoli di questo problema, ad occupare la vostra
attenzione, improvvisamente il problema presenta nuovi lati, può essere persino risolto. Anche questo
processo fa parte di quello che dicevo prima. Quindi la vita vostra deve essere vista in questo senso,
porgere attenzione a quello che fate, esserne consapevoli senza voler apparire diversi da quello che
siete; apparire diversi solo se la vostra azione dovesse danneggiare altri, evitare di fare certe cose
solo se la vostra azione arrecasse danno agli altri, ma non per meritarsi qualcosa. Quando il vostro
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agire secondo un vostro “sentire” non si ripercuotesse in modo sfavorevole sugli altri allora agite pure;
perché anche quello fa parte del vivere la propria vita in modo giusto. Allora: attenzione,
consapevolezza (essere consapevoli di quello che facciamo e di quello che voi fate), giungendo
perfino ad analizzare quelle che sono le ragioni del vostro agire senza preoccuparvi se non riuscite a
scoprire veramente qual’è la vera ragione; l’importante è che voi fissiate la vostra attenzione sulla
vostra vita, sui motivi che vi spingono ad agire – quelli supposti – e siatene certi che comprenderete,
che la vostra vita acquisterà un significato per voi perché questo è un processo inesorabile:
attenzione, consapevolezza, comprensione. Ma quando anche si è raggiunta una comprensione non
deve finire questa attività di riflessione, di meditazione la potremmo chiamare, della propria esistenza.
Deve continuare sempre.
Una volta, nella vostra fanciullezza forse, la religione vi insegnava a fare un esame di coscienza;
è una cosa del tutto diversa da quella che sto dicendo, ma era giusto il principio: che in un certo
momento della vostra giornata voi pensiate a quello che è il vostro agire, a perché avete agito in un
certo senso anziché in un altro, perché voi vi siete comportati in una certa maniera, cercando di
essere quanto più possibile sinceri con voi stessi in questa analisi, senza preoccuparvi se scoprite
qualche lato che non vi piace di voi stessi; è vero? Ebbene, se voi prendeste questa abitudine – anzi,
di scrivere addirittura – come vedete voi stessi, la vostra esistenza, il vostro agire, vi accorgereste a
distanza di tempo di quale cambiamento questa specie di meditazione riesca a portare in voi. Quindi
la conclusione di questo discorso, figlio, è: vivi pure tranquillamente e serenamente secondo quello
che io ti ho detto, e non preoccuparti di cercare una posizione finale che possa essere considerata
come “vita realizzata”; guai a colui che credesse di essere giunto al massimo della propria esistenza,
di aver raggiunto l’apice; guai a questi, è vero? Guai a chi credesse di aver raggiunto la perfezione
della sua vita, del suo agire; siate sempre pronti a cambiare, a modificare, a ricominciare tutto da
capo.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
D. – Esiste sempre una certa disponibilità in noi ad accettare quelli che sono gli insegnamenti, e a
seconda di come si è fatti a viverli intensamente ma in una forma di pensiero, non mai di azione
concreta. Vorrei chiedere: ho l’impressione, riferendomi a me, di essere proceduto molto poco in
quanto che molto tempo fa mi era stato detto dalla mia Guida Fisica8 che mi avrebbero atteso delle
altre esperienze. A distanza di anni, forse sette, otto, sei, non lo so, devo notare che non ho rilevato
quelle esperienze che mi erano state preconizzate. È forse perché mi sono fermato? Perché non ho
8 In questo caso il termine “Guida Fisica”, come sopra spiegato dal Maestro Dali, probabilmente va
inteso come Spirito Guida, Guida Spirituale.
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avvertito un qualcosa che cambiava? Sono mancato in qualche cosa? Cioè, il pensiero e l’azione non
hanno corrisposto in egual misura? È una domanda personale ma comunque penso che potrà
interessare un po’ tutti.
R. – Certamente. Dunque, innanzitutto c’è in tutti voi il desiderio o il pensiero di avere delle
esperienze cardine, è vero? Perché possano emergere o vedersi a prima vista ricordando la propria
esistenza; non è così, figli. Posso dirvi – è proprio il caso di dirlo, per esperienza – che certi
avvenimenti, che certe riflessioni che possono passare anche inosservate per la loro pochezza, per la
loro poca rilevanza, sono invece fondamentali per l’individuo. Così come, per esempio, certe azioni
fatte nella massima noncuranza, quasi automaticamente, rivelano la vera natura dell’individuo,
altrettanto certe esperienze che quasi non si avvertono portano invece ad un allargamento della
coscienza sensibile. Intendo dire, vedi figlio, quand’è che tu hai consapevolezza di qualcosa? Quando
questo qualcosa ti impedisce alcunché; non so, tu sai che c’è una porta quando la porta è chiusa; ma
se la porta è aperta tu ci passi attraverso e non te ne accorgi che essa esiste. Allora, quelli che
possono essere pensieri, esperienze così, molto laboriose che ti preoccupano, sono dunque zeppe al
vostro cammino. Il dolore che vi arrecano certi pensieri, certe situazioni, sono anch’essi zeppe nel
vostro procedere. Che cosa intendo dire? Intendo dire che quando il mutamento di noi stessi avviene
naturalmente, seguendo un ritmo naturale, noi stessi non ce ne accorgiamo; ce ne accorgeremmo
solo se, ad esempio, tenessimo un diario dei nostri pensieri, dei nostri punti di vista, di ciò che
pensiamo e soprattutto di ciò che “sentiamo”. Ebbene, rileggendo a distanza di tempo, dopo una serie
di esperienze di quelle delle quali vi sto parlando, ecco che ti renderesti conto del cambiamento che è
avvenuto in te stesso. Non pensate quindi che il cambiamento avvenga solo attraverso ad esperienze
traumatizzanti: direi proprio di no. Anzi, forse avviene più facilmente attraverso a quelle esperienze
piane, lineari, delle quali voi forse non vi rendete neppure tanto conto.
Ora desidero dire un’altra cosa ed è quella che tu mi hai chiesto: come mai vi sono, appunto,
questi richiami per l’insegnamento? Voi tutti siete convinti che certe cose che noi diciamo sono giuste,
ma quando si tratta di agire in un certo senso sembra che questa convinzione venga meno; ecco, è
una difesa che voi avete. Che cosa significa questo? Significa che l’insegnamento dalla vostra
attenzione è passato alla vostra consapevolezza ma non è ancora riunito alla vostra coscienza, non è
stato ancora assimilato pienamente; e poiché non è ancora giunto alla vostra coscienza, figli, è bene
che la vostra azione non sia conforme alla totalità dell’insegnamento, perché voi non avreste la forza
per vivere in quel modo; e noi sempre vi diciamo che dovete agire valutando le vostre forze. Lo
stesso Cristo disse, per quanto questo sia stato poco compreso, che chi volesse costruire un’enorme
torre dovrebbe prima valutare le sue possibilità finanziarie, le sue possibilità di costruire, perché se
poi queste possibilità venissero a mancargli ecco che la costruzione rimarrebbe incompleta ed egli
sarebbe sottoposto al giudizio degli uomini. «Poco male!», direte voi; certo, il linguaggio va riportato
all’epoca. Ma se voi vi convinceste di poter fare delle cose solo perché siete convinti che queste cose
sono giuste ed è quello che tutti dovrebbero fare, senza avere poi l’intima convinzione, e quindi la
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forza di mettere in pratica questi pensieri, voi sareste destinati alla più grande disillusione. Non solo:
ma finireste col perdere anche il senso di chiarezza di certe verità, finireste col non credervi più. Ecco
perché vi spingiamo costantemente a riflettere, a meditare sulla vostra esistenza, su ciò che si agita
in voi, ad essere consapevoli di quanto siete umani e quanto invece avete trasceso ciò che
comunemente l’uomo non ha ancora trasceso.
Sii dunque sereno pure te, figlio; non preoccuparti se non ti sembra che certe esperienze siano
accadute. Un giorno molto lontano, quando farai il consuntivo della tua esistenza, vedrai che saranno
accadute e vedrai quanto la tua esistenza sia stata – mi dispiace dirlo con un termine che non rende
l’idea ed è brutto – ma quanto sia stata proficua per te.
Nessun’altro ha delle domande?
D. – Volevo fare una domanda sulla questione di Ceppeto. Mi sembra che il “circolo” sia un po’ troppo
largo, che non ci sia quella comprensione, quella conoscenza di noi stessi verso gli altri; cioè, che
non ci sia quella comunione, quello spirito di fraternità che voi stessi ci dite, ci insegnate. Cosa
possiamo… cosa posso fare io, visto che ho la deformazione ad andare incontro agli altri? E poi una
domanda molto personale: vorrei avere notizie di mia madre.
R. – Vedete cari, quando si è pronti, quando si è giovani, a ricevere questi insegnamenti… quello che
dicevo prima, all’inizio, a questi figli, quando una creatura è giovane è più libera, accoglie a braccia
aperte quello che noi diciamo; e noi siamo così contenti per queste creature che… come possiamo
contracambiare questo slancio che è uno slancio d’amore, se non facendo sì che queste verità
rimangano profondamente e aiutino per tutta l’esistenza questa creatura in quelle che saranno le sue
esperienze, le sue vicissitudini. Io ti ringrazio, figlio Riccardo, per questo tuo slancio di affetto nei
confronti dei tuoi amici, ed anche di noi stessi in fondo. Che cosa potete fare? Ti sia questo piccolo
esempio utile per tutta la tua esistenza, per tutta la tua vita, per tutte le situazioni che presenteranno
degli aspetti analoghi. Cioè, vedi che per quanto possano essere belle certe cose però non hanno in
sé la forza di cambiare gli uomini, se gli uomini non hanno la volotà di cambiare. Dici: «Che cosa ha
scoperto Dali!»; certo, non ho scoperto niente, ma addito alla tua attenzione tutto ciò. Noi vi parliamo
da tanto tempo e vedendo che effettivamente voi ci seguite da altrettanto tempo, sembrerebbe logico
che oramai voi foste in piena fratellanza; e meraviglia il fatto che, invece, questo non appare. Ma
mentre da un lato io dico di non giudicare dalle apparenze, perché molte volte forse la riservatezza, la
timidezza, impediscono di andare incontro gli uni agli altri, è anche vero che non c’è quella
fratellanza, quell’affetto, quell’intimità, quella comunione (intesa nel senso umano), che ci si dovrebbe
aspettare da creature che da tanto tempo sono testimoni non solo di fatti fuori dal normale e che
invitano ad amarsi, ma anche ascoltano tante parole di fratellanza e di amore al prossimo. Ogni cosa
ha bisogno della sua maturazione; così anche la verità ha bisogno di essere assimilata dall'uomo.
Non meravigliarti, quindi, di ciò che dovrebbe essere secondo il tuo punto di vista e invece non è. Che
cosa puoi fare? Puoi fare moltissimo; cioè, cominciando tu ad avvicinarti a qualcuno. Certo non è
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possibile che tu possa avvicinarti a tutti, è vero? Ma se adesso sei avvicinato, ti senti in simpatia con
un certo numero ristretto di creature, ecco, fai in modo di allargare questa tua simpatia, di invitare gli
altri, di fare agli altri questo tuo discorso, questo discorso che hai fatto a me.
Vedete, noi parliamo, e quando si tratta di venire ad una riunione, ad un incontro, molto volentieri
tutti vengono. Quando poi si tratta o di rileggere o di discutere non tutti amano la discussione; è
comprensibile che alcuni riescano meglio a meditare nell’intimità della propria camera, della propria
casa, lo comprendo benissimo, ma sarebbe molto utile che vi fosse un sereno scambio di opinioni, è
vero? Per sereno scambio di opinioni intendo che non vi sia il desiderio di dire qualcosa, di dirlo in
modo sensazionale per destare scalpore nell’uditorio, è vero? Ma dire i propri problemi, i propri dubbi
riguardo all’insegnamento, serenamente e senza, l’abbiamo detto tantissime volte, senza il desiderio
di uscire vincitori dalla disputa, dalla dialettica che può certo stabilirsi, è vero?
Come sta tua madre: sta benissimo, non preoccuparti. Per ora non ti dico altro.
Non avete altre domande, figli?
D. – Mi riallaccio al “conosci te stesso”; tu dici che il passato non conta, che conta solo il presente, ma
almeno per quanto mi riguarda ho l’impressione che se potessi avere una maggiore illuminazione sul
mio passato… mi segui?
R. – Sì, ti comprendo; è un atteggiamento comune, un’opinione comune di tutti. E cioè, quella di
pensare che se fossero conosciute certe cause che si sono mosse nel passato, quello che si è stati,
forse si comprenderebbe meglio il presente. Ma posso darti la massima certezza che non ha alcuna
importanza, perché se la avesse certamente l’uomo ricorderebbe perfettamente tutte le sue esistenze
trascorse; dico, la legge naturale sarebbe questa, è vero? Ma il fatto stesso che l’uomo non ricordi, e
a volte non ricordi neppure bene il passato della sua attuale vita fisica, della sua attuale incarnazione,
dimostra proprio che il ricordo non serve. Perché non serve? Perché un’esperienza quando è
assimilata ha prodotto un cambiamento nell’intimo, ha prodotto cioè un nuovo essere. Quando si è
imparato qualcosa dalla vita non lo si è imparato con la mente; la mente potrebbe anche sparire,
essere cancellato il ricordo di quell’esperienza, ma state certi che nell’intimo nostro il cambiamento
rimarrebbe perché è un cambiamento di essere; è un essere nuovo che è nato, è vero? Il ricordo
dell’esperienza non serve a niente quando si è prodotta questa trasformazione.
Così, figlia, è importante il presente nel senso che tu devi riuscire a capire chi sei ora, non chi sei
stata; che cosa vuoi ora, che cosa fai ora, quanta parte di – tanto per dire qualcosa, s’intende – di
altruismo c’è in te e quanta di egoismo; sono parole gettate così, indubbiamente. E come? Come ti ho
detto: continuando a fare la tua vita come ti senti di fare, unicamente riflettendo però ogni giorno su
quello che hai fatto, ricercando quali sono le ragioni che ti hanno smosso ad agire. E lo ripeto ancora:
non ha importanza che quello che tu riesci a vedere sia o non sia la verità di te stesso; non ha
nessuna importanza. Ma nella meditazione continuata di voi stessi la verità salta fuori; e nel momento
che voi comprendete i vostri limiti voi li superate; nel momento che voi scoprite dov’è la porta, la porta
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si apre e voi vi passate attraverso. Non c’è dubbio.
Nessun’altro ha delle domande?
D. – Vorrei domandare come potrei migliorare nel senso di giovare agli altri nel mio campo; ne ho
ancora la possibilità? Poi vorrei avere notizie di P. se è possibile.
R. – Tu… rispondo subito alla seconda domanda: state certi, o figli, che i vostri cari stanno benissimo.
Per quello che è la prima domanda intendi forse migliorare dal punto di vista professionale?
D. – Professionale ma anche nei riguardi del mio prossimo, per aiutarli con il mio mestiere.
R. – Ecco, vedi figlio, tu hai un grande dono dalla natura: è quello di – come si dice normalmente – di
attirare la simpatia degli altri, ed è bene che tu faccia questa domanda perché chi ha questa
possibilità ha anche possibilità di inflluenzare gli altri, nel senso di essere ascoltato e di avvicinarli con
maggior facilità di altri che non hanno questo dono; perciò è giusto ed è bello che tu chieda ciò. Come
aiutarli? Vedi, molte volte una volta che si è raggiunto l’interlocutore basta pochissimo: occorre avere
l’intelligenza – e tu ce l’hai – di capire quale è il punto debole di una creatura. Ogni uomo ha un suo
punto debole, un timore: non so, una malattia del suo corpo fisico; ecco, quando tu hai la possibilità di
avvicinare un tuo simile e scopri che è molto diffuso questo timore, il timore del male fisico, basta un
semplice trucco, un semplice discorso di rassicurazione e già quello è indubbiamente un aiuto. Quindi
sta alla tua intelligenza capire qual è la debolezza che tormenta il tuo interlocutore e cercare di lenirla,
cercare se non di farla superare ma almeno di dargli un contraccolpo che lo scuota.
Ricorda quello che ti ho detto fino dalla prima volta che tu sei stato con noi: è un perido diverso
della tua esistenza, vero figlio?
Che la pace sia con te e con tutti gli uomini.
Dali
75
05 Giugno 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.
Voi siete un certo numero qua presenti, ma è come se io fossi solo con ciascuno di voi perché,
anche in questi momenti, sebbene nel momento in cui noi ci manifestiamo esistono delle difficoltà
nella comunicazione fra noi e voi – più di quanto ve ne siano al di là di queste riunioni – anche in
questi momenti, figli, noi siamo uniti in modo che voi neppure immaginate. E dire che non lo avvertite,
perché avvertite unicamente questa voce della quale mi servo e ci serviamo per tenatare di farvi
capire cose che esulano totalmente dalla realtà nella quale, in questo vostro momento, siete immersi.
Ora, per comprendere, accade che dovete afferrare il senso di ciò che vi diciamo – e lo diciamo,
ovviamente, servendoci di parole – ma non è questa la sola difficoltà, occorre rimuovere le resistenze
che il nostro dire trova in voi. Vedete – parlo in senso generale, naturalmente – ciascuno di voi ha
delle opinioni, delle idee, e quando ascolta qualcosa raffronta sempre ciò che ode con ciò che già
conosce. Questa è la prima difficoltà; molte volte, anche quando i concetti sono simili, una parola
intesa in un senso lievemente diverso, impedisce una comprensione completa. Perciò, come non mai,
vi incitiamo, o figli, a non fermarvi sulla lettera di ciò che vi diciamo ma a comprendere lo Spirito, ad
andare oltre la forma, per capire le idee. Comprendo quanto questo possa risultare difficile, e non
solo per voi che già siete abituati a ciò che diciamo, ma anche per coloro che sono stati fino a poco
tempo fa lontani da questi concetti, che hanno vissuto la loro vita in modo come generalmente la
vivono tutti gli uomini senza soffermarsi su certi problemi. Ecco perché è importante, prima di rifiutare,
comprendere, capire quello che vogliamo dire: il concetto. Molti invece odono le prime parole, i primi
insegnamenti, li confrontano con ciò che conoscono e dicono: «Non può essere, rifiuto!». Ma io voglio
dirvi: non dovete rifiutare; prima di rifiutare – intendo dire – dovete capire veramente quello che viene
detto; e per capirlo è necessario dimenticare – anche momentaneamente – quello che sapete.
Ascoltare come se veniste a contatto, per la prima volta, di concetti; come se per la prima volta udiste
qualcuno parlare.
Non voglio trattenervi più oltre, ma prima di lasciarvi momentanemanete, mi raccomando a voi di
stare concentrati e sentirci vicini.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Io non so se riuscirò a ben farmi comprendere da voi. È la prima volta che parlo in queste
riunioni. Sono stato attirato perché vi interessate di problemi che mi occuparono tutta – posso dire –
la mia maturità fino al mio trapasso. Ecco che io ero un convinto spiritista, di quelli come voi che
credono cioè nella comunicazione, nelle sedute di disincarnati e pensavo che quando sarei stato
nell’altro mondo – come si dice – avrei dato una prova della mia sopravvivenza. Altri, prima di me,
avevano fatto esperimenti simili, ma con esito incerto. Alcuni esperimenti positivi furono in modo non
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di sopravvivenza dello Spirito, ma unicamente come se il medium avesse “letto” il messaggio chiuso e
sigillato lasciato in una cassaforte. Mi capite? Voi sapete che è possibile – e questo senza l’intervento
degli Spiriti – leggere… – alcune persone in stato ipnotico fanno questo – leggere i libri chiusi alla
pagina desiderata. Allora mi sono detto: se io lascio un messaggio chiuso in una busta sigillata, e poi
dopo la mia morte vengo a dire cosa ho lasciato scritto e non detto a nessun vivente, nella migliore
delle ipotesi diranno che il medium ha “letto” cosa c’era nella busta. Così pensai… escogitati una
cosa che non potesse far pensare così. Mi ricordai di un giochetto che io facevo da bambino quando
sostituivo alle parole scritte dei numeri; non so, per esempio… le vocali i numeri pari, le consonanti i
numeri dispari, ed una parola, così, diventava una serie di numeri. Mi sono detto: se io dopo la morte
dirò questo, questa “chiave” del messaggio che ho lasciato, non si potrà dire che il medium ha “letto”
nella busta chiusa, perché se anche avesse fatto così non avrebbe visto altro che dei numeri! Non
avrebbe inteso quello che significavano questi numeri. Ma… avevo fatto il conto sbagliato… non so
come si dice, perché quando poi sono stato da dove vi parlo, mi sono reso conto che non è
possibile… non è possibile dare le prove che vorremmo dare perché l’umanità può credere solo
quando è il suo momento, e la certezza di un’altra esistenza sarà, certo, una… – come si dice? – una
vittoria del vostro futuro, dell’umanità, ma ancora questo è lontano per voi. E adesso la certezza può
averla solo il singolo, ognuno preso a sé, e non… non una prova generale. Ecco perché allora i
messaggi che possiamo lasciare non possono servire a provare la sopravvivenza; perché ancora non
è quel momento. Forse io vi ho annoiati, ma dovevo una spiegazione a quello che avevo promesso e
che ho lasciato, in un certo senso, in sospeso.
D. – Vuoi dirci il tuo nome?
R. – Oh, ha così poca importanza!
D. – No, ti preghiamo…
R. – Oliver Lodge. Vi saluto.
D. – Grazie!
Sir Oliver Lodge
Io sono la Guida Fisica di Roberto. Debbo preparare l’ambiente; vi prego di stare concentrati.
Iniziano le luci.
Michel – Figlia Bruna, prego, accendi la luce.
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In piena luce le mani di Roberto si offrono alla vista degli astanti, palmo, dorso.
Michel – Spengi!
Michel
Creature, ecco, ancora sono con voi, ancora una volta a portarvi il mio saluto.
Vorrei darvi un conforto ed una certezza, vorrei dire: Dio è Colui che concede ogni bene, ogni
comprensione. Cosa serve studiare se Egli non dà la comprensione? Cosa significa? Quando l’amore
spinge ogni cosa…
…Ecco. Più di ogni trattato, più di ogni studio, può l’amore radioso. È l’amore che qua lo ha
condotto questa sera; è il Suo amore che vi fa udire le nostre parole, è il Suo amore che fa che
queste parole siano impresse in voi, rimangano. Ecco come io vorrei rimanere, vorrei che voi mi
udiste sempre. Non so cosa dirvi… tanto amati! Pensatemi, creature, quando lontano da qui tornate
nella vostra esistenza, quando questa vi soffoca! Vi abbraccio tutti.
Teresa
Salve a voi!
Odo i vostri pensieri e le vostre aspettative. Qualcuno dice fra sé e sé: «Chissà questa sera
Kempis quale bella lezione farà con tutti questi ospiti che sono venuti da fuori per udirlo!». È curioso
questo vostro atteggiamento! Sì, in genere siamo noi che diamo spettacolo in queste riunioni
polarizzando la vostra attenzione in vari modi. Certo che anche voi fate la vostra parte,senza
rendervene conto naturalmente, tanto che molto spesso queste serate potrebbero chiudersi prima del
nostro intervento e rimanere egualmente divertenti.
In questo caso, più per voi che per noi: sì, perché – vi parrà strano – anche noi amiamo
“sorridere”, per dirla in termini umani, cioè amiamo trovare il lato sereno della realtà. Certo che se il
discorso, da questa cerchia di amici, si allarga a tutto lo spiritismo in generale, vi assicuro che lo
spasso diventa veramente massimo! Se ne avessi la capacità, vorrei descrivervi una riunione “tipo” di
questi circoli fra l’intellettuale-salottiero, il parrocchiale, e vi assicuro che per i tipi che si incontrano
l’effetto sarebbe altamente esilarante. C’è per esempio il tipo di “negatore ad oltranza”, quello che
mette in dubbio tutto a cominciare, che so… dall’identità della padrona di casa. (Non si può dire nel
nostro caso). «Chi può dire ch’ella sia veramente quella che dichiara di essere? Andiamoci piano!
Non lasciamoci ingannare! Potrebbe trattarsi di una mistificatrice, o di un’allucinazione collettiva, o di
una personalità seconda!». E così via, mentre i presenti meditano sulla propria dabbenaggine. Poi c’è
il tipo “spirituale” quello che rifugge il sesso, ma continuamente vi medita sopra, naturalmente per
scoprirvi tutte le sozzure e mettere in guardia i propri simili. «Maestro – egli chiede – mi sento tanto
portato a fare il bene! Che dice? Faccio bene a fare il bene?». Di quale bene parli non si capisce
bene, giusto gli Spiriti ci vogliono per capirlo! Guardate che è testuale! Poi un capitolo a parte lo
meritano le signore sempre alla ricerca ed alla sperimentazione di nuovi medium. «Cara, ho scoperto
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un medium favoloso! Il mio cane! Tu vedessi come fa il morto!». Ridete, ridete! Castigo ridendo
mores! Non siete anche voi degli spiritisti? Già! Ritenete d’essere diversi, ma il guaio è che nessuno è
come ritiene d’essere, come gli altri non sono quelli che riteniamo siano. È risaputo che il valore che
diamo agli altri dipende in gran parte da un’etichetta che si sono attribuita o che noi diamo loro.
Chissà se il cristianesimo sarebbe mai nato se Cristo non fosse stato ritenuto “figlio di Dio”!
Quanti si sono fatti questa domanda! E quanti, più ancora, si sono chiesti se Cristo veramente sia
esistito. I primi dubbi nacquero, naturalmente, ad opera dei Giudei, quando fu fatto osservare che gli
Evangeli contengono alcune inesattezze storiche. Per esempio, Luca e Matteo dicono che Gesù è
nato al tempo di Erode e Luca aggiunge “durante il viaggio di spostamento fatto da Giuseppe e Maria,
per sottostare al censimento di Quirino il Siriano”. Ora, come si sa Erode regnò dal 40 al 4 avanti
Cristo, mentre il censimento di Quirino il Siriano fu fatto deposto Archelao figlio di Erode, quindi le
date non tornano. Il Ricciotti, quasi vostro contemporaneo, cerca di rimediare la faccenda in un modo
non certo molto convincente. Del resto poi il pasticcio diventa pasticciaccio quando si confrontano le
date del presunto inizio della predicazione del Cristo con quelle di Anna, Caifa, Ponzio Pilato, e della
presunta morte di Gesù, per cui si perviene a concludere o che Cristo è morto a venticinque anni al
tempo di Anna, Ponzio Pilato Governatore della Palestina o che è morto a trentasei anni, al tempo di
Caifa, quando Ponzio Pilato non era più in Palestina da circa quattro anni. Altri sostengono che il 15
Nisan non cadde mai di venerdì per tutto il periodo in cui Ponzio Pilato regnò, restò in Palestina. Ma a
questo proposito, francamente esprimerei dei dubbi. Ancora: tralasciamo la questione delle comete,
del terremoto alla morte del Cristo, di secondaria importanza insomma, che può far parte di una
descrizione figurata; per esempio in Matteo, Gesù rimprovera gli ebrei di aver ucciso Zaccaria Ben
Barachia, mentre questo personaggio è risaputo che morirà quarant’anni dopo la morte del Cristo. E
non può certo trattarsi di un caso di omonimia perché Matteo ne riferisce i particolari della morte:
“ucciso fra il tempio e l’altare”.
Gli studiosi laici delle orgini del cristianesimo hanno sostenuto che la figura del Cristo non è
sufficientemente testimoniata da documenti dell’epoca immediatamente successiva. Per esempio il
“Mishnah”, che è una raccolta di nomi di ribelli all’autorità del Sinedrio, che va dal 40 avanti Cristo al
200 dopo Cristo, non parla di Gesù. Filone di Alessandria, cronista, vissuto dal 30 avanti Cristo al 40
dopo Cristo, elenca le sette religiose della sua epoca, perfino gli Esseni, ma non i cristiani; a meno
che non si vogliono identificare gli uni con gli altri.
Il discusso passo di “Antiquates” di Falcio Giuseppe, altro cronista vissuto dal 31 al 100 dopo
Cristo, è chiaramente una interpolazione successiva; ed analoghi dubbi esistono per la lettera di
Plinio il Giovane a Traiano, per quanto ci muoviamo già su un terreno diverso perché, come si sa,
Plinio il Giovane è vissuto dal 62 al 114 dopo Cristo. Intendo dire che le testimonianze che si possono
trarre da, per esempio, “Gli Annali” di Tacito, le “Epistole”, gli altri scritti di Svetonio, sono tutte molto
successive e non hanno il valore che avrebbero avuto documenti dell’epoca del Cristo; sembrano
testimoniare più l’esistenza del cristianesimo che non del Suo fondatore. Tant’è vero che non pochi
hanno ritenuto il cristianesimo nato su una figura ideale. E ben lo sapeva, questo, l’anonimo autore
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della lettera di Publio Lentulo a Tiberio il quale, per colmare questa lacuna, parare il colpo – come si
usa dire – inventò una bella lettera in cui un subordinato scrive al suo Imperatore in questi termini:
«Egli è di aspetto maestoso, viso roseo, incomparabile bellezza. Sua madre è la più bella e mesta
figura che si sia conosciuta da queste parti». Certo fa tenerezza questo anonimo autore che cercò di
migliorare la situazione peggiorandola invece di molto, perché ci fa pensare che i dubbi sollevati dagli
avversari del cristianesimo, non erano del tutti infondati.
È anche stato detto giustamente che molte figure storiche non sono documentate, come quella
del Cristo, eppure circa la loro esistenza non si sollevano dubbi. Obbiettivamente, affermare che il
Cristo non sia esistito, mi pare un pochino eccessivo anche tenendo presente il fatto che gli uomini
non possono verificare la verità di un avvenimento, cioè verificare se un avvenimento sia realmente
accaduto o meno. Gli ebrei, ed una parte della tradizione occulta, lo identificano in Jeshua Ben
Panthera, figlio di una pettinatrice. Altri nel “Maestro Giusto” degli Esseni, vissuti un secolo prima,
circa, del Gesù canonico.
Certo è che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la morte del Cristo, sulla base di raccolte di
aforismi e sulla tradizione orale, per cui la vita che si può trarre da questi documenti di Gesù è
alquanto approssimativa. Questo lo riconoscono tutti a cominciare, onestamente, dai cristiani. Ed
altrettanto onestamente – debbo dire – che uno studio imparziale di questa figura non è mai stato
fatto, si è visto raramente nella giusta luce. Le opinioni ne hanno fatto ora il Figlio di Dio, ora un
mistificatore, ora un essere mai esistito, sempre secondo aprioristiche concezioni.
Sarei tentato di farla io una puntualizzazione di questa figura, se non mi rendessi conto che non
serve a molto. Vedete, non volete credere che sia Figlio di Dio? Bene! Crediamo che sia figlio di una
prostituta. Uso questo termine nel senso dispregiativo che voi gli date, perché personalmente non
giudico le creature dalla professione che svolgono e per quel che posso vedere vi sono molte
prostitute rispettabili, come tante rispettate madri di famiglia. Non volete pensare – e forse
giustamente – esatta la cronologia e la storia narrata dai Vangeli? Bene! Pensiamo che non sia
esatta, togliamo tutte le parti che non concordano con fonti più certe, riduciamo cioè gli Evangeli ad
una raccolta di aforismi come erano in origine. Volete pensare che il Cristo non sia esistito
realmente? Bene! Crediamo che sia un personaggio creato dalla fantasia popolare. Nonostante ciò
niente cambia, perché tutte queste sono parti accessorie. Lo studioso Harnach disse che se togliamo
tutte le sovrastrutture dai Vangeli alla ricerca dell’essenziale, corriamo il rischio di fare come quel
fanciullo che tolse via tutte le foglie da un bulbo per trovarvi il nocciolo e rimase con il nulla in mano.
Ecco un grande errore! Se togliamo le sovrastrutture dei Vangeli alla ricerca dell’essenziale, rimane il
vero valore, ciò che Cristo disse ed è un gran valore, anche se in effetti non rimane che una piccola
parte, pallida ombra della Sua predicazione. Credete forse che il valore del Cristo stia nel
cristianesimo? È da sciocchi crederlo! Se così fosse gli orrori dell’Inquisizione, le Crociate, le guerre
di religione, i genocidi, sarebbero tutti da addebitare al Cristo. Ciò che il cristianesimo ha fatto di bene
o di male, non è da addebitare o accreditare al Suo fondatore, ma agli uomini perché rappresenta ciò
che gli uomini hanno fatto in nome del Cristo e nulla più.
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Muta forse il valore della Sua predicazione, in dipendenza del fatto che Egli abbia o non abbia
operato miracoli? Che Egli sia stato Figlio di Dio? Certo che lo era, come lo siamo tutti! Forse che il
Suo dire è men vero se Sua madre era o non era vergine, se Egli aveva o non aveva fratelli, se si
chiamava Gesù di Nazareth o Jeshua Ben Panthera? O Maestro Giusto? Chi fonda il giudizio sul
Cristo su questi elementi, è come colui che giudica il vino dalla forma della bottiglia. Ed a questi dico:
«Se credete al Cristo per quel che è stato detto di Lui e non per quello che Lui ha detto, allora
disilludetevi: il Cristo della tradizione è falso», come lo dimostra il fatto che gli evangeli non
corrispondono alla narrazione storica. Ciò che lo fece conoscere non fu una nascita facoltosa, una
ricchezza, una sapienza accademica, non le amicizie influenti, non tutto questo. Ma unicamente ciò
che disse, e ciò che disse lo fa sopravvivere ancora oggi nonostante l’opera disgregatrice delle
Chiese che portano il Suo nome, perché è Verità che dura nel tempo.
Così è di ogni cosa, figli e fratelli, compreso lo “spiritismo”. Di esso rimarrà traccia non se gli
uomini ne parleranno: (del Cristo parlarono ma non scrissero). Non se la scienza ufficiale se ne
interesserà: (ciò che disse il Cristo non era scientifico). Non se i suoi fautori saranno degli
accademici: (gli Apostoli erano degli umili). Vogliamo togliere tutta la parte fenomenica dello
“spiritismo”? Togliamola pure. Non vogliamo credere che si tratti di comunicazioni di trapassati, di
disincarnati? Bene, non crediamoci. Vogliamo pensare che sia una colossale mistificazione?
Pensiamolo. Alla fine rimarrà qualcosa; certo, una marea di parole, tante e tantissime delle quali
senza senso, ma fra queste, poche che possono avere un valore per l’uomo. Poche che
rappresentano il rimpianto di chi non ha dato valore a ciò che l’aveva, di chi “per amore e con amore”
vuole aiutare i suoi simili. Sì, a voi spetta l’onere di scoprirle e valutare, ma vi assicuro che ne vale la
pena.
Non posso finir di parlare senza rivolgere un monito agli interrogatori di tavoli per antonomasia
acciocché non abbiano a credere, da quello che ho detto, di essere sempre nel giusto. Agli illusi che
accettano come preziose rivelazioni discorsi che sono vaghi e imprecisi quando possono essere
controllati, e che diventano logorroiche blaterazioni quando nessuno può sapere se corrispondono a
verità. A chi confonde logori quaresimali con espressioni della più alta spiritualità, chiedo: «Su cosa
fondate la vostra certezza di parlare coi disincarnati? E se siete certi, perché accordate più fiducia ai
morti che ai vivi? Non è sufficiente trapassare per capire la verità. Questo lo comprendete? Allora,
perché una buona predica non vi basta per chiamare “Maestro” un vivente e la stessa è più che
sufficiente per ritenere “alta Guida spirituale” un presunto disincarnato? Siete voi i veri nemici dello
spiritismo, voi che contribuite a soffocare – fra una marea di idiozie – discorsi che potrebbero avere
un valore per l’uomo».
E parlo anche a voi vivi che vi fingete voce dei morti: se avete da dire qualcosa, ditelo a vostro
nome. Non è certo con l’attribuire una autorevole paternità ai vostri vaneggiamenti che essi si
riempiono di significato! E se qualcuno vi crede quello che vorreste essere, e più ancora vi credesse
Dio in persona – ammesso che Dio sia una persona – voi non crescereste di niente rispetto a quello
che siete. Moneta falsa che si spaccia per buona!
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Parlo infine agli esperti della più confusa di tutte le scienze, se scienza si può classificare: la
parapsicologia, e chiedo: qual è il vostro scopo? Chiarire o confondere? Scoprire o coprire? A coloro
che facilmente credono in malafede medium e sperimentatori, chiedo: «Siete sicuri di essere in buona
fede? Perché questa è la qualità essenziale dello sicenziato: la perfetta buona fede. L’assoluta
mancanza di volontà di far pendere l’ago degli strumenti in un senso o nell’altro: la ricerca della verità
per amore alla verità, anche se essa è sgradita ed urta contro interessi precostituiti. Voi siete i
depositari di quella che sarà, dopo molte trasformazioni, la nuova scienza sacerdotale». Quanta
tenerezza ispireranno, allora, le vostre diatribe! Ma sarete ammirati perché il vostro lavoro, al di là di
ogni personale interpretazione, è un invito a scoprire e quindi a dominare – insieme alle ricchezze del
mondo esteriore – i poteri interiori dell’uomo. Ogni qual volta qualcuno si è posto come intermediario
fra l’uomo ed il mondo sconosciuto detto “sovrannaturale”, tutto si è risolto con lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo; perfino l’eredità dei grandi Spiriti si è – in mano all’uomo – trasformata in uno
strumento di tortura, di imposizione, di repressione, di sfruttamento. Ebbene, questo vostro
annaspare per cercare di capire certi fenomeni che per il loro carattere inconsueto fanno pensare al
sovrannaturale e, comprendendoli, togliere ad essi quell’alone di mistero e di timore del quale si
servono i ciarlatani per estorcere e ricattare, ebbene questo dà al vostro lavoro un valore più che
sociale, morale. Perciò vi amo profondamente, come tutti coloro che aiutano l’uomo a prendere
coscienza di se stesso!
Pace a voi.
Kempis
Salve! Claudio vi saluta.
Generalmente si usa il termine “spiritualità” intendendo con ciò affermazioni fideistiche, dogma e
via dicendo. Se “spiritualità” significa questo, noi non vi parliamo di cose spirituali. Ciò che noi vi
diciamo non ve lo diciamo perché lo crediate, ma perché lo “comprendiate”, ed è assai diverso. Molte
religioni – direi tutte – impongono ai loro fedeli di credere ciecamente. Così nasce la moralità, quella
moralità che è come una tradizione: è così perché è così, ma nessuno sa bene perché. Preferirei
essere un gran peccatore piuttosto che seguire una moralità così ristretta e non compresa. Sostengo
che non esistono cose come “peccato”, “bene” e “male”; esistono “comprensioni” ed “ignoranza” e se
comprendete siete chiamati a fare quello che dovete fare. Allora la moralità, come tale, non esisterà
più per voi, quella moralità che è un’istituzione per l’uomo. La “comprensione” è la più alta forma di
moralità e di spiritualità. Queste affermazioni sembrano gettare al vento le distinzioni di bene e male
su cui si fonda l’ordine della civiltà. Per chi non ha compreso, tali distinzioni sono necessarie; tuttavia
esse non portano ordine né civiltà. Se mirate a raggiungere la chiarezza, il rispetto, se mirate
all’ordine, non affidatevi a distinzioni di bene e male imposte dall’esterno. Affidatevi alla comprensione
individuale. Quando non v’è chiarezza in voi, quando non v’è alcun fermo proposito nella vostra
esistenza, allora è necessario stimolarvi con la paura dell’inferno, l’aspirazione del cielo, la distinzione
di bene e di male. Ma quando la “comprensione” vi illumina dall’intimo, condizionamenti esteriori non
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sono più necessari, quei condizionamenti che possono solo neutralizzare la vostra dannosità nei
confronti degli altri, ma che per niente vi inseriscono nella corrente di rinnovamento totale, unica e
sola capace di apportare il vero ordine e la vera chiarezza.
Pace a voi.
Claudio
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.
Per questo ciclo i nostri incontri sono terminati.
D. – Non ci sarà nessun’altra riunione, nemmeno affettiva?
R. – No. Abbiamo approffittato abbastanza del nostro strumento. Riprenderemo, come sempre, dopo
la parentesi estiva. Voi sapete che noi siamo sempre pronti ad aiutarvi in quel lavoro che voi ritenete
di fare individualmente nei confronti dei vostri simili. Fino da ora vi ringraziamo per quello che avete
fatto e quello che farete.
D. – Per i libri “Incontri” e “Colloqui” credi sia il caso di farne una ristampa?
R. – È un lavoro vostro. Se lo riterrete necessario noi potremo aiutarvi come sempre. Ma siete voi,
adesso, che dovete agire.
Vi benedico ed abbraccio tutti, compresi questi figli nuovi che qua hanno assistito per la prima
volta alle nostre comunicazioni. Assicuro di seguire anche loro per quanto bisogno ne abbiano.
Pace a tutti voi.
Dali
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Ciclo 1975-1976
06 Novembre 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Lo scopo della mia venuta di questa sera, o figli, è unicamente quello di annunciarvi che potete
riprendere le vostre riunioni – questo sempre potete farlo – ma che noi verremo a rispondere alle
vostre domande.
Certamente voi, questa sera, avete posto degli interrogativi. È chiaro che man mano che
proseguiamo nella illustrazione di questo quadro generale nella rappresentazione della Realtà, gli
interrogativi che voi ponete non possono essere soddisfatti con poche parole. Così, quello che voi vi
siete chiesti questa sera, se veramente deve avere una risposta esauriente e che possa in qualche
modo illustrare e precisare in modo efficace, nei dettagli, questa rappresentazione della Realtà, ha
bisogno di molti approfondimenti. Possiamo dire, senza errare, che per rispondere in modo
esauriente ai vostri interrogativi di questa sera, occuperemo tutto il ciclo di riunioni che sta dinnanzi a
noi e a voi.
Voi potrete tornare a riunirvi il 15 prossimo e – non in quella sede ma nelle successive –
toccheremo vari argomenti che, proprio come ho detto, necessitano di approfondimento. È
necessario, a questo punto, precisare che cosa significa Realtà Assoluta, realtà relativa. Se la realtà
relativa è, o può essere, oggettiva oppure è unicamente soggettiva. Se l’uomo, il microcosmo, può
comprendere la Realtà Assoluta, in che misura. Se e che cosa significa “l’uomo si identifica in Dio” o
che cosa significa “l’identificazione in Dio”. A tutte queste domande noi abbiamo già risposto in modo
sommario, con sì e con no; ma nell’approfondimento di questi argomenti sta un significato che, al
momento, non vi appare.
Vedete, anche questa sera voi avete denunciato l’abitudine che avete al mondo nel quale vivete
momentaneamente in consapevolezza. Voi misurate la vostra futura esistenza – dico futura
naturalmente per voi, e questo lo avete capito – con il metro secondo il quale misurate l’attuale. Una
delle cose importantissime che sono state dette nell’ultimo ciclo di riunioni è proprio quella che questa
sera avete riletto: il mondo del “sentire”. Dovete fare uno sforzo per comprendere la realtà nella quale
esistete in consapevolezza, in questa realtà per voi futura ma che è già, come ogni cosa; è una realtà
del tutto diversa dalla vostra attuale e sforzarsi per cercare di comprenderla secondo – ripeto – il
metro che voi adoperate per comprendere la vostra attuale realtà, è un errore, è una di quelle cose
che vi intralciano la vera comprensione.
Guardate: quante volte abbiamo detto che l’io non esiste! Ma che cosa significa? Voi vivete ogni
istante e nell’istante stesso in cui voi percepite qualcosa, questo istante è già stato trascorso, è già
trascorso, come è stato detto dal pensiero filosofico antico.
Ecco, supponiamo adesso che voi pensiate al vostro passato. Voi dite: «Io ho fatto questo». Ma
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che cos’è che vi dà l’idea dell’io? È unicamente la memoria. Voi non siete ciò che siete stati.
Seguitemi: ogni istante voi siete, e noi siamo, diversi. Ciò che crea questa continuità, questo io,
questa individualità, questa personalità, non è che il ricordo, la memoria. Se per cercare di
comprendere noi ci sforziamo di abolire la memoria, che cosa accade? Voi siete egualmente – voi,
attimo per attimo – siete un insieme di sensazioni, di pensieri, di desideri. Ebbene, quelli siete voi,
attimo per attimo: ciò che lega insieme tutti questi pensieri, questi desideri, non è che il ricordo. Ma
questo ricordo è una cosa fittizia, è uno strumento che serve per raggiungere un determinato fine,
null’altro. Quando il fine è raggiunto il ricordo diviene inutile e quel mezzo, quello strumento, viene
abbandonato. Così se voi vi sforzate di comprendere ciò che io mi sforzo di farvi capire, giungerete
meglio ad inquadrare che cosa intendiamo per “sentire”, per “essere”. In effetti, ciascuno di noi è quel
“sentire”, è quell’“essere”. Il ricordo – ancora lo ripeto – appartiene ad una fase dell’esistenza
dell’individuo. Ma se voi perdeste la memoria, il ricordo di che cosa siete, di cosa avete, voi sareste
egualmente perché quello che conta è il presente, quell’attimo in cui voi percepite. Ed osservando
l’esistenza che noi chiamiamo futura, vediamo che quell’attimo che conta non è più un attimo di
percezione ma è un attimo di “sentire”, un “sentire” che esiste in sé e per sé al di fuori di ogni stimolo.
Qual è lo scopo ultimo della vita dell’uomo? Come il fanciullo che quando non ha imparato a
camminare da solo viene sostenuto da qualcuno – non voglio qui portare l’immagine retorica della
madre – ebbene, la mente, i desideri, i pensieri non sono che sostegni che tengono in vita un
“sentire”; ma quando andiamo ad esaminare un “sentire” più complesso, più sviluppato, questi
sostegni non hanno più ragion d’essere, non esistono più. Il “sentire” è libero da ogni mezzo che lo fa
vibrare. Così, libero dal ricordo, libero da tutto quello che crea il vostro io.
«E – direte voi – ma da dove nasce questo “sentire”?». Non nasce da alcuna cosa, ecco il vostro
errore; l’errore di riportare, per comprendere, quella fase di esistenza al vostro attuale modo di vivere.
Non occorrono stimoli, il “sentire” è “essere”, è coscienza in sé che – in quella fase d’esistenza – vibra
spontaneamente, naturalmente, è così. E nel ciclo delle nostre riunioni future vedremo come certi
termini che abbiamo adoperato per farci intendere da voi – quali ad esempio “scintilla divina” – non
sono stati che degli artifici, dei mezzi, dei sussidi per quei momenti, per la comprensione di allora.
Vedremo come questi termini appariranno sotto una luce del tutto diversa.
Certo non è essenziale per la vita che dovete condurre, per il vostro attuale sperimentare,
conoscere queste cose. Chi non arriva a comprenderle può farne benissimo a meno. Ma chi ha la
possibilità di capirle ha il dovere di farlo perché, per lui, il tempo è venuto. Non deve più ritardare,
indugiare, attendere. Attendere che cosa? Ciò che sta davanti a lui deve essere affrontato, ora,
subito. Non è che non affrontandolo scomparirà, potrà essere evitato: giammai! Voi, ritardando, non
fate che ritardare il passaggio obbligato da quel punto. E allora, chi ha la possibilità di capire, deve
averne anche la voglia, perché ciò significa rendere fruttuosa la propria esistenza.
Vi lascio momentaneamente…
D. – Scusa, la prossima riunione sarebbe sabato, allora?
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R. – Sì, credo.
D. – Possiamo dirlo al signor S. e a quello di Genova?
R. – A chi volete. Certo noi abbiamo già dato l’autorizzazione di far partecipare degli osservatori, è
vero?
D. – Bene. Grazie.
R. – Saluto caramente anche queste due figlie, nuove per questo genere di riunioni.
Vi benedico ed abbraccio tutti. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
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15 Novembre 1975
Buona sera, amici cari. Alan vi saluta.
Sarete forse sorpresi questa sera di non udire il consueto saluto della vostra Guida, ma è
un’occasione particolare per cui sono io ad aprire questa vostra riunione. Spero che ciò non vi darà
alcun dispiacere.
Vedo che voi avete seguito con attenzione quello che è stato detto dalla vostra Guida l’ultima
volta e siete entrati subito nell’argomento che forse sarà trattato al termine di questo ciclo di riunioni,
perché voi, quando avete qualche argomento su cui discutere, immancabilmente non discutete –
quando vi è stato consigliato di soffermarvi su un dato problema, voi avete sempre fatto, come si suol
dire, orecchie da mercante – ed invece quando vi diciamo “questo argomento lo tratteremo in un
prosieguo di tempo” ecco che voi subito vi gettate a parlare di quelle cose. Ma certo che il mio è un…
così, osservare molto affettuoso. Voi lo sapete perché noi siamo sempre pronti a parlarvi delle cose
che vi interessano. E così vedo che vi interessa ancora l’argomento dell’io. Io non sono molto
profondo in questo; forse il Fratello Claudio potrà rispondere con più precisione nella riunione che
farete prossimamente e nella quale potrete fare a lui queste domande. Però, per quel poco che io so
dell’io, è certo che l’egoismo è un portato dell’io e che l’io nasce – come vi è stato detto più volte – da
un senso di separatività. Voi avete parlato della vita animale, ma l’animale non dice «Io ho fame…»,
«Io ho freddo…», si limita a ricevere delle sensazioni; così dirà «Fame…», «Freddo…», «Caldo…»,
«Sete…», «Paura…», e via dicendo. Poi, invece, nella vita umana nasce questo benedetto io che
nasce proprio per l’apporto dell’intelligenza dell’uomo, come la vostra Guida vi ha detto. C’è questo
senso di sentirsi distinti dal mondo che ci circonda e quindi di sentirsi un io. Si osserva ciò che accade
al di fuori di se stessi e che interessa relativamente, e si capisce che ciò che non ci colpisce
direttamente non ci porta dolore, oppure gioia, ed ecco che questo contribuisce a creare ancora di più
il senso dell’io. E conseguenza di questo senso di io, del “mio”, del “guadagno”, è il desiderare cose
per se stessi. Questo è chiaro, è vero? Naturalmente non ci vuole molto a comprendere che
un’umanità che tutta si basasse su questo senso dell’io e dell’egoismo – come è nell’umanità attuale
e per quella del passato – non può dare felicità ai suoi figli. Occorre portare dei punti di arresto a
questo io. Così i moralisti, i religiosi, predicano il superamento dell’egoismo; insegnano, per lo meno,
a contenere questo egoismo fino al punto di non nuocere – se non altro – agli altri. Ma ciò non è
abbastanza perché evidentemente l’individuo che ha in sé l’egoismo soffre. Soffre delle privazioni,
soffre di ciò che gli altri hanno e lui non ha; soffre di non poter possedere tante ricchezze che vede
possedere ad altri e non pensa, magari, alle sofferenze che, invece, altri hanno e che lui in quel
momento non ha. Ma tutte queste cose sono cose ormai risapute e scontate, è vero, cari amici?
Ma – diciamo noi – supponiamo pure questo egoismo, superandolo che cosa succede? Molti che
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pensano all’aldilà, a quella che sarà la vita dell’“essere”, oltre la reincarnazione nel piano fisico,
immaginano che questa dimensione sia una dimensione che ancora conserva i caratteri umani, una
dimensione in cui l’“essere” – per non dire lo “Spirito”, ma possiamo dire “lo Spirito” con il linguaggio
di altri – questo “essere” vive senza spazio, nel non tempo, ma in definitiva ha una vita del tutto
umana: può avere contatti con altri esseri o con altri Spiriti; può scambiare idee, opinioni, può
conversare, può imparare, può conoscere cose che non conosceva prima. Ebbene, anche noi
avremmo potuto dire così, sarebbe stato molto più facile farci intendere a voi, ma se vogliamo andare
in profondità, se vogliamo parlare per dire cose che siano molto vicine alla verità, dobbiamo andare
oltre. Dobbiamo parlare di quella che è la vera esistenza di quella dimensione, che non è
un’esistenza umana sublimata o divinizzata. È un errore pensare alla vita futura, per voi, dell’“essere”,
in questi termini; vedere cioè un io o un “essere” sublimato, divinizzato, che si è affrancato dalla
materia ma che assolutamente conserva i caratteri – in qualche modo – della vita umana: caratteri di
apprendimento, di intelligenza, di opinione.
Ripeto: comprendo che quello che noi diciamo può essere una complicazione in più, ma la vita
futura dell’“essere” è cosa del tutto diversa da quella che si può immaginare. L’“essere” non è
destinato a rimanere un “quid” disgiunto da altri esseri. Voi ancora non riuscite a comprendere il
“sentire” perché concepite il “sentire” come qualcosa che si rivela in funzione di un’altra cosa, né più
né meno come delle sensazioni: l’uomo ha delle sensazioni poiché la sua vita biologica, del suo corpo
fisico, o quello che voi volete, gli rivela queste sensazioni. Ha dei sensi che, toccati, danno certe
sensazioni e così voi pensate del “sentire”, pensate che l’“essere” che viva nel mondo del “sentire”,
una volta che sia in contatto con qualche cosa, riveli questo “sentire”. Mentre – lo ripetiamo ancora –
il “sentire” è “sentire” in sé. È e basta. È “essere”, è natura, è esistenza che è così senza che
qualcosa lo provochi.
Dice la figlia A.: «Ma questo “sentire”, in un certo senso, è costituito dalla mente!». Ecco, no.
Questo no! Il “sentire” dell’uomo che ancora non si è svincolato dalla ruota delle nascite e delle morti,
è un “sentire” che è legato a certi supporti che sono questi veicoli inferiori: la mente, il corpo astrale e
il corpo fisico, ma è un “sentire” che esisterebbe indipendente – certo molto elementare perché da
solo non vibra, non si rivela – ma è un “sentire” che esiste nell’eternità del non tempo come tutto
quello. E così ad un certo punto dell’esistenza dell’“essere” questo “sentire” si rivela… – non ci sono
parole – vibra, esiste, indipendentemente da stimoli che possono venire dal mondo fisico o dal mondo
astrale, o dal mondo mentale. È un “sentire” in sé che se anche fosse chiuso in un ambiente
completamente… – come si dice? – coibente, isolato, del tutto chiuso a stimoli esterni, questo
“sentire” egualmente sarebbe perché è. Quindi non è, in ultima analisi, l’individuo un “essere” che
“sente”: è un insieme di “sentire” dai più semplici ai più complessi e voi sapete qual è il “sentire” più
complesso.
Noi comprendiamo, quando parliamo con voi, che non potete immaginare lo sforzo che noi
facciamo per darvi un’idea. Se voi doveste parlare ad individui di altre società del passato, voi
dovreste calarvi nei problemi di quelle società, è vero? Dovreste studiare che cosa è che preme per
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quegli individui; quali sono le domande che si fanno, che cosa impedisce a loro di capire. Ebbene, noi
facciamo tutto questo. Ormai abbiamo una certa pratica e vediamo che la difficoltà che incontrate sta
nel fatto che voi pensate alla vita futura dell’“essere” – ancora lo ripeto – in termini di questo vostro
mondo. A voi resta difficilissimo immaginare di dover abbandonare la vostra personalità – eppure la
personalità viene abbandonata – di dover abbandonare il vostro “io sono”! Ma voi avete avuto delle
incarnazioni come selvaggi, è vero? Possiamo dire, grosso modo, questo: certamente se quando
eravate dei selvaggi qualcuno vi avesse detto che avreste avuto altre incarnazioni, certo che voi,
dentro voi stessi, avreste preteso o chiesto o sperato che quel che eravate allora foste, in qualche
modo, anche oggi. L’uomo non sa rinunciare alla propria sopravvivenza. Eppure voi, oggi, siete quelli
che siete e ad un certo punto, se ben vi guardate nell’intimo, non vi importa niente di essere stati dei
selvaggi; anzi, se voi sapeste di essere stati dei selvaggi che ne hanno combinato di cotte e di crude
– come si usa dire – meglio non essere stati così, è vero? Certo il vostro amor proprio vi spingerebbe
a dimenticare quelle esperienze.
Ebbene, pressappoco è della vostra vita futura. Oggi – ripeto – voi non potete rinunciare al vostro
io; è una grandissima rinuncia pensare che – anche se noi vi diciamo che il destino futuro dell’uomo è
l’identificazione in Dio, diciamo una cosa enorme – pur tuttavia voi rinuncereste a questo pur di
conservare il vostro io. Non io come egoismo, io come individualità, è vero? Ed in effetti – ripeto – vi
sono delle Entità che dicono che l’identificazione in Dio non esiste; che l’“essere” continua all’infinito
la sua vita evolutiva.
Anche noi potevamo dire questo; sarebbe stato forse più comodo e meno difficoltoso per voi il
seguirci ma, ripeto ancora, se dobbiamo cercare di portarvi alla verità, dobbiamo correre questo
rischio di non essere creduti. E nessuno di voi è obbligato a crederci; potete benissimo credere quello
che più vi fa piacere, che meno vi turba. Ma giorno verrà che questo problema dovrete porvelo.
Vi lascio momentaneamente.
Pace a voi, cari.
Alan
Sono la Guida Fisica dello strumento. Adesso tenteremo dei fenomeni luminosi. Quando io dirò
che sarà pronto, voi potrete accendere la luce in modo che faremo vedere a questi nuovi ospiti le
mani nude dello strumento. Attendete eh? Ecco, adesso la luce per non più di dieci secondi. No,
ancora… ecco… Vediamo: esemplificazione dell’ectoplasma. Il dono che vi ho lasciato questa sera è
molto… minuscolo poiché dobbiamo amministrare delle forze che abbiamo a disposizione.
Quanto si discute sull’origine di questi fenomeni! Vedo che anche voi siete entrati in questa
polemica: la possibilità del subcosciente del medium di attingere a fonti di notizie per poi costruire
delle personalità fittizie. Adesso noi diciamo che è possibile per talune Entità… guardate, ad esempio,
che non tutti sono in grado di fare dei fenomeni fisici, non tutte le Entità; occorre che l’Entità che
sovrintende alle manifestazioni fisiche abbia avuto modo di esercitarsi. Altri, che non hanno questa
possibilità – nonostante la medianità sia la stessa – non possono provocare fenomeni fisici. Vi sono
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delle Entità, io posso fare questo, di tornare indietro nel tempo ed ascoltare i pensieri di un
trapassato, od anche di un vivente. E posso di più, posso porre in contatto l’automatismo che
sovrintende alla parola del medium, con questi… con questo passato, con questi pensieri del
passato, come farò fra poco. Allora voi udrete parlare, ma vi sarà una differenza: il medium parlerà
con la sua voce, il suo frasario; tradurrà cioè quei pensieri con i quali è stato messo in contatto, nel
suo modo consueto. Direte voi: «Potrebbe uno Spirito, un’Entità, farsi passare per un altro?». Certo
che può; qua si tratta però di rientrare in un codice etico: sarebbe assurdo che noi ci facessimo
passare per altri e poi venissimo da voi a parlare di onestà, di rettitudine, di moralità. Ne convenite?
Ma vi sono anche delle Entità che non conoscono questo codice etico ed allora possono fare così, se
riescono a mettersi in contatto col passato – come io farò fra breve – attingono notizie di un dato
personaggio e si presentano fornendo dati precisi. Ma sempre Entità sono. Voi forse vi domanderete
se può un vivente fare questo. Teoricamente è possibile, purché questo vivente abbia la possibilità di
muoversi autonomamente nel piano astrale. Non crediate che tutti i trapassati, o coloro che riescono
a sdoppiarsi, possano avere questa autonomia. Il piano astrale è un labirinto perché trae in inganno la
sua materia che continuamente si plasma sotto il pensiero e il desiderio, e quindi è facilissimo credere
di essersi posti in contatto con un dato essere, o con il passato ed invece porsi in contatto con se
stessi, con la propria immaginazione.
Adesso metterò in contatto l’automatismo che guida la parola dello strumento, con un pensiero di
un essere ma che appartiene al passato, da non confondere con un guscio astrale, vi prego. È un
viaggio nel tempo. Vedrò di porre in contatto con pensieri che possono fornire elementi precisi per
una verifica da parte vostra. State silenziosi e non fate domande perché non sarebbe un dialogo: voi
state ascoltando un monologo.
Michel
Che freddo! Oh Dio, che freddo! Mamma mia! Tutta quell’acqua! Che confusione… Ah,
cerchiamo di riordinare le idee. Aspetta, eh? Prima di tutto chi tu sei? Come tu ti chiami? Ti chiami
Teresia Antonio, Teresia Antonio… classe… O Dio, non me ne ricordo più; quando son nato? Son
nato… Ho fatto vent’anni l’altro mese. Aspetta... È curioso, non mi ricordo più quando son nato.
Teresia Antonio nato… Ah sì, il 22 Gennaio 1897. Ma cos’è successo? Ho fatto il compleanno l’altro
mese! Quant’è… Un mese, no, un mese no perché oggi è il 15 Febbraio: 15 Febbraio 1917. Oh, che
esplosione! Che esplosione… Giuseppe, Giuseppe… Giuseppe, mi senti? Giuseppe, Pruniti…
Pruniti… Sono io, sono Antonio… Giuseppe… Guglielmo! Guglielmo! Sparano, rispondimi Sparano…
Sì, Sparano, quello di Napoli… Oh Dio, che spavento! Il piroscafo affondato, un esplosione, credo.
Eravamo nell’Adriatico. Piroscafo Minas… Sissignore, sono io, il soldato Teresia Antonio… Non
capisco più nulla… È affondato il piroscafo, signore… Rispondi, rispondi… Rispondi! Quanta acqua,
freddo, la paralisi… Io sono nato… Sono della Sicilia, ma eravamo tre amici insieme. Dove sono gli
altri due? Non li vedo. Sì, sì, Giuseppe si chiamava e l’altro Guglielmo… non lo so… che
confusione… che confusione… che confusione… che confusione…
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Voce di Roberto (Medium)
Vedete, cari, adesso – volendo – un’Entità che avesse pochi scrupoli potrebbe benissimo farsi
passare per questo Antonio Teresia; ha dato data di nascita, data di morte, con chi era al momento
della morte, avendo così una certa credibilità. Cosa del resto che potrebbe benissimo fare anche un
vivente che fosse molto bravo nell’orientarsi nell’astrale durante la bilocazione, lo sdoppiamento. Mi
seguite?
Ma da dove nasce, allora, la prova di chi siamo? Lo ripetiamo ancora una volta: udendo quello
che vi diciamo. Giudicate, domandate, chiedete; ascoltando, udendo il discorso complesso che
facciamo. E questo non può essere raggiunto in una seduta, in una riunione, ma come voi avete fatto:
anni di studio e di osservazione. Vi lascio e saluto tutti caramente.
Michel
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Noi torneremo a riunirci fra quattro settimane, nel giorno di sabato, come quest’oggi, per voi.
D. – Scusa, potresti dare delle indicazioni a quegli amici che sono venuti e che volevano chiederti
alcune cose?
R. – Potranno farlo in altra occasione.
D. – Scusa, tu avevi dato il permesso di fare una riunione per i fratelli che vivono lontano da Firenze.
Potresti fissarci la data di questa riunione?
R. – Dunque, ascoltate: vi sarà una riunione fra quattro settimane; una successiva ancora e
nell’intervallo fra la successiva e la seguente, potrete fare quella riunione.
D. – Molti hanno chiesto se ci saranno riunioni affettive.
R. – Dopo quelle comincerete.
D. – Per il fenomeno di Genova, ce lo dici un’altra volta?
R. – In un’altra occasione.
Vedete, figli, fino dal tempo in cui abbiamo cominciato a portarvi il nostro insegnamento, cioè da
quando avete cominciato a rendervi conto che queste comunicazioni non potevano costituire un
passatempo, né un mezzo per soddisfare le vostre curiosità umane, noi abbiamo curato che questa
cerchia di amici che liberamente si riunivano, tale rimanesse nel tempo, estranea ad ogni forma di
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organizzazione, perché noi siamo convinti che le organizzazioni che acquistano una personalità
propria finiscono col perdere il contatto diretto con l’uomo, la capacità di comunicare col singolo al di
là di ogni barriera ideologica. Noi abbiamo fiducia nell’opera individuale, nell’aiuto che l’uno può dare
all’altro direttamente, senza che il beneficato debba abbracciare come contropartita un’ideologia o
una religione. Per questo motivo – ed anche per altri – fin da allora vi abbiamo spinto alla
riservatezza. Vi dicevamo: «Parlate pure delle verità che venite a conoscere, ma non specificate
come le avete conosciute»; comportatevi cioè come se fossero delle vostre personali opinioni. Inoltre
non vi abbiamo mai spinto a credere di essere voi, e noi, investiti da una speciale missione divina, è
vero? Né di trovarvi di fronte ad un complesso di fenomeni di una certa rilevanza; di quest’ultimo fatto
ve ne siete resi conto solo ultimamente, quando avete cominciato ad avere contatti con altri gruppi ed
altre fonti.
A distanza di trent’anni dalle prime comunicazioni, volgendovi nel tempo ad esaminare la nostra
opera, vi sarà facile vedere il programma che abbiamo svolto, che non appariva e non appare nel
momento in cui, passo su passo, lo attuiamo.
Lo scopo delle nostre comunicazioni non è quello di provare l’esistenza obbiettiva dei fenomeni
fisici, né della sopravvivenza di un quid immateriale alla morte del corpo. O meglio, forse abbiamo
provato tutto ciò personalmente, ad ognuno di voi. Se invece avessimo voluto provarlo all’opinione
pubblica, allora ci saremmo serviti di questo strumento in quel senso, ottenendo forse fenomeni più
rilevanti di quelli che comunemente osservate. Ma che scopo avrebbe dimostrare generalmente, alla
generalità degli uomini, la sopravvivenza dell’“essere”? Forse per imbrigliare nuovamente l’azione
dell’uomo con la paura dell’aldilà, o con la preoccupazione di procurarsi un avvenire radioso dopo la
morte? No! Quando gli elementi sono stati forniti, ciascuno – a questo punto dell’evoluzione – deve
trovare da solo la propria certezza. Quindi con gli altri comportatevi come noi ci comportiamo con voi:
lasciate che ciascuno scopra da se stesso di che cosa ha bisogno, viva libero nelle sue convinzioni,
subisca gli effetti delle cause liberamente mosse. Fornite cioè gli elementi e lasciate che ciascuno
tragga la sua conclusione finale.
Se allora la scoperta individuale è lo scopo della vita dell’uomo, che senso ha il nostro
messaggio? Forse quello di portare una nuova morale?
Dali
La morale è ciò che attiene alla valutazione delle azioni in funzione del bene. Questa può essere
una definizione. Ma chi ha conoscenza del costume dei popoli sa quanto diversa sia l’etica delle
società. Lo stesso pensiero filosofico riconosce vari tipi di morale tutti in stretta dipendenza con
altrettante concezioni di “bene”. E quanto si sia modificato il concetto di “bene”, nel tempo,
certamente voi lo sapete: dal bene inteso come “felicità” degli antichi, a Dio, massimo bene del
cristianesimo, al bene “conoscenza del vero” dei razionalisti, al bene che coincide con l’utilità dei
positivisti e così via. Come ho detto, a tante concezioni di “bene” corrispondono tante moralità. E così
abbiamo l’etica intellettualistica, l’etica irrazionalistica, l’etica volontaristica e chi più ne ha più ne
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metta. In effetti, però, non esiste una morale assoluta che debba essere assunta come ideale da tutti
gli uomini, dal selvaggio al Santo. Esistono tanti stati di coscienza, raggiungibili per tappe successive,
ciascuno dei quali diviene “ideale morale” nel momento in cui è prossima meta che il singolo deve
raggiungere. Ecco il perché di tante società con tante etiche diverse. Sono i differenti ambienti in cui
ciascuno trova il suo gruppo di esperienze che lo conducono ad ampliare la coscienza; che lo
conducono ad una più profonda maturazione. Quindi la morale, o le credenze, non hanno un valore
assoluto: sono i termini del problema che ciascuno deve risolvere; ma è il processo del risolvere il
problema e non sono i termini che danno all’individuo un nuovo “sentire”. Sono gli stimoli che
vengono dagli ambienti in cui vive che trasformano l’“essere” dell’individuo. E se generalmente noi
possiamo affermare che per l’individuo è “bene” tutto ciò che amplia la sua coscienza, altrettanto
genericamente possiamo dire che una vita è favorevole, è positiva, quando da essa si hanno
esperienze che direttamente allargano gli orizzonti di un nuovo “sentire”.
Kempis
Tornerà utile ricordare che per molte religioni la vita dello Spirito corrisponde alla rinuncia al
mondo ed alla società. Quanto sia distorta questa concezione lo abbiamo ribadito più volte. Tuttavia
non si deve credere che la vita sia vissuta nella continua esperienza diretta e nell’istinto; persino gli
animali che non posseggono il raziocinio ed hanno una vita istintiva, conoscono il freno inibitore alle
loro azioni: la paura; o – se preferite – contrapposto all’istinto di aggressività degli animali vi è quello
frenante del timore. Con ciò intendo dire che una vita è vissuta quando sì, si ha l’esperienza diretta, si
è attivi, vigili, ma soprattutto quando si è riflessivi, quando si usa, da parte dell’uomo, quello
strumento in più che ha rispetto a forme di vita più semplici; quando si usa l’intelletto e non già per
crearsi delle false morali o delle pastoie inutili, ma per comprendere i propri limiti e superarli. Sicché
se volessimo dire e riassumere in una frase, in un titolo, lo scopo della vita dell’uomo, non dovremmo
dire tanto che lo Spirito sperimenta la materia, quanto che l’uomo – attraverso a quelle vicende che lo
vedono protagonista – trascende il proprio egoismo, supera una visione della sua esistenza in cui
tutto è visto unicamente in funzione di se stesso, raggiunge la coscienza d’essere tutt’uno con ciò che
esiste.
Nel mare costantemente agitato dei pensieri, dei conflitti del singolo e dei popoli, dei desideri,
delle frustrazioni, ciascuno trova il proprio gruppo di esperienze che lo conducono ad ampliare il suo
“sentire”. Ogni esperienza non è mai perduta; anche quando è fondatamente errata è pur sempre
un’esperienza. Ma come non è necessario sperimentare tutto direttamente, così non è indispensabile
errare per comprendere. Una vita è spesa favorevolmente quando si raggiunge l’equilibrio fra l’azione
e la riflessione; fra l’intenzione e la capacità di realizzarla.
Claudio
Qual è il nostro posto in tutto ciò, o figli? Noi cerchiamo di aiutarvi a prendere coscienza di voi
stessi rendendovi consapevoli del peso che avete nella collettività, facendovi capire che l’ingiustizia e
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lo sfruttamento del singolo sembrano fine a se stessi per la visione limitata nel tempo e degli eventi
che gli uomini hanno.
Dali
Cerchiamo di instillare in voi la convinzione che la vita, per quanto sia un mezzo di evoluzione,
può essere serena e pacifica purché sia liberata dall’ignoranza, dalla superstizione; ma soprattutto
purché si riesca a concepirla non più solamente in funzione di se stessi.
Teresa
Cerchiamo di convincervi che la felicità può essere di codesto mondo, purché ci si renda conto
che non è conseguenza del possesso di qualità, né virtù, né amicizie, né beni materiali, né che cresce
col successo e con la notorietà.
Claudio
Cerchiamo di farvi capire che l’unica etica veramente universale è quella di concepire come unico
bene l’aiutare gli altri e come unico male recare loro danno.
Teresa
Tuttavia vi insegnamo a misurare le vostre forze, a trovare il giusto equilibrio fra il vostro ideale
morale e la possibilità di trarlo in pratica. Vi insegnamo a cominciare da poco e da vicino, amando di
più i vostri famigliari ed i vostri amici.
Claudio
E qual è il vostro posto in tutto ciò? Per molti anni voi siete stati passivi spettatori di queste
comunicazioni. Adesso siete voi che dovete rispondere a chi vi chiede. Ma non vogliamo fare di voi
dei predicatori, dei divulgatori delle nostre parole. Non vi mandiamo come pecore fra lupi feroci; tutto
quello che ci aspettiamo da voi è che rispondiate a chi vi chiede, a chi vi mandiamo, perché non siete
voi che scegliete con chi avere contatti, siamo noi. E non preoccupatevi se ciò che direte non sarà
recepito: la verità quando è tale, anche quando è prematura non va mai perduta, rimane nell’individuo
come un seme che inizierà il suo ciclo vitale nella stagione propizia.
Dali
Nei riguardi di voi stessi ci attendiamo che quando sarete scavalcati o quando i privilegi, le
amicizie influenti, la disonestà impunita, lo sfruttamento a danno di altri faranno prevalere chi non ha
meriti, non abbiate una reazione che rafforzi il vostro io, che vi dia frustrazione ed amarezza perché
sarà segno, allora, che avete compreso ciò che noi intendiamo dirvi.
Claudio
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Se tutto ciò vi sembra poco e già detto, allora non ci siamo espressi bene, perché noi
contrapponiamo allo sterile ascetismo l’azione individuale ad ogni livello della società, culturale,
politico, assistenziale. Forse, anzi certamente, modesta, ma in ogni caso più fattiva.
Kempis
Contrapponiamo alla violenza a se stessi creatrice di nevrosi e distorsioni di pensiero, l’auto-
convinzione che è liberatrice.
Claudio
Contrapponiamo al cieco dogma, l’enunciazione in termini intelleggibili della realtà, cioè una
verità che se anche non è – e non potrà mai esserlo – assoluta, è tuttavia quanto di più aderente voi
possiate afferrare dell’unica, dell’ultima Realtà.
Dali
Al consiglio di sacrificare la vostra vita terrena a beneficio di quella celeste, noi contrapponiamo il
consiglio di vivere serenamente il presente e ciò è possibile solo se si è capaci di concepire la propria
esistenza al di là degli angusti confini di “mio”, io, “guadagno”.
Claudio
Al vuoto formalismo religioso contrapponiamo quel tanto e quel poco che la vostra convinzione e
le vostre possibilità vi faranno fare.
Teresa
All’idea di un Dio capriccioso, che interviene a suo piacimento, che vuole essere lodato ed
adulato, contrapponiamo l’idea della Divinità che tutti comprende, che tutti chiama a Sé attraverso ad
una comunione vieppiù vivida ed effusa. Questo e questo solo è lo scopo della nostra presenza fra
voi.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Dali
95
13 Dicembre 1975
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Se questa figlia avesse avuto un po’ di pazienza, tutto in lei sarebbe tornato in calma. Non
avvilitela, vi prego, e soprattutto ricordatevi che disturba più la vostra preoccupazione che non il fatto
in sé; questo tenetelo sempre presente. Tutti i vostri pensieri riuniti sono molto più producenti di un
semplice fatto che, in sé, non avrebbe nessuna ripercussione. Lo abbiamo detto altre volte, è vero?
Eccoci ancora riuniti assieme. Di che cosa parleremo questa sera, visto che non è la serata in cui
si presenterà il Fratello Claudio? Comunque avete fatto bene a focalizzare la vostra attenzione su
questi problemi, in modo che quando Claudio si presenterà fra voi potrete rivolgergli le domande che
vi assillano.
Di che cosa parleremo? Sì, perché ancora una volta ripetiamo che lo scopo di queste riunioni, di
queste comunicazioni, non è quello di produrre dei fenomeni, più o meno strani, inconsueti. Lo
spiritismo se così si vuol chiamare ancora non può continuare ad essere un’elencazione di fatti strani
o straordinari; sarebbe un ripetersi forse sterile che a lungo andare finirebbe con lo stancare.
Dobbiamo dire e fare qualcosa di più. Che fare allora? È proprio lo scopo della nostra presenza fra
voi, ed è quello di parlare di realtà che sono poco meditate, poco osservate: realtà che forse voi non
avete la possibilità di controllare, ma che possono essere sostenute attraverso alla logica. Vedete, noi
vi abbiamo fatto un quadro generale di quella che è la Realtà che noi riusciamo a vedere, a percepire.
Questo quadro può essere affrontato da qualunque parte e segue un discorso logico, così come un
indumento fatto a maglia, non è che un filo, è vero? Da qualunque parte noi possiamo cominciare a
guardare, ad osservare questo quadro della Realtà, c’è un filo conduttore, estremamente logico, che
finisce in un concetto principale ed ultimo: il concetto di Dio Assoluto. Dire Dio Assoluto, voi lo sapete
– se le parole hanno un significato – implica una serie di altre affermazioni tutte susseguentisi. Voi
potete pensare a un Dio diverso da quello che noi vi prospettiamo, siete liberissimi, altri lo fanno; ma
allora chiamate quel Dio “Padre”, “Altissimo”, “Grande Architetto”, “Ente Supremo”, come vi piace, ma
non lo chiamate “Assoluto” perché chiamarlo “Assoluto” – lo ripeto – significa riconoscere a Lui certi
concetti, certi altri principi, l’uno scaturente dall’altro e giù giù, fino a ricostruire quel quadro generale
che noi abbiamo affrontato invece dal basso. Noi abbiamo cominciato a parlare della reincarnazione,
della legge di causa e di effetto, del Karma, di tutte queste cose, è vero? Dei piani di esistenza e
siamo saliti. Ma ognuna di queste verità che man mano andiamo focalizzando, sta insieme
logicamente, segue all’altra fino ad arrivare al concetto ultimo dell’Assoluto. Comprendiamo che
affrontare questo concetto, per voi che siete abituati a pensare a Dio in certi termini mistici è molto
difficile; è una strada insidiosa che di tanto in tanto vi mette di fronte a delle sorprese, che distrugge
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certe idee romantiche che vi siete fatti, o che altri hanno costruito in voi, ma pure se vogliamo essere
logici fino in fondo non possiamo che seguire questa strada, e non potete che seguirla.
Noi non stiamo parlando per difendere ciò che diciamo: la verità – lo abbiamo detto altre volte –
non ha bisogno di difensori, si afferma da se stessa. È bello dire: «La causa della verità», ma ha poco
senso. La verità non ha bisogno di chi la imponga; man mano che l’uomo procede si scopre da sola.
Vedete: Galilei scoprì la rotazione della Terra; per pressioni esterne fu costretto a ritrattare, ma
nonostante il parere diverso del Papa, nonostante la ritrattazione di Galilei, la Terra girava lo stesso e
gira tutt’ora. È vero, figli? Così non vogliamo difendere ciò che diciamo, ciò che diciamo si difende da
solo, ma vogliamo unicamente scuotere la vostra attenzione e ricordarvi che se volete seguire questo
filo logico fino in fondo, dovete essere disposti a distruggere certe immagini che potevano esservi
care e che possono tutt’ora esservi care – come favole ai fanciulli – ma che a un dato momento non
hanno più ragione di essere credute.
Quello che questa sera Kempis vi dirà forse vi sembrerà freddo, vi sembrerà solamente filosofico,
poco divertente ad ascoltarsi, ma è una puntualizzazione molto necessaria, perciò vi invito a seguirla
con attenzione.
Vi lascio momentaneamente.
Dali
…«Della cui identità io, notaio, sono certo». Quante volte, quante volte ho sottoscritto questa
dichiarazione!… «Della cui identità io, notaio, sono certo», ed ero certo anche quella volta. Era venuta
da me, si era presentata come… come “lei”… io non avevo motivo di dubitare. Fece alcuni passaggi
di proprietà e ne fece altri, fece degli acquisti… Era “lei”, produceva dei documenti la prima volta, poi
non aveva più bisogno di farsi identificare, ormai la conoscevo. Sapevo chi era quella signora, era
una nobildonna; che motivo avevo di dubitare? «Della cui identità io, notaio, sono certo». Poi un
giorno disse: «Io voglio vendere il mio patrimonio». Ed io mi adoperai per farglielo vendere. Che
motivo avevo di dubitare? Aveva fatto altri acquisti, altre vendite, piccole cose, ma chi poteva dubitare
che non era “lei”, che mi aveva dato un’identità falsa? Ho venduto tutto il patrimonio di un’altra… ho
venduto tutto il patrimonio di un'altra!!!!! Come potevo rimediare? Mi ha distrutto! Mi ha distrutto
fisicamente, moralmente, professionalmente! Mi ha distrutto completamente! Che soluzione avevo se
non quella di uccidermi? Oh! E credevo di por fine alle mie sofferenze e no, invece, no! Continuo a
soffrire, continuo a pensare, a pensare… La mia sofferenza continua… Mi sono ucciso ma non ho
ucciso il mio dolore… «Della cui identità io, notaio, sono certo»!!!! Mi ha distrutto… Mi ha distrutto…
Entità Ignota (Notaio suicida)
Sono la Guida Fisica di Roberto.
Un attimo di pazienza. Viene dal Messico ed occorre un po’ di pazienza. Possiamo dire… a livello
atomico… come chiamarla? Un’armatura, qualcosa di… una intessitura, è vero?
Ecco, quando noi apportiamo un oggetto, dobbiamo – su questa tessitura – riportare la materia
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che prima abbiamo smaterializzato. Adesso questo oggetto ha la sua armatura. No so se riusciremo a
farvi vedere, piano piano, la materializzazione. Adesso è plastico… Non è ancora completo… Non
completo… Ecco, è completo. Questa sera, deliberatamente, ho fatto una materializzazione lenta per
darvi modo di vedere come sono, come si svolgono le fasi. Noi ci sintonizziamo con il vostro fluido;
ecco perché vi diciamo di non farli toccare a nessuno, altro che voi stessi potete toccarli.
Naturalmente non succede niente se altri lo toccano, apparentemente: si perde la sintonizzazione fra
questi oggetti e voi. Adesso si può dire pressoché ultimato. Figlia Bianca, devi cercare di
raggiungermi…
D. – Eccomi.
R. – Dammi le mani. Questo è l’oggetto. Tienilo fra le tue mani così e non aprirle fino alla fine della
riunione.
D. – Io debbo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me…
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato. Pace a tutti voi, fratelli.
Michel
Creature, ancora sono con voi e con gioia vi parlo. Noi vi accettiamo come siete e, conoscendo i
pensieri riposti, sappiamo quanto difficile sia per voi vivere e quanto rimangano “buoni propositi” le
vostre intenzioni. Ora io sono con voi e comprendo la vostra incertezza, comprendo quanto vi resti
difficile seguirci. Quanto vorreste veder trascorrere la vostra esistenza senza problemi, senza ansietà;
ma voi siete in questo esilio terreno perché dovete faticare, sperimentare con pazienza. Ma non
perdete la fiducia in noi, siate certi del nostro aiuto. Siate certi che queste sofferenze sono in comune
con chi vi comprende. Noi vorremmo dire a ciascuno di voi tante cose, ma non possiamo che
trattenerci così, collettivamente.
Vi abbraccio tutte, creature, tutte! Portate con me i vostri pensieri.
Io vi seguo con la mia dedizione e non vi lascio. Sono con voi… Con voi!
Teresa
Salve a voi.
Affermando che Dio è Assoluto ne discende che Egli è l’unica Realtà oggettiva. Ogni altra realtà
che necessariamente deve essere in Lui, è una realtà relativa, cioè dipendente da qualcosa. In
sostanza Dio è come è perché dipende unicamente da Se stesso: cioè è indipendente, cioè è
Assoluto. Ogni altra realtà è come è perché dipende da qualcosa. La stessa “coscienza cosmica”, che
è la massima espressione del “sentire” del Cosmo, la massima spiritualità cosmica, per intenderci, è
tuttavia una realtà relativa che è come è in dipendenza di qualcosa, non foss’altro del virtuale
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frazionamento dell’Assoluto.
Alan – Domando se la realtà relativa è anche soggettiva.
Kempis – Dicesi “soggettivo” ciò che dipende dal modo di pensare di un soggetto. Allora la domanda
potrebbe suonare anche così: la realtà che si percepisce, esiste indipendentemente dalla
percezione?, cioè è una realtà oggettiva se pure relativa? Oppure esiste unicamente nella
percezione, cioè è una realtà soggettiva? Con questa domandina siamo di fronte al problema della
conoscenza, vecchio quanto l’uomo. Nel pensiero degli antichi voi sapete che la conoscenza si
identificava con la Realtà, grosso modo; fatta eccezione per gli scettici che negavano questa
corrispondenza. Ossia gli scettici negavano all’uomo la possibilità di confrontare la realtà conosciuta
con la Realtà esistente. Nelle filosofie medievali si pose in discussione se certe idee universali ed
astratte concepite dall’intelletto potessero trovare riscontro nella Realtà. Successivamente si passò
ad esaminare i limiti e le possibilità della conoscenza, ponendo anche in dubbio l’esistenza di una
realtà oggettiva.
Nel pensiero moderno si esaminano le funzioni della conoscenza, l’efficacia, senza curarsi di
confrontarla con la realtà oggettiva. Tutto questo a volo d’uccello, come si suol dire, senza prendere
in considerazione la possibilità che ha la scienza dell’uomo di porsi ad incrementare la conoscenza;
senza interessarsi, cioè, della filosofia della scienza perché il nostro scopo non è quello di esaminare
le varie tappe del pensiero umano su questo argomento, ma unicamente quello di ricordare come
questa… questa meditazione sia sempre stata presente nel pensiero degli uomini, ma soprattutto di
esporvi il nostro punto di vista che è il seguente: noi ci rendiamo conto della Realtà attraverso alla
percezione che è appunto l’atto della consapevolezza con cui si coglie l’esistenza di una realtà
esterna per mezzo della mediazione dei sensi. Per taluno la percezione è un fenomeno di sensazioni,
per altri un fenomeno della mente. Per noi è l’una e l’altra cosa. Infatti se l’uomo anziché cinque sensi
ne avesse due soltanto, ovviamente la sua percezione sarebbe diversa ed egli immaginerebbe una
realtà esterna, lui, come avente le sole caratteristiche da lui colte; mentre se avesse dieci sensi
probabilmente coglierebbe altri aspetti del mondo in cui vive ed ipotizzerebbe una realtà in modo
diverso. Od una realtà diversa. Questa considerazione dunque ci lascia supporre che la realtà esista
indipendentemente dalla percezione e noi da sempre vi abbiamo detto che esiste un ente percepente
e qualcosa che viene percepito. È vero? Allora la risposta che ci siamo posti – e cioè se la realtà
esiste indipendentemente dalla percezione – potrebbe essere che, sì, la realtà esiste al di là della
percezione.
Alan – Ma questa realtà è oggettiva?
Kempis – Se per oggettivo intendiamo il contrario di soggettivo, la risposta è sì. Ma voi potreste a
questo punto dire: «Questo signor Kempis viene qua a dir male di Garibaldi! Lo sappiamo benissimo
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che esiste una realtà oggettiva della quale abbiamo una visione soggettiva». Eh già, il problema non
è così semplice, infatti dobbiamo subito precisare che la realtà che si percepisce, come si percepisce,
esiste unicamente nella percezione. In effetti esiste qualcosa che, percepito, dà la visione della realtà
che ci è nota, perciò la realtà che noi percepiamo esiste unicamente nella nostra percezione.
Alan – Ma questo “qualcosa” che cosa è?
Kempis – Non è difficile comprendere che la realtà che noi conosciamo assume l’aspetto che ci è
noto in funzione delle nostre possibilità di percezione. Ora, siccome tutto quanto esiste è in Dio e fa
parte di Dio, è chiaro che osservando il mondo nel quale viviamo, osserviamo una parte di Dio; tanto
è vero che se, senza distogliere la nostra attenzione dal mondo in cui siamo immersi, crescessero le
nostre possibilità di percezione – badate bene, è un’ipotesi assurda quella che sto facendo, eh? – fino
al limite necessario, noi giungeremmo a percepire Dio senza aver distolto la nostra attenzione da uno
stesso oggetto. Dunque, ciò che noi percepiamo è una parte di Dio, in Dio, ma non esiste quale noi la
percepiamo; che non esiste oggettivamente. Dio, infatti, è indivisibile e credere di poter circoscrivere
una parte Sua e capire come è fatto Dio, è una mera illusione. L’insieme è tutt’altra cosa che la
somma delle parti e Dio è tutt’altra cosa che l’insieme.
Il Cosmo, pur essendo in Dio, non è oggettivamente in Lui delimitato; la delimitazione del mondo
che noi conosciamo non è oggettiva, scaturisce unicamente dalle nostre possibilità di percezione. Il
piano fisico non è distinto da quello astrale se non dal fatto che così lo si percepisce e questo la
vostra stessa scienza umana è avviata a comprenderlo. Infatti si dice che una legge, o della fisica, o
della chimica, o della natura, è qualcosa che riguarda un numero grandissimo o di atomi o di cellule; e
l’enunciazione di questa legge non è che l’enunciazione di un comportamento statistico della maggior
parte di queste unità elementari, cellule o atomi; ma che in realtà, nella moltitudine di queste unità
elementari che si comportano in un certo modo e che originano l’enunciazione della legge da parte
dello scienziato, ve ne sono altre – forse in numero minore – che si comportano del tutto
diversamente. Allora quando andiamo ad esaminare i fenomeni della materia nella sua composizione
laddove osserviamo un numero minore di queste unità elementari, ecco che l’enunciazione della
legge resta oltremodo difficoltosa. Dunque tutto questo per dire che la realtà non ha questi confini
così rigorosi come generalmente si crede. Dio infatti – lo ripeto – è indivisibile. Ogni parte non esiste
oggettivamente in sé, non è una realtà oggettiva. Esiste un’unica Realtà oggettiva, la Realtà Assoluta
o Dio. Ogni altra realtà è una realtà relativa che scaturisce da una delimitazione, non oggettiva, di
questa Realtà Unica. A sua volta la delimitazione scaturisce dalla percezione di un ente percepiente:
al livello umano esiste un ente percepiente – l’uomo – e qualcosa che viene percepito: la Realtà
Unica. La visione che ha l’uomo di questa Realtà Unica, è una realtà relativa che ha un colore, una
forma, un sapore, una consistenza, ma che non ha niente a che vedere con la Realtà Unica, essendo
la Realtà Unica incolore, informe, inconsistente, omogenea, indeterminata, infinita, indivisibile,
immutabile, eccetera, eccetera. Perciò la realtà relativa, esistendo unicamente nella percezione
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individuale – ed in forza di questa – è sempre soggettiva. Ripeto: l’unica Realtà oggettiva è la Realtà
Assoluta o Dio.
Alan – Ma tu fino ad ora hai sempre parlato di un ente percepiente e di una realtà che viene
percepita. Ora noi sappiamo che l’individuo ha una fase nella sua esistenza in cui non ha più
percezione intesa come atto della mente e dei sensi, in cui è unicamente un “sentire”. Allora, in quella
fase di esistenza, di che natura è la realtà che l’individuo rappresenta?
Kempis – Mi pare di avere detto che, per esempio, non esiste oggettivamente un mondo fisico, ma
che esiste la Realtà Unica che, percepita con certe limitazioni, dà la visione del mondo fisico che ci è
nota. Ma al di là di quelle immagini che noi abbiamo chiamato piano fisico, piano astrale, piano
mentale, ove non v’è più percezione e quindi mondi da percepire, l’individuo è un insieme di “sentire”,
ossia di realtà relative sempre più estese. Ora, siccome “sentire” è “esistere”, è “coscienza d’essere”,
l’individuo è un insieme di “coscienza d’essere” sempre più ampia.
Alan – Ma questo “sentire”, nella struttura, cioè nella sostanza, che cosa è?
Kempis – Quando diciamo che Dio è “Sentire Assoluto”, non intendiamo dire che Dio sia un
organismo il cui prodotto sia “Sentire Assoluto”. In altre parole, noi possiamo credere che Dio sia fatto
di niente, perciò chiamiamo l’ipotetica sostanza di Dio “Spirito Assoluto”. Tuttavia non dobbiamo
credere che lo “Spirito Assoluto” dia la Coscienza Assoluta. Lo Spirito Assoluto è Coscienza Assoluta.
Poniamoci assurdamente nella posizione di osservatore esterno che volesse vedere come è fatto Dio.
Nel momento in cui ne osservasse una parte non osserverebbe più Dio, e lo “Spirito Assoluto”, così
idealmente circoscritto, diventerebbe relativo, diventerebbe perciò “sentire” relativo. Ma se
l’osservatore credesse che Dio fosse fatto di “sentire” relativo, sarebbe in errore. La somma dei
“sentire” relativi non darà mai il “Sentire Assoluto”; il “Sentire Assoluto” comprende e riassume in sé
tutti i “sentire” relativi, ma trascende la totalità di questi. Diversamente da così, ogni parte esisterebbe
oggettivamente e Dio sarebbe costituito di parti. Mentre noi diciamo che Dio è la Realtà Unica perché
Dio è un’unica Realtà. Perciò quando parliamo di “sentire” relativo, parliamo di virtuale frazionamento
dell’Assoluto; ossia di una parte dell’Essere idealmente circoscritta, ma della stessa sostanza
dell’Essere.
Il “sentire” relativo, a sua volta non è il prodotto di un organismo, è “Sentire Assoluto”
virtualmente limitato, circoscritto, ossia: una realtà relativa. L’individuo è un insieme di queste realtà
relative sempre più esteso, ossia di “coscienza d’essere” sempre più ampia. Ma siccome la Realtà
totale è unica, ne consegue che questa “coscienza d’essere”, man mano che si espande, non può
che identificarsi con tutte le altre realtà relative, cioè con tutti gli altri esseri e con la realtà cosmica,
ossia con la coscienza cosmica. La coscienza cosmica contiene l’intera realtà cosmica perché è la
realtà cosmica.
101
Alan – Ma come è possibile che uno stato di coscienza comprenda quello che noi stessi abbiamo
definito “piani grossolani”?
Kempis – Ed io ripeto che l’esistenza di questi piani non è oggettiva. L’esistenza di questi piani è un
presupposto che si fonda sulla percezione individuale. La stessa scienza umana, con i suoi strumenti,
non prova l’esistenza oggettiva di una realtà fisica, perché gli strumenti della scienza non sono che
trasposizioni dei sensi dell’uomo, strumenti fatti e concepiti in funzione di quei sensi. L’individuo-
uomo, attraverso a certi sensi, percepisce una parte della Realtà Unica e la trasforma in mondi,
l’esperienza dei quali amplia il suo “sentire”. Quando, per un più ampio “sentire” raggiunto,
abbandona il gioco della percezione, l’individuo è egli stesso una realtà relativa destinata a perdere il
senso della propria limitazione fino a identificarsi con tutti gli esseri, con l’intera Realtà cosmica ed
oltre.
Pace a voi.
Kempis (Domande: Alan)
La pace sia con voi e con tutti gli uomini. Saluto tutti voi singolarmente e particolarmente coloro
che per la prima volta sono qua presenti. Ci rivedremo fra cinque settimane, di sabato.
D. – Noi… vi ringraziamo… di tutto…
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
Adesso sono spiacente, ma debbo pregarvi di uscire, di lasciarmi solo con il figlio Alfredo che è
alla destra dello strumento.
Accendete una luce lontana.
Dali
Dopo il colloquio con Alfredo Ferraro Dali ha fatto chiamare Anna Paciscopi per un colloquio a
solo.
Come fenomeni fisici è stata materializzata una maschera messicana dalla Guida Fisica, molto
lentamente in modo che attraverso le luci scaturenti dalle mani del medium, potessero essere
osservate tutte le fasi della materializzazione. La maschera fu consegnata alla signorina B.
Altro apporto fatto da Dali, solo con il fisico Alfredo Ferraro e a luce accesa, fu una piccola chiave
istoriata da consegnare alla compagna di Alfredo Ferraro.
102
17 Gennaio 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi
ed a coloro che, durante questi momenti non sono qua presenti, ma ci pensano.
Questa sera abbiamo udito molte domande, domande che riguardano i vari aspetti
dell’insegnamento, per cominciare da quello del piano fisico. Ebbene, è giusta la vostra
preoccupazione di prevenire eventuali obiezioni da parte di persone, preparate, che leggano ciò che
noi abbiamo detto a proposito dei fenomeni inerenti la formazione della materia, sì. Ma occorre tenere
presente che certe apparenti – non direi neppure discordanze – ma non identiche affermazioni fra
quello che abbiamo detto e quello che la vostra scienza afferma, debbono essere ricondotte a una
non completa visione della materia da parte della scienza.
Anticiperò intanto, per esempio, la questione del calore che noi abbiamo detto essere un
fenomeno riguardante gli atomi, e lo confermiamo. Per vedere quanto questa affermazione sia
riconosciuta da parte della vostra scienza, pensate ai fenomeni del cosiddetto “plasma”.
Ancora voi avete ricordato la questione della massa dell’elettrone. Ecco, qua, se mai, c’è da fare
una precisazione ed è questa: allorché noi vi demmo quella formula, parlavamo con creature che non
erano molto interessate alle affermazioni della scienza, per cui quella formula fu da noi alquanto
semplificata. Ponemmo cioè la massa dell’unità elementare eguale ad uno; ma in effetti non è così.
Se dobbiamo pensare ad un numero massico, pensiamo a circa 0,9457, qualcosa del genere. Che
cosa accade? Non solo che ancora questo non è il numero massico dell’unità elementare, perché va
diviso per dieci milioni, ma che – per una questione matematica – questa divisione – dieci milioni, per
trovare il giusto numero massico – va tenuta fuori delle operazioni; va eseguita solo al termine dei
quadrati. Per esempio, noi abbiamo detto che la massa dell’unità elementare è 0,9 eccetera; per
trovare la massa della particella occorre moltiplicare la massa dell’unità elementare per sette,
ricordate? Dopo di che questo totale va moltiplicato per se stesso. Ecco, a questo punto, la massa
delle particelle, quel numero che abbiamo trovato, sarà il numero stesso diviso per dieci milioni.
Per trovare ancora la massa del corpuscolo, dovremo rifarci al numero trovato e riferito come
“massa della particella”, non acora diviso per dieci milioni, moltiplicato per se stesso; ma la massa del
corpuscolo sarà il totale diviso dieci milioni. Finché troviamo la massa del cosiddetto nucleo in effetti
noi dicemmo che la massa del nucleo era un numero piuttosto alto, ricordate? Ma la realtà ci dimostra
che i nuclei sono raggruppati tre a tre ed ecco ancora un numero che ricorre spesso nella costituzione
del Cosmo, così come i nostri mezzi di indagine ci fanno vedere perché voi sapete benissimo – da
quel che vi abbiamo detto da quel periodo ad oggi – quanto tutte queste realtà che si credono
103
precise, siano in effetti delle apparenze che si mostrino in un certo modo in dipendenza stretta dei
nostri sensi e dei nostri mezzi d’indagine, ma che la Realtà Assoluta sia del tutto diversa.
E qua mi ricollego alla domanda che ha fatto il figlio L. – non per rispondere, perché risponderà il
Fratello Kempis – ma per ricordarvi che le domande alle quali rispondiamo volentieri sono quelle che
trovano interesse nella generalità dei presenti, che suscitano in tutti una certa riflessione ed una
partecipazione intensa. Così il Fratello Kempis risponderà alla domanda del figlio L. perché essa ha
trovato eco in tutti voi o quasi in tutti. Ma voi sapete qual è ormai il nostro metodo di rispondere ed è
quello di farvi giungere direttamente alla risposta; cioè di fornirvi gli elementi e di lasciarvi trarre le
conclusioni dovute.
Per quanto – così avete chiesto – circa la molteplicità degli esseri in rapporto alla coscienza
cosmica, vi mancano ancora degli elementi per rispondere a questa domanda, dato che non tutti siete
d’accordo. Allora ciò significa che, evidentemente, non siamo stati sufficientemente chiari nel fornirvi
questi elementi. Cercheremo di fornirvene altri, partendo da altri punti di vista, fino a che voi potrete
quasi concordemente giungere alla conclusione. Mentre per quanto attiene alle domande inerenti
all’insegnamento del Fratello Claudio, egli stesso risponderà direttamente nella riunione che svolgerà
lui, ricordate, vero? Ve lo abbiamo già preannunciato. Non ci resta che lasciarvi momentaneamente.
Comprendo tutti i vostri pensieri, tutti i vostri desideri e le vostre preoccupazioni che riguardano la
vostra vita personale, figli, e posso assicurarvi, come sempre, che noi cerchiamo di infondervi forza
per superare certe cose che non possono essere allontanate, che sono vitali per la vostra evoluzione.
Di questo siate certi e sentiteci vicini a voi.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Io sono Walter Rudolph Hess, dottore in Zurigo.
Amavo la ricerca scientifica, quella sistematica. Ma qualunque metodo è sempre imperfetto.
L’osservazione diretta per mezzo dei sensi non prova molto, ammesso che sia esatta. Allora si cerca
di sostituire l’osservatore con mezzi di indagine sempre più complicati, ma l’osservatore non potrà
mai essere sostituito interamente poiché non si avrebbe più alcuna informazione. Fino a che punto è
esatta un’ipotesi teoretica passata su numerose e complicate osservazioni? Fino a che punto la realtà
non è modificata dai sistemi di indagine? Due grandi interrogativi! Ed ora una cosa è certa: riguarda la
cellula. Nel citoplasma, insieme ai mitocondri ed agli altri componenti, il condrioma, vi sono particelle
elementari analoghe ai geni posti nei cromosomi. Di questo sono certo. Ho sempre sospettato, nei
miei studi, l’esistenza di queste particelle: adesso ho la certezza!
Grazie.
Walter Rudolph Hess
Claudio vi saluta.
Sareste voi capaci di descrivere, a chi non fosse dotato di senso olfattivo, che cosa è un profumo
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o che differenza c’è fra un profumo e l’altro? E più ancora, descrivendoli, suscitare negli altri le
gradevoli sensazioni indotte dai buoni odori? Credo che nessuno potrebbe fare questo. Così noi non
possiamo farvi provare la vita del “sentire” semplicemente parlandovene; ma se ve ne parliamo è per
polarizzare la vostra attenzione sulla possibilità di un’esistenza condotta diversamente dalla vostra, al
di là delle convenzioni che vi condizionano, al di là degli schemi e delle limitazioni disegnate dall’io.
Ma voi non dovete credere che una tale esistenza sia raggiungibile in un’altra dimensione e in un altro
tempo, che la liberazione avvenga in altri piani di esistenza o in un’epoca futura. La liberazione della
quale vi parliamo non è affrancamento dalla contingenza, ma dal vostro io, dal limitato e
convenzionale modo di concepire la vostra esistenza. Essa significa abbandonare i rigidi schemi che
vi condizionano per dischiudervi all’eterno ed all’infinito. Tale liberazione si realizza nella costante
consapevolezza delle azioni, dei desideri, dei pensieri, essendone consci nel presente, vivendo
l’attuale, non considerandosi paghi del passato, non rinviando al futuro. Una coscienza costretta nello
schema “io non-io” non potrà mai divenire una con cio che è senza principio né fine, né divisione.
Ponendo la vostra attenzione al di là dei confini creati dall’io, è raggiungere una nuova dimensione
della Realtà nel modo più vero – perché l’unico – che è quello di ampliare la propria coscienza,
raggiungere un nuovo “sentire”.
Pace a voi.
Claudio
Buona sera amici, La Guida Fisica vi saluta.
Come al solito vi prego di attendere… È per questa sorella… Vi prego di stare un attimo
concentrati.
Pace a voi, cari.
Michel
Salve a voi.
Gli argomenti dei quali ci stiamo interessando fanno un curioso effetto, fanno assumere alle
parole un significato e talvolta tutto l’opposto; perciò voi non dovete adontarvi se io metto alla prova
ciò che avete inteso, ultimamente, invitandovi a riflettere su questo: l’uomo possiede una visione
limitata della Realtà, ma esatta nei suoi elementi posseduti, oppure no? E se aumentassero le
possibilità di percezione dell’uomo, si aggiungerebbero altri elementi precisi in modo da formare un
tutto omogeneo e più vasto, oppure la nuova visione sarebbe del tutto diversa? A queste domande
risponderete con comodo perché c’è del tempo, c’è del tempo.
Dicemmo una volta che l’uomo è “oggetto” e “soggetto” della creazione. Per capire che cosa
intendiamo con questa affermazione, pensiamo un istante a Dio in termini panteistici. La natura, nel
suo complesso, compreso l’uomo, sarebbe l’oggetto della creazione, mentre l’uomo – con la sua
possibilità di conoscenza – costituirebbe il mezzo attraverso al quale la natura prende coscienza di se
stessa. Se Friedrich Schelling avesse pensato a questo, evidentemente non avrebbe definito la
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natura come “un pensiero privo di coscienza”. Povero Schelling, aveva cominciato così bene con il
suo Assoluto, per naufragare poi miseramente quando si trattò di spiegare la molteplicità dei mondi
rispetto all’unità dell’Assoluto. Allora non seppe trovare niente di meglio che pensare ad un distacco
di questi mondi dall’Assoluto; cioè una specie di storiella degli Angeli caduti in chiave variata.
Dicevo che l’uomo – oggetto della creazione – crea a sua volta, e non già nel senso materiale,
perché allora più proprio sarebbe dire “distrugge”, “demolisce”; ma nel senso che ha, del mondo che
percepisce, una personale concezione, una particolare esperienza e vi assicuro che se anche le
esperienze possono sembrare simili, sono tuttavia diverse, uniche ed irripetibili per ogni individuo.
Questa affermazione potrebbe farci pensare a Dio in termini diversi da quelli che comunemente
abbiamo conosciuti. Certo che fra l’idea teista – cioè di Dio inteso come un’Entità antropomorfa,
distinto dalla Sua creazione – e l’idea panteistica, non esisterei a definire più aderente alla Realtà
quest’ultima che non la prima. Da sempre abbiamo detto che Dio è in tutto e che tutto è in Dio, perciò
il concetto panteistico sembrerebbe avvicinarsi molto al Dio vero; tuttavia, nel momento stesso che
affermiamo che Dio è oltre il mondo, oltre il manifestato ed oltre la totalità del Tutto, riconosciamo al
panteismo solo una piccola parte di verità: Dio è al tempo stesso “immanente” e “trascendente” la
manifestazione. Quali rapporti vi sono, in realtà, fra Dio e l’esistente? Ancora una volta siamo di fronte
ad un concetto che deve essere approfondito.
Dalle nostre affermazioni appare, lapalissianamente, che noi respingiamo il concetto di creazione
inteso come l’atto con cui Dio trae dal nulla tutte le cose rimanendo separato dalla Sua Opera; e
perciò respingiamo anche l’ampliamenteo di questo concetto operato da Tommaso d’Aquino secondo
cui la vita stessa del creato è un continuo atto creativo. Dalle nostre affermazioni appare più logico
pensare all’emanatismo, cioè credere che la molteplicità degli esseri derivi per emanazione dall’Uno-
Assoluto, e che per successiva condensazione si giunga alla materia; tuttavia anche questo concetto
non è aderente alla Realtà se con esso crediamo che Dio rimanga distinto dalla emanazione; se
pensiamo all’emanazione come ad un evento oggettivo. Infatti ne deriverebbe un Dio non certo
atemporale ed in continua mutazione.
È vero che i neoplatonici affermano che la “quiete perfetta di Dio” non viene minimamente turbata
dalla continua emanazione, ma è altresì vero – e voi dovrete convenirne con me – che questo
concetto così com’è enunciato, può essere accettato dalla logica solo se pensiamo all’emanato come
a qualcosa di distinto da Dio, cosa assurda perché – vedete – noi non respingiamo tanto il concetto di
creazione perché, secondo questo, Dio trarrebbe dal nulla tutte le cose, quanto perché esso ammette
l’assoluta separazione fra Dio ed il creato. Di pari respingiamo il concetto di emanazione, se
pensiamo che l’emanato abbia una sua fase di esistenza oggettiva; se ci figuriamo che Dio crei i
principi e gli elementi – che potrebbero essere gli esseri ed i mondi – e che poi questi abbiano
un’esistenza indipendente ed indeterminata rispetto a Dio, spettando agli esseri creare nei mondi una
sorta di Repubblica ideale come quella vagheggiata di Platone. Ora è chiaro che affermando che Dio
trascende la totalità del Tutto, ne consegue logicamente che il mondo umano non ha incidenza nel
divino. Ma questa affermazione non deve farci pensare ad una trascendenza di Dio, rispetto al
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manifestato, eguale a quella concepita, per esempio, dall’idea ateistica; la non relazione fra la
mutabilità dei mondi e l’immutabilità di Dio ha un’altra spiegazione, e voi lo sapete. Infatti abbiamo
cercato di farvi capire come il Tutto-Uno-Assoluto, cioè Dio, ancorché assurdamente considerato
come l’insieme di parti – i mondi in continua mutazione – in effetti non muta affatto. Questo perché ciò
che noi vediamo mutare in realtà è il mutabile, è un insieme di situazioni – chiamiamole così – fisse
nella eternità del non tempo; e la mutazione nasce dalla percezione in successione di queste
mutazioni, così come la storia narrata in un libro acquista vita e svolgimento solo nella mente del
lettore ed in funzione di essa. Da ciò si comprende come “creazione” o “emanazione” o non è mai
avvenuta o è sempre stata. Cioè è un evento che si coglie nel gioco illusorio della percezione
soggettiva e perciò non incide sull’oggettività di Dio. Questa è la vera ragione per cui “creazione” o
“emanazione” non tocca la realtà di Dio.
Ora, la verità di questa affermazione, per chi non abbia possibilità di verifica, può essere…
confortata dalla convergenza di conclusioni derivanti da altre considerazioni. Per esempio, possiamo
pensare che Dio tragga dalla manifestazione un utile, nel senso che essa sia necessaria a Dio?
Invero, non essendo un evento oggettivo, nulla porta a Dio, né Dio muta in conseguenza
dell’apparente svolgersi dei mondi. Perciò siccome “creazione” o “emanazione” non tocca la Realtà di
Dio, ne consegue logicamente che non può esservi un perché della manifestazione a livello di Dio.
D’altra parte se è vero che il divenire dei mondi, non essendo un evento oggettivo, non tocca la
Realtà di Dio – nell’ambito di ciò che appare ma non è realmente – questo non vuol dire che il
divenire non abbia un fine; cioè che sia privo di significato per gli esseri che vivono, questo divenire.
V’è dunque una duplice valutazione della manifestazione. L’una sul piano soggettivo ed è che la vita
dei mondi da cui traggono esistenza gli esseri, conduce gli esseri a Dio. L’altra sul piano oggettivo ed
è che su questo piano la manifestazione non rivela, nulla porta né trae a Dio. Solo in questo senso
perciò possiamo accettare l’affermazione dei neoplatonici circa la “quiete perfetta di Dio”.
Sul piano assoluto, oggettivo, non esiste né creazione, né emanazione, né manifestazione, né
esseri, né mondi. Esiste solo Dio, ed è quindi assurdo cercare un perché della manifestazione sul
piano assoluto.
Guardate, gli esseri orientali che però hanno intuito molto della Realtà oggettiva, hanno
commesso l’errore di voler cercare un perché della manifestazione. Infatti non si deve credere che
l’irrazionalità sia patrimonio delle teologie occidentali. A parte il fatto che queste nulla dicono in
proposito, voi dovrete convenire con me che l’opinione degli orientali al riguardo è alquanto amena; o
sono alquanto amene perché ve ne sono più di una, tanto che forse meglio sarebbe stato il silenzio.
C’è infatti chi dice, per esempio, che la manifestazione null’altro sarebbe se non un “sogno di Dio”. E
qua mi rendo conto perfettamente che essendo voi consapevoli del fatto che i sogni non sono
volontari, solo per questo siete trattenuti dal bestemmiare. Altri dicono, non per spiegare un concetto
ma per dire che realmente è così, che la manifestazione è “un pensiero di Dio”. Forse più proprio
sarebbe dire “è un pensiero per l’uomo”, è vero, fratelli? Ma c’è di peggio: c’è chi afferma che tutto
avviene per divertire Dio e che noi altro non saremmo che dei burattini nelle mani di questo
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bambinone che sarebbe Dio. C’è poi chi dice che Dio è ammalato di solitudine e che allora emana un
Cosmo dopo l’altro così come una dopo l’altra si mangiano le ciliege o le noccioline. Poi c’è chi dice
che Dio è “amore” e che quindi ha bisogno di crearsi degli oggetti da amare, precorrendo con questo
concetto l’uso, nella vostra epoca, di certe bambole di gomma. Insomma, anche tralasciando questo
comportamento così infantile di Dio, voi dovete convenire con me che la manifestazione non può
essere conseguenza di alcunché. Ed è chiara la ragione: la vita di Dio è eterna, cioè senza tempo;
non è uno scorrere, così non può esservi un momento in cui Dio crei o emani qualcosa, o in cui in Lui
si sia determinatala ragione che ha dato origine al Tutto. Se così fosse, vi sarebbe un preciso punto di
riferimento in Dio, che sarebbe giusto l’inizio della manifestazione. Allora vi sarebbe un Dio privo di
manifestazione ed un Dio completo di manifestazione; cioè la manifestazione sarebbe in realtà
oggettiva – cosa che non è – ma se anche lo fosse dovrebbe avere la stessa natura di Dio, per
esempio, essere atemporale, ossia non avere inizio né svolgimento né fine; cioè non avere variazione
nei confronti di Dio, proprio come sempre vi abbiamo detto.
L’unica cosa che c’è da dire – sottolineo: non che possiamo dire, ma che c’è da dire – è che tutto
è per la natura di Dio, cioè che Dio stesso, in Sé, è la causa del tutto, e come non c’è una ragione
all’esistenza di Dio, così se ammettiamo che la manifestazione non incida su Dio – e non può essere
diversamente altrimenti si tratterebbe di un Dio mutabile – ne consegue che non può esservi un
perché della manifestazione a livello di Dio. Così come quando durante la notte sparisce la luce del
sole ciò non dipende dal sole.
Sul piano assoluto non possiamo pensare a manifestazione, creazione, esseri, mondi. Esiste
solo Dio. E direi che Dio non crea né emana, né manifesta nel senso che gli uomini credono: mi
dispiace distruggere questa vostra immagine romantica di Dio. Sono stato alquanto titubante prima di
dirlo ma, che ci piaccia o no, questa è la Realtà.
Sul piano relativo, tutto quanto esiste – possiamo chiamarlo creato, emanato, manifestato, o
come volete – non esiste per un atto di volontà di Dio, che Dio non ha atti di volontà: esiste
unicamente in dipendenza della Natura di Dio. Sul piano assoluto – lo ripeto – non possiamo parlare
né di creazione, né di emanazione, né di manifestazione, né di esseri, né di mondi. Esiste solo Dio. E
non dobbiamo confondere ciò che gli uomini hanno intuito di Lui, e che hanno cercato di appellare in
qualche modo con Lui.
Egli non è il Dio di Abramo, né di Confucio; non è Brahama, non è il “Padre” del Cristo, né l’Allah
di Maometto. Non è né bene né male, non è amore contrapposto all’odio, non è giustizia, ma non è
parzialità; non è misericordia ma non condanna. Egli è al di là del gioco dei contrari, ma essendo la
“somma pienezza” è tutto ciò che vi manca: amore per chi non è amato, beatitudine per chi soffre,
tutto per chi nulla è. Egli è l’Uno che appare come molteplice, ma non è l’apparenza, perché “è ciò
che È”. È infinito perché l’unico, eterno perché immutabile, in realtà indivisibile perché in realtà è il
solo che esiste. Egli è completo perché è il Tutto che tutto comprende, ma non è il Tutto perché il
tutto trascende. Egli è assoluto “sentire” ed “essere”, nostra reale condizione di esistenza. Invoco lo
Spirito che è in voi, il solo capace di dare senso al mio misero balbettare…
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Kempis
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Veniamo a chiudere queste nostre comunicazioni. La prossima riunione sarà allora – come vi ho
detto – per alcuni amici che vengono da fuori e sarà fra tre settimane. Vi benedico, se non avete…
D. – Mi è stato detto di farti la domanda riguardo ai libri, al lavoro, riuniti in questi ultimi tempi, per
sapere l’ordine cronologico degli insegnamenti, e se possono sperare in un vostro intervento oppure
no.
R. – Se ce lo chiedete non possiamo rifiutarlo, figli. Certo, a suo tempo, faremo anche questo.
D. – Grazie infinite.
R. – Solo l’Altissimo sia ringraziato.
Vi benedico ed abbraccio tutti, o figli.
Dali
109
07 Febbraio 1976
Riunione per gli amici di altre città.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Eccoci qua riuniti questa sera, o figli, in una maniera un po’ inconsueta perché abbiamo ascoltato
il vostro invito di fare udire direttamente i nostri messaggi a voi che lo chiedevate.
Generalmente quando si assiste ad una cosiddetta “seduta spiritica”, si ha sempre la segreta
speranza che qualcosa di particolare venga a ciascuno, che siano soddisfatti interrogativi personali di
ognuno di voi, che sia possibile assistere a dei fenomeni inconsueti. Ma, come avete udito da quanto
è stato riletto questa sera, il vero scopo delle nostre riunioni è quello di far spostare la vostra
attenzione ad una concezione diversa della realtà nella quale vivete; una concezione che la fretta del
vostro tempo, i vari problemi personali che vi assillano, della famiglia, del lavoro e via e via, vi fa
trascurare, non prendere in considerazione. E noi, quando possiamo farci udire, invece, facciamo di
tutto per ricordarvi che tutto questo lavorare, tutto questo affannarsi è importante nella misura in cui
realizza migliori condizioni, diviene una forma di aiuto per gli altri. Non è invece importante – anzi, è
un inutile affannarsi – allorché il vostro agire sia un’azione che si rivolge nei confronti di voi stessi,
allorché questo affannarsi, questo correre, non sia in effetti che un cercare di imporvi, di apparire, di
“divenire” in prestigio, potere, grandezza, importanza e via e via. Ciò che noi vi diciamo, o figli, non
significa che dovete cospargervi il capo di cenere e fare quello che per tanti anni è stato fatto; no, ma
significa che voi dovete impostare diversamente il vostro concetto della vita. Se anche voi sentite il
desiderio di agire per espandere voi stessi, per ingrandire la vostra importanza, ebbene fatelo ma
siate consapevoli di ciò; sappiate che tutto quello che fate lo fate con questo fine; non celate la vera
vostra intenzione dietro scopi umanitari o, peggio ancora, dietro una insensibilità di coscienza, senza
chiedervi perché lo fate. Voi dovete seguire il vostro desiderio perché laddove è il desiderio è “voi
stessi”, ma quello che noi vi chiediamo è che non siate inconsapevoli di ciò che fate, della vera
intenzione che vi spinge ad agire. Domandate continuamente a voi stessi: «Perché faccio questo?».
Null’altro! Può sembrare molto poco ma vi assicuro che, invece, è tanto. Purché sia fatto con
costanza, ogni giorno. Ogni giorno prendetevi l’impegno di chiedervi qual’è la spinta che vi ha mosso
durante la giornata; vedetela in tutta la sua crudezza, senza infingimenti, con sincerità, senza
rimanere male se, a questo esame, apparite a voi stessi peggiori di quanto vorreste essere. Non ha
alcuna importanza. Ciò che ciascuno è veramente, tale rimane qualunque cosa possa dire di se
stesso o gli altri possano dire di lui. Quindi abituatevi ad essere sinceri con voi stessi, guardare con
sincerità l’intimo vostro e scoprire la vostra realtà.
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Non ho altro da consigliarvi per il momento perché tante sarebbero le cose da dire a ciascuno di
voi sempre con questa intenzione. Ma spero che ciascuno sia riuscito ad avere risposta al suo
problema da queste parole; rileggendole, riascoltandole, forse potrà penetrarle meglio, potrà capire il
vero senso di esse. Io vi assicuro che esse sono grandemente utili per il vero scopo della vostra
esistenza che è quello di procedere verso un allargamento dei confini di voi stessi.
Avete qualche domanda voi, figli?
Bene, allora vi lascio momentaneamente raccomandandovi di stare concentrati.
Dali
Manifestazione della Guida Fisica con due apporti.
La Guida Fisica ha iniziato la realizzazione di un apporto, autorizzando un partecipante a
fotografare la prima fase quando l’oggetto era abbozzato, e poi la fase in cui l’oggetto risultava
completo. L’oggetto è di metallo e raffigura una specie di piccolo paniere. Sono stati apportati anche
due ramoscelli di “crataegus”.
Io sono fra voi, sono a raccogliere i vostri pensieri e le vostre preoccupazioni, a darvi una parola
di speranza. Pensate a giorni felici, ai vostri cari, ai vostri problemi come li inserite nella vita; pensate
a quell’angoscia che talvolta vi serra la gola… Pensate che tutto questo è un’ombra, qualcosa che
finisce assai rapidamente. Chiamatemi: io sarò vicino a voi, cercherò di aiutarvi quando temete per il
futuro, per la vostra sicurezza, per i vostri cari, i vostri figli, i vostri compagni. Per coloro che
attendete, per tutti quelli che sono vicini a voi, io cercherò, con le mie poche forze, di aiutarvi, di
condurre i vostri pensieri nella serenità, nell’equilibrio, nella tranquillità.
Oh figli e fratelli miei, quanto vorrei trasfondere in voi la certezza che tutto questo presto finisce...
e un pensiero che è così rapido a volgere, così difficile a vivere… ma così breve!
Cari, cari figli miei e miei fratelli, quanto vi amo!
Abbiate forza, abbiate coraggio!
Teresa
Salve a voi.
Generalmente quando l’uomo pensa all’aldilà, si immagina che se v’è la possibilità di comunicare
con questo misterioso spicchio dell’esistente, chi parla certamente dirà cose che ormai sono
improntate alla morale conosciuta dalla religione o dalle religioni. Io vorrei, invece, questa sera fare
un’azione di rottura nei vostri confronti, dire qualcosa che rientri in un tema attuale, se me lo
consentite.
Ebbene, potremmo appunto cominciare dalle religioni, dal problema religioso, per dire che
indubbiamente ogni uomo si domanda almeno una volta nella sua esistenza, lo scopo della sua vita
terrena. Una risposta a questa domanda può venirgli solo dalle teologie religiose, cioè rientra nel
novero delle cose credibili unicamente per fede, e perciò ciascuno può scegliere la risposta che più gli
aggrada avendo questa, sul piano oggettivo, i valori di una semplice opinione, né più né meno. Ora il
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fatto che una opinione possa essere più o meno fondata, voi dovrete convenire con me che non toglie
valore all’opinione, almeno dal punto di vista soggettivo. Tant’è vero che molti hanno affrontato la
morte, oppure indirizzato in un certo senso la loro esistenza, unicamente in dipendenza delle loro
opinioni. Invece sul piano oggettivo, il valore di ogni opinione, anche di quelle che sembrano ben
basate e discendenti da principi universali, è sempre aleatorio; questo perché le regole da cui
traggono ispirazione sono sempre relative. Lo abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo questa sera
per voi, che non ci seguite abitualmente.
Vogliamo fare un esempio? Bene! Cerchiamo qualcosa che sia contro un principio
apparentemente bene identificabile e vediamo se tutte le volte che il principio è leso, il giudizio di
condanna si mantiene costante. Potremmo intitolare questo nostro studio: “degli atti contro natura”,
titolo meraviglioso che farebbe felice un moralista; pensate che piatto succulento per lui: azioni
condannate e dalla religione e dalla morale; peccati per i quali l’unico destino del peccatore è il fuoco
eterno! Non c’è dubbio. Dio ha dato i Suoi Comandamenti – si dice – ha fatto conoscere la Sua legge
e ove questa tace, c’è sempre un modello di comportamento a cui rifarsi: la natura che vive costretta
nelle leggi del suo creatore. Tutto ciò che non segue certe regole naturali, anche se null’altro vi fosse
a condannarlo, solo per quello sarebbe condannabile.
«Mamma – chiede Pierino – quali sono le cose contro natura?». Che rispondere a una domanda
così imbarazzante e per di più fatta da una innocente? – pensa la madre – e cerca di salvarsi con il
vecchio sistema di eludere la domanda: «Sono quelle che non si addicono alla tua natura…». «E qual
è la mia natura?», replica Pierino. «Tu sei un maschietto e male sarebbe – sarebbe contro natura –
che ti comportassi come una femminuccia. Vedi gli animali? Ognuno fa la parte che Dio gli ha dato: il
leone fa il leone, la pecora fa la pecora e così via». Dolce e ingenua mammina! Se tuo figlio fosse un
po’ più smaliziato obbietterebbe che se allora è naturale assecondare le proprie inclinazioni
congenite, derivanti dalle caratteristiche morfologiche del tipo somatico al quale si appartiene, allora
male fa l’iroso a controllarsi ed, al limite, il ladro a non rubare. Pierino può accontentarsi di questa
risposta, ma noi no. Infatti fra le caratteristiche somatiche e le inclinazioni congenite, spesso v’è una
netta opposizione. Allora qual è la natura dell’uomo? Quella del suo fisico o quella del suo intimo?
Logicamente si può rispondere che per quanto attiene alla sfera d’azione del corpo fisico, la natura è
quella del corpo. Benissimo, non fa una grinza. Ma allora è contro natura che l’uomo voli, vada negli
spazi, cucini i cibi, si vesta, si trucchi, semini, mieta, raccolga in granai; tutta la vita dell’uomo,
dell’intelligenza e del progresso allora è contro natura. – Come dite? Che la cosa va intesa per la sola
sessualità? La regola vale solo per il sesso. – Capisco. Infatti vedo che in questo campo l’uomo
segue scrupolosamente la natura, ritenendo contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti
al fine della procreazione. – Come dite? Che non è così in effetti; la regola può essere disattesa pur
restando norma naturale, norma generale. – Capisco. In altre parole allora, il comportamento, pur non
essendo identico a quello della vita dei regni naturali, rientra tuttavia nella norma della generalità degli
uomini. Ma allora la norma non ha a che vedere con la natura, è qualcosa che tiene conto
dell’opinione della generalità degli uomini, come le imposizioni tributarie e quelle militari. – Come
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dite? Lì c’entra la ragion di Stato. – Ah, capisco. Ma allora che cos’è la norma? Bello sarebbe
rispondere: «Un’opera lirica del musicista Vincenzo Bellini», e con una battuta più o meno spiritosa
cavarsi d’impaccio. Ma qua stiamo parlando di cose serie e, soprattutto, precise; perché infatti se
affrettatamente si definisce “norma” o “regola” ciò che rientra nel comportamento generale, nello
standard generale di una società, allora – per esempio – fra la genialità e la prostituzione, è molto più
singolare e perciò molto più condannabile il genio della prostituta. Ma in effetti, all’atto pratico, non è
così. Allora, qual è la vostra norma? Perché la logica mi dice infatti che se la norma è quella della
natura, allora, per esempio, è contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti al fine della
procreazione, metodo Ogino incluso, che non fa salva l’intenzione. E chiunque non segue
scrupolosamente questa regola, non abbia voce per condannare ogni altro che la violi.
Scommetto che non tutti siete d’accordo con me, è inevitabile. Seguite la norma che crea le
norme. È insito nella natura egoistica di ogni uomo stigmatizzare gli altri per innalzare se stessi;
naturalmente il giudizio di condanna deve trovare riferimento in qualcosa, nel comportamento degli
altri, che sia condannabile da un qualunque punto di vista. Perciò si passa in rassegna la loro vita, la
si confronta con la propria e, dal confronto, si pongono in evidenza quelle azioni che – così a freddo e
ben lontani dalla contingenza – si crede non facciano parte della propria natura, dimenticando che
l’occasione fa l’uomo ladro. Ne consegue che certe azioni che rimangono singole rispetto al
comportamento generale, vengono bollate col marchio dell’infamia e così la regola è creata. Sicché la
regola non individua certi valori assoluti, non ha un valore in sé, ma è tale in quanto rispecchia il
comportamento generale degli individui di una società: una questione statistica insomma, ed il
giudizio di condanna che subisce chi la viola non deriva dal bisogno del giudice di erigersi a tutore di
supposti valori morali, ma unicamente dall’istinto di ognuno di trovare nel comportamento degli altri
qualcosa di condannabile da un qualunque punto di vista, perché mostrando il fango che si è gettato
sugli altri si crede di nascondere il proprio. Abbassando gli altri si è convinti di innalzare se stessi. La
conclusione di questo discorso, e cioè la relatività delle norme morali di una società, è fin troppo
scontata.
Ma che cosa succede quando queste norme sono credute Comandamenti dettati da Dio? E qua
ci riallacciamo ancora una volta al discorso religioso che abbiamo avviato all’inizio; anche senza
entrare nel merito della “dettatura”, è chiaro che il valore rimane egualmente relativo. Se infatti ancora
una volta – e questa volta per nostra comodità – ci rifacciamo alla natura, osserviamo come ogni
specie abbia le sue regole di vita, che sono quelle e vanno bene per quella specie e non per un’altra.
In modo analogo dunque, i Comandamenti di Mosè, per esempio, non possono contenere tutta la
moralità o la più alta moralità; è evidente che si tratta di principi quanto meno riferibili ad un dato tipo
di società, ad una fase della evoluzione degli esseri. Infatti per la fase della evoluzione che voi dovete
compiere, il “non uccidere” di Mosè è l’inizio di un discorso che si concluderà col superare la visione
egoistica della vostra esistenza. Quanta strada, eh fratelli?
Allora sorge una domanda: nell’ambito di questo discorso, c’è una regola che sia valida in senso
assoluto per ogni uomo, dal selvaggio al Santo che sta per lasciare la ruota delle incarnazioni
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umane? Evidentemente no, perché ciò che è “ideale morale” del Santo, applicato al selvaggio ne
paralizzerebbe ogni moto vitale. Non solo, c’è dell’altro. Guardate: nelle società umane una legge è
un insieme di principi generali ed astratti che dovrebbero vigere per ogni uomo che si trovi nell’ambito
territoriale di quella società. Chi è preposto alla promulgazione delle leggi, cura che queste divengano
di pubblica conoscenza. Una volta, quando gli uomini non sapevano leggere e scrivere, v’erano le…
“grida”, cioè gli “editti” gridati dai banditori e in quel modo portati a conoscenza dei sudditi. Oggi,
invece, le vostre leggi sono pubblicate nell’intesa che ogni cittadino sappia leggere. E fino a che non
è assolta la formalità della pubblicazione, la legge non entra in vigore. Questo, ripeto, nel difettoso e
lacunoso mondo umano.
Ora, se lo scopo della vita dell’uomo fosse quello di fare la volontà di Dio, cioè di seguire le Sue
leggi, come si dice, queste dovrebbero essere eguali per ogni uomo; non solo, ma dovrebbero essere
conosciute da tutti gli uomini, cosa che non è in assoluto. Gli indios – o amerindi – per esempio, non
conoscono i Comandamenti di Mosè, né è vero che abbiano delle regole morali innate che li
sostituiscano; sicché quelle che dovrebbero essere leggi divine, non hanno quel carattere di
universalità che dovrebbero avere, primo perché non sono eguali per tutti gli uomini, secondo perché
non tutti gli uomini le conoscono o, quanto meno, hanno l’occasione di conoscerle e ciò esclude che
lo scopo della vita dell’uomo sia quello di seguire e di osservare le leggi di Dio.
Noi diciamo che lo scopo della vita dell’uomo è quello di superare l’egoismo che in lui nasce dal
senso di separatività. Questo scopo è raggiunto attraverso a molteplici incarnazioni, durante le quali
l’uomo, passo su passo, volge verso quella meta. Ma per raggiungerla ha valore tanto il “non
uccidere” di Mosè quanto la dottrina di Marx.
Nelle varie fasi della evoluzione umana, l’ideale morale che l’uomo deve raggiungere e fare
propria natura acquisita, potrà essere il “non uccidere” e poi il “non fare agli altri quello che non si
vorrebbe fosse fatto a sé”, e poi il “fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a sé”, ed infine
“l’amare gli altri come se stessi”. Ne consegue che il giudizio che si può dare, si può fare di un uomo
– ammesso che sia lecito giudicare – deve essere rapportato alla sua fase di sviluppo.
Il problema non si esaurisce qui. Rimane infatti la questione della “conoscenza”. Chi trasgredisce,
inconsapevole, la norma morale che deve fare propria natura acquisita, è colpevole? In altre parole,
per evolvere è necessario conoscere la meta che si deve raggiungere? A questa domanda risponderò
in un’altra occasione, sempre che vi sia qualcuno che fra tanti bei discorsi ed interessanti dei viventi,
preferisca venire ad ascoltare le parole di un trapassato. Ma credo di sì, perché in fondo siete degli
idealisti che vivono fuori del tempo e della concretezza. Nel vostro oggi, nel vostro mondo dove tutto
è politicizzato, non c’è spazio per voi: a chi vi appoggiate? La destra non ha peso, non è ascoltata; il
centro ha una sua religione da difendere, la sinistra è ufficialmente atea. Come pensate di essere
ascoltati? È una prospettiva alquanto sconfortante, dovete ammetterlo. Mi si obbietterà che la scienza
e la concezione del vivere di oggi, tutto insomma conduce l’uomo… (sì, accompagnate questo figlio;
non preoccupatevi, non è niente!)… alla massima concretezza, razionalità e tradizionalità, eppure mai
come oggi l’uomo si è sentito attratto dal misterioso e dall’irrazionale. È vero, dovete convenirne con
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me. L’interesse generale impedisce all’intelligenza dei tempi di porre una bella pietra tombale su
quella che è la più deleteria di tutte le pazzie che abbiano afflitto l’umanità: l’occultismo. Ma voi che
cosa avete da dare agli uomini, cari fratelli? Predire la loro buona ventura, scioglierli dalla loro mala
sorte, uccidere i loro nemici? Perché questo, per l’uomo, è l’occultismo. Vi guardo, fratelli, ed in voi
vedo altri uomini, fuori da qui, preda dei sottili inganni della mente, far soffrire. Altri che soffrono, altri
ancora – pochi invero – che hanno superato il dolore abbandonando la ricerca del piacere. Parlo a
quelli e dico: voi che vi siete liberati dai ceppi a cui il terrore della dannazione eterna e della sanzione
temporale avvince, voi che credete che tutto sia lecito al più forte e perciò cercate di accapparrare
quanto potere più vi è possibile, ascoltatemi. Parlo seguendo la vostra logica che è quella di valutare
ciò che dovete fare per vedere se vi conviene; soffocando le giuste istanze di chi è uomo come voi e
perciò ha gli stessi vostri diritti, uccidendo chi contrasta i vostri interessi, avversando chi segue
l’inevitabile ed irrefrenabile moto di rinnovamento del mondo, che cosa credete di comperare? La
vostra immortalità? Bene che vi vada, riuscirete a mantenere i vostri privilegi per la durata della vostra
vita, che nessuno sa, comunque sia, quanto breve sarà e che certo voi non avete il potere di
prolungare. Voi non credete alla sopravvivenza dell’essere alla morte del corpo: io vi credo. Ma se per
caso avessi ragione io, non vi chiedo che sarà di voi fra poco, dopo la vostra morte, ma vi invito a
riflettere a quante lacrime dovrete versare prima di imparare a non fare ciò che fate.
E parlo anche a quelli che si scandalizzano nel vedere prevalere la corruzione sulla rettitudine, il
vizio sulla virtù, la facile menzogna sulla scomoda verità. Voi che vedete trionfare chi fa tutto quanto
sapete non doversi fare, ascoltatemi: se è il timore che vi impedisce di imitare chi dite vi scandalizza,
allora non temete, agite pure, date libero sfogo ai vostri desideri di conquista; finalmente imparerete il
valore di ciò che sapete. Certo conoscerete lotte, affanni, amarezze; oh, farete soffrire e crepare di
invidia chi invidia come voi, ma sarete temuti e riveriti. Vi potrete permettere un bel funerale di lusso e
forse anche un monumento alla memoria. Vi pare poco?
Se invece siete convinti della validità delle vostre opinioni, allora di che v’impicciate? Vivete
secondo ciò che “sentite” e tanto vi basti. Siete ricchi di ciò che gli altri sono poveri e che non
possono comprare.
A chi non è riuscito a realizzare le proprie aspirazioni di ricchezza, i propri desideri di potenza,
dico: non questi l’uomo vive per realizzare ma se stesso, e la vera realizzazione è silenziosa ed
invisibile.
Infine a voi che sopportate il peso della vostra esistenza modesta, nell’ombra e nell’altrui
indifferenza, che fate il vostro dovere anche quando nessuno ve lo impone, che siete paghi di ciò che
avete comprendendo che una sola cosa è necessaria; che siete gli ultimi fra gli uomini non perché
siete timorosi o incapaci, ma perché avete compreso che nessuna ricchezza, nessuna notorietà,
nessun potere valgono ciò che sta al di là di essi, dico: un sottile velo separa la vostra
consapevolezza dalla mia realtà. Caduto quello, queste mie parole di speranza saranno la vostra
vivida certezza, e ciò è più di ogni ricompensa.
Pace a voi.
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Kempis
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Chiudiamo questo incontro sperando che rimanga scolpito nella vostra memoria e che vi sia di
aiuto nei problemi di tutti i giorni. Vi abbracciamo e benediciamo singolarmente. Vi assicuro che
conosco tutti i vostri problemi e che, per quanto ci è concesso, vi aiuteremo a risolverli.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
D. – Quando ci riuniamo Dali?
R. – Fra quattro settimane, con il Fratello Claudio. Cercate di non essere molto numerosi e di
prepararvi delle domande.
Pace a voi.
Dali
116
06 Marzo 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Un caro saluto a tutti voi, o figli, che siete qua riuniti questa sera e a tutti coloro che, pur non
essendo presenti, ci pensano.
Io debbo ringraziare il figlio Alfredo perché si è posto a nostra disposizione. La risposta alla sua
domanda, più che dalle parole, può venire dai fatti; ma a questo proposito posso dire che già all’inizio
di questo ciclo di insegnamento abbiamo a priori dato ogni risposta che riguardasse lo scopo della
nostra presenza fra voi. Quella quindi che vi demmo allora, o figli, è una risposta che è sempre valida
e che può soddisfare l’interrogativo su ciò che voi volete e potete fare.
Nell’esplicare certi fenomeni che qua avvengono, noi siamo soggetti ad una legge che non
possiamo non osservare; essa fa parte del piano con cui sono disposte queste cose. Tutto deve
avere uno svolgimento graduale. Ad ogni piccolo passo che noi possiamo fare, deve corrispondere
un’accettazione pacifica da parte degli uomini, non traumatica, ed è quindi nell’osservanza di questo
principio che noi dobbiamo e possiamo agire. Spero di essere stato sufficientemente chiaro.
Ma mi pare opportuna un’altra precisazione, o figli. Voi avrete osservato che le nostre
conversazioni vertono su diversi temi, trattati da differenti punti di vista, proprio perché ci rendiamo
conto della difficoltà che voi incontrate nell’afferrare certi concetti che esulano dalle umane
convinzioni e perciò cerchiamo di riproporveli da diversi punti di vista e con parole differenti.
Appagando la vostra curiosità iniziale circa la condizione d’esistenza in cui ci troviamo noi che
abbiamo abbandonato la Terra, abbiamo cercato di prospettare alla vostra attenzione una visione
generale di ciò che “è” in modo che poteste trarre convinzione che nell’esistente non c’è irrazionalità
alcuna, che tutto quanto ha uno scopo ed una ragione ben precisa. Se e quanto siamo riusciti in
questo intento, voi soli potete affermarlo. A illustrare ed ampliare questa visione generale di ciò che
“è” non costituisce il solo scopo delle nostre comunicazioni, anzi direi è solo un punto d’attracco per
giungere all’altro fine del nostro dire, che è quello di indurvi a porre attenzione al mondo vostro
interiore. Non c’è dubbio che la natura abbia la capacità di farvi evolvere; come vi ha condotto fino a
questo punto senza la vostra volontà, potrebbe condurvi oltre. Ma ciascun individuo ha, proprio dalla
natura, un sussidio al suo evolvere; la possibilità di capire senza esperire direttamente.
Noi vi parliamo della Realtà che sfugge alla vostra percezione proprio per mostrarvi la verità e la
validità dell’altro discorso che vi facciamo. In altre parole cerchiamo di indurvi a servirvi di quel
sussidio che la natura mette a vostra disposizione, così che possiate esperie in modo più proficuo,
senz’altro più razionale, tanto da rimuovere le cause della vostra sofferenza, dell’intolleranza,
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dell’incomprensione e via dicendo.
Nella vita umana non si tratta di conoscere cose ignote come un fatto culturale, figli cari, ma si
tratta di superare la concezione dell’esistenza poggiante sul senso di separatività; trovare un’altra
coscienza di sé che esuli da una visione egoistica, e perciò mi sembra più proprio dire “una nuova
coscienza”, un nuovo “sentire”. Nessuno può trasfondere in voi questo “sentire”. Ecco perché vi
diciamo che non vi portiamo la verità, ma che vi diamo solo delle indicazioni; la verità è una conquista
personale. Se dunque noi non possiamo fare per voi ciò che voi soli potete e dovete fare, non
manchiamo tuttavia di richiamare la vostra attenzione al vostro mondo interiore, proprio attraverso
alle parole di Claudio. Anzi, direi che tutto quanto noi diciamo ha lo scopo di aiutarvi a costituire la
vostra coscienza individuale, anche se ci rendiamo conto che possiamo agire solo indirettamente. Voi
forse vi chiedete perché continuiamo a parlarvi della realtà che sta attorno a voi, se siamo convinti di
ciò che diciamo. Ebbene, lo facciamo perché ci rendiamo conto che non possiamo ripeterci fino alla
noia. Quando Claudio ha, sinteticamente ma sufficientemente, indicato che tipo di analisi voi dovete
fare, ha già detto tutto quanto si può dire su questo argomento; il resto – e certamente è la parte più
importante – voi soli la potete fare, voi soli nel segreto della vostra intimità potete svelare il vostro
mondo interiore, comprendere la vostra natura segreta. La psicologia, la psico-analisi riescono solo a
graffiare la vernice che nasconde l’intimo di ogni uomo, o figli. Con ciò non nego la validità di queste
materie, ma affermo che l’analisi che ciascuno di voi può fare su se stesso va molto al di là di quello
che gli altri possono fare per voi. Consapevoli di tutto questo, continuiamo a parlarvi del mondo che
sta attorno a voi, confidando che ciò serva a indurvi ad analizzare voi stessi, a scoprire quel ben più
vasto mondo che è nell’intimo vostro. Tale è la nostra costante premura, o figli.
Vi lascio momentaneamente.
Dali
Figli, Claudio vi saluta.
L’uomo di oggi prende coscienza dello sfruttamento a cui è sottoposto da varie parti, non parlo
solo del lavoro: la moglie, i figli, facendo leva sull’affetto famigliare, esigono da lui più di quanto sia
ragionevole. Il prete, paventando catastrofi in questo e nell’altro mondo, esige un voto politico che
assicuri un regime favorevole alla religione e così via. La reazione della presa di coscienza di fronte a
tutto questo, e dai privilegi goduti da pochi, rafforza l’egoismo di ognuno. Si dice allora: «Io non voglio
più essere sfruttato, io voglio godere i privilegi che gli altri godono». Così le parti si invertono, gli
sfruttati diventano sfruttatori; la confusione e la licenza aumentano lo scontento di ognuno. Se
l’operaio non ha la sua giusta paga, è suo sacrosanto diritto lottare per averla, ma il suo dovere è
quello di amare e difendere il suo lavoro. D’altra parte non è ammissibile che le posizioni vantaggiose
di pochi mortifichino la collettività, che per il guadagno di certi venga danneggiata l’economia
generale. Ogni uomo, per quanti beni possegga, per quanta abilità e capacità abbia, non è che un
uomo, cioè un operaio degno del suo salario e nulla di più. La società futura, se vorrà sopravvivere,
non potrà fondarsi sul profitto e sull’egoismo, in ultima analisi. È perciò necessario inserire
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l’individualismo nel collettivismo, nel senso di rettamente assolvere i propri compiti, ma lavorare per la
collettività e non per il profitto personale. Solo da una fusione dell’individualismo con il collettivismo
potrà nascere una società nuova, fondata e costituita da individui nuovi.
È chiaro che ognuno si attende che questo cambiamento venga imposto dall’alto, da chi governa,
dai pubblici poteri, essendo ognuno convinto di non avere ruolo alcuno nella cosa pubblica. Noi
affermiamo che ciascuno ha la sua responsabilità, ognuno contribuisce a creare l’ambiente nel quale
vive, non foss’altro con le tacite acquiescenze. Ciò che noi diciamo è esattamente l’opposto di quello
che si crede comunemente; nessuno è responsabile della vostra inettitudine. Se la società è ingiusta
è perché voi non siete sensibilizzati al problema della giustizia e, a vostra volta siete ingiusti. Come
potete pensare di sensibilizzare gli altri di ciò che voi dovreste fare e non fate? Quando osservate il
triste spettacolo della corruzione e del facile arricchimento, voi rimpiangete di non essere nel giro, di
non avere l’occasione di arricchire facilmente a vostra volta; così allo stesso modo, condannate il
privilegio perché voi non siete privilegiati. Se non viene superata individualmente una concezione
egoistica della vita, nessun problema che affligge l’umanità potrà essere durevolmente risolto.
Che cosa dovete fare, dunque? Per prima cosa convincervi che la felicità non sta nell’accumulare
ricchezze o qualità o amicizie; liberarvi dal desiderio di sfruttare gli altri ed essere convinti che la sola
ricchezza è quella che giace nelle profondità del proprio essere: ogni individuo è ricco solo di se
stesso. È sfruttare gli altri anche volerli convincere alle proprie idee per avere dei seguaci. Capisco la
vostra facile obiezione, ma noi non vi parliamo per avere dei seguaci; noi pensiamo che possiate
trarre un aiuto dalle nostre parole, ma se voi non credete e non seguite ciò che noi diciamo, non
soffriamo. È chiaro che alla base dell’esistenza di ognuno c’è l’egoismo e che l’egoismo non può
essere sradicato ipso fatto; così quello che vi chiediamo all’inizio è un comportamento più giusto nei
confronti dei vostri simili, un’esistenza in cui le necessità siano ridotte all’essenziale, ben sapendo che
questo non vi cambia, che questo ha valore solo nel confronto degli altri e della società in cui vivete,
ma che vi lascia inalterati nell’intimo vostro. Tuttavia è necessario acciocché la libertà dei singoli non
divenga licenza, l’egoismo individuale non si trasformi in crudeltà, prepotenza e tirannia. Ma voi
dovete fare di più, o figli. Dovete superare l’io egoistico e personale che impronta ogni vostra azione,
ogni vostro desiderio, ogni vostro pensiero. Ciò è possibile solo se si è convinti della necessità di un
simile cambiamento; il discorso che noi facciamo ha valore per chi sa che la causa della confusione,
di tutto ciò che non procede rettamente, non sta al di fuori di sé, ma sta nell’intimo di ognuno. Le
nostre parole invece non servono a chi rinuncia alla società perché si pone nella posizione della volpe
della favola di Esopo che rinuncia all’uva solo perché non vi può arrivare. Ma come è possibile
superare l’io egoistico ed umano? Per secoli gli uomini, quando hanno pensato a questo problema
sollecitati dalle grandi spiritualità, hanno creduto sufficiente comportarsi come degli altruisti per
cancellare il proprio egoismo, e non hanno pensato invece che cambiando l’atteggiamento esteriore,
la natura interiore rimane immutata. È perfettamente inutile che l’ambizioso si cosparga il capo di
cenere se non ha mutato la sua natura interiore: lo farà indubbiamente per meritarsi un posto
preminente in una supposta vita spirituale. L’unico modo per superare i propri limiti è quello di
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rendersi consapevoli di essi.
Vedete, lo scopo della vita dell’uomo potete chiamarlo come volete, ma – in sostanza – significa
una cosa sola: superare una visione egoistica dell’esistenza. Nessun “sentire” di coscienza può
essere raggiunto se non viene superato l’egoismo. Questo, in poche parole, lo scopo della vita
dell’uomo. Allora, per raggiungere questo scopo, è necessario rendersi consapevoli dei limiti che
stanno alla base di una concezione egoistica della propria esistenza: eseguire una sorta di auto-
psico-analisi. Ciò può sembrare molto complesso perché, scoprendovi egoisti, voi pensate di
cambiare la vostra natura cambiando un atteggiamento esteriore, tutto dando, distruggendo la vostra
esistenza che fino ad allora avete costruito fondandola su quella visione della vita. Ma non è così,
niente di tutto questo. Ed ecco dove la cosa, da complessa, si fa semplice perché richiede solo, e
null’altro di più, che un po’ di costanza. Voi dovete esaminare i vostri stati d’animo e quindi i vostri
comportamenti; dovete ricercare la ragione dei vostri timori, della vostra incomprensione, dei vostri
pensieri. Voi dovete fare, per le vostre azioni e per i vostri desideri, quello che fate nei confronti degli
altri. Io vedo con quanta solerzia voi cercate di indovinare le intenzioni altrui nei vostri confronti,
specialmente. «Perché mi avrà fatto questa domanda? Per quale motivo avrà evitato di incontrarsi
con me?». Dunque quello che c’è da fare voi lo sapete fare. Si tratta solo di spostare la vostra
attenzione dagli altri a voi stessi, mantenendo nell’analisi un contegno distaccato e sincero. Alcuni
sogliono giocare delle partite a scacchi da soli, ponendosi ora da una parte ed ora dall’altra della
scacchiera. Così voi, nell’analisi di voi stessi, dovete svolgere questo doppio ruolo dell’osservatore e
della persona osservata, dimenticando – nell’osservare – che gli osservati siete voi stessi. Ma la fase
più delicata dell’analisi, oltre il rendersi consapevoli, è di non cadere nella tentazione di comportarsi in
modo opposto a come si scopre di essere. Vediamo di fare un esempio: supponiamo che analizzando
voi stessi scopriate di essere degli arrivisti che non esitano a mettere in cattiva luce i propri colleghi
pur di valorizzare se stessi. Da un certo punto di vista l’arrivismo non è un difetto, è un pregio perché
rende attivo l’individuo e così lo rende creativo. Ma ciò che io affermo è che l’arrivismo è un portato
dell’egoismo e l’egoismo limita l’individuo, lo fa schiavo e lo rende crudele. Se voi siete convinti e
soddisfatti della vostra esistenza, se credete che la causa di ogni confusione risieda fuori di voi, allora
l’arrivismo non è un difetto, è un pregio. Ma se fate parte del novero degli uomini che, pur potendo
soddisfare ogni loro desiderio, si sentono inappagati, allora l’arrivismo è un difetto che deve essere
troncato alla radice, e si giunge alla radice non comportandosi come dei non arrivisti, ma ponendosi
fuori di quella concezione che vi conduce ad essere degli arrivisti, convincendovi - come prima ho
detto – che la felicità non sta nell’accumulare cose che si crede possano arricchire il proprio io.
Forse queste parole ricordano una concezione religiosa della vita; non fate l’errore di considerare
l’uomo diviso in due parti: una spirituale ed una materiale e credere che quando la materiale gioisca
la spirituale soffra e viceversa. Quando l’uomo soffre è perché non ha compreso qualcosa, e se allora
il suo Spirito potesse, soffrirebbe.
Io ho cercato di riassumere in modo sintetico qual è l’analisi che voi dovete fare di voi stessi; non
so se sono riuscito, in poche parole, a rendervi più chiaro quello che già sapevate; ma è verso coloro
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che qua seguono da poco che io mi rivolgo. Avete forse qualche domanda?
D. – Scusa, non ho capito bene che cosa significa “non comportatevi nella maniera opposta a quella
che…”.
R. – Come ho detto, l’insegnamento morale che l’uomo ha conosciuto, o per lo meno l’interpretazione
dell’uomo, data dall’uomo alle parole dei Maestri, è stata sempre del tutto esteriore. Si è sempre
mirato ad avere un modo di agire. Se l’uomo pensa ai cosiddetti Maestri, pensa che questi siano
altruisti, che si comportino in un certo modo; ed allora crede che l’evoluzione di quei Maestri sia
raggiungibile comportandosi in quella maniera. E non comprende invece che la cosiddetta evoluzione
è un fatto di “sentire” interiore, che non ha alcuna importanza – nei confronti di questo “sentire”
interiore ed individuale – il mutare di un atteggiamento esteriore. Ecco quindi come voi, ben sapendo
come ogni uomo che nell’intimo di voi stessi esiste l’egoismo – la natura che fa vedere l’esistenza
propria in funzione della separatività da tutto il resto crea questo io e questo non-io – pensate di
superare questa visione cambiando il vostro modo di comportarvi. Non è così, lo ripeto, figli. Voi
dovete rendervi conto di ciò che si agita nell’intimo vostro: voi dovete superare una concezione della
vita fondata sulla separatività.
Che cos’è, in sostanza, una cura psicoanalitica? Riportare nella sfera della consapevolezza
dell’individuo quegli istinti che – per il fatto – d’essere condannati dalla morale e dalla società – sono
stati dall’individuo sepolti negli strati profondi del suo io e, riportandoli alla sua consapevolezza,
farglieli superare. Quello che io vi propongo è un analogo processo. Voi dovete rendervi consapevoli
di ciò che sta dentro di voi, dei vostri limiti che sono alla base della concezione egoistica
dell’esistenza. Al di là della tentazione di comportarvi in modo opposto a come scoprite di essere; al
di là del bisogno, direi quasi, di condannare voi stessi: semplicemente rendendovi consapevoli;
perché è questa consapevolezza che, per un processo naturale, vi affrancherà da quei limiti che sono
alla base di ogni concezione egoistica, troncando così alla radice la causa di ogni dolore, di ogni
incomprensione.
Pace a voi.
Claudio
Creature, io vengo qui fra voi brevemente per portarvi la mia benedizione e il mio saluto. Voi non
vedete e non potete percepire quale profonda catena di energie si libera da questo vostro
atteggiamento di attesa e di preghiera. Fra tante creature che nel vivere di oggi pensano unicamente
a se stesse, alla loro vita in modo possessivo, fate che da qua e da voi si diparta un’energia che
induca gli altri a seguire questo pensiero e questo “sentire”.
Vi benedico, creature che qua siete riunite, e porto con me i vostri pensieri.
Teresa
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Voi mi conoscete come Fratello Massone. Nel linguaggio comune un nome serve a designare
qualcuno o qualcosa; non ha quel significato occulto che sogliono attribuire i cabalisti. L’appellativo
con cui voi mi conoscete non è né un nome né sostanzia quello che io fui. Allorché professai le verità
alle quali ero stato iniziato, la Massoneria non era ancora nata ufficialmente; era un’associazione
libera e segreta nel vero senso. Ogni fratello lavorava alla costruzione del Tempio, tutto dando, senza
nulla ricevere. O meglio, ricevendo offese, dileggio, persecuzione e non di rado la morte. Questo fu il
mio destino: ricevetti in gola una buona dose di piombo fuso per avere professato delle idee che,
allora, erano considerate delle eresie.
Poco dopo il 1700 la Massoneria nacque ufficialmente e seguì la sorte di tutte le organizzazioni;
lentamente, nel tempo, si spense il primitivo ardore. I “distinguo” divennero fazioni e poi riti diversi. La
lotta fra le Logge ripete la degradazione dei Padri Kadòs9. L’ammissione al comando e al potere
avvelena ogni istituzione ed ogni organizzazione, come i vostri occhi fin troppo possono vedere. Che
cosa accadrebbe di un corpo se tutte le sue membra lottassero fra se stesse? Il caos, la morte, cioè
l’abbandono dello Spirito. Oh fratelli Massoni, che cosa è oggi la Massoneria? Un’associazione che
non trae più la sua forza dalle sole idee che professa, ma la trae dalla disponibilità e dalla potenza dei
suoi membri, molti dei quali sono Massoni solo quando si tratta di ricevere e non lo sono più quando
si tratta di dare e di fare.
Oh fratelli Massoni, voi giuraste di mantenere dei segreti che non sono più tali. Gelosamente
custodite le verità che vi rivelarono i Maestri come in un archivio in cui più nulla possa essere
collocato, e dimenticate che la conoscenza del vero non può avere fine. In fatto di dottrina voi
confrontate e misurate i nuovi messaggi con il metro di ciò che sapete, e li accettate solo se
corrispondono a ciò che conoscete. Così rifiutate le nuove verità e determinate la cristallizzazione
della dottrina. La raffigurazione della realtà che avete è ancora quella adatta ad altri tempi e ad altre
menti. Che cosa sapete di più del Grande Architetto di quello che vi dissero i Maestri? Che cosa
conoscete della Realtà che sta al di là dell’Apparenza? Oh fratelli Massoni, non fate della Massoneria
un corpo senza Spirito, ma fate che sia il corpo e lo Spirito di Hiram10 veramente risorto.
Pace a voi.
Fratello Massone
9 Padri Kadòs – Kadòs è una parola ebraica che vuole dire “puro”. All’inizio del movimento si parla
della “purezza iniziatica” dei Kadòs. Le qualità del vero Kadòs devono essere, per le scienze:
astronomia, fisica, chimica, fisiologia, psicologia, e sociologia. Alla base della missione umana:
sincerità, pazienza, coraggio, prudenza, giustizia, tolleranza e devozione.
10 Hiram – Nome che deriva dall’ebraico: hi = vivo, vivente, e ram = elevato. Sul mito di Hiram si
incentra il massimo mistero massonico. È simbolo del sole, del lavoro, della genialità, dell’arte,
dell’ordine, della saggezza, della purezza d’intenti. È il Grande Architetto: è uomo ed è Dio. Hiram viene
assassinato da tre compagni fedifraghi: è morto nella forma imperfetta che aveva, ma deve risorgere
per guidare l’umanità verso l’iniziazione.
122
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Voi avete compreso che questo ultimo messaggio non è diretto particolarmente a voi, è vero? Ci
siamo serviti di un tramite per far giungere a chi di dovere il messaggio del Fratello che avete
ascoltato ultimamente.
Siamo giunti alla conclusione di questo incontro. Voi siete molto numerosi a queste riunioni, e
questo fatto ci impedisce di rivolgerci direttamente ad ognuno di voi. Ma quello che è importante non
è il messaggio personale, ma è l’insegnamento generale. In altre parole, come abbiamo detto altre
volte, non sarebbe produttivo risolvere i vostri problemi personali; è più efficace aiutarvi a saperli
risolvere da soli. Perciò in ciò che noi diciamo, cercate di trovare la risposta alle vostre domande
personali. Comprendiamo che non è un lavoro semplice, ma confidiamo che voi lo facciate perché è
lo scopo per il quale veniamo fra voi.
Vi benedico ed abbraccio tutti, figli. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
D. – Quando ci riuniamo?
R. – Fra tre settimane.
D. – Noi ti ringraziamo.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
Dali
Durante la riunione, oltre a luci intense, la Guida Fisica ha realizzato un apporto: una scatoletta di
porcellana trasparente, bianca, con impresso uno stemma e una data: 1785 e con la scritta “Vive le
Roi”.
123
27 Marzo 1976
La pace sia con voi e cont tutti gli uomini, figli cari.
Vedete, o figli, noi siamo attualmente ad una fase molto delicata del nostro insegnamento. Quel
discorso che, da tanti dei vostri anni, facciamo, sta per arrivare ad una conclusione importante, quindi
dobbiamo affrontare il vertice di queste nostre conversazioni annose con molta cautela, perché è
molto facile travisare i concetti, intendere male ciò che vogliamo significare.
Quello che abbiamo da dire potremmo enunciarlo sinteticamente e brevemente ma, senza
dubbio, voi perverreste ad una interpretazione errata. Occorre invece che voi ci seguiate nella
graduale esposizione di ciò che diciamo, per giungere a captare il vero senso di quello che vogliamo
dire.
Certo con quello che avete saputo ultimamente, e cioè che l’unica Realtà oggettiva è Dio, voi
potreste pensare che anche quello che noi vi diciamo sia, né più e né meno, una visione soggettiva e
che quindi, in effetti, sia una semplice opinione, confutabile da un’altra opinione diversa. Il dire che,
ad esempio, la realtà cosmica è soggettiva, non significa che per chi si trova in quella realtà, nel
Cosmo, non sia esistente. Tutto è soggettività e, in ultima analisi, illusione rispetto all’unica Realtà
oggettiva; eppure se voi toccate una fiamma, non c’è dubbio che vi scottate. Quindi questo concetto
della soggettività va anch’esso inteso nel giusto senso, per non andare oltre ciò che noi vogliamo farvi
intendere. Come capire che ciò che vi diciamo ha fondamento? Ascoltandoci, traendo voi stessi le
conclusioni. Ciò che noi diciamo, figli, lo diciamo per esperienza diretta, non per sentito dire; e se lo
diciamo non è perché ci vogliamo mettere in polemica con ciò che altri dicono. Enunciamo ciò che noi
stessi constatiamo, solo per l’amore che vi portiamo, figli cari. E voi dovete accettarlo non perché lo
diciamo noi – quante volte lo abbiamo ripetuto! – ma perché tutta l’illustrazione che vi abbiamo fatta vi
124
torna; ciò che non torna alla vostra comprensione, scartatelo pure, ma chiedete, chiedete chiarimenti.
Prima di rifiutare siate certi di avere compreso ciò che rifiutate. Non rifiutate perché non torna con
quello che sapevate o che altri vi hanno detto. Per intendere veramente, bisogna dimenticare ciò che
si sa, altrimenti è impossibile procedere nella strada della comprensione. E come noi, figli, non
parliamo per polemizzare, così voi, ascoltando quello che noi diciamo, quando ne restate convinti,
non diffondete queste verità con spirito di polemica, fate con gli altri come noi facciamo con voi:
parlate ma non imponete. Nessuno deve risultare più bravo o vincitore di una disputa. È l’amore che
deve spingerci e spingervi a parlare; ad andare incontro, anche con ciò che sapete, ai vostri simili.
Vi lascio momentaneamente.
Dali
Cari amici, Alan vi saluta.
Ultimamente, quando io mi sono presentato a voi, forse sono stato un tantino eccessivo perché
so di aver provocato qualche reazione in voi. Dovete scusare, perché io non ho la capacità di dosare i
concetti come fanno le nostre Guide.
Questa sera vengo in veste di “sostituto”, sì, perché la Guida Fisica è impegnata in un lavoretto
che non darà i suoi risultati in una sola riunione, ma forse nelle prossime. Ecco che io sono qua per
consentire questa operazione tenendovi impegnati con la vostra attenzione, su quelle poche cose che
io posso dire. La mia ultima incarnazione fu nel secolo scorso, quando l’India era una colonia
dell’Impero Britannico. E così ebbi modo di osservare molti Guru, molti istruttori, Maestri indiani.
Allora erano più diffusi di quello che siano oggi; c’era un’altra atmosfera nell’India del secolo scorso, e
da ciò che io potei vedere laggiù, cominciai ad acquistare interesse per l’insegnamento occulto. Ecco,
una prima impressione – e credo che questa sia impressione comune di tutti gli uomini – è che
quando si vede un fenomeno strano, ebbene, si crede che la persona capace di fare quel fenomeno,
conosca la verità. Cioè, vedendo un fenomeno prodotto da un fachiro, per esempio – non quelli
prodotti come resistenza al dolore che voi avrete sentito o letto, di ingestione di chiodi, di vetri, di ferri,
eccetera – ma quello di far crescere e far sviluppare celermente una pianta… di questi intendo,
ebbene, vedendo questi vari fenomeni e l’acquisizione di certi poteri, io subito pensavo che quella
persona che sapeva fare quelle cose così meravigliose, certamente doveva conoscere la verità. Ma
non è così. Quelli sono… non dico giochi di prestigio, sono fenomeni veri; ci sono anche i prestigiatori
e di certo voi lo sapete. Sono veramente fenomeni inconsueti, ma molto spesso chi produce questi
fenomeni non sa come essi avvengono. Sono, per esempio, retaggio di altre incarnazioni nelle quali
quell’Entità ha eseguito certe pratiche, esercizi, che sviluppano questi poteri occulti; e poi, nella
incarnazione successiva, per qualche ragione certamente… – non il caso – possiamo dire “karmica”,
riaffiorano ed allora la nuova personalità si trova con questi poteri e automaticamente li adopera, li
usa, produce fenomeni strani, inconsueti ed anche belli, ma senza sapere come è perché. Non so
che esempio farvi… se ci fosse un bravissimo atleta che – non so… – sapesse alzare un peso molto
forte che gli altri uomini non riescono ad alzare, voi non vi sognereste mai di pensare che quell’atleta
125
conosce la verità, è vero? Allo stesso modo è di questi fenomeni, di questi poteri che certi viventi
hanno. Né si deve pensare che le Entità che producono dei fenomeni lo facciano perché conoscono
la verità più nascosta. E dicendo questo, noi siamo al di fuori di ogni sospetto perché non siamo in
quelle riunioni, in quelle comunicazioni, in quelle sedute dove non si producono fenomeni fisici, è
vero? Allora voi potreste pensare che quelle Entità… deprezzano – si dice così? – i fenomeni fisici
perché quelle non sono capaci di produrli. No, qua sì, vi sono dei fenomeni, e se vi diciamo queste
cose, quindi, dovete apprezzare che questa è la verità. Ripeto quello che sempre vi hanno detto i…
nostri Maestri: di vagliare attentamente ciò che viene detto e valutarlo. Il resto sono cose
meravigliose, non c’è dubbio, interessanti, ma non possono essere paragonate al grandissimo e
meraviglioso insegnamento che vi viene dato.
Adesso la Guida Fisica deve fare un piccolo… – come si dice? – un regalino per qualcuno. Ma
state concentrati…
Poco dopo un piccolo oggetto, con suono metallico, cade a terra.
Non sono molto bravo come lei nel fare da assistente. È vero? Dovete scusarmi, ognuno ha la
sua capacità. Ma se non viene in mio aiuto, non so se riuscirò… Non credo… Devo darlo nella mano
della persona interessata… Ah, ecco che, gentilmente, me lo ha avvicinato. Concentratevi un
momento… Ecco, è una piccola cosa che ti manda per ricordare la tua ultima incarnazione. Non
mostrarla a chi non ha simpatia con la Francia, con i nemici della Francia napoleonica, altrimenti
quella istintiva antipatia potrebbe riversarsi su di te. Ecco…
D. – Scusa, potresti dirmi qualcosa di quell’oggetto che mi è stato apportato tempo fa?
R. – L’oggetto in sé può non avere… credo che non abbia valore. È ciò che la Guida Fisica unisce
come forma-pensiero all’oggetto. A volte può essere qualcosa che si ricollega ad una precedente
esistenza ed allora, in quel caso, l’impronta della forma-pensiero è ancora più tenace, per quello che
io posso sapere. Cosa debbo dirti di codesto oggetto? Ti servirà nella professione. È già abbastanza,
credo, non poco.
D. – …
R. – E lo stesso anche per te.
Adesso vi saluto affettuosamente.
Alan
Pace a voi.
Da sempre vi diciamo che il mondo che percepite è l’apparenza di una parte della Realtà unica-
126
totale. Poiché solo quest’ultima è oggettiva in quanto solo quest’ultima è assoluta, possiamo definire
la vostra percezione soggettiva illusoria.
La percezione è un processo che implica l’attività della mente e dei sensi, perciò a questi si fa
risalire l’illusione; i sensi, cioè, traggono in inganno e non da meno è la mente con il suo indurre a
considerare costanti i rapporti fra gli eventi osservati. La mente, pur secondando il gioco dei sensi, ha
tuttavia la capacità di svincolarsi da esso; se questo è possibile, può l’uomo conoscere realtà che i
suoi sensi non riuscirebbero mai a comunicargli? Siamo ancora di fronte al problema della
conoscenza intesa come attività della mente che fa apprendere e ritenere immagini di fatti; qualcuno
direbbe: di realtà. Problema del quale ci siamo già interessati. Certo non possiamo passare in
rassegna le varie opinioni circa la possibilità dell’uomo di conoscere la Realtà, tutte consideranti
l’uomo quale è, cioè senza vederlo come il risultato di qualcosa, senza pensarlo come suscettibile di
trasformazione. Possiamo essere d’accordo che la conoscenza è, a priori, e cioè per conoscenza
innata, e qua potremmo aprire un capitolo su questo tema, sempre che a voi interessi; a posteriori,
per esperienze consumate: intuitiva, cioè immediata, razionale, logica, o conseguenza di altre
conoscenze. Siccome è sempre un soggetto che “conosce”, e siccome ciò che si apprende o si ritiene
è sempre un’immagine della Realtà, la conoscenza è sempre soggettiva.
Giova qui ricordare ciò che dicemmo ultimamente e cioè che la Realtà ipotizzata dall’uomo sulla
scorta delle sue percezioni, al di là dei suoi personali soggettivismi, non ha alcun punto di contatto
con la Realtà-Unica-Totale. Infatti non si deve credere che la visione-concezione che l’uomo ha della
Realtà sia incompleta ma esatta nei suoi elementi posseduti, e che crescendo le possibilità di
percezione si accrescano nuovi elementi validi a quelli esatti già in possesso; sarebbe così se la
realtà relativa fosse oggettiva. Ma dicemmo che è oggettiva solo la Realtà Assoluta. Perciò
aumentando le possibilità di percezione dell’uomo, la nuova visione-concezione che egli avrebbe
della Realtà, sarebbe radicalmente diversa. Il concetto di spazio che l’uomo ha, è quello che è in
funzione delle umane possibilità di percezione; aumentando queste, cambierebbe il concetto che
l’umano ha dello spazio, forse addirittura sparirebbe del tutto. Allora, le risposte alle domande-
trappola che vi avevo fatto, per essere date avevano bisogno di certe precisazioni: innanzi tutto che
cosa si intendeva con “visione”. “Visione e concezione”, ed allora ho già risposto. Ad ogni nuova
possibilità di percezione, muta radicalmente il concetto di Realtà. Oppure “visione-percezione”, ed
allora era necessaria ancora una precisazione, cioè: le nuove possibilità di percezione erano dovute
ad un aumento del numero dei sensi – ed allora in quel caso si aggiungevano nuovi elementi che
andavano ad arricchire la visione che l’uomo ha della Realtà, da una visione bidimensionale, per
esempio, ad una visione tridimensionale; da una visione incolore ad una visione colorata, è vero? –
oppure queste nuove possibilità di percezione aumentavano perché, fermo restando il numero dei
sensi, variava la portata, la gamma dei sensi? Ed allora, in questo senso, la visione-percezione
muterebbe radicalmente. Per esempio, esempio già fatto, la vista arriva a vedere a livello molecolare
o atomico la materia.
Vedete, i sensi sono delle finestre aperte, ma dobbiamo anche vedere il lato opposto, cioè che
127
sono limitativi. Qualcuno ha detto, li ha definiti giustamente, come una rete da pesca con delle maglie
larghissime che trattiene solo i pesci grossi e lascia sfuggire i piccoli e tutto il resto. In effetti è così.
Dunque quello che c’è da capire però sostanzialmente, è che per limitazione – possiamo dirlo –
percettiva, l’ente percepiente coglie l’apparenza di una parte infinitesimale della Realtà-Unica-Totale
– parte in se stessa inesistente – e la trasforma in se medesimo, nel mondo della sua percezione, in
realtà parziali, ossia relative, ossia soggettive. I punti di contatto delle varie realtà soggettive che gli
enti percepienti hanno, non derivano dall’esistenza oggettiva di quegli elementi comuni, ma se mai
costituiscono il “soggettivo universale”, per dirla con Kant. Il mondo che l’uomo conosce è una
costruzione della sua percezione, una creatura della sua soggettività. Allora, può l’uomo conoscere
realtà che stanno al di là delle sue possibilità di percezione? Dei quattro tipi di conoscenza che
abbiamo indicati, è chiaro che solo due possono farci sperare che lo sforzo dell’uomo di conoscere
realtà a lui ignote – e come vertice massimo di conoscere Dio – non siano inutili.
Potrebbe essere obbiettato che la Realtà Assoluta cioè Dio – può esulare dalla logica umana e
quindi può essere da questa irraggiungibile. La logica, definita “scienza del ragionare”, è in effetti un
tipo di programmazione della mente; noi ragioniamo in un certo modo perché siamo programmati –
più giusta sarebbe dire “condizionati” – dalla nostra abitudine ad usare certi postulati, a servirci di
certe convenzioni, a considerare costanti certi rapporti; ma ciò non esclude che noi possiamo
ragionare diversamente, semplicemente cambiando tipo di logica; la mente ha questa possibilità, la
possibilità di superare la sua contingente impostazione e funzionare negli schemi di una logica
diversa. Tuttavia, anche il tipo di conoscenza che noi abbiamo chiamato logica, o deduttiva o
razionale, può dare solo un’immagine della Realtà e, chiaramente, l’immagine non è la Realtà. Per cui
solo la conoscenza intuitiva – che invece mette in contatto non mediato il soggetto con l’oggetto –
sembrerebbe l’unica a darci la suprema conoscenza.
C’è però da vedere un fatto importantissimo, e cioè che Dio è “Sentire Assoluto” e conoscere Dio
nel vero senso, significa comprendere Dio; significa “sentire” nei termini in cui “sente” Dio, significa
essere Dio, per cui l’uomo, come tale, non può conoscere Dio.
Questa affermazione che sembra lasciare così poche speranze, non tiene tuttavia conto di tutta
la questione. Non tiene conto che l’uomo non è immutabile. Quando affermiamo, come spesso
abbiamo fatto, che si giunge a quella comprensione che è “sentire” ed “essere” attraverso al porre
attenzione e poi rendersi consapevoli, noi implicitamente ammettiamo che l’uomo superi se stesso e
raggiunga un nuovo “sentire”, un nuovo “essere”. La possibilità che l’uomo superi in prospettiva la sua
condizione umana, non rende vani i suoi sforzi di conoscere la Realtà ignota che è al di là delle sue
attuali possibilità di percezione. Anzi, gli stimoli che provengono dalla vita nei piani grossolani, non
sono che il mezzo per mettere in moto quel processo che catturando l’attenzione dell’uomo,
attraverso alla sua consapevolezza, lo conduce ad una nuova coscienza, a quel nuovo “sentire”.
Vi ricordo che con “coscienza” noi intendiamo qualcosa di diverso da “consapevolezza”, infatti
diciamo che l’uomo è consapevole quando è conscio delle sue azioni, dei suoi pensieri, dei suoi
desideri, delle sue emozioni, delle sue sensazioni; mentre per coscienza intendiamo quel “sentire”
128
che spinge l’uomo a vivere al di là di se stesso. Le sensazioni, le emozioni, i pensieri quindi non sono
“sentire”, sono percezioni, sono attività dei veicoli grossolani dell’uomo; il “sentire” trascende tutto
questo. Nella vita dell’uomo, allora, il “sentire” è appena accennato. Tutta l’attività che l’uomo svolge è
improntata dall’io personale ed egoistico, e nei rari momenti in cui l’io tace, il “sentire” si manifesta.
Tuttavia proprio dall’attività che l’uomo svolge, spinto dal suo io, l’uomo supererà il suo egoismo,
sempre attraverso al processo: attenzione, consapevolezza, coscienza.
Se volessi indicare con una formula il processo di acquisizione di un nuovo “sentire” nella fase di
evoluzione umana, dovrei dire che:
PSScn
×= dove n
S è il nuovo “sentire”, c
S il “sentire” conseguito, e P la percezione.
Allora il nuovo “sentire” nasce dal “sentire” conseguito e dalla percezione dei piani grossolani.
Che cos’è allora la percezione secondo questa formula? Facilissimo: c
n
S
SP = . Cioè la percezione
nasce dal rapporto fra il nuovo “sentire” ed il “sentire” conseguito. Una obiezione come questa: come
può esistere un rapporto fra una cosa conseguita ed una non ancora esistente?, è facilmente
superabile tenendo presente che tutto esiste già; il nuovo “sentire”, non ancora conseguito nel tempo,
è tuttavia esistente, perciò può esservi un rapporto, al di là della sequenza temporale, fra questi due
“sentire”.
Voi sapete che si perviene alla “realtà cosmica”, alla coscienza cosmica che è pur sempre una
realtà relativa e perciò soggettiva – in due fasi: nella prima fase il centro di coscienza e di espressione
– cioè l’uomo – apprende attraverso alla percezione, convenzionalmente, possiamo dire si muove dal
basso verso l’alto; nella seconda fase l’individuo – non più uomo – attraverso alla comunione con gli
altri individui, cioè dall’alto verso il basso, raggiunge la totale realtà cosmica. In questa seconda fase
l’iindividuo non ha più percezione, cioè non coglie più l’apparenza di una parte della Realtà-Unica-
Totale, ma è cosciente di essere egli stesso una parte di questa Realtà. Aggiungo e sottolineo –
invitandovi a meditare – parte in se stessa oggettivamente inesistente. Questa seconda fase
corrisponde a quella posizione un tantino elevata alla quale facevamo riferimento allorché vi
illustravamo la successione del “sentire” servendoci dell’esempio dei fotogrammi. Posizione che
consente di cogliere la realtà cosmica che sta al di là dell’apparenza colta dall’uomo. Ebbene, in
questa posizione l’individuo constata come dal rapporto di due “sentire” semplici che appartengono a
quella serie di “sentire” chiamata individualità, nasce la percezione dell’uomo, e con la percezione tutti
i mondi che la percezione costruisce.
Concludo: solo un “sentire”, cioè un “Essere Assoluto” può comprendere Dio nel vero senso,
perché Dio è la Realtà Assoluta. L’uomo, creatura della soggettività, non può comprendere l’oggettivo
per eccellenza. L’uomo che esiste solo nell’illusione della separatività, non può comprendere la
Realtà del Tutto-Uno. Allora, è egli forse destinato a perdersi perpetuamente negli amari labirinti
dell’illusione? Sarebbe beffardo quel Dio che, originando un essere gli consentisse di conoscere tutta
l’illusione ma non la Realtà, gli precludesse, in qualche modo, la più alta di tutte le conoscenze; gli
129
negasse la conoscenza di Sé. E la ragione che impedirebbe ad un simile Dio di fare agli esseri che da
Lui traggono esistenza quel dono che, invece, le Sue creature talvolta riescono a fare – il dono di se
stessi – sarebbe, la Sua, volontà di supremazia, o la Sua incapacità creativa? Fratelli, se Dio fosse
irraggiungibile sarebbe, di fatto, avulso, staccato, diviso dalla manifestazione e ciò non può essere,
come abbiamo creduto di spiegare anche ultimamente.
Allora? Siamo di fronte a due affermazioni contrastanti e pur vere entrambe: che l’uomo, come
tale, non può conoscere Dio; che Dio deve essere raggiungibile. Una sola soluzione le concilia: che
l’uomo sia destinato a superare la sua condizione umana ed attraverso al processo di porre
attenzione, rendersi consapevole, comprendere, di “sentire” in “sentire” sempre più ampio, raggiunga
il massimo “sentire”, il “Sentire Assoluto” che non ha eguale perché è eguale solo a se stesso. Ma
l’essere che giungesse a comprendere Dio, diverrebbe a Lui identico, mentre Dio è pari solo a Se
stesso perché può esistere un solo Dio, una sola Realtà Assoluta.
Allora? Siamo di fronte a due affermazioni contrastanti e pur vere entrambe. Una sola soluzione
le concilia: ogni essere limitato, ogni creatura della separatività e dell’illusione, superando i propri
limiti e quindi il proprio momentaneo essere, sia destinata a riconoscersi nell’Unico Essere, nell’Unica
Realtà.
A chi non coglie il senso di questa affermazione, lo faremo cogliere gradualmente. Chi crede di
averlo intuito lo conservi gelosamente nel suo cuore, perché è facile fraintendere; perciò lo tenga per
sé sino a che non è certo di avere giustamente inteso.
Pace a voi.
Kempis
Om mani padme om.
Molti uomini pensano che per condurre una vita retta ed equilibrata sia necessario credere a Dio,
avere una fede. Ma ciò non è esatto. Anzi, quel Dio che essi hanno costruito secondo le loro
limitazioni, non può esistere. Quel Dio che appartiene alle loro bandiere, alla loro Nazione, alla loro
religione, che è il loro protettore e l’istruttore degli altri, non può esistere. Tu guardi con diffidenza chi
si dichiara ateo, ma fra questi e chi crede in un Dio di comodo, non c’è differenza: entrambi sono
nell’errore. Non pensare che Dio sia in qualche luogo remoto dell’esistente; Egli è ovunque, ogni cosa
animata e inanimata esiste.
Il compimento della tua esistenza è il raggiungimento della divinità, perciò Egli è anche in te,
fratello caro. Se potrai identificarti con tutto quanto ti circonda, col dolore e la sofferenza, la felicità e
l’estasi che sono nel cuore di ognuno; se cesserai di ostinarti a sentirti separato da tutto quanto ti
circonda; se potrai convincerti che ovunque c’è vita, quella vita è Una, nonostante che molteplici
siano le sue espressioni, avrai trovato quel filo che conduce a Lui, ed avrai assolto lo scopo per il
quale sei nato.
Om mani padme om.
Fratello Orientale
130
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti.
Nell’intervallo fra questa riunione e la prossima, potrete fare una riunione affettiva, sempre che
con pochi partecipanti, è vero?
D. – Quale numero per avere una base?
R. – Come al solito, ma non molti nuovi; tutto equilibrato, è vero? Perché dovremo risentirci per la
prossima riunione d’insegnamento. In quella occasione vi diremo quando.
Vi benedico ed abbraccio tutti, o figli nostri. La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
131
05 Aprile 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Spero che il chiosatore cortesemente mi consenta il diritto di replica alle sue dotte, oltreché
gradite, osservazioni a quanto dissi sulla struttura della materia fisica.
Se ripeto cose che egli conosce è per far intendere anche a voi il mio punto di vista; il tutto solo
con l’intento di chiarire e di precisare quanto dissi.
Affermai che la materia può passare indifferentemente dallo stato solido allo stato liquido, allo
stato gassoso, semplicemente alzando o abbassando la temperatura del tanto necessario. Il mio
interlocutore mi ricorda che la temperatura, ossia il calore, non è il solo elemento che concorre in
questo processo: c’è anche la pressione. Rispondo che non c’è dubbio che questo è vero ma solo
quando si tratta di portare allo stato liquido un gas, non negli altri passaggi; per esempio, portare allo
stato liquido un metallo solido, oppure portare allo stato gassoso un metallo liquido. Mentre la
temperatura è elemento che concorre in tutti i cambiamenti di densità della materia: dal gassoso al
liquido, dal liquido al solido e viceversa, perciò questa sola appare come diretta responsabile e di
conseguenza la prima da menzionare.
Per illustrare questo concetto affermai che l’acqua differisce dal ghiaccio solo per la temperatura.
Chimicamente parlando l’acqua e il ghiaccio sono la stessa sostanza. Questo intendevo e cioè che la
sostanza acqua allo stato liquido può passare (come ogni altra materia) allo stato solido
semplicemente abbassando la temperatura.
Il mio interlocutore afferma che non è vero che l’acqua differisce dal ghiaccio solo per la
temperatura. Evidentemente egli pensa alle differenze organolettiche, altrimenti non comprenderei il
senso della sua negazione. Se alle caratteristiche organolettiche egli si riferisce, è chiaro che fra
acqua e ghiaccio non c’è la sola differenza di densità, di rifrazione della luce, eccetera eccetera, ma
queste differenze non si rilevano nella illustrazione del concetto per il quale mi sono servito
dell’esempio acqua-ghiaccio. L’affermazione centrale, e cioè che l’acqua può passare dallo stato
gassoso allo stato liquido allo stato solido semplicemente cambiandosi la sua temperatura, rimane
vera. Questo è il senso di ciò che intendevo e che del resto mi pare risulti chiaramente.
Questione atomi molecole.
132
Il mio interlocutore, al quale sono molto grato perché mi dà modo di precisare cose che non
avete mai richieste, mi corregge allorché affermo che il suono ed il calore sono fenomeni che
interessano gli atomi. Egli puntualizza sostituendo al termine “atomi” quello di “molecole”.
Ricordo a voi l’affermazione della scienza e cioè che gli atomi della materia fisica sono
generalmente aggregati fra sé ed in tal modo costituiscono le molecole. Per capire quanto queste
definizioni siano convenzionali basti ricordare che la stessa scienza afferma che vi sono molecole
monoatomiche.
Altrettanto dicasi per il calore, pensando al plasma definito dalla scienza quale stato della materia
avente temperatura al di sopra di 5.000 gradi centigradi nel quali sono rotti i legami molecolari.
Evidentemente se la materia, che non è più allo stato molecolare, è ancora interessata al fenomeno
calore, questo non può essere definito movimento o vibrazione delle molecole.
Per quanto attiene alla precisazione del chiosatore secondo cui il magnetismo non sarebbe
connesso col nucleo degli atomi, ma fenomeno provocato dagli elettroni, faccio notare che un flusso
di elettroni in un conduttore produce un campo magnetico in quanto (questa è una mia affermazione)
gli elettroni, nel passare da un atomo all’altro del conduttore producono nei nuclei degli atomi stessi
quel diverso equilibrio che è all’origine del prodursi del campo magnetico.
Questa mia affermazione penso che potrebbe essere verificata constatando che un fascio di
elettroni nel vuoto non produce campo magnetico orientato perpendicolarmente a questo fascio, né
altrimenti.
Mi pare appena il caso di accennare che il fatto che un fascio di elettroni venga deviato da un
campo magnetico non prova che questi siano soggetti attivi di magnetismo, ossia che lo provochino.
Infatti ciò può spiegarsi anche ritenendo gli elettroni soggetti passivi del campo magnetico.
Ancora. Secondo il parere del mio cortese critico si riscontrerebbe una discordanza fra la formula
espressa a pagina 28511 e la rappresentazione grafica della struttura della materia subatomica,
riportata a pagina 287.12
Da una più attenta lettura del testo potrà rilevare che il concetto principale che ho voluto esporre,
al di là delle nozioni scolastiche riecheggianti nella esposizione, è che al di sotto dell’atomo la massa
di una particella, che di questo è elemento componente, non è data dalla somma delle masse degli
11 Il riferimento a questa pagina è presente sul ciclostilato della signora Nella Bonora, e non mi è
dato sapere a quale libro – pubblicato o meno – si riferisce.
12 Vedi nota 10.
133
elementi che la compongono (così come avviene invece al di sopra dell’atomo), bensì dal prodotto di
queste.
È chiaro che tale principio può essere espresso sinteticamente solo con una formula, perché la
rappresentazione grafica della struttura – per esempio – della particella, come fatto a pagina 28713,
può indicare solo i singoli componenti e non le masse di questi.
Allora, se invece il mio interlocutore, dalla rappresentazione grafica fatta solo per illustrare le
strutture, calcola le masse in modo del tutto diverso dal principio che ho affermato, trae delle
conclusioni gratuite e contrastanti che non mi si può attribuire.
L’attento osservatore delle mie osservazioni fa notare che a pagina 28614 il valore della massa
del protone è erronemanete indicato come eguale a quello della massa del neutrone.
È vero che i due valori non sono identici, come del resto affermo a pagina 28515 nel periodo fra
parentesi, laddove ricordo che i due valori sono di poco diversi. È quindi evidente che se nella pagina
successiva i valori sono indicati eguali è solo per semplificare il calcolo ed agevolare la comprensione
ad un uditorio che non aveva una preparazione scientifica. A pagina 28816 dove menziono come
costituenti degli atomi gli elettroni ed i protoni, il mio attento critico rileva che ho dimenticato i neutroni.
Anche ciò è da vedersi come analoga semplificazione, altrimenti potrei a mia volta osservare che,
insieme, io e lui, non abbiamo ricordato gli antineutroni, i positroni e tante altre particelle che
costituiscono gli atomi degli elementi anche se ciò non è esattamente accertato ed anche se queste
sembrano avere vita breve allo stato libero.
Per quanto riguarda il processo di fusione dell’idrogeno che origina elio ed energia, non posso
che confermare quanto dissi sinteticamente e che è riportato a pagina 286 di “Colloqui”.
Rimane la questione “segni” (pagina 287)17 e relative annotazioni del critico. Sapendo che
l’elettrone è l’atomo della carica elettrica negativa, è chiaro che le materie di massa minore
all’elettrone (particelle ed unità elementari, secondo la nostra nomenclatura) non possono avere
carica elettrica. È evidente, quindi, che laddove parlo di “segno” non parlo di carica elettrica. Si tratta
di qualcosa, che ancora non conoscete, che potrei definire come radice dell’elettricità, ciò che renderà
13 Vedi nota 10.
14 Vedi nota 10.
15 Vedi nota 10.
16 Vedi nota 10.
17 Vedi nota 10.
134
possibile la trasmissione dell’energia elettrica nello spazio, così come avviene in altre civiltà.
Può sembrare puntiglioso il mio ribadire le giuste osservazioni del mio critico. Lo prego di non
pensare così. Vorrei solo dare a lui ed a voi l’impressione che i concetti esposti a suo tempo non sono
campati sul nulla. È chiaro che tutti possiamo errare, come ho fatto quando ho usato il termine
“fissione” anziché “fusione”. Ne faccio volentieri ammenda. D’altra parte ciò può essere un’utile
indicazione per il mio critico, può fargli chiedere che se la fonte delle informazioni ha caratteristiche
umane – e se questa non è il medium – chi è?
Se sono riuscito a fargli porre a se stesso questa domanda, allora anche l’altro quesito che si
pone, e cioè se l’esattezza di certi dati sia dovuta al caso od alla percezione extrasensoriale del
medium, può avere una terza alternativa: che le notizie siano portate da un disincarnato.
Lo ringrazio dell’attenzione che mi ha prestata e volentieri auguro a lui ed a tutti voi che la vita sia
doviziosa di beni dello Spirito.
La pace sia con voi.
Dali
135
10 Aprile 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
In questo momento, o figli, in cui ogni valore che l’uomo aveva tenuto sugli altari dei propri ideali
sembra sparire, venire calpestato, o tenuto in nessun conto, più di sempre è importante che vi siano
delle creature come voi che si riuniscono per formare una catena di pensieri e di intenzioni che risulta,
all’occhio di chi vede oltre l’apparenza, come una sorta di faro da cui si diffonde un segnale per la
nuova strada che l’umanità dovrà percorrere.
Parlare di evoluzione in un simile momento, fa correre il rischio di non essere creduti perché, in
effetti, udendo i fatti della vostra vita, sembra che l’umanità non sia progredita ma abbia percorso il
cammino all’inverso. Voi sapete, perché molte volte lo abbiamo detto – e lo ripeto per chi non ascolta
sovente la nostra voce – che tutto avviene secondo un ordine preciso, e che anche quello che può
sembrare disordine e confusione obbedisce ad una legge di equilibrio che non falla. Questo
momento, che tutto il mondo in generale sta vivendo, è e segna un trapasso da una vecchia epoca ad
una nuova. È un momento di transizione dove cadono le stampelle, gli appoggi, le grucce, i limiti
entro i quali l’umanità di ieri doveva muoversi, per dare respiro a più grandi e più ampi spazi.
L’umanità di oggi, e più ancora quella del domani, si muoverà in direzioni diverse e – quello che conta
più di ogni altra cosa – si muoverà di moto proprio, in maggior libertà. È questo cadere dei tabù, delle
inibizioni, delle morali coercitive che dà l’impressione di un peggioramento nello spirito degli uomini,
ma voi dovete guardare con fiducia al nuovo respiro dell’umanità; non dovete giudicare tutti gli uomini
dai fatti di cronaca nera o simili che leggete sui giornali. Di fronte a questi eccessi – pur essi
importanti ed essenziali per le creature che li compiono, perché costituiscono l’esperienza che esse
debbono fare – di fronte a questi eccessi, dicevo o figli, vi sono tante, tantissime creature che vivono
semplicemente, modestamente la loro esistenza. Forse un po’ smarrite perché non credono più alla
religione, non credono più all’autorità costituita, non credono più all’onestà di chi li governa e di chi
dirige la sorte dei popoli, ma conservano nel loro intimo un’intenzione pura, un segreto anelito a
qualcosa di buono e di effettivamente accomodante, sanante. Vi sono tante creature che non
appaiono sulle colonne dei giornali e attendono di credere ancora a qualcosa di veramente
costruttivo. Ebbene, quando avvicinate qualcuno che è vicino a voi come vicinanza fisica, e più
ancora vicino a voi per questo anelito di cui vi dicevo, sappiatelo riconoscere, sappiate dare a queste
creature la speranza che esse attendono. Parlate a questo “qualcuno”, dite che ciò che appare è un
136
atto ed una rappresentazione che deve essere per far scaturire nel loro intimo – nell’intimo di questi
che vi ascoltano – come reazione, un maggiore impulso ed una maggior ricerca alla rettitudine,
all’onestà – questa volta non più imposte dall’esterno – ma ritrovate nell’intimo di ogni uomo. Questo
è quello che io vi raccomando, o figli, iniziando questa comunicazione.
Volete rivolgere delle domande?
D. – Vorrei chiedere… È stato detto che il marxismo è un’espressione di questi rivolgimenti. Quando
non lo si condivide o quando lo si rifiuta, ci si pone in un atteggiamento negativo? Come si può fare
per superare e per accettare i tempi nuovi che si presentano con questo volto?
R. – Ogni creatura, ogni essere umano, ha un suo “ambiente”, un suo mondo e ciascuno ha fatto
addosso a sé questo mondo, lo ha cucito indosso come si suol dire; e ciò che va bene per te forse
non va bene per chi ti siede accanto o chi fa parte della tua stessa famiglia. Così non possiamo dire,
intitolare una ideologia, una fede, in qualche modo, e dire che quella va bene per tutti gli uomini. Non
sia mai! Ciascuno ha le sue esperienze da compiere, figli, e ciascuno indubbiamente le deve
compiere nell’ambito di se stesso, dell’ambiente in cui è posto. Ciò che noi vogliamo dire quando
diciamo che il marxismo va bene come il cristianesimo, deve essere inteso in questo significato.
Perché certe creature abbiano delle esperienze necessarie alla loro esistenza, è utile e necessario
che credano in certe ideologie, vivano per quelle. Mentre, per altre creature, sono utili ideologie
opposte. Ma quello che conta è che ciascuno creda e pensi con la propria mente e sappia
comprendere questo principio che significa, in termini pratici, tolleranza. Comprendere cioè che
ognuno ha le sue esperienze da compiere, e non giudicare gli altri con il proprio metro e con la
propria fede o le proprie idee. Comprendere che ognuno – ripeto – crede a quello che deve credere,
perché anche il credere in qualcosa fa parte di un “ambiente” – non solo fisico ma anche psichico –
nel quale è posto e nel quale deve sperimentare. Quindi noi non vi invitiamo a credere in questa
ideologia o in quella, in questa religione o nell’altra; ogni pensiero degli uomini è sempre bello.
Dicemmo una volta che ogni fede, tutte le fedi, sono paragonabili ai fiori: ciascuno diverso e ciascuno
bello in sé; ciascuno segue l’ideologia, le proprie convinzioni, secondo se stesso, secondo le
esperienze che deve fare. E, forti di questa convinzione, figli, vi sarà più facile comprendere e
tollerare chi non la pensa come voi.
Quello che noi cerchiamo di farvi capire è che non esistono ideali morali validi per tutti nello
stesso modo; ma ciascuno di voi deve raggiungere la sua meta. Ciò che è ideale morale per un
selvaggio non lo è certo per un Santo. Certo questi sono due estremi di una scala di valori, ma fra
questi due estremi voi potete comprendere che anche una leggera sfumatura di ideali costituisce una
diversità che ha lo stesso valore della diversità che vi è fra i due estremi. Ciò che vogliamo soprattutto
indicarvi come ideale – diciamo – che può, in un certo senso, avere un significato universale per tutti
è, invece, la meta e il significato delle umane incarnazioni. Ogni uomo, dal selvaggio a colui che sta
per lasciare la ruota delle nascite e delle morti – che noi possiamo chiamare convenzionalmente
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Santo o superuomo o saggio – deve giungere a vivere al di là del senso di sepratività che la sua
condizione umana gli imprime; superare, quindi, l’egoismo. Questo ha valore, è lo scopo della vita
umana; e questo può essere genericamente indicato come ideale che abbia valore per tutti gli uomini,
a qualunque punto della evoluzione umana si trovino. Ebbene, se questo ideale qualcuno crede di
attuarlo o perseguirlo seguendo una certa ideologia, e tal’altro invece crede di raggiungerlo seguendo
una religione che ad esso si ispira, è lo stesso. È lo stesso significato, è lo stesso valore. Questo è
importante. Comprendere, quindi, che l’uomo è sulla Terra per giungere a vivere al di là di se stesso,
per giungere a capire che egli è uno con tutto quanto esiste, e se egli è uno con tutto quanto esiste
non c’è dubbio che il proprio prossimo è un se stesso. Quando l’uomo ha trovato questa convinzione
interiore, fermamente, allora può abbandonare la condizione delle umane incarnazioni ed ha
raggiunto lo scopo per il quale ha trascorso una fase di vita umana. Non so se sono stato
sufficientemente chiaro.
D. – Possiamo fare noi qualcosa per i nostri cari che ci hanno lasciato? O non possiamo fare niente
per loro?
R. – Certo, potete pensarci con amore e con serenità. Comunque quello che voglio dirvi, figli, è che
chi lascia la Terra, chi trapassa, come si suol dire, dopo un primo momento nel quale, come abbiamo
detto altre volte, segue un suo ciclo naturale, trova senz’altro tranquillità, serenità, fino a lentamente
assopirsi, per poi tornare nuovamente. Siate quindi tranquilli, da questo punto di vista, per i vostri cari
che non vedete più fisicamente, ma che esistono sempre.
D. – Vorrei chiedere una cosa: come mai mio marito ha questa indifferenza completa per queste
cose?
R. – Come ho risposto prima in senso generale, o figlia, ognuno ha il suo ambiente fisico e psichico
che gli è necessario per le sue esperienze. Io non parlo, adesso, del tuo compagno, perché non
parliamo mai delle persone che non sono presenti, vero? Parlo in senso generale, figli, quindi questa
risposta vale per tutti.
Che significato ha credere o non credere nell’aldilà o in certi fenomeni? Evidentemente è un
ambiente psichico anche quello. Il credere nell’aldilà comporta l’agire in un certo modo; oppure, di
fronte a certe decisioni, essere più o mento titubante, più o meno indeciso e via e via. È tutto un
macerarsi dell’individuo, è un confrontare ciò che l’individuo deve fare con la sua fede, con ciò che gli
impone la morale o la religione, o la sua posizione nella vita, eccetera. Quindi anche il credere in
certe cose, ripeto, fa parte delle esperienze che ciascuno deve fare, è una parte del suo mondo, ciò
che contribuisce a fargli avere certe esperienze e non altre, in un certo modo anziché in un altro.
Ecco, questa è la risposta che vale per tutti e anche per te e il tuo compagno.
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D. – Posso fare una domanda? Posso sapere come sta la mia mamma, se è serena?
R. – Cara figlia, abbiamo molto piacere che tu sia qua stasera e che possiamo rivolgerci direttamente;
cosa che non possiamo fare nelle altre riunioni, non perché non lo vorremmo, ma perché siete
talmente tanti, figli, che la serata andrebbe consumata solo per rivolgerci a ciascuno di voi. Quindi
sono contento che tu sia qua stasera, e che tu possa avere da queste povere parole che ti rivolgo la
sicurezza che noi ti seguiamo: cerchiamo di occupare un posto che altri hanno lasciato vuoto.
Invocaci e ci sentirai vicini. Vedo che tu hai della forza d’animo e quindi non abbatterti. Non pensare
di essere sola: nessuno è veramente mai solo. È solo a decidere la sua vita, allora è solo anche
quando ha una famiglia numerosissima, fa parte di un ceppo familiare assai vasto, anche allora è solo
a decidere. E nello stesso tempo nessuno è mai solo perché ognuno ha tante Entità vicino a sé che lo
aiutano, gli sono vicine, lo amano, gli inviano il loro amore.
D. – Ma non è per me che piango, perché sono sola. È per loro. Vorrei sapere se sono sereni, se
sono insieme…
R. – Ma stai tranquilla, figlia. Ho risposto prima: tutti i trapassati, tranne un primo momento che può
essere di travaglio per il cambiamento di esistenza, per le condizioni di vivere, sono poi tutti sereni e
felici.
D. – Grazie! Ma io ho paura di non aver fatto per lei tutto quello che dovevo. Ho dei rimorsi.
R. – Non tormentarti, figlia, non tormentarti. Non credo sia così.
D. – Scusa, vorrei sapere: quelle presenze, cioè quella sensazione come se avessi qualcuno vicino a
me in determinati momenti, dipende dalla situazione del momento, da auto suggestione, oppure
effettivamente c’è qualcosa che…
R. – Come ho detto prima, ciascuno di noi e di voi ha vicino delle Entità, delle persone amiche che
cercano di infondere un’atmosfera amorosa, affettuosa, è vero? Se queste presenze sono portatrici di
serenità, di maggior tranquillità, allora voi ricordate queste mie parole. Se, invece, sono motivo di
paura, allora pensate che non sono persone, non sono Entità: è la vostra suggestione e perciò non
dovete credervi.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Vediamo se questa volta sono più bravo! Mi riconosci? No??? Ma come, Dino!! Nell’altra vita mi
sono ucciso. Sì. Ma ora ho capito, solo ora ho capito. Ma non ho rimpianti perché ho capito quello che
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doveva essere. Arrivederci.
D. – Dimmi di te… Ci vedi tutti, ora?
R. – Sì, tutti. Ma comincio a vedere anche… altre cose. A presto.
Dino Ciani
Si è manifestata anche la signora Lydia Lisa, trapassata circa tre mesi fa.
La Guida Fisica: apporto di un campanellino.
Salve a voi.
Vedo qua fra voi qualcuno che ha vissuto l’incarnazione precedente all’attuale al tempo della
Rivoluzione Francese. Parlo del figlio Aurelio. E allora mi ricordo, come voi sapete, che al tempo della
rivoluzione francese i rivoluzionari, fra l’altro, deposero dagli altari Dio – ormai ridotto ad un
concentrato di assurdità – ed innalzarono al suo posto la “Dea Ragione”. Ebbene, se gli effetti della
rivoluzione francese fossero stati limitati a questo fatto, certamente quell’avvenimento sarebbe stato
ricordato dai posteri come uno dei più salutari della storia.
Questa sera vorrei imitare i rivoluzionari francesi per quanto riguarda la questione dell’aborto.
Cioè guardare questa questione solamente dal punto di vista della logica e del buon senso,
scevrandola da tutte quelle implicazioni religiose che la rendono scottante. Voi direte: «Che cosa
c'entra la morale con la logica?». C'entra perché, vedete, la morale ha una sua profonda logica, tanto
che quando si dicosta da essa diventa immoralità. Perciò una cosa quando è assurda, anche se
appartiene alla religione, è immorale. Non ho certo la pretesa di dare delle soluzioni folgoranti; sono
troppo convinto che si tratti di questioni personali. Ma mi piacerebbe sgombrare il campo - come si
suol dire - da tutte quelle false morali, quei pregiudizi, quei preconcetti, quelle falsità, insomma, che
travisano la questione, e riportarla alle sue giuste dimensioni, già vaste in sé tanto da non doverle
dilatare più oltre. Perciò diamo uno sguardo indiscreto al talamo nuziale del signor Rossi e consorte.
«Caro - alita lei - non credi, dopo due anni di matrimonio, che sia giunto il momento di pensare ad un
figlio?». «Che fretta c'è - risponde lui sacrificando il suo amor proprio di maschio - siamo ancora
giovani, abbiamo tempo, godiamoci la nostra libertà! E poi fra un anno avrò una promozione e, con
quella, un bel aumento di stipendio. Allora potremo pensare ai figli». Saggia ed assennata decisione,
non c'è che dire, dovrete convenirne con me. Intanto il Padre Eterno aspetta l'aumento di stipendio
del signor Rossi per creare una nuova vita. Bene fate, signori Rossi, a pensarci molto e non poco
prima di decidere, perché una volta tratto il dado non è più possibile tornare indietro. Ci mancherebbe
altro! Scomodare il Padre Eterno per un “nulla di fatto”! Ma cosa credete? Di avere arbitrio sulla vita di
un altro essere? Di poter decidere, dopo l'amplesso, se deve o non deve nascere? Prima
dell'amplesso sì, prima potete farlo, ma dopo no. Come dite? Perché prima sì e dopo no? Mah; si
dice “perché la vita è sacra e nessuno ha diritto sulla vita di un altro”. Ma ogni coppia, senza arrivare
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all'aborto, disinvoltamente - e non certo con problemi di coscienza - decide della vita o della non vita
di tutti gli esseri, i figli, che potrebbero da essa nascere. Si obbietterà che nel caso dell'aborto, della
gravidanza, si è di fronte ad una vita esistente e nessuno ha diritto di sopprimere un essere vivente.
Lo Stato poi dovrebbe prevenire e reprimere i delitti contro la vita. Certo sono d'accordo, anzi sono
d'accordissimo, sono così convinto della sacralità della vita che ne faccio un principio generale valido
per ogni sua forma, e non solo per quella umana. Ma ho dinnanzi ai miei occhi sterminati campi di
battaglia dove giacciono le ossa di tanti poveri diavoli - pardon - di tanti poveri esseri umani mandati
d'imperio ad uccidere o ad essere uccisi, comandati dallo Stato di combattere, e non certo in
ossequio al principio di sacralità della vita, che lo Stato dovrebbe tutelare. Si obbietterà che nelle
guerre ci sono gli aggressori e gli aggrediti e che è un sacrosanto diritto anche la difesa, non c'è
dubbio. Ma allora? Certi ideali morali non sono così assoluti come si vuol far credere; pensavo che la
vita fosse così sacra - la vita altrui - da imporre di lasciarsi aggredire e soccombere, prima di
uccidere! Ma voi mi dite che la disfesa dei propri beni o dei propri diritti - perché molto spesso si tratta
di questo, e non della propria vita - è più importante della sacralità della vita altrui. E qua sarebbe
molto facile fare del sarcasmo! Ma vi chiedo soltanto: se allora lo Stato ammette che quel principio
così sacro passi in sott'ordine rispetto a motivi la cui fondatezza io non voglio discutere, per quale
motivo lo Stato dovrebbe impedire ad una coppia che abbia altre fondate ragioni di decidere di non
avere figli, dopo l'amplesso, tanto più quanto questa decisione è legittima prima dell'amplesso? E qua
si aprono tutte le capziose discussioni sul concetto autonomo della vita dell'ovulo fecondato, sul
concetto di persona, su vita consapevole e vita inconsapevole. Questioni tutte che fan tremar le vene
ai polsi, perché basti pensare che tutto vive; dal cristallo che si cristallizza, alla cellula, al filo d'erba e
su, su. E che ogni vita è sempre "consapevole", quanto meno a livello di sensazione. Vedete, posso
anche essere d'accordo con una interpretazione estremamente rigorosa di ciò che può danneggiare
la vita; ma allora, il rispetto dovuto alle forme vegetative umane come la vita di un ovulo fecondato,
deve essere esteso - non dico alle forme di vita vegetativa naturale, che sarebbe troppo pretendere -
ma almeno agli animali. Si cominci con l'abolire assolutamente la caccia, non meno delittuosa
dell'aborto nei confronti della vita.
Io credo che il vero delitto non stia tanto nell'azione, quanto nell'intenzione; nella vera ragione per
cui l'atto è commesso. Perciò la questione dell'aborto è una questione personale di coscienza,
riservata ai soli interessati, e non può essere regolata da leggi dello Stato le quali possono
disciplinare i rapporti fra cittadini - fra lo Stato e i cittadini - al fine di tutelare il bene comune dei
singoli, ma non pretendere di disciplinare il pensiero e la coscienza degli uomini. Lo Stato non ha
alcun interesse, né diretto, né legittimo, né attuale, né valutabile, eccetera, eccetera, che possa
giustificare un’interferenza nella decisione dei genitori di non avere un figlio.
E poi la responsabilità dei genitori non è grande solo quando essi decidono di non avere un figlio;
è più grande quando decidono di averlo assumendosi automaticamente l'imperioso dovere di educare
il figlio con autorità, ma non con sopraffazione; con amorosa pazienza ma non con lassismo,
premiando ma anche castigando, mirando a quello che essi ritengono il bene del figlio, e non solo al
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suo piacere. I genitori hanno l'obbligo di dare al figlio il necessario, che è più dell'indispensabile e
meno del superfluo. Perciò oltre che la loro forza d'animo, debbono valutare le loro possibilità
economiche, ed in base a tutti questi elementi, decidere quanti figli avere o non avere. Dal punto di
vista dei genitori è molto più crudele far nascere un figlio negli stenti che non farlo nascere affatto. I
genitori debbono essere lasciati liberi di decidere secondo coscienza, perciò la loro volontà non deve
essere coartata da propaganda di alcun genere, in special modo da quelle atte ad incrementare le
nascite per fini nazionalisti, razziali e perciò razzisti .
Vedete, che vi siano delle donne che non sanno rinunciare alla maternità, pure essendo affette
da gravi malattie ereditarie - sperando che nel frattempo la medicina progredisca tanto da prevenire,
o per lo meno curare le infermità a cui potrebbero essere assoggettati i loro figli, o i figli dei loro figli -
è abbastanza grave. Ma che certi casi siano gabbellati dai moralisti come fulgidi esempi da imitare di
puro amore e istinto materno, è semplicemnte mostruoso. Questo ci fa riflettere sul fatto che affidarsi
alla coscienza degli uomini significa supporre o presupporre, che si tratti di esseri responsabili, ma il
che non è fatto abituale. Allora, quando manca la coscienza, torna necessaria l'imposizione esterna
della norma: allora la norma deve essere limitativa delle nascite che possono avvenire ad opera di
genitori irresponsabili, e non il contrario. In ogni caso vale il principio che la legge deve essere fatta
per l'uomo e non l'uomo per la legge.
Cesso di scandalizzare i moralisti, ma prima vorrei rivolgermi a tutti i probabili genitori e chiedere:
per quale motivo volete dare la vita? Perché così si deve fare? Per esibizionismo? Per riempire la
vostra esistenza di giocattoli viventi? Per continuare la vostra stirpe? Incoscienti! Meritereste di non
poter procreare. Siate consapevoli della grande responsabilità che vi assumete, di fronte alla quale
tutto passa in second'ordine, la vostra stessa esistenza.
E agli altri, a quelli che non vogliono figli, chiedo: perché non li volete? Perché vi sono serie
possibilità che i vostri figli nascano malati, oppure gravemente mancamentati? Allora fate bene, anzi
fate benissimo. Se il Padre Eterno ha qualcuno da punire che si arrangi da solo; non spetta a voi fare
i boia. Oppure non li volete perché le vostre condizioni economiche sono veramente problematiche e
temete di non avere il necessario da dare ai vostri figli? Capisco il vostro dubbio; vorrei aiutarvi ma
non posso perché ogni caso è un caso particolare e spetta solo agli interessati risolverlo in sincerità,
nella speranza ma anche nell'incertezza di chi non sa che cosa il futuro può riservargli di bello o di
brutto. Posso solo assicurarvi che nella pura intenzione altruistica non c'è peccato.
E a quelli che non vogliono figli solo perché i figli sono scomodi, creano preoccupazioni,
complicazioni, magari fanno apparire più vecchi, chiedo: perché optate per la non vita, per la morte?
Per il vostro egoismo? Siate per la vita, per la sua crescita, per il suo domani! Adoperatevi a
migliorarla vivendola e facendola vivere. Amatela e difendetela anche se costa, date ad essa lo
spazio e la fiducia che merita, perché la vita è il più gran dono.
Pace a voi.
Kempis
142
Creature, brevemente vengo per abbracciarvi e per infondervi la forza, per portarvi l'aiuto dei
vostri cari che vi seguono. Essi sono presenti qui, fra voi, ed anche loro mandano la loro benedizione,
il loro aiuto di fede. Siate sereni, fiduciosi.
Oh, pensate a quanto potete essere d'aiuto a chi vi è vicino e che pur non credendo o non
volendo intendere ciò che voi sapete, può ricevere egualmente la forza e la luce che dalla vostra fede
si sprigiona.
Oh creature, io debbo lasciarvi momentaneamente; ma vi prego, continuate a pensarmi, a
pensarmi vicina a voi.
Pace. Pace, creature. Con voi!
Teresa
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Abbraccio e benedico tutti, o figli, voi qua presenti e chi rivolge a noi il suo pensiero in questa
occasione.
Particolarmente questi figli che non posso avere fisicamente vicini ogni volta che mi è possibile
trasmettere il mio pensiero attraverso allo strumento. A voi, figli, rivolgo il mio saluto, vi invito a
pensarci, a non dimenticare questi brevi momenti in cui possiamo farci sentire da voi, manifestarci.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Per l'insegnamento, fra quindici giorni.
Pace a tutti voi.
Dali
143
24 Aprile 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
L’affermazione che ciò che c’è da conoscere è già stato detto, al massimo può essere accettata
solo come dogma di fede di una religione suicida.
Ognuno, senza difficoltà è disposto a credere che quanto l’uomo conosce è una piccola parte del
conoscibile ed una parte ancora più piccola della Realtà. Siccome nessuno saprà mai quato resta da
conoscere, ogni uomo del presente e del futuro, senza fare atti di fede, può ammettere che la Realtà
comprende più di quanto si conosce, più di ciò che si può osservare, più di quello che appare. Questo
è quanto basta per rendere legittima ogni opinione della quale non sia stato dimostrato il contrario. Ed
è pensando a questo che costantemente vi richiamiamo, o figli, alla tolleranza nei confronti delle
opinioni degli altri. Vi richiamiamo alla duttilità, vi incitiamo ad ascoltare, per comprendere, ciò che gli
altri intendono significare.
Vedete, ogni uomo – veramente degno di essere uomo – deve portare avanti le sue opinioni
onestamente: vivere per esse, non rinunciare per interessi in qualche modo contrastanti. Deve, in
tutta onestà, far conoscere il suo pensiero, se è richiesto, ma non rinunciarvi; e quando, sul terreno
delle dimostrazioni, si scontrano gli interessi, allora deve saper riconoscere chi parla in buona fede e
chi, invece, non ha questa buona fede. Molte volte abbiamo detto – ed ancora volentieri lo ripetiamo –
che non è tanto importante morire per un idea, quanto vivere per essa. Così voi che qua siete riuniti
ad ascoltare la nostra voce, tenete sempre presente quanto vi dico. Non rinunciate a ciò che credete,
siate sempre disposti ad ascoltare il pensiero degli altri e anche ad abbandonare ciò che, fino a ieri, è
stato per voi sostegno della vostra esistenza, quando qualcosa di nuovo entra nella vostra
comprensione; ma non rinunciate per un interesse materiale. Rinunciate alla vostra idea perché avete
compreso di più – questo sì – e siate, ripeto, convinti che tanto c’è da sapere, senza cristallizzare il
vostro pensiero in ciò che sapete. Molte volte scopro il pensiero di voi che qua ci ascoltate e che, in
una riflessione interiore, osservate di non riuscire a seguirci fino in fondo in ciò che vogliamo
significare. Ebbene, figli, può sembrare un’esagerazione, ma io vi assicuro che quanto voi udite –
anche se non è completamente afferrato – rimane trascritto in voi ed al momento opportuno il
concetto che quelle parole non hanno saputo mostrare ai vostri occhi, risulterà lucido alla vostra
consapevolezza.
Vi abbraccio e vi lascio momentaneamente.
Dali
144
Buona sera, amici cari. Sono la Guida Fisica dello strumento. Vi prego di stare concentrati. Noi
faremo… Prendi la tua macchina, cerca di inquadrare…
D. – Ho inquadrato.
R. – Attendi eh? Non è ancora… devi attendere. Prego. (Foto scattata).
Adesso debbo completarlo… Prego! (Secondo scatto). Ecco! (Terzo scatto). Credo che basti, è
già completo. C’è qua la figlia Clara? C’è? Eh, forse no… È mandato per una vivente che si chiama
Clara.
D. – Sì…
R. – Vieni qua da me, figlia. Ecco.
D. – Posso fare una domanda? L’ectoplasma si può avere?
R. – C’è sempre quando facciamo questi fenomeni, ma si dissolve istantaneamente.
D. – La forte luminosità delle mani si può avere ancora?
R. – Adesso?
D. – Sì.
R. – Vi prego di stare molto concentrati, è vero? Adesso niente luce, però, perché occorre della forza,
naturalmente, e quindi voi dovete capire che bisogna aiutare lo strumento, è vero? Mi raccomando a
voi: silenzio e… pazienza… Ecco. (Scatto foto). Vedi questa luminosità sopra? È ectoplasmatica,
ma… si dissolve.
D. – (Incomprensibile).
R. – Se il nostro scopo fossero i fenomeni fisici, con l’esercizio, certamente. Ma noi abbiamo un’altra
missione da compiere. Adesso devo recuperare le forze dello strumento.
Michel
Pace a voi.
Non avete alcuna domanda? Allora continuerò il mio discorso.
145
Dunque: (bella maniera di iniziare, direte voi, con un “dunque”), ma ripeto che ciò che sto dicendo
non è che il seguito di altre conversazioni.
Noi ci siamo interessati di diversi quesiti importanti della filosofia quali – per menzionare alcuni di
quelli che ci hanno interessato – Realtà ed apparenza, divenire ed essere. Ebbene, fra questi occupa
un posto preminente il “monismo-pluralismo”. Può sembrare che questo dilemma sia da relegare fra
le inutili esercitazioni accademiche, e questo forse può essere in parte vero. Ma se dalla soluzione del
quesito ne risultasse prima di tutto una maggior comprensione della realtà in cui ciascuno vive, e poi
in che direzione muoversi per vivere armoniosamente con questa realtà, non c’è dubbio che un simile
approfondimento tornerebbe utile perché, vedete, se il Cosmo è oggettivamente composto da una
pluralità di mondi e di esseri, allora la partecipazione ai problemi altrui è una questione di semplice
solidarietà umana o spirituale; ma se il “tutto esistente” è una Realtà del tipo di quello concepito dal
monismo spiritualistico, allora l’amore al prossimo è qualcosa di più di un semplice precetto, anche se
in ogni caso sempre da seguire.
Il campo ove è focalizzata l’attenzione, onde prevenire alla conoscenza, voi sapete che è diverso
fra cultura orientale e cultura occidentale. I due criteri seguiti ricalcano, né più né meno, lo schema io
non-io, disegnato dalla mente. L’io è il soggetto della conoscenza, il non-io l’oggetto. L’attenzione
della cultura occidentale è concentrata, principalmente, alla ricerca dell’oggettività. Infatti ciò che si
può analizzare, esaminare scientificamente è il non io; mentre gli orientali polarizzano la loro analisi
sul mondo interiore del soggetto. I criteri, essendo seguiti l’uno con l’esclusione dell’altro, non hanno
portato ad una visione d’insieme di quel poco della Realtà che l’uomo può cogliere, conducendo gli
orientali a poco conoscere del mondo esterno all’io, e gli occidentali, fino a pochi anni fa – il figlio R.,
nuovo ospite, me lo consentirà – a poco sapere del mondo interiore del soggetto. Tutto questo
naturalmente dando per esatta la suddivisione della realtà operata dalla mente secondo il criterio io
non-io. Intendo dire che la mente lavora partendo da un postulato dualistico, nel senso che dà come
dimostrata a priori ed oggettiva la dualità. Ma, in effetti, il dualismo io non-io è strutturale nella Realtà,
oppure deriva unicamente da una percezione limitata ed inesatta di essa? Crediamo di avere risposto
a questa domanda parlando dell’io. In ogni caso torneremo su questo argomento con delle
considerazioni ad una prossima occasione. Ricordo solo brevemente che per noi l’“essere” non è un
io che “sente”, ma è un insieme di “sentire”; e quindi il senso dell’io risulta dal punto d’incontro di due
coordinate: l’ascissa, che sarebbe il senso di separatività proprio del “sentire” a livello umano – l’io
spaziale, potremmo chiamarlo – e l’ordinata che sarebbe la memoria, ciò che crea la continuità dell’io
nel tempo e quindi potremmo chiamarlo l’io storico, o temporale. Ma in ogni caso la pluralità
comprende ogni dualità, perciò risolvendo il dilemma monismo-pluralismo, ne consegue logicamente
una risposta a livello generale di principio, valida anche per il dualismo io non-io. Ma come pervenire
a capo di questo dilemma? Non abbiamo la pretesa di risolverlo in senso assoluto; la soluzione
radicale sta in campi per ora a voi inaccessibili, tuttavia, intanto, abbiamo dato una risposta che sul
piano logico e filosofico, in breve, suona così: se si ammette una pluralità oggettiva, allora esiste un
tempo oggettivo, uno spazio vuoto, non un Dio ma più Dei, ciascuno dei quali privo dei caratteri di
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assolutezza, eternità, infinità, immutabilità, eccetera eccetera, possibili se esiste oggettivamente solo
l’Unità. Ma oltre a questo, se si osservano certe manifestazioni chiamiamole… naturali, che hanno un
carattere indubbiamente unitario, si rileva come l’Unità risulti dalla confluenza di molteplicità, sicché si
può ragionevolmente credere che ciò che a noi appare molteplice confluisca nell’Unità.
Per esempio: la consapevolezza, che ha un carattere così unitario, risulta l’insieme di tanti piccoli
atti istintivi della mente, così diversi che potrebbero essere prodotti da tante menti diverse da quella
consapevole. Cosa che non è. E questa consapevolezza non è l’insieme di tante piccole
consapevolezze, ma ha un carattere a sé; tanto che certe sensazioni dolorose ben localizzabili, sono
localizzate solo di riflesso. Intendo dire che se, per esempio, una parte del suo corpo soffre, l’uomo
prima avverte un senso generale di malessere – è lui come unità che soffre – ed una frazione di
secondo dopo localizza la parte sofferente. Ancora: se voi chiudete alternativamente prima un occhio
e poi l’altro, vi rendete conto come ciascun occhio percepisca un’immagine diversa, così diversa che
se le due immagini fossero fotografate, le fotografie non sarebbero assolutamente sovrapponibili. Non
solo, ma l’insieme delle due immagini è un’immagine ancora diversa, un’immagine che ha una
profondità. Ebbene, se si analizza questo processo, ci si rende conto delle modalità secondo cui si
svolge. Voi sapete meglio di me che il vedere non è un processo tanto degli occhi quanto della
mente. U’immagine, in sé, è un insieme di macchie di colori, di chiaroscuri, di linee, d’ombre, di forme;
è la mente che analizza quelle macchie colorate e le trasforma in visione consapevole. Io non so se vi
è mai capitato di osservare un oggetto in scarse condizioni di visibilità e di non riuscire a capire che
cosa sia quell’oggetto. Ebbene, quando la vostra mente ha indovinato che cosa è quell’oggetto,
anche la visione pare più nitida, sembra cioè che siano migliorate le condizioni di visibilità, cosa che
non è accaduta. Allora, tornando alle nostre due immagini monoculari è chiaro che la mente esegue
per ciascuna di esse una distinta elaborazione, altrimenti non si avrebbero due immagini, ma si
avrebbe un duplice insieme di macchie di colore. È come, cioè, se ciascun occhio avesse una sua
mente; non solo, ma siccome la visione simultanea è un’immagine con caratteristiche che vanno oltre
la somma delle caratteristiche delle due immagini, è chiaro che la mente – con una terza attività –
fonde le due immagini precedentemente elaborate e le trasforma in una visione tridimensionale. Ora
questa fusione non avviene per una realtà strutturale del corpo dell’uomo; avviene per un processo
mentale, vi è dunque un’azione unificatrice della mente, una sintesi percettiva che rende possibile il
carattere unitario della consapevolezza. Aggiungo che perché questa fusione possa avvenire, è
indispensabile una condizione: la simultaneità della percezione. Vedrò di spiegarmi più chiaramente
con un altro esempio, un processo analogo al vedere: il processo dell’udire. Voi sapete che la
percezione simultanea di un rumore da parte dei due orecchi, fra l’altro indica il punto spaziale di
provenienza del suono. Se la percezione non è simultanea, si ha un effetto eco, con perdita della
possibilità di individuazione del punto spaziale di provenienza, sicché la simultaneità della percezione
dà alla mente una consapevolezza che va oltre la somma delle informazioni ricevute. Tutto questo è
possibile perché la mente è una, nonostante svolga funzioni così diverse che potrebbero essere
prodotti di altrettante menti indipendenti, consegnate per la sintesi finale alla mente consapevole.
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Come si suol dire la mente svolge più parti in commedia, crea più personaggi, ma è – e resta – una.
Direte voi: «Cosa c’entra questo discorso?». Ebbene, c’entra. Ho cercato di porre in evidenza tre
punti salienti e cioè: che nella sequenzialità appare diverso e molteplice ciò che in realtà è uno; che
nella simultaneità v’è fusione, che nella fusione v’è trascendenza. Invero nella sequenza temporale,
dove non esiste alcuna reale contemporaneità, gli uomini appaiono diversi e divisi; si può dire che la
molteplicità si mostra in senso orizzontale e verticale. Nella successione dei “sentire”, nel tempo del
“mondo degli individui” – come lo abbiamo chiamato – “sentire” analoghi sono contemporanei e, per
questa simultaneità si fondono. Nel non tempo, nell’assoluta simultaneità, tutto è comunione, fusione,
unità, trascendenza dalla molteplicità. Che ciò sia vero la stessa logica lo conferma; infatti se la
Realtà fosse costituita in senso pluralistico – per esempio alla maniera delle monadi di Leibniz –
impossibile sarebbe una corenza, tant’è vero che lo stesso Leibniz, per spiegare l’armoniosa
convivenza delle monadi, ricorre al concetto dell’armonia prestabilita. La verità è che la molteplicità è
un’apparenza, soggetto ed oggetto sono un’unica cosa, la stessa esistenza ha ciò che percepisce e
ciò che è percepito. Tutti i mistici di tutti i tempi e di tutte le religioni, con le loro visioni estatiche,
hanno colto l’unità materiale e spirituale dell’esistente, e se la nostra testimonianza può avere valore,
noi pure lo confermiamo ed aggiungiamo: come i singoli atti del processo della consapevolezza
sembrano prodotti di altrettante menti indipendenti da quella consapevole – mentre in effetti sono
funzioni diverse di una stessa mente – così i “sentire” relativi non sono che virtuali frazioni dell’unico
“sentire” che li sovrasta ed abbraccia tutti per il principio della trascendenza. E come la simultaneità di
distinte percezioni sensorie pone la mente in grado di superare la somma delle informazioni ricevute,
così “sentire” contemporanei si fondono e sfociano in un “sentire” che li trascende e così via. Ma
come la consapevolezza della mente, nella simultaneità della percezione, va oltre la somma delle
informazioni ricevute in forza della sua natura unitaria, così la trascendenza di Dio rispetto ai “sentire”
relativi deriva dal Suo essere Uno ed Eterno Presente. E come i singoli atti del processo della
consapevolezza risultano riassorbiti dalla sintesi finale, così noi in Realtà siamo un solo corpo, un
solo Spirito, un solo “essere” al di là di ogni apparenza.
Se non riuscite a capire questo, tutto quello che avete udito dai Maestri, dai Profeti, dagli Spiriti,
dai filosofi più illuminati, non è che una miscellanea priva di costrutto, di senso logico.
Pace a voi.
Kempis
Om mani padme om.
Salve, fratello caro, salve!
Il progresso porta, coi vantaggi, nuovi problemi. Ciò che si costruisce per rendere comoda la vita
dell’uomo, spesso si rivela fonte di scomodità. Ciò che si fa per renderlo indipendente non di rado lo
fa schiavo, ciò che si fa per facilitare la sua esistenza lo rende sempre più scontento. Il Buddha disse:
«Tutti i tormenti dell’anima umana traggono origine dal timore e dai desideri». Io vedo come la tua
serenità venga distrutta dalle tue ansie e dalle tue brame. Tu temi anche ciò che non è certo, ma
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questo non è saggio. Tutto potrebbe accaderti! Ed allora, pensando a questa probabilità, vuoi rendere
la tua vita un solo timore? Chi non teme è libero. Pensa a quante cose ti rendono servo e a come
sarebbe importante per te poter usufruire di tutta la libertà di cui potresti disporre. La vera libertà non
sta nel poter appagare tutti i desideri, ma sta nel sottrarsi ad ogni influenza, prima fra tutte la
coercizione esercitata dal tuo desiderio. Devi essere così libero e forte da poter disporre di te stesso
in ogni momento. L’uomo forte, il più potente, è colui che sa comandare a sé medesimo. Puoi gloriarti
di comandare gli altri se non sai comandare a te stesso? Devi essere forte per servire; nell’auto-
controllo genererai l’ordine, e nell’ordine interiore la tua liberazione. Sempre la libertà si fonda
sull’ordine, ma l’ordine non può essere imposto. Chi affermasse il contrario in sostanza direbbe che la
libertà si fonda sulla coercizione: sarebbe in contraddizione con sé medesimo. La libertà dai tuoi
desideri non la puoi raggiungere violentando te stesso, reprimendo le tue brame, ma generando in te
quell’ordine che risulta dall’aver trasceso la radice dei tuoi desideri. Questo è vero non solo per il tuo
mondo interiore, ma anche per la società nella quale tu vivi. L’ordine sociale, e perciò la vera libertà, è
raggiungibile solo nel convinto adempimento dei propri doveri individuali. Ciò che devi raggiungere è
la convinzione che non puoi vivere solo per te stesso, che fai parte di una società la quale può avere
un assetto armonioso solo se i suoi membri posseggono una coscienza sociale. Fa che il tuo
desiderio sia il desiderio di tutti; chi nulla desidera per sé è il più ricco degli uomini perché ha già ciò
che gli altri cercano di raggiungere appagando i loro desideri.
Se desideri sapere, sappiti istruire, ma non istruire per essere considerato un Maestro e perciò
essere amato; piuttosto ama!
Non adorare i morti per quanto degni possano essere stati. Ama i vivi, ma non far dipendere da
essi la tua felicità. Infelice è l’uomo che fa dipendere dagli altri la sua gioia.
Non aver paura del dolore; se non sai nulla della sofferenza, cosa puoi sapere della felicità? Se
non hai patito un sopruso, cosa puoi sapere e come puoi amare la giustizia? Ricorda: l’uomo deve
conoscere la felicità e il dolore, il bene e il male, per essere al di là di essi!
Om mani padme om…
Fratello orientale
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Saluto caramente tutti voi, o figli, in particolare coloro che non possono sovente udire la nostra
voce così direttamente. Assicuro tutti voi, o figli, che la vostra presenza è costante nel nostro cuore; vi
seguiamo nella vostra esistenza di ogni giorno. Già sappiamo che cosa vi attende, quali sono i
problemi che dovrete affrontare, ma ricordatevi che importante per ciascuno di voi è l’affrontarli, siano
essi giusti o meno, ma sempre dovete agire, non restare tiepidi di fronte a ciò che la vita vi riserba.
Vi abbraccio tutti, caramente.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
149
29 Maggio 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli. Il nostro saluto e la nostra benedizione a tutti voi.
Abbiamo udito, miei cari, quello che avete detto all’inizio della vostra serata e ben volentieri ci
uniamo alle vostre espressioni, ben sapendo che questo giorno non è che un semplice ricordo, una
data convenzionale; ma dal momento che per voi rappresenta qualcosa, anche noi ci uniamo a ciò
che avete detto, in particolar modo nei riguardi del figlio Roberto, di coloro che fino dall’inizio hanno
seguito queste manifestazioni, di coloro che, invece, sono venuti ultimamente. E mentre ringraziamo i
vecchi amici per aver continuato, nel tempo, a tenere acceso questo centro di pensiero, ringraziamo
anche i nuovi venuti che, con le loro curiosità, la loro più fresca visione della cosa, il loro più vivo
entusiasmo, ci hanno consentito di approfondire argomenti che già, fino dall’inizio, avevamo
accennato ma che, come tutto, sono suscettibili sempre di essere maggiormente approfonditi e
chiariti.
E fra i nuovi, anzi nuovissimi ospiti, consentitemi di salutare anche da parte nostra il figlio
Gastone de Boni, il quale è certo un simbolo per l’idea del movimento spiritico. Ma io desidero
ringraziarlo e salutarlo particolarmente non perché egli è favorevole all’interpretazione dei fenomeni –
per lo meno di certi fenomeni – cosiddetti spiritici o medianici, ma perché nella sua vita egli ha
sempre tenuto fede a questa sua convinzione, anche quando la cosiddetta parapsicologia non era di
moda come è adesso, anche quando non faceva parte delle riunioni, della cultura: anzi, essere
studioso di questi fenomeni significava essere – in un termine forse un po’ secco ma che rende l’idea
– essere perseguitato. E quindi non perché – ripeto – egli creda nella spiegazione spiritica del
fenomeno, ma perché sempre ha tenuto fede al suo principio, senza mai scendere a compromessi. È
per questo che lo saluto veramente col cuore.
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato… e te stesso.
Vi benedico, figli, e vi lascio momentaneamente, con la viva preghiera di restare concentrati.
Dali
La Guida Fisica dice a de Boni di tenere fra le sue le mani del medium e spiega, più tardi, che
questo rende più difficoltoso il fenomeno. Dice a noi di restare concentrati pensando tutti al numero
150
uno. Chiede un bicchier d’acqua e dice al padrone di casa che stava per portarlo verso il medium, che
deve berlo lui, lentamente.
L’apporto è un cucchiaino da sale o da caffè che la Guida raccomanda a de Boni di tenere chiuso
fra le sue mani fino al termine della riunione, dicendogli: «Altrimenti parte si smaterializza da capo».
Salve a voi.
Questa sera vorrei limitarmi a fare delle semplici considerazioni, lasciando a voi trarre le
conclusioni che più vi sembreranno logiche. Il discorso che voglio fare riguarda la consapevolezza di
sé: il “sentirsi” d’essere.
L’uomo limita se stesso alla propria consapevolezza; l’antico “cogito ergo sum” solo ora comincia
ad essere rivalutato, o meglio ridimensionato, in seguito all’ipotesi che l’esistenza non sia tutta
contenuta nel pensiero consapevole. Ed in effetti l’essere va oltre il pensiero, oltre la facoltà di
pensare. Ma di fatto, nell’uomo comune, il senso della propria esistenza è ancora tutto legato all’io.
Perciò da qui noi dobbiamo cominciare. Non è la prima volta che ci interessiamo dell’io, altre volte ne
abbiamo parlato; ora da un punto di vista etico, ora analitico, fino ad affermare che nella struttura
dell’individuo l’io non esiste. Infatti se, come abbiamo detto la volta scorsa, in Realtà esiste solo
l’Unità, allora il senso dell’io, del sentirsi diversi e distinti, appartiene all’apparenza. Se in effetti siamo
un solo essere, allora il senso dell’io che si oppone al non-io non ha fondamento. «Ma – direte voi –
da questo punto di vista, dal punto di vista della Realtà oggettiva, null’altro esiste, oggettivamente se
non Dio; e perciò non solo non esiste l’io, ma neppure l’individuo inteso come ente reale, preso a sé,
distinto da ogni altro della medesima specie». Non c’è dubbio. Ma ciò che intendo significare è che,
pur restando nell’ambito del relativo e quindi del molteplice e del soggettivo, l’io non fa parte della
struttura dell’individuo, essendo un suo modo di concepire la Realtà, un’opinione derivante da
un’errata percezione del reale. Da ciò si comprende che con io noi intendiamo qualcosa di diverso
dall’io filosofico che sta a designare il soggetto pensante e cosciente delle proprie modificazioni; o
dall’Ego della psicoanalisi inteso come principio della coscienza, su cui agiscono le due forme
inconscie “Es” o “Id”, ossia le tendenze ereditarie ed istintive, e il super-io, ossia il complesso delle
regole morali. Per noi l’io è il principio della consapevolezza contenuto – o se preferite – non ancora
liberato da una concezione dualistica della Realtà. Dicendo che l’io non fa parte della struttura
dell’individuo, intendiamo significare che il principio della consapevolezza può esistere – o meglio
ancora: è votato ad esistere – al di là della concezione io non-io. Per noi – ancora una volta lo
ripetiamo – l’individuo non è un io che “sente”, ma un insieme di “sentire”.
Allora, da che cosa nasce il senso dell’io? È chiaro che parlare di io, significa parlare di livello di
evoluzione umano. Nel superuomo – cioè in colui che ha già lasciato la ruota delle nascite e delle
morti – non esiste più l’io, ma ciò non significa che non esista la consapevolezza di sé. L’io nasce
innanzi tutto dalla limitata percezione che l’uomo ha; ossia dal ristretto campo della sensibilità
ricettiva. Se l’uomo ha fame, non si sfamerà vedendo mangiare un altro. Da ciò nasce la convinzione
che il proprio essere non si estenda oltre la possibilità di ricezione consapevole. Nasce la distinzione
151
fra ciò che colpisce direttamente e quello di cui non si ha cognizione. V’è poi il ricordo che, tenendo
ben presenti le esperienze consumate ed i limiti entro cui esse toccano, contribuisce a ben
identificare il campo della propria ricezione e quindi alimenta, così, il senso di separatività. Inoltre il
ricordo crea la continuità dell’io nel tempo: «La tal cosa è accaduta a me…».
Ora, se voi pensate a quando eravate dei fanciulli, voi pensate ad un dato momento della vostra
esistenza; eppure i fanciulli che eravate, erano ben diversi dagli uomini che siete. V’è differenza nelle
azioni, negli interessi, nei desideri, nelle emozioni, quasi che si trattasse di un altro essere; ma il
ricordo vi garantisce che si tratta di voi stessi. Se qualcuno vi dicesse che avete avuto una vita in
precedenza all’attuale, certamente questo fatto vi incuriosirebbe, ma la prova di ciò potrebbe venirvi
solo dal ricordare quella vita. Eppure quante azioni di questa attuale esistenza non ricordate e non v’è
dubbio che voi le avete compiute! Dunque il ricordo, che secondo voi garantisce la continuità del
vostro essere, quando manchi, non prova che questa continuità non vi sia. Se parlo del ricordo, è
perché voi date tanta importanza ad esso al fine della identificazione di voi stessi. Il ricordo, come ho
detto, vi garantisce che voi continuiate nel tempo. Ma è un errore collegare se stessi al ricordo; la
continuità sta nello stesso “sentire” d’essere, nell’essere in sé che non cessa, e non può cessare
d’essere. Il ricordo perisce, si può anche dimenticare chi si è o chi si è stati, come nei casi di totale
amnesia; ma il “sentirsi” d’essere non cesserà mai. E questo “sentirsi” d’essere non è destinato a
perire come perisce il ricordo, ma ad ampliarsi sempre di più, fino a sussistere indipendentemente dai
pensieri, dai desideri, dalle sensazioni; anzi, nel silenzio di questi, ad espandersi talmente da
abbracciare tutto quanto l’io esclude: il non-io.
La vostra esistenza futura, quindi, non prevede la continuazione delle vostre limitazioni, della
ristretta concezione dualistica che voi avete della Realtà, dell’io che è limitazione; ma l’espansione del
vostro essere, l’effusione, la comunione con tutto quanto esiste.
Ora, se la considerazione che il non ricordare un dato momento della propria esistenza, non
significa che quel momento non sia stato vissuto, la si sposta dal ricordo alla consapevolezza del
presente, se ne deduce che il fatto che nel presente non si sappia o non si “senta” qualcosa, non
significa che questo “qualcosa” non faccia parte di se stessi. In altre parole: premesso che l’essere
uomo va ben oltre l’io, sia inteso come soggetto pensante che come principio della consapevolezza,
perché l’essere ha una parte inconscia e ciò è ormai universalmente accettato – tanto che si stima la
parte inconsapevole assai più grande di quella consapevole – vi domando fino a che punto è vera ed
è giusta la concezione che si ha della realtà, basata unicamente sul ricordo e sulla consapevolezza
del presente? Può nascondere, quella parte inconscia dell’essere qualcosa che modifichi totalmente
la concezione della realtà secondo lo schema io non-io? E che cosa vi accadrebbe se – come dopo il
trapasso vengono ritrovati i ricordi di precedenti incarnazioni – ad un dato punto della vostra
esistenza di individui trovaste non la consapevolezza d’essere stati qualcun altro, ma la
consapevolezza d’essere qualcun altro? Che so! D’essere l’aggressore e l’aggredito, d’essere
insomma tutto quanto una concezione ristretta, che voi avete attualmente, vi fa escludere di essere?
D’essere io e non-io? Meditate su questi interrogativi. Vi aiuteranno ad avvicinarvi ad un nuovo modo
152
di concepire la realtà.
Ed ora facciamo, molto brevemente, il punto della situazione, di ciò che abbiamo detto fino a qui:
Dio è il Tutto-Uno-Assoluto. Questo significa non solo che tutto quanto esiste è in Dio e fa parte di
Dio, ma che Dio è “Coscienza Assoluta”, in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell’Unità. Non si
intenda però con questo che Dio sia un ente che sovrintende, che sta più in alto. Badate bene: è
molto meno errato credere che Dio sia uno stato di coscienza, piuttosto che pensarlo come una
persona. Infatti da sempre noi vi abbiamo detto che Dio è Coscienza Assoluta. Ma voi avete preso
questa affermazione come se Dio fosse un essere che avesse una Coscienza Assoluta, così come
potrebbe avere un bel sorriso. No, miei cari! Non è l’essere che ha la coscienza, ma l’essere è la
coscienza, o viceversa. È ben diverso, pensateci bene. Se il tutto è considerato prescindendo
dall’Unità, appare la molteplicità, compaiono gli esseri, i mondi, il divenire. Ma il divenire non è reale
perché è l’apparenza di una parte della Realtà-Unica-Totale, ossia di Dio. Tuttavia affermare che il
divenire è un’apparenza, non spiega come è fatta salva l’immutabilità di Dio, in mancanza della quale
Dio non sarebbe Assoluto. Bisogna che quanto a noi appare come divenire, come futuro, come
probabilità che non è realizzata ma che si realizzerà, esista già; e non come idea archetipa, ma come
realtà vivente e palpitante quale sarà vissuta. Altrimenti Dio, che tutto comprende, muterebbe col
mutare del divenire, dei mondi. Ed eccoci all’insegnamento dei fotogrammi con cui abbiamo spiegato
che ciò che vi appare come divenire, come probabilità che si realizzerà, esiste già tutto contenuto in
serie di situazioni cosmiche fisse nel non tempo, nell’Eterno Presente, così come l’azione viva e
palpitante che si osserva in un film, è contenuta nei fotogrammi della pellicola. E questo concetto –
figlio Gastone – non è in contraddizione con la libertà relativa, e abbiamo spiegato questo parlandovi
della serie di situazioni cosmiche parallele, cioè delle cosiddette varianti. Allora quando un veggente
di provata capacità sembra sbagliare la sua previsione, non ha sbagliato veramente e propriamente,
in quanto si è collegato alla situazione cosmica parallela, alla variante nonn vissuta dalla generalità.
Ma su questo argomento potremo tornare più profondamente, se vi interesserà. E come il divenire dei
mondi è tutto contenuto in serie di situazioni cosmiche fisse nell’eternità, così l’evoluzione degli esseri
non è un divenire, risulta da serie di “sentire”, virtuali frazioni dell’unico “sentire”, uniti in successione
logica dal più, semplice al più complesso. Ogni essere, considerato nella sua continuità, è una serie
di “sentire”. Il senso dello scorrere e della continuità risiede nella natura stessa del “sentire” che, se
pur limitato, è coscienza d’essere, non consapevolezza. V’è una differenza fra la coscienza d’essere
e la consapevolezza dell’uomo. Se noi prendiamo in esame un essere, uno Spirito, un’individualità, la
vediamo tutta contenuta fra due estremi: da una parte l’atomo del “sentire”, il “sentire” più semplice,
quello che non risuona se non è collegato al mondo fenomenico della percezione; dall’altro il “sentire”
più complesso. Qual è il “sentire” più complesso? Ovviamente il “Sentire Assoluto” che tutto
comprende, che è essere uno ed essere tutto al di là del virtuale frazionamento che genera i mondi
ed il loro divenire. E siccome il “sentire Assoluto” è unico – e non potrebbe essere diversamente – ne
consegue che ogni essere ha in comune, per lo meno, questo “sentire”. Ma siccome il “Sentire
Assoluto” tutto comprende, ne deriva che noi siamo in realtà un solo essere. Badate: l’esistenza di
153
Dio è conciliabile con la molteplicità dei mondi e degli esseri in un solo modo e con un solo concetto:
che Dio sia uno stato di coscienza in cui tutto è fuso e trasceso nell’Unità. Se questo è vero, anche
solo per approssimazione, ne consegue logicamente e necessariamente:
1. che niente può essere escluso da questa comunione, del resto già esistente da sempre
nell’Eterno Presente;
2. che ogni essere raggiunge Dio altrimenti non potrebbe essere realizzata l’Unità, ossia non
esisterebbe Dio;
3. che Dio è, raggiungo senza che ciò origini più di un Assoluto.
Fratelli, da sempre vi abbiamo detto che tutto è un aspetto di Dio, ma questo significa, in altre
parole, che Dio è la reale condizione d’esistenza del Tutto.
Pace a voi.
Kempis
Om mani padme om.
Salve, fratello caro, salve!
Tu vivi in un mondo in cui è facile venire in contatto con le molte ideologie; di fronte a questa
grande varietà di pensiero, saggio è essere tolleranti, riconoscere a tutti il diritto di pensare e di
credere liberamente. Hai mai meditato come la tua tolleranza sia più grande quanto meno siano
toccati i tuoi interessi? E come ti sia più facile essere tollerante con i morti che non con i vivi. Tu suoli
tenere delle immagini sacre con l’effige di grandi pensatori scomparsi, per mostrare con ciò tutto il tuo
rispetto, la tua ammirazione, la tua devozione per quelle persone. Ma se esse tornassero in vita e, in
qualche modo, condannassero ciò che pensi e come vivi, che fine farebbero quelle immagini? Saresti
così tollerante da continuare ad amare ed apprezzare quelle figure?
Ciò che gli altri pensano o fanno, è da te tollerato in misura diversa, secondo che gli altri siano
conoscenti, parenti, amici o famigliari. Quanto più gli altri sono tuoi intimi e quanto meno sei disposto
a tollerare che essi non condividano i tuoi principi. Tu giustifichi il tuo strano comportamento
affermando che fra chi conosci senti maggior senso di responsabilità, verso chi è più vicino. Così la
tua tolleranza si chiama piuttosto indifferenza. Che senso ha assumersi delle responsabilità solo
verso chi si conosce, sentirsi in dovere solo verso chi si ama? Se un tuo fratello ha bisogno di aiuto,
lo ha che tu lo frequenti o meno, e che cosa cambia della sua situazione per il fatto che lo conosci, se
pur conoscendolo non l’aiuti?
Quando una calamità si è abbattuta su un gruppo di persone, e vieni a sapere che chi conosci è
rimasto incolume, tiri un sospiro di sollievo come se niente fosse accaduto; ma chi ha posto questi
strani limiti al tuo interessamento? Sono essi reali o convenzionali e crudeli?
Tu credi di dimostrare la tua grande tolleranza predicando l’eguaglianza fra tutti gli uomini, a
qualunque Nazione, religione, ceto sociale essi appartengano e non comprendi che la stessa idea di
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Nazione, ceto sociale, religione è in se stessa crudele. Essere tolleranti non significa essere
indifferenti, cessare di vivere. Tu difendi così bene la tua indifferenza – che credi di sublimare
chiamando tolleranza – che quando odi una verità scomoda, la distruggi intellettualizzandola; così il
tuo intelletto e le tue opinioni divengono i tuoi distruttori. Se poi ciò che odi va contro la verità che la
tua religione professa, tu non ascolti giustificandoti col dire che chi parla è certamente ispirato dalle
forze del male, e non comprendi che così facendo tu sei preda del maligno, ossia dell’errore.
Ascolta ciò che gli altri dicono, non essere indifferente. Sii freddo o caldo. Tu non sei né questo
né quello perché temi di perdere or l’una or l’altra occasione; così permani nella stagnazione della tua
indifferenza; cessi di vivere, perdi l’occasione di comprendere e la profondità del tuo pensiero. Ma io ti
dico che solo laddove è profondità di pensiero e di sentimento vi è la pienezza della vita.
Om mani padme om.
Fratello Orientale
Figli, Claudio vi saluta.
Molti di voi pensano che il progresso conduca gli uomini alla realizzazione di se stessi; che il
Regno di Dio sia una perfetta organizzazione sociale in cui tutti i bisogni degli uomini trovino pronto
appagamento. Sappiate invece che ciò che è conosciuto come realizzazione dell’uomo, vita del
superuomo, non appartiene al mondo dei fenomeni e della percezione. Che cosa significa questo? La
percezione si fonda sul gioco dei contrari: la luce l’ombra, il caldo il freddo, il bene il male. Secondo la
personalità che rivestite, siete attratti or da vita spirituale, or da quella materiale. Ma appena avete
raggiunto un estremo, subito il suo opposto vi richiama a sé. Così giacete preda del conflitto dei
contrari e non comprendete che la Realtà sta al di là, sì, del male e dell’odio, ma anche del bene e
dell’amore intesi come opposti di qualcosa. Ciò che è sperimentabile in se stesso e nel suo contrario
appartiene al mondo dei fenomeni e della percezione. Solo l’essere, l’esistere non hanno contrari;
nessuno può sperimentare il non essere, il non esistere, il nulla. Ma arduo è spiegare che cosa
intendiamo per “sentire”, “sentirsi” d’essere; tanto arduo quanto inutile, forse. Solo chi l’ha provato
può comprendere. Taluni lo sogliono paragonare o definire come amore nella sua forma più elevata di
altruismo; ed in effetti il “sentire” è una lucida constatazione d’essere uno con tutto quanto esiste e
perciò assimilabile alla spinta altruistica che infiamma certe creature. Ma questa, a paragone del
“sentire”, è una pallida sensazione. Sinché si è presi dal conflitto dei contrari, sinché il senso dell’io
esiste, si è nella separatività che crea i molti. Allora si chiama amore quella spinta verso gli animali, le
persone, il divino. Ma se si pensa agli altri sia pure per far confluire ad essi tutto il proprio anelito di
bene, il proprio amore, come ad esseri da sé distinti, non si ha quel “sentire” di cui noi vi parliamo. Il
vero “sentire” non conosce né cose, né persone, né soggetto ed oggetto. Non è amore verso gli altri o
verso tutti, ma è un’interezza in cui non v’è separazione. Il “sentire” è un’estasi in cui si è tutt’uno con
gli altri, in cui è totalmente trasceso il mondo dei fenomeni, dei contrari, della percezione.
Pace.
Claudio
155
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Veniamo per chiudere questo incontro che è l’ultimo di questo ciclo. Non abbiamo certo raggiunto
una conclusione del nostro insegnamento. Pensiamo che solo adesso possiate cominciare a vedere
un nuovo orizzonte, un nuovo modo di concepire la Realtà. Cerchiamo di portarvi a questa posizione
gradualmente perché, vedete, miei cari, non dovete pensare che la vita futura che vi attende sia
quella di uomini ingigantiti, che conservano tutte le caratteristiche umane che ora avete. Fra la vita
dell’uomo e del superuomo – cioè di colui che ha lasciato la ruota delle nascite e delle morti – v’è
tanta differenza quanta può esservene fra la vita dei regni naturali e la vita dell’uomo; forse ancora di
più.
Vi benedico ed abbraccio tutti e vi invito a meditare e riflettere su quello che durante questo ciclo
di incontri avete udito, cosicché possiamo continuare il nostro discorso.
Pace a tutti coloro che questa sera non sono presenti, ma che egualmente ci hanno pensato.
Pace a tutti.
Dali
156
Ciclo 1976-1977
20 Novembre 1976
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari; vi prego di non lasciare la catena.
Riprendiamo questi nostri incontri in un momento in cui gli eventi umani sembrano volgere al
peggio, in cui sorgono da molte parti grida di allarme; sembra, e forse in parte è vero, che tutto vada a
scatafascio e che nessuna speranza vi sia per l’uomo di oggi. In questa ridda di opinioni allarmanti e
di grave preoccupazione alla quale vostro malgrado siete trascinati, mai come ora vi preghiamo di
tenere presente il nostro insegnamento, o figli, mai come ora vi invitiamo ad essere fiduciosi,
soprattutto a non fidare in un uomo del destino: l’uomo del destino è ciascuno di voi, o cari, perché
ciascuno di voi da solo può essere l’artefice della serenità, della tranquillità, dell’equilibrio, della
giustizia, del retto vivere ed operare della società. Quante volte abbiamo ripetuto che la società è fatta
di individui e che nessuna legge, nessuna imposizione, nessun ordine imposto può valere la
coscienza individuale. Cominciate quindi da voi stessi, dalla vostra famiglia, dalla vostra vita a portare
ordine ed equilibrio; cominciate dal vostro mondo a far regnare la giustizia, la serenità. Questo è
l’unico rimedio veramente valido che possa ricondurre la società umana su un binario più tranquillo e
di maggior serenità. Non ho altro da aggiungere, per il momento, se voi non avete delle domande da
fare, beninteso.
Vi lascio momentaneamente. Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
…la simpatia che l’uomo ha nei confronti dell’animale, che fra tutte le specie è quella che più gli
si avvicina, si dice risieda nell’intelligenza. Io sostenevo che stava anche nella libertà, ossia nel minor
condizionamento che ha l’uomo rispetto a quello che hanno gli animali per i loro istinti naturali. Nella
nuova dimensione in cui mi sono ritrovato dopo la mia morte, mi sono reso conto di quanto questa
mia affermazione fosse relativa. Prima di tutto ho capito che il condizionamento non è un fattore
negativo: lo sviluppo costituisce parte integrante dell’esperienza qualunque essa sia; questo è vero
157
per l’animale e per l’uomo. Cambia solo la natura dell’esperienza ma la regola è la stessa:
l’esperienza nasce nel momento in cui l’individuo si scontra con i suoi condizionamenti ed in qualche
modo li supera. Poi ho capito come sia relativa la libertà dell’uomo; per questo mi sono servito di un
termine di raffronto. Esiste una stretta analogia fra la possibilità che ha un organismo di svilupparsi in
un certo senso liberamente, supponiamo ipoteticamente le api, e la possibilità che ha l’uomo di agire
liberamente. Prima di tutto, per il fatto stesso di appartenere ad una specie, l’organismo ha certe
caratteristiche che ovviamente non sono quelle di un altro organismo appartenente ad una specie
diversa. Queste caratteristiche sono dei punti obbligati, dei fattori fissi, che condizionano i tratti
somatici e quindi la libertà di sviluppare in una certa direzione. Ma altri condizionamenti esistono e
sono: tratti somatici della razza, del ramo, del ceppo, della famiglia; dati somatici, questi, tutti
ereditari. Senza contare quelli che pur non essendo ereditari ma dipendenti dall’ambiente, come quelli
che originano le varietà, condizionano egualmente la libertà di sviluppo di un organismo. Perciò si
capisce che questa libertà di sviluppo è tutta contenuta nel ristretto ambito delle possibili variabilità;
ossia è al di là di quella particolare condizione di caratteri trasmissibili dalla via ereditaria che
costituisce la quasi totalità delle linee di sviluppo obbligate. Considerando solo le leggi biologiche in
senso stretto, ossia, a prescindere da quella influenza psicosomatica con il quale sempre bisogna
fare i conti. In modo analogo la libertà dell’uomo è condizionata dai Karma della specie, della razza,
della famiglia – non intesa, ovviamente, in senso biologico – e dai Karma propri. Da ciò si capisce che
la libertà di cui può usufruire un uomo è poco più di un affermazione di principio.
Entità Ignota
Claudio vi saluta.
Al fine di comprendere voi stessi considerate quanto siate condizionati dai modelli che la società
impone. Tale condizionamento vi spinge ad imitare quei prototipi e fa di voi degli apostoli, degli
attivisti del conformismo. Il conformismo è così radicato nell’uomo di oggi che solo gli
anticornformisti… che gli anticonformisti sono degli spostati, e chi non si conforma è considerato un
anormale; e per il timore del giudizio sfavorevole, della disarmonia in famiglia vi conformate alle
opinioni comuni, agli usi, ai costumi della società. La religione, la morale e la politica contano sul
vostro conformismo. Conformandovi esse sperano di condizionarvi e così sfruttarvi, perché il vero
scopo di ogni vera organizzazione politica e religiosa è quello di sfruttarvi per divenire più influente, e
perciò più potente. A vostra volta, come ho detto, con i vostri silenzi – o peggio, con il vostro
ostracismo – con il giudizio sfavorevole verso gli anticonformisti divenite dei missionari del
conformismo; siate liberi, consapevoli che la forma acquista importanza laddove mancano i contenuti.
Il vostro riconoscervi in un partito, in una religione, alimenta la separatività, la parzialità, incrementa il
vostro conformismo. Il conformismo impedisce all’uomo di agire secondo la sua vera natura, lo rende
ipocrita, incapace di comprendere chi liberamente si esprime; conformarsi alle idee altrui è uccidere la
propria creatività. Non crediate che io stia incitandovi all’anticonformismo, che è quasi sempre una
moda; sto incitandovi a comprendere voi stessi; agire perché così va fatto, denota vuoto interiore,
158
così come andare contro le consuetudini sociali per destare l’altrui attenzione significa voler imporsi
agli altri e riconoscere di non avere altri talenti per poterlo fare altrimenti. Badate bene: io non giudico
alcuna condotta, ne ricerco solamente le ragioni. Anzi, vi spingo ad agire secondo ciò che “sentite”,
perché è lecito violentare se stessi solo per non danneggiare gli altri.
Pace a voi.
Claudio
Pace a voi.
La legge dell’impenetrabilità dei corpi ha consigliato a suddividere in due gruppi la vostra
affluenza a queste riunioni. Ribadisco che questo non significa una frattura della cerchia, tant’è vero
che questa sera cercherò di rivolgermi non solo a voi che qua siete presenti, ma anche a coloro che
non lo sono; cioè, particolarmente agli amici di vecchia data per rievocare assieme a loro non fatti e
persone, ma certi concetti. Vogliamo sfogliare assieme l’album dei ricordi per constatare quanto
abbiate modificato certi concetti e come certe parole di sempre rivelino oggi significati nuovi.
La prima cosa che confermammo con le nostre comunicazioni fu la sopravvivenza dell’uomo alla
morte del suo corpo. A ben pensarci, oggi, sapendo quanto remota sia la parte che sopravvive
rispetto all’effimera personalità umana, pare più prossimo al vero chi neghi la sopravvivenza piuttosto
di chi l’affermi. Influenzata dall’idea di un’imperitura integrità dei caratteri essenziali dell’uomo,
risultava la verità della reincarnazione, intesa come se l’uomo fosse chiamato a recitare, in vite
successive, varie parti, dimenticando ogni volta chi era stato, ma rimanendo sempre essenzialmente
se stesso. In modo analogo l’evoluzione era intesa come un perpetuo divenire che faceva crescere
l’uomo in una sorta di gerarchia spirituale, intesa come una progressione in carriera, conferentegli
mansioni di sempre più vasta importanza nei riguardi degli esseri meno evoluti. Chi di voi non si è
visto proiettato nel futuro come un se stesso cresciuto d’importanza ed in conoscenza, senza pensare
ad un eventuale cambiamento del “sentire”, ossia un cambiamento del proprio essere? Allo stesso
modo la legge di causa e di effetto era apprezzata solo quale strumento di giustizia. Questo concetto
– pur risultando superiore all’altro secondo il quale il dolore era distribuito da Dio, non si sa bene con
quale criterio e per quali fini – tuttavia non contemplava l’intera verità della legge di causa e di effetto,
verità che è anche quella di riportare sul giusto cammino della comprensione l’individuo. Ricordate
quando credevate che l’emanazione di Spiriti, da parte di Dio, fosse continua per tutto il periodo della
manifestazione? Devo però rilevare a vostro vantaggio che nel quadro di una perfetta eguaglianza
degli esseri e di una scrupolosa giustizia nei loro confronti – quadro che non vi avevamo prospettato –
voi non comprendevate come in seno ad una stessa razza di anime, ad uno stesso scaglione,
potessero verificarsi sensibili disparità di evoluzione.
Oggi voi sapete che in effetti nessuna diseguaglianza esiste fra gli esseri; “sentire” analoghi
vibrano simultaneamente, e la differente evoluzione che si può riscontrare fra protagonisti di una
stessa vicenda dei piani grossolani, si spiega con la non contemporanea percezione di quella vicenda
da parte dei suoi protagonisti. Ossia i diversi livelli di evoluzione individuale degli esseri dei piani
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grossolani si riconducono ad una perfetta eguaglianza nel piano del “sentire”, dove ciascuno
cammina di pari passo con i suoi simili. E, così, abbiamo approfondito altri concetti.
Mi piace, però, soffermarmi su un ultimo ricordo: la nostra esistenza nei confronti di Dio. Forse
l’approfondimento più grande che abbiamo operato ed al quale poniamo tuttora mano, è proprio in
questo concetto di come dobbiamo vederci nel nostro futuro esistenziale. Come ho detto, ciascuno di
voi pensava a se stesso come ad un essere destinato a crescere, a crescere a dismisura, rimanendo
essenzialmente se stesso.
Amche l’amore ai fratelli era visto come un sentimento che si doveva avere nel quadro di
un’acquisita divinità, sentimento e divinità che lasciavano però ciascuno ben diviso dagli altri.
Se limitiamo noi stessi alla percezione delle singole fasi della nostra esistenza, di quale futuro
possiamo parlare? Noi, quali ci sentiamo, non sopravviviamo ad un attimo. Noi come personalità non
andiamo oltre una vita, noi come “sentire” individuale non siamo che un momento del “sentire”
dell’individualità, noi come individualità non oltrepassiamo un Cosmo. Allora di quale futuro
esistenziale possiamo parlare? In qualunque modo vogliamo considerarci, mai siamo gli stessi, ogni
attimo siamo un essere diverso, perciò se per sopravvivenza s’intende la continuità dello stesso
essere immutato, la sopravvivenza non esiste. Di più: se la molteplicità è un’apparenza, noi esistiamo
solo nell’illusione, non siamo nella Realtà Assoluta come individui da Dio distinti: la Realtà Assoluta è
solo Lui.
Riflettiamo: chi siamo noi se non “sentire” relativi che apparentemente si susseguono l’uno dopo
l’altro, l’uno diverso dall’altro? Noi nasciamo nella separatività, che è un’illusione, e troviamo una
continuità nel divenire, che è ancora un’illusione. Ma poiché l’illusione per propria natura è un
processo della limitazione, cioè limitato, cioè finito, cioè che finisce, che ne sarà di noi? In realtà
esiste solo Dio. Ciò che dall’illusione è costruito, con essa si dissolve. Dunque, quello spettro che
ogni uomo vede ad attenderlo alla fine della propria esistenza e che continuamente gli si para dinanzi
minaccioso, richiamato alla memoria da mille occasioni nel dì e più terrificante nella notte, lo spettro
della morte che l’uomo ha creduto di sconfiggere inventando la sopravvivenza, gli appare forse ora
inesorabile, quale sentenza passata in giudicato? Forse che qui miseramente naufragano gli infantili
sogni dei mendicanti d’essere in realtà figli di Re? D’essere chiamati ad una gloria eterna, di veder
rifulgere la propria immortalità?
Nelle antiche scuole di iniziazione, gli iniziandi erano sottoposti alla prova dell’aria, dell’acqua,
della terra e del fuoco, perché vincessero la paura e se stessi. Io vi chiedo una sola prova, ma che
per difficoltà le supera tutte: siete voi tanto forti e coraggiosi da credere alla morte vera? Gli atei lo
sono. Debbo concludere che voi credete per paura e per egoismo? In altre parole, avete trasceso l’io
egoistico e personale tanto da pensare alla sua fine rimanendo sereni? No? Bene! Credete che il
divenire non finisca mai e che con il suo perenne scorrere si realizzerà la vostra perpetua esistenza.
Ancora l’illusione per tenervi in vita. E chi non sa rinunciarvi, più oltre non ascolti.
Ma chi vuol conoscere la verità deve essere disposto a morire nel vero senso della parola,
convinto che con la morte tutto finisca: morte senza possibilità di sopravvivenza. Solo se è disposto a
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tanto ricerca la verità per la verità e non per accrescere se stesso. Sì, fratelli, ve lo ripeto:
rassegnatevi. Noi finiamo perché finiscono tutte le nostre debolezze, i nostri vizi, il nostro soffrire, il
nostro sentirsi ed imporsi diversi dagli altri, la nostra crudeltà, il nostro egoismo, perché questi siamo
noi oggi e finendo questi, noi finiamo! Capite che cosa intendo? Mi preme che voi lo comprendiate.
Non ci limitiamo ad enunciare delle verità, cerchiamo di renderle a voi accessibili. Ciò che vi dicamo
del vostro futuro non è una semplice – per quanto fondata – supposizione di ciò che sarà; il futuro
esiste già, niente noi abbiamo da supporre. Ma non è neppure la fedele descrizione di ciò che
constatiamo – la qual cosa potreste e non potreste credere – è anche, insieme, la spiegazione del
perché non può essere che così. Comprendo la vostra obiezione, voi dite: «Tu stai parlando di Dio.
Come Dio può essere raggiungibile dalla ragione?». Se dico che Dio è infinito, esprimo un concetto e
voi capite che cosa intendo, anche se non potete sperimentare l’infinità di Dio. Se dico che Dio è un
“sentire” esprimo una realtà che non è raggiungibile, sperimentabile dall’intelletto, ma esprimo anche
un concetto che è raggiungibile dalla ragione. Se dico che Dio è uno stato di coscienza in cui il Tutto
è fuso nell’Unità, non vi do la possibilità di sperimentare questo stato di coscienza, ma vi do l’unico
concetto che possa conciliare l’esistenza di un Dio Assoluto, eterno, infinito, immutabile, onnisciente,
onnipresente, onnipossente, completo, perfetto, eccetera eccetera, con la molteplicità degli esseri e
dei mondi. Se Egli è la sola Realtà Assoluta, ne discende che noi esistiamo solo nelle varie realtà
relative. Ciascuna realtà relativa è sempre soggettiva, come ho creduto di spiegare nello scorso ciclo
di riunioni.
Che cosa significa “soggettiva”? Che dipende dal modo di pensare e di “sentire” di un soggetto,
dice il dizionario. In effetti non esiste un soggetto che “sente”; il soggetto è il “sentire” stesso e
rappresenta ciò che esprime, o se preferite, la parte dell’Unica Realtà che esprime; essendo una
parte, è dunque un “sentire” limitato. Ma come può realizzarsi la limitazione di un “sentire”, se non nel
“sentirsi” di essere limitato? E come può “sentirsi” limitato un “sentire” se non fosse in qualche modo,
subordinato alla sequenzialità ed alla separatività? Ossia ad un tempo ed uno spazio posti come
oggettivi? Ciò che è oggettivo appare soggettivo allorché è posto oggettivo un soggettivo. È questo il
modo con il quale è realizzata la limitazione del “sentire”, limitazione che, se fosse reale,
smembrerebbe il Tutto in un numero indeterminato di frammenti, ciascuno dei quali fine a se stesso,
ammesso anche che così potesse esistere… Perciò il modo con il quale è realizzata la limitazione del
“sentire” fa sì che questa limitazione non sia reale.
Il rivelarsi come proveniente “da” e tendente “a”, è questo modo che limita e lega ciascun
“sentire” all’altro, creando gli esseri; ma al tempo stesso conduce gli esseri nella fusione del Tutto,
acciocché la limitazione non sia reale. Sì, fratelli, al di là delle nostre limitazioni, dell’essere o del
credere d’essere in un certo modo, al di là di ogni trasformazione che sembra subiamo, permane una
continuità nel “sentirsi” d’esistere che è la vera sopravvivenza. Questa continuità conduce ognuno a
riconoscersi uno col Tutto, ossia quello stato di coscienza chiamato Dio, dal quale nulla e nessuno
può mai essere uscito, tornare o dipartirsi al di là del tempo. Dopo la morte che avete accettata, ecco
dunque la resurrezione: essere Lui che non può certo esprimersi in un “io sono”; coscienza d’essere
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al di là di ogni separazione, di ogni divenire; supremo “sentire” che non conosce distinzione alcuna:
eternità.
Che cosa sono la luce e l’ombra, il bene e il male, l’io e il non-io, se non contrarie polarità in forza
delle quali esistiamo? Dolore, gioia, libertà, schiavitù, vita e morte, opposti fra cui si libra, incerto e
soffocato, un “sentire” che è il seme della divinità, ed è quello che conduce ogni essere a Dio, oltre
ogni contrasto, ogni separazione, ogni limitazione.
Ma allora, dopo avervi prospettato la vera morte, vi ho forse dato quello che mai nessuno ha
osato darvi, vi ho forse fatto credere che voi siete Dio. No, noi non siamo Dio, noi quali ci sentiamo,
non sopravviviamo ad un attimo perché ogni attimo siamo un essere diverso: ma la continuità del
nostro “essere, legando l’un attimo all’altro, va oltre l’illusorio succedersi di essi e ci conduce di fronte
all’unica realtà nella quale non possiamo che riconoscerci: Lui, perché Lui tutto comprende, Lui, in cui
si è Tutto e si è Uno nell’Eterno Presente. Lui, che è la vera natura di noi stessi, la reale condizione
d’esistenza del Tutto.
Se allora io e voi in Lui ci identifichiamo, ci riconosciamo, chi sono io, e voi chi siete?
Kempis
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Vengo per concludere questa riunione pregandovi di andare oltre il tono provocatorio del Fratello
Kempis, usato a bellaposta per stimolarvi a comprendere che cosa egli veramente vuole significare.
Saluto voi tutti, cari, ricordandovi sempre di non dare eccessiva importanza ai fenomeni, altrimenti ci
costringete a non produrli più.
Saluto anch’io di buon grado e molto volentieri i vecchi amici… gli amici di vecchia data – come li
ha chiamati Kempis – che qua per la maggior parte non sono presenti questa sera, e porgo il mio
benvenuto ai nuovi; il mio caloroso abbraccio e la mia benedizione a tutti voi.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
D. – Ci puoi dire quando, Dali?
R. – Fra quattro settimane.
Dali
162
18 Dicembre 1976
Cha la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti
voi, o cari.
Noi vi abbiamo parlato della differenza che esiste fra l’intuizione e la fantasia. Quando
all’intuizione si sostituisce la fantasia e con essa si pretende di captare la realtà, si originano quelle
favole che dagli uomini sono ritenute simboli della verità, ma che in effetti non lo sono; o quando la
verità la si cela troppo nei simboli ed a questi troppo si rimane attaccati, o figli, succede che gli uomini
si combattono a vicenda per imporre le loro fantasiose interpretazioni; e così nascono le guerre
religiose. Nessun paradosso maggiore può esservi di coloro… di quello che divide due popoli in nome
della verità; quale senso può avere combattersi per volersi imporre, e voler imporre gli uni agli altri il
possesso del vero? Oh figli nostri, noi confidiamo che voi non cadiate mai in questo triste errore. Le
religioni che si distinguono e desiderano distinguersi per la loro dottrina sono come tanti uomini che
credono di essere diversi gli uni dagli altri solo perché il loro abito è diverso. Quanto più una religione
si diversifica – e tende, e vuole diversificarsi – tanto più lontano è dal vero. Stolti coloro che non
comprendono la base unica che sta nelle religioni; stolti coloro che perdono lo spirito di ogni religione.
La presente epoca, o figli, è caratterizzata da una grande razionalità ed essa è stata determinata dal
fatto che gli uomini, nei secoli scorsi, hanno sostituito all’intuizione la fantasia, facendola correre a
briglia sciolta. Era quindi necessario, per scevrare tutto quanto sta nella cultura degli uomini, era
divenuto loro pensiero famigliare, tornare al positivismo, al razionalismo. Ma voi che qua siete
presenti, che ci seguite da tempo, dovete comprendere che questa grande razionalità che sembra
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colorare il mondo di oggi, ha lo scopo di destare nuovamente in ogni individo, in ogni essere, l’anelito
all’intuizione; intuizione controllata, per quanto è possibile, dalla ragione sì da non ripetere l’errore dei
tempi trascorsi, sì da non risostituirla ancora una volta con la fantasia. Perciò io vi richiamo ancora al
senso mistico della vita; noi non possiamo, se non cercando di interessarvi a questi problemi,
catturare altrimenti la vostra attenzione; noi non possiamo far fluire in voi, o figli, spontaneamente
quel “sentire” del quale tanto vi parliamo, e che corrisponde alle estasi dei mistici; non possiamo
provocarlo in voi. Possiamo solo – ripeto – catturando la vostra attenzione, stimolarvi a richiamarlo
nell’intimo vostro, perché voi dovete porvi nelle condizioni interiori tali che questo “sentire” fluisca
liberamente. Mi auguro che possiate comprendere quanto vi ho detto tanto bene da iniziare subito
quello stato interiore di attesa, di quiete, che permette l’unione con il vostro sé.
Vi lascio momentaneamente.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
D. – Le domande che dovevo farti?
R. – Dopo, cara.
Dali
Buonasera miei cari amici, sono la Guida Fisica di Roberto.
C’è qua un giovane nuovo amico che si chiama Gianfranco?
D. – Sì.
R. – Puoi venire qua? Ecco…
Vi prego di stare concentrati.
In questo momento, tra le mani luminose del medium, viene materializzato un apporto dall’Entità
Michel. È una piccola testa di leprotto in argento che viene regalata ad uno dei presenti, al giovane
Gianfranco Cherici.
Michel – Adesso vi prego di stare concentrati.
Michel
Altissimo Signore, eterno Iddio, di cui tutti siamo l’espressione, fa’ che comprendiamo qual è il
posto che Tu ci hai assegnato, dacci la comprensione della Tua volontà e la capacità per adempierla.
Fa’ che comprendiamo cosa la sofferenza vuole insegnarci, fa’ che siamo consapevoli dei nostri
limiti e delle nostre capacità e, in questa consapevolezza, come sia nostro dovere operare con il
progresso.
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Fa’ che comprendiamo di non sfruttare gli altri, dacci la forza di bastare a noi stessi e la
generosità per aiutare gli altri.
Poiché l’uomo viene in questo mondo e da esso se ne va nudo, sicché è perfettamente inutile
che egli accumuli i beni per se stesso. Riempici tanto di più da colmare la nostra pochezza che di
tutto ci rende mancanti.
Amen.
Teresa
Pace a voi.
Il tema delle considerazioni ultimamente svolte merita di occupare ancora la vostra attenzione,
dopo di che faremo una breve pausa e concluderemo questo capitolo che abbiamo aperto dopo la
pubblicazione del vostro volume, allorché, facendo delle affermazioni, vi chiedevamo chi sia l’uomo,
dal momento che non è il suo corpo fisico, non è il suo corpo astrale, non è il suo corpo mentale,
eccetera.
Noi speriamo che adesso, dopo aver parlato e approfondito alcune considerazioni sulla natura di
Dio, voi possiate da soli rispondere a questa domanda. Un capitolo che, ho detto, abbiamo aperto
dopo la pubblicazione di “Sintesi”, ma l’argomento, non c’è dubbio, risale alle prime comunicazioni.
Espressioni come “identificarsi in Dio”, “riconoscersi in Lui”, le abbiamo usate fino dalle prime
comunicazioni, dai primi messaggi, anche se, in effetti, esse sono state intese da voi in modo
abbastanza curioso. Ma ciò dipendeva dalle vostre credenze religiose, principalmente dall’idea del
Paradiso. Infatti, identificarsi in Dio per molti di voi stava ad indicare entrare, armi e bagagli, in Lui,
ossia in una sorta di massima beatitudine; conservando, se non il proprio io, la propria personalità,
almeno la propria individualità. Talvolta, invece, “identificarsi in Dio” era per taluno sinonimo di
annullamento, alla stessa stregua di come viene interpretato il Nirvana dei buddisti. Dirò poi se sia
giusto parlare di annullamento.
Abbiamo detto e ripetuto che Dio solo è la Realtà Assoluta, oggettiva, eccetera. Qualunque altra
esistenza, dai Cosmi ai mondi, alle materie, agli esseri, agli ego, ai sé, agli Spiriti – come qualcuno li
chiama – che esistesse oggettivamente al pari di Lui, interromperebbe le Sue qualità assolute. Perciò
Dio non sarebbe più l’unico e quindi non sarebbe più completo, e quindi non sarebbe più infinito, e
quindi non sarebbe più perfetto, eccetera. Ma da questa affermazione voi non dovete intendere che
Egli sia un monolito, che apparisca molteplice e composito in virtù di una specie di miraggio. Egli è
l’Unità che risulta dalla fusione della molteplicità. Se diversamente da così avessimo inteso, non vi
avremmo parlato delle “situazioni cosmiche” fisse nell’eternità del non tempo, percependo le quali
tutto appare in movimento. Tuttavia, fino da quando vi abbiamo parlato di queste “situazioni
cosmiche”, vi abbiamo avvertito che esse non sono delle realtà oggettive. Di oggettivo – lo ripeto –
non c’è che Dio considerato nella Sua Unità.
Dunque, la posizione più precisa che il nostro intelletto può farci trovare sta nel punto di equilibrio
fra l’unità monolitica e la pluralità poliedrica. Più volte abbiamo ripetuto che esiste qualcosa di fisso e
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di immutabile, percependo il quale tutto appare in movimento, prende vita e moto il mondo di
ciascuno. Ho detto “percependo” poiché il processo della percezione è un processo della soggettività;
quella nostra affermazione, poi approfondita, è sempre stata ad indicare la soggettività del Cosmo
inteso come comun denominatore di tutte le soggettività.
È chiaro che Dio non può essere il nulla; la Sua materia l’abbiamo chiamata “Spirito” – la Sua
sostanza, più che la materia – distinguendoci nell’uso di questo termine, per esempio, da Kardec che
con “Spirito” intendeva la parte immortale dell’uomo, quella che sopravvive.
Per noi, Spirito è divina sostanza, invece. Ma nemmeno lo “Spirito” esiste oggettivamente rispetto
a Dio, o da Dio distinto. Di oggettivo non c’è che Lui. Se ci si limita ad osservare la costituzione dello
Spirito, divina sostanza, appariscono i Cosmi, i mondi, le materie, gli esseri, i sé, gli ego, i quali però
appartengono alla soggettività. Sicché non si può dire che lo “Spirito” sia composto da Cosmi, da
mondi, eccetera, ma se mai il contrario.
Perché questo rovesciamento? Nel mondo della soggettività accade facilmente: un abitante della
Terra, osservando il fenomeno del dì e della notte, può credere che esso sia dovuto al moto di
rotazione del sole attorno alla Terra, moto che avverrebbe da est a ovest. Se si sposta il punto di
osservazione il fenomeno del dì e della notte appare invece dovuto al moto di rotazione della Terra su
se stessa in presenza del sole, moto che avviene da ovest ad est, esattamente in senso opposto a
come appariva il presunto moto del sole all’abitante della Terra.
Ripeto: il manifestato e il non manifestato compaiono allorché si delimita lo Spirito Assoluto. Che
cosa è lo Spirito lo abbiamo detto: è “sentire”. Esiste un solo Spirito Assoluto, un solo “Sentire
Assoluto”, una sola Coscienza Assoluta.
Ogni altro “sentire”, dunque, è un “sentire” relativo, cioè “sentire” in termini relativi, circoscritti,
limitati, soggettivi. Che cosa sia questo “sentire” del quale vi parliamo, non è agevole a dirvelo, lo
riconosco: il “sentire” è l’essere, è la parte di realtà che esprime o la realtà che esprime.
Vedete, generalmente si crede che la realtà cosmica sia del tutto esteriore, esterna all’individuo,
e che solo una piccola parte venga captata dall’individuo attraverso alla sua percezione. Ebbene io vi
dico e affermo che la realtà cosmica è del tutto interiore e che anche quella parte che viene colta
come esteriore, se voi riflettete, non si può dire sicuramente che lo sia e che piuttosto non si tratti di
immaginazione. Voi avete dei pensieri, dei desideri, che sono stimolati dalla percezione del mondo
nel quale vivete; ciò è così importante, per voi, che si può dire che viviate solo quando desiderate,
quando pensate. Ma il processo della percezione, per rivelarsi, deve sottostare al gioco dei contrari: il
piacere il dolore, il caldo il freddo, eccetera. Nei rari momenti in cui vi sottraete a questo gioco, o dopo
un enorme travaglio interiore, quando tace il pensiero e il desiderio, qualcuno di voi può avere provato
un “sentire” nuovo in cui cessa il tempo, in cui v’è pienezza, beatitudine e sembra di poter contenere
tutto quanto ci circonda. Ebbene, questa non è una sensazione: è una pallida ombra di quel “sentire”
del quale vi parliamo, che è uno stato di coscienza che esiste in sé e per sé e non più in funzione
della percezione. Questo stato di coscienza può sussistere al di là degli stimoli, tant’è vero che
l’individuo che l’ha raggiunto durevolmente lascia la trafila delle reincarnazioni. Egli è allora, puro
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“sentire”, coscienza pura, e sarebbe assurdo pensare che l’essere che esprime questo stato di
coscienza studiasse, conversasse, si recasse; queste sono attività umane. Ciò che è conosciuto
come ego, come sé, non ha questa dimensione umana. Sarebbe altrettanto assurdo pensare che il
sé, l’ego, o lo Spirito – secondo Kardec – fosse un quid che da relativo divenisse assoluto o che, in
qualche modo, divenisse. Niente può, in realtà, divenire, tanto meno lo Spirito. La stessa espressione
“dalla potenza all’atto” non è giusta, se con essa s’intende un accrescersi, un trasformarsi, un mutare,
un destarsi dello Spirito.
Com’è costituita, allora, questa parte più sottile di ogni essere, tanto per chiamarla in qualche
modo? Spero che non penserete ancora ad un frammento di divinità emanato da Dio che fa vivere e
crescere un essere in realtà da Dio distinto. Fra le dimensioni in cui impera la percezione e la realtà
sembra del tutto esteriore (cioè fra i piani fisico, astrale e mentale, tanto per intenderci) e la realtà
ultima, esiste una dimensione intermedia – ancora soggettiva, perché di oggettivo non v’è che Lui –
che noi abbiamo chiamato convenzionalmente piano akasico, ma che potrebbe essere stata chiamata
“piano delle individualità”, o forse più precisamente ancora “condizione d’esistenza”, comprendente
vari stati di coscienza, ciascuno dei quali potrebbe essere la realtà in modo sempre meno limitato.
Questi stati di coscienza sono la divina sostanza-Spirito virtualmente circoscritta, delimitata.
Ora, siccome il processo della delimitazione non può trarre fuori da Dio la parte delimitata,
perché niente può esistere da Dio disgiunto e cioè oltre Dio (e questa è una conseguenza logica del
concetto Dio-Assoluto), ne deriva che il “Sentire Assoluto”, la Coscienza Assoluta, contiene in sé tutti i
“sentire” e, per lo stesso principio, il “sentire” più complesso contiene il più semplice.
Vi parrà strano questo mio indugiare su Dio. Certo, parlando di Dio più se ne parla e meno si è
precisi. Per definirlo basterebbe dire l’essere è l’essere, o parlando della sua natura, dire Dio eguale
Assoluto, perché tutto il resto, tutti gli altri aspetti, i suoi caratteri infinito ed eterno, non sono che una
conseguenza logica di questa affermazione: Dio eguale Assoluto.
Noi possiamo partire dalla prima affermazione che ora vi ho detto, ed arrivare fino ai piani più
semplici, alla vita dell’uomo, secondo un filo strettamente logico, o viceversa, partire dal basso ed
arrivare all’alto. Cambiando logica, non cambia la conclusione. Un calcolo fatto col sistema decimale,
o fatto col sistema binario, dà lo stesso risultato. Cambiare logica può essere utile per intendere una
realtà diversa, ma non per giungere ad una conclusione opposta.
Noi vi parliamo, e cerchiamo di catturare la vostra attenzione, perché è il solo mezzo per
spingervi – anche per coloro che sono temperamenti mistici – a meditare: a maggior ragione per
coloro che sono temperamente razionali. Questo è quello che possiamo fare noi: prendervi da tutti i
lati, da tutti i punti in cui voi siete vulnerabili per stimolarvi, per indurvi a suscitare in voi questo fluire
del “sentire”.
Dunque, dicevo che ciò che noi affermiamo è un passaggio logico. Se voi dite: “A” è eguale a “B”
e “B” è eguale a “C”, voi non potete dire che “A” non è eguale a “C”. Oh!, certo potete pensarlo, non
c’è dubbio, ma siete incoerenti e non siete logici.
Mi chiedevo: perché abbiamo chiamato “dimensione intermedia” quella dimensione e quella
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condizione di esistenza immobilizzate nel piano akasico? Nel piano fisico, astrale e mentale, la realtà
che l’individuo osserva appare come condizionata da un’oggettività spazio-temporale del tutto
esteriore, per cui l’illusione è duplice; all’illusione del tempo e dello spazio si aggiunge l’illusione che
fa apparire la realtà come esteriore. Nel piano akasico non esiste realtà esteriore: l’individuo non
percepisce la realtà, è una realtà, perciò non è soggetto all’illusione della percezione. Badate bene, è
ancora soggetto all’illusione del divenire perché il “sentire” soggiace al succedersi, ed è ancora
soggetto all’illusione della separatività perché ciascun “sentire” “sente” di essere una parte oltre la
quale sta il resto; cioè v’è ancora una specie di tempo e di spazio, infatti solo in Dio si annulla ogni
tempo ed ogni spazio, ogni separatività ed ogni sequenza.
Se allora vogliamo fare una scala dell’illusione, chiamiamola così, ad un estremo della quale stia
la realtà e all’altro estremo la massima illusione, è chiaro che quella condizione di esistenza che noi
abbiamo chiamato piano akasico, sta in una posizione intermedia. Ma badate bene, da questo
esempio non dovete credere che l’illusione sia contrapponibile alla realtà; lo sarebbe solo se
l’illusione esistesse oggettivamente, fosse una realtà oggettiva, il che è una contraddizione in termini,
ovviamente.
Noi affermiamo che l’individuo non ha un sé, un ego, uno Spirito che si desta alla realtà, ma che
ciò che è conosciuto come sé, come ego, come Spirito, è un insieme di stati di coscienza l’uno
sfociante nell’altro che abbracciano, perché sono realtà sempre più ampie e profonde.
Se fossi sicuro che voi sapete andare oltre l’angusto senso di un esempio, sarei tentato di
portarvi l’immagine di tanti cerchi concentrici di raggio sempre maggiore. Noi affermiamo che
ciascuno stato di coscienza non trascorre, permane nel non tempo al di là del suo illusorio
succedersi, derivante dal suo essere la realtà in modo sempre meno limitato. Per tornare al nostro
esempio, i cerchi di raggio inferiore non si annullano nel cerchio di raggio maggiore: permangono al di
là del tempo, quantunque niente e nessuno, nella Realtà Assoluta, può essere distinto, evidenziato,
distinguibile da Dio.
Ancora affermiamo che per quella continuità di “sentire” che deriva dal fatto che il “sentire” più
complesso contiene il più semplice, ciascun essere inevitabilmente si riconosce in Dio. Ma questo
riconoscersi in Dio non deve trarvi in inganno e farvi credere che ciascuno di noi è Dio.
Voi sapete che l’individualità è stata paragonata, specie dalle filosofie orientali e dalle religioni
orientali, in molti modi, secondo molte figure: noi possiamo paragonarla al tronco di un albero i cui
rami sono le personalità rivestite nelle varie incarnazioni. Ora, il ramo più alto non è il ramo più basso
innalzato: è un altro ramo. Allo stesso modo noi esprimiamo uno stato di coscienza che non è lo
stesso che esprimevamo in una precedente incarnazione; ma fra l’uno stato e l’altro esiste una
continuità che abbiamo chiamato “individualità”. Allo stesso modo, noi siamo ben diversi da Dio, ma
fra noi e Lui esiste una continuità che ci conduce a riconoscerci in Lui. Chi afferma che una tale meta
equivale all’annullamento degli esseri e della emanazione, non sa quel che si dice: non ha capito che
creazione – o emanazione – non è un evento oggettivo e, quindi, oggettivamente non esiste. È quindi
assurdo sforzarsi di immaginare una realtà che contenga l’emanazione come componente oggettiva.
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Assurdo è pensare di collocare gli esseri, i sé, gli Spiriti, gli ego – che esistono solo dove esiste
sequenza e separatività, tempi e spazi – nella Realtà Assoluta che è al di là di tutto questo. Volerli
collocare in quella Realtà Unica ed Assoluta significa voler creare tanti Dei, che poi in realtà non
possono essere tali, perché può esistere un solo Essere Assoluto: quello nel quale tutti ci
riconosciamo. Ma come raggiungere la coscienza cosmica non significa pervenire ad uno stato di
solidarietà con tutti gli esseri del Cosmo – tutti per uno, uno per tutti – ma significa essere la
coscienza cosmica, aver trasceso quel velo illusorio che ci fa distinguere gli uni dagli altri, così
identificarsi in Dio non significa raggiungere un massimo stato di beatitudine e conservare la propria
individualità.
Identificarsi in Dio significa essere tutto e nulla in particolare. Significa “sentire” al di là del
trascorrere, del divenire dell’illusione. Significa essere Lui. Ed anche da quel poco che possiamo
immaginare, può chiamarsi annullamento una tale esistenza?
Pace a voi.
Kempis
Figli, Caludio vi saluta.
Ultimamente abbiamo affermato che l’amore altruistico è quel sentimento che più si avvicina al
“sentire” del quale amiamo parlarvi. In tale sentimento infatti vi è il travalicamento dei confini della
separatività, del “tuo” e del “mio”. Si può dire che lo scopo di tutte le umane esperienze, in ultima
analisi, sia quello di superare il senso della separatività e tutto quanto questo senso crea: solitudine,
invidia, gelosia, avidità, brama di possesso. Quanto più ci si aggrappa alle distinzioni create dall’io e
più si creano cause di sofferenza; la nostra futura esistenza non è la continuazione infinita di noi
stessi – che è un’illusione – ma è l’eternità in cui non v’è separazione “tu” ed “io”; è un “sentire” che
non conosce distinzione, particolarità. Udendo queste parole voi ne siete tormentati perché temete
che l’unione col Tutto equivalga all’annullamento degli esseri, perché voi cercate la moltiplicazione nel
tempo dell’“io sono” e non comprendete che l’unione col Tutto è, invece, la realizzazione del proprio
essere che è l’essere di tutte le cose; perciò una tale realizzazione è impersonale e onnicomprensiva.
Questa realizzazione non comporta un attutimento della coscienza, ma semmai una sua esaltazione
per il suo espandersi oltre i confini del tempo e dello spazio, del “tu” e dell’“io”.
Pace a voi.
Claudio
169
22 Gennaio 1977
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un saluto ed una benedizione a tutti voi, o figli.
Con l’ingresso nel vostro gruppo di nuovi amici, torna ancora come tema di discussione e di
riflessione l’interrogativo sull’origine di queste comunicazioni. Ed è logico che sia così, perché tutto
deve essere sempre posto nuovamente in discussione; guai se l’uomo si fissasse per tutta la durata
della propria esistenza dei capisaldi dai quali, poi, mai più volesse prescindere. Noi vi diciamo che
questi debbono essere fissati per il tempo necessario a comprenderli, ma con molta semplicità e
facilità possono essere… anzi, debbono essere abbandonati e sottoposti via via a nuove verifiche.
Non è la prima volta, o figli, che vi diciamo che non ha alcuna importanza chi noi in realtà siamo.
Per molte ragioni: noi non vogliamo essere ascoltati da voi perché voi siete convinti che noi siamo
degli abitatori di una diversa dimensione; se anche questo è vero, non è vero che chi si trova in una
dimensione diversa da quella del piano fisico veda la realtà. E quindi se voi credete che noi siamo
Entità perché questo vi dà una garanzia della verità di ciò che noi vi diciamo, ed accettate questa
verità solo perché noi la diciamo, voi siete in errore. Ripeto: al di fuori dell’unica realtà oggettiva ogni
altra realtà è relativa e soggettiva. Ma in questo momento di soggettività l’uomo, creatura stessa della
relatività e della soggettività, deve sottostare al gioco che lo vuole al centro di un suo mondo,
completamente suo, nel quale egli riceve degli urti che sembrano provenire dall’esterno e che
suscitano nell’intimo suo qualcosa, una reazione, una risposta. Sicché qualcosa di diverso nasce nel
suo intimo. In questo gioco di colpi e di contraccolpi l’uomo non deve cristallizzarsi; deve
continuamente riflettere. Ecco perché noi vi diciamo: «Accettate quello che noi pronunciamo, vi
prospettiamo non perché sono delle Entità a dirlo, ma perché è passato al vaglio della vostra
comprensione e lo trovate giusto». Fra un’Entità che fosse all’origine di queste comunicazioni,
bugiarda, ed invece uno psichismo vero, non c’è dubbio che sarebbe molto più utile uno psichismo
vero di un’Entità bugiarda. Così, miei cari, ancorta vi ripeto se non lo avessi ripetuto abbastanza, che
è essenziale che voi comprendiate quello che vi dicamo, che meditiate, lo assimiliate.
Poco fa ho detto e ho affermato che ogni uomo è un microcosmo, è un mondo particolare. Non è
la prima volta che faccio questa affermazione; posso dire che negli ultimi incontri spesso abbiamo
ribadito il concetto della soggettività. Quando vi abbiamo parlato della verità dei fotogrammi, espressa
con l’esempio dei fotogrammi, già allora vi dicevamo quanto questa realtà soggettiva e particolare
attaccata all’uomo possa essere percepita disgiuntamente; in una stessa situazione in cui vi sono più
esseri, ebbene, vi abbiamo detto che quella situazione può essere percepita in successioni diverse
quanti sono gli esseri protagonisti di quella. Già da qua voi dovevate intendere – ed in effetti avete
inteso – la soggettività della percezione, e di quello che è chiamato “mondo esterno”, invece ritenuto
170
una verità oggettiva. L’oggettività di certe situazioni deriva unicamente e si ritrova, appare, solo da
quelle particolarità che sono comuni a più soggettività. Ma per il fatto che un certo numero di esseri
dotati degli stessi sensi, percepiscano qualcosa in modo analogo, questo fatto non dimostra che ciò
che è percepito sia oggettivo. Noi vi abbiamo detto che ciascuno, di voi, ogni uomo, figli, potrebbe
essere l’unico essere esistente nel Creato e tutto il resto essere uno spettacolo, un miraggio, una
rappresentazione di ombre cinesi, ebbene, quell’essere unico ad esistere evolverebbe egualmente;
questo per darvi la misura della realtà e della vostra natura. Ogni uomo è un microcosmo. Se allora, o
figli, è così, questa verità porta ad un gran numero di considerazioni. Noi amiamo che queste
considerazioni siate voi a farle, ma cerchiamo di stimolarle. È vero che potreste… ciascuno di voi
potrebbe essere l’unico essere esistente nel Cosmo e tutto il resto essere semplicemente illusione,
miraggio… in che misura è vero? Voi sapete che non è esattamente così, che vi sono punti di
contatto fra i vari microcosmi, e questi punti di contatto sono proprio quelle rappresentazioni della
realtà che fanno immaginare una realtà oggettivamente esistente, ma nient’altro sono che comun
denominatori di tutte le soggettività. In che misura avviene che ciascuno di voi è solo a percepire una
certa situazione? È vero che allorché esiste la non contemporaneità del “sentire”… si verifica la non
contemporaneità del “sentire” – io non voglio qui ripetere che cosa significhi questa espressione;
quelli di voi che da tempo ci seguono mi comprendono – se fra due protagonisti di un episodio esiste
la non contemporaneità della percezione di quell’episodio, è ovvio che ciascuno dei due è solo a
percepire quella situazione. E quando avviene ancora? Nel caso delle varianti, allorché, cioè, un
avvenimento possa avere un duplice – o comunque un molteplice sviluppo; voi sapete che nel caso di
un duplice sviluppo una serie di fotogrammi è vissuta solo da un interessato, colui che ha la libertà di
scelta, mentre l’altra serie è vissuta dagli altri protagonisti dell’episodio che non hanno possibilità di
scelta. Ebbene, quella serie che è vissuta dall’unico protagonista, colui che ha la libertà di scegliere,
rappresenta un episodio vissuto unicamente da quell’essere. E nel momento in cui egli vive quella
situazione cosmica è quasi come se fosse l’unico essere vivente del creato.
Altre considerazioni possono essere fatte da questa verità; è vero ciò che cade sotto i vostri
sensi? Voi vedete attorno a voi altre creature, le vedete soffrire; per esempio, creature illuminate – i
cosiddetti Maestri – che si dice siano venuti fra gli uomini… vengano fra gli uomini unicamente per
missione, ma che già si siano staccati dalla ruota delle nascite e delle morti. Molti di voi si
domandano: «Perché questi esseri che vengono fra gli uomini per missione soffrono? Che senso ha
questa sofferenza? In genere la sofferenza è spiegata con la legge di causa e di effetto; perché quei
Maestri soffrono?». Io non voglio riferirmi a nessun caso particolare, ma voglio solo invitarvi a
riflettere; che senso avrebbe che un Maestro si incarnasse fra gli uomini per missione, solo ed
esclusivamente per questo, quando la realtà è costruita in modo tale che uno spettacolo di ombre
cinesi fa evolvere egualmente gli uomini? Che bisogno ci sarebbe che un essere che ha lasciato la
ruota delle nascite e delle morti venisse fra voi a predicare quando potrebbe essere un simulacro a
farlo, dietro al quale non si nasconde nessun “sentire”? Allora voi direte: «Siamo in una grande
confusione; che cosa significa questo?». Significa prima di tutto che non si è mai sicuri che ciò che
171
appare alla nostra percezione sia realmente “sentito”; secondo significato: che in linea di massima, e
non mi riferisco a nessuna vita in particolare, a nessun essere in particolare, in linea di massima non
ha senso che un Maestro si incarni fra gli uomini unicamente per missione. I grandi Spiriti che voi
avete conosciuto, dei quali conoscete la vita e le gesta, se si sono realmente incarnati lo hanno fatto
perché loro stessi, dalla loro stessa esistenza hanno tratto un retaggio evolutivo, altrimenti, ripeto,
non sarebbe stata necessaria la loro venuta fra voi. Ciò che ho detto, o figli nostri, ha unicamente lo
scopo di stimolarvi a riflettere, a meditare, a fare delle considerazioni; naturalmente questo vale per
chi abbia interesse a comprendere, ad ampliare la propria conoscenza, altrimenti ciò che abbiamo
detto quale norma di comportamento per se stessi e per gli altri è già più che sufficiente.
Vi lascio momentaneamente.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Buonasera, miei cari. Io sono la Guida Fisica di Roberto.
Vi prego di stare concentrati perché debbo fare un piccolo dono… Dunque, figlio Alfredo, tu
chiedevi di poter fotografare la linea di rottura dell’apporto in formazione, è vero?
D. – Sì.
R. – Adesso ti spiego perché da quelle foto che tu hai fatto sembra che l’oggetto fuoriesca dalla mano
del medium; perché nel punto – che tu hai detto giustamente… abbastanza precisamente di “rottura”,
l’espressione rende l’idea – quel punto deve essere circondato dall’ectoplasma del medium; che cosa
succede? Che se è possibile tenerlo dentro il corpo del medium è molto più facile operare
lentamente. Mi segui? Poiché l’ectoplasma, fuori del corpo, facilmente si disorganizza…
D. – Come è successo l’altra volta, allora?
R. – Sì. Ecco per cui la difficoltà di far vedere questa linea; noi potremmo farlo ma io debbo, in quel
punto, tenere dell’ectoplasma, e non so che cosa risulti…
D. – Decidi tu il da farsi…Devo preparare la macchina?
R. – Sì… (Lunga pausa, in cui vengono scattrate alcune foto).
Adesso basta… È per te, figlia Paola…
D. – Grazie.
R. – L’Altissimo solo sia ringraziato.
172
Con questa volta abbiamo terminato la possibilità di documentare questi fenomeni. Io spero di
essere stato chiaro, figlio Alfredo, su quali sono le modalità da seguire, per cui ogni altro tentativo che
potremmo fare incontrerebbe grandissime difficoltà.
Vi saluto caramente tutti.
Michel
Om mani padme om.
Salve, fratello caro, salve.
Questa sera spetta a me parlarti. Vorrei che le mie parole ti fossero utili, ti recassero quel
discernimento che fa vedere il giusto valore delle cose e delle situazioni sì da farti sfuggire alle molte
influenze e suggestioni che gli uomini politici, economisti e religiosi operano su te, facendo leva
laddove sei più feribile. Vorrei che tu comprendessi come con parole acconce da loro tu sia ingannato
e tu conservassi la la tua serenità. Vorrei che ti rendessi conto come una legge nel mondo umano sia
applicata quando corrisponde a ciò che si vuol fare, e venga messa in disparte quando con i suoi
divieti impedirebbe di fare ciò che si vuole. Questo sarebbe ancora tollerabile se ciò che si vuol fare
fosse nell’interesse generale perché l’uomo non è fatto per la legge ma la legge è fatta per l’uomo.
Ma purtroppo così non è; ebbene, vorrei che rendendoti conto di tutto ciò le tue reazioni fossero
identiche sia che i tuoi interessi vengano lesi, o che non lo siano affatto, o che lo siano quelli degli
altri. Non credere che io ti insegni a frenare le tue reazioni; se ciò che ti impedisce di importi all’altrui
dispotismo è la paura, se è l’ignoranza che ti impedisce di renderti conto di quanto sei
strumentalizzato, se è la pigrizia che ti induce all’accettazione in nome del quieto vivere, sappi che il
tuo dovere è quello di combattere per difendere i tuoi diritti. Ma ciò che io invoco per te è quella
comprensione che facendoti superare un’idea egoistica della vita, ti fa porgere l’altra guancia e ti fa
intendere come tutto sia creazione della soggettività, castello dell’illusione, e pur ti fa vivere come se
tutto fosse reale. Quella comprensione che ti fa intendere come il cammino dell’uomo passi dall’odio
per giungere all’amore, e dall’amore per giungere all’unione. Se il mondo nel quale tu vivi dimostra
tutta la sua fredda crudeltà, insensibilità ed ingiustizia, e della società di cui fai parte tu cogli solo la
confusione e la corruzione, sappi che questi tristi spettacoli quanto più ti riguardano da vicino e più
servono a formare la tua coscienza individuale. Il dolore che l’ignoranza e l’egoismo causano si
trasforma in liberante comprensione quanto prima prendi coscienza di te stesso. Ora tutto è confuso
in te. Sii consapevole della tua impossibilità di seguire cosa sta oltre le umane miserie; non prendere
quelle come termine di paragone per giudicare Dio; sii cosciente della tua attuale limitazione, non
credere che ciò che non può essere contenuto dalla tua misura non possa esistere.
Osservando un quadro, con un solo sguardo tu abbracci l’intera opera e solo dopo
un’osservazione generale ti soffermi sui particolari. Ora, di questo meraviglioso disegno che è
l’Esistente, tu puoi coglierne solo pochi frammenti: è come se di una ciclopica pittura tu potessi
scorgere solo pochi millimetri quadrati. Che cosa capiresti? Come potresti apprezzare la bellezza dei
particolari che viene in luce solo se si conosce il senso dell’intera opera? Noi ti parliamo di quella
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parte dell’Esistente che sfugge alla tua comprensione ed alla tua osservazione e confidiamo che tu
possa comprendere e credere, perché comprendendo e credendo tu getti un ponte verso quella parte
della Realtà che ti è straniera.
Nulla per destinazione rimane segreto, sconosciuto; tutto quanto ti diciamo ha lo scopo di
stimolare la tua attenzione, avvicinarti a quella parte di realtà che ti è ignota, invitarti a riflettere. La
tua futura esistenza è realizzata in una condizione d’essere che non conosce separazione, in cui nulla
è ignoto o straniero.
Non occorre fare un atto di fede per credere a tutto ciò; gli stessi problemi della vita moderna ti
rivelano la verità di certe affermazioni. L’inquinamento che avvelena l’ambiente dimostra che ogni vita
non è a sé stante; tuttavia ciò che puoi osservare non è che un aspetto marginale dell’unità
sostanziale che sta al di là della varietà delle specie. La stretta connessione che vi è fra le forme
vitali, sicché danneggiando l’una si danneggia l’altra, si spiega solo se si comprende che ogni vita fa
parte di una sola vita, come ogni essere, di cui le forme di vita sono espressione, è in realtà un solo
essere. Se vuoi, nel presente momento – che in realtà è senza tempo, ma che sembra trascorrere sì
velocemente che sembra appartenere solo al ricordo – tu sei una cellula dell’unico Essere, tu sei un
frammento della Coscienza Assoluta. È dunque apparente la tua astrazione dal Tutto, è illusione ciò
che limita la tua coscienza; oltre l’illusione sta il tuo vero essere, l’essere unico ed assoluto.
Convinciti di questa verità e l’insegnamento dei Maestri ti apparirà in tutto il suo profondo
significato. Esso non è un’elementare – anche se preziosa – norma di comportamento, destinata ad
appianare le relazioni sociali; non è un baluardo contro il dilagare dell’egoismo in cui la violenza più
bieca e la crudeltà più ingiustificata, sono al tempo stesso logica conseguenza ed unico rimedio che
possa richiamare gli uomini ad una maggiore comprensione, rispetto, tolleranza. Il vero significato
dell’insegnamento dei Maestri traspare dalla constatazione che il senso dell’io, prodotto della
limitazione, è destinato a cadere per lasciare il posto ad una consapevolezza che non conosce
frontiera, in cui non v’è più qui-là, ora-dopo.
Essere altruisti non significa stare dalla parte opposta dell’egoismo, ossia riconoscere i diritti degli
altri accettando un compromesso necessario per la convivenza fra il proprio egoismo e quello degli
altri. Non vorrei che le mie parole ti inducessero a credere che il tuo io debba dilatarsi tanto da
contenere quello degli altri. Io non ti dico che tu non devi fare male agli altri perché così facendo tu fai
male a te stesso; io ti parlo del superamento del senso dell’io, non della sua espansione o della sua
sublimazione. Capisco che per te oggi sia molto difficile immaginare un’esistenza che non contenga il
senso dell’io, tutto da te è inteso in chiave egoistica, la stessa comprensione. In sostanza tu dici: «Io
devo comprendere perché il comprendere mi è più utile che il non comprendere». Eppure, anche se
oggi per te è inimmaginabile, un’esistenza non più condizionata dal senso dell’io è la tua futura e vera
esistenza.
Quanto più ti avvicini a questa verità, più chiaro, finalizzato e bello ti appare l’Universo. Se,
stupefatto, ammiri la perizia con cui si compie un ciclo naturale, sappi che ciò che vedi non è che un
frammento della profonda ragione che sta dietro ogni cosa, della suprema intelligenza che tutto
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governa. Ciò che puoi vedere, udire, gustare attraverso alla percezione, non è che l’ombra di ciò che
realmente è. Quando vedrai senza occhi e udrai senza orecchie e più non sarai prigioniero delle
creature e dell’illusione, né schiavo del tuo io, sarai la bellezza ed il bello, l’ammirazione e l’ammirato,
l’amante e l’amato. Tu vivrai, esisterai realmente.
Che sciocco timore quello di chi teme di perdere ciò che ha o ciò che è! Ora tu sei sensazione
che esiste solo nel mutamento; ora tu sei pensiero che nessuno può imprigionare; ora tu sei un io che
esiste solo se sei convinto che esista il suo contrario. E come puoi pensare di possedere
permanentemente queste cose che non ti appartengono? Esse non sono il vero te stesso: il vero te
stesso è ben altro.
Come pianta o come animale, come uomo o come donna, come soldato o come operaio, come
mendíco o come regnante, qui o altrove, oggi o domani, tu vivi. E questa vita, attraverso alla
molteplicità delle sue percezioni, è causa ed effetto di quella catena di “sentire” che è l’essenza di
ogni essere. Qualunque sia la forma da te rivestita, essa suscita particolari percezioni la cui ragione
d’esistenza è la rivelazione di un nuovo “sentire” e di un nuovo te stesso. Finché comprenderai che il
giorno della tua liberazione è l’oggi e che solo tu ne sei l’artefice. Allora il “sentire” dilagherà,
conducendoti in una dimensione d’esistenza al di là del mondo di miraggi e di ombre di cui oggi giaci
prigioniero.
Om mani padme om.
Fratello Orientale
Salve figli, Claudio vi saluta.
Non di rado la conoscenza di una verità porta l’uomo ad atteggiamenti errati nei confronti della
propria esistenza. È classico l’esempio dei popoli orientali che pur conoscendo molte verità, si
pongono passivamente verso la vita. Badate che questo non accada anche a voi. L’errore in cui
potete incorrere può originarsi dalla naturale reazione ad un vostro precedente diverso modo di
atteggiamento verso la vita; una differente valutazione che le vostre idee religiose vi davano di essa.
Credere che la vita sia l’unica occasione che l’uomo ha per meritarsi un premio od un castigo senza
fine, tiene – o per lo meno dovrebbe tenere – desta l’attenzione dell’uomo verso problemi morali, più
di quanto non induca a fare la convinzione che l’uomo viva più volte; cioè abbia più occasioni.
Invece credere che la liberazione dell’uomo giunga ad un dato punto delle incarnazioni umane,
equivale a credere che esista un tempo oggettivo che regoli la cadenza degli eventi e che questi non
possano accadere se non è trascorso il tempo dovuto. La successione degli stati di coscienza non è
una successione temporale come voi la intendete, è una successione logica e pur essa è un’illusione.
Lo stato di coscienza che corrisponde alla liberazione dell’uomo, non è regolato dal trascorrere del
tempo che è un’illusione, ma è determinato dallo stato di coscienza immediatamente precedente nella
successione logica. Così è di tutti gli stati di coscienza. Lo scopo delle vostre esperienze nel tempo è
quello di promuovere il raggiungimento di uno stato di coscienza successivo all’attuale nella
sequenza logica. Ciò avviene attraverso ad un processo che comprende tre momenti: il porre
175
attenzione, il rendersi consapevoli, il comprendere o assimilare. Se spontaneamente non ponete
attenzione, non comprendete e non assimilate, penserà la vita con i suoi colpi a farvelo fare. Ma se
non vi fosse questo correttivo naturale, l’intero calendario astronomico potrebbe trascorrere e la
vostra illuminazione non giungerebbe. Al contrario, indipendentemente dal trascorrere del tempo –
cioè anche in questo momento – se raggiungete la convinzione che la vostra vita non può né deve
essere contenuta dal senso dell’io, voi raggiungete la vostra liberazione, perché essa non è un evento
del futuro; è sempre un’occasione del presente.
Pace a voi.
Claudio
Dolci creature semplici che vivete paghe della vostra semplicità, perché non vi affannate per
porvi all’ombra dei potenti, né per godere di unga grande fama o di una particolare permissione degli
uomini, non scoraggiatevi se la vostra natura non vi consente di cimentarvi in complicate speculazioni
filosofiche. Ciascuno percorre il cammino che Dio gli ha assegnato e deve trovare gioia nell’essere se
stesso. Ringraziate Dio, perché non dandovi un eccessivo attaccamento alle cose sensibili, di esse
non vi ha rese schiave; perché non facendovi trovare ciò che non è lecito possedere, vi ha dato la
gioia del cuore. Perché non facendovi affannare in inutili rimpianti, né affaticare per procurarvi cose
superflue, vi dà la gioia di vivere. Se foste desiderose d’essere in questo o in quel luogo, di ricevere
questa o quella lode, mai sareste libere da affanni. Invece nella soddisfazione che la tranquillità
interiore e la semplicità del vostro essere vi danno, voi siete disposte a ricevere celesti intuizioni. E
così sia, creature! Così sia!
Pace a voi.
Teresa
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Chiudiamo questo incontro e vi diamo appuntamento fra quattro settimane con l’altra Cerchia.
Pace a voi.
Dali
176
19 Febbraio 1977
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini. Il mio saluto e la mia benedizione a tutti voi che qua
siete presenti e a tutti coloro che pensano a questa riunione.
Vedete, o cari, l’uomo osserva ciò che egli crede mondo esteriore e a lui estraneo; osserva certe
figure suoi simili, cosa essi fanno, cosa dicono, come agiscono e si comportano. Alcune di queste
figure riscuotono l’ammirazione della maggior parte degli uomini; sono grandi pensatori, e per spirito
d’imitazione i singoli allora vorrebbero uniformarsi nel “sentire” a quegli esseri. Questo accade molto
spesso ed è accaduto nel passato per figure che rappresentavano esseri di alta spiritualità. L’uomo
crede che imitando quei personaggi egli diventi come loro; ma se voi ricordate, quante volte vi
abbiamo ripetuto che ciascuno deve trovare la sua verità. La scoperta della verità è una scoperta
individuale; noi stessi possiamo fornirvi solo delle indicazioni ma la scoperta vera e propria è una
vostra meta da raggiungere, personalissima.
Udendo ciò che queste figure, i Maestri, le Spiritualità, dicono, molti si uniformano talmente a
quei pensieri che credono di avere trovato la loro verità e non si accorgono che in questo
comportamento essi non sono altro che degli imitatori; che cosa significa questo? Significa che, in
definitiva, essi frappongono fra se stessi e la loro meta un’intercapedine, un ostacolo ulteriore da
superare. Quando si agisce non perché si è convinti che quello è ciò che si deve fare, ma si agisce
per spirito di imitazione, perché si crede che agendo in quel modo si diventa identici a coloro che
quelle azioni hanno predicate, non si fa altro che creare motivi di frustrazione, non si fa altro che
creare motivi di grande conflitto. È certo che niente va perduto, è certo che questi stessi conflitti
servono all’individuo che ne è il protagonista e l’oggetto, in un certo senso; ma forse per giungere alla
temperanza è sempre indispensabile passare dall’intemperanza. Allora quando voi udite qualcosa
che vi tocca passatelo al vaglio della vostra meditazione, prima ancora di credere che quel qualcosa
possa rappresentare la vostra giusta meta, sappiate che dovete misurare voi stessi con quella verità;
prima ancora di abbandonare tutto quanto fino a quel momento è vostro patrimonio interiore
collaudate con spirito di riflessione ed attentamente quelle verità delle quali tanto siete ammiratori.
Può sembrare strano questo mio dire di questa sera ma credo che ognuno di voi, guardando in
se stesso, troverà giusta e necessaria la mia puntualizzazione. L’uomo incontra sofferenza non solo
quando va contro lo scopo generale della vita umana – che è quello, come abbiamo detto tante volte,
di superare i confini dell’egoismo – ma anche quando crede che semplicemente cambiando modo di
pensare e di agire egli possa cambiare la sua natura. Ripeto: sempre i grandi conflitti interiori, che poi
sono all’origine di malattie del corpo e della mente, passano da queste frustrazioni conseguenti al
voler essere ciò che non si è in realtà. Perciò il mio augurio di questo momento è che ciascuno di voi
trovi la forza di essere se stesso.
Vi lascio momentaneamente.
Dali
177
Buonasera miei cari, io sono la Guida Fisica di Roberto.
È di grande moda adesso la ricerca e la pratica di pratiche occulte. E assieme è tornata
l’attenzione di voi sulla possibilità di essere preda di forze negative. Che cosa sono queste forze
negative? Voi sapete che dopo il trapasso, alla morte del corpo fisico, succede a distanza
l’abbandono del corpo astrale, il corpo dei desideri. Questi gusci astrali lentamente si dissolvono nel
piano astrale, e quanto sono più costituiti di materia densa, più è possibile che gli uomini ancora
incarnati possano attrarli. I gusci astrali abbandonati a se stessi lentamente si disorganizzano, ma per
una specie di istinto di conservazione cercano di trovare una fonte vitale che li tenga ancora in vita. E
allora un uomo incarnato che ha certi desideri grossolani e in un particolare stato di… chiamiamolo di
“non reazione”, può attrarre questi gusci astrali e rimanerne preda. Che cosa accade allora? Accade
una… che egli prova una sorta di malessere, può ammalarsi ed avere fenomeni che da voi sono
conosciuti col nome di “possessione”. I gusci astrali, ripeto, possono in un certo senso contagiarvi
solo in determinati momenti della vostra esistenza se siete preda di desideri grossolani e se
psichicamente non avete certe facoltà di reazione che normalmente immunizzano da questo genere
di possessione. Non voglio impressionarvi; voi tutti che qua abitualmente ci seguite siete
automaticamente immunizzati; la levatura spirituale delle vostre Guide è sufficiente a suscitare in voi
quella naturale immunizzazione che respinge le cosiddette “larve” o gusci astrali. Questa garanzia
viene meno allorché però, ve lo dico subito, voi vi prestate a generi di esperimenti, altre sedute vere o
false che siano; allorché si fa una catena con il desiderio di porsi in contatto con il cosiddetto aldilà, la
prima porta che si apre è quella che libera il passaggio ai gusci astrali, prima ancora di possibili
Entità. Direte voi: «Perché non ci immunizzate anche quando noi andiamo da altre parti?». Se voi
sposate una persona l’accettate come è, con i suoi lati buoni e con i suoi lati non buoni; così sarebbe
contro l’ordine naturale delle cose che noi vi togliessimo i lati negativi di quella che è stata per voi –
ed è per voi – la scelta di un’esperienza. Se accettate un’esperienza, voi l’accettate con tutto quello
che comporta; ecco perché allora la nostra garanzia viene meno in certi momenti, in certe scelte che
voi fate. Non so se sono stato sufficientemente chiaro.
D. – Sì, grazie.
R. – Lidia? Figlia Lidia; c’è qua la figlia Lidia?
D. – Sì.
R. – Vieni qua… Dunque, ascoltami; tu sei soggetta, per l’opera che tu gentilmente, generosamente
fai, talvolta ad avere dei disturbi da forze negative che ti danno qualche lieve malessere. Adesso io ti
farò un piccolo dono che ti aiuterà. Metti le mani a forma di coppa…
A questo punto la Guida Fisica materializza una piccola croce.
178
Michel – Chiudi le mani… Vai pure…Vi prego di stare concentrati perché adesso debbo completare
la forma pensiero che accompagnerà questo piccolo oggetto.
Vi saluto cari.
Michel
Figli, Caludio vi saluta.
Per indicare una grande rapidità si usa l’espressione: veloce come il pensiero. Invero, specie
quando l’uomo è in un particolare stato di tensione interiore, le sue facoltà mentali danno responsi
così rapidi che i relativi processi di analisi e di sintesi sfuggono alla stessa consapevolezza.
Per esempio, quando l’uomo fa una nuova conoscenza, si dice che egli prova istintivamente
simpatia o antipatia; ebbene, dietro a questo atteggiamento irrazionale, sta un processo
essenzialmente logico. Nei comportamenti istintivi – cioè non determinati dalla volontà – l’uomo
segue la sua vera natura e siccome questa è egoistica, egli giudicherà il nuovo conosciuto simpatico
solo se dall’esame che rapidamente farà, risulterà per lui apportatore di un qualche interesse
particolare. L’esame è un’analisi binaria in cui il sì e il no sono riferiti ai molteplici interessi dell’io
personale ed egoistico. Tanto per fare un esempio, l’analisi è di questo tipo: la persona conosciuta è
del sesso che mi interessa? La risposta è sì o no. Se non ha attrattive sessuali, cambia il tipo di
quesito: può essermi utile nei miei affari? La risposta è ancora sì o no, anche se il quesito è posto in
prospettiva. E così via, l’analisi continua – è proprio il caso di dirlo – veloce come il pensiero, per
concludersi con una sintesi dei dati emersi, che si concretizza in un’attrazione o in un disinteresse e
financo in una repulsione verso il nuovo conosciuto. Se l’analisi è così rapida da sfuggire alla
consapevolezza, ciò non vuol dire che di essa non sia possibile rendersi conto. Proprio questo
significa conoscere se stessi: impiegare al massimo la propria capacità di rendersi consapevoli della
propria vita interiore. Essere tanto attenti ai movimenti del proprio intimo, quanto lo si è ai fatti del
mondo esteriore.
Osservate come la consapevolezza di ciò che fate venga meno in due tipi di azione: al primo tipo
appartengono quelle azioni che in realtà sono reazioni ad avvenimenti che colpiscono interessi da voi
particolarmente sentiti, ai quali partecipate con tutto l’essere vostro. Tali reazioni sono così rapide che
la consapevolezza ne coglie solo l’esito finale; generalmente ciò è più evidente per avvenimenti nuovi
e inaspettati. Al secondo tipo appartengono quelle azioni ormai conosciute, usitate, che nulla dicono
di nuovo e che sono ripetute automaticamente. Questo perché l’uomo è consapevole della
sequenzialità delle azioni che compie, solo se queste non sono reazioni ad eventi che toccano
interessi da lui particolarmente sentiti, o se non sono compiute nel suo disinteresse.
Osserviamo ora un uomo che per la prima volta compia un lavoro manuale; lo vedremo tutto
intento nell’eseguire la serie delle operazioni; ma dopo qualche volta che le avrà ripetute, egli le
compirà automaticamente e la sua consapevolezza potrà essere volta altrove. Questo perché la
consapevolezza è uno strumento prezioso che la natura rende massimamente disponibile da parte
179
dell’uomo sostituendola, appena è possibile, con le facoltà istintive sì da lasciare quelle addette alla
consapevolezza libere per altre attività.
Molto si è parlato di sistemi di produzione che nella vostra società impongono la creazione di
pletoriche specializzazioni; a questo proposito si è detto che la specializzazione fossilizza l’uomo, lo
priva di quella versatilità che era patrimonio di individui appartenenti a società del passato. La natura
ci mostra che le società migliori sono quelle organizzate in gruppi di individui aventi particolari
specializzazioni. Come ho detto, questo sistema si dimostra altamente positivo per l’efficienza
sociale. Ma, come si sa, nelle società non umane le facoltà mentali sono pressoché istintive, il
retaggio della vita è tratto dal seguire gli istinti; mentre l’ottimo della vita umana sta nella riflessione e
nel superamento degli istinti animali. La diversità degli scopi fra la società umana e quelle subumane
deve farvi comprendere che l’organizzazione delle rispettive società deve seguire criteri diversi. Pur
rispettando una strutturazione sociale impostata sulla specializzazione onde raggiungere il meglio di
ogni istituzione, è necessario che l’uomo coltivi costantemente tutte le proprie qualità, eserciti in
continuazione il proprio pensiero consapevole. Noi vi proponiamo continuamente questo. Se il lavoro
che voi svolgete vi consente tutto ciò, allora vi sentirete soddisfatti e raggiungerete una grande perizia
nella specializzazione vostra, nel campo dove siete specializzati. Se invece per voi il lavoro è la
ripetizione automatica di azioni, o comunque non impegna la vostra creatività e non impiega il vostro
pensiero consapevole, esso non vi darà soddisfazioni. In quel caso state attenti a non occupare la
vostra consapevolezza per ingigantire i torti che vi sono stati fatti, o che credete vi siano stati fatti;
trovatevi un’attività o un interesse qualunque essi siano, che possano occupare il vostro pensiero
consapevole. Guai a chi lascia illanguidire il proprio interesse, a chi si cristallizza. Noi vi proponiamo
di riportare alla vostra consapevolezza anche quei processi istintivi di cui vi parlavo inizialmente e che
sono causati dalla radice egoistica di ognuno. Ogni nostra comunicazione tende a promuovere
l’esercizio della vostra consapevolezza, vi invita a prendere coscienza di voi stessi e del vostro
mondo.
Avete mai fatto caso che la maggior parte di voi non è assillata dal problema di come sfamarsi,
eppure voi non siete felici! Intendo dire che, a parte le calamità naturali e le malattie, il problema di
ogni forma di vita nel piano fisico, è un problema essenziale di nutrizione. Aggiungiamo pure – per
l’uomo – il problema del ripararsi dalle intemperie, ammettiamo ancora che non di solo pane vive
l’uomo, ma fra il procurarsi il necessario per vivere e lo spendere tutta la propria esistenza per
accaparrare svaghi e beni, il passo è enorme.
Avete notato quanta importanza acquistino per voi problemi che dovrebbero occupare una
minima frazione della vita di un uomo? Quanti bisogni non essenziali diventino in voi essenziali, e
quanti altri – essenziali – siano ampliati, ingigantiti; complicati. È un modo per colmare il proprio vuoto
interiore, per imporre se stessi. L’uomo che continuamente non muti d’abito, che spesso non cambi
l’auto, che non compia viaggi importanti, è ritenuto dai suoi simili un fallito. Chi non può consentire ai
propri figli di svolgere quelle attività ricreative che sono di moda, è considerato un miserabile. Non
solo, ma molto spesso la propria consapevolezza è usata per osservare quanto, sul lavoro o nella vita
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in genere, si è scavalcati, messi da una parte, non valorizzati come si pretende. Purtroppo questo
accade, ma ciò che intendo dire è che la mancanza di ricchezza interiore e di creatività molto spesso
– anzi, troppo spesso – è colmata attraverso alla valorizzazione di fatti esterni del tutto superflui, sì
che essi assurgono a motivi psicologici tanto intensi da colmare il vuoto interiore. Il successo, la
notorietà, le ricchezze, le amicizie influenti, sono mete che si crede possano riempire la propria
esistenza, mentre la pienezza della vita è raggiunta attraverso al superamento di quelle istanze
psicologiche che oggi credete possano essere soddisfatte nella ricchezza, nella brillante posizione e
nelle amicizie influenti.
Salve e pace a voi.
Claudio
Pace a voi.
Avrei da farvi una breve domanda; una domanda che, in termini matematici, non avrebbe
risposta, perché il dato che si può riconoscere non è desumibile dalla elaborazione di altri dati noti ma
invece una risposta ce l’ha; e proprio voi dovete darla. Supponiamo che un dado sia tratto fra due
osservatori. Il primo osservatore dice: «Il punteggio uscito è quattro». Il secondo osservatore a sua
volta dichiara: «Il punto che è uscito è tre»; supponiamo che nessuno dei due bari: allora, qual è la
verità? Qual è la realtà oggettiva? A voi rispondere.
Pace a voi.
Kempis
Om mani padme om.
Salve, fratello caro, salve.
Nell’epoca in cui tu vivi giustamente è data grande importanza alle realizzazioni che in concreto
si inseriscono nella società. Questo atteggiamento così concreto e pratico è in stridente contrasto con
l’abuso che viene fatto delle inutili parole. Non sia così per te, fratello caro; alle molte inutili parole
preferisci le poche utili azioni, nell’agire agisci con intelligenza, ma ispirati all’amore. Perché un
mondo dominato dal razionalismo che non lasci posto al sentimento è un freddo meccanismo, certo
più efficiente, ma non sicuramente apportatore di una più grande felicità.
Ricorda: non è tanto la vita che può renderti felice o infelice quanto come tu vivi. Talvolta la tua
felicità o il tuo dolore può dipendere dal tuo Karma, sempre e in ogni caso dipende da te stesso,
fratello caro. Le parole che io ti rivolgo sono dettate dall’amore e dall’esperienza; accettale se non per
l’amore, per l’esperienza di cui sono la sintesi. Val più una parola di chi conosce per esperienza che
mille supposizioni di chi ignora, ma mille di quelle parole non potranno darti la millesima parte di ciò
che può darti un’esperienza.
Siano le tue parole parole di verità e di giustizia, la verità è il principio della giustizia; chi la
nasconde va contro la giustizia, ma chi la mostra senza acconciarla con la veste opportuna non
merita di conoscerla. La vita meglio spesa è quella occupata nella ricerca della verità di se stessi,
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perciò non lamentarti per le ricchezze materiali che non hai avuto, la cura delle quali non ti distoglie
dalla ricerca della vera ricchezza: la verità di te stesso.
Non cercare l’ubbidienza degli uomini ma piuttosto impara ad ubbidire, specialmente ai tuoi
migliori propositi.
Non cercare il rispetto dei tuoi simili; piuttosto sii rispettoso, specialmente con gli umili.
Non cercare l’indulgenza ma sii indulgente con ognuno, specialmente con i deboli.
Non cercare di essere agevolato; piuttosto agevola tutti, specialmente i poveri.
Non cercare la lode altrui, altrimenti gli uomini con poco ti compreranno.
Non fidare nella perfezione della giustizia umana ma sii perfettamente giusto; non giudicare gli
altri, giudica te stesso e ricorda che è molto più facile criticare che bene operare.
Ritenendoti onesto credi di poter giudicare il ladro che ruba e danneggia gli altri e non ti accorgi
che tante volte hai messo in cattiva luce i tuoi simili facendo più male che se tu avessi rubato l’intera
loro ricchezza. Perciò se vedi alcuno perpetrare un delitto non stimarti migliore di quello, che
nell’occasione potresti fare come lui; e se tu non lo facessi certo sarebbe che già l’avresti fatto più e
più volte.
Non coltivare un’alta stima di te stesso; se guardi a te medesimo non farlo per glorificarti ma per
scoprire le tue miserie. Non stimarti per l’abilità che naturalmente hai; essa può darti merito solo se ne
fai buon uso. Non inorgoglirti per la tua cultura: sono molto più le cose che ignori di quelle che
conosci. Non insuperbirti per nessuna cosa o qualità che tu abbia e se non ti sono state date solo per
te stesso. Se tu vivi solo per te stesso, se anche tu fossi l’uomo più ricco, il più potente e il più
famoso, quando verrà il momento in cui ciascuno è solo con se stesso, non saranno né la tua
ricchezza, né la tua potenza, né la tua fama, né nient’altro a vestire la tua nudità.
Om mani padme om.
Fratello Orientale
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Un breve saluto…
Dali
182
19 Marzo 1977
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Mentre osservate i tristi fatti che accadono anche nei vostri tempi, vi ho sorpresi più volte
chiedere a voi stessi se veramente esiste la legge della evoluzione. Questa vostra domanda
rappresenta per noi una duplice occasione: l’occasione di ripetere i principi basilari del nostro
insegnamento a quelli di voi che da poco tempo ci seguono, ed ai quali è dedicata particolarmente
anche la riunione di questa sera; e l’altra occasione, di verificare questi principi alla luce degli ultimi
insegnamenti.
Quando si parla di evoluzione implicitamente si pensa a qualcosa che segue uno sviluppo
parallelo alla successione del tempo; più passa il tempo e maggiore è lo sviluppo. Questo non è vero
in senso assoluto, o figli; prima di tutto perché, come sapete, il tempo non trascorre oggettivamente, e
poi perché l’evoluzione non è un divenire; e poi ancora per altre ragioni che ora dirò. Tre sono le
direttrici della legge di evoluzione: l’evoluzione della materia, l’evoluzione della forma e l’evoluzione
dell’autocoscienza. Le prime due di queste direttrici seguono una progressione che è parallela alla
progressione del tempo. Che cosa significa questa affermazione? L’evoluzione di una specie, per
esempio che fa parte dell’evoluzione della forma, in un tempo “X” è minore dell’evoluzione della
stessa specie in un tempo “X+N”. Questo è vero per tutta la specie nel suo insieme al di là di quelle
che possono essere le punte massime o minime dei singoli individui. L’evoluzione dell’autocoscienza,
o evoluzione umana – ma umana nel senso dell’uomo interiore, non del corpo umano, la quale
evoluzione del corpo umano è anch’essa appartenente all’evoluzione della forma – l’evoluzione
dell’autocoscienza, dicevo, è un’evoluzione individuale che segue anch’essa la progressione del
tempo, ma limitatamente a ciascun individuo; che cosa significa questo? Significa che l’uomo “A” nel
tempo “X+N” è più evoluto di quanto lo era lo stesso uomo nel tempo “X”. Ma questo non è vero per il
genere umano nel suo complesso; anzi dirò che in certi particolari momenti, per esempio nel punto di
intersecazione di due razze, due scaglioni di anime, giudicando dal punto di vista del complessivo,
cioè della media delle evoluzioni individuali, l’evoluzione del genere umano sembra seguire
l’andamento discendente di una curva.
Cerchiamo di portare in termini ancora più chiari questo discorso. Paragoniamo, sempre
l’evoluzione di una specie, ad un libro in cui questa sia descritta; la numerazione delle pagine
indicherà il trascorrere del tempo. Potremo allora dire che l’evoluzione di quella specie, nelle prime
pagine è inferiore a quella che è l’evoluzione descritta nelle pagine successive. Ma se il libro
rappresenta l’evoluzione del genere umano, allora in qualunque tempo – cioè in qualunque pagina –
se io aprirò quel libro, potrò trovare indifferentemente tutti gli uomini appartenenti a tutti i livelli della
evoluzione individuale; così come aprendo un qualsiasi libro ad una qualsiasi pagina, teoricamente è
possibile trovare in quella pagina tutte le lettere dell’alfabeto a comporre le frasi contenute nella
pagina. Qual’è allora la progressione dell’evoluzione dell’autocoscienza se questa progressione non è
183
parallela alla successione del tempo?
Per comprenderlo dobbiamo simbolizzare i vari livelli di evoluzione degli uomini alle lettere
dell’alfabeto con cui è scritto il nostro libro; per esempio simboleggiando nelle prime lettere i livelli di
evoluzione più bassi e su su, fino all’ultima lettera dell’alfabeto in cui saranno simbolizzati i livelli di
evoluzione dell’autocoscienza più alti. Allora, per immaginarmi visivamente la progressione
dell’evoluzione dell’autocoscienza, debbo immaginarmi tutte le pagine del libro aperte
contemporaneamente, tutti i tempi in atto, e le varie lettere dell’alfabeto comparire successivamente
dalla prima all’ultima ma contemporaneamente in ogni pagina; così se il nostro libro è scritto nella
vostra lingua compariranno tutte le lettere “A” in qualunque pagina esse siano collocate, quindi tutte le
lettere “B” e così via, successivamente ma contemporaneamente in ogni pagina, fno alla lettera “Z”
con la quale il libro sarà finito di scrivere; in una forma strana, cioè non pagina dopo pagina.
Ora, figli, voi che vi meravigliate nell’osservare individui che nel vostro tempo sembrano avere
livelli di evoluzione inferiore a quella animale, dovete tenere presente che è molto difficile, per l’uomo,
giudicare l’evoluzione dei suoi simili; ma ammesso che sia così veramente come voi ritenete,
meravigliandovi è come se vi meravigliaste di vedere nella pagina del libro dove siete contenuti le
lettere “A”, partendo dall’errata conclusione che tutte le lettere “A” debbano stare nella prima pagina
del libro. Gli uomini di livello evolutivo simile al livello animale sono già trascorsi nella scala del
“sentire”; l’umanità è al punto dell’evoluzione dell’autocoscienza in cui è colui che si pone la
domanda. Gli esseri di evoluzione elementare sono già trascorsi nella successione evolutiva o del
“sentire” anche se appartengono al vostro futuro.
Vi lascio momentaneamente.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Buonasera miei cari, sono la Guida Fisica di Roberto.
Dov’è quel giovane figlio che si chiama Pierangelo?
D. – Sono qua.
R. – Vieni qua, prego.
D. – Debbo avvicinarmi?
R. – Sì… segui queste voci…
Lunga pausa in cui viene materializzato un apporto.
Michel - Tienila stretta fra le mani… Vai pure caro…
184
Vi prego di stare molto concentrati…
Michel
Pace a voi.
Se voi avete buona memoria ricorderete che all’inizio di questo ciclo di riunioni mi rivolsi
particolarmente agli amici di vecchia data; questa sera invece mi rivolgerò ai nuovi, anzi, ai
nuovissimi, per continuare un discorso che iniziai lo scorso ciclo di riunioni e che lasciai in sospeso
con una domanda. Chiedevo: l’uomo è colpevole delle azioni che compie infrangendo la norma
morale relativa al suo stadio di sviluppo individuale? Ebbene, è bene subito dire che è necessario,
anzi indispensabile, sgombrare il terreno dal concetto della colpevolezza e della punizione, tanto caro
alle religioni di tutti i tempi. L’idea che le sventure che colpiscono l’uomo siano un castigo di Dio,
conseguente all’infrazione di qualche legge divina, è di origine prettamente umana. «Se farai una
certa cosa o non ne farai un’altra, male te ne incoglierà». Qual è stato il sistema con cui i governanti
di tutti i tempi hanno cercato d’imporre le loro regole, se non quello di minacciare gli eventuali
trasgressori con una sanzione? Così gli uomini hanno creduto che Dio usasse, per imporre il Suo
volere, lo stesso metodo che usa chi detiene il potere. Ma dovete convenire con me che sarebbe
ingiusto che Dio punisse chi va contro la Sua legge, quando perfino gli uomini sentono il bisogno di
far conoscere le loro regole prima di renderle operanti.
Il discorso muta dalle fondamenta se si toglie il concetto della colpevolezza, comunque ingiusto,
ed ancora più ingiusto se la legge non è conosciuta. Dicevo comunque ingiusto perché le leggi non
sono universali, come abbiamo visto nell’occasione precedente. Se – come affermiamo – lo scopo
della vita dell’uomo è quello dell’evoluzione, allora la differenza che c’è fra un evoluto e un inevoluto,
non sta nel fatto che l’evoluto conosce e quindi rispetta il volere di Dio, mentre l’inevoluto lo ignora e
quindi non lo segue, non l’osserva; ma sta nel fatto che l’evoluto ha una diversa natura, rispetto
all’inevoluto. Sicché se certe leggi o regole esistono, debbono esistere per dare all’uomo una natura
ultra umana, e non per punirlo se le viola. Perciò che siano conosciute o ignorate, possiamo
rispondere che, di massima, non fa alcuna differenza; egualmente perseguono lo scopo per il quale
esistono, che è quello di far evolvere l’uomo. Per esempio, la famosa legge di causa e di effetto esiste
egualmente, che l’uomo la conosca o l’ignori, ed egualmente persegue lo scopo per il quale esiste.
Guai se esistesse solo per chi la conosce! Ripeto: non si tratta che l’uomo debba astenersi dal fare
qualcosa per cui sarebbe necessario che egli conoscesse che cosa gli è vietato, ma si tratta di ben
altro.
Secondo alcuni religiosi, Dio crea le anime e poi nel mondo le collauda; quelle che superano la
prova godono della Sua visione, le altre patiscono pene talvolta anche senza fine; colpevoli, in
definitiva, d’essere un aborto della creazione divina. Noi affermiamo che la vita non è una prova, se
mai è una scuola – vero, figlio Amedeo? – e che l’uomo – proprio perché vive e dalle varie vite –
raggiunge livelli di coscienza sempre più ampi. Se allora lo scopo generale della vita dell’uomo è
quello di fare evolvere l’uomo, e ciò attraverso a varie tappe in cui prima impara a non fare agli altri
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quello che non vorrebbe fosse fatto a lui stesso, e poi a fare agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a
lui stesso, allora è chiaro che ogniqualvolta l’uomo indirizza se stesso contro lo scopo della sua
esistenza, sorga un correttivo naturale; e questo è realizzato attraverso al famoso Karma – che ormai
tutti sapete che cosa sia – che non è un mezzo punitivo. Se tu danneggi gli altri sarai danneggiato
perché questo è un mezzo attraverso al quale, non solo tu impari a non danneggiare, ma acquisisci la
natura di non danneggiare i tuoi simili. Non sto qua a ripetere tutto quello che più o meno conoscete a
proposito del Karma, anche se talvolta in modo impreciso.
Vedete, l’essere interiore di ognuno ha un suo ciclo naturale di sviluppo, né più né meno come
tutte le cose naturali. Guardate il vostro corpo fisico: inesorabilmente invecchia, nonostante gli sforzi
che taluni fanno. Voi state nascendo ad una fase successiva della vostra evoluzione individuale,
paragonati alla quale siete come il feto nel grembo materno rispetto al fanciullo nato. Dovete rendervi
conto che l’uomo rappresenta il primo balbettio dell’essere, e se rappresenta così poco, nessuno può
condannarlo. Vi sentireste di condannare un fanciullo perché è tale? Di dargli una responsabilità
perché non è maturo come un uomo? Eventualmente solo nell’ambito delle cose che il fanciullo deve
imparare come fanciullo può essere valutato il suo indice di apprendimento. Solo nell’ambito della
meta individuale che dovete raggiungere può avere senso una valutazione delle vostre esperienze.
Un selvaggio che avese imparato a non uccidere, giudicato secondo le leggi della sua società che
vogliono il nemico sterminato, sarebbe condannabile. Giudicato rispetto alla norma, alla meta della
sua evoluzione, sarebbe encomiabile. Ma ancora giudicato rispetto alla meta del Santo, dell’amare gli
altri come adesso amate voi stessi, sarebbe ancora condannabile perché, se è vero che chi ama gli
altri come se stesso non uccide, non è vero il contrario… Un uomo della vostra società che dovesse
imparare il senso del dovere e fosse alla prima fase dell’apprendimento, quando il senso del dovere
diventa cecità, ed avesse supinamente seguito l’ordine di inviare nei campi di sterminio migliaia di
creature, sarebbe assolvibile purché non una sola volta avesse anteposto il proprio tornaconto al suo
senso del dovere, perché ciò starebbe a significare che l’invocato, a sua discolpa, senso del dovere,
altro non era che un comodo alibi. E chi è in grado di dare un giudizio così preciso? Sarebbe bello e
di effetto rispondere: «Lo stesso interessato nell’aldilà». Ma così non è: nessuno può dare una natura
che non abbiamo, se non l’evoluzione. «Ed allora?», direte voi? «Allora – dico io – occorre
abbandonare un altro falso concetto, il concetto del giudizio. L’idea che l’uomo nell’aldilà sia
giudicato, è strettamente connessa al concetto della colpevolezza e della punizione e per essa
valgono le stesse considerazioni che fin qui abbiamo svolte. Non si tratta che l’uomo debba essere
giudicato, ma si tratta che l’uomo nasce spiritualmente e ciò avviene in modo del tutto naturale, senza
bisogno di giudici e di giudizi».
Consentitemi, a questo punto, di aprire una parentesi per spiegare, brevemente, la ragione per
cui ciò che afferma un’Entità a proposito di un fatto da essa constatato, spesso è in contrasto con
quanto afferma un’altra Entità, sempre a proposito dello stesso fatto, con gran gaudio degli animisti, e
con mal celata perplessità degli spiritualisti o degli spiritisti. Vedete, l’aldilà è una “brutta bestia”. Molte
Entità credono che ciò che osservano, per il fatto stesso d’essere in una dimensione ultra fisica, sia la
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realtà oggettiva. E non comprendono che anche la dimensione d’esistenza in cui sono, è soggettiva.
Solo la Realtà Assoluta è oggettiva, ogni altra dimensione è relativa e perciò soggettiva.
Se voi domandate a un’Entità, per esempio, chi è che sceglie la prossima sua incarnazione –
supponiamo che sia un’Entità che non ripeta cose udite dire, cioè che non bari, che sia abbastanza
evoluta da vedere qual è la sua successiva incarnazione – ebbene, novantanove su cento vi
risponderà che nessuno la sceglie, ma che essa stessa l’ha scelta. Ora voi capite che
un’affermazione di questo genere può essere vera, in un Cosmo perfettamente ordinato e non
improvvisato, solo se chi sceglie fosse tanto evoluto e illuminato da conoscere e seguire l’ordine
divino. Ma se lo Spirito, il sé, l’essere disincarnato avesse questa illuminazione – che poi diventasse
oscuramento solo quando è incarnato – ditemi, fratelli, che cosa sarebbe l’evoluzione? Null’altro che
un fatto formale. Badate bene, io non dico che il sé, l’ego, lo Spirito evolve, ma dico che ciò che è
conosciuto con questi appellativi, è un complesso di stati di coscienza, l’uno apparentemente
sfociante nell’altro, i quali sono realtà sempre meno limitate. Ora sarebbe assurdo che ad uno stato di
coscienza limitato, ne seguisse uno illimitato con il solo scopo di far operare una scelta in armonia
all’ordine divino, e che poi tutto tornasse come prima. «Allora – direte voi – come nasce l’errore in
certe Entità, di credere che ciascuno sceglie la propria successiva incarnazione?». È molto semplice.
Quando voi avete sete e decidete di bere, vi recate laddove avete la possibilità di togliervi la sete nel
modo più rapido. Se qualcuno vi domanda chi ha deciso per voi di bere, voi risponderete che nessuno
l’ha fatto e che voi stessi avete deciso così; non tenendo conto che questa decisione è il risultato di
due fattori: da una parte la necessità d’acqua del vostro corpo, dall’altra la possibilità di togliervi la
sete nel modo più rapido possibile. Così l’Entità che dice di scegliere la sua prossima incarnazione,
non si rende conto che al di là di ciò che le appare, sta la sua necessità evolutiva e la possibilità che
ha l’ambiente che essa crede di avere scelto – quello e quello solo – di soddisfare la sua necessità.
Ecco perché verso quello si è sentita attratta, e quello crede di avere scelto. La legge di Dio – quando
non si chiama Karma doloroso – è così lieve che l’oggetto di essa non ne avverte il giogo. Solo chi
può andare al di là di ciò che appare può cogliere il senso riposto delle cose; tuttavia non escludendo,
in umiltà, che un altro senso ancor più profondo possa celarsi ai suoi occhi.
Torniamo a noi. Se nella stagione propizia e in un terreno fertile ponete un seme vivo, il seme
germoglia, ed automaticamente segue le leggi che regolano il suo sviluppo naturale, senza che vi sia
bisogno di chi amministri o applichi quelle leggi. E come l’acqua scendendo da monte a valle segue la
via di maggior pendenza, così in modo del tutto naturale e spontaneo, fra le varie leggi che regolano il
ciclo di sviluppo individuale, si applica quella più adatta al particolare momento e caso.
Capisco che l’immagine della realtà da cui sia tolto l’umanissimo concetto di un Ente Supremo
che giudica e perdona ed interviene direttamente nelle vicende umane – anche se di rado e con
scarsi risultati, visti gli effetti – contribuisca a fare di questa Realtà qualcosa di inesorabile. Ma come il
corpo fisico dell’uomo vive, per lo spontaneo ed automatico svolgersi dei processi biologici, senza che
la psiche dell’uomo ne sia turbata dall’automatismo in sé della vita biologica – ma, al contrario, lo sia
quando questo automatismo venga meno – così la parte immortale dell’uomo vive per lo spontaneo
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operare delle leggi cosmiche.
Il fanciullo che si forma nel grembo materno segue un automatismo naturale, eppure il risultato di
questo automatismo è un evento meraviglioso: una vita autonoma. Allo stesso modo l’uomo nasce
spiritualmente in virtù delle leggi cosmiche che via via indirizzano, sostengono, correggono il suo
sviluppare. Esse vogliono il suo vero bene anche quando si chiamano dolore.
E qua è introdotto un argomento che vi preme particolarmente e che non è possibile esaminare
in tutta la sua ampiezza questa sera. Perciò vi dico: stanti le cose come sono, cioè senza chiedersi
perché sono così, che senso avrebbe un Ente misericordioso che togliesse il dolore della vita
dell’uomo, quando solo il dolore è indispensabile in quel particolare momento e caso dell’esistenza
individuale? Se una pianta avesse bisogno d’acqua e se il darle acqua significasse farla soffrire,
sarebbe pietoso, per non farla soffrire, farla inaridire? Badate, io non dico che il dolore sia l’unico
mezzo che fa evolvere l’uomo, ma dico che quando l’uomo si ostina a non comprendere, gli eccessi
che egli compie richiamano su di lui il correttivo naturale. A quel punto, dannoso sarebbe stornare
dall’uomo quel naturale correttivo. Il dolore può essere evitato solo non movendo le cause che lo
provocano. Ed ecco un’altra domanda che vi preme: «Come è possibile fare ciò, se non conosciamo
le cause che muoviamo?». È giusto che sia così, perché l’uomo deve agire non per paura di quelle
che egli pensa possano essere le conseguenze a lui dannose, ma perché è convinto che deve fare
così, non per paura. Evolvere non significa cambiare l’atteggiamento esteriore e rimanere gli stessi
nell’intimo, ma significa trovare una nuova natura, e da quella – se mai – cambiare il proprio
comportamento.
Ciascun uomo, nella gioventù pensa di affermarsi nella vita, di diventare qualcuno; è così
convinto di questo che pensa che tutti gli altri debbano vivere in funzione di lui stesso. Difficilmente
riconoscerà che gli altri hanno gli stessi suoi diritti; anzi cercherà ogni pretesto per diversificarsi da
loro e per potersi ritenere così soggetto ed oggetto di un diritto speciale. In questa concezione
egoistica, egli trascura, danneggia, calpesta gli altri che, come lui, si ritengono al centro del mondo.
Poi vengono le prime constatazioni, le prime amarezze, le prime delusioni. Il risultato di questo sarà o
la reazione o la frustrazione, ma nell’uno e nell’altro caso, consapevole o no, ancora calpesta,
danneggia gli altri che incontra nel suo cammino. Lo scopo della vita dell’uomo, però, è quello di fargli
superare una concezione egoistica di se stesso e del suo mondo; perciò le cause che egli muove
richiameranno su di lui degli effetti che a quel fine lo volgeranno, lo indirizzeranno. Certo una simile
meta risulta incomprensibile ad un selvaggio; ma voi che qua siete intervenuti, che siete in grado di
andare oltre problemi d’ordine strettamente materiale, siete in grado di capire la giustezza e la
bellezza di questo scopo e verso quello indirizzarvi equilibratamente e misuratamente alle vostre
forze. Perciò non vi diciamo: «Abbandonate tutto per servire gli altri», che questo non
corrisponderebbe né alla vostra natura, né a quello che finora ho detto; ma comprendere l’umanità
degli altri, comprendere che nessuna società può sopravvivere se ciascun singolo si sente sovrano
despota al centro del mondo, potete farlo. Allora cominciate da voi stessi: dal fare bene quello che
siete chiamati a fare non per arricchire o per emergere, ma perché siete convinti che quello è ciò che
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dovete fare. Tutto ciò vi sembra poco? Bene! Cominciate dal poco! Se non siete fedeli nelle piccole
cose, chi vi affiderà le grandi?
Ancora poche parole per concludere. Quello che vi diciamo è quanto constatiamo: non
pretendiamo che crediate vere le nostre parole solo perché noi le pronunciamo. Colui che pretende
che gli altri credano vero o non vero solo ciò che lui stesso così definisce, evidentemente identifica se
stesso con la verità, ed altrettanto evidentemente ha un comportamento che è tipico nella paranoia, il
che si commenta da solo.
Esaminate i concetti che vi esponiamo, giudicate se essi vi danno della Realtà un’immagine più o
meno esplicativa di altre immagini. Obbiettivamente a noi sembra ch’essi diano della vita non tanto un
diverso significato, quanto un significato accettabile; vi riconcilino con il Divino che non appare più
come un Ente misterioso per vocazione, che schiaccia gli uomini con la Sua immensità, per sollevare
solo quelli che hanno la ventura d’indovinare come piacergli. Forse con l’ipocrisia? O con
l’adulazione? Egli è il vero creatore dell’uomo che tutti conduce a sé, anche quelli che lo respingono.
Questo concetto fa sentire nel seno di Dio fiduciosi, sicuri che al Suo cospetto non esistono
privilegiati, né gli infelici hanno bisogno d’essere patrocinati.
Nel mondo che costruite, come i fanciulli castelli di sabbia, vince l’inganno, l’astuzia, la
prepotenza. Chi si erige a difensore dei deboli e perciò degli sfruttati, lo fa per poi venderli in cambio
di trenta denari di potere. Il più forte vince il meno forte e a sua volta è vinto. Il debole cerca
protezione dall’una o l’altra parte, creando una catena di dipendenze estremamente pericolosa. Ma
quale prospettiva può avere un mondo così concepito, se non lo scontro frontale dei forti o la
spartizione della Terra fra essi, che paralizza ogni aspirazione di rinnovamento dei singoli?
Se le nostre parole non vi convincono non ha alcuna importanza. Tuttavia non vien meno il vostro
dovere che è il dovere di ogni uomo di chiedersi: ma è mai possibile che l’uomo viva solo per
perdersi? È mai possibile che la vita di molti sia nel migliore dei casi un continuo carnevale? È mai
possibile che la suprema aspirazione degli uomini buoni sia crescere figli? Che solo la mira del
proprio guadagno e della propria affermazione induca l’uomo ad agire? Le opere più belle sono
espressione della creatività dell’uomo, o dei suoi commerci? È giusto ritenere produttivo solo ciò che
dà un utile economico, quando le opere più belle e più utili spesso sono pessimi affari? È mai
possibile che il dolore sofferto da tanti o abbia il non senso della concezione atea, o serva a
dimostrare a Dio che la Sua creatura è degna di Lui? E dov’è l’onniscienza divina? È mai possibile
che tante civiltà, crudeli e raffinate, guerriere o amanti delle arti, siano finite nel nulla perché creazioni
del caso, o abbiano avuto come unico scopo quello di popolare l’inferno e il Paradiso? O piuttosto non
sia che nei mille ripieghi, risvolti, problemi anche sciocchi di ogni forma di vita, nella lotta per la
supremazia, nello squallore del proprio vuoto interiore, nel dolore, non nasca la convinzione di un
nuovo essere? Che nella saturazione del proprio io egoistico, ognuno si convinca che la propria vita
appartiene anche agli altri, primo atto di una serie che condurrà ad abbattere quelli che sono ritenuti i
confini del proprio essere? Che questo nostro mondo dalle tragiche e confuse apparenze, altro non
sia che un crogiuolo dove ogni essere nasce e dove ognuno indistintamente, nell’illusione, trovi in sé
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la coscienza che lo conduce alla Realtà? Questa è l’unica speranza che può farvi accettare un mondo
quale vi appare, l’unica concezione che si concilia con il pensiero razionale e con le aspirazioni
mistiche, senza che né l’uno né le altre debbano rinunciare a qualcosa. Perciò, nel lasciarvi, vi auguro
che questa sia la vostra verità.
Pace a voi
Kempis
Ogni uomo ha una sua esperienza, una sua conoscenza, una sua verità. Di questa riunione
ognuno ha una sua rappresentazione, una sua verità, talché si può dire che la verità di questa serata
ha tante facce quanti sono quelli che sono qua intervenuti. C’è una faccia più vera delle altre?
Ognuno ha compreso ciò che è stato detto o ciò che si aveva intenzione di dire? E ciò che si aveva
intenzione di dire, corrisponde a quello che è stato detto? E che cosa è più vero: quello che si aveva
intenzione di dire, quello che è stato detto, o quello che ognuno di voi ha compreso? E che cosa è più
importante: quello che avete compreso, quello che è stato detto, o quello che si aveva intenzione di
dire? Che cosa sapete degli altri se non quello che essi stessi vi dicono di sé, o quello che riuscite a
capire dal loro comportamento? Ma una stessa azione non può avere moventi diversi? E quello che
gli altri vi dicono di se stessi, è la verità? Gran parte di ciò che sapete è il risultato dell’acquisizione
che comprende l’imitazione; ciò può essere utile nel campo del lavoro, ma nella verità dell’essere
vostro interiore, che senso ha imitare gli altri? La verità è la corrispondenza fra il pensiero e l’oggetto,
ma se il vostro pensiero non corrisponde a ciò che “sentite”, a ciò che siete, esso non è la verità di voi
stessi, e così le vostre azioni; ma se le vostre azioni non corrispondono alla verità di voi stessi esse
sono utili nei confronti degli altri, ma di nessuna utilità per l’essere vostro interiore. Che valore ha
imitare le azioni degli altri quando neppure le proprie azioni sono vere se non corrispondono a ciò che
si “sente”? È inutile valorizzare gli altri, pensare che ci possono migliorare; voi solo lo potete perché
ogni uomo è il suo mondo.
Pace.
Fratello Massone
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari. Un caro saluto ed una benedizione a tutti voi.
Chiudiamo questo incontro e ci presenteremo nuovamente fra quattro settimane. Con questo
incontro noi abbiamo concluso una trilogia – per così chiamarla – dedicata a coloro che da poco
tempo ci seguono. Voi avete visto che abbiamo ripreso in questi tre incontri principalmente l’aspetto
mistico, quello del proprio essere interiore, gli isegnamenti basilari del nostro insegnamento, così
come ho detto all’inizio, per confrontare questi con gli insegnamenti più recenti. Dal prossimo
continueremo nella trattazione degli argomenti più recenti. Questo non vuol dire che l’aspetto mistico
o quello etico siano da tenere in nessun conto. Anzi, dirò che tutto quanto diciamo a proposito della
vostra realtà, del mondo in cui vivete, ha lo scopo di convincervi, o figli, di quanto sia importante e
vero l’insegnamento morale, quello che riguarda il vostro essere interiore.
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Vi abbraccio tutti con molto affetto e abbraccio tutti coloro che ci seguono in questa riunione con
il pensiero, i quali come voi sono presenti.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
16 Aprile 1977
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Noi, figli, non vogliamo rappresentare per voi un ulteriore problema; avete già abbastanza
problemi da risolvere. Se mai vogliamo aiutarvi in queste soluzioni. Certo è comprensibile che le
nostre parole vi pongano di fronte a meditazioni talvolta anche profondamente “sentite”, e che esse
stesse rappresentino in sé dei problemi. Ma, vedete cari, ciò che intendo dire è che non vogliamo
rappresentare per voi una sorta di remora a quello che aveste fatto se non ci aveste incontrati; cioè
non vogliamo rappresentare un rafforzativo delle leggi morali, unicamente crescere il timore di agire in
un certo senso, cosa che non avreste avuto se non ci aveste conosciuti. Voi sapete quanto sia
importante che l’uomo agisca secondo il proprio “sentire”, secondo la propria convinzione, perciò,
come anche questa sera avete udito rileggendo le parole di Kempis, non dovete avere remore
d’ordine morale, perché con la nostra presenza noi, indirettamente, abbiamo rafforzato e resi più
validi i principi della morale. La morale è giusta nei confronti dei propri simili allorché serve a frenare
un atteggiamento che potrebbe essere, per quelli, dannoso; ma non nei confronti del proprio essere
interiore. Noi speriamo sinceramente di essere da voi compresi, di riuscire a spiegarci in modo chiaro
e fattivo perché vogliamo che un giorno, guardando alle esperienze terrene, voi diciate:
«Ho conosciuto l’amore degli uomini, ed era possessivo;
ho conosciuto la loro amicizia, ed era sfruttamento;
ho conosciuto il loro aiuto, ed era umiliazione;
ho conosciuto la pietà degli uomini, ed era degnazione;
la loro protezione, ma aveva un secondo fine;
ho conosciuto la giustizia degli uomini, ma era parziale;
la loro forza, ma era brutalità;
la loro onestà, ed era apparenza;
ho conosciuto la fede degli uomini, ma era una prigione;
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la loro filosofia, ed era cenere;
la loro scienza, ed era cecità;
ho conosciuto la compagnia degli uomini, ma non mi riempiva.
Tutto questo ho conosciuto ed assaporato
E restandone turbato ho compreso di non essere morto a me stesso».
Vi lascio momentaneamente con la preghiera di stare molto concentrati.
Dali
Buonasera cari, sono la Guida Fisica di Roberto.
Vengo per fare il solito dono a qualcuno di voi, qualcuno che questa sera non è presente…
Dammi la mano… Non è per te ma tu lo darai… Hai compreso?… È per la tua compagna…
D. – Grazie… Grazie per lei.
R. – Io questa sera vi prego di stare molto concentrati. Quando il Fratello Kempis avrà terminato la
sua discussione, farà una pausa; in quel momento recitate mentalmente una preghiera…
D. – Il Padre nostro?…
R. – Mentalmente. È chiaro?
Vi saluto cari.
Michel
Pace a voi!
L’istintiva reazione che avete di fronte ad una verità che vi crea problemi di comprensione o che
lede il vostro io, è quella di respingerla con l’incredulità. V’è un grandissimo numero di persone che
non credono alla sopravvivenza perché il credervi porta, per opinione comune, al rispetto di un codice
etico-religioso che costituisce una sorta di remora ad un certo loro comportamento, perciò si
difendono col non credere. Dobbiamo riconoscere in questo atteggiamento una coerenza di fondo
che non riscontriamo in altri. Noi non vogliamo convincere nessuno. Che quello che diciamo sia vero
è afferrabile da una serie di considerazioni, l’una derivante dall’altra, che partono da molto lontano. Il
discorso che facciamo è come lo svolgimento di un’equazione o di un sistema di equazioni: se salta
un passaggio, salta la soluzione. È un discorso che ha un senso compiuto, non se ne può accettare
per vera una sola parte. Se giusta è l’impostazione, vera e giusta la soluzione, vera e giusta è la
conclusione. Voi già conoscete lo sviluppo del ragionamento. Se lo ripeto questa sera a conclusione
di un argomento che ci ha tenuto impegnati per molte riunioni, è per trovare un nuovo modo di
esporlo, sì da renderlo comprensibile a quelli di voi che ancora non lo avessero compreso.
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Osservando il mondo in cui viviamo, cogliamo la molteplicità delle forme, degli ambienti, la
pluralità degli “esseri”. Se noi crediamo che questo mondo che osserviamo, così come lo vediamo,
con le caratteristiche che cogliamo, esista oggettivamente al di là delle sfumature, che indubbiamente
caratterizzano le immagini che di esso mondo sono colte dai soggetti, se crediamo che la
suddivisione dei piani di esistenza sia reale e non derivi – invece – da differenti categorie di sensi che
ci danno differenti immagini di una stessa identica realtà, in poche, brevi parole, se crediamo che
questa molteplicità che cogliamo esista oggettivamente, possiamo credere a Dio? Supponiamo di sì.
Allora, come può essere questo Dio? Distinto da tutto quanto esiste? Se così fosse non sarebbe
completo, né infinto, né assoluto, eccetera eccetera, perché mancherebbe di una parte della realtà
oggettiva: per l’appunto della molteplicità che noi abbiamo postulato esistere oggettivamente. Sul
piano dell’oggettività, vi sarebbe Dio e vi sarebbe l’insieme della molteplicità, cioè il manifestato.
L’uno limiterebbe l’altro e viceversa. Un simile Dio sarebbe, al massimo, il migliore degli esseri, ma i
suoi caratteri non andrebbero oltre quelli di un essere limitato.
Supponiamo allora che Dio non sia distinto da tutto quanto esiste e questo può avvenire solo se
Dio è formato dall’insieme dell’esistente. Ma, in questo caso, Egli sarebbe continuamente mutevole
perché il divenire dei mondi – al pari dei mondi stessi – sarebbe oggettivo, appunto con la
conseguenza che Dio non sarebbe mai eguale a se stesso. Certo nessuno può impedire a
chicchessia di credere ad un simile Dio. Ma dimmi in chi credi e ti dirò chi sei. È chiaro che un Dio
così concepito non avrebbe quei caratteri che universalmente sono attribuiti a Dio.
La conseguenza di queste brevi considerazioni è: o Dio non esiste – e vedremo dopo se ciò è
possibile – oppure la molteplicità è un’apparenza. Se infatti la molteplicità fosse un’apparenza, allora
anche il divenire dei mondi non sarebbe reale. Il quadro cangiante e molteplice che osserviamo, altro
non sarebbe che l’insieme di immagini che differenti categorie di sensi ci danno di una stessa identica
realtà. Quest’Unica Realtà potrebbe essere Dio, un Dio che tutto comprenderebbe, perciò completo
ed infinito perché Unico: immutabile perché non toccato dal divenire dei mondi: assoluto perché da
tutto indipendente, e via e via. Ed essendo così singolare, così diverso da tutto quanto appare
esistere nel mondo della molteplicità, veramente potrebbe essere la prima causa increata. È chiaro
che la mia certezza circa l’esistenza e la natura di Dio, non deriva da speculazione alcuna. Ma io
credo che questo ragionamento sia da voi accettabile e, in ogni caso, il solo che può conciliare
l’esistenza di Dio con l’esistenza della molteplicità. Credenti di tutte le fedi, se voi credete in Dio
credete a questo Dio, perché è il solo che può esistere, il più vero per approssimazione alla realtà.
Questa non è un’affermazione di fede: è un’affermazione della ragione.
Detto questo, la domanda che si pone subito dopo è: che cos’è questa molteplicità, cioè gli
esseri, i mondi, in rapporto a Dio? Creazione o emanazione divina? Se con questi termini s’intende un
evento oggettivo, no certo. Nulla può realmente nascere, trasformarsi, sparire nella Realtà Assoluta
ed oggettiva. Gli esseri e i mondi non sono stati creati o emanati da Dio nel senso che nella Realtà
Assoluta prima non c’erano e adesso ci sono; il prima e il dopo fanno parte del divenire, dell’illusione
del tempo. Un Cosmo appare nascere e morire perché è una realtà parziale, limitata, relativa; limitata
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fra l’altro da un inizio ed una fine. Il Cosmo appare contenuto fra l’emanazione ed il riassorbimento,
ma questi eventi, come quelli che fra questi accadono, appartengono al mondo dell’apparenza.
Ogni attimo che, vissuto, sembra non potersi fermare, è in realtà senza tempo; non può essere
stato creato, né può distruggersi; era prima che lo vivessimo e rimane, al di là del suo apparente
trascorrere. Sul filo di questa considerazione, la manifestazione non appare certo come conseguenza
di un atto di volontà di Dio, ma se mai come un suo aspetto, una sua parte, anche se oggettivamente
non distinguibile da Dio, perché se lo fosse sarebbe oggettivamente esistente e perciò limitante Dio.
Inoltre, come un organismo è un insieme di parti che ha funzioni proprie e diverse da quelle dei
singoli organi che lo compongono, a maggior ragione Dio è tutt’altra cosa dall’insieme della
molteplicità, peraltro apparente.
Come si sa, le domande sono come le ciliegie: una tira l’altra. E a questo punto, la domanda che
la logica impone è: se Dio è l’Unità, tanto che la molteplicità è un’apparenza, allora poteva non
esistere quest’apparente molteplicità? Nel regno del manifestato, del molteplice, tutto ha una ragione,
uno scopo. Anche senza osservare i grandi eventi cosmici, la verità di questa affermazione è
riscontrabile dai semplici fatti naturali. Che so? Per esempio il colore e il profumo di un fiore che
attirano più gli insetti di una certa specie anziché altri, fa aumentare le possibilità di impollinazione tra
fiori della stessa pianta o di piante della stessa specie. E così tutti i fatti naturali che possono essere
recepiti dalla portata della vostra osservazione e della nostra comprensione, mostrano di avere una
ragione, tendere a uno scopo. Ma, anche senza pensare alle cause finali di Aristotele o al “finalismo”,
se la manifestazione esistesse senza scopo alcuno – cioè esistesse per esistere – è chiaro che non
potrebbe non esistere. Tuttavia solo quando si parla di Dio si parla di Colui che non ha causa, non ha
perché. Allora ciò che si può dire a chi, come l’uomo, è abituato all’effetto quale conseguenza della
causa, suona più come un postulato che come una dimostrazione; più come una tautologia (“l’essere
è l’Essere”) che come una spiegazione.
Vedete: una realtà oggettiva diversa da quella che è, non può esistere. L’abbiamo detto prima: se
Dio esiste non può che essere infinito, eterno, assoluto, immutabile, onnisciente, eccetera eccetera…
Allora, può non esistere quell’unico Dio che può esistere? Quell’unico Dio non è il Dio-creatura della
fantasia di certe teologie, ma è la ragione, la reale dimensione d’esistenza del Tutto. Se lo si toglie,
sparisce tutto, e la reale dimensione d’esistenza del Tutto e l’Unità di un solo Essere, l’Essere Unico
ed Assoluto che è chiamato comunemente Dio. Sul piano assoluto l’“essere” s’identifica con la
coscienza, con il “Sentire Assoluto”. Questa non è un’affermazione dogmatica, è un’affermazione che
è contenuta nel concetto stesso di “Essere Assoluto”, come – per esempio – il concetto dell’identità
con se stessi è contenuto nello stesso concetto di “identità”. Ora questo “Sentire Assoluto” non è un
“sentire”, ma è la completezza del “sentire”. E questo non sarebbe se Dio non fosse la fusione,
nell’Unità, della molteplicità. V’è fra l’Unità e la molteplicità, fra la Realtà Assoluta ed oggettiva e
l’apparenza, lo stesso rapporto che v’è fra causa ed effetto in chi è causa di se stesso. Perciò errato
sarebbe credere che il manifestato fosse lo sgabello su cui Dio poggia i Suoi piedi. Ogni essere è
parte integrante di Dio, anche se da Lui non è oggettivamente distinguibile; ed anche nel mondo della
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relatività, ogni essere non è condannato ad una perpetua limitazione, ma la coscienza si amplia
sempre più fino a identificarsi in Dio, che è la comunione del Tutto. Difatti il sentirsi distinti da tutto
quanto esiste deriva da una delimitazione non oggettiva del “sentire”; la vera natura del “sentire”è il
“Sentire Unico ed Assoluto”. Perciò la vera natura di ogni “essere” è l’Essere Unico ed Assoluto: Dio.
Questa diversa concezione di Dio, trae seco una diversa concezione della realtà e della vita. Noi
esistiamo perché esiste Dio e viceversa, fatto salvo il carattere assoluto di Dio, cioè di indipendenza
di Dio. Tutto quanto esiste è perfetto e indispensabile, naturalmente al di là di opinioni e giudizi che
necessariamente sono relativi ai singoli. Intendo dire che una situazione può essere piacevole o
dolorosa, ma sempre relativamente a chi la vive o a chi la osserva; mai in senso assoluto. E con ciò
intendo accennare alle difficoltà incontrate dal monismo spiritualistico per spiegare l’esistenza del
male inconcepibile in Dio: il male fa parte del mondo del relativo, è come tutto il divenire dei mondi
che non incide nella realtà di Dio. Tuttavia il male nel piano relativo ha una sua precisa funzione; nulla
della molteplice versione dell’esistente è errato o suprefluo, anzi, ogni fatto ha più significati, tanti
significati per lo meno quanti sono i suoi protagonisti.
Tutto quanto viviamo, esiste da sempre e per sempre, al di là del tempo, ed esiste in molteplici
versioni, sì da far salva la libertà del singolo ove e quando sia necessario. Quanto ci appare come
passato e come futuro, esiste identicamente nell’Eterno Presente. Tuttavia non esisterebbe se non
esistesse nel tempo e viceversa. Perciò al di là del tempo esiste la “comunione degli esseri”, a cui tutti
siamo votati ed in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell’Unità. Ma ciò non sarebbe se, nel
tempo, non vi fosse la sequenzialità e la separatività che originano la pluralità. Badate bene: questo
concetto è giustamente inteso allorché serve a chiarire e meglio comprendere che la manifestazione
nulla trae né apporta a Dio, nel senso temporale.
Questa diversa concezione della realtà e di Dio, che libera l’immagine del divino da quegli orpelli
posticci di un misticismo romantico, ci autorizza forse a credere che la moralità non abbia senso
alcuno? Che inutile sia lo sforzo dell’uomo di tendere al bene, di migliorare il proprio mondo? Finché
l’uomo non comprende che il suo “essere” deve estendersi al di là dello spazio limitato e delimitato
dal suo egoismo, finché non comprende che le proprie qualità non gli appartengono solo per se
stesso, la legge del dolore lo richiama alla comprensione. In ciò sta la risposta. Di più: se Dio è la
reale dimensione d’esistenza del Tutto, se Egli è l’Unico Essere in cui tutti ci riconosciamo, allora ogni
“essere” è un altro te stesso. Se puoi convincerti di questa verità, getta pure lontano da te ogni legge,
ogni Comandamento, perché essi non sono che una pallida imitazione, una grottesca caricatura di
quella convinzione interiore che sola può trasformare i tanto meravigliosi quanto irraggianti ideali
morali in viventi realtà.
Pace a voi!
Kempis
Avete udito che vi fu detto di perdonare settanta volte sette, ma tu invochi la giustizia divina sugli
altri e la misericordia su te stesso; o ipocrita! Credi forse che se l’ora della giustizia venisse al tuo
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comando in te non si troverebbe iniquità alcuna? Preoccupati di essere giusto prima di invocare la
giustizia: «Mio è il giudizio!», dice il Padre; in verità in verità ti dico che sarai perdonato solo quante
volte tu perdonerai.
E perché ti scandalizzi per la corruzione, elevi la tua protesta, ipocrita! Con che diritto invochi
l’onestà dei tuoi simili quando tu stesso sei corrotto? Credi forse che i tuoi figli ti debbano la loro
onestà? In verità in verità ti dico che quanto pretenderai dagli altri da te si pretenderà.
E perché credi che ai tuoi simili spetti di fare in modo che tutto funzioni per il meglio e a te spetti
solo godere i frutti dell’altrui fatica; ipocrita! Comincia col fare tutto intero il tuo dovere se vuoi il
meglio. In verità in verità ti dico che se non senti tuo il mondo in cui vivi esso non sarà mai quale lo
vorresti.
E perché pretendi d’essere trattato con speciale riguardo quando tu sei maldisposto a
riconoscere il diritto dei tuoi simili d’essere più di te o diversi da te; comincia col trattare gli altri come
vorresti essere trattato. In verità in verità ti dico che se tu avessi compreso che gli ultimi sono i primi,
nel “sentire”, e i primi gli ultimi, tu sentiresti ogni essere come parte di te stesso.
E perché ti scandalizzi quando odi bestemmiare il Padre? Ipocrita! Non lo bestemmi tu stesso
quando credi che vi sia qualcuno o qualcosa che possa essere non amato dal Padre? Qualcuno o
qualcosa che possa dispiacergli o essere da Lui preferito? Che il Padre vada in collera e che castighi
gli uomini? In verità in verità ti dico che neppure chi opera prodigi è più amato dal Padre o a Lui più
vicino. Forse che solo chi ha gli occhi belli vede bene? Preoccupati di santificare il Nome del Padre
con ciò che fai e con ciò che credi, col perdonare di più i tuoi simili che, come te, hanno bisogno di
essere perdonati; col non pretendere dagli altri più di quanto sei in grado di pretendere da te stesso,
col fare qualcosa di più che accontentarti di stare al mondo, col convincerti che nessun essere merita
il tuo disprezzo e la tua indifferenza, anzi null’altro merita se non il tuo amore.
La voce
Durante la manifestazione di questa Entità il medium era in levitazione ed un intenso profumo
orientale impregnava la stanza. Al termine del discorso è avvenuta una copiosa pioggia di foglie
d’olivo.
196
14 Maggio 1977
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
A voi sembra inverosimile essere al centro di queste comunicazioni che a vostro giudizio
dovrebbero interessare la quasi totalità degli uomini. L’inverosimiglianza finisce allorché assistete ad
una divulgazione delle nostre parole, perché con questo fatto la vostra posizione diviene meno
eccezionale e quindi più credibile. In effetti, o figli, noi siamo uno dei moltissimi mezzi che la legge di
evoluzione dà all’uomo per farlo riflettere e progredire. Dovete tenere presente, o figli, che tre sono le
vie che conducono a quella che è la meta dell’uomo, uno stato di “sentire” tutt’affatto diverso dalla sua
condizione d’esistenza nel mondo della percezione. Queste tre vie le abbiamo genericamente
indicate nella “via mistica”, nella “via dell’azione”, nella “via della conoscenza”. Ma questo stato che
attende l’uomo non è né misticismo, né azione, né conoscenza; il misticismo, l’azione, la conoscenza
non sono che mezzi per raggiungere questo “sentire” che è indescrivibile, che tanto vi rammentiamo e
che non possiamo che illustrare sommariamente, perché non può che essere provato. Se si tiene
presente questo si comprende che anche la “via della conoscenza” – cioè quella più assimilabile alla
nostra azione presso di voi – non è la sola che conduce l’uomo a quel “sentire” di cui ora vi parlavo.
Per cui l’eccezionalità della nostra venuta fra voi diminuisce anche in questa considerazione.
Ma non è tutto: vedete, figli, conoscere la verità non significa raggiungere automaticamente
questo famoso “sentire”, questa meta che vi attende; la verità non è una formula magica che allorché
pronunciata, immediatamente, in chiunque la pronunci o la ascolti, susciti questo “sentire” interiore,
cioè faccia a lui raggiungere questa meta della quale vi parliamo e continuamente vi sproniamo. La
conoscenza deve essere vissuta, deve essere continuamente verificata, deve essere sperimentata; la
conoscenza, come il misticismo e l’azione, non sono che un mezzo per trarre l’uomo in quello stato di
tensione interiore propizio al fluire del suo più profondo “sentire”. Perciò non è necessario che la
conoscenza sia una conoscenza del vero; può benissimo essere una conoscenza che nulla ha di
contatto con la realtà; cioè può essere una conoscenza che rispecchia una storia totalmente
fantasiosa, basta che l’uomo la viva con tutto l’essere suo, basta che l’uomo attraverso a quella
conoscenza creduta, intimamente sperimentata e vissuta, raggiunga quello stato di tensione interiore
nel quale sboccia il “sentire” suo più profondo.
Direte allora voi: «Che necessità v’è che voi veniate fra noi a parlarci della Realtà?». Noi
parliamo di una conoscenza in termini accessibili alla vostra mente, alla vostra logica, perché
pensiamo che forse conoscenze di tipo fantastico o prettamente mistiche, o che riguardino la via
dell’azione, non sarebbero in voi di effetto. Perciò cerchiamo di catturare la vostra attenzione, di
convincervi attraverso a cose che bene si adattano alla vostra mentalità, acciocché voi attraverso a
questa convinzione troviate quello stato di intima tensione che, come ho detto più volte, è la
condizione indispensabile, assoluta, per la quale il “sentire” del vostro essere interiore comincia a
fluire.
197
Ecco allora che la divulgazione acquista una nuove luce, non è più importante come la si può
credere, non ha quello scopo di missione universale che in un certo misticismo di ispirazione
romantica può indurre. Ecco allora che la divulgazione non ha bisogno di un’organizzazione che lavori
a livello collettivo, ma direi che la divulgazione deve semmai avvenire a livello individuale, perché è
allora che ciascuno di voi può vedere quanto i vostri simili recepiscono e che cosa è a loro più adatto
di tutto quello che diciamo. Perciò la divulgazione non deve dare spazio ad una nuova
organizzazione, ma per essere veramente utile deve essere ispirata dal desiderio di fare agli altri quel
bene che voi pensate di avere ricevuto attraverso di noi.
Io spero, con queste considerazioni, di avere chiarito la vostra posizione nei confronti del resto di
tutta l’umanità che come vedete non è, in fondo, affatto eccezionale. Vi lascio momentaneamente.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Om mani padme om.
Salve, fratello caro, salve.
Tu desideri possedere numerosi oggetti, non tanto per rendere più comoda la tua esistenza,
quanto per abbellire e valorizzare la tua persona. Così perdi la serenità e vessi i tuoi fratelli per
giungere a possedere quelle cose che credi alzino il tenore della tua vita e non ti accorgi che quegli
oggetti diventano i tuoi padroni prima ancora che tu li possegga, distruggono la tua pace e ti
impediscono di godere la vera gioia della vita che sta nella spontanea semplicità della natura.
Il denaro è il mezzo attraverso al quale si giunge a possedere, ma molto spesso da servo diventa
padrone e quando è così è sempre un cattivo padrone. Ricorda: la vera ricchezza è la saggezza; un
mendicante saggio è più regale di un Re stolto. Mira solo all’essenziale, non chiedere alla vita il
superfluo, non chiedere la ricchezza, ma la pura serenità del tuo cuore e allora la luce del giorno o
l’oscurità della notte, il sole o la pioggia, il sibilo del vento o il sorriso di un fanciullo, ti daranno quella
gioia che nessun cuore arido può provare, neppure pagandola con tutti i tesori del mondo.
Non chiedere di essere onorato, stimato, rispettato, ma cerca ciò che dura più della stima, del
rispetto e dell’onore. Non chiedere d’essere conosciuto, ma cerca di conoscere soprattutto te stesso.
Non chiedere ciò che non hai la forza di amministrare e che potrebbe sfuggirti di mano e portare la
rovina a te e ad altri, ma fai bene quello che è nelle tue possibilità. Ricorda: è molto più utile un bravo
operaio che un cattivo ingegnere. Contrariamente a quanto si crede, non è la carica che nobilita
l’uomo, ma se mai è il contrario. Non chiedere di essere il primo nel folle mondo degli uomini, ma sii
l’ultimo fra i saggi nel cielo.
Giustamente ti è stato detto che nessuna esperienza va perduta; l’esperienza del sensuale lo
conduce ad abbandonare la sensualità, ma è possibile essere sobri pur non calcando il sentiero degli
eccessi. Come la malvagità è essa stessa castigo del malvagio, così la pace interiore inonda l’animo
di chi libera il cuor suo da ogni inutile affanno.
Om mani padme om.
198
Fratello Orientale
Pace a voi.
La manifestazione cosmica appare contenuta fra l’emanazione e il riassorbimento. Il Cosmo
mostra avere un ciclo di vita delimitato da questi due eventi che come ora ho detto non sono oggettivi.
Ogni elemento ed ogni insieme di elementi che nell’apparenza costituiscono un Cosmo, hanno un
particolare ciclo di vita: la ciclica seguita dalle manifestazioni della natura è un fatto ormai assodato
dall’uomo; il riconoscimento della ciclica seguita dai corpi siderali va ben oltre ciò che è riconducibile
ai semplici moti di rotazione, di rivoluzione e di traslazione; la stessa scienza umana ammette che le
stelle hanno un ciclo di vita. E così altri eventi astronomici mostrano seguire un andamento ciclico.
Con questa premessa non deve sembrarvi inverosimile che l’umanità tutta, intesa come insieme di
uomini, come condizione umana e come svolgimento della storia del genere umano, segua una
ciclica.
Secondo taluni la storia altro non è che la cronaca della lotta dell’uomo per la conquista della
libertà; è evidente che si intende libertà da costrizioni che al singolo vengono dall’ambiente sociale in
cui vive. Se si ammette che l’umanità segua una ciclica, implicitamente si ammette che l’uomo sia
costretto non solo dai condizionamenti morali e sociali, ma anche dagli influssi ciclici. Ben lo sapeva il
buon Gianbattista Ricco, il quale ipotizzando i suoi corsi e ricorsi storici si preoccupò di precisare –
vuoi per le proprie convinzioni che sempre sono influenzate dai tempi, vuoi per non contrastare i
principi della teologia cattolica – dicevo, si preoccupò di precisare che l’eterno avvicendarsi dei ricorsi
storici non ha carattere di fatalità negatrice della libertà, ma che la provvidenza garantisce l’ordine e la
libertà, come se questa garanzia non fosse essa stessa, sul piano della libertà assoluta, una
costrizione. Se anche si sapesse vero con certezza che la storia si ripete il saperlo servirebbe a poco,
perché non sapreste mai con esattezza quando un evento analogo ad uno accaduto nel passato torni
a riprodursi; la verifica è possibile solo a posteriori e azzardato sarebbe formulare delle previsioni a
corto raggio circa gli eventi che debbono accadere. Se è vero che la storia si ripete allora vien fatto di
chiedersi se i grandi della storia erano essi stessi i protagonisti dei loro tempi, oppure se i tempi erano
maturi per produrre certi avvenimenti che resero famosi quegli uomini ad essi legati. E per scendere
al mondo individuale: siete voi gli artefici degli avvenimenti della vostra vita oppure dagli eventi siete
trascinati e perciò non siete i veri responsabili?
Interessarsi di cicli storici può suonare come un riparlare in termini oggettivi del trascorrere del
tempo dopo che tanto ci siamo impegnati per portarvi fuori da questa concezione. Perciò, per non
correre questo rischio, riformulerò la domanda: la vostra responsabilità deriva dall’essere voi gli
artefici degli avvenimenti della vostra vita o semplicemente dal credere d’esserlo? Come si vede la
domanda così riproposta si inserisce perfettamente nell’argomento consueto: ciò che appare e ciò
che è. La risposta a questa domanda l’abbiamo data a suo tempo quando abbiamo parlato della
libertà dell’uomo; se a voi interessa è un discorso che potremo riprendere, tuttavia fino da ora
possiamo dire che la questione ha un carattere prettamente dottrinale, perché è ciò che l’uomo crede
199
che produce nel suo intimo quel prezioso fermento interiore che lo fa evolvere, anche se le sue
convinzioni sono totalmente fantasiose. Si capisce subito che anche questa affermazione fa parte del
concetto secondo cui il Cosmo è una realtà apparente e soggettiva. Da sempre, infatti, ripetiamo, che
il Cosmo altro non è che il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive, e che l’apparente
oggettività del mondo colto dai sensi dei soggetti deriva unicamente dal fatto che tutti i soggetti hanno
le stesse categorie di sensi. Vediamo di approfondire questa affermazione con una domanda:
immaginando di togliere i soggetti, il Cosmo, sia pure diverso da come è percepito, rimane oppure
no? Proviamo a rispondere con un sì a questa domanda. Ma allora anche senza invocare il principio
della non contraddizione che nella logica aristotelica vieta di fare due affermazioni contrastanti, è
chiaro che i due concetti sono in antitesi; perché se il Cosmo rimane al di là della percezione dei
soggetti, e se “esistenza oggettiva” significa indipendente dai soggetti, è chiaro che il Cosmo è una
realtà oggettiva e non è il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive. Perciò, per essere
coerente con l’affermazione della soggettività del Cosmo, io debbo rispondere con un no e non con
un sì alla domanda che mi sono posto. Ma che significato ha questo no?
Si dice che i raggi del sole sono caldi. Supponiamo che questa affermazione derivi
semplicemente dal fatto che tutti gli uomini hanno una temperatura corporea di circa 37° e che i raggi
del sole hanno una temperatura superiore, o comunque superiore alla temperatura della pelle del
corpo degli uomini. Allora l’affermazione che i raggi del sole sono caldi, è un’affermazione relativa,
soggettiva; l’apparente oggettività deriva unicamente dal fatto che tutti gli uomini percepiscono come
caldi i raggi del sole i quali in sé, invece, non sono né freddi né caldi, ma lo diventano solo per chi li
percepisce o comunque come un termine di paragone. Affermando che il Cosmo è il comun
denominatore di tutte le percezioni soggettive, noi non solo vogliamo dire che i raggi del sole, in sé,
non sono né freddi e né caldi, ma anche – e soprattutto – che il sole in sé non esiste.
Questa precisazione non ha lo scopo di scandalizzare i validi rappresentanti della scienza umana
che ci seguono, ai quali tuttavia debbo ricordare che l’atteggiamento dello scienziato nei confronti
della ricerca è mutato ormai da tempo.
Da una primitiva osservazione dei fenomeni, a cui faceva seguito la formulazione di ipotesi
esplicative e la ricerca di fatti confermativi, si è passati ad una riluttanza nell’avanzare ipotesi che
spieghino i fatti. In particolare i fisici del vostro tempo hanno dichiarato impossibile la ricerca di ciò
che sta al di là del fenomeno ed hanno rinunciato a dare una spiegazione di esso e ad illustrarne la
genesi. In sostanza la fisica d’oggi ha rinunciato a dare un’immagine della realtà e concentra la sua
attenzione sull’osservazione dei fenomeni e nella registrazione dei fatti e delle modalità ad essi
inerenti. Questo diverso atteggiamento deriva essenzialmente dal fatto che la realtà si intuisce così
diversa da come appare che darne un’immagine significherebbe far perdere alla fisica il suo carattere
scientifico, cioè reale.
Se questa posizione è comprensibile e giustificabile nei rapporti ufficiali, non lo è nell’intimo del
proprio pensiero, dove la reputazione non è messa a repentaglio e dove ognuno ha il dovere di
esaminare tutte le ipotesi possibili. Allora, qual è la portata della preoccupante precisazione che ora
200
ho fatto? Significa essa che non esistono altro che i soggetti, i quali sognano una realtà in se stessa
inesistente?
Vedete, un sogno è una storia della fantasia, costruita con elementi del mondo della percezione.
Voi potete sognare – che so? – che vostra sorella ha i baffi, ma questa insolita storia è costruita con
una sorella e con dei baffi, cioè con immagini che voi avete attinto al mondo della vostra percezione.
Se non vi fosse la percezione, non vi sarebbero immagini e non vi sarebbero sogni.
Ora noi affermiamo che il Cosmo è il comun denominatore di tutte le percezioni soggettive; se
parliamo di percezione, implicitamente ammettiamo l’esistenza di un ente percepiente e di qualcosa
che viene percepito, perciò non possiamo voler dire che esistono solo i soggetti, perché se così fosse
non vi sarebbe percezione e quindi non vi sarebbe l’elemento comune delle percezioni. Difatti quelli di
voi che hanno buona memoria ricordano che da sempre noi abbiamo affermato che esiste un “quid”
(qualcosa non meglio identificabile, perché oggettivamente non distinguibile da Dio, perché
oggettivamente inesistente, che potremmo chiamare parte di Dio, se Dio non fosse indivisibile), un
“quid” che percepito si rivela come elemento comune di tutte le percezioni. Questo elemento comune
nell’apparenza è formato da vari elementi ed è con questi elementi che ciascun soggetto costruisce
immagini soggettive di un mondo già in se stesso soggettivo. Il “quid” che, percepito, si rivela come
mondo fisico, mondo astrale, mondo mentale, in se stesso è la divina sostanza “Spirito” che non
viene minimamente toccata dal fatto che nella percezione assuma un aspetto o l’altro.
Una macchia di umidità su un muro non è interessata dal fatto che nella fantasia dell’osservatore
assuma l’aspetto di una figura nota o di un’altra. Questo appunto significa che il divenire dei mondi
non incide nella Realtà di Dio.
Spero di avere chiarito a sufficienza che cosa intendiamo con “soggettivo” ed “oggettivo” e che
parlare di percezione significa parlare di un mondo che comprende un ente percepiente e qualcosa
che viene percepito, ma significa anche parlare di un mondo che non ha alcun elemento oggettivo nel
vero senso del significato e del concetto.
Spero anche che risulti chiaro che quanto ho detto è riferito unicamente al mondo della
percezione e che non corrisponde più in un’altra dimensione d’esistenza dove esistono solo i soggetti,
perché non vi è più bisogno di percezione, non essendovi più bisogno di immagini: esiste solo il
“sentire” il quale è come retaggio del mondo della percezione. Se la questione è chiarita, diventa
pacifica.
Ma siccome io sono uno Spirito maligno che ha in odio la pace interiore ed esteriore, mi voglio
soffermare proprio sul concetto di interiore ed esteriore nel mondo della percezione. Che cosa
significa esteriore? Che è fuori di sé. Ma ciò che è fuori di sé lo è realmente o così appare? Bene,
direte voi: «La risposta a questa domanda è fin troppo semplice, ormai anche i muri di questa stanza
sanno che la Realtà è diversa dall’apparenza». D’accordo. Ma io vi invito a meditare su quanto vi dirò.
Ho affermato che la percezione comprende un ente percepiente e qualcosa che viene percepito.
Se l’ente percepiente è il soggetto con il suo mondo interiore, il percepito, l’oggetto, è ritenuto quasi
totalmente esterno al soggetto. Ma dove finisce l’interno e comincia l’esterno? Secondo la psicologia,
201
la percezione è quel processo mentale che organizza le semplici sensazioni in categorie superiori
capaci di modificare l’azione dell’uomo. Soffermiamoci sulle sensazioni che secondo questa
definizione – e in fondo secondo tutte le altre – sono all’origine della percezione e domandiamoci che
cosa sono le sensazioni. Si definiscono così le modificazioni della propria auto-consapevolezza in
seguito ad uno stimolo interno o esterno che colpisca i sensi. Molte cose potremmo dire circa le
sensazioni; le nostre affermazioni potrebbero non essere condivise, per esempio, dai materialisti, che
considerano le sensazioni di natura prettamente materiale, fisiologica. In ogni caso nessuno potrà mai
negare l’estrema soggettività delle sensazioni. E pensate che il mondo di ciascuno è costituito con
questi mattoni che sono le sensazioni.
Ora, né il fisico né il fisiologo vi sapranno mai dire che cosa siano, per esempio, quelle
sensazioni chiamate colori. Il fisico vi dirà che la luce di una certa frequenza, cioè di una certa
lunghezza d’onda compresa in una certa gamma che colpisca un occhio, è vista di un certo colore; il
fisiologo vi spiegherà che le onde luminose che colpiscono la retina di un occhio sano, attraverso al
nervo ottico eccitano una certa zona del cervello e si rivelano nella sensazione di un certo colore. Ma
il colore, quale lo conoscete, non esiste nel mondo esterno, è una creazione del cervello; e così è di
tutte le sensazioni. Questo non lo dico io, lo dice la vostra scienza. Dunque tutto il mondo esterno può
ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni.
Il corpo umano è un po’ come un registratore magnetico che traduce un nastro magnetizzato in
un concerto. Il mondo esterno a voi, in fondo – rifletteteci bene – in che senso è esterno? Esterno a
che cosa? Se è vero che il vero Sé è al di là dei corpi dell’uomo, allora anche i pensieri sono esterni
al Sé. Ma è giusta questa concezione? Occorre stabilire i confini dell’essere.
Se vi fosse un apparecchio, tecnicamente perfetto, che facesse vibrare i vostri timpani come
vibrano quando vibrano le corde di un pianoforte, voi udreste il suono di un pianoforte senza la
presenza dello strumento musicale. E se un altro apparecchio facesse vibrare la vostra corteccia
cerebrale come vibra attraverso agli organi dell’udito quando sono percosse le corde di un pianoforte,
ancora udreste il suono di questo strumento fantasma. Come ho detto, allora è vero che tutto il
mondo esterno può ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni le quali stimolano dei pensieri. Ora
questo “qualcosa” abbiamo visto che non è oggettivo, perché non v’è bisogno che lo sia. Non è reale
perché non v’è bisogno che lo sia. Vi domando: è necessario che sia esterno? Oppure esterno ed
interno, il soggetto e l’oggetto sono distinzioni irreali perché l’uomo e il suo mondo sono una stessa
cosa già nella dimensione della cosiddetta molteplicità?
A voi l’ardua risposta. Pace!
Kempis
«Non chi dice “Signore, Signore!” entra nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre».
Sorelle, Fratelli, vedete come il nostro Maestro ci ponesse in guardia acciocché non riducessimo il
nostro senso religioso ad un fatto di apparenza, e come abbiamo tenuto in nessun conto le Sue
parole! Sì, è vero, tutta la nostra religiosità può ridursi ad un fatto esteriore, ma siamo noi che non
202
abbiamo compreso, non chi ci ha insegnato. È vero, tutto potrebbe essere nuovamente considerato,
ma per fare ciò che dobbiamo fare e che sappiamo fare, non occorre attendere le riforme. Liberiamoci
pure dagli orpelli se questi occupano il posto del nostro misticismo, ma che tolti quelli non sia il vuoto.
Beati quei fratelli, beate quelle sorelle che vedono chiaramente gli errori dei loro simili e li
additano agli altri, perché certamente non ne commetteranno di eguali. Meschino chi indica l’errore
non per distruggere l’errare, ma per distruggere chi ha errato. Meschino colui che vuol distruggere i
suoi simili con i loro errori e per i loro errori, per poi prenderne il posto e in tutto ripeterli. Meschino chi
vuol mostrare la sua onestà dimostrando la disonestà degli altri e carpire la vostra fiducia per poi
derubarvi.
Non lasciate ad altri la vostra salvezza, ma ognuno sia degno Tempio e sacerdote di Dio.
Pace, fratelli. Pace. Tutti vi benedico. Tutti vi abbraccio.
Teresa
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Vengo per porre termine a questo incontro; benedico ed abbraccio tutti voi e ciascuno di voi
consideri quanto è stato detto a lui direttamente indirizzato. La prossima riunione sarà fra quattro
settimane.
Particolarmente tutti vi benedico, figli.
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
11 Giugno 1977
La pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Come immaginate questo incontro chiude il ciclo che abbiamo iniziato lo scorso vostro anno.
203
Ognuno di voi, volgendosi indietro, potrà esaminare ora con calma quanto è stato detto. Mi sia
permessa un’osservazione detta con tanto amore, figli: e cioè che quando noi tentiamo di dire
qualcosa di nuovo, con molta cautela – perché voi sapete che il nostro scopo non è quello di
enunciare le verità freddamente, ma di farvele assimilare attraverso ad una vostra partecipazione
attiva – ebbene, quando cerchiamo di farvi intravedere un nuovo punto di vista – o che per lo meno
ampli quello che fino ad ora avete avuto – voi molto semplicemente pensate che ripetiamo quello che
già abbiamo detto. È successo così quando vi abbiamo parlato delle verità enunciate con i
fotogrammi; anche nell’ultimo incontro il Fratello Kempis ha cercato di impostare una nuova
prospettiva da cui esaminate quella che voi considerate realtà; quindi vi invito a meditare su quanto
ha detto. È giusto, figlio Francesco, che non è quella che voi ritenete realtà un sogno; lo stesso
Fratello Kempis lo dice nella sua lezione; c’è un “quid” che serve da base comune a tutti i soggetti.
Ma è vero che già nella molteplicità deve vedersi qualcosa di diverso da quello che fino ad ora avete
conosciuto o supposto. Torneremo ancora su questo argomento nel prossimo ciclo di riunioni;
vedremo, per prendere l’interesse di ognuno di voi che ha porte diverse, di alternare certe lezioni,
certi insegnamenti filosofici, con altri di argomento vario, ma sempre per partire da punti di vista
diversi ed illustrarvi una stessa realtà. Voi sapete che questo è il nostro metodo. In questa pausa tra
un ciclo e l’altro approfittate per discutere fra voi, per esaminare quanto vi abbiamo detto, cercando di
porvi da questo nuovo punto di vista che cerchiamo di additarvi, e che serve poi per capire meglio in
quale modo può essere sperimentata una realtà, conosciuta.
Per ora vi lascio momentaneamente salutando ognuno di voi, particolarmente quelli che ci
seguono direttamente per la prima volta, e gli altri figli che più di rado hanno occasione di udirci.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali
Io fui Arlotto Mainardi, Pievano di San Cresci a Maciuoli.
Io solea venire sovente a voi per narrarvi di alcune piacevolezze dei tempi miei. Veggo che non
lontani siete da Cersina dove Pievano fu in Sant’Andrea msser Antonio Bichini, mio grandissimo
amico; egli era uomo astutissimo, dottore in decreti, canonico del Duomo di Firenze, Vicario di Fiesole
e di Arezzo e moltissime cose ancora. La nostra maggior piacevolezza era di toglierci a vicenda la
roba di casa. Ricordo che una volta fui a Cersina nella canonica di messer Antonio e vidi una cassetta
di chiavi, chiavistelli, toppe ed altri ferri, che molto bene avrebbero fatto per le mie bisogna. Presala
nascostamente la posi sotto al mantello e così favellai a messer Bichini: «Questa sera andremo a
San Cresci; io ho in serbo per voi cosa alcuna che gli umori vostri tutti infiammerà, ma poiché gli è
tempo di Quaresima converrà, messer Antonio, che voi predichiate la gente mia che gente trista è e
spesso alle mani corre, fu l’amicizia». Messer Bichini, pensando che io avessi in serbo qualche
glicore accettò. Quando fummo per la strada ancora favellai: «Parrebbe che noi ci dovessimo
emendare di molti errori; ci siamo fatti molte naste, molta roba ci siamo tolti l’un altro, siamo ambedue
vecchi e converrà che ci assolviamo a vicenda. E chi ha tenga e chi ha avuto suo danno». Messer
204
Bichini sempre pensando al glicore accettò. Quando fummo a Maciuoli entrammo in Chiesa,
pregammo, ci assolvemmo, ci baciammo sulla bocca come costumare soleasi in quell’epoca in segno
di pace; poi aperto il mantello mostrai a messer Bichini la cassetta coi ferri dicendo che quella
nell’assoluzione compresa era, e per fede al patto “chi avea tenesse e chi il peggio suo danno”.
Messer Bichini a quella vista, a quelle parole, si infiammossi in volto. Ma l’ira trattenendo per non al
canto suo agghindare la beffa, così favellò: «Messere Arlotto, voi di parola foste e gli umori
infiammato m’avete ed io al patto starò; ma converrà che noi recitiamo preci alcune per l’anima della
defunta madre vostra che certo trovasi in luogo di espiazione, perché con un cotal figlio come voi
siete certo donna di malaffare!».
Quando fu l’ora della predica messer Antonio salì sul pulpito e così favellò: «Tanto è male non
avere amico alcuno quanto averne lasciati; fate di non dire mai male degli amici vostri, in specie
quando presenti sono e così… Chi trova un amico trova un preziosissimo tesoro!». Ed io in fondo alla
chiesa con le braccia in alto teneva la cassetta coi ferri e mostravagliela. A quella vista Messer Bichini
resister non seppe ed aggiunse: «Ma le Sacre Scritture esortanci a tenere in grandissimo dispregio le
stesse e vivere in povertà. Amen!». E scese dal pulpito e andossene.
La natura ha moltissimi animali: vi sono quelli che son buoni da vivi e da morti come il bue, quelli
che son buoni da vivi e non da morti come l’asino, quelli che son buoni da morti e non da vivi come il
porco, e quelli che non son buoni né da vivi né da morti come il Pievano vostro Arlotto.
Pievano Arlotto Mainardi
Io sono la Guida Fisica di Roberto.
Come al solito farò un piccolo dono. Vi prego di stare in concentrazione…
Apporto.
Saluto tutti voi cari…
D. – Posso fare una domanda?
R. – Sì.
D. – Tempo addietro si è presentata un’Entità in due momenti diversi. Ascoltando la registrazione in
sottofondo si sente delle voci; forse qualcuno avrà pensato di parlarne… Mi sai spiegare perché?
R. - Volete voi che io vi dica… che confermi l’oggettività del fenomeno? Non ha importanza. Voi
accertate per vere solo le cose che indubbiamente possono essere da tutti percepite e che non
possono risultare da interferenze. La questione non ha importanza.
Vi saluto.
205
Michel
Pace a voi!
Sarebbe un peccato sciupare questa atmosfera così distesa; converrà perciò parlare di cose
semplici per scoprire poi che le cose più facili a capirsi sono quelle più difficili a tradursi in pratica. Ne
approfitterò per scrivere una lettera:
«Mio caro Pindemonte, io non so proprio come tu riesca a sopportarci. Noi parliamo, parliamo,
sputiamo sentenze una dopo l’altra, che tanto cosa farne è affar vostro. Tenerle in nessuna
considerazione non è possibile: l’acqua, anche quando scivola via, lascia bagnato. Volere applicarle è
un’impresa assai ardua perché ha un bel dire il signor Dali che noi non vogliamo costituire per voi un
ulteriore problema. Vorrei vederlo che cosa farebbe al posto vostro; anzi vorrei vederli tutti quei
signori che se ne stanno comodi comodi, seduti lassù, trasportati invece nella macina della vita.
Per esempio, Gesù Cristo, che cosa farebbe al posto tuo? Alzarsi presto tutte le mattine per
andare in orario in ufficio, tornare a casa stanco e dover risolvere i problemi della famiglia. Quando lo
troverebbe il tempo per predicare? Perché non lo si vorrà mica far predicare durante le ore di lavoro,
ci mancherebbe altro! Tutto sommato, dovrebbe fare il predicatore a tempo pieno, ma allora non
sarebbe più nei tuoi panni.
Già, perché forse è necessario stabilire che cosa dovrebbe tornare a fare Gesù Cristo sulla
Terra, perché se tornasse a fare Gesù Cristo allora farebbe le stesse cose, né più né meno. Magari
sarebbe condannato come extraparlamentare; insomma muterebbero i dettagli perché sono mutati i
tempi, ma la sostanza rimarrebbe la stessa. Se invece tornasse a fare il “povero Cristo”, sì insomma,
uno qualunque, allora sarebbe uno qualunque, né più né meno come io e te.
Caro Pindemonte, chissà che cosa dirai quando riceverai questa mia lettera, perché forse a te
piacerebbe sapere come Gesù Cristo si comporterebbe nei tuoi panni, a prescindere dalla
considerazione che se anche non facesse vita pubblica non si troverebbe mai nella tua situazione,
come nessuno, in fondo, si trova mai nella stessa situazione di un altro. Forse a te piacerebbe sapere
come Gesù Cristo risolverebbe i tuoi problemi, quei problemi che in fondo in fondo tu stesso
contribuisci a creare, non fosse altro col ritenere problematiche cose che per altri non lo sarebbero.
Ma forse a tutti piacerebbe vivere la propria vita e quando si fosse posti di fronte ad una decisione da
prendere, fare una telefonatina per sapere che pesci pigliare, scaricando così sugli altri tutte le
responsabilità.
Ma se poi la risposta fosse di fare cose che sono contro i nostri interessi, o che non si ha la forza
di fare?… Perché questo è il punto! Forse qual è il meglio lo sappiamo, anche senza scomodare
Gesù Cristo, ma vogliamo farlo? Tu dici che la vita stessa, il posto che ciascuno occupa nella società,
impediscono di vivere secondo certi ideali. Hai ragione.
Se io fossi un giudice e fossi intimamente travagliato perché convinto del “non giudicare”, è
chiaro che dovrei cambiare professione. Non potrei fare il giudice che non giudica. Ma se continuassi
a fare il giudice, allora dovrei giudicare, non c’è scampo; magari lo farei nel modo migliore a me
206
possibile, impegnando tutto me stesso e poi scoprendo, alla fine, che forse quel “non giudicare” ha un
altro significato.
Se io fossi un soldato in battaglia e fossi di fronte al dilemma di uccidere o di essere ucciso,
saprei benissimo che Gesù Cristo al posto mio si lascerebbe uccidere, ma lo farebbe non perché un
altro al posto suo farebbe così, lo farebbe perché quello sarebbe il suo “sentire”. Ora, Pindemonte,
forse è necessario scoprire qual è il proprio “sentire” ed agire in conseguenza. Certo, la prima
considerazione da fare è che non si è soli al mondo e che si deve pure qualcosa anche agli altri; non
foss’altro del rispetto. Ma anche questa considerazione deve essere “sentita”.
Se io fossi un avvocato, è chiaro che potrei trovarmi nella circostanza di dover difendere un
assassino; oppure di avere un cliente per servire il quale dovrei danneggiare altre persone. Allora se
non mi sentissi di farlo – ma non perché Gesù Cristo al posto mio non lo farebbe, ma perché quello
non fosse il mio “sentire” – è chiaro che dovrei cambiare almeno cliente.
Capisco, Pindemonte, a te piacerebbe sapere quali sono le cose lecite e quelle non lecite, ma un
simile elenco non ha valore assoluto. Si può fare riferimento alle leggi della società in cui ciascuno
vive, ma un tale riferimento deve essere considerato come il minimo dei contratti collettivi di lavoro,
un minimo sotto al quale non scendere. Una traccia, fra l’altro, ben poco indicativa perché esclude –
anche se non potrebbe fare diversamente – quella piccola cosa che è la verità dell’individuo, il mondo
delle intenzioni nel quale solo il singolo può entrare. Ecco perché, Pindemonte, ciò che farebbe un
altro al posto tuo, per te non ha senso alcuno perché se anche facesse le stesse tue cose, diverse
potrebbero essere le intenzioni, se anche facesse le stesse azioni, differenti potrebbero essere i
moventi.
E poi il codice è eludibile e incompleto perché, vedi, chi sequestra una persona e chiede un
riscatto, è certamente un cinico della peggiore specie, ma almeno rischia in proprio i rigori della legge.
Ma chi svolge una professione considerata umanitaria, e si servisse della protezione della legge e
dell’omertà del perbenismo per arricchire in tutta tranquillità, alla barba di chi soffre, certo è un cinico
peggiore dei dediti ai sequestri di persona.
C’è una pena abbastanza severa per chi semina il vizio per raccogliere più facili e lauti guadagni?
Per chi somministra, con gli alimenti, veleni, sempre per arricchire? Per chi si adopera, sempre per il
proprio guadagno, a fare approvare leggi che legalizzano il veneficio di massa? Non c’è dubbio che
se per certe azioni non v’è una sanzione adeguata, oppure non v’è sanzione alcuna, si tratta di atti
altamente delittuosi. Di contro vi sono posizioni che non dovrebbero essere perseguite dalla legge.
Che fare? Adoperarsi per migliorare gli strumenti della giustizia. Invero nulla dovrebbe essere
considerato perfettibile come la legislazione di una società, al fine di sempre meglio contemperare le
esigenze dei singoli con quelle della collettività, il che non significa un’aprioristica condanna di tutti i
principi e gli istituti sociali.
Il nostro amico Claudio ci invita a renderci conto di ciò che facciamo e perché lo facciamo; ossia
ci invita a scoprire la ragione delle nostre azioni al fine di prendere coscienza di noi stessi. Questo, fra
l’altro, sviluppa un certo senso critico, utile nel necessario esame che ciascuno deve compiere dei
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valori della società in cui vive; ma è indispensabile che la revisione critica, più che avere come
oggetto il cangiante quadro dei costumi – l’uno dei quali vale l’altro – sia ispirata dalla logica e dal
buon senso, i quali impongono che allorché si è accettato come vero un principio, non lo si voglia far
seguire solo agli altri, o non lo si segua solo quando il seguirlo è comodo ed utile. Niente passi
nell’indifferenza. La responsabilità penale, per certi reati, non è più personale, vedi nella fattispecie il
furto per procura: rubate per dare al partito e avrete buone probabilità di farla franca. Ma forse è
giusto che sia così perché c’è un precedente storico che fa testo: Caterina da Siena che rubava dalla
casa paterna per dare ai poveri, e nonostante ciò fu proclamata Santa.
Vi è una certa tendenza a non considerare più come tali, i delitti perpetrati verso la collettività.
Ora se c’è un interesse preminente rispetto a quello soggettivo, è l’interesse pubblico. Il patrimonio
pubblico è considerato come se non fosse di nessuno ed invece è di tutti. E poiché ognuno è molto
attaccato ai propri tesori, ognuno, per coerenza, dovrebbe sentirsi tutore dei ben pubblici. Cosa che
non è affatto. Guarda invece, Pindemonte, con quanta accortezza si cerca di mettere al sicuro le
proprie ricchezze, magari finendo con lo scegliere il luogo meno adatto. Che vadano gli sciocchi a
nascondere i loro capitali in quello staterello più prossimo alla grande potenza che si dichiara
anticapitalista; chissà che cosa farà loro credere che là siano più al sicuro!
Non credi, Pindemonte, che le frontiere pesino solo sugli onesti e siano invece fonte di illeciti
guadagni per chi antepone la ricchezza all’uomo? Curiosi questi ricchi! Sono loro che nella scala dei
valori antepongono il guadagno alla vita dell’uomo e si meravigliano se c’è chi uccide per arrivare alla
loro ricchezza! Curiosi questi potenti! Qualunque mezzo è stato lecito per portarli al potere, e adesso
invocano e sperano nell’onestà degli uomini. Certo lo fanno perché nessuno faccia a loro quello che
essi hanno fatto agli altri. Lo sperpero dei ricchi risponde dei delitti e dell’esasperazione dei poveri. Il
fanatico rigore dei moralisti paga l’oscena esibizione dei viziosi. Questo significa prendere coscienza
di se stessi e del mondo in cui si vive. Significa capire che non è condannabile il fiore che ancora non
è sbocciato: amarlo e comprenderlo, ma amare e comprendere non significa divenire complici. Non è
certo immorale la belva che uccide per cibarsi, è da amare e da comprendere. Tuttavia, o
Pindemonte, non sarebbe giusto che tu la sfamassi con i tuoi figli. Perciò, se non ti senti di gettarti in
pasto ad essa, ti converrà tenerla a distanza. Sarebbe assurdo interpretare la bontà e l’amore con
una sorta di amnistia o di assoluzione generale che, fra l’altro, non togliendo la tendenza a
danneggiare in chi ha danneggiato, finirebbe con l’essere dannosa per tutta la società.
Che cosa fa la natura con la legge di causa e di effetto, se non realizzare l’ideale della giustizia in
cui l’effetto ha lo scopo di riscattare e non di punire? Cioè, perseguendo un fine di misericordia ma al
tempo stesso restando inesorabile. Dunque, caro Pindemonte, non ti proponiamo una visione più
lassiva della vita, al contrario. Se mai abbiamo la pretesa di darvene una più intelligente perché – vedi
– se è osceno ciò che offende il pudore, e se il pudore è la riservatezza che i cosiddetti sani principi
debbono ispirare, allora anche l’ostentazione del brutto è oscena. La “maja desnuda” è pudica in
confronto a certe immagini sacre. C’è più male nella morale stupidamente intesa, che in ogni
comportamento spontaneo e naturale, ma non si confonda la spontaneità e la naturalezza con
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l’ignoranza e la mancanza di educazione coltivate quali alibi dei propri comodi. E non si confonda
l’educazione con l’ipocrisia; l’educazione è rispetto verso gli altri, l’ipocrisia è sacrilegio verso il
prossimo. Ecco perché il sacrilegio più grande è quello consumato dalle religioni che predicano
l’unione degli uomini e invece li dividono. Da quelle che maledicono anziché benedire, che fanno
dell’altare un banco di vendita ed una fonte di illeciti guadagni per chi non ha voglia di lavorare; che
pur di salvare il tempio, l’organizzazione, mandano alla perdizione gli uomini. Perciò, caro
Pindemonte, se non vuoi essere ipocrita, quello che fai devi “sentirlo”, tenendo presente che non sei
solo al mondo e verificando continuamente il tuo “sentire” alla luce della considerazione che noi tutti
siamo un solo essere e che ciò che non si accorda con questa realtà – comunque tu la metta – non
ha valore universale ed è perfettibile.
Basta così. Le troppe parole finiscono col non dire più nulla.
Lo tenga presente chi vive in quest’epoca dai molti discorsi.
Perfino chi è morto parla più ora che prima, quando era vivo. Per tacere poi della Madonna e di
Suo Figlio che – stando ai messaggi che sarebbero da Loro inviati – sono più ciarleri d’una portinaia.
Si racconta che Pio IX, al quale stavano leggendo le profezie di Suor Domenica del Paradiso, se ne
uscì con questa esclamazione: “Sarà stata anche Santa, ma Gesù mio, quanto parlava!”.
Guardiamoci, Pindemonte, da chi fa spreco di parole per somministrare contenuti in dosi
omeopatiche, che fa della parola anziché un mezzo di comunicazione, l’arte dell’inganno. “Sia il tuo
dire sì, sì, no, no, perché il di più di questo viene dal maligno”.
Tuo affezionatissimo».
Pace a voi.
Kempis
La pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
A chiusura di questo incontro che, come vi ho detto, pone termine al ciclo di riunioni, vorrei
rivolgermi particolarmente a quelli che ci seguono solo attraverso alla divulgazione di queste
comunicazioni per dire loro: non siete degli sconosciuti; se non avete l’occasione di partecipare
direttamente a queste riunioni per noi non ha alcuna importanza; non siete meno amati di quelli che ci
seguono dalla viva voce. In questa breve occasione che io ho di rivolgermi direttamente a voi vorrei
dirvi tante cose che vi fossero utili. Vorrei dirvi che non ha importanza credere che l’uomo sopravvive
alla morte del suo corpo quando poi, nella propria vita, si fa tutto l’opposto di quello che si dice di
credere; che non ha importanza credere a Dio se poi della propria vita si fa un continuo insulto alle
Sue creature e quindi a Lui. È importante ciò che “sentite”, ciò che fate, più di ogni affermazione di
fede resa nel timore di un catigo celeste.
Vorrei dirvi di amare di più i vostri figli, almeno i vostri famigliari, i vostri amici, i vostri conoscenti,
perché è vero che l’amore in se stesso è premio di chi ama. Vorrei dirvi che non è vero che gli
insegnamenti fondamentali della morale riducano gli uomini a dei gonzi; i cosiddetti insegnamenti
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mistici sono stati presentati agli uomini come un mezzo per guadagnarsi un premio nell’altro mondo.
Questo errore di impostazione non è stato voluto dagli esseri illuminati che hanno rivelato gli
insegnamenti di altruismo all’umanità, ma è stato voluto – ad arte e scientemente – da chi aveva
interesse che le masse fossero remissive ed ognuno facilmente rinunciasse ai propri diritti in favore di
pochi privilegiati. Nessuno può negare che gli insegnamenti di altruismo non sono stati combattuti
perché inducevano i singoli ad accettare la loro condizione di miseria e ristrettezza senza creare
problemi ai governanti; ma se in passato tanto si è chiesto al singolo, ben poco o addirittura nulla
dando, l’uomo di oggi non deve compiere l’errore opposto tutto esigendo senza nulla dare.
In questa vostra epoca di grande intelligenza e razionalità sembra che gli insegnamenti
fondamentali della morale siano privi di logica e di valore pratico; la società si vuol migliorare con
nuovi sistemi ed ideologie i cui fautori cercano consensi, ognuno affermando di possedere il rimedio
ai molti problemi che affliggono la società. Vedete, o miei cari, la società può essere migliorata solo
se muta il singolo, solo se ognuno si sente in dovere di fare e di condurre la propria vita con onestà,
con rettitudine, in funzione della società in cui vive. Ecco la grande logica dell’insegnamento di
altruismo, ed ecco un insostituibile valore pratico che mira a dare coscienza al singolo di se stesso in
rapporto alla collettività. Senza questa visione – che è mistica e razionale al tempo stesso – ogni
ideologia è destinata a naufragare pietosamente. Troppo facile, infatti, sarebbe parlare della
mancanza di buona fede in chi si presenta come salvatore della società e del divario che esiste fra ciò
che viene detto e ciò che viene fatto. Vi accenno solo all’errore d’impostazione – che anche oggi è
ripetuto e di cui vi dicevo all’inizio – a proposito degli insegnamenti della morale; ogni ideologia ed
ogni organizzazione che attorno ad essa si è creata, mira a difendere certe forze, certe categorie,
certi privilegi. Ogni parte difende i propri interessi cercando di ottenere sempre di più. Ebbene, questo
sistema non può per nulla migliorare la società in cui vivete. La verità di questa affermazione è
dimostrata dai fatti. Ripeto: la società può cambiare solo se il singolo intende fare tutto intero il suo
dovere, condurre con rettitudine ed onestà la propria esistenza. Solo così. Perciò questo credete,
questo insegnate ai vostri figli, sicuri di dire loro l’unica cosa veramente costruttiva per se stessi e per
un mondo migliore.
In questa speranza vi abbraccio e benedico tutti particolarmente; che la pace sia con voi e con
tutti gli uomini.
Dali